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  • Corona assolto, “non è reato far custodire i soldi a un amico”

     

    Dov’è il reato di chi si fa custodire i suoi denari nel soggiorno di un  amico? Se l’erano chiesto in tanti, chi sfogliava le riviste di gossip ma anche chi bazzica il Palazzo, durante i mesi agitati del processo Corona, accusato di intestazione fittizia dei beni per quei 2,6 milioni di euro trovati nel controsoffitto della sua storica collaboratrice Francesca Persi e nelle cassette di sicurezza in Austria.

    Oggi arriva la risposta dei giudici (presidente Guido Salvini, al suo fianco Andrea Ghinetti e Chiara Nobili). Il reato di intestazione fittizia in contanti non esisteva come precedente in giurisprudenza e non esiste ora, nemmeno per l’imputato puù assiduo delle cronache giudiziarie degli ultimi dieci anni (se la gioca con Berlusconi). Il reato vero da contestare sarebbe stato quello più modesto e più comune  di dichiarazione fiscale infedele, per il quale vengono ritrasmessi gli atti alla Procura.

    Corona, condannato a un anno, esulta come se fosse stato assolto e ha tutte la ragioni, anche nel buttare fuori la rabbia per un arresto e una carcerazione (da ottobre 2016) sbagliati.  La tesi dei pm della Dda Ilda Boccassini, Alessandra Dolci, Paolo Storari viene annichilita dal Tribunale. Regge solo l’accusa di sottrazione fraudolenta dei beni, cadono l’intestazione fittizia e un altro reato pure semisconosciuto alla giurisprudenza, l’omissione della segnalazione alla Guardia di Finanza di variazione patrimoniali a cui è obbligato chi è soggetto a una misura di prevenzione. Stando a una prima lettura del dispositivo, si può dedurre che i giudici abbiano considerato Persi una semplice custode di quell’1,8 milioni di euro che teneva nel suo controsoffitto, senza però averne una formale titolarità giuridica. Revocate le custodie cautelari sia per Corona che resta dentro per i 5 anni ancora da scontare anche se si aprono spiragli per un nuovo affidamento in prova sia per Persi, condannata a sei mesi anche lei per sottrazione fraudolenta.  In sostanza, secondo i giudici, un processo che sarebbe dovuto durare poche udienze per soli illeciti tributari si è ingigantito per l’intervento della Dda che ha ipotizzato reati inesistenti.

    (manuela d’alessandro)

  • Assolto Ananda, per la Procura il temibile pedone-killer

    Ananda, il pedone killer, va assolto. Forse mancava la volontà di commettere il reato, stando al dispositivo letto questa mattina dal giudice Costa della IX sezione penale. La storia era questa: un pedone mezzo ubriaco, Ananda G.U.L., attraversa la strada lontano dalle strisce pedonali. Viene investito da un motociclista di nazionalità indiana. Ananda, mezzo acciaccato, se la dà a gambe, mentre chi l’ha investito con il motorino resta a terra, ferito. Non muore, sia chiaro, il nostro titolo è una forzatura giornalistica.

    Insomma però il povero pedone-ubriaco-investito finisce a processo per aver omesso di soccorrere il centauro che l’ha travolto.

    Il pm ne aveva chiesto la condanna a otto mesi di reclusione. Il giudice lo ha assolto con la formula dubitativa dell’art 530 secondo comma affermando che “il fatto non costituisce reato”. Ovvero il fatto – l’omissione di soccorso – c’è stato, ma non è pienamente provato che l’imputato avesse la consapevolezza di commettere il reato: bisognerà attendere le epocali motivazioni per capire se il giudice attribuisca la mancanza dell’elemento soggettivo al fatto che il soggetto era, come dicevamo, lievemente alterato dai diabolici effetti dell’alcol.

    Festeggia il legale di Ananda, l’avvocato Enrico Belloli: “Diciamolo come direbbe D’Alema: è andata bene ma è giusto così”.

     

  • Ruby, le 300 pagine di motivazioni che spiegano l’assoluzione di Berlusconi

    Motivazioni Ruby appello

    Nelle oltre trecento pagine che potete leggere cliccando sul link, i giudici della seconda sezione della Corte d’Appello di Milano spiegano perché hanno assolto il 18 luglio scorso Silvio Berlusconi dalle accuse di concussione e prostituzione minorile.

    L’ex premier va asssolto dal primo reato perché non ebbe alcun “atteggiamento intimidatorio o costrittivo” verso i funzionari della Polizia che affidarono Ruby a Nicole Minetti la notte del 27 maggio 2010. E’ vero, concedono i giudici, in quel momento Berlusconi aveva “interesse” che Ruby, portata in Questura dopo essere stata fermata, fosse rilasciata e non affidata a una comunità per minorenni, perché aveva saputo che era minorenne e temeva le sue rivelazioni sul ‘bunga – bunga’. Tuttavia, il funzionario che gli rispose al telefono, Pietro Ostuni, agì non perché costretto da Berlusconi, ma per “eccessivo ossequio e precipitazione”, “timore reverenziale” e “debolezza”.

    Quanto all’accusa di prostituzione minorile, i giudici argomentano che il leader di Forza Italia non era a conoscenza della minore età della ragazza quando ebbe rapporti sessuali con lei durante le serate ad Arcore. E smontano, definendola una “congettura”, la ‘prova logica’ invocata dal Tribunale per cui sarebbe stato Emilio Fede ad informarlo della reale età di Karima. (m.d’a.)