Tag: estradizione

  • Ombre rosse no a Bergamin prescritto pesa Il Quirinale

    Nel giorno in cui Sergio Mattarella giura per il suo secondo mandato la Cassazione ribaltando le decisioni dei giudici milanesi nega la prescrizione a Luigi Bergamin uno dei nove rifugiati politici a Parigi per i quali l’Italia ha chiesto l’estradizione. Era stato Mattarella il giorno del rientro di Battisti ad annunciare “e adesso gli altri”, E la Cassazione con una sentenza prettamente politica accogliendo la richiesta della procura decide che la condanna di Bergamin a 16 anni 11 mesi per concorso morale negli omicidi del maresciallo Santoro e dell’agente Campagna non è “scaduta”.
    La dichiarazione di “delinquenza abituale” a carico di Bergamin dell’anno scorso ha influito sulla decisione della Cassazione. Secondo Giovanni Ceola difensore di Bergamin la scelta della Cassazione è di tipo politico e muta l’indirizzo giurisprudenziale. Il legale ipotizza il ricorso alla giustizia europea.
    Non è scontato ma la decisione sulla mancata prescrizione rischia di pesare sulle scelte delle autorità francesi in materia di estradizione. Il caso di Bergamin sarà ridiscusso in udienza a Parigi il prossimo 20 aprile.
    Secondo il provvedimento di delinquenza abituale Bergamin ha dimostrato prontezza anche in Francia a sottrarsi alle misure limitative della libertà personale e potrebbe avvalersi di una rete di persone disponibili a sostenerlo e ad aiutarlo a evitare di scontare la condanna.
    I difensori dei rifugiati italiani in Francia lamentano la mancanza di una soluzione politica che sarebbe dovuta intervenire da tempo per fatti che risalgono a 40 anche 50 anni fa. Di recente rispondendo a una lettera del professor Vasapollo suo interlocutore da tempo che gli aveva sottoposto il problema Papa Francesco si era espresso a favore di una giustizia che non fosse vendetta. Ma pare che non sia proprio aria per andare in tale direzione. Mattarella e il ministro Marta Cartabia sono decisi a ottenere i corpi di persone ormai anziane da esibire come trofei di guerra magari sotto i obiettivi di smartphone in mano a un paio di ministri come era accaduto per Cesare Battisti.
    (frank cimini)

  • Pietrostefani in ospedale inamovibile Cartabia insiste

    Un’udienza per dirimere una questione relativa a un fatto avvenuto ci quant’anni fa è un evento più unico che raro. Succede che alle due del pomeriggio in punto al palazzo di giustizia di Parigi i giudici sono chiamati a decidere sull’estradizione di Giorgio Pietrostefani condannato a 22 anni di reclusione perché ritenuto mandante insieme a Adriano Sofri dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, il 17 maggio del 1972.
    Pietrostefani non è presente in aula per motivi di forza maggiore. È da tempo in ospedale, inamovibile, intrasportabile, come spiega l’avvocato Irene Terrel che lo difende al pari di altri rifugiati italiani a Parigi arrestati il 28 aprile dell’anno scorso e poi tornati liberi in attesa della decisione sull’estradizione.
    Siamo all’ennesimo rinvio perché l’Italia non desiste e non demorde. Il ministro della Giustizia Marta Cartabia è impegnata al massimo in questa operazione politico-giudiziaria ispirata dal colle più alto perché il giorno del rientro di Cesare Battisti il presidente della Repubblica Sergio Mattarella disse: “E adesso gli altri”.
    La legge francese, a differenza di quella italiana, non ammette la contumacia. Il diretto interessato, “il prevenuto” non può essere assente dall’udienza. Quindi è impossibile procedere per esaminare il caso di Giorgio Pietrostefani e i giudici decidono di rinviare tutto al prossimo 23 marzo.
    Mercoledì prossimo 12 gennaio toccherà agli altri rifugiati che rischiano l’estradizione. Persone condannate per fatti di lotta armata avvenuti quaranta e più anni fa, approdati in Francia dove hanno ricostruito la loro vita, sposandosi, facendo figli, lavorando. Insomma una vita da normali cittadini ospiti di un paese che li ha accolti anche in omaggio alla dottrina Mitterand.
    Fino all’operazione denominata “Ombre rosse” partita su richiesta del governo italiano, eseguita dai francesi, utilizzata da Macron per fare concorrenza agli avversari di destra e dimostrare che a livello di politiche securitarie lui non è secondo a nessuno.
    La ministra Cartabia che proclama di battersi per meno carcere e meno processi penali ne ha fatto una questione priorItaria. La banda di anziani che in pratica mezzo secolo fa partecipò al più serio tentativo di rivoluzione nel cuore dell’Occidente deve pagare fino in fondo il suo conto con la giustizia. L’avvocato Irene Terrel ha definito più volte “assurda” la situazione a distanza di tanto troppo tempo dai fatti ribadendo che la soluzione del problema spetta alla politica e non ai giudici.
    L’Italia non cambia idea. Del resto allora delegò interamente ai giudici la questione della sovversione interna dando alle toghe un potere enorme che sarà utilizzato anni dopo proprio contro i politici che a loro si erano affidati. Adesso il nostro governo si affida ai giudici francesi con l’ultima parola che spettera’ alla politica. Non si sa se a Macron o a un suo successore perché i tempi dei procedimenti estradizionali sono molto lunghi e i dossier arrivati dall’Italia sono stati giudicati incompleti. E Cartabia ha sollecitato le procure a sbrigarsi
    (frank cimini)

