Era assolutamente inimmaginabile fino a non molto tempo fa. Francesco Greco il procuratore di Milano andato in pensione a metà novembre rischia il processo per diffamazione ai danni di Piercamillo Davigo.
La storia è quella dei verbali dell’avvocato Piero Amara consegnati dal pm Paolo Storari a Davigo all’epoca consigliere del Csm. C’è un passaggio della dichiarazione a verbale di Greco davanti ai pm di Brescia che Davigo non ha proprio digerito.
“L’uscita dei verbali era nell’interesse di Davigo che non si è preoccupato assolutamente della sorte del procedimento è quando ha lasciato il Csm quei verbali li ha abbandonati. Fatto imbarazzante”.
Secondo Greco Davigo era interessato a far uscire soprattutto le parole con cui Amara chiamava in causa il magistrato Sebastiano Ardita un tempo suo alleato con il quale aveva successivamente rotto ogni rapporto.
La procura di Brescia ha chiuso le indagini su Greco e si appresta a chiedere il rinvio a giudizio. Recentemente Greco aveva visto archiviare l’accusa a suo carico per omissione in atti d’ufficio per la ritardata iscrizione al registro degli indagati di Amara che era stata sollecitata da Storari.
È la storia della famosa loggia Ungheria tirata fuori da Amara sulla quale formalmente indagano diverse procure ma di cui non si è saputo più niente.
Questo accade nel trentennale di Mani pulite. Si erano tanto amati ì componenti del mitico pool del quarto piano di corso di Porta Vittoria e pure armati per rivoltare l’Italia come un calzino, combattere come “fenomeno” quella corruzione che in realtà c’era anche prima del magico 1992. Quando la magistratura inquirente in testa giusto la procura di Milano aveva fatto finta di non vedere e non sentire perché evidentemente non era ancora ora di attaccare la politica.
A trent’anni esatti dalla grande farsa, utilizzata dalle toghe per aumentare il loro potere, in procura a Milano si sta vivendo un tutto contro tutti, ufficializzato dal 57 pm su 64 i quali più che votare un documento contro il trasferimento di Storari si schierarono contro l’allora procuratore Francesco Greco. La maggior parte di loro si sentiva penalizzata dal modo in cui il capo aveva organizzato l’ufficio.
Greco dovrà fronteggiare la diffamazione a carico di Davigo. Davigo e Storari il 3 febbraio si troveranno in udienza preliminare per quei verbali di Amara un tempo ritenuto il testimone della corona per vincere il processo contro i vertici dell’Eni che invece finiva in una sconfitta totale.
Nei prossimi giorni il Csm sarà a Milano per sentire Storari che rischia il trasferimento per incompatibilità ambientale. Al pari di Fabio De Pasquale il procuratore aggiunto indagato a Brescia insieme al collega Sergio Spadaro nel frattempo approdato alla procura europea. Il prossimo 17 febbraio, anniversario dell’arresto di Mario Chiesa, ci sarà niente da celebrare anche se la procura di Milano continua a godere di ottima stampa. Il Corriere della Sera non smette di scrivere che è stata un baluardo dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura. 30 anni fa i grandi editori italiani sotto schiaffo del pool per altre loro attività appoggiarono Mani pulite il che permise loro di “farla franca” per dirla con Davigo. Insomma la riconoscenza esiste ancora in questo mondo.
(frank cimini)
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Greco e Davigo s’erano tanto amati e pure armati
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“Mani pulite per chi non c’era” Leggete ma sappiate che…
“Tangentopoli per chi non c’era”, 174 pagine a 15 euro, editore Nutrimenti, scritto dal bravo cronista de Il Giorno Mario Consani. Leggetelo ma sappiate che… La corruzione c’era anche prima del 1992 quando le procure, in testa quella di Milano (e c’era già Santo Francesco Saverio Borrelli) facevano finta di non vederla. Per accorgersene nel mitico 1992 con una politica indebolita alla quale le toghe saltarono al collo per riscuotere il credito acquisito ai tempi della madre di tutte le emergenze quando iniziò l’opera di ridimensionamento della Costituzione a vantaggio di una Carta materiale adeguata alle leggi varate contro la sovversione interna.
