Tag: milano

  • Il finanziere che tutte la mattine fa un pazzo giro di Milano per ritirare i giornali

     

    Che fa la Guardia di Finanza? Scopre le mazzette. Lo abbiamo visto in questi giorni, lo fa anche bene. Ci sta pure simpatica quando toglie il velo al malaffare. Tutte le mattine una mazzetta si alza e deve correre più veloce del finanziere. Non solo la mazzetta di denaro però, anche quella dei giornali omaggio.
    Tutte le mattine, infatti, a Milano un finanziere si alza e prende servizio nel “turno giornali”, il turno mazzetta insomma. Prende l’auto civetta (non confondetevi: non la ‘civetta’ con i frontespizi dei giornali davanti alle edicole, ma l’auto undercover, quella senza i colori gialli e grigi del Corpo), e inizia il suo giro nelle redazioni. Dal lunedì al sabato, verso le 7 del mattino si reca in zona corso Lodi, dove i giornalisti di Repubblica non sono ancora arrivati perché stanno leggendo la concorrenza con il loro abbonamento digital sul tablet, mentre bevono il caffè. Ritira otto copie del quotidiano. Poi vola in auto in via Solferino, dove i giornalisti del Corriere e della Gazzetta non sono ancora arrivati perché stanno leggendo Repubblica sul tablet mentre bevono il caffè a casa. E ritira Corsera e la Rosa.
    Poi vola in via Negri, a raccogliere le copie del Giornale, quattro. Poi va a recuperare gli altri: la Stampa in via Paleocapa, il Giorno, il Messaggero, eccetera. Pare che invece Italia Oggi e IlSole24Ore arrivino per posta. La routine del turnista dei giornali si spezza il mercoledì, quando si spinge fino alla provincia milanese per recuperare il settimanale Panorama, a Melzo.
    Poi iniziano le consegne. Le copie in via Filzi (Nucleo di polizia Tributaria), in via Melchiorre Gioia (comando regionale), in via Valtellina (provinciale) e in corso Sempione (interregionale).
    L’auto di servizio ha un costo di carburante, il finanziere potrebbe cercare altro genere di mazzette. Ci chiediamo con stima: ma perché i comandanti non si fanno regalare un abbonamento digital e non leggono i quotidiani sul computer, mentre bevono il caffè? O forse sbagliamo: per fortuna qualcuno legge ancora i giornali cartacei.

  • Il pm Gobbis stravince la gara dei voti per il consiglio giudiziario, voglia di nuovo in Procura?

    Alessandro Gobbis di Magistratura Indipendente, unico a sfondare il muro dei cento voti, stravince a sorpresa la gara delle preferenze nelle elezioni al consiglio giudiziario del distretto milanese. Assieme a lui, scelto da 136 votanti, entrano nel ‘piccolo Csm’ locale, i pm Donata Costa di Area (96), Alessandra Cerreti di Unicost (95) ed Eugenio Fusco, sempre di Area (86). A sopresa perché era il pm con meno anzianità di servizio in gara, per questo anche candidato al ruolo clou di segretario destinato di solito al più giovane eletto, e si è dedicato all’avventura politica solo negli ultimi mesi. Voglia di novità in una Procura monopolizzata per tradizione da Md cui apparteneva il procuratore uscente, Edmondo Bruti Libeati, e che vorrebbe piazzare anche il nuovo, Francesco Greco? Tra i grandi sconfitti, il pm del pool reati economici Adriano Scudieri, figura molto attiva in Md.

    Certo, a dar conto dei commenti nei corridoi della Procura, nessuno accreditava un simile exploit di preferenze al magistrato 48enne di origini venete, ex carabiniere dal carattere esuberante, titolare anche dell’indagine sull’attacco informatico ad Hacking Team. Magistratura Indipendente, considerata corrente di destra, si aggiudica anche la gara delle preferenze tra i giudici, conquistando le prime tre posizioni col pavese Andrea Balba, Anna Introini (presidente del Tribunale di Como) e Nicola Di Leo (giudice del lavoro a Milano).

    Tra le liste, resta il predominio di Area, in lieve flessione Unicost, mentre lievita  Magistatura indipendente nonostante la scissione della deludente, con solo un centianio di voti, Autonomia e Indipendenza,  creata dall’ex Mani Pulite Piercamillo Davigo. Martedì dovrebbe insediarsi il nuovo consiglio giudiziario che raccoglie l’eredità di quello diventato protagonista a Milano negli ultimi anni con interventi decisivi nella ‘guerra’ in Procura tra Bruti Liberati e Alfredo Robledo. (manuela d’alessandro)

  • Detenuto si ferisce con una lametta in aula, tre domande

     

    I fatti. Il ragazzo, cinese, classe 1989, ascolta la sentenza di condanna in appello a 6 anni nella gabbia riservata ai detenuti, ha una crisi di nervi, si taglia con una lametta da barba collo e polsi. Esce un po’ di sangue. Intervengono gli agenti della polizia penitenziaria per calmarlo e chiamano un’ambulanza. Viene portato in codice giallo all’ospedale Fatebenefratelli dove lo ricoverano. Nulla di grave, ma neanche proprio un graffietto.

    E le domande.

    1) Come ha fatto l’imputato a uscire dal carcere e portare con sé una lametta da barba in Tribunale? “E’ un ragazzo che ha dei problemi – spiega il suo avvocato Mauro Straini – ha solo 25 anni e 5 li ha trascorsi in carcere  per reati di droga. E’ un piccolo spacciatore, il suo ruolo nelle indagini è stato sovradimensionato. L’idea di farsi altri anni in prigione lo ha fatto crollare”.

    2) Perché non si è atteso l’arrivo dei soccorsi nell’aula della quinta sezione d’appello e si è trasportato subito il detenuto nelle camere di sicurezza del Palazzo di Giustizia, rischiando di aggravare (in teoria) le sue condizioni?

    3) Dal momento in cui l’ambulanza è arrivata, poco prima delle 12, a quando il giovane cinese è stato messo sulla lettiga sono trascorsi più di dieci minuti perché i soccoritori non riuscivano a trovare le camere di sicurezza, infilate in un cunicolo del cortile dopo un percorso da giramento di testa. “Dove sono le camere si sicurezza?”, hanno chiesto a chiunque incontravano gli uomini e donne in tuta arancione, smarriti.  Nessuno degli addetti ai lavori  è stato in grado o ha avuto la pazienza di indicarglielo. Lo hanno fatto dei giornalisti, che erano lì perché incuriositi dalla loro presenza.  Si ripropone il problema di come orientarsi in Tribunale. In teoria, i famosi fondi Expo per la giustizia, quelli impiegati per esempio nei monitor spenti da due anni che adornano tutto il Tribunale, sarebbero dovuti servire anche per la segnaletica. (manuela d’alessandro)

  • Il bimbo di 10 anni e la ‘ndrangheta: “Sono un Muscatello, voglio far paura come te”

    A 10 anni si dovrebbe avere paura di tirare un calcio di rigore. Dall’ordinanza a carico di 28 presunti affiliati alla ‘locale’ di Mariano Comense sbuca con passo militare un ragazzino che di coraggio ne ha da farsi scoppiare le vene e ha già deciso quale sarà la squadra della vita.

    “Voglio venire a lavorare con te perché sei una persona temuta, sei un Muscatello”.  Il suo papà, uno del clan che da decenni si mangia un pezzo di libertà di questo paese tra Como e Milano, è fiero come lo sarebbe quello del piccolo calciatore vedendolo guardare il portiere negli occhi.  “Veniva registrato – si legge nel provvedimento firmata dal gip Andrea Ghinetti su richiesta della Dda – un colloquio nel corso del quale D. Muscatello raccontava che il figlio cercava di seguire le orme del cugino L. in quanto a dire del bambino era una persona temuta anche per la sua appartenenza alla famiglia Muscatello”. “Nel corso della discussione – prosegue il gip – D. si compiaceva del fatto che il figlio di appena dieci anni facesse gia’ determinati ragionamenti ‘voglio venire a lavorare con te (inteso L. Muscatello)…lo temevano a L….si divertono perche’ e’ un Muscatello’”. Papà e cugino del bimbo sono tra gli arrestati accusati di associazione mafiosa finalizzata a traffico di droga, estorsioni, rapine. Cosa sarà di questo soldatino della ‘ndrangheta? A Reggio Calabria il Tribunale per i Minori da qualche anno ha adottato il protocollo ‘Liberi di scegliere’ che prevede, in casi molto gravi come la condanna definitiva dei genitori, la sottrazione dei minori alle famiglie. (manuela d’alessandro)

  • Il giudice legge la sentenza con un lumicino

    Giustizia al lumicino per Diamante e Matteo Marzotto, eredi del noto marchio della moda, condannati a dieci mesi di carcere dal Tribunale di Milano per evasione fiscale. La luce se ne va, ma basta un lumino per consentire al giudice della seconda sezione penale di legggere la sentenza. (m.d’a.)

  • Morire di amianto in metro, chiesto il processo per ex dirigenti di Atm

    Sono morti in sei in sei anni, tra il 2009 e il 2015, tutti coi polmoni triturati dal mesotelioma o dal cancro, tutti dipendenti dell’Azienda Trasporti Milanesi (Atm). Un autista di bus, due elettricisti, un meccanico, un addetto alla manutenzione delle macchine, un operaio. Altri due sono vivi col respiro mozzato dalle placche pleuriche.

    Per il pm Maurizio Ascione, i responsabili di questo strazio sono due ex direttori generali della società: Elio Gambini, 84 anni, e Roberto Massetti, 76. Tra il 1998 e il 2001, quando la presenza di amianto in metropolitana e in altre strutture aziendali  era “massiccia”, non avrebbero applicato la legge in tema di prevenzione e nemmeno informato i lavoratori dei rischi che correvano. Le polveri galleggiavano ovunque: nei depositi degli autobus e nei tunnel della metropolitana, nei tetti in eternit degli hangar dove la notte riposano i mezzi. Toccava ai manager, sostiene Ascione che da anni si occupa delle vittime da esposizione di amianto, proteggere i dipendenti facendo applicare le regole di sicurezza: maschere sul viso; tute da lavare periodicamente; viste mediche; manutenzione dei luoghi a rischio. Gli indagati, convocati a ottobre per un interrogatorio, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere di fronte alle accuse di omicidio colposo e lesioni gravi.

    Nel luglio scorso, il pm Ascione aveva ottenuto la sua prima vittoria: la condanna fino a 7 anni per 11 ex manager di Pirelli per la morte di 24 operai.  In precedenza, i processi per l’amianto alla Franco Tosi e all’Enel di Turbigo si erano conclusi con l’assoluzione di tutti gli imputati. (manuela d’alessandro)

    415 bis amianto atm (1)

    415 bis amianto atm (2)

    415 bis amianto atm (3)

     

     

     

     

  • Lap dance per carabinieri sotto copertura
    Nel privé vicino al Tribunale

     

    A due passi dal Tribunale, lo scrupoloso militare sotto copertura verifica se davvero nello strip club si commettano reati di pubblica decenza. E’ uno sporco lavoro, e qualcuno lo deve pur fare.

    Siamo all’Extasìa, un club nella  zona di largo Augusto, a duecento metri in linea d’aria dal dal Palazzo di Giustizia. I carabinieri hanno avuto una soffiata: nel privé succede di tutto, non si fanno solo spettacoli erotici, le ragazze danno vita a vere e proprie orge con i clienti. Ecco che ben quattro militari vanno a verificare di persona, su mandato della Procura. Un luogotenente, un appuntato, un tenente e un maresciallo si introducono nel privé, pagando qualche decina di euro.

    Ed ecco le loro testimonianze. Una ragazza che si presenta come Alessia “spontaneamente si poneva a cavalcioni del militare strusciando il seno contro il viso e il torace del militare…Rimasta nuda,mimava movenze sessuali, strofinando il seno sul viso del militare. Si specifica che il militare aveva più volte l’opportunità di toccare i fianchi, le cosce e poi di accarezzare tutto il corpo, cosa che la ragazza gradiva“.

    Rebecca invece “si era avvinghiata al militare, abbassandogli la cerniera dei pantaloni e inserendovi una mano sino a toccargli ripetutamente il pene…poi cercava ripetutamente di farsi toccare più volte l’organo genitale”.

    Nel contempo Giulia se la prende con un altro carabiniere, “appoggiandogli il seno sull’avambraccio”. E ancora, “Valentina in arte Lulù” strusciava il proprio bacino sul pube del militare, toccandolo tra le gambe e in particolare massaggiandogli il pube, il torace e i capezzoli”, ma ancora con i vestiti addosso.

    Intanto in un altro locale, il Lap Zeppelin, continua l’accurata indagine. In quel luogo di perdizione, Maria “lecca il lobo dell’orecchio sinistro e invita (il militare, ndr) a toccarla ovunque…Denudatasi completamente inizia a simulare un rapporto sessuale sedendosi sulle gambe di questi (…) e strusciandosi sui jeans del militare”.

    Grazie a queste relazioni di servizio, i carabinieri dimostrano, supportati dal pm Ester Nocera, che all’Extasìa si favoriva e sfruttava la prostituzione. Una vera associazione per delinquere di cui faceva parte, stando alle accuse, anche un collega di chi aveva condotto l’inchiesta: un altro carabiniere. In primo grado, il Tribunale di Milano assolve tutti con la formula “il fatto non sussiste”. Ieri, invece, la terza sezione della Corte d’Appello, presieduta dal giudice Piero Gamacchio, ribalta il verdetto. Tutti condannati. Il barista se la cava meglio di tutti: due anni. Va peggio al carabiniere, il quale, stando al capo di imputazione, si occupava di “controllare le quote dei privé e garantiva la sicurezza all’interno dei locali, provvedeva ad accompagnare le ragazze nei luoghi di dimora a fine turno”: tre anni di reclusione. Cinque anni e quattro mesi, invece, per il capo dell’associazione.

    Tutti assolti in primo grado, dicevamo. Il collegio presieduto dal giudice Aurelio Barazzetta, aveva argomentato su un presunto “mutamento dei costumi occorso negli ultimi decenni, concretizzantosi in particolare nell’affievolimento del senso del pudore” che porta a qualificare la lap dance come una “rappresentenzione artistica”. Tesi efficacemente contestata dalla Procura, nel suo ricorso, e poi in aula dal sostituto pg Nunzia Ciaravolo. Ora parola alla Cassazione.

  • La sentenza sull’abuso sessuale con lei in pantaloni bocciata al seminario degli avvocati

    Lei non è “credibile” perché ha denunciato solo 5 mesi dopo i fatti, racconta di avere subito un abuso sessuale con indosso i pantaloni, avrebbe finto di dormire quando si è accorta che lui la toccava nelle parti intime. Lui, un conoscente che l’aveva accompagnata a casa perché non si reggeva in piedi per l’alcol e poi si era infilato nel suo lettone matrimoniale “crollato per la stanchezza”, viene assolto dai giudici della nona sezione penale del Tribunale di Milano dall’accusa di violenza sessuale. Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a un anno e dieci mesi di carcere. La sentenza (giudici Luerti – Gasparini – Introini) è stata oggetto di accese critiche da parte degli avvocati che hanno partecipato nei giorni scorsi a un seminario organizzato dall’ordine e dalla regione Lombardia per formare legali specializzati nella tutela delle vittime di violenza sessuale. Per il difensore di parte civile, che ha affiancato la donna nel processo e tiene l’anonimato per proteggere la cliente, “è un verdetto strano e incomprensibile. Avrei potuto capire un’assoluzione perché lui poteva avere frainteso le intenzioni di lei, disponibile a uscire e ubriacarsi con lui. Invece, i giudici puntano sulla non credibilità di lei con argomenti non logici”. La donna spiega ai giudici di essersi addormentata vestita ed essersi svegliata qualche ora dopo sentendo che lui “aveva un braccio sotto il mio collo e con quella mano mi toccava il seno e con l’altra dentro le mutande”. “Per quanto concerne l’abbigliamento – scrivono i giudici nelle motivazioni – non è stato spiegato come la mano dell’imputato possa essersi infilata sotto le mutande di una donna sdraiata a letto e vestita con abiti invernali, per di più pantaloni”.  “Coi pantaloni – insistono – la dinamica appare ancora meno verosimile: se il braccio dell’aggressore avvolge da sotto il collo della donan fino a toccare con la mano il seno, l’altro braccio non può che raggiungere la zona genitale che da sotto, salvo ipotizzare una difficile contorsione. La mano potrebbe così infilarsi sotto le mutande, se la donna non indossasse nulla oppure solo una gonna (…)”. Non è credibile nemmeno che abbia mantenuto un “comportamento glaciale e inspiegabilmente razionale” decidendo di non muoversi e “fingere un lento risveglio” mentre lui la palpeggiava.