  • Giudici veggenti: Bergamin pronto a uccidere ancora

    Pur di affibbiare a Luigi Bergamin lo status di “delinquente abituale” in modo da incidere sull’estradizione dalla Francia i giudici del Tribunale di sorveglianza di Milano vestono i panni dei veggenti e per dimostrarne la pericolosità sociale scrivono che potrebbe uccidere ancora a oltre 40 anni dai fatti di lotta armata per i quali era stato condannato.
    “Si reputa infatti che egli possa commettere altri reati di pari elevato disvalore se non anche crudeltà nel caso in cui si trovi in contingenze politiche sociali che non condivide non essendo a ciò ostativa l’età anagrafica avendo egli svolto il ruolo di ideatore e mandante dei delitti e delle azioni sovversive” sono le parole dei giudici che sottolineano “la mancanza di presa di coscienza del disvalore degli atti compiuti, indici della pericolosità attuale”.
    E ancora: “Un soggetto può essere ritenuto attualmente socialmente pericoloso sulla base di una valutazione prognostica circostanziata ma non esseee dedito alla commissione di reati secondo un giudizio di fatto come tale discrezionale che deve fare riferimento sia alla condotta passata che a quella recente”.
    Che in oLtre 40 anni in Francia non abbia commesso reati come ha cercato di spiegare il suo difensore Giovanni Ceola per i giudici non conta nulla. Perché Bergamin “non solo non ha mai posto in essere condotte ne’ formali ne’ concrete volte a dimostrare il sincero pentimento anche parziale per i reati commessi per i danni cagionati alla collettività e alle numerose vittime degli illeciti portati a termine ma al contrario si è volontariamente sottratto a qualsivoglia verifica di tale genere. Ciò costituisce di pericolosità attuale con particolare riferimento alle persone offese dei reati di omicidio ed è indicativo della volontà di non rinnegare le scelte operate, non potendosi nel contesto dato valutare il silenzio come elemento neutro”.
    I giudici lamentano anche che il condannato non si sia avvalso dei benefici previsti dalla legge emanata per favorire la dissociazione. Insomma Bergamin non si è pentito ne’ dissociato per cui deve essere estradato e messo in galera. La dichiarazione di prescrizione dei reati decisa dalla corte d’Assise di Milano poi è ancora subjudice perché il pm ha presentato ricorso in Cassazione.
    Insomma non c’è scampo. Va ricordato che il provvedimento relativo alla delinquenza abituale è stato notificato solo oggi al difensore mentre era già stato oggetto di notizia sulle agenzie di stampa e sui siti di informazione lo scorso 16 giugno. E questo la dice lunga ancora una volta sui rapporti tra pm e giudici da una parte e i media dall’altra. È la giustizia bellezza. E pure l’informazione. (frank cimini)