Fu uno scontro tra le classi dirigenti del paese, in cui la politica scelse di suicidarsi abolendo l’immunità parlamentare sotto la forma dell’autorizzazione a procedere e consegnandosi ai magistrati ai quali anni prima aveva dato troppo potere delegando loro completamente “la lotta al terrorismo”.
Sappiate che Mani pulite godette di buona stampa, ottima direi, perché gli editori dei giornaloni trovandosi sotto lo schiaffo del mitico pool appoggiarono l’inchiesta per farla franca, usando l’espressione cara a Pierbirillo Davigo. Fu un do ut des un accordo corruttivi nel nome della lotta alla corruzione.
I grandi imprenditori italiani prima si misero d’accordo con i politici per fare i soldi e poi con i giudici per non andare in galera. I poteri forti in primis quello economico finanziario ne uscirono indenni. Fiat, Mediobanca tanto per non fare nomi. “Nel caso il dottor Di Pietro decidesse di fare un giro dalle parti di via Filodramnatici io lo accompagnerei volentieri” disse l’avvocato Giuliano Spazzali al tele processo Cusani. Di Pietro quel giro ovviamente non lo fece.
L’unico grande imprenditore investigato a fondo ebbe guai perché costretto a fare politica direttamente a causa dei debiti delle sue aziende. Lui che all’inizio dimostrò di averci capito molto poco appoggiando l’inchiesta che era “il nuovo” come lui del resto. E dopo 30 anni è ancora lì ma sempre e solo per un motivo, tutelare la sua roba.
Pure la procura di Milano è ancora lì ma come un ufficio allo sbando dilaniato da guerre interne e da processi persi dopo aver puntato le proprie carte su testimoni di accusa improbabili. In attesa di un “Papa straniero” e del trentesimo anniversario di una grande farsa dove l’inchiesta che avrebbe dovuto rivoltare il paese come un calzino ebbe come uomo simbolo un magistrato che viveva a scrocco degli inquisiti del suo ufficio. Prosciolto a Brescia sulla base di un comunicato dell’Anm che per la prima volta nella sua storia si schierò con l’indagato. Ovviamente fu anche l’ultima. (frank cimini) -
L’addio di Greco alla mitica procura, storia Amara
Domani davanti all’aula magna del triplice resistere di Borrelli “come sulla linea del Piave” il procuratore Francesco Greco desiste con il brindisi di addio per andare in pensione nel momento più difficile della storia della procura che fu di Mani pulite e nella consapevolezza che stavolta con ogni probabilità “passerà lo straniero”.
Per la prima volta da tempo immemore il nuovo procuratore arriverà da fuori Milano. Non sarà un magistrato interno al palazzo costruito dal Puacentini. Il cosiddetto “Papa straniero”. Greco lascia dopo aver visto 57 magistrati del suo ufficio rivoltarsi contro di lui dando solidarietà a Paolo Storari e di fatto impedendone il trasferimento dopo che aveva consegnato i verbali di interrogatorio dell’avvocato Piero Amara all’amico Piercamillo Davigo membro del Csm voglioso di vendetta nei confronti dell’ex alleato Ardita.
Una storia davvero Amara, amarissima, e che non fa benissimo come nello spot del famoso liquore. Mezza procura è indagata a Brescia e serve a poco che per il procuratore in uscita per quiescenza sia stata chiesta l’archiviazione in relazione alla tardiva iscrizione nel registro degli indagati delle persone chiamate in causa da Amara. Loggia Ungheria. Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro i pm del processo Eni finito con una raffica di assoluzioni rischiano il rinvio a giudizio. Così pure l’aggiunto Laura Pedio. Greco e Davigo sono alle denunce reciproche.
Ma al di là dei risvolti penali c’è una procura da tempo allo sbando dove il procuratore per il modo in cui aveva organizzato l’ufficio aveva concentrato su di de critiche lamentele e proteste. Che sono diventate di pubblico dominio con la fine del processo Eni quando Storari scrisse in risposta a Greco un messaggio molto chiaro: “Francesco non prendiamoci in giro”.