    Nella sentenza viene poi valorizzato il fatto che la donna abbia confessato a un’amica e taciuto invece ai giudici di non avere denunciato due abusi in passato. “Ma dal percorso psicologico seguito per un anno dalla mia cliente – contesta la parte civile – non è emerso alcun suo desiderio di rivalsa né la tendenza a confondere piani di realtà e fantasia, come confermato dalla terapeuta sentita in aula”. La donna, spiega il legale, ha deciso di non presentare appello “perché troppo traumatizzata dalla vicenda”. (manuela d’alessandro)

  • L’inerzia di Palazzo Chigi che non chiede a Mills di saldare il conto di 250mila euro

    Sono passati sei anni dal giorno in cui la Cassazione dichiarando la prescrizione della corruzione in atti giudiziari contestata a David Mills lo condannava a risarcire la presidenza del consiglio dei ministri con 250 mila euro e a versare 25 mila euro di spese processuali affermando la penale responsabilità dell’avvocato inglese per essersi fatto corrompere come testimone “con almeno 600 mila dollari da Silvio Berlusconi”. Correva il febbraio del 2010. Ecco, Mills non ha sborsato un centesimo, attestato sulla sua determinazione a non riconoscere le statuizioni civili.

    Lo stato italiano non è stato capace a tutt’oggi di riscuotere. Al momento della decisione della Cassazione a palazzo Chigi sedeva Silvio Berlusconi il quale beneficerà pure lui successivamente della prescrizione ma senza conseguenze a livello di giustizia civile perché i tempi scaduti erano stati dichiarati con la sentenza di primo grado mentre Mills era reduce dalla condanna a 4 anni e 6 mesi confermata dalla corte d’appello. E la situazione con Berlusconi premier era addirittura comica. Ma dopo il fondatore della Fininvest ne passava di acqua sotto i ponti e a palazzo Chigi arrivavano uno dopo l’altro Mario Monti sobrio nel suo loden verde, l’intellettuale poliglotta Enrico Letta e infine Matteo Renzi che tuttora ci delizia. Nessuno dei tre è riuscito a battere chiodo.

    Mills dall’estate scorsa ha pure aperto un ristorante nella campagna londinese, ma l’Italia non ha disturbato concretamente l’avvocato che aveva creato un sistema di società off-shore utilizzato da Fininvest e che poi accettava, secondo la giustizia nostrana, “il regalo” per testimoniare il falso in due processi a carico di Berlusconi.

    La pratica è tuttora formalmente aperta e l’unica attività di cui si ha notizia è quella dell’avvocatura dello stato parte civile nella vicenda giudiziaria per interrompere un’altra prescrizione, quella relativa al risarcimento.

    Mills è una sorta di abbonato alla prescrizione perché ne aveva beneficiato anche per la presunta testimonianza nel caso Sme e per il presunto riciclaggio nella vicenda Mediaset prima che si arrivasse a sentenza. Insomma gli è andata bene, ma la presidenza del consiglio dei ministri almeno una mano gliel’ha data se non tutt’e due. Il suo bilancio sarebbe positivo anche nel caso dovesse risarcire. Ne intascò “almeno 600 mila” (dollari) contro i 250 mila euro più 25 mila che dovrebbe versare nelle casse dello stato italiano. Pare che l’uomo sia un po’ tirchio. Ma è pure fortunato perché la sua avidità  viene assecondata.  (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • I giudici milanesi che hanno firmato l’appello per la stepchild adoption

    Tra i ‘milanesi’ ci sono il presidente di sezione Elena Riva Crugnola, i giudici Olindo Canali, Maria Luisa Padova, Caterina Interlandi, Francesca Fiecconi  e Alessandra Dal Moro, la preside della facoltà di Giurisprudenza della Statale, Nerina Boschiero, l’ex procuratore Edmondo Bruti Liberati, il giudice in pensione Nicoletta Gandus, diversi professori universitari e avvocati. Assieme ad altri trecento giuristi hanno firmato un appello per includere la stepchild adoption nella legge sulle unioni civili che verrà dicussa a fine mese in Senato, uno dei temi più dibattuti anche nella maggioranza tra chi è favorevole o contrario all’adozione del figlio, naturale o adottivo, del partner. (altro…)

  • Le centinaia di fascicoli abbandonati al settimo piano del Tribunale

    I colori della legge: rosa, verde, azzurro, giallo. Non si può dire che questa fotografia scattata al settimo piano del Tribunale di Milano rimandi l’immagine di una giustizia grigia.  E neppure di una giustizia chiusa in se stessa; chiunque può passare, sfogliare, portare via. Pezzi di antiquariato giudiziario o fascicoli freschi. Se avete la passione degli archivi passate di qua, nel fine settimana, a  farvi un bagno di colore. (manuela d’alessandro)

  • 48 anni senza un giorno di assenza e con passione, va in in pensione Laura Bertolé Viale

    Quarantotto anni e mezzo senza un giorno di malattia.

    “Ecco, tutto quello che dovevo fare l’ho fatto”.  Laura Bertolé Viale sposta alcuni fogli sull’immenso tavolo del suo ufficio elegante, quasi li accarezza. C’è una firma importante, l’ultima della sua vita giudiziaria, con la quale toglie l’indagine, per assegnarla a quello che ancora per oggi è il suo ufficio, a un pubblico ministero che non ha indagato a fondo su un delitto. Negli ultimi cinque anni da avvocato generale dello stato, come mai nessun suo predecessore, ha esercitato il potere – dovere di avocazione, anche inimicandosi magistrati di peso a cui biasimava scarso ardore investigativo. E’ stata la prima a mettere il naso tra i rovi burocratici e reali dove è in costruzione da 20 anni l’aula bunker del carcere di Opera, ottenendo che la corte dei conti aprisse un’indagine. E una dei pochi ad accorgersi che il sistema di affidamento dei fondi Expo alla giustizia milanese era oscuro e non rispettoso della legge, tanto da decidere di starne fuori mentre attorno a lei c’era la corsa alla fetta più sostanziosa.

    “Sono entrata in magistratura nel maggio del 1968, tredici anni al tribunale civile e  poi ho seguito da giudice penale e da pubblico ministero tutti i terrorismi: rosso, nero e islamico”.  Ha sostenuto l’accusa nei processi d’appello per le stragi di piazza Fontana e della Questura di Milano, giudice estesore della prima condanna in appello perAdriano Sofri, si è occupata dell’omicidio Calabresi. E’ stata anche rappresentante dell’accusa in diversi processi a Silvio Berlusconi (All Iberian, Mills, diritti tv, nastro Unipol).

    “Ho fatto tutto, vado in pensione contenta”. Magistrato con la porta sempre aperta a tutti, mancherà molto a una giustizia che non ama guardare allo specchio le sue deformità. (manuela d’alessandro)

    ce-un-solo-magistrato-arrabbiato-allanno-giudiziario-2015

  • Il broker segreto dei francescani
    si è impiccato in casa

    Il signor Rossi s’è tolto la vita. Impiccato. In casa, una villetta in fondo a una via tra edifici bassi e i campi in collina ai marigini di Lurago D’Erba, piena Brianza. Quando i finanzieri del Nucleo Valutario hanno suonato il citofono, questa mattina, non ha risposto nessuno.

    Ieri avevano perquisito gli uffici della Anycom Srl, proprio accanto al tribunale di Milano. Per oggi era prevista la perquisizione. I sigilli alla casa erano già stati apposti ieri.

    Il signor Rossi, al secolo Leonida, 78 anni, era un professionista che si muoveva tra Svizzera e Italia, e investiva il patrimonio dei francescani di mezza penisola grazie agli incarichi ricevuti da Giancarlo Lati, economo generale della Curia Generalizia dell’Ordine dei Frati Minori, Renato Beretta, economo della ‘provincia’ lombarda e Clemente Moriggi, economo della Conferenza dei Ministri Provinciali dell’Ordine dei Frati Minori. Rossi avrebbe riciclato oltre 26 milioni di euro sottratti alle casse dei francescani impiegandoli “in attività economiche, in particolare in attività edilizie speculative”, come si legge nel decreto di perquisizione firmato dai pm di Milano Adriano Scudieri, Sergio Spadaro e Alessia Miele. Attività che però non rientravano, stando alle accuse, tra “gli scopi e le finalità religiose degli enti” da cui quei denari provenivano. Quei fondi, stando alle indagini, venivano trasferite sui conti di Rossi per poi essere reinvestiti “nella realizzazione di complessi immobiliari (villaggi turistici, alberghi, ecc.) in alcune zone dell’Africa nonché nel Medio Oriente”. E solo “a fine 2014, dopo le continue richieste pervenute dai citati enti religiosi circa la restituzione delle somme dovute”, Rossi ammette di non potere più restituire i capitali ricevuti. “A partire dalla fine del 2011 Rossi aveva infatti progressivamente rifiutato le restituzioni, facendo infine registrare l’ammanco di cassa”. Ci sarebbero altri soldi gestiti in modo sospetto, tra cui 680mila euro dell’Opera Don Bosco per le Missioni.

    Ora il signor Rossi non potrà spiegare più niente. (manuela d’alessandro)

  • Le sei Maserati di Stato su cui nessuno del Tribunale vuole salire

    Una volta (non tanto tempo fa!) i politici avrebbero probabilmente fatto a gara per farsele assegnare. Ma oggi, in tempi in cui l’antipatia e perfino l’odio verso la Casta si sono fatti palpabili, l’idea di farsi vedere in giro a bordo di una Maserati di Stato viene schivata come la peste. Deputati, senatori, magistrati, giornalisti di grido, insomma tutta la categoria dei ‘soggetti a rischio’ a cui è stata assegnata una scorta, preferiscono veicoli più sommessi. Così le sei Maserati assegnate ai carabinieri che effettuano il servizio giacciono spesso inutilizzate nel cortile del palazzo di giustizia.
    A chi sia venuta la bizzarra idea di comprare delle supercar da adibire ad autoblu, è un mistero che si perde nei meandri dell’alta burocrazia statale. La leggenda vuole che ognuna, compresa di blindatura, sia costata più di centomila euro. Gli enormi costi di gestione hanno fatto sì che venissero inserite nel parco macchine che il governo ha deciso di privatizzare, cioè di vendere all’asta, ma ovviamente sono rimaste invendute. Così da Roma sono approdate a Milano. E lì si sono fermate.
    Basta fare un giro nel cortile che le ospita per vedere come le Maserati spicchino nel panorama non confortante dei veicoli di Stato. L’aspetto più desolante lo hanno alcuni Ducato con le insegne di polizia e carabinieri, veicoli che dimostrano quindici o vent’anni di vita e sulla cui efficienza si potrebbe nutrire qualche dubbio. Poi molte Alfa, una quantità di Punto, alcune Lancia: tutte mediamente polverose e segnate dal tempo. Sotto una tettoia c’è un Audi, si dice sia stata sequestrata anni fa, doveva essere riconvertita ad uso dello Stato, come prevede la legge, ma evidentemente se ne sono dimenticati perché è coperta da una specie di sabbia. E poi loro, le Maserati ritargate con targa civile, troppo belle per essere usate. (orsola golgi)

  • Vittime dei reati informatici, niente paura. Per voi apre uno sportello gratis nel palazzo

    Vittime dei reati informatici, questo spazio è per voi. Voi che vi ritenete diffamati su Facebook, truffati compiendo un acquisto online con la carta di credito, derubati della vostra identità. Ogni 15 giorni a partire da oggi, nella saletta dell’ordine degli avvocati di Milano, al primo piano del palazzo di giustizia avete a vostra disposizione dei legali esperti in diritto informatico che vi garantiscono un servizio di orientamento. “E’ uno sportello nato dalla considerazione che chi subisce un reato informatico è spesso una vittima più fragile di altri – spiega una delle promotrici dell’iniziativa, l’avvocato Silvia Belloni – non conosce bene la materia e non sa come muoversi. I legali  offrono un aiuto per capire come muoversi, non un servizio di assistenza. Ma se poi la vittima volesse presentare una denuncia le verranno garantite dall’Ordine tariffe calmierate per portare avanti la causa”. Tutte le toghe dietro allo sportello, assicura Belloni, “prestano la loro attività in modo gratuito adempiendo alla funzione sociale che l’avvocato deve esercitare” e sono state formate attraverso corsi organizzati dalla Procura, in particolare dal pm Francesco Cajani, in collaborazione con l’Ordine. Lo sportello è aperto di martedì dalle 14 e 30 alle 16 e 30. (m. d’a.)

  • Fondi Expo, per il Tar più di 6 mln sono stati assegnati in modo “illegittimo” al Tribunale

    Quella che potete leggere qui  è la sentenza  con la quale il Tar della Lombardia ha dichiarato illegittimi  e annullato appalti per 6,4 milioni di euro destinati alla giustizia milanese in nome di Expo. Il Tribunale di Milano ha siglato una convenzione scorretta con la Camera di Commercio per informatizzare gli uffici giudiziari in occasione dell’Esposizione Universale. In buona o mala fede? A stabilirlo dovrebbe essere un’inchiesta penale o quantomeno ci si attenderebbe un’ispezione ministeriale per capire la natura del gigantesco abbaglio.  Dal 2010 a oggi milioni di euro sono stati spesi con appalti senza gara  o con gare dichiarate illegittime, come Giustiziami e poi Il Fatto Quotidiano avevano anticipato nei mesi scorsi. Di una parte di questi appalti si occupa il Tar in una sentenza che meriterebbe le prime pagine dei giornali se questi non fossero finanziati da Expo.

    Nel 2014 il Tribunale, allora presieduto da Livia Pomodoro, e la Camera di Commercio firmano una convenzione in base alla quale la seconda s’impegna a realizzare alcuni lavori pagati col ‘tesoro’ di Expo: la manutenzione e gestione del sito del Tribunale di Milano, la gestione della pubblicità legale delle aste giudiziarie su siti e quotidiani; il servizio informativosu fallimenti e concordati e il supporto al processo civile telematico. Tutto procede, finché una società, la Aste On Line snc, fa ricorso al Tar lamentando una lesione della concorrenza.

    Il Tar  le da’ piena ragione affermando che “la convenzione determina un’illegittima restrizione della concorrenza attualmente esistente nel settore, tendendo all’individuazione di un operatore particolare a cui demandare l’effettuazione della pubblicità in via preferenziale”. Crollata la convenzione, sono nulle tutte le gare sue ‘figlie’ che ora vanno rifatte.

    (manuela d’alessandro)

    il-sito-del-tribunale-creato-coi-soldi-di-expo-che-nei-week-end-si-spegne

    sospesi-gli-affidamenti-diretti-expo-per-la-giustizia-milanese-il-verbale-che-svela-il-clamoroso-cambio-di-rotta

    sugli-schermi-pubblici-comprati-coi-soldi-expo-la-propaganda-di-anm-contro-renzi

  • Dirsi addio nella “stanza al buio” del nuovo palazzo della giustizia milanese

    Una stanza può contenere il cielo quando c’è l’amore. Ma se il sentimento se ne va, in quella stanza crolla il buio.

    Piccole verità del cuore nella nuova palazzina milanese della giustizia, dove da adesso dovranno passare tutti i milanesi che si amarono e poi un giorno strapparono gli anelli.