  • Da Francia no a estradizione Vincenzo Vecchi, Italia ko

    Non sarà estradato in Italia Vincenzo Vecchi il militante antagonista condannato a 9 anni di reclusione per devastazione e saccheggio in relazione alle manifestazioni del G8 a Genova e per un corteo a Milano. Lo ha deciso la corte di Appello francese di Angers perché il reato non fa parte del codice d’Oltralpe. I giudici hanno ritenuto validi delle accuse italiane solo l’aggressione a un fotografo e il possesso di una molotov fatti per i quali c’è una pena di 1 anno 2 sei e 23 giorni che bisognerà decidere successivamente se Vecchi dovrà scontare in Italia o in Francia. Questo dipende dall’accettazione o meno da parte dell’Italia della sentenza di Angers.
    Per la giustizia italiana si tratta di una sconfitta grave dipesa anche dal fatto che le nostre autorità non vollero scorporare i reati. Una sconfitta giuridica e politica che dimostra come la credibilità dei nostri tribunali all’estero sia abbastanza scarsa.
    Dice l’avvocato Eugenio Losco: “Si tratta di un importante precedente perché stavolta giustizia francese è entrata nel merito accogliendo uno dei rilievi principali delle difese sollevato fin dall’inizio per il mancato rispetto della procedura. Il reato di devastazione e saccheggio è una fattispecie incostituzionale con delle pene incongrue spropositate e non conformi alla normativa di altri stati europei. La sua contestazione deve essere limitata a casi particolari assimilabili a eventi bellici e non certo alle contestazioni di piazza”.
    Va ricordato che solo in Italia in Albania e in Russia per il reato di devastazione e saccheggio si rischiano condanne fino a 15 anni di reclusione.
    Vecchi che vive e lavora in Francia da otto anni era stato arrestato su richiesta dell’Italia poi le udienze per decidere su estradizione erano slittate anche a causa del Covid e nel frattempo il militante no global era stato rimesso in libertà perché la corte di Rennes allora competente non aveva ravvisato pericoli di fuga (frank cimini)

  • Il sogno del calciatore della Mauritania di giocare in Nepal

    Gli scenari calcistici in cui è ambientata questa storia sono inediti, eppure è proprio il sogno della gloria attraverso un pallone che avrebbe spinto un aspirante campione che vive in Mauritania a rivolgersi a un ‘procuratore’ senegalese per andare a giocare in Nepal.

    Gli ha pagato una somma convertibile dalla moneta locale in 4500 euro affinché organizzasse per lui un viaggio  nel paese dalle alte vette “per essere allenato al gioco del calcio”.  Il calciatore si sarebbe poi ritrovato – questa è l’ipotesi che si legge nel capo d’imputazione firmato dalla Procura della Mauritania –  “per sei mesi senza fare nulla”  in Nepal  “fino a quando non ha capito di essere stato vittima di un truffatore che lo ha messo in pericolo durante questo viaggio”.

    A quel punto, ha  sporto denuncia alla giustizia del suo Paese lamentando di essere stato vittima di una truffa, reato punito con 5 anni di carcere in Mauritania. La sesta camera investigativa della Corte della Regione di Nouakchott ha chiesto l’arresto per il 33enne senegalese che, in seguito, si è saputo avere lasciato il suo Paese e trovarsi a Milano dove è stato catturato dai carabinieri. Spezzato il sogno del ragazzo mauritano, la questione è ora il trattamento che viene riservato al  procuratore.  In carcere, spiegano i suoi avvocati Mauro Straini ed Eugenio Losco, le visite mediche hanno fatto emergere una “severa cardiopatia” da cui è affetto che parrebbe incompatibile con la detenzione. Ma il tema principale è che  il  presunto  agente di campioni rischia di finire in un carcere della Mauritania, uno Stato dove, osservano i legali, c’è il rischio che venga torturato come denunciano dai dossier di Amnesty International. Lui ha già dichiarato ai magistrati milanesi, chiamati a valutare la richiesta di estradizione, di non volere rientrare nel suo Paese “in quanto sono estraneo alle vicende per le quali viene richiesta la mia consegna”.  (manuela d’alessandro)

  • Abu Omar, quarta grazia a un agente della Cia e offesa alla memoria di Giulio Regeni

     

    A poche ore arrivo dal previsto arrivo in Italia per scontare la pena in carcere, l’agente della Cia Sabrina De Sousa riceve la grazia da Sergio Mattarella.