L’ex mente finanziaria del pool Mani pulite ha avuto un fine carriera senza gloria. E mentre si avvicina a grandi passi il trentesimo anniversario del terremoto politico giudiziario sarebbe meglio per tutti chiedersi se pure quella fu vera gloria. Una ragione ci sarà se allora arrestarono a destra e a manca per rivoltare l’Italia come un calzino e ora si arrestano tra loro. La corruzione c’era anche prima del 1992 e le procure in testa Milano avevano fatto finta di non vederla. Poi improvvisamente la scoprirono perché la politica si era indebolita al punto da poter essere aggredita per riscuotere il credito acquisito dai magistrati ai tempi della madre di tutte le emergenze. Quando Francesco Greco era stato un giovane magistrato rivoluzionario militando in una pattuglia minoritaria ma combattiva che dall’interno di Md si opponeva alle leggi e alle pratiche dell’emergenza. Una emergenza che non è mai finita diventando prassi normale di governo. E con Francesco Greco ormai uomo di potere. Si nasce incendiari e si muore pompieri. Ma per fortuna non vale per tutti. Per tanti si, purtroppo.
(frank cimini) -
In attesa del “papa straniero” ecco la storia del passato
Alla vigilia, ma in realtà ci vorranno mesi, di quello che potrebbe essere un avvenimento epocale come l’arrivo del cosiddetto “papa straniero” a capo della procura di Milano vale la pena di ricordare cosa è accaduto negli ultimi quarant’anni e passa.
Nel 1977 quando chi scrive queste povere righe iniziò a frequentare il palazzo di giustizia come collaboratore abusivo e non pagato (diciamo per militanza) del Manifesto il capo dei pm era Mauro Gresti passato alla storia per aver dato e non avrebbe dovuto farlo l’ok per il passaporto al banchiere Roberto Calvi. Di Gresti si racconta pure che la moglie fosse solita rimproverarlo quando portava fuori il cane “perché per ammazzare te mi ammazzano anche lui”.
Il successore di Gresti fu Francesco Saverio Borrelli il santo procuratore della farsa di Mani pulite targato Magistratura Democratica dalla quale però a un certo punto prese le distanze. Un giudice di quei tempi era solito etichettare Borrelli come “quello che fa proclami al popolo”.
Borrelli al termine del mandato scese al terzo piano a fare il procuratore generale cioè il superiore gerarchico e il controllore dello stesso ufficio inquirente che aveva diretto per anni. Ma si tratta di “dettagli” di cui il Csm, che di solito fa cose anche peggiori, non si è mai voluto interessare.
Del resto anche Manlio Minale fece lo stesso percorso scendendo di piano senza che la cosa suscitasse attenzione. Minale quando aveva già fatto la domanda per diventare pm era il giudice che in corte d’Assise condannò Sofri. Avrebbe mai potuto smentire l’ufficio in cui stava per entrare?
Ma prima di Minale il capo era stato Gerardo D’Ambrosio, lo zio Gerry, colui che da giudice istruttore aveva cercato di salvare l’onore e l’immagine della questura ricorrendo al “malore attivo” dell’anarchico Pinelli. D’Ambrosio in Mani pulite salvava il Pci Pds spiegando che Primo Greganti aveva usato i soldi non per il partito ma per comprare una casa. Ma da Montrdison Greganti aveva incassato 621 milioni di lire esattamente la stessa cifra data agli emissari di Psi e Dc. Misteri di Mani pulite.
Dopo D’Ambrosio arrivò Edmondo Bruti Liberati uno dei fondatori di Md il quale contrariamente a quelli che erano stati i valori e lo spirito originario della corrente fece fino in fondo “il padrone” del quarto piano cacciando Robledo che voleva indagare su Expo ma per salvare la patria dell’evento non si poteva.
Francesco Greco suo ex delfino ha continuato l’opera di Bruti incagliandosi alla fine nel caso Eni Nigeria.
Siamo alla storia di questi giorni. Greco era stato sempre “coperto” dal CSM. Ricordiamo che poco tempo prima di essere nominato procuratore aveva chiesto una serie di archiviazioni in procedimenti di tipo fiscale. Il gip ragione gettava le richieste e a quel punto interveniva la procura generale della Repubblica avocando a se’ i fascicoli.
In alcuni di questi casi si arrivava alla condanna attraverso il patteggiamento. Insomma veniva completamente ribaltato quello che Greco aveva prospettato. In casi del genere il Csm è chiamato ad andare a verificare. Non accadeva nulla.