    Per aiutare moltitudini di ex sposi radiosi a elaborare la fine, gli si è messa a disposizione una vasta stanza al buio nella quale iscrivere a ruolo le cause di separazione e divorzio. Quel passaggio brutale imposto dalla legge prima di far calare il sipario. “L’impianto di illuminazione non è mai stato attivato”, leggiamo sul cartello appeso all’ingresso della stanza degli addii. Non sia mai che a qualcuno  venga da rimpiangere la luce dell’amore. Nel caso, c’è un indirizzo a cui sporgere reclamo. (manuela d’alessandro)

    cadono-lastre-dal-soffitto-del-nuovo-tribunale-un-avvocato-salva-per-un-soffio

     

     

  • Giustizia folle, 300mila euro “per non aver educato il figlio”

    Due genitori milanesi sono stati condannati a risarcire 300 mila euro con sentenza della Cassazione “per non aver educato il figlio” che quando aveva 12 anni urtò con la sua bici quella di una donna finita nel Naviglio e morta dopo un anno e mezzo di agonia.

    “Culpa in educando” è la formula giuridica. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Il ragazzo che ha 26 anni è tuttora in terapia psicologica, i genitori intanto hanno venduto la casa di Milano e vivono in affitto nell’hinterland. Non hanno i soldi per pagare. La mamma ha un lavoro part-time nel settore delle pulizie, il padre è impiegato in una ditta di soccorso stradale. Entrambi chiedono che un giudice rilegga le carte. Il ragazzo, che il giorno della tragedia era affidato all’oratorio, non è mai stato ascoltato nel corso della causa.

    E’ la vicenda di una giustizia che sembra ignorare cosa sia la vita quotidiana, con le toghe che hanno la presunzione di decidere in che modo si educa un bambino di 12 anni. Chi ha un minimo di spirito critico è consapevole che alcuni giudici ne fanno anche di peggio, ma il caso lascia particolarmente sbigottiti. I genitori riferiscono di essersi appellati a varie autorità “ma sono spariti tutti”. Resterebbe solo la corte europea di diritti dell’uomo, organismo che ha diverse volte in passato condannato la nostra giustizia per le ragioni più diverse. L’imputato eccellente per antonomasia, da quando si occupa di lor signori in toga per ragioni molto poco nobili, i fatti suoi e basta, propose che dei giudici fosse verificata la capacità psichica una volta l’anno. A questo punto sarebbe meglio stare sui 6 mesi. Sia per noi sia per loro. (frank cimini)

  • Lasciateli a casa, da oggi è “vietato l’ingresso degli animali nel Palazzo”

    Chissà se a loro piaceva girovagare per la ‘savana’ di cemento del Tribunale, annusare i fascioli polverosi, incrociare strani uomini in toga. Da oggi, è “vietato agli animali l’accesso ai Palazzi di Giustizia del Distretto di Milano”. Il provvedimento è firmato dalll’avvocato generale Laura Bertolé Viale e timbrato da Edmondo Bruti Liberati il quale, non molto tempo fa, si aggirava per la Procura in compagnia della moglie e di un simpatico barboncino color panna. Nell’”importante direttiva” di cui si invita “la più scrupolosa osservanza”, si fa cenno a “recenti spiacevoli accadimenti verificatisi nel tentativo di accesso al Palazzo di Giustizia con animali da compagnia al seguito”. “Fatti salvi i cani guida per non vedenti e da accompagnamento per persone disabili”, per tutti gli altri, come indicato da diversi cartelli appesi ai varchi, il Palazzo diventa proibito. Tutto “al fine di poter garantire il regolare e sereno svolgimento dell’attività d’ufficio”. Se è anche colpa nostra (non-dite-piu-che-ad-agosto-non-ce-un-cane-nel-palazzo-di-giustizia) perché segnalammo la presenza di un dolce cagnetto ad agosto, chiediamo scusa agli amici degli animali. (manuela d’alessandro)

  • La decisione del giudice arriva ai legali 5 anni dopo con la posta elettronica

    Col formidabile acceleratore della Pec – fulmineo acronimo che sta per Posta Elettronica Certificata e rimanda a un mondo ideale di giustizia senza carta –  viene recapitato oggi in uno studio legale milanese l’avviso che il dieci novembre 2010 il Tribunale di Milano (in funzione di giudice del Riesame) si è pronunciato respingendo l’istanza di scarcerazione di un detenuto per reati fiscali.

    “Ora potremmo fare ricorso in Cassazione contro questa decisione”, ironizza uno dei difensori. Per fortuna, la giustizia degli uomini va più veloce di quella divina e anche di quella digitale. Così, G.B., arrestato e portato a San Vittore nel 2010, ha patteggiato nel dicembre 2010 tre anni e quattro mesi di carcere e poi gli sono stati concessi i domiciliari. Ha fatto in tempo anche a operarsi al cuore (quando era ancora in carcere) e a fare chissà quante altre cose mentre la Pec percorreva il suo onirico viaggio dalla cancelleria del Tribunale allo studio legale. (manuela d’alessandro)

  • ‘Il clima ideale’ tra Milano e la ex Jugoslavia, thriller d’esordio di Franco Vanni

     

     

    E’ tutta una questione di clima per Aleksandar Jovanov. Cambia pelle, odore e perfino nome quando Franco Vanni gira la manopola della temperatura sulle pagine.

    Nel clima mite della campagna elettorale serba 2012 è il candidato premier progressista “buono, sicuro, conciliante” che si fa fotografare tra i garofani.  In quello acre della Bosnia orientale venti anni prima lo chiamavano Dragan ed era un criminale di guerra, stupratore e assassino “per divertimento” ma anche perché non sopportava la puzza di carogna che emanava il suo corpo fin da bambino.

    Pure per Michele, trentenne di Milano coi capelli a scodella e l’ossessione dello yo – yo, è una faccenda di clima. Lobbista, il suo lavoro consiste nel creare quello “ideale” per gli interessi dei clienti, anche quando gli tocca piegare la legge. Tenero con la sola persona al mondo a cui “non saprebbe mai dire di no”. Nonno Folco, 91 anni, psichiatra di furiosa intelligenza e ironia, lo spedisce in Albania a indagare sulla vita della meravigliosa Nina, cameriera e figlia di Jovanov.

    Il vecchio vuole sapere se la ragazza è così legata al padre da dispiacersi molto se lui dovesse andare a ficcare una pallottola nel cuore del futuro premier. Folco è pronto a immolarsi per evitare che il politico, i cui abomini gli sono stati svelati da un’adolescente bosniaca sua paziente, si consacri con l’elezione “paladino dei diritti civili”. Michele vola a Tirana, incontra Nina che poi scompare e da quel momento il clima del racconto impazzisce, regalando variazioni continue. Vanni, cronista giudiziario di ‘Repubblica’, ha il ritmo giusto per alternare ambienti feroci ad altri dolci. Sa quando lasciar riposare i personaggi all’ombra dei loro pensieri e quando buttarli tra i nembi dell’azione. Scrive chiaro e spedito, e la storia da tortuosa alla fine si fa semplice, come semplice ne è l’ispirazione e il senso ultimo: l’amore puro tra un nonno e un nipote. Ai nonni ‘Franco e Franco’, il giovane Franco dedica il suo esuberante esordio.  (manuela d’alessandro)

    ‘Il clima ideale’ di Franco Fanni, Laurana Editore, pagg. 296, euro 16. Lo trovate anche alla libreria ‘L’Accademia’ di corso Porta Vittoria 14

     

     

     

  • Cadono lastre dal soffitto del nuovo Tribunale. Un avvocato, “salva per un soffio”

    “Camminavo al piano terra quando ho sentito un boato, come un colpo di pistola”. Sono le nove di lunedì mattina e l’avvocato Annalisa Premuroso sta percorrendo il corridoio della nuova palazzina del Tribunale di Milano. “Un collega, mentre ancora non mi rendevo conto di cosa fosse successo – racconta –  mi avverte che è caduto a terra un pannello che si è staccato dal soffitto, che mi ha sfiorata alle spalle e non mi ha preso per un niente…”.

    Se il giudice imprigionato nel bagno con la maniglia rotta aveva strappato un sorriso (qui), quanto accaduto all’avvocato Premuroso fa paura, ancor più perché la settimana scorsa era piombato dal soffitto un altro tassello. “E in quel caso non si era neppure chiuso il corridoio, come sarebbe stato logico fare. Stiamo aspettando il morto? – si chiede il legale – La lastra era molto pesante, di cemento e intonaco, se mi avesse colpito mi sarei fatta molto male”.

    Oggi, invitata da un giudice, l’avvocato ha presentato una denuncia alla commissione logistica del Tribunale allegando le immagini del crollo.

    Maniglie che si rompono, cellulari che non prendono, luci al neon definite “insostenibili” da chi ci lavora e adesso parte del soffitto che viene giù. Bella è bella, la nuova palazzina destinata ai processi di lavoro e famiglia, lo dicono tutti. Ma sembra la bellezza di una donna troppo truccata per nascondere imperfezioni pericolose.

    Manuela D’Alessandro

     

  • Il giudice imprigionato in bagno spacca la porta e i carabinieri lo verbalizzano

    Eccoci nella nuova, scintillante palazzina della giustizia milanese, quella riservata ai giudici civili e del lavoro da poco inaugurata. Il giudice entra in bagno per fare la pipì e, chiudendo la porta dietro di sé, resta con la maniglia in mano. Che fa? “La pipì anzitutto e poi non mi faccio travolgere dal panico, prendo a manate la porta e urlo di venirmi ad aprire”. Non può telefonare perché i cellulari nella nuova, scintillante palazzina non prendono (l’avevamo raccontato qui). Allora si mette comodo e pensa: ‘Prima o poi a qualcuno scapperà la pipì’. Invece i suoi colleghi (il bagno è di servizio) se ne stanno tutti beati dietro alle scrivanie.

    Passa mezz’ora e la pazienza si fiacca. Il giudice prende il mozzicone di maniglia e colpisce la porta che scopre essere di pastafrolla. Con due calcioni apre un bello squarcio nel ‘tamburato’.

    “Stai calmo, ora ti salviamo!”, gli urlano dall’aldilà sentendo i rumori delle pedate. Dallo squarcio intravvede due carabinieri. Aprono quel che resta della porta. Neppure un secondo per rigustare la libertà che il brigadiere gli chiede i documenti e verbalizza le generalità.  “Potevate almeno chiedermi come stavo…”, butta lì il magistrato. “Signore, noi facciamo il nostro lavoro…”, risponde il militare che di fronte alla porta rotta forse vola con la fantasia e pensa a un’ipotesi di danneggiamento aggravato dall’uso di una maniglia contundente. (manuela d’alessandro)

    ps. qualche giorno prima una collega del giudice imprigionato aveva segnalato all’ufficio manutenzione che la maniglia era rotta.

  • Fare una denuncia alla polizia nel cuore della città di Expo

    Via fatebenefratelli, siamo in uno dei quartieri più eleganti di Milano, a due passi da via dei giardini per intenderci, la casella viola più pregiata del monopoli. Nel bel palazzo neoclassico della questura c’è, appena dopo l’ingresso, una sala d’attesa di pochi metri quadri che ospita chiunque, cittadino o meno, desideri parlare con un poliziotto. Sono solo tre gli agenti che raccolgono le denunce. Tempo d’attesa, non meno di un’ora e mezza.

    Uno di loro si affaccia e scruta la platea accalcata.  Ne approfittano due ragazzi francesi. “Do you speak French?”, chiedono ambiziosi. “No”. “Do you speak english?”. “No, non parlo niente”, ribatte l’agente, che poi, rivolto a tutti, esorta “Vedete voi come organizzarvi con la coda”. Siamo in Polizia, mica dal salumiere, qui i bigliettini non sono previsti. Devi occupare il posto in modo marziale, o quelli dietro di te ti fanno secco. Una signora di origini slave regala un po’ di cabaret agli astanti e poi s’informa con un altro agente sul dormitorio in cui  trascorrere la notte. “Signora, in via Ortles non c’è posto, deve rivolgersi al commissariato più vicino a casa”. Una senzatetto avrà certo un commissariato vicino a casa.

    Un signore  vorrebbe portare il suo bambino a fare la pipì nel wc della sala d’attesa.  La porta non si apre, nonostante gli sforzi di tutti, poliziotti compresi. Alla fine i due vengono invitati ad andare al bar di fronte alla questura. La coppia di francesi riprova a chiedere informazioni. La risposta è in italiano e il ragazzo, che non avrà più di 20 anni, adesso è seccato: “I don’t understand italiano”, poi, in inglese, conciona sui nostri usi con quel tono irritato che sanno avere i francesi per concludere con un lapidario “I never saw that”. (manuela d’alessandro)

  • Un ‘Best of 2015’
    da leggere sotto l’ombrellone

     

    E’ estate inoltrata. La vostra testa, sovente insieme al resto, va alle spiagge dorate, ai freschi picchi alpini, a posti lontani ed esotici. L’immagine dell’afoso Palazzo di giustizia, per chi è partito, sta a metà strada tra l’incubo del futuro ritorno al lavoro e la certezza di un luogo a suo modo più rassicurante che inquietante, per chi lo conosce e ci lavora. Per questo non vi è così facile compiere il distacco completo da quel crocevia di sofferenza e arrabbiature, di lavoro serio e socialità, di burocrazia e alti ideali. Per aiutarvi a rimanere con un piede là dentro, mentre l’altro si tuffa in acque cristalline, abbiamo preparato questo piccolo compendio della stagione appena trascorsa. Si comincia dalle cose più leggere e intonate alla calura estiva. Buona lettura.

    GIUSTIZIAMI SUMMER EDITION

    Il caso vip dell’anno, scoperto da Giustiziami.

    “Vendevano foto e gossip rubati dalle mail dei vip”. A processo Selvaggia Lucarelli, Guia Soncini e Macchianera. https://giustiziami.prlb.eu/rubavano-foto-e-gossip-dalle-mail-dei-vip-a-processo-selvaggia-lucarelli-e-guia-soncini/

    Intanto in un altro processo zeppo di vip, Belén Rodriguez viene chiamata a testimoniare, ma da Ibiza inonda il web di foto in bikini. https://giustiziami.prlb.eu/belen-testimone-nel-processo-ai-vip-posta-foto-in-bikini-da-ibiza/

    Tribunale + estate = condizionatori che si rompono. Processi rinviati per caldo, Flegetonte manda in tilt il Palazzo di giustizia. https://giustiziami.prlb.eu/processi-rinviati-per-caldo-flegetonte-manda-in-tilt-il-tribunale/

    Quando il tempo è galantuomo. Dieci anni dopo, prescritte le corna di Paolini a Fede. Alla faccia del galateo. https://giustiziami.prlb.eu/10-anni-dopo-prescritte-le-corna-di-paolini-a-fede/

    Non vedete l’ora che ricominci il Crozza Show? Beh, l’ispirazione per la prima puntate c’è già. “Dal barbiere alle braghette, Formigoni dà spettacolo in aula“. https://giustiziami.prlb.eu/dal-barbiere-alle-braghette-formigoni-crozza-show-in-aula/

    Un nostro piccolo scoop, quello del del magistrato ubriaco in bicicletta. Lo ricordate? Bene, ora fa giurisprudenza. https://giustiziami.prlb.eu/il-caso-del-magistrato-ubriaco-in-bici-fa-giurisprudenza/

    Mentre siete al mare, state pur certi che lui rimarrà in ufficio,a lavorare 12 ore al giorno. E’ il pm Stakanov. “Inchiesta sull’acido, quando il pm scava davvero”. https://giustiziami.prlb.eu/inchiesta-sullacido-quando-il-pm-scava-davvero/

    COSE PESE. OGNI TANTO FACCIAMO LE PERSONE SERIE. E SCOPRIAMO COSE SERIE

    Questa inchiesta in due puntate ci è valsa una menzione speciale al premio Vergani. La cosa che ci rende più orgogliosi è però un’altra. Quello che abbiamo scritto ha inciso sulla realtà. Lo dimostra la seconda parte dell’indagine.