    Il Paese che chiede (in modo blando) giustizia per Giulio Regeni, il giovane ricercatore torturato e ucciso al Cairo, per la quarta volta s’inchina agli Stati Uniti. Dopo Robert Seldon Lady, Joseph Romano e Betnie Medero,  un altro 007  colpevole in via definitiva di avere sequestrato l’imam milanese Abu Omar e averlo torturato proprio in Egitto, evita il carcere. E con modalità, stavolta, ancor più sconcertanti. Fermata a Lisbona nell’ottobre del 2015 in seguito al mandato di estradizione firmato a Milano dopo la condanna a 7 anni (di cui 3 abbonati dall’indulto), De Sousa in teoria avrebbe dovuto essere estradata dai portoghesi già nella primavera del 2016 quando si vide respingere un appello per evitare di essere consegnata all’Italia. Ma, da allora, con De Sousa libera, nulla si è mosso. Nessuna premura dall’Italia di averla e nemmeno dal Portogallo di eseguire il mandato. Per un bizzarro caso, è stata arrestata nelle ore in cui è emersa l’incredibile vicenda di Pippo De Cristofaro, condannato all’ergastolo in Italia per avere ucciso la skipper Annarita Curina per rubarle un catamarano e scomparso dopo la mancata estradizione da parte delle autorità portoghesi.

    Ora, prima dell’annunciato arrivo a Roma di domani, ecco la grazia parziale ‘su misura’ per evitare anche un solo giorno di carcere. Riduzione di un anno della pena con automatica revoca dell’ordine di esecuzione della condanna.

    (manuela d’alessandro)

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  • In carcere da innocente,Touil vittima dell’antiterrorismo internazionale

    E adesso chiediamo scusa a un ragazzo di 22 anni che per 5 mesi e mezzo è stato muto e solo in carcere con l’accusa di essere un terrorista. Ci andava solo la mamma a trovarlo, una volta alla settimana. Anche in cella ha continuato a studiare l’italiano, come faceva a Gaggiano prima che l’arrestassero. Cercava un lavoro e andava a scuola per imparare la lingua del Paese dove era arrivato su un barcone gonfio di disperati.

    La notizia che conta non è che la Corte d’Appello di Milano ha negato l’estradizione verso la Tunisia di Abdelmajid Touil, il ragazzo marocchino arrestato a maggio su richiesta delle autorità nordafricane perché sospettato di avere partecipato all’attentato al Museo del Bardo. Non poteva fare altrimenti: l’Italia non può estradare neppure il peggiore criminale in uno Stato in cui vige la pena di morte (articolo 24 della Costituzione).

    Quello che conta è che gli indizi messi assieme dalla Tunisia erano così labili che oggi la Procura di Milano ha chiesto di archiviare le accuse di terrorismo internazionale e strage nell’indagine ‘italiana’  a suo carico.

    Dicevano da Tunisi: una persona l’ha identificato in una fotografia come uno degli autori del massacro. Fin da subito, era stato chiaro che Touil nei giorni della strage si trovava a Gaggiano, proprio alla scuola d’italiano. Sul suo comodino la Digos non aveva trovato neanche un Corano.

    E ancora, dicevano: da una scheda sim da lui acquistata sono partite telefonate con alcuni esponenti del clan terrorista accusato della strage. Invece, è bastato ricostruire i ‘movimenti’ della scheda, la tempistica delle chiamate e la data del suo viaggio in Italia per accertare che gli interlocutori venivano chiamati da Touil non nella loro veste di estremisti ma in quella di scafisti.

    Cinque mesi e mezzo. Bravi i magistrati Maurizio Romanelli ed Enrico Pavone che hanno sventato un’ingiustizia. Resta la domanda: si poteva arrivarci prima che un ragazzo  appassisse solo e muto in una galera per cinque mesi e mezzo? (manuela d’alessandro)

  • I dubbi della Procura sul marocchino arrestato e le certezze della politica

    Per partecipare alla strage del museo del Bardo, Abdelmajid Touil avrebbe dovuto prendere un aereo da Milano a Tunisi con ritorno immediato in giornata, 18 marzo, perché il ragazzo, 22 anni, è in Italia dal 17 febbraio (fino a prova contraria). Era arrivato con un barcone e poi era stato destinatario da Agrigento di un decreto di espulsione. Le autorità tunisine lo accusano di essere tra l’altro un reclutatore di guerriglieri nel nome dell’islam. Dicono da Tunisi che Touil sarebbe stato tra gli organizzatori dell’attentato. Nelle settimane scorse, la Tunisia ha già arrestato più di 40 persone e non è certo nota per essere una culla del garantismo.