Greco insieme al pg della Cassazione Salvi evidentemente pensava di risolvere la questione Eni-Amara facendo trasferire Storari. Stavolta non ha centrato l’obiettivo.
Il 14 novembre va in pensione, forse anche prima se in lui dovesse prevalere la saggezza. Insomma aspettiamo “il Papa straniero”.
(frank cimini) -
Greco la rivoluzione, Mani pulite e i guai di fine corsa
Si nasce incendiari e si muore pompieri. Non vale certo per tutti ma per molti decisamente si. Vale per il procuratore capo di Milano Francesco Greco che da giovane pm fece parte di una sparuta ma combattiva pattuglia di magistrati che tra Roma e Milano come “sinistra di Md” si oppose strenuamente all’emergenza antiterrorismo, alle leggi speciali. Greco scriveva su “Woobly collegamenti” un foglio dell’area dell’Autonomia e insieme a chi verga queste povere righe, a Gianmaria Volonte’, al libraio Primo Moroni, a magistrati e avvocati prese parte a un collettivo, “il gruppo del mercoledì” impegnato a perorare la causa dell’amnistia per i detenuti politici.
Insomma ne è passata di acqua sotto i ponti per arrivare ai giorni nostri, gli ultimi della carriera di Francesco Greco che il 14 novembre andrà in pensione dopo aver fatto cose molto diverse, eufemismo, dal contenuto delle sue idee giovanili.
Greco fu la cosiddetta “mente finanziaria” del pool Mani pulite, una nuova emergenza dove recitò fino in fondo il ruolo di chi stava dalla parte di una categoria che approfittando del credito acquisito anni prima saltava al collo della politica per dire “adesso comandiamo noi”.
Stiamo parlando di un magistrato che diede un enorme contributo ai mille pesi mille misure dell’inchiesta che avrebbe dovuto stando alle aspettative cambiare in meglio il paese. E invece tanto per fare un esempio Sergio Cusani che non aveva incarichi e nemmeno firme sui bilanci in Montedison prese il doppio delle pene riservate ai manager Sama e Garofano.
Greco è stato il delfino di Edmondo Bruti Liberati, storico esponente di Md corrente nata a metà degli anni ‘60 teorizzando l’orizzontalita’ negli uffici giudiziari ai danni della verticalità. Bruti con al fianco Greco e supportato dal capo dello Stato e presidente del Csm Giorgio Napolitano usò tutta la verticalità possibile nello scontro con l’aggiunto Alfredo Robledo esautorato e trasferito perché voleva fare le indagini su Expo.
E da quello scontro interno alla procura di Milano è derivata la linea generale del Csm che adesso lascia i capi delle procure liberi di scegliersi gli aggiunti senza interferire e rinunciando in pratica al suo ruolo.
Tanto è vero che Greco riusciva a far nominare tra i suoi vice Laura Pedio che aveva titoli di gran lunga inferiori a quelli di Annunziata Ciaravolo. Ciaravolo aveva preannunciato a Greco la propria candidatura e il capo della procura aveva dato l’ok. Poi, è storia nota, Greco chiedendo l’appoggio di Palamara riusciva a ottenere il grado per la sua protetta.
Adesso la rogatoria eseguita in Nigeria dall’aggiunto Pedio per il caso Eni è al centro di uno scontro furibondo con la procura di Brescia che chiede quelle carte nell’ambito dell’inchiesta sui pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Greco ha risposto picche spiegando che gli atti fanno parte di una istruttoria in corso coperta da segreto. Il procuratore di Brescia Francesco Prete, in questa lotta a chi ce l’ha più duro, si è rivolto al Governo che dovrebbe chiedere lumi alla Nigeria. Lo stato africano avendo fornito assistenza alla procura di Milano non dovrebbe creare problemi per il passaggio delle carte anche a Brescia. Ma nella vicenda Eni che sta facendo vivere alla procura milanese e al suo capo i giorni più difficili della sua storia nulla è scontato.
(frank cimini) -
I nostalgici di Mani pulite non salvano la procura
I nostalgici di Mani pulite con il ricordo dei bei tempi che furono non salvano la mitica procura dai guai in cui è coinvolta adesso. E per una ragione molto semplice. Quelli non furono bei tempi perché i codici e le procedure furono usati come carta igienica per un’operazione di potere. Altro che dire “ai tempi di Borrelli non sarebbe accaduto”.