    Le carte degli appalti Expo senza gara per il Tribunale. A chi e perché sono finiti i fondi per la giustizia milanese https://giustiziami.prlb.eu/la-carte-degli-appalti-expo-senza-gara-per-tribunale-a-chi-e-perche-sono-finiti-i-fondi-per-la-giustizia-milanese/

    Sospesi gli affidamenti diretti Expo per la giustizia milanese. Il verbale che svela il clamoroso cambio di rotta. https://giustiziami.prlb.eu/sospesi-gli-affidamenti-diretti-expo-per-la-giustizia-milanese-il-verbale-che-svela-il-clamoroso-cambio-di-rotta/

    Altra storia tipicamente italiana. Un’edificio pubblico incompiuto, nonostante diciannove anni e milioni di euro spesi. “L’aula bunker di Opera non è finita e fa ruggine”. https://giustiziami.prlb.eu/19-anni-e-milioni-di-euro-dopo-laula-bunker-di-opera-non-e-finita-e-fa-ruggine/

    Una serie di articoli non ci hanno resi molto simpatici al quarto piano di via Freguglia. Ma che ci vuoi fare? Questi, per esempio.

    “Manipolò titoli per 8,5 mln”, la Procura generale chiude un’altra indagine avocata al pm Greco. https://giustiziami.prlb.eu/manipolo-titoli-per-85-mln-procura-generale-chiude-unaltra-indagine-avocata-a-pm-greco/

    La moratoria sulle indagini della Procura di Milano per Expo (e non solo). https://giustiziami.prlb.eu/la-moratoria-sulle-indagini-della-procura-di-milano-per-expo-e-non-solo/

    GLI EDITORIALI

    Qualcuno è provocatorio, certamente questi corsivi hanno alla base un’esigenza vera.

    Perché l’omicidio stradale è un finto reato colposo di ispirazione forcaiola. https://giustiziami.prlb.eu/perche-lomicidio-stradale-e-un-finto-reato-colposo-dispirazione-forcaiola/

    Tutti a celebrare Falcone…ma lui voleva carriere separate. https://giustiziami.prlb.eu/tutti-a-celebrare-falcone-ma-lui-voleva-carriere-separate/

    Video dell’arresto di Bossetti, una vergogna per pm e media. https://giustiziami.prlb.eu/video-arresto-di-bossetti-una-vergogna-per-pm-e-media/

    Il commento più significativo a un fatto accaduto in Tribunale non l’ha composto un giornalista ma una madre. Quella del giovane avvocato Lorenzo Claris Appiani, all’indomani della strage compiuta da Claudio Giardiello in Tribunale. Le sue parole valgono da insegnamento e ispirazione per molti. https://giustiziami.prlb.eu/la-mamma-di-lorenzo-avvocati-non-rendete-vana-la-sua-morte/

    UN PICCOLO TRIBUTO

    Quello ad Annibale Carenzo, decano di tutti i cronisti giudiziari di Milano e forse d’Italia. Tra pochi mesi avrà 81 anni. Lo potete incontrare a tutti i giorni a Palazzo, in particolare al primo piano o nel cortile centrale. Cerca notizie, e ne trova ancora.

    “Annibale compie 80 anni. Da Mina ad Alessandrini, le sue 45 stagioni nel Palazzo”. https://giustiziami.prlb.eu/annibale-compie-80-anni-da-mina-ad-alessandrini-i-suoi-45-anni-nel-palazzo/

    L’INCHIESTA DELL’ESTATE

    Infine, vi lasciamo con una riflessione sull’inchiesta più hot dell’estate.

    hacking-team-riguarda-tutti-noi-la-nostra-liberta-la-nostra-costituzione

  • Hacking Team diventa un caso nel senato Usa e l’Fbi la scarica

    L’attacco informatico ad Hacking Team (HT) con la rivelazione su wikileaks degli affari tra la società milanese e regimi totalitari come il Sudan diventa un caso nel parlamento americano.

    Il senatore repubblicano dello Iowa, Charles E. Grassley, presidente della commissione giustizia, ha presentato un’interrogazione nella quale chiede conto dei rapporti tra Fbi e Dea con l’azienda italiana, in particolare vuole sapere se le relazioni tra le due agenzie governative e HT siano avvenute in violazione della legge che proibisce di stringere affari di qualsiasi natura con il regime totalitario africano (Sudan Accountability and Divestment Act del 2007).

    Dall’interrogazione  (qui il testo) rivolta al direttore dell’Fbi, al segretario generale della Difesa e al capo della Dea, scopriamo anche che le due roccaforti  della sicurezza hanno ‘scaricato’ Hacking Team in anticipo sulla data di scadenza dei rispettivi contratti, ma, insinua Grassley, troppo tardi, quando già la collaborazione sarebbe stata proibita.

    “Le forze militari – fissa il principio – devono avere gli strumenti tecnologici per investigare su criminali e terroristi per la sicurezza pubblica, ma è importante che li acquistino da fonti responsabili, etiche e che agiscano secondo la legge”.  Per il senatore i documenti resi pubblici dalla tremenda incursione negli archivi di HT svelano che nel giugno 2014 le Nazioni Unite avevano sollecitato chiarimenti alla società sui rapporti col Sudan, ricevendone una risposta solo a gennaio 2015 quando  HT si limitò a negare di avere relazioni in quel momento col Sudan, senza fare cenno al passato.

    “Fbi, Dea e DoD (Department of Defense) – insiste l’anziano senatore dello Iowa –  avevano fatto mettere nel contratto con HT una clausola che certificasse che non aveva condotto operazioni in Sudan? E se no, perché? HT aveva garantito falsamente che non aveva rapporti col Sudan  e per questo, dopo averlo scoperto, Dea ha interrotto il contratto?”.

    Questo accade nel Campidoglio americano, mentre da noi Regione Lombardia continua a detenere senza battere ciglio il 26,03 per cento del capitale sociale di HT. Dalla Corea del Sud, intanto, arriva la notizia, battuta da Associated Press e ripresa dal New York Times (Spia corea), che dietro l’apparente suicidio di uno 007 di Seul ci sarebbe l’ombra della vicenda Hacking Team.  (manuela d’alessandro)

    hacking-team-riguarda-tutti-noi-la-nostra-liberta-la-nostra-costituzione

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

  • Ferito sta ancora male, processo a Giardiello rinviato a ottobre

    Trovata la soluzione. Claudio Giardiello non sarà in aula e non ci sarà neppure l’udienza di domani, con un rinvio che permetterà di calmare le acque, come chiedevano gli avvocati.

    Il nuovo collegio della seconda sezione penale presieduto dal giudice Lorella Trovato ha rinviato al 15 ottobre il processo per bancarotta a carico di Claudio Giardiello, l’autore della strage in Tribunale. Decisione che arriva accogliendo il legittimo impedimento presentato da Davide Limongelli, coimputato e parente di Giardiello, ferito gravemente nella sparatoria, ora fuori pericolo di vita ma comunque in condizioni serie. In secondo luogo, per attendere la pronuncia della Cassazione sulla richiesta di spostare il processo a Brescia avanzata dal nuovo difensore di Giardiello, l’avvocato Antonio Cristallo, che giudica impossibile celebrare quel dibattimento, a Milano, con la necessaria serenità. La scorsa settimana altri legali avevano scritto al collegio chiedendo di riflettere sull’opportunità di un rinvio: avevano assistito alla sparatoria in aula, avevano soccorso i feriti, lo choc era stato duro, non si sentivano pronti a riprendere il processo con il rischio di trovarsi di fronte proprio a Giardiello il quale, in quanto imputato, aveva diritto e intenzione di prendervi parte.

  • Giardiello presto in aula nel processo della strage
    Lettera dei legali al giudice: non siamo pronti

    L’assassino torna sempre sul luogo del delitto? Immaginatevi che Claudio Giardiello voglia tornare in aula. Ne ha diritto: è imputato di un processo per bancarotta, è detenuto a Monza, ma alle udienze che lo riguardano può prendere parte, come chiunque. Persino gli imputati di mafia al 41bis possono chiedere di assistere in videoconferenza ai loro processi.

    Ecco, stando a fonti legali, Giardiello avrebbe intenzione di partecipare alla prossima udienza, il 14 maggio. Il collegio di giudici non sarà lo stesso davanti al quale ha compiuto la strage del Palazzo di giustizia. Quei giudici si sono astenuti: non avrebbero avuto la serenità per giudicare chi davanti a loro ha ucciso due persone, ha quasi ammazzato un coimputato, ha ferito un testimone appena fuori dall’aula per poi dirigersi verso la stanza di un altro magistrato e colpirlo con due proiettili letali.

    Ora, fate un altro sforzo di immedesimazione: immaginate di essere uno degli avvocati che il giorno della strage erano in aula. Avete assistito alla sparatoria, avete visto morire due persone davanti a voi, ne avete soccorsa una terza in fin di vita. Con quale stato d’animo tornereste sul posto, a distanza di poche settimane, per celebrare il medesimo processo? Con un imputato ancora grave in ospedale, e uno – l’assassino reo confesso – pronto a presentarsi davanti a voi? E’ quello che si domandano alcuni legali che per questo hanno scritto al presidente del nuovo collegio, Lorella Trovato, chiedendole una pausa. Valutando di rinviare il dibattimento a dopo l’estate. “Non è così che si volta pagina”, spiega uno di loro. I giudici non sono “le uniche figure in toga a meritare la necessaria serenità delle udienze”, gli fa eco un collega, spiegando come non vi siano ragioni d’urgenza per riprendere a ritmo serrato. Quello a carico di Giardiello e dei suoi coimputati è infatti un processo senza detenuti e senza problemi di prescrizione. Semmai da parte dei giudici, ritengono i legali, potrebbe prevalere un ragionamento di “opportunità e rispetto di tutti”, spiega un avvocato che chiede tempi più rilassati per un processo assai teso. C’è persino chi inizia a ipotizzare un’istanza di remissione: processo via da Milano. In questo Palazzo di Giustizia mancherebbe del tutto la serenità per un processo equo.

    Lo choc è ancora troppo vivo nell’animo di chi era in aula. Parafrasando Jonathan Safran Foer: “molto forte, incredibilmente vicino”.

  • Chi entra senza tessera, chi no e come: le nuove regole di accesso al Palazzo

    Piu’ carabinieri a presidiare le aule dove si svolgono le udienze, tornelli con badge personalizzato in prospettiva e controlli random degli utenti professionali a tutti e quattro gli accessi del Palazzo di Giustizia di Milano. Arrivano le nuove regole di accesso deliberate dalla Commissione Manutenzione degli Uffici Giudiziari (le potete leggere qui: nuove regole accesso) che si e’ riunita il 28 aprile scorso per valutare una serie di proposte da portare al Ministero della Giustizia dopo la strage compiuta da Claudio Giardiello. (cronaca di una giornata di morte)

    La Commissione ha deciso – si legge nel verbale della riunione – di “mantenere la divisione dei varchi di accesso tra quelli riservati al pubblico e quelli riservati, previa esibizione di tesserino di riconoscimento con foto, agli utenti professionali (magistrati,personale amministrativo e avvocati di tutti i Fori)”. E’ stata inoltre “condivisa” la “necessita’, in prospettiva, di procedere  all’installazione di tornelli con apposito badge personalizzato e con controllo random manuale a sorpresa”. Si e’ deciso poi “di rivolgere all’Arma dei Carabinieri l’invito a incrementare il numero dei carabinieri presenti nel Palazzo di Giustizia e a effettuare una vigilanza dinamica nei corridoi e nei pressi delle aule di udienza” e di “dare avviso a tutti gli utenti professionali che, pure se in possesso di regolare porto d’armi, non e’ loro consentito l’accesso con armi nel Palazzo di Giustizia”. (il notaio con la pistola).  Per “potenziare” il controllo random a tutti gli accessi, la Commissione evidenzia “l’opportunita’ di avere la disponibilita’ di uno strumento che consenta il controllo random programmato regolarmente dopo un certo numero di accessi di utenti”. (manuela d’alessandro)

     

  • Cronaca di una giornata di morte nel Palazzo

    Mancano pochi minuti alle undici quando il tranquillo via vai di una mattina di sole nel Palazzo di Giustizia di Milano viene trafitto da improvvisi colpi di pistola. “Hanno sparato! Hanno sparato!”, si sente urlare nei corridoi. Qualcuno corre senza una meta, altri vanno a barricarsi negli uffici. I volti di tutti sono terrei.

    Un uomo, Claudio Giardiello, 57 anni, ha appena finito di ‘regolare’ i conti col suo destino di imprenditore fallito con 13 colpi esplosi da una pistola Beretta. Il tremendo copione viene svolto in due momenti. Un  primo atto nell’aula al terzo piano dove è in corso il suo processo per bancarotta: qui uccide Giorgio Erba, coimputato per il crac dell’Immobiliare Magenta di cui Giardiello era socio di maggioranza, e il suo ex avvocato, Lorenzo Alberto Claris Appiani, che nell’udienza di oggi era chiamato a testimoniare. Sempre in aula ferisce Davide Limongelli (socio di Giardiello). Scendendo al secondo piano, gambizza sulle scale Stefano Verna, commercialista testimone del processo sul fallimento.

    “Claris Appiani  – è il racconto dell’avvocato Gian Luigi Tizzoni, presente in aula –  non ha neanche finito di leggere la formula del giuramento, che è stato colpito dai proiettili. Ho sentito un botto pazzesco, poi ho visto il braccio di Giardiello proteso, non ho capito se verso il pm Luigi Orsi o verso il testimone. Tutti ci siamo diretti verso la camera di consiglio, io ho preso con me l’avvocato di parte civile, che era immobile, incredula”.

    Giardiello sta per lasciare il Palazzo, quando ci ripensa e torna indietro. Vuole chiudere l’estremo ‘conto’ con chi ritiene gli abbia distrutto la vita. Il giudice Ferdinando Ciampi in quel momento sta parlando con la sua cancelliera perché la stampante non funziona. Ha 75 anni, a dicembre andrà in pensione, dopo una vita spesa a far di conto sui bilanci delle società fallite. Giardiello entra senza problemi nella stanza e fredda Ciampi con due colpi sotto gli occhi dell’impiegata. Sotto gli eleganti marmi del Piacentini ora è il terrore. Decine di carabinieri e poliziotti, alcuni in borghese perché lavorano negli uffici del Tribunale, cercano il killer in ogni angolo del vasto edificio. Il personale viene invitato a restare chiuso nelle stanze, mentre gli ingressi vengono bloccati.  C’è chi manda sms ai parenti per rassicurarli. Circa un’ora dopo, Giardiello viene fermato a Vimercate, dove risiede, e ai carabinieri  confida di volere uccidere ancora un’altra persona nel suo paese “per vendicarsi”. Dopo un breve ricovero per un calo di pressione, decide di non rispondere alle domande dei magistrati. L’inchiesta, condotta dalla Procura di Brescia (che è competente sulle indagini relative al tribunale di Milano), dovrà chiarire come Giardiello sia potuto entrare in tribunale con una pistola. Le telecamere hanno ripreso il killer mentre parcheggiava il suo scooter in via Manara (accesso secondario del Palazzo di Giustizia) e mentre entrava dall’ingresso alle 9.19. “Dalle analisi dei filmati – ha detto il procuratore Bruti Liberati –  si vede che mostra qualcosa, evidentemente un falso tesserino di riconoscimento”. All’ingresso di via Manara, ha spiegato ancora il magistrato, non c’è un metal detector, “perché si tratta di un ingresso riservato solo al personale, magistrati e avvocati”. Il Ministro della Giustizia Andrea Orlando ha assicurato che saranno individuate “eventuali falle nel sistema disicurezza”. Nel pomeriggio, magistrati e avvocati si sono riuniti in aula magna per ricordare con un minuto di silenzio le vittime. E mentre Vinicio Nardo, ex presidente della Camera Penale, ricorda le ultima parole alla madre del giovane Claris Appiani, 36 anni (“Vado a testimoniare, nella vita ci vuole coraggio”), alcuni magistrati dell’Anm sostengono che il “clima mediatico poco simpatico” sulle toghe potrebbe avere influito sullo scempio di oggi. (manuela d’alessandro)

  • Da Milano a Brescia a occuparsi di colleghi appena lasciati, Csm: ok

    Da Milano a Brescia a occuparsi di indagini che vedono i colleghi appena lasciati come indagati o parti offese, ma per il Csm è tutto ok. Accade questo. In sede di commissione il Csm ha proposto come procuratore aggiunto a Brescia il pm milanese Carlo Nocerino. Nella città della leonessa c’è già un altro aggiunto Sandro Raimondi, anche lui proveniente da Milano, incaricato di trattare i fascicoli in cui sono coinvolti magistrati in servizio nel distretto di Milano. E con ogni probabilità sarà affiancato da Nocerino. Ovviamente qui non è in discussione l’onestà personale di Raimondi e Nocerino. Il problema è che l’organo di autogoverno della magistratura avrebbe dovuto tenere presenti ragioni di opportunità e di trasparenza.

