Tag: Terrorismo

  • Estradizioni, Pg e Macron giocano l’ultima carta

    La procura generale di Parigi non demorde. Ha formalizzato l’impugnazione della decisione con cui il 29 giugno scorso la corte d’Appello sezione istruttoria aveva rigettato la richiesta di estradizione in Italia per dieci ex appartenenti a gruppi della lotta armata responsabili di fatti reato che risalgono a 40 anche 50 anni fa.
    Dunque formalmente tutto ritorna in discussione in attesa della decisione della Cassazione per Giorgio Pietrostefani il dirigente di Lotta Continua condannato come mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi da tempo in precarie condizioni di salute, per gli ex brigatisti Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella, Sergio Tornaghi, Maurizio di Marzio, Enzo Calvitti, per l’ex militante di Autonomia Operaia Raffaele Ventura, per l’ex militante dei Proletari Armati per il Comunismo Luigi Bergamin e per Narciso Manenti dei Nuclei Armati per il contropotere territoriale.
    Va ricordato che la procura di Parigi esercitando il ruolo dell’accusa nel corso dei quindici mesi di udienze non aveva concluso con la richiesta di dare avviso favorevole all’estradizione come era quasi sempre accaduto in situazioni del genere. La procura della capitale francese aveva sollecitato un supplemento di informazioni all’Italia e chiesto se il nostro paese fosse in grado di celebrare nuovamente i processi degli estradandi perché in passato erano stati condannati in loro assenza.
    L’Italia sul punto non ha mai dato una risposta certa perché a causa della differenza di ordinamenti tra Il nostro paese e la Francia non si poteva procedere in tal senso. Oltralpe non sono possibili deroghe alla contumacia per cui la corte d’Appello decideva che in Italia nella lotta al terrorismo era stato violato il principio del doppio processo. Inoltre la richiesta di estradizione presentata a tanti anni dai fatti violava pure la vita privata di persone residenti da tempo in Francia.
    A questo punto però la procura generale che in Francia dipende dal ministero della Giustizia ha scelto di giocare l’ultima carta anche se ricorsi del genere davanti alla Cassazione nella lunga storia dei processi estradizionali non hanno mai ribaltato la situazione.
    La decisione di impugnare ha un sapore molto politico nel senso di cercare di tener fede all’impegno che il presidente Macron e il ministro della giustizia Dupont Moretti avevano preso con l’Italia nel momento in cui il guardasigilli Marta Cartabia aveva inoltrato le richieste mettendo tra l’altro in pratica una precisa volontà del presidente Mattarella che il giorno del ritorno di Cesare Battisti aveva annunciato: “E adesso gli altri”.
    (frank cimini)
  • Su Sky documentario su tortura a difesa della democrazia

    “Mi torturavano mentre firmavano trattati internazionali contro la tortura”. C’è voluto quasi mezzo secolo perché Enrico Triaca arrestato nell’ambito delle indagini sul caso Moro potesse andare in tv a raccontare dove e come fu torturato al fine di estorcergli informazioni. Sul canale 122 di Sky lunedì 13 giugno (possibile vederlo on demand) è andato in onda un documentario sul sequestro del generale americano James Lee Dozier e su altri fatti di lotta armata a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80.
    All’epoca Enrico Triaca per aver denunciato le torture venne condannato per calunnia. Soltanto pochi anni fa con la revisione del processo è stato assolto. I torturatori, in testa il funzionario di polizia Nicola Ciocia, “il professor De Tormentis” l’hanno fatta franca per utilizzare il linguaggio di un famoso magistrato perché ovviamente era intervenuta la prescrizione.
    “Dalla questura dove c’era stato un interrogatorio molto blando mi portarono in una struttura che credo fosse una caserma, mi legarono a un tavolo e così iniziò il trattamento” sono le parole di Triaca che ricorda la tecnica solita in casi del genere del finto annegamento. Al “trattamento”, considerati gli scarsi “risultati” pose fine un superiore del professor De Tormentis che invece avrebbe voluto continuare.
    Il documentario di Sky rende almeno in parte pan per focaccia a chi continua a raccontare la favola del “terrorismo sconfitto senza fare ricorso a leggi e pratiche eccezionali”. Una posizione ribadita in tempi recenti dall’ex ministro Minniti il quale una certa responsabilità politica per quanto capitato ai migranti nei campi libici non può non averla.
    La vera tragedia è politica e riguarda il fatto che le torture ai migranti non hanno provocato cortei e proteste nelle piazze. Come del resto nulla sembra destinato a spostare il documentario di Sky sulle torture inflitte ai responsabili di fatti di lotta armata oltre quarant’anni fa.
    Se il nostro paese non ha tuttora una legge adeguata a sanzionare la tortura come reato tipico del pubblico ufficiale una ragione c’è. E si tratta ancora una volta di una ragion di Stato che neanche il documentario del canale 122 riuscirà a scalfire. Alcuni condannati per il sequestro e le torture all’imam Abu Omar sono stati graziati in parte da Giorgio Napolitano e in parte da Sergio Mattarella. Insomma, torturare non è che sia proprio vietato.
    Speriamo che a chi oggi ha 20 anni o 30 e anche 40 sia utile la visione del documentario di Sky che comunque ha la grave lacuna di non aver contestualizzato storicamente i fatti come accade sempre soprattutto in tv quando si parla di quella storia maledetta. Terminiamo con Triaca ricordando che l’anno scorso è stato tra quelli ai quali hanno preso il Dna perché la procura di Roma è sempre a caccia di improbabili complici e di misteri inesistenti.
    (frank cimini)