I fan della grande farsa di trent’anni fa non potendo negare che la procura di Nilano sta vivendo momenti difficili ricorrono al passato rimpiangendo i vecchi tempi. Adesso c’è un pm che sospettando violazioni da parte del suo ufficio non le denuncia in maniera formale ma prende copie di interrogatori dal suo computer per consegnarle a Davigo uno dei protagonisti del 1992-1993 di cui si fida in modo particolare. E neanche Davigo dal CSM fa azioni formali. Si limita a parlarne con chi di dovere. Insomma siamo alle cose aumma aumma, senza alcun rispetto delle norme e delle procedure.
E dove era il rispetto di norme e procedure anche ai tempi di Mani pulite quando si arrestavano gli indagati per farli parlare? Quando si decideva di fare accertamenti perquisizioni e sequestri solo quando conveniva operando secondo mille pesi e mille misure. Lasciando da parte poteri forti come la Fiat e Mediobanca, rinunciando a fare indagini serie sul Pci PDS non in omaggio alle toghe rosse ma solo perché una sponda politica all’indagine era pur necessaria per andare oltre e evitare che la politica tutta facesse blocco contro gli inquirenti.
I guai allora furono evitati perché c’era il grande consenso di un’opinione pubblica fortemente condizionata dai giornali di proprietà di editori che per altre loro attività di imprenditori erano sotto lo schiaffo del mitico pool. Per cui fu facile mettere la polvere sotto il tappeto e zittire quei pochi che dissentivano.
Adesso è meno facile perché l’affaire ruotante intorno all’avvocato Amara arriva dopo il caso Palamara che ha ridotto in modo sensibile la credibilità dell’ordine giudiziario e dei suoi organi a iniziare dal Csm. Ma non ci sono casi Amara o Palamara. C’è un caso magistratura dal quale lor signori cercheranno probabilmente anche con successo di uscire con la solita logica dei capri espiatori. Daranno tutte le colpe solo al pm Storari, alla segretaria del Csm e a Davigo che ormai fuori dai giochi conta più niente (frank cimini) -
La ghigliottina di Mani pulite tradotta in ritardo di 20 anni
Negli anni 90 nemmeno la Mondadori di Silvio Berlusconi impegnato in un duro conflitto con la magistratura che dura ancora oggi accettò di tradurre “Italian guillotine”scritto da Stanton H. Burnett e Luca Mantovani uscito negli Stati Uniti e punto.
La lacuna è stata colmata solo adesso da Aracne edizioni, 345 pagine, 18 euro. “Da libero cittadino trovo intollerabile che i miei connazionali vengano privati del diritto di conoscere riflessioni riguardanti l’Italia indipendentemente dal loro contenuto e da chiunque le abbia formulate“ scrive Marco Gervasoni nella prefazione.
E il problema è proprio questo. Per oltre 20 anni l’opinione pubblica è stata privata della conoscenza di una riflessione molto critica su una importante operazione politico-giudiziaria. Questo sia chiaro comunque la si pensi.
Chi scrive queste poche righe per esempio non crede che Mani pulite fu un colpo di Stato ma semplicemente la vicenda di una magistratura che andò all’incasso del credito acquisito anni prima quando tolse le castagne dal fuoco per conto della politica risolvendo la questione della sovversione interna.
Le carcerazioni preventive al fine di ottenere confessioni ma soprattutto chiamate di correo, i due pesi e due misure dell’indagine sono un fatto ormai acclarato anche se all’epoca fummo in pochi a parlarne e a scriverne oltre che additati come “amici dei ladri”.
La corruziine c’era e come anche prima del 1992 ma le procure in testa quella di Milano facevano finta di non vederla. Perché evidentemente non era ancora il momento. L’ora ics scattò nel momento in cui la politica si indebolì e le toghe le saltarono al collo gridando “adesso comandiamo noi”. E comandano ancora adesso. Basta vedere come la categoria sta chiudendo la vicenda del CSM con il capro espiatorio Luca Palanara il quale avrebbe fatto tutto da solo. Contribuendo però per esempio alla nomina di 84 colleghi al vertice di uffici giudiziari. 84 complici tutti assolti in via preventiva perché se no si rompe il giocattolo.
