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  • Il divieto di andare in pasticceria per la ragazza arrestata nel corteo per Gaza

     

    Può un bignè alla crema essere pericoloso? Siamo sulla linea del surreale dove spesso le leggi e la giustizia galleggiano. La Questura di Milano ha inflitto un Daspo urbano a una ragazza arrestata, e scarcerata dopo la direttissima, per resistenza a pubblico ufficiale nel  corteo in solidarietà alla popolazione di Gaza del 22 settembre scorso a Milano.

    Tra le prescrizioni ce n’è una molto curiosa. Non potrà frequentare per due anni né “stazionare” vicino a ristoranti, bar, pizzerie, gelaterie, pasticcerie e locali presenti in più zone di Milano e per un anno non potrà accedere, né avvicinarsi alla stazione Centrale, né ai treni né alla metro, e alle aree limitrofe. “Un provvedimento solo punitivo che non alcuna attinenza coi fatti contestati” dice Mirko Mazzali, il legale della ventunenne.

    L’unico precedente per la giovane frequentarice del centro sociale Lambretta è per il reato di invasione dell’ex cinema Splendor. Non esattamente una professionista del crimine, insomma

    Ora, il diktat di non gustarsi un pasticcino al tavolo non è un’invenzione della Questura ma una possibilità offerta dalle norme che disciplinano il Daspo e che individuano anche le pasticcerie e gelaterie come luoghi di aggregazione e quindi potenzialmente scenari di turbolenze.

    A memoria non ricordiamo manifestazioni che si infiammano da una scintilla sprigionata da un babà con o senza capocchia.

    (manuela d’alessandro)

  • Andrea e Gabriele, 30enni inviati di guerra a Gaza.
    Dal Tribunale alle sentenze di morte.

     

     

     

     

     

     

    Andrea e Gabriele hanno 66 anni in due e sono tra i pochissimi italiani inviati di guerra nella striscia di Gaza. Vi chiederete cosa c’entri la loro storia con la giustizia e allora potremmo affidarci al pretesto che uno dei due, Gabriele Barbati, 35 anni, romano, esordì come cronista giudiziario nel Palazzo milanese durante uno stage all’Ansa. In realtà siamo ammaliati dalla storia di questi ragazzi giornalisti che hanno seguito il vento che gli batteva dentro, volando a raccontare quello che nulla ha a che fare con la giustizia. Che colpisce a caso e senza processo, senza avvocati, senza giudici, e sempre con sentenze a morte.

    Gabriele, moro, ricciuto con gli occhi chiari, dopo una stagione a Pechino come corrispondente di Sky, si è spostato a Gerusalemme e adesso segue il conflitto israelo – palestinese per le reti Mediaset e la televisione svizzera italiana. Non sono giorni facili per lui, e non solo per le difficoltà di fare bene un mestiere difficile. Da oggi Gabriele ha deciso di sospendere i commenti su quanto vede pubblicati dall’inizio del conflitto nel suo profilo Facebook “a fronte degli attacchi esponenziali contro me e contro Mediaset”. Sui social intorno al suo nome si è scatenata una cruda ‘guerra nella guerra’ tra chi esprime apprezzamento per i suoi reportage  e chi lo accusa di essere antisemita, un “impiegato di Hamas” al servizio del tg5 il cui direttore, Clemente J. Mimum, ha peraltro origini ebree.

    Andrea Bernardi, 31 anni, riccioli biondi, laureato alla Cattolica, vive a Istanbul e si trova a Gaza per l’agenzia France Presse. Ha percorso continenti per raccontare la rivoluzione egiziana, la guerra civile siriana,  l’Irak e l’Afghanistan, la proteste delle Camicie Rosse in Thailandia. A Milano per qualche tempo si è occupato degli intrighi nella Regione Lombardia finché un giorno ha radunato amici e colleghi davanti a un aperitivo e ha spiegato che la passione lo portava altrove. Ieri su Facebook ha scritto: “L’ultima delle mie nonne è morta ieri sera, mentre io sono chiuso a Gaza. Sono sicuro che saprà perdonarmi per non poter essere al suo funerale domani. Ciao nonna!”. (manuela d’alessandro)

    Nei loro tweet immagini e commenti sulla guerra. Vale la pena seguirli: @gabrielebarbati.it e @andrwbern.