    Gli inquirenti italiani che hanno dato esecuzione a un mandato di cattura internazionale stanno svolgendo in queste ore accertamenti sul suo effettivo ruolo nell’attentato. Politici di ogni colore, in testa il presidente del consiglio Matteo Renzi e il ministro dell’interno Angelino Alfano si sono spprofondati in elogi per la brillante operazione, come si dice sempre in casi del genere. Giornali online e tg hanno fatto il resto e pure di più, sbattendo il mostro in prima pagina.

    Per arrestare un altro immigrato dal nordafrica Mohamed Fikri furono dirottate due navi di cui una sbagliata. Era lui oltre ogni ragionevole dubbio l’assassino di Yara Gambirasio. E invece no, ma per arrivare all’archiviazione impiegarono due anni e l’indagine è ancora in mano alle stesse persone che adesso sempre ostentando sicurezza accusano Bossetti.

    I parenti di Touil dicono che il 18 marzo il ragazzo era qui. Alla polizia italiana non risulta come frequentatore di ambienti radicalizzati e nemmeno di moschee. Gli inquirenti italiani hanno dato semplicemente attuazione a un provvedimento tunisino, come sono obbligati a fare.  “Non sappiamo che ruolo abbia avuto Touil nella strage – dice un investigatore del Ros – in questa fase il Paese che chiede l’estradizione non è tenuto a descrivere le condotte contestate. Si è limitato a comunicarci il titolo di reato: omicidio volontario e partecipazione ad attività terroristica internazionale”.

    Per l’eventuale estradizione su cui deciderà la Corte d’Appello ci sono problemi perchè in Tunisia il codice prevede la pena di morte. I due paesi possono anche trovare un accordo nella non esecuzione della pena capitale in caso di condanna. Staremo a vedere. Ma l’informazione del nostro paese oggi ha scritto una delle sue pagine più nere. Non è la prima e crediamo molto verosimilmente neppure l’ultima. Insieme ai politici che a caccia di facili consensi elettorali si accodano alle autorità tunisine senza manifestare il minimo dubbio. (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • La prescrizione salva una mamma russa dalle disumane carceri di Mosca

    Chi è Ekateryna Tyurina? Una truffatrice che ha falsificato le carte per una proprietà che vale 30 milioni di euro nel cuore di Mosca oppure una giovane madre perseguitata dallo Stato russo, bramoso di mettere le mani sul suo ‘tesoro’? Nel dubbio, la Cassazione blocca il via libera all’estradizione n Russia concesso dalla Corte d’Appello di Trieste lo scorso 11 novembre. E lo fa usando lo ‘scudo’ della prescrizione che consentirà alla donna di restare in Italia.

    Tyurina, 38 anni, era stata arrestata dall’Interpol ad agosto mentre era n vacanza a Lignano Sabbiadoro coi tre figli; a dicembre anche suo marito era stato fermato a Praga. L’accusa per lei è quella di avere truffato i soci di minoranza in relazione alla proprietà sulla quale sorge un centro commerciale nel centro storico della capitale.  In realtà, secondo l’avvocato Pasquale Pantano, la donna ha già vinto tutte le cause civili intentate dai soci di minoranza  e l’inchiesta penale sarebbe solo una “manovra” per sottrarle i suoi beni. Il marito invece è finito in carcere per essere il presunto mandante dell’omicidio di un avvocato moscovita, avvenuto 20 anni fa, solo sulla base delle dichiarazioni di una signora che, guarda caso, è una delle socie di minoranza della proprietà contesa. Nel ricorso alla Cassazione, oltre a sottolineare il pericolo che Tyurina potesse essere sottoposta a “trattamenti disumani” nelle carcere patrie, Pantano aveva contestato  ai giudici triestini di non avere calcolato che il reato a lei contestato è prescritto per la legge italiana. Gli ‘ermellini’ hanno ritenuto sbagliati i calcoli fatti dai magistrati di Trieste, annullato senza rinvio la loro sentenza e revocato l’ordinanza di custodia cautelare.  Ekateryina, la cui storia è stata accostata al suo legale a quella della Shalabayeva (“c’è sempre un marito ricco, al di là delle ragioni politiche”),  deve ringraziare la vituperata prescrizione italiana che, sulla base dei rapporti di estradizione tra Russia e Italia, si è rivelata decisiva. Evitandole forse i pestaggi e le violenze subiti dai suoi avvocati russi durante le agghiaccianti perquisizioni notturne a cui li ha sottoposti la polizia moscovita. (manuela d’alessandro)