”La ghigliottina italiana” è assolutamente da leggere. Vale per chi allora c’era e per chi non c’era. Per cercare di trarne utili lezioni per il futuro. (frank cimini)
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Mani pulite, 25 anni fa la grande farsa. E non è finita…
“Intervista Borrelli”. “Intervista D’Ambrosio”. Dai capi dei giornaloni era un continuo di richieste ai loro uomini (e donne) sul campo. “Intervista su che?”. “Su quello che vogliono loro”. E andò a finire a un certo punto che a Borrelli e D’Ambrosio furono sollecitati pareri persino sull’America’s Cup di vela.
C’era un paese ai piedi di quattro signori del quarto piano che avevano vinto un concorso. Correva l’anno 1992. La corruzione c’era pure prima del mitico ’92, solo che le procure, Milano in testa, avevano fatto finta di non vederla. Poi “all’improvviso” le toghe si svegliarono. Perché la politica era diventata debole e perché la magistratura aveva da incassare il credito acquisito un po’ di lustri prima quando le era era stato delegato il compito di risolvere la questione della sovversione interna (“anni di piombo” ,”terrorismo” definizioni anche tecnicamente sbagliate ma lasciamo perdere).
Le toghe saltarono al collo dei politici gridando: “Adesso comandiamo noi”. E così fu. Mani pulite, un regolamento di conti all’interno della classe dirigente di un paese, con la scusa della “lotta alla corruzione”. L’azione penale fu essercitata fino in fondo a macchia di leopardo secondo convenienze e opportunità della magistratura. La fecero franca i grandi imprenditori che erano editori dei giornali i quali appoggiarono l’inchiesta sapendo di avere scheletri negli armadi. Un do ut des in piena regola. Su Fiat si fece finta di indagare, su Mediobanca neanche quello. L’editore di Repubblica se la cavò con un buffetto. Tutto a scapito dei politici che pagarono a eccezione di un partito, quello che poi manderà in Senato via Mugello l’uomo simbolo di Mani Pulite, molto attivo nel vivere a scrocco degli inquisiti del suo ufficio, insomma un esempio di alta moralità.
E non fu una questione di toghe rosse. L’operazione aveva bisogno di una sponda politica per evitare in caso di indagini vere su tutti il varo di un’amnistia da parte del Parlamento.
Due pesi due misure, l’utilizzo della custodia cautelare per ottenere confessioni, ammissioni, “per avere l’osso”. Folle vocianti e acclamanti in corso di porta Vittoria, bandiere e simboli di tutti i partiti dall’Msi al Leoncavallo. “Di Pietro non mollare”. “Borrelli facci sognare”. Le telecamera in prima fila erano quelle di Berlusconi che in realtà non aveva capito nulla, visto che sarà poi l’unico grande imprenditore ad essere inquisito fino in fondo dal momento della discesa in campo.
Tonino da Montenero iniziò anche a delirare: “Mani pulite nel mondo”. Poi clamorosamente lasciò. “Mi tiravano per la giacchetta” fu una delle 752 versioni dei fatti che diede. Ma contro non c’erano “veleni”, come ancora oggi sostengono gli orfani della grande farsa, ma fatti veri, dai prestiti a babbo morto alle auto ai cellulari con bolletta pagata. A livello penale si salvò a Brescia, complice un comunicato con cui l’Anm per la prima volta nella sua storia si schierò con l’indagato. Ovviamente fu anche l’ultima.