    E’ giusto che un magistrato si trovi a dover decidere la sorte di colleghi che certamente conosce e con cui ha lavorato fino a pochissimo tempo prima? Non sarebbe stato meglio evitare soprattutto di mettere in imbarazzo un magistrato che va a lavorare proprio nella sede titolare dei cosiddetti “articoli 11”? Non mancavano di certo altre candidature altrettanto autorevoli per il posto da aggiunto a Brescia che sarà lasciato libero da Fabio Salamone che scade per la regola dell’ultradecennalità. E’ il caso di Roberto Di Martino, attuale capo della procura di Cremona, coordinatore delle indagini sul calcio scommesse, e di Francesco Piantoni, pm a Brescia da molti anni.

    Carlo Nocerino è un magistrato di grande esperienza che nel recente passato si è occupato dei casi Enipower e Parmalat quando era nel dipartimento relativo ai reati societari e prima ancora delle indagini sull’omicidio di Maurizio Gucci. E’ a Milano da moltissimi anni. Il Csm accogliendo la sua domanda di fare l’aggiunto a Brescia, nel caso l’ok della commissione dovesse essere confermato dal plenum, potrebbe metterlo in una situazione di non serenità, di imbarazzo. Evidentemente avranno pesato altre valutazioni, senza rispettare il principio che un magistrato, anche e forse soprattutto quando deve giudicare il comportamento di colleghi, non solo deve essere ma apparire indipendente, nel senso di non essere condizionato da rapporti di conoscenza, amicizia frequentazione. (frank cimini)

  • 19 anni e milioni di euro dopo, l’aula bunker di Opera non è finita e fa ruggine

     

    Quando iniziarono a progettarla, Michael Johnson bruciava ogni record alle Olimpiadi di Atlanta e Antonio Di Pietro decideva di entrare in politica. Correva l’anno 1996. A Milano, sull’onda lunga di ‘Tangentopoli’, si pensava in grande con la costruzione di un’aula bunker vicino al carcere di Opera dove celebrare i maxi processi. Diciannove anni, molti appalti, molti milioni in lire e in euro dopo, quel progetto è diventato un osceno prefabbricato in calcestruzzo a cui si sta cercando con molta fatica di ridare una dignità. La Procura Generale e la Corte d’Appello di Milano hanno presentato un esposto alla Corte dei Conti e uno alla Procura della Repubblica per capire cosa sia successo.

    Un gioiello tra i fontanili

    Opera è un comune appena fuori Milano, famoso per il suo carcere, uno dei più vasti in Italia e quello col maggior numero di detenuti con l’arcigno regime del 41 bis. Il progetto elaborato dal Provveditorato lombardo alle Opere Pubbliche prevedeva di affiancare alla prigione, costruita negli anni ottanta, un edificio con un interrato riservato alle celle e due piani in grado di contenere due aule bunker e le camere di consiglio con bagni annessi.

    L’area destinata all’iniziativa è la verde campagna attorno al centro abitato dove scorrono ameni fontanili, un dettaglio che, come vedremo, non verrà tenuto in giusto conto nel piano originario. La grandeur iniziale porta ad immaginare anche un parcheggio e una strada lunga circa 300 metri che consentano ad avvocati, magistrati, forze dell’ordine e pubblico di raggiungere il bunker. Il costo dell’intervento, compresi gli oneri di esproprio e urbanizzazione (marciapiedi, linea telefonica, reti di collegamento fognario), viene valutato in 12 miliardi e 644milioni di lire. Si parte a rilento con la prima pietra posata solo nel 1999 e si va avanti peggio. Sorgono problemi di varia natura con le imprese che si sono aggiudicate i lavori e nel 2002 viene stipulato un nuovo contratto di appalto. La Commissione di manutenzione della Corte d’Appello di Milano e il Provveditorato ritoccano il progetto, eliminando una delle due aule bunker previste per fare spazio a una zona archivio. Nel 2006  la direzione dei lavori comunica che entro un paio di mesi sarebbero stato completato il primo lotto ma esige un altro finanziamento di 5 milioni e mezzo di euro. L’epilogo dei lavori viene spostato all’inizio del 2010.

    Scende la pioggia nel bunker    

    Il Ministero della Giustizia sborsa la somma richiesta mettendola a a disposizione del Provveditorato che, a luglio 2011, annuncia un ulteriore ritardo nel completamento dell’opera. C’è un intoppo non da poco. I locali sottoterra si allagano a causa dell’innalzamento della falda freatica e una perizia accerta che i lavori non potranno essere completati prima del giugno 2012. Troppo ottimismo. Una delle due imprese impegnate nel cantiere va in liquidazione volontaria e le bizze della falda provocano infiltrazioni d’acqua dal tetto. Caos. Una seconda perizia dimostra che l’impermeabilizzazione del tetto eseguita a suo tempo non è più idonea. A novembre 2013 la società che sta portando avanti i lavori, una ditta veneta, stila un elenco delle opere ancora da realizzare e rassicura la Corte d’Appello che non ci sarà bisogno di nuovi finanziamenti. Previsione smentita perché sei mesi dopo sembra emergere la necessità di denaro fresco. Finalmente qualcuno nel Palazzo di Giustizia decide di interessarsi della vicenda. Nella primavera del 2014, alcuni magistrati effettuano un sopralluogo del cantiere. L’esito è drammatico: il cantiere appare abbandonato e le opere portate a termine sono in stato di degrado.

    La promessa del Provveditore

    “Io sono arrivato nell’aprile del 2012, questa cosa era già qua”. Pietro Baratono, responsabile delle Opere Pubbliche in Lombardia, ha l’aria sconfortata di chi si è  trovato sulla scrivania un dossier tremendo, ormai compromesso da troppi pasticci. “Questo appalto  – spiega – è nato male, ‘diviso‘ in due, con gare all’inizio solo per le strutture dell’opera e poi con altre gare per il resto. Quindi, senza una visione unitaria. Sicuramente ci sono delle responsabilità anche nostre, ma le diverse esigenze dell’ente usuario che si sono manifestate nel tempo non hanno aiutato”. A un certo punto i magistrati, sottolinea Baratono, “hanno chiesto anche di aggiungere gli alloggi per dormire in vista di possibili camere di consiglio che durino più giorni”. Ricapitolando: il progetto attuale prevede le celle nel seminterrato e ai due piani un’aula bunker, un archivio, due camere di consiglio con annesse otto stanzette per i magistrati qualora le riunioni per le sentenze dovessero protrarsi. “Ora i lavori dopo un periodo di sospensione per effettuare le perizie sono ripresi – garantisce Baratono – e per luglio 2015 ho promesso al Presidente della Corte d’Appello Canzio che sarà tutto pronto”.

    Un cantiere desolato   

    Lunedì mattina di inizio febbraio, sono le nove e mezzo. L’abbaiare furioso dei cani nel recinto del carcere accoglie il nostro avvicinamento al cantiere dell’aula bunker. Per arrivarci camminiamo per qualche minuto nell’erba resa fangosa dalle piogge degli ultimi giorni. Della strada vagheggiata nel progetto iniziale che dovrebbe permettere un facile accesso all’aula non c’è traccia. Ecco la nostra opera: la conosciamo che è già maggiorenne da un pezzo. Una colata cupa e senza grazia di calcestruzzo, il colore che ci si immagina per il più sordido dei luoghi di dolore. Non si vede nessun operaio al lavoro, né ci sono segni del passaggio recente di qualcuno. Cumuli di rifiuti, un tavolo arrugginito, due taniche per terra, solo una betoniera azzurra ravviva il paesaggio di per sé già non allegro ma intristito ancor più dalla costruzione che affianca il carcere.

    Visita al labirinto

    Proviamo a contattare telefonicamente e via mail l’impresa che segue i lavori da un paio d’anni, senza ricevere risposte. Torniamo al cantiere una radiosa mattina di marzo. Oggi si lavora. Ci intrufoliamo in quello che appare un enorme labirinto con scarsa logica nella divisione degli spazi, dove si sono affastellati gli interventi confusi di chi ci ha messo le mani in questi anni. La ditta che ci sta lavorando, grazie a un affidamento diretto, è animata da buoni propositi ma più di tanto non può fare (“Dieci anni fa un lavoro così non l’avrebbe preso nessuno, ma ora con la crisi…”, confessa una persona presente sul cantiere). L’aula destinata ai processi, il cuore del progetto, sembra quasi finita. C’è una stranezza, però. Il pubblico e i cronisti potranno assistere alle udienze da una specie di acquario sopraelevato con un separè di vetro che non renderà agevole capire cosa succede di sotto. Il grande archivio con tetto fatiscente è ancora vuoto, a breve dovrebbe partire la selezione tra le imprese che vorranno arredarlo. Sconvolgente la visione delle celle nella stanza sottoterra. I detenuti in attesa di giudizio saranno ammassati in pochi metri quadri, in una bolgia oscura  dentro gabbie arrugginite dal tempo a cui non basterà una mano di vernice bianca per tornare nuove, se non nell’apparenza. I quadri elettrici sono vecchi, ma ci viene assicurato che funzionano. L’umidità ha aggredito i muri, chissà cosa ne penserà l’Asl che dovrà valutare le condizioni igienico sanitarie. Quelle umane, se dovesse esaminarle la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, costerebbero all’Italia l’ennesima sentenza di condanna. Ai piani alti, ai quali si accede con una scala tortuosa, c’è ancora molto da fare per rendere presentabili le stanze per i giudici. Un signore ci spiega che dovrebbe anche essere costruito un parcheggio con un centinaio (!)  di posti auto, mentre il progetto della strada pedonale per dare un acceso autonomo al bunker è stato eliminato perché non è stata espropriata l’area dove ricavarla. Quindi per entrare non resta che passeggiare tra i campi oppure passare dal carcere.

    Serve davvero quest’opera? 

    Quando Michael Johnson era l’uomo più veloce del mondo, a Milano si celebravano molti maxi processi, oggi quasi nessuno; gli archivi erano pieni di carta, adesso si cerca di digitalizzare qualsiasi cosa.  L’Italia era un paese ancora florido, con tanti soldi da mettere a disposizione della giustizia. Oggi è  utile finire quest’opera? Sull’archivio a Palazzo c’è chi dice che servirebbe, chi no. Di certo i costi di manutenzione per celle, aula bunker, alloggi per i giudici sarebbero esorbitanti e forse non sostenibili coi pochi denari assicurati alla giustizia. Si potrebbe ripensare alla funzione di questo edificio, utilizzandolo solo come archivio o per attività meno dispendiose. L’inchiesta della Procura di Milano non potrà portare a nulla perché eventuali reati sarebbero già prescritti, resta invece aperta aperta la possibilità per la Corte dei Conti di valutare i danni alla collettività e gli eventuali responsabili. In ogni caso, il giorno che tutto sarà finito qualcuno dovrà scusarsi per questi 19, incredibili anni. (manuela d’alessandro)

     

  • Burocrazia giudiziaria: “Caro avvocato, qual è il rapporto di parentela tra moglie e marito?”

    “Caro Dipartimento di amministrazione penitenziaria, mi darebbe informazioni sul marito della mia assistita, per il procedimento di divorzio? Lo chiede il giudice”.
    “Caro avvocato, qual è il grado di parentela tra la sua assistita e il marito?”
    “Caro Dap, credevo fosse sufficiente scrivere che si tratta del marito della mia assistita per spiegare che è il marito della mia assistita”.
    “Caro avvocato, ecco le sue informazioni”.
    E’ successo davvero, anche se in termini un pochino più formali. Equivoci. Del resto è anche attraverso equivoci, perdite di tempo, burocrazia, che si snoda il rapporto tra professionisti e personale della pubblica amministrazione. L’avvocato Massimo Schirò chiede di sapere se il marito della sua cliente, romeno, 38 anni, sia in carcere. Non lo si trova da nessuna parte. Non in Romania, dove è formalmente residente, non in Italia, nonostante proprio a Milano si sia sposato, senza però mai prendervi residenza o anche solo domicilio.

    Quel che si sa, dalle autorità romene, è che nel 2006 è sparito dal suo Paese. Ma bisognerà pur notificargli l’atto del ricorso di divorzio. Il giudice suggerisce al legale di provare con il Dap. Ecco che parte la prima Pec (Posta Elettronica Certificata) con cui il legale chiede informazioni, allegando l’atto di nomina. Il dipartimento risponde a stretto giro: 24 ore dopo. Ma pretende che la domanda venga riformulata: “Preso atto della richiesta acclusa alla presente, considerato che non è stata allegata la prevista istanza formale su carta intestata dello studio e debitamente firmata, si restituisce al mittente per i conseguenti adempimenti. Ciò a significare che le istanze dovranno pervenire a questo ufficio complete  di richiesta di accesso agli atti e in allegato, la prevista documentazione a supporto (anche se precedentemente da Lei già inviata)”. Simpatia. Ma si sa, la forma è sostanza.
    E’ giovedì, il legale si adegua ci riprova nel giro di due ore, con tutti i documenti richiesti. Il Dap risponde il lunedì successivo: “Serve un documento dalla quale si evince il grado di parentela tra il suo assistito e la persona per la quale chiede informazioni. Distinti saluti”. Il professionista che non si perde d’animo, è quello che davanti al funzionario che sbaglia mantiene la calma, usa la pazienza come principio guida del suo agire. “Avendo allegato un ricorso per scioglimento del matrimonio mi sembrava evidente che il rapporto tra il signor XY e la signora ZX fosse il coniugio……”. Così, con sei puntini.
    Dieci minuti arriva la maledetta informazione. Il marito, quasi ex, non è nelle patrie galere.

  • I ‘tappabuchi’ della giustizia
    Chiamati per 8 giorni al mese

    Da lavoratori socialmente utili – e sempre più esperti di cose di Tribunale – a ‘tappabuchi’ a chiamata da otto giorni al mese.

    Mentre Tribunale e Procura denunciano la cronica carenza di personale, solo in minima parte alleviata dagli arrivi di personale annunciati dieci giorni fa dal ministro della Giustizia Orlando, ci sono lavoratori che il palazzo lo vedono dieci-quindici giorni al mese. Non perché non abbiano voglia di faticare – anzi, fanno parte di un programma che serve proprio a integrare il reddito di chi il lavoro l’ha perso incolpevolmente, con una spesa minima per la pubblica amministrazione e beneficio massimo per la macchina della Giustizia – ma semplicemente perché vengono chiamati al in Tribunale per poche ore. Volonterosi tappabuchi.

    Sono i 140 lavoratori socialmente utili (Lsu) dell’accordo tra Provincia di Milano e Tribunale. Gente in cassa integrazione o mobilità. L’ultima infornata è di venerdì scorso, quando un’email succinta dalla segreteria dell’ufficio Personale annuncia: “Si comunica che il personale assegnato alle rispettive cancellerie, presterà attività lavorativa dal dal 16-17 febbraio al 28 febbraio per un totale di 50 ore lavorative: dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle ore 14. Cordiali saluti”. Dieci giorni, dieci. Part-time. Cinquanta ore in tutto. L’equivalente di otto giornate intere. (altro…)

  • La paura che alla ‘Giornata per la giustizia’ manchino i magistrati

    “Je suis magistrato”. Domani si celebra su iniziativa dell’Anm la ‘Giornata nazionale per la Giustizia’ con l’apertura del bel palazzo razionalista ai milanesi. Due gli obbiettivi: far vedere da vicino le stanze della giustizia e convincere i cittadini che la riforma Renzi è sbagliata (la vignetta che promuove l’iniziativa ironizza sulla responsabilità civile delle toghe mostrando un imputato che incassa una tangente).