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  • Moro, l’archivio sotto un dominio pieno e incontrollato

    Oggi un anno. Un anno fa il sequestro. Il sequestrato si trova sotto un dominio pieno e incontrollato. Parafrasiamo quanto scrisse Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse perché a essere sequestrato l’8 giugno del 2021 fu l’archivio del ricercatore Paolo Persichetti sulla base di presunte molto presunte violazioni di segreti. Che infatti sono state escluse dal perito nominato dal giudice secondo il quale nell’archivio del ricercatore indipendente non c’erano atti coperti da segreto della commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro.
    Ma nonostante ciò l’archivio non è stato dissequestrato. Sono state resitituite solo due pendrive che tra l’altro non c’entravano nulla con Persichetti.
    L’archivio come dicevamo resta sotto il dominio di un’operazione di propaganda politica targata Magistratura Democratica, la corrente “di sinistra” alla quale appartengono sia il pm Eugenio Albamonte sia il gip Valerio Savio. L’indagine insomma continua, è senza confini, sempre a caccia di improbabili complici di misteri inesistenti relativi a servizi segreti di mezzo mondo che sarebbero stati dietro le Br per i fatti di via Fani.
    È una storia assurda che si spiega solo con la politica, attività a cui la magistratura italiana da tempo immemore dedica molto tempo e tantissime energie.
    L’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo era caduta praticamente subito. Del resto parliamo di una indagine nata a Milano su presunti favoreggiatori della latitanza di Cesare Battisti, archiviata senza neanche perquisire Persichetti come aveva chiesto la polizia. Il fascicolo è stato preso in carico a Roma dalla procura già nota per aver preso il Dna dei condannati per la strage di via Fani e altre persone a oltre 40 anni dagli accadimenti.
    Paradossalmente la ricerca storica indipendente pur avendo raggiunte le stesse conclusioni di cinque processi (dietro le Br c’erano solo le Br) viene criminalizzata. Siamo nel paese dove la Fondazione Flamigni che da decenni spaccia bufale dietrologiche sul caso Moro riceve finanziamenti pubblici. Dove il presidente della Repubblica ripete ossessivamente di ricercare la verità come se non avesse in qualità di capo del Csm il dovere di prendere atto degli esiti processuali.
    La caccia alle streghe continua. Il sequestro dell’archivio tra l’altro impedisce l’uscita del secondo volume della storia delle Br “Dalle fabbriche alla campagna di primavera” di cui Persichetti è coautore insieme a Marco Clementi e Elisa Santalena. Una sorta di censura preventiva. È tutto nel silenzio dei mezzi di informazione che di questa “strana” indagine non hanno mai sostanzialmente scritto al di là di qualche lodevole eccezione (frank cimini)