Mani pulite servì alla magistratura per aumentare il suo potere nei confronti di una classe politica che arrivò perfino a suicidarsi abolendo l’autorizzazione a procedere e a un singolo magistrato per arricchirsi fino all’Italia dei valori immobiliari
E’ cambiato qualcosa? Poco. La corruzione c’è sempre. Allora i magistrati acquisivano potere soprattutto facendo le indagini o facendo finta di farle, adesso anche non facendole. La moratoria Expo è in stile Mani pulite. Expo insomma è la Fiat del terzo millennio. Berlusconi si scontrava con le toghe e lo fa ancora oggi perchè non lo lasciano in pace nemmeno in camera da letto. Renzi ringrazia la procura di Milano “per il senso di responsabilità istituzionale” che ha permesso a Peppino Sala di diventare sindaco di Milano direttamente dalla gestione di Expo. Non tutti i conflitti di interessi sono uguali perché alcuni sono a fin di bene, come del resto certi reati. (frank cimini)
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Moratorie, Expo è la Fiat del terzo millennio
Expo è la Fiat del terzo millennio. La moratoria sulle indagini relative all’esposizione non è certo una novità. Tutto vecchio. Accadde già nel corso della finta rivoluzione di Mani pulite con la Fiat. Correva l’anno 1993. Una riunione nell’ufficio dell’allora capo della procura Borrelli con gli avvocati della multinazionale, in testa Giandomenico Pisapia, il padre del sindaco di Milano, e zac. Via tutto. Nonostante Cesarone Romiti avesse presentato un elenco di tangenti pagate molto lacunoso (eufemismo). C’era un pericolo di inquinamento probatorio enorme. Non solo Romiti non finì a San Vittore (sempre bene quando non si usano le manette ma deve valere sempre e per tutti). Finirono le indagini, gli accertamenti, le perquisizioni, gli interrogatori, le iscrizioni nel registro degli indagati.
E la Fiat non fu l’unico colosso a essere miracolato. Il discorso fu lo stesso per la Cir di Carlo De Benedetti, per Mediobanca che fece un solo boccone di Montedison. Memorabili le parole dell’avvocato Giuliano Spazzali durante il teleprocesso a Sergio Cusani: “Se il dottor Di Pietro decidesse di andarsi a fare un giro dalle parte di via Filodrammatici io lo accompegnerei volentieri”. Tonino da Montenero di Bisaccia se ne guardò bene. Last but not least, la deposizione dell’allora ad dell’Eni, Franco Bernabè. “L’abbiamo finita con la pratica delle società off-shore?” fu la domanda del pm che sognava Mani pulite nel mondo. “La stiamo finendo” fu la risposta che confessava un reato in flagranza. Ma accadde nulla. (altro…)
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Agente provocatore e pentiti, le idee dell’ex pm di Mani pulite
Ci vuole un agente provocatore che vada in giro a offrire soldi a un pubblico ufficiale e farlo arrestare se accetta. E impunità totale per il corrotto o corruttore che per primo collabora con l’accusa. Sono le idee dell’ex pm di Mani pulite ora giudice in Cassazione Piercamillo Davigo, espresse in occasione del congresso nazionale della casta togata, l’Anm, a Bari. E’ grave che un giudice che dovrebbe essere terzo ( ma non in graduatoria) faccia proposte del genere. Le sue parole sono l’ennesima dimostrazione della necessità di separare le carriere, un progetto destinato a restare inattuato in un paese in cui i pm spadroneggiano al Csm e tengono per le palle un’intera classe politica che da parte sua fa di tutto per essere sempre più impresentabile.
Con agenti provocatori e pentiti, chi indaga avrebbe la possibilità di lavorare ancora meno rispetto ad oggi. Ovviamente contano zero i danni irreparabili che la legislazione premiale ha fatto allo stato di diritto, varata da un parlamento che delegò interamente ai magistrati la risoluzione della questione relativa alla sovversione interna degli anni ’70 e ’80. Ai magistrati va bene, anzi di lusso, così, considerando che quello fu l’inizio della fine perché accadde che proprio in virtù del credito acquisito poi nel 1992 le toghe andarono all’incasso e dissero: “Adesso comandiamo noi”.
Con la proposta di impunità totale i magistrati ci provarono già nel 1994, nel pieno della falsa rivoluzione, ma non ce la fecero. Ora ci riprovano perché lor signori in toga non demordono. L’obiettivo è di accrescere ulteriormente il potere che hanno, allargando la repubblica penale a dismisura. Insomma Mani pulite, quasi un quarto di secolo dopo, continua a fare danni.