    Quanti saranno i curiosi che vorranno sedersi per un giorno alla tavola dove si ‘cucinano’ sentenze, processi, inchieste? E i ‘cuochi’ in toga della giustizia saranno presenti per far degustare le loro specialità? Chissà.

    I promotori dell’iniziativa oggi ci hanno messo un po’ di pepe riempiendo la casella mail dei colleghi con un’accorata ‘chiamata alle armi’ che, a qualcuno, è risultata indigesta. I toni usati sono da ‘trincea’. “E’ fondamentale – scrive uno dei componenti dell’Anm locale – per la riuscita della giornata che vi sia una massiccia presenza di voi tutti (dove già vi fermate tantissimo durante l’arco della settimana, domeniche comprese) quando la cittadinanza verrà accompagnata a visitare il palazzo. Sarà importante che vi trovino pronti ad accoglierli; a far vedere le condizioni in cui voi tutti lavorate (…) l’unico modo per far comprendere a una cittadinanza che è stata continuamente bersagliata di messaggi diffamatori nei nostri confronti quale sia la realtà delle cose”. “Sappiamo bene – ammette un altro magistrato – che non tutti condividono quest’iniziativa, ma crediamo che in questo momento sia più importante dare il proprio contributo di presenza”. “Non ci stiamo all’insensibilità del governo (..). E’ importante – gli fa eco un terzo membro dell’Anm milanese –  che garantiamo tutti la nostra presenza, che è il modo più forte per parlare e fare capire che non difendiamo interessi di categoria, poichè l’unica istanza personale è quel tribunale interiore che ciascuno di noi ha dentro di sé e che, più rigoroso di tutte le corti, si chiama coscienza”. Qualche magistrato ha risposto facendo capire di non gradire l’invito con batttute ironiche riferite al sabato, altri, off the records, sottolineano che i primi a non esserci saranno i Presidenti del Tribunale e della Corte d’Appello impegnati domani in Comune a illustrare il bilancio di responsabilità sociale del Tribunale. (manuela d’alessandro)

  • Il ‘regalo’ di 3 finanzieri: un software gratis per 28mila pratiche della giustizia

    Nel Palazzo dove si spendono milioni di euro targati Expo per informatizzare i processi, la fantasia e la tenacia di tre giovani finanzieri creano, senza alcuna spesa di denaro pubblico, un software in grado di gestire 28mila pratiche nell’ufficio della Procura Generale di Milano.

    Il sistema ‘Prometeo’, così si chiama la neonata piattaforma informatica, è nato da un’intuizione dell’Avvocato dello Stato Laura Bertolè Viale che un anno fa convoca i suoi ragazzi e gli chiede: “Cosa possiamo fare per accelerare le pratiche nell’ufficio?”. Davide Carnevali, Luigi Cerullo e Damiano Franco come prima cosa vanno a bussare alle porte degli impiegati facendosi spiegare le loro esigenze e poi s’inventano questo programma capace di archiviare e gestire, anche sostituendo i polverosi registri cartacei con strumenti informatici, le delicate informazioni della giustizia.

    Si presenta come un normale sito web, esportabile in altre amministrazioni, ed è basato su tecnologie open source. Come Prometeo sfidò le divinità, questi tre ragazzi sembrano provocare l’dea  del pubblico che non funziona e si deve affidare a partner privati, talvolta con modalità oscure (sospesi-gli-affidamenti-diretti-expo-per-la-giustizia-milanese-il-verbale-che-svela-il-clamoroso-cambio-di-rotta), come accaduto coi fondi dell’Esposizione Universale. Dai quali, guarda caso, è stata esclusa la Procura Generale.  (manuela d’alessandro)

  • Davanti a tutti in graduatoria da sostituto Pg
    Ma Robledo rischia il trasferimento da Milano

    Tra i magistrati in corsa per ottenere un posto da sostituto in Procura Generale c’è proprio colui che potrebbe dover lasciare Milano per incompatibilità ambientale. Per oggi è attesa la proposta della Prima commissione del Csm su un eventuale trasferimento di Alfredo Robledo (e di Edmondo Bruti Liberati?). E proprio oggi si scopre, dalle graduatorie interne pubblicate dal Csm, che lo stesso Robledo è primo in una lista di 26 magistrati che hanno chiesto un posto nell’ufficio guidato da Manlio Minale.

    Tra chi ha chiesto di diventare sostituto Pg non ci sono solo magistrati milanesi, ovviamente. Ma c’è anche chi parla di una “mezza fuga dalla Procura” guidata da Bruti. Robledo risulta primo in graduatoria (valutazione: 31) davanti ad Amato Barile (30), pm alla Procura di Lagonegro, e a Celestina Gravina (26), attuale Procuratore a Matera che farebbe così ritorno nella Milano che la vide impegnata da inquirente, tra le altre cose, nell’inchiesta sulla strage di Linate. Al settimo posto c’è un’altra pm milanese, Laura Gay, attualmente all’esecuzione (dipartimento guidato da Robledo dopo la nota estromissione dal pool anticorruzione). Più indietro i sostituti procuratori Maria Mazza, Paola Pirotta (di quel secondo dipartimento che fu guidato da Robledo), Angelo Renna, Silvia Perrucci, Maria Teresa Latella.

    Chiedono un posto al terzo piano lato Manara anche l’ex giudice milanese Gemma Gualdi (quinta in graduatoria), l’ispettore del ministero Paolo Fortuna, il pm di Pavia Giovanni Benelli, i pm dei minori di Milano Maria Saracino e Ciro Cascone e la pm di Brescia Silvia Bonardi, magistrato che negli ultimi mesi ha indagato per concussione il collega milanese Ferdinando Esposito.

    I posti messi a bando sono solo due. Con l’eventuale trasferimento di Robledo, qualcuno verrebbe ripescato.

    (Aggiornamento delle ore 16: sulla questione trasferimenti per incompatibilità ambientale il Csm ha deciso di rinviare. Prima verrà ascoltato il presidente di Corte d’Appello Giovanni Canzio, il 16 dicembre, poi si vedrà).

  • La mafia saluta Milano
    e si fa processare sul lago
    Legali: crolla il teorema della Dda

    La mafia saluta e se ne ritorna su quel ramo del lago. Mafia presunta, si intende. Anzi, per la precisione: ‘ndrangheta. Con una decisione innovativa, che contrasta con le tesi della Dda, il presidente della settima sezione penale di Milano, Aurelio Barazzetta, ha stabilito che il processo a carico di sette imputati nato dall’inchiesta denominata ‘Metastasi’, si dovrà celebrare a Lecco. E’ la prima volta che Milano perde pezzi di un processo sulle cosiddette ‘locali’ di ‘ndrangheta individuate a partire dall’inchiesta ‘Infinito’.
    Se la competenza sul reato previsto dall’articolo 416bis in fase di indagini è indubbiamente della procura distrettuale, il tribunale competente è un altro se, come ha stabilito il giudice in questo caso, le condotte mafiose si sono concretamente realizzate al di fuori dei confine milanese. Per radicare nel capoluogo il dibattimento non basta che il potere intimidatorio della locale poggi sulla forza dell’organizzazione mafiosa sovraordinata, quella ‘Lombardia’ già individuata nel corso di Infinito. Bisogna guardare alle condotte materiali che sustanziano il reato di associazione di stampo mafioso. E in questo caso, sarebbero avvenute tutte in territorio lecchese. Al tribunale sul lago finiscono tra gli altri Mario Trovato (fratello del più noto Francesco ‘Coco’ Trovato), e Antonio Rusconi, ex sindaco di Valmadrera. Nel collegio difensivo c’è una certa euforia tanto che qualcuno parla di provvedimento che per la prima volta “fa crollare un teorema della Dda milanese”. Molti legali, ora, dovranno lavorare in trasferta. E anche i pubblici ministeri faranno avanti e indietro. Non proprio comodissimo.

  • La mafia saluta Milano
    e si fa processare sul lago
    Legali: crolla teorema della Dda

    La mafia saluta e se ne ritorna su quel ramo del lago. Mafia presunta, si intende. Anzi, per la precisione: ‘ndrangheta. Con una decisione innovativa, che contrasta con le tesi della Dda, il presidente della settima sezione penale di Milano, Aurelio Barazzetta, ha stabilito che il processo a carico di sette imputati nato dall’inchiesta denominata ‘Metastasi’, si dovrà celebrare a Lecco. E’ la prima volta che Milano perde pezzi di un processo sulle cosiddette ‘locali’ di ‘ndrangheta individuate a partire dall’inchiesta ‘Infinito’.
    Se la competenza sul reato previsto dall’articolo 416bis in fase di indagini è indubbiamente della procura distrettuale, il tribunale competente è un altro se, come ha stabilito il giudice in questo caso, le condotte mafiose si sono concretamente realizzate al di fuori dei confine milanese. Per radicare nel capoluogo il dibattimento non basta che il potere intimidatorio della locale poggi sulla forza dell’organizzazione mafiosa sovraordinata, quella ‘Lombardia’ già individuata nel corso di Infinito. Bisogna guardare alle condotte materiali che sustanziano il reato di associazione di stampo mafioso. E in questo caso, sarebbero avvenute tutte in territorio lecchese. Al tribunale sul lago finiscono tra gli altri Mario Trovato (fratello del più noto Francesco ‘Coco’ Trovato), e Antonio Rusconi, ex sindaco di Valmadrera. Nel collegio difensivo c’è una certa euforia tanto che qualcuno parla di provvedimento che per la prima volta “fa crollare un teorema della Dda milanese”. Molti legali, ora, dovranno lavorare in trasferta. E anche i pubblici ministeri faranno avanti e indietro. Non proprio comodissimo.

  • La ‘ndrangheta saluta Milano
    e si fa processare sul lago
    Legali: crolla teorema della Dda

    La mafia saluta e se ne ritorna su quel ramo del lago. Mafia presunta, si intende. Anzi, per la precisione: ‘ndrangheta. Con una decisione innovativa, che contrasta con le tesi della Dda, il presidente della settima sezione penale di Milano, Aurelio Barazzetta, ha stabilito che il processo a carico di sette imputati nato dall’inchiesta denominata ‘Metastasi’, si dovrà celebrare a Lecco. E’ la prima volta che Milano perde pezzi di un processo sulle cosiddette ‘locali’ di ‘ndrangheta individuate a partire dall’inchiesta ‘Infinito’.
    Se la competenza sul reato previsto dall’articolo 416bis in fase di indagini è indubbiamente della procura distrettuale, il tribunale competente è un altro se, come ha stabilito il giudice in questo caso, le condotte mafiose si sono concretamente realizzate al di fuori dei confine milanese. Per radicare nel capoluogo il dibattimento non basta che il potere intimidatorio della locale poggi sulla forza dell’organizzazione mafiosa sovraordinata, quella ‘Lombardia’ già individuata nel corso di Infinito. Bisogna guardare alle condotte materiali che sustanziano il reato di associazione di stampo mafioso. E in questo caso, sarebbero avvenute tutte in territorio lecchese. Al tribunale sul lago finiscono tra gli altri Mario Trovato (fratello del più noto Francesco ‘Coco’ Trovato), e Antonio Rusconi, ex sindaco di Valmadrera. Nel collegio difensivo c’è una certa euforia tanto che qualcuno parla di provvedimento che per la prima volta “fa crollare un teorema della Dda milanese”. Molti legali, ora, dovranno lavorare in trasferta. E anche i pubblici ministeri faranno avanti e indietro. Non proprio comodissimo.

  • Cupola degli appalti Expo
    Ecco i patteggiamenti di Greganti, Frigerio & Co.

    Ecco il risultato dell’inchiesta che per qualche mese ha fatto tremare la macchina di Expo. Qui trovate i patteggiamenti ratificati dal gup Ambrogio Moccia per Primo Greganti, Gianstefano Frigerio, Luigi Grillo, Angelo Paris, Enrico Maltauro e Sergio Cattozzo. Ovvero i componenti della cosiddetta ‘cupola degli appalti’, così come la definirono nel giorno degli arresti i pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio.

    Alle pagine 8 e 9, i perché dell’assenza di confische e le ragioni per cui tutti beneficiano delle attenuanti generiche equivalenti o prevalenti sulle aggravanti.

    Frigerio, condannato in passato, aveva già ottenuto la riabilitazione. Greganti ha tenuto un “discreto comportamento post factum”. Maltauro ha fornito “ampia collaborazione”, così come Luigi Grillo, incensurato. Paris non ha precedenti penali e dimostra un “non minimo impegno risarcitorio” (100mila euro). Buona lettura.

    Patteggiamenti Expo Greganti Frigerio

  • Quel monitor di Expo al passo carraio dove non serve a nessuno

     

    Uno dei 173 monitor di marca Samsung comprati coi fondi Expo nell’ambito di un appalto del valore complessivo di 1 milione e settecentomila euro è stato appeso nel passo carraio del Palazzo di Giustizia affacciato su Corso di Porta Vittoria (sospesi-gli-affidamenti-diretti-expo-per-la-giustizia-milanese-il-verbale-che-svela-il-clamoroso-cambio-di-rotta).

    Scelta che appare bizzarra se pensiamo che questi maxi schermi dovrebbero servire a orientare il pubblico che quotidianamente affluisce nel Palazzo (“rifacimento dei segnali informativi e dei percorsi guidati del palazzo di giustizia, sistema informatico tramite monitor”, si legge nelle carte ufficiali). La zona del passo carraio è off limits per il pubblico, resta quindi il mistero su a chi o a cosa serva questo schermo. Negli ultimi giorni, ne sono spuntati diversi anche fuori dal Palazzo: uno vicino al Tribunale del Riesame, un altro  nei pressi dell’archivio (cui prodest?). Ci è stato spiegato che l’utilità di questa innovazione tecnologica sarebbe quella di ‘sostituire’, tra l’altro, i vecchi  fogli di carta, quelli affissi sule porte delle aule  che forniscono i dati essenziali delle udienze. Per adesso sugli schermi continua a lampeggiare la scritta ‘No cable connected’ e crescono ironie e malumori su questi ingombranti nuovi inquilini che richiederanno ardite torsioni del collo per essere consultati. (manuela d’alessandro)

  • Sospesi gli affidamenti diretti Expo per la giustizia milanese
    Il verbale che svela il clamoroso cambio di rotta.

    Ci eravamo lasciati con una domanda (Le carte degli appalti Expo senza gara): perché  gran parte del ‘tesoretto’ dei fondi Expo assegnato alla giustizia milanese è stato distribuito con una pioggia di affidamenti diretti e non con gare pubbliche?

    LA SVOLTA.

    Qualche giorno dopo la pubblicazione di quell’articolo, tutti i vertici dell’amministrazione giudiziaria milanese si sono riuniti coi rappresentanti del Comune e del Ministero per fare il punto sui 16 milioni di euro complessivi che, in nome dell’Esposizione Universale, sono stati destinati al Palazzo.

    Ed è arrivata una sorprendente svolta: da adesso in poi, e per quel che resta da spartirsi, niente più affidamenti diretti, solo gare pubbliche. Con retromarce repentine sui contratti per alcuni lavori che appaiono dettate sia dall’improvvisa attenzione mediatica sul tema, sia dalle ‘pretese’ di una parte degli uffici giudiziari (Procura Generale e Corte d’Appello)  rimasti esclusi della spartizione dei soldi e che ora reclamano la loro fetta. In concreto, ciò significa che per l’inizio di Expo, maggio 2015, salvo miracoli, il previsto maquillage del Palazzo non sarà completato perché le gare richiedono molto più tempo rispetto alla procedura sprint degli affidamenti fin qui adottata.

