Categoria: Udienze

  • L’Ad di Trenord denuncia il pendolare imbufalito
    Ma perde fino in Cassazione e paga le spese

    Amministratorone delegato contro umile pendolare di Saronno. Talvolta vince il secondo. Lo avevamo raccontato quiCerto accanirsi fin davanti agli Ermellini e perdere, beh.


    Riassumiamo. Un pendolare inferocito per ritardi e rimborsi latitanti, Marco Malatesta, si sfoga sulla pagina Facebook “Pendolari Trenord“. Prende di mira l’Ad e, a corredo della di lui foto, gli rivolge un commento sopra le righe e non privo di amarissima ironia. “Questa è la bella faccia di Marco Piuri, amministratore delegato di Trenord che non restituisce i rimborsi degli abbonamenti annuali (…) io di voglia di sputare in faccia a uno che da diversi mesi si tiene i miei soldi ingiustamente ne ho tanta, forse lo sa e porta gli occhiali per questo”.

    Piuri denuncia per diffamazione aggravata, in qualità di Ad ma anche di persona fisica. Il Tribunale condanna Malatesta. La Corte d’appello invece ribalta il verdetto e assolve. Diritto di critica legittimo, in un contesto, per altro, di “esasperazione di persone costrette a compilare moduli su moduli, inviare raccomandate, con ulteriori esborsi, senza ottenere nulla”. Fatto dunque “veridico”, oltre che di interesse pubblico, atteso che la vicenda interessava “pressoché tutti gli utenti di Trenord ed era molto sentita in quel particolare momento”.
    La corte milanese, in motivazione, aggiunge una stilettata al querelante. “Risulterebbe, del resto, molto arduo ipotizzare la liquidazione di un risarcimento a favore dell’amministratore delegato di Trenord ed ancora di più della stessa Trenord, per i fatti in esame, che non meritavano di pervenire all’attenzione del Tribunale”. Come dire: anche meno, potevate pure evitare di ingolfare la giustizia con questa roba, ché già il mondo è difficile.

    Piuri però non segue il suggerimento e va avanti, ci tiene che il pendolare saronnese sia punito per la sua impudenza, e impugna in Cassazione. Che ieri – quinta sezione – si è espressa con questo dispositivo: “Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali”. Per il pendolare Malatesta, patrocinato da Roberto Dissegna, un sollievo gigantesco (rischiava che lo scherzetto gli costasse in totale sui 15mila euro). E chissà se poi i treni per portare gli avvocati verso la capitale sono stati puntuali.

    (NdR)

  • Quanto costa allo Stato
    Perdere cause contro Vallanzasca

    Partiamo dalla risposta al titolo: 17mila 800 euro, per ora. Per ottenere cosa? Niente.

     

     

    Dal 1978 il Ministero dell’Interno chiede a Renato Vallanzasca di saldare il suo conto con la giustizia (quello pecuniario, si intende: quello carcerario, insomma…sappiamo com’è finita). In quell’anno la corte d’Assise di Firenze condanna il bandito della Comasina per l’omicidio di Bruno Lucchesi, agente della stradale colpito a morte a Montecatini dopo l’evasione del Bel René dal carcere di Spoleto. Negli anni, il risarcimento indicato a favore del Viminale sale all’equivalente di 425.660 euro e 83 centesimi. E Vallanzasca non sgancia.

    Ma nel 2009 firma, insieme all’allora moglie Antonella D’Agostino, un contratto di cessione dei diritti della sua sanguinosa storia. Ne nascono due libri e il film di Michele Placido “Gli angeli del male”: totale 400mila euro. Andaste anche voi a vederlo al cinema? Ecco, pure noi. A incassare è però la moglie dell’ex bandito, la quale nel 2009 riceve 278mila euro dalla Cosmo Production.