“Ci vogliono delegittimare” ha gridato anche lui da Bari il numero uno dell’Anm, Sabelli, che evidentemente non ha la bontà di leggersi gli atti della guerra interna alla procura di Milano, perché scoprirebbe che i magistrati si delegittimano da soli perché emerge chiaro che fanno valutazioni politiche. E’ il “rimprovero” che i pm di Brescia hanno messo nero su bianco a proposito di Bruti Liberati, pur assolvendolo dall’accusa di abuso d’ufficio. Ma non è successo nulla. L’omertoso Csm ha taciuto, così l’Anm. Siamo nel paese in cui il capo del governo, parlando del “successo” di Expo ha ringraziato la procura milanese “per la sensibilità istituzionale”. Cioè per la moratoria delle indagini sull’evento, assurto a patria da salvare. Ma di abolire l’ipocrisia dell’obbligatorietà dell’azione penale non si può parlare. Chi controlla i controllori? Nessuno. (frank cimini)
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Sky1992, mancano i congiuntivi massacrati dall’Eroe e tanto altro
L’attore che impersona l’Eroe di Mani pulite parla un italiano molto corretto, troppo, ripensando ai congiuntivi massacrati allora e pure adesso da Tonino da Montenero di Bisaccia. E manca tanto altro, tantissimo, considerando che si ha la pretesa da parte di Sky di raccontare a chi allora non c’era cosa accadde nel mitico 1992.
Sembra che la storia del mondo inizi con l’arresto di Mario Chiesa. Bisognava spiegare innanzitutto che la corruzione c’era pure prima del 1992 e che gli uffici giudiziari, compresa la procura di Milano che poi per anni avrà in mano le sorti del paese e per certi versi ce l’ha ancora purtroppo, facevano finta di non vederla.
Perché non era ancora scattata l’ora x, il momento propizio. Che poi arriva. Accade, al di là dei riferimenti alla caduta del muro di Berlino, quando le toghe si rendono conto che la politica si è indebolita, che ha meno consenso tra la “gggente”. A quel punto scatta l’aggressione, perché i magistrati hanno da andare all’incasso, riscuotere il credito acquisito anni prima quando i politici delegarono completamente la risoluzione del problema relativo alla sovversione interna, il cosiddetto “terrorismo”.
E’ la storia dell’infinita emergenza italiana diventata prassi di governo dagli “anni di piombo” passando per i professionisti dell’antimafia fino a Mani pulite e oltre. Con il codice di procedura penale usato come carta igienica, la carcerazione preventiva finalizzata ad acquisire prove.
E speriamo che dalle prossime puntate emerga il ruolo dei giornali che erano di proprietà di imprenditori non certo editori puri che erano sotto schiaffo da parte del pool per le loro attività e che appoggiarono l’inchiesta in cambio dell’impunità. Un do ut des perfetto. Speriamo. L’inizio della fiction non promette nulla di buono. Anzi (frank cimini)
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Addio a Lo Giudice, fu legale di Craxi.
Ostinatamente, un avvocato.Quando gli avvocati milanesi sfilavano davanti alla porta di Antonio Di Pietro implorando un salvacondotto in cambio di una confessione, tra i loro colleghi a scandalizzarsi, a chiamarsi fuori da quel rituale un po’ avvilente, erano in pochi. Enzo Lo Giudice, morto questa mattina nella sua casa calabrese, era uno di questi. Per cultura giuridica, per formazione politica, per carattere, andare a baciare la pantofola del pm superstar sarebbe stato per lui un insulto a sè medesimo. E da questo punto di vista si trovò in piena sintonia con il suo assistito più importante di quegli anni: Bettino Craxi, segretario del Partito socialista, che dello scontro frontale e senza esclusione di colpi con i magistrati del pool Mani Pulite aveva fatto la sua unica strategia difensiva.
Andò a finire come è noto: Craxi sommerso dai mandati di cattura e poi dalle condanne, fuggiasco nella villa di Hammamet. E Lo Giudice, con il suo collega Giannino Guiso, ostinati a difenderlo nelle aule di processi sempre più scontati nell’esito e sempre più vani nelle conseguenze concrete. Un po’ rassegnati, Lo Giudice e Guiso, ma ancora con la fierezza dei vecchi del mestiere, convinti di testimoniare non la innocenza di Craxi ma l’orgoglio di una professione.
Sono passati vent’anni, Lo Giudice ha continuato a portare la toga e a lottare, ma – come per tutti i protagonisti della stagione di Tangentopoli – quell’epoca straordinaria gli è rimasta cucita nell’anima, e quella battaglia è una medaglia che si porterà appresso nel paradiso degli avvocati che sanno fare il loro lavoro. (orsola golgi)