    UNA RIUNIONE MOLTO TESA.

    E’ il 10 ottobre e nell’elegante stanza della Corte d’Appello l’aria si fa subito gelida. Il ‘padrone di casa’, il Presidente Giovanni Canzio, esordisce affermando che  da febbraio era stato da lui invano atteso e sollecitato più volte un incontro sui progetti di informatizzazione finanziati coi fondi Expo.  Le parole che leggiamo nel verbale dell’incontro, di cui siamo entrati in possesso (Il verbale della riunione sui fondi Expo), fanno immaginare volti,  sguardi e toni di chi sta giocando non una partita comune sotto l’egida di Expo ma una corsa dove ognuno sembra andare per la propria strada.  Non a caso, il termine che si lascia sfuggire più spesso nei suoi interventi il Presidente della Corte Giovanni Canzio è “disallineamento” e la sua continua esortazione è quella a una maggiore “serietà” da ora in avanti.  Espressioni che evocano con toni diplomatici gli aspri contrasti nel conclave di chi decide le sorti dei fondi.

    Dei 16 milioni destinati alla giustizia ambrosiana, 10 sono già stati assegnati con il primo e il secondo finanziamento attraverso una raffica di affidamenti diretti di cui ha beneficiato soprattutto il Processo Civile Telematico; ne restano circa 6,  da distribuire nell’ambito della terza e della quarta tranche programmate nel 2010 quando l’”oro” di Expo ha cominciato a circolare nel Palazzo.

    LA RIVELAZIONE.

    Tocca a Laura Tragni, segretario generale della Corte d’Appello, svelare due freschissimi cambi di programma nella gestione dei soldi Expo.  Dalla lettura dell’ultimo rendiconto, spedito dal giudice Claudio Castelli alla Commissione qualche giorno prima della riunione, Tragni ha appreso “con stupore” che è stata prevista una gara europea per l’utilizzo dei fondi Expo destinati a Unep (Uffici Notificazioni Esecuzioni e Protesti) per la Corte d’Appello.  Un progetto che dovrebbe rendere elettroniche le notifiche dei provvedimenti giudiziari. “E’ stata una doccia fredda”, “qualcosa di assolutamente diverso da quanto mi era stato comunicato nel luglio di quest’anno”, lamenta, sottolineando che il ricorso alla gara europea dilaterà di molto i tempi per Unep.  A luglio, questa è la ricostruzione offerta dalla rappresentante della Corte d’Appello, era già stata individuata la società che, col solito meccanismo dell’affidamento diretto, avrebbe dovuto occuparsi del progetto ed erano “già state acquisite le valutazioni di congruità tecnico – economica”. Adesso però si è deciso che è tutto da rifare, e questa volta con la gara europea, quella che garantisce la massima ‘democrazia’ nella scelta del contraente.

    E questo non è l’unico cambio in corsa che ha sconcertato la dottoressa Tragni. “Il secondo profilo di preoccupazione” espresso dalla segretaria – si legge infatti nel verbale – nasce da un confronto tra il rendiconto di settembre, dove spunta, a pagina 1 del Prospetto delle acquisizioni da commissionare relative al terzo finanziamento, accanto alla voce riguardante il Processo Civile Telematico (del consistente importo di 1 milione e 400mila euro) l’indicazione ‘Ricevuta offerta e congruità. In sospeso per inoltro criticità su affidamento’”. Tragni definisce “allarmante” il fatto che all’improvviso sia stata bloccata la procedura dell’affidamento diretto per un settore “nevralgico e sofferente” come quello fallimentare dove il processo telematico sta creando molti problemi.

    Il direttore del Settore Uffici Giudiziari per il Comune, Carmelo Maugeri, e la Direttrice Generale del Dgsia (Direzione Generale per i Sistemi Informativi del Minstero della Giustizia), Daniela Intravaia, spiegano a Tragni che “3 lotti andranno in gara pubblica, non trovando altrimenti giustificazioni tecniche” e che non ci sono i presupposti per utilizzare l’articolo 57 comma due del codice sugli appalti, quello che consente di fare affidamenti diretti allo stesso fornitore già in precedenza individuato da un’amministrazione. Proprio quell’articolo di legge in nome del quale sono stati distribuiti diversi milioni di euro targati Expo, alcuni dei quali proprio a quella NetService che, anche in questo caso, sembrava essersi accaparrata l’affidamento diretto prima della sospensione. Il nuovo scenario non convince la segretaria della Corte d’Appello che insiste: perché all’inizio queste “criticità” sugli affidamenti diretti non erano state evidenziate?

    Le sorprese non sono finite.  Anche Intravaia si lascia andare a una rivelazione interessante: per la prima volta l’organo di controllo interno dell’articolazione ministeriale da lei diretta ha mosso un rilievo interno “sul perché ci si è appellati alla continuità tecnologica dell’articolo 57 sul contratto fatto al loro abituale fornitore Net Service”. A questa società erano stati assegnati due affidamenti diretti per la realizzazione del Processo Civile Telematico invocando la “continuità tecnologica” che adesso viene messa in discussione.  (altro…)

  • A leggere Beccaria avvocati, giornalisti e un solo giudice, Roberta Cossia

    Si legge Beccaria nell’atrio del palazzo di giustizia per iniziativa della commissione carceri del Comune di Milano e della camera Penale. Ognuno legge un paio di passi. In piedi, al microfono, l’eco non è delle migliori (eufemismo) ma questo si sapeva e si sa.

    Si alternano avvocati e giornalisti. E un solo giudice, Roberta Cossia, ex gip che lavora da anni al Tribunale di Sorveglianza. Si tratta di uno dei pochi magistrati che Beccaria lo ha letto bene, lo conosce, lo ha capito. Insomma se ne intende e non avrebbe bisogno di rileggerlo. E invece è qui. Altri no. Molti sono impegnati a studiare come arrestarsi tra loro. Vent’anni fa dovevano e volevano cambiare il mondo, ora si guardano in cagnesco facendosi le pulci, combattendosi nel nome delle correnti. Scimmiottano i partiti e hanno pure il coraggio di gridare indignati che sono indipendenti e autonomi. Da chi? Leggessero Beccaria. (frank cimini)

  • La carte degli appalti Expo senza gara per Tribunale.
    A chi e perché sono finiti i fondi per la giustizia milanese

     

    Abbiamo trovato negli uffici del Comune di Milano le carte (consultabili qui: Documenti appalti Expo e Documenti appalti Expo 2) che giustificano gli affidamenti diretti a imprese beneficiarie dei fondi Expo per migliorare la giustizia milanese. Un  bel ‘tesoretto’ di diversi milioni di euro  che è stato distribuito a fortunate aziende o enti scelti senza una gara, diremmo quasi ‘sulla fiducia’.  La legge prevede questa possibilità anche per appalti al di sopra dei 40mila euro, la soglia sotto la quale i contraenti fanno un po’ quello che vogliono, senza bisogno di una competizione. Ma se si scavalca l’asticella dei 40mila euro l’affidamento diretto è un’eccezione e bisogna spiegare molto bene perché non si faccia la gara, con “adeguata motivazione nella delibera o determina a contrarre”.  Seguiteci nel nostro viaggio che ha cercato di rispondere, appalto per appalto, alle domande che ci eravamo posti nei giorni scorsi (inchiesta-milioni-di-fondi-expo-per-il-tribunale-assegnati-senza-gara-perche). Ma ve lo diciamo subito: più che trovare risposte abbiamo trovato nuove domande, che giriamo agli interessati. Senza pregiudizio, ma con molta curiosità.

    FACCIAMO BELLO IL SITO DEL TRIBUNALE

    Perché sono toccati proprio alla Camera di Commercio trucchi e pennelli per fare il maquillage del sito internet del Tribunale di Milano e la ‘regia’ per sviluppare l’intranet (la rete informatica del Palazzo)? E perché è stata prescelta senza gara per ricevere a questo scopo 265.295mila euro di fondi Expo? Nella determinazione dirigenziale datata 23 maggio 2013 col timbro di Palazzo Marino, si fa riferimento al dlgs. 163 del 2006, la norma del codice degli appalti che prevede l’affidamento diretto come ipotesi percorribile solo in casi puntuali. I funzionari non indicano in base a quale articolo di questa legge, richiamata solo in modo generico, la scelta sia caduta sulla Camera di Commercio. Il documento è tuttavia chiaro nello spiegarci le caratteristiche che deve avere chi desidera  questo contratto: “l’implementazione dell’intranet nonché la realizzazione del nuovo sito deve avvenire, vista la particolarità del sito utilizzatore, a cura di un operatore economico in grado di garantire la massima segretezza e riservatezza soprattutto in ordine alle notizie di cui verrà a conoscenza necessarie al fine di realizzare quanto richiesto”.
    Bene. Allora uno s’immagina che vengano lodate le capacità di mantenere i ‘segreti’ da parte della Camera di Commercio. Invece i dirigenti spiegano così i passaggi che portano all’individuazione dell’ente. “Gli Uffici Giudiziari del Palazzo hanno comunicato che da tempo è in essere un rapporto istituzionale consolidato tra gli stessi uffici e la Camera di Commercio in ordine all’esecuzione di attività varie”.

    Questo rapporto in realtà, non era tra tutti gli uffici giudiziari bensì solo tra il Tribunale e la Camera di Commercio. Restavano fuori quindi Procura, Procura Generale, Corte d’Appello. Ma cosa riguardava esattamente questa collaborazione? Qualcosa che ha messo in luce la capacità della Camera di Commercio di mantenere i segreti? Non proprio. La convenzione del 23 luglio 2008 “è dedicata principalmente all’informatizzazione dell’iter delle procedure concorsuali ed è stata integrata con addendum specifico per la gestione della pubblicità delle aste. Questa collaborazione – si legge nel foglio – ha consentito al Tribunale di usufruire di alcuni importanti servizi della Camera, tra cui la diffusione delle informazioni relative alle procedure concorsuali pendenti”. Quindi, la Camera di Commercio viene scelta come operatore in grado di garantire la segretezza perché ha dimostrato di essere brava a dare pubblicità alle aste? Eppure questo è il know how “specifico” indicato nel documento di Palazzo Marino di cui è in possesso la Camera “all’interno di organizzazione complesse come può essere il Tribunale di Milano”.

    Sia il sito della Procura che quello della Corte d’Appello sono stati invece realizzati gratis, con risorse interne all’ufficio il primo e con l’aiuto di AsteGiudiziarie. spa il secondo.

    CHI MANOVRA LA CONSOLLE DEL MAGISTRATO?
    Ed eccoci a uno dei ‘piatti’ più succulenti alla tavola giudiziaria di Expo: milioni di euro per i lavori necessari a mettere a punto la consolle del magistrato, il software che dovrebbe proiettare le toghe nell’era 2.0.  e, più in generale, utile allo sviluppo degli strumenti del Processo Civile Telematico.  Sono quattro le tranches di denaro uscito dal ‘cappello’ di Expo che vengono assegnate a questo fine e tutte se le aggiudicano Elsag Datamat  e Net Service, società entrambe nel ‘regno’ di Finmeccanica.

    1) A Elsag Datamat finiscono con affidamento diretto 959.952 mila euro del primo finanziamento Expo. Vediamo qual è l’asserita “adeguata motivazione”  per evitare la gara. Nella delibera del 26 novembre 2010 viene spiegato che la Datamat spa già il 28 luglio 2002, quando Expo era un miraggio, aveva vinto una gara europea per costruire l’”infrastruttura tecnologica” della consolle. In seguito a quella gara, il Ministero della Giustizia aveva sottoscritto nel 2003 un contratto con Datamat che poi si era fusa con Elsag. E tanto basta per far dire al Comune, 7 anni dopo, che il contratto va rinnovato a quella che nel frattempo è diventata  Elsag Datamat “per ragioni di natura tecnica”.

    L’articolo di riferimento è il numero 57 comma 2 lettera b del codice degli appalti per cui è possibile l’affidamento diretto “qualora per ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti alla tutela di diritti esclusivi, il contratto possa essere affidato unicamente a un operatore economico determinato”. Quali siano le “ragioni di natura tecnica” per cui solo Finmeccanica era in grado di effettuare la prestazione non viene esplicitato in questa sede.

    2) Con identica motivazione contenuta nella determinazione dirigenziale del 24 gennaio 2011 viene affidato direttamente un altro gruzzoletto da 958.620mila euro sempre a Elsag Datamat, ancora una volta da destinarsi alla consolle del magistrato e al processo civile telematico.

    3) Stesso scenario per il 1.264.147,50 euro del secondo finanziamento che viene affidato alla società bolognese Net Service srl per il processo civile telematico. Ancora spicca il riferimento all’articolo 2 lettera b dell’articolo 57 per giustificare l’affidamento diretto e quello alla gara Ue di molti anni prima. Nella determina dirigenziale, notiamo anche che l’amministrazione comunale affida il denaro a Net Service su richiesta del Dgsia (Direzione Generale Sistemi Informativi Automatizzati), previo rilascio di un parere favorevole dello stesso Dgsia.

    4) Anche una fetta del terzo finanziamento viene utilizzata per migliorare la consolle del magistrato e il processo civile telematico. Per l’esattezza 631.960mila euro sono assegnati con affidamento diretto a Net Service. Nella determinazione dirigenziale del 7 novembre 2013 si fa anche un cenno all’esistenza del  “cruscotto del Presidente che consente al capo dell’Ufficio di esercitare un monitoraggio costante e proattivo dei singoli fenomeni di interesse”. Tutto e sempre in ne della “ragioni tecniche” indicate nel codice degli appalti che determina l’eccezione alla regola della gara.

    A questo punto viene da chiedersi: il Processo Civile Telematico funziona? E’ ovvio che un’innovazione così epocale ha bisogno di tempo per esprimere al massimo le sue potenzialità però fa impressione leggere in un recente  documento ufficiale dell’Anm di Milano che il “Pct attualmente dipende e si fonda su un parco macchine di estrema fragilità e su dotazioni software incomplete e inadeguate allo sfruttamento completo delle potenzialità dello strumento”.  (il-processo-civile-telematico-piu-lento-di-quello-cartaceo-e-poco-efficiente-nonostante-i-fondi-expo)

     

    IL SOFTWARE E’ MIO E ME LO GESTISCO IO
    Un altro affidamento diretto è quello del giugno 2011 da 40mila euro concesso a Tecnoindex spa per il “sistema di gestione Easy Doc Portal” e l’evoluzione del sistema “Giada”. Tecnoindex è la società che si è aggiudicata l’appalto informatico per la Camera dei Deputati e dietro alla quale ci sarebbe, come risulta da fonti aperte (‘Il Fatto Quotidiano’, 2 novembre 2011), Giuseppe Bonifacino, già coinvolto in Mani Pulite. Anche qui sembra che a determinare la partita abbia giocato un ruolo clou il Cisia, un’articolazione del Ministero a livello locale, i cui “rapporti” vengono indicati nella determina come decisivi per la scelta di questa società “che possiede un approfondito know how e, fra l’altro, risulta essere il produttore e manutentore del software utilizzato”.
    Nel 2014, la RedTurtle Technology, sempre con affidamento diretto, si porta a casa circa 30mila euro con affidamento diretto per l’”evoluzione del sistema gestionale Easydoc Portal”. E’ la stessa RedTurtle – leggiamo – a inoltrare “direttamente agli uffici del Tribunale la proposta tecnico – economica”. Dunque, il beneficiario ente pubblico (Tribunale) riceve dal privato contraente la proposta.

    PG E CORTE D’APPELLO, “NOI NON C’ENTRIAMO NULLA CON QUESTI APPALTI”.

    Torniamo al punto di partenza del nostro viaggio. I fondi Expo in teoria dovrebbero servire per rendere più efficiente agli occhi del mondo la giustizia milanese e, in particolare, a permetterle un salto nel futuro col Processo Civile Telematico. Nelle carte che abbiamo avuto modo di vedere sembra che dalle scelte contrattuali che hanno portato a diversi affidamenti diretti siano stati esclusi Corte d’Appello e Procura Generale.  Siamo andati a chiedere ai diretti interessati.