    Il ministero vuole quei soldi. Intenta una causa civile, tentando di dimostrare che il denaro ricevuto dalla D’Agostino apparteneva in realtà a Vallanzasca. (Li ho già spesi, fa sapere intanto lei). Il Viminale, tramite l’avvocatura di Stato, perde una volta, con tanto di pagamento delle spese processuali (5.800 euro), poi perde in Appello. La prima sezione civile della Corte d’Appello di Roma, il 3 febbraio scorso, ribadisce infatti: appello respinto, con condanna del Ministero dell’Interno “al rimborso delle spese di lite del grado, comprensive di euro 12.000 a titolo di compensi”. Fate voi la fatica di sommarli ai 5.800 euro del primo grado. Soddisfatti i legali della D’Agostino, gli avvocati Ivana Anomali e Luigi Bernardi. Ecco il conto, signor Viminale.

  • Dopo i flop pm Dambruoso chiede sorveglianza speciale

    Erano stati arrestati a maggio dell’anno scorso sette anarchici a Bologna con l’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. Dopo tre settimane il Tribunale del Riesame ordinava la scarcerazione con una decisione che sarà poi confermata dalla Cassazione. In sede di chiusura delle indagini l’accusa rinunciava a contestare il reato associativo, quello più grave. Ora però dopo i flop il pm Stefano Dambruoso, che da sostituto procuratore a Milano era finito sulla copertina della rivista Time come cacciatore di fondamentalisti islamici, si rivolge alla sezione delle misure di prevenzione, chiedendo per gli indagati la sorveglianza speciale. Il Tribunale deciderà il prossimo 12 luglio in udienza camerale.
    “Sono richieste tutte uguali – osserva Ettore Grenci avvocato della difesa – pericolosità terroristica ed eversiva. Il pm cita l’ordinanza del gip dell’operazione ‘Ritrovo’ ma dimentica il piccolo dettaglio della sonora bocciatura sia del Riesame sia della Cassazione”.
    Al centro dell’inchiesta anche una serie di manifestazioni e cortei nei pressi delle carceri al fine di portare solidarietà ai detenuti alle prese con l’emergenza Covid, il sequestro di striscioni, maschere antigas, artifici pirotecnici, fumogeni, imbrattamenti di edifici pubblici e privati con vernici spray, frasi offensive contro le autorità di Governo. Insomma un’attività politica alla luce del sole al pari di tante realtà antagoniste.
    Del resto sia il Riesame sia la Cassazione avevano annullato gli arresti spiegando il rischio di reprimere il dissenso. Ma la procura non demorde e il pm Dambruoso diventa militante del suo processo cercando di arrivare comunque all’emissione di misure volte a limitare l’attività politica degli indagati. La sorveglianza speciale non è un arresto ma influenza in modo pesante la vita quotidiana e l’impegno politico delle persone che vi vengono sottoposte.
    Nella richiesta della misura si scrive di “perdurante comportamento antisociale fondato su fatti sintomatici originati da una condotta abitualmente criminosa tesi al progressivo inasprimento dei reati commessi”. (frank cimini)

  • Sorveglianza speciale per reddito troppo basso

    “Da una verifica della situazione reddituale si rileva come il soggetto abbia avuto negli ultimi anni entrate modeste e ciò alimenta la probabilità che egli viva in parte con i proventi dei reati”. È la motivazione con cui la mitica procura di Milano chiede la misura della sorveglianza speciale per uno dei militanti del comitato Giambellino imputato per associazione a delinquere finalizzata all’occupazione di immobili e che era stato anche agli arresti domiciliari all’inizio delle indagini.

    Una volta si sarebbe parlato di “giustizia di classe”. La situazione non sembra cambiata. Misure cautelari e di prevenzione ai danni di chi è povero. Ma l’aspetto grottesco della vicenda è che sin dalla conferenza stampa in cui la procura dava notizie dei arresti gli stessi inquirenti avessero escluso

    lo scopo di lucro delle occupazioni. Adesso invece al fine di supportare la richiesta di sorveglianza speciale che sara’ discussa nell’udienza del 15 settembre l’accusa punta sui presunti guadagni illeciti dell’imputato.