    “Noi abbiamo detto che non ci interessava come venivano destinati questi soldi e l’abbiamo fatto capire per vie di fatto, non andando alle riunioni”, ci spiega l’Avvocato dello Stato, Laura Bertolé Viale. Netta anche la posizione espressa da Giovanni Canzio, Presidente della Corte d’Appello: “Noi e la Procura Generale – afferma – siamo stati completamente estranei alla fase contrattuale. Abbiamo solo indicato le nostre necessità”. “Il nostro sito – risponde Canzio a una domanda sull’affidamento diretto alla Camera di Commercio – ce lo siamo fatto noi e anche gratis. Non solo non sappiamo niente di questi contratti ma niente ne vogliamo sapere. Questo deve essere chiaro perché la conoscibilità delle cose, in generale, implica delle responsabilità. Come mai il Tribunale è così presente nelle carte? Chiedetelo a loro….”. 

    (manuela d’alessandro)

     

  • A Milano record di avvocati che non pagano la quota
    Nomi e cognomi vanno in bacheca

    E’ record di toghe non paganti nelle aule del Palazzo. “Da dicembre a oggi abbiamo convocato per sollecitare il pagamento della quota annuale 260 legali. Non sono mai stati così tanti in passato”, fa i conti Cinzia Preti, tesoriera dell’Ordine degli Avvocati. La curiosità di chiederle in quanti non pagano l’obolo ce l’ha fatta venire l’insolitamente nutrito elenco degli avvocati morosi, con tanto di nomi e cognomi (ma la privacy?), esposto nelle bacheche dell’Ordine a Palazzo.

    “La ragione sta in parte nella crisi, ma bisogna considerare anche i tanti colleghi che si trasferiscono all’estero, e che smettono di  pagare”, è la lettura l’avvocato Preti. Una volta ‘ammoniti’ dall’Ordine, la maggior parte degli inadempienti tuttavia rimedia in fretta. “Dei 260 richiamati, 35 li abbiamo sospesi, e sono quelli che si possono leggere in bacheca, mentre gli altri si sono messi in regola “. Il nuovo regolamento approvato nella primavera scorsa obbliga  gli Ordini a inviare al Consiglio Nazionale Forense la lista dei non paganti e i provvedimenti presi nei loro confronti. Il mancato avvio nei 60 giorni successivi alla comunicazione dell’elenco della procedura di sospensione dall’albo comporta per gli Ordini  una segnalazione al Ministero della Giustizia. Un meccanismo che rende gli Ordini ancora più zelanti nello scovare e ‘denunciare’ gli avvocati riottosi. (manuela d’alessandro)

     

     

  • Addio fogli sulle porte, arrivano i ‘tabelloni elettronici’ per le udienze

    Addio ai vecchi foglietti appiccicati sulle porte con l’elenco delle udienze e degli imputati. Sulle pareti del settimo piano del Palazzo di Giustizia sono spuntati tre mega – schermi, a cui ne seguiranno altri, che dovrebbero permettere alle parti del processo di conoscere tutti i dettagli delle udienze per non smarrire l’orientamento. “Un po’ come mettere una copertina nuova allo stesso libro”, commenta, non si capisce quanto sarcastica, un giudice. Non è ancora chiaro se i nomi degli imputati saranno riportati sugli schermi oppure se si privilegerà una politica della privacy, considerando che in fondo si parla di processi, non è un talent – show.  In questo secondo caso, bisognerà contare su imputati e testimoni molto preparati che siano in grado di riconoscere dal numero del procedimento il loro destino. (m.d’a.)

  • “Presidente sono il suo incubo” il bigliettino dell’avvocato al giudice sfuggente

    L’avvocatessa L.M. deve avere qualcosa di molto importante e urgente da chiedere al giudice Piero Gamacchio. Possiamo apprezzare il suo originale pressing in un biglietto da visita appiccicato alla porta del magistrato. L’esordio è quasi da stalker auto – proclamata: “Sono il suo incubo”, ma poi i toni rientrano in una corretta dialettica processuale per concludersi, dopo avere invitato il giudice a contattarla, con l’”ossequio” finale.  (m.d’a.)

     

     

  • Tao Scatenato fa tutto da solo
    Falsifica un legittimo impedimento e si smaschera
    Dieci mesi, per lui neanche le generiche

    Un po’ pasticcione, ma l’audacia non gli manca mai. Per questo è il numero uno. Da avvocato o da imputato, poco cambia, Carlo Taormina mena sempre colpi micidiali. Qualche volta per se stesso. E’ Tao Scatenato.

    Vi avevamo raccontato qui della sua recente condanna a dieci mesi. Tutto per un legittimo impedimento non esattamente legittimo, corredato da un piccolo falso. La storia è ancora meglio di quanto credessimo. Perché leggendo le motivazioni della sentenza, si scopre che il Taormina ha combinato tutto da solo: tenta un trucchetto, si accanisce contro un giudice e si smaschera da solo. E così rimedia la condanna.

    L’8 maggio 2009 invia un fax al Gup di Milano Giorgio Barbuto con un’istanza di legittimo impedimento. Chiede il rinvio dell’udienza del 15 maggio, in cui sarà imputato per diffamazione ai danni dell’ex procuratore di Aosta Maria Del Savio (le loro strade si erano incrociate nell’inchiesta sul delitto di Cogne). Avvisa che gli sarà impossibile essere in udienza dovendo quello stesso giorno difendere, come unico difensore, un imputato per droga in Sardegna. E allega la citazione della Corte d’Appello di Cagliari.
    Il 13 maggio Taormina “trasmetteva segnalazione al Presidente del Tribunale di Milano e al Presidente dell’Ufficio Gip nella quale evidenziava che il suo difensore – nel corso di un colloquio del 12 maggio – aveva percepito che il magistrato, che si era riservato di decidere in udienza, avrebbe potuto non ritenere valido l’impedimento addotto”. Il Tao-legale-imputato lamentava, si legge nelle motivazioni, “la particolare attenzione al processo che lo riguardava da parte del Gip e una ‘solerzia’ così accentuata da parte del magistrato che se avesse riguardato tutti i processi di Milano avrebbe consentito ‘l’eliminazione di ogni più pesante arretrato’”. Insomma Taormina calca la mano sul povero Gip Barbuto. Passa all’attacco: “l’atteggiamento del dott. Barbuto si configurerebbe in caso di celebrazione dell’udienza, illegittimo e inopportuno in quanto per un verso pregiudizievole per l’esercizio del diritto di difesa e per un altro non adeguato alla trattazione di una constroversia penale di non eccessivo rilievo, se non fosse che controparte del sottoscritto siano due magistrati”. Altra bordata. (Saggio è chi evita di attaccare un giudice per la sua solerzia nel celebrare un processo con altri magistrati in veste di parte civile). Ai due presidenti, allega di nuovo la citazione. Solo che questa volta compare un nome che invece non compariva in quella spedita al giudice Barbuto. Compare un codifensore di Taormina nel processo sardo. Mannaggia. E che è successo? Per il Tribunale di Milano, è successo che dell’originale era stata fatta una prima fotocopia oscurando il nome del codifensore. Mentre ai due presidenti era arrivato per fax l’originale. Fatto il confronto, svelato l’inganno. (altro…)

  • Kabobo, schizofrenico anche perché emarginato
    Così il gup spiega la condanna a 20 anni

    “Non si può dire che la malattia ‘abbia agito al posto’ dell’imputato” Adam Kabobo. Non c’era una mano immaginaria a guidarlo, costringendolo a uccidere tre persone a colpi di piccone. Quella mano non c’era neppure nella sua testa confusa. E se per “il sentire comune” il comportamento del giovane ghanese potrebbe essere considerato pura “follia”, non si può parlare di “automatismo della malattia”. Almeno così ritiene il gup di Milano Manuela Scudieri, che ha condannato Kabobo a 20 anni di carcere (più misura di sicurezza) in rito abbreviato, riconoscendogli una parziale incapacità di intendere.

    E però, le cose non sono così semplici, il magistrato non può far finta che Kabobo, difeso dagli avvocati Benedetto Ciccarone e Francesca Colasuonno, fosse un cittadino come tutti gli altri, interamente imputabile per il suo comportamento violento, anzi “efferato”. Non può farlo, e infatti è chiamato a decidere sulla base di perizie specialistiche e del complesso degli atti di indagine, non delle dichiarazioni dei politici, non delle interviste rilasciate dagli avvocati, come altrove si vorrebbe.

    E allora, la “condizione di emarginazione sociale e culturale” di Adam Kabobo, scrive il gup, è stata “valutata quale concausa della patologia mentale riscontrata, nel riconoscimento della seminfermità mentale”. La “condizione di stress derivante dalla lotta per la sopravvivenza ha inciso sulla patologia” di Adam Kabobo, “aggravando la sintomatologia delirante e allucinatoria e la comprensione cognitiva”. Il giudice condivide la perizia psichiatrica, la quale chiarisce che il ghanese voleva “uccidere e con l’occasione farsi catturare per soddisfare i propri bisogni primari”. Insomma avrebbe ucciso tre persone anche per farsi arrestare, e finire in un carcere italiano, dove notoriamente vitto e alloggio sono da hotel a cinque stelle.

    Kabobo ha ucciso tre persone innocenti, senza una ragione comprensibile a noi comuni cittadini. Sulla base di indagini accurate, tenendo conto anche di quanto sostenuto dalle difese e dai legali dei famigliari delle vittime, il giudice ha fatto le sue considerazioni. Matto? Sano? Brutto e cattivo? Adesso l’idea potete farvela anche voi:

    motivazioni sentenza kabobo

  • Ereditiera uccisa in viale Sarca
    Fratello condannato, ricercato, sparito

    Condannato a 30 anni in primo grado per aver ucciso la sorella, trovata in viale Sarca a Milano, in una serata quasi ‘noir’ di pioggia battente, all’interno di un’auto. Assolto in appello, ma poi la Cassazione annulla. Nell’appello bis, due giorni fa, Pasquale Procacci è stato di nuovo ritenuto colpevole di omicidio aggravato. Pare fosse in aula fino a poco prima della lettura del dispositivo. Ma da allora è sparito. La polizia lo cerca, tecnicamente è “irreperibile”, come spiega una fonte investigativa. Per lui c’è una nuova ordinanza di custodia cautelare.

    Del resto, con una condanna in appello a 30 anni di carcere, il rischio che un imputato scappi prima che la Cassazione renda definitiva la sentenza è piuttosto alto. Specialmente se, come nel caso di Procacci, i soldi non mancano. Ha 73 anni e poco da perdere, dispone di un patrimonio immobiliare consistente frutto in parte dell’eredità che starebbe proprio alla base del movente. La squadra Mobile della polizia l’ha cercato a casa, negli altri appartamenti dati in affitto e nella sua abitazione al mare. Non c’è traccia di lui.

  • Doppia fuga dalla toga
    L’addio ai grandi processi milanesi
    per un alberghetto sul mare in Marocco

    Dibattimento Parmalat, fatto. Processo a Berlusconi, provato anche quello. E’ il momento giusto: fuga dalla toga. “Mollo tutto, lascio Milano, provo con una vita diversa, più semplice, a contatto con la natura e con gente normale”. Sara Caletti, molte volte in aula al fianco del professor Carlo Federico Grosso, a gennaio si è cancellata dall’albo degli avvocati. “Cambiare vita significa anche condividere momenti belli con le persone che incontri tutti i giorni. Incontrarle in aula per un processo, beh…”.
    La vita diversa è un alberghetto sulla costa atlantica del Marocco, una decina di chilometri a sud di Essaouira. Località con un passato hippie (a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 vi lasciarono le proprie tracce Jimi Hendrix e Cat Stevens) che ha molto poco a che vedere con la severità del palazzo di Giustizia del Piacentini. Anche il marito di Sara è un avvocato, Alessandro Cesaris, socio dello studio Della Sala & Associati. “In epoca ormai remota ho seguito il processo di Piacenza per la strage del Pendolino (otto morti e quasi trenta feriti, ndr). Più di recente, come parte civile, il caso Aleotti-Menarini a Firenze (truffa ai danni dello Stato)”. Lui aspetterà giugno per cancellarsi dall’albo, quando la coppia si trasferirà. “Appena nostra figlia avrà finito la prima elementare. Dall’anno prossimo andrà alla scuola francese”, spiegano.
    In Marocco hanno rilevato una proprietà affacciata sull’oceano, al margine di una spiaggia di surfisti. Si chiama Auberge de la Plage. Di turismo, dicono, non ne sanno niente. Un’altra sfida. (altro…)

  • La lunga migrazione di Ruby.
    Piccolo esercizio di fisica per operatori della giustizia

    Meglio del tapis roulant della palestra Downtown, quella frequentata da tanti magistrati milanesi. Fa bruciare più calorie, ma è gratis. E’ la lunga migrazione di Ruby. Il fascicolo, con tutte le carte che serviranno per comporre il quadro dell’inchiesta Ter sul caso della giovane marocchina, sta passando in questi minuti dall’ufficio dell’aggiunto Ilda Boccassini a quello del giovane sostituto Luca Gaglio. Stanze che si trovano quasi agli antipodi della Procura. Invece di trasportare tutto con un bel carrellino di quelli che spesso vedete nelle immagini di repertorio dei tg, l’operazione viene svolta a braccia da un militare della polizia giudiziaria e da una collega volenterosa.

    Noi li abbiamo visti fare il percorso, avanti e indietro, almeno 3 volte. Lunghezza per ogni vasca: 200 metri. Per due persone. Assumendo in 5 kg il peso delle carte trasportate da ognuno e in 5 Km/h la velocità media, calcolate:

    A) La lunghezza del percorso complessivo svolto dagli ufficiali di Pg.

    B) Il tempo impiegato dalla coppia.

    C) Il valore fisico del loro lavoro espresso in chilocalorie (Kcal) e Joule (J).

    D) Il numero di altri fascicoli che avrebbero potuto trattare nel tempo impiegato se il famoso procuratore aggiunto non avesse chiesto loro il favore di liberare la sua stanza.

    I protagonisti del nostro esercizio, fotografati alle ore 17.15
  • Kabobo in tribunale. Ecco le prime immagini

    Adam Kabobo, il ghanese accusato di tre omicidi volontari, arriva al palazzo di giustizia di Milano. Sono le prime immagini da quando è stato rinchiuso in carcere. Ma la sua condizione psichica, stando ai periti nominati dal Tribunale del Riesame, sono incompatibili con la permanenza in carcere.

    kabobo

    Nessuno si scandalizzò molto quando Lele Mora, due anni fa, venne scarcerato e rimesso in piena libertà per ragioni simili: lo “stress psicofisico” dovuto alla permanenza nel reparto ‘colletti bianchi’ di Opera aveva reso impossibile la detenzione dell’agente dei vip. Senso di umanità? Più o meno. Certo, era in carcere per accuse ben diverse da quelle che ricadono su Kabobo. Ma tant’è, una parte dell’opinione pubblica non è disposta a concedere lo stesso trattamento al triplice omicida. Che ovviamente, data la spiccata pericolosità sociale, non finirà certo a piede libero. Il suo destino sarà comunque la reclusione, in un reparto psichiatrico. Anche nel caso di una ipotetica assoluzione. Per ragioni di sicurezza, sarà trattenuto in luogo sicuro per anni e anni. Il resto è polemica.

     

     

  • Strage di via Palestro
    Le carte che incastrano il basista

    Sempre interessante la ricostruzione della stagione delle stragi mafiose. Con questo arresto, un altro tassello di quella storia trova il suo posto. E’ il ruolo di Filippo Tutino, basista della strage del 1993 in via Palestro, a Milano. Ecco qui l’ordinanza di custodia cautelare a suo carico, con tutte le sue mosse, le sue amicizie, le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza. In allegato, l’ordinanza in un formato leggero. (manuela d’alessandro)
    tutino word (1)