    Persino il gip che aveva disposto l’arresto aveva escluso motivi di proventi illeciti collegati a una vicenda che era di mero attivismo politico a supporto dei ceti più deboli.

    “Si tratta di una storia giudiziaria svolta sempre alla luce del sole con assemblee presidi manifestazioni  che non possono essere considerate capaci mettere a repentaglio il bene giuridico tutelato della pubblica sicurezza” replica in una memoria depositata in Tribunale l’avvocato Eugenio Losco. (frank cimini)

     

     

  • NoExpo, prosciolti 5 anarchici greci perché già condannati ad Atene

    Il Tribunale di Milano, decima sezione penale, ha prosciolto cinque anarchici greci accusati di devastazione e saccheggio in relazione agli scontri avvenuti il primo maggio del 2015 in occasione dell’inaugurazione di Expo. “Non luogo a procedere”. La ragione è molto semplice: erano già stati processati e condannati in patria a 2 anni e 5 mesi per gli stessi fatti,  qualificati però giuridicamente con imputazioni meno gravi perché nel loro Paese non esiste il reato di devastazione e saccheggio. Le condanne di Atene erano infatti per resistenza aggravata.

    Il reato di devastazione e saccheggio in Italia prevede condanne comprese tra 8 e 15 anni di reclusione, come soltanto in Albania e in Russia. Le accuse erano già state messe in discussione dalla Corte d’appello di Atene quando aveva rigettato la richiesta di estradizione inoltrata dai giudici di Milano. I magistrati greci avevano affermato che non esiste la responsabilità collettiva ma soltanto quella personale e che non c’erano elementi sufficienti di accusa per arrestare gli imputati e rimandarli in Italia. Successivamente, sulla base degli atti italiani, i cinque anarchici erano stati processati in Grecia e la sentenza di condanna era diventata definitiva anche perché i legali della difesa avevano rinunciato al ricorso in Appello promosso originariamente.

    Il Tribunale ha applicato il principio del “ne bis in idem” su parere conforme della Procura. Per un sesto imputato, cittadino italiano, Massimiliano Re Cecconi, gli atti tornano ora, per decisione dei giudici, ai pm di Milano, che dovranno riscrivere l’atto di conclusione delle indagini, riformulare eventualmente la richiesta di rinvio a giudizio e andare in udienza preliminare. Il Tribunale ha accolto l’eccezione dei difensori, gli avvocati Mauro Straini ed  Eugenio Losco, sulla dichiarazione di irreperibilità di Re Cecconi dal momento che, in base alle dichiarazioni dei genitori, il giovane risiedeva tranquillamente a Tolosa, dove frequentava una scuola di musica e dove venne arrestato ed  estradato in Italia.

    Finora la Procura di Milano non è riuscita a ottenere nessuna condanna per devastazione e saccheggio in relazione ai fatti del primo maggio. Ci sono state solo condanne per reati minori. In relazione agli anarchici greci i pm sono stati costretti a fare una sorta di buon viso a cattivo gioco perché i giochi erano già stati fatti ad Atene. L’accusa per adesso registra una sconfitta su tutta la linea ma in materia di antagonismo sociale e politico ritiene di avere altre carte da giocare. Per esempio dal prossimo 2 aprile, quando saranno processati, per associazione per delinquere, i militanti del collettivo per la casa del Giambellino, nonostante che, per ammissione degli stessi pm, gli imputati in relazione alle occupazioni non abbiano guadagnato un euro. Si tratta di un racket molto presunto e di un processo istruito in linea con il clima politico che si respira nel Paese, dove le lotte sociali, come accade nel settore della logistica e per la questione del Tav, vengono represse con un accanimento degno di miglior causa (frank cimini)