  • Caso Moro, siamo passati dai misteri ai miracoli

    Nel caso Moro siamo passati dai misteri inesistenti ai miracoli che si verificano. È comparsa improvvisamente una strana figura di cui mai si era avuto sentore in passato, quella di un tecnico del suono che come secondo lavoro per arrotondare fa il vice procuratore onorario al tribunale di Roma. Si chiama Mario Pescilavora per la Pantheon Sel che fornisce servizi tecnici a Radio Radicale. In sostanza si tratta di fare le registrazioni che l’emittente commissiona.
    Pesce era stato incaricato di registrare il 12 maggio scorso il dibattito relativo alla presentazione del libro di Paolo Persichetti “La polizia della storia” sulle fake news del caso Moro e sulla vicenda del sequestro dell’archivio più pericolo del mondo.
    Pesce era stato riconosciuto e mostrava di non gradire la circostanza e nemmeno la sua presenza sul posto. Avrebbe potuto chiedere di farsi sostituire. Mario Pesci invece andava a farsi un giro per poi tornare restandosene appartato. Alla fine affermava di aver registrato ma che il microfono non aveva funzionato. Bisogna considerare che i tecnici portano sempre del materiale di scorta come un secondo microfono.
    Insomma non c’è la registrazione del dibattito con l’autore del libro, la filosofa Donatella Di Cesare, l’avvocato Francesco Romeo. Esiste invece la possibilità di una singolare coincidenza, che si sia trattato di un sabotaggio al fine di evitare la divulgazione della registrazione. Non si può non considerare il secondo lavoro del signor Pesci. Lavora in quell’ufficio giudiziario che ha messo in piedi una indagine che non sta in piedi a carico di Paolo Persichetti. Il perito del giudice infatti ha accertato che non c’erano atti riservati della commissione Moro nell’archivio del ricercatore quindi non può esserci la violazione del segreto d’ufficio.
    Raccontiamo questa ulteriore storia di democratura relativa a un caso che dopo 44 anni non sembra voler smettere di sorprendere. Ma le sorprese continuano ad andare in una sola direzione.
    Perché ci sono uffici giudiziari e commissioni parlamentari che tentano in tutti i modi di andare oltre l’esito di cinque processi secondo i quali dietro le Br c’erano solo le Br. Perché lor signori insistono “a ricercare la verità” tanto per usare le patetiche parole di Mattarella. E per raggiungere l’obiettivo fanno carte false arrivando a impedire la registrazione di un dibattito su un libro di ricerca storica indipendente (frank cimini)

  • Moro per sempre… codici usati come proiettili

    La procura di Roma non demorde cambiando di nuovo l’accusa nella vicenda relativa al sequestro dell’archivio informatico di Paolo Persichetti. Siamo approdati al quinto capo di incolpazione dall’8 giugno il giorno del sequestro. Il pm Eugenio Albamonte di Magistratura Democratica torna a contestare il favoreggiamento di latitanti, ipotesi già bocciata lo scorso 2 luglio in sede di riesame insieme all’associazione sovversiva finalizzata al terrorismo.
    Il pm ha presentato una richiesta di incidente probatorio sulla quale dovrà decidere il giudice delle indagini preliminari che rigettando analoga richiesta da parte della difesa aveva bacchettato la procura osservando che non c’era un capo di incolpazione minimamente delineato.
    Siamo ai codici, penale e di procedura penale, utilizzati come proiettili contro la ricerca storica indipendente e lo stato di diritto nel silenzio complice di quasi tutti i media e della politica.
    Sembra una storia senza fine. L’avvocato Francesco Romeo difensore di Persichetti replica al pm accusandolo di sequestrare per cercare il reato e non come dovrebbe essere di sequestrare perché c’è un reato. Il legale insiste anche sull’impossibilità di contestare il favoreggiamento di latitanti in relazione a fatti per i quali Alessio Casimirri e Alvaro Lojacono sono già stati condannati all’ergastolo tra i responsabili della strage di via Fani e del sequestro dell’onorevole Aldo Moro.
    Persichetti avrebbe trasmesso per posta elettronica a Casimirri e Lojacono atti della commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro. Questi documenti erano stati etichettati come riservati da Giuseppe Fioroni presidente della commissione nonostante fossero destinati alla pubblicazione come parte della relazione a distanza di soli due giorni.
    Nell’indagine avviata dal pm Albamonte, sotto il coordinamento del procuratore capo Michele Prestipino, Fioroni è stato sentito come testimone di accusa. Tutta questa storia è frutto di un gioco di sponda tra procura, procura generale che aveva riaperto la caccia ai misteri inesistenti del caso Moro e la commissione parlamentare non rinnovata in questa legislatura ma che continua a far sentire il suo peso.
    Il problema è politico. Sotto inchiesta in realtà c’è la ricerca storica indipendente e il lavoro della procura con il sequestro dell’archivio impedisce di fatto la pubblicazione del secondo volume della storia delle Brigate Rosse “Dalle fabbriche alla campagna di primavera” di cui Persichetti è coautore insieme a Marco Clementi e Elisa Santalena. Il 17 dicembre è fissata l’udienza in cui il gip dovrà decidere sull’istanza di dissequestro. Va ricordata la recente circolare del Pg di Trento Giovanni Ilarda mandata anche al Pg della Cassazione in cui si chiedono criteri e pratiche uniformi a livello nazionale nel senso che in caso di sequestro di contenuti di pc e cellulari gli inquirenti una volta estratta la cosiddetta copia forense devono restituire tutto. A Persichetti non è stato ridato indietro niente dopo aver preso persino la certificazione medica del figlio diversamente abile.
    (frank cimini)

  • Moro, gip a pm: niente tempo da perdere soldi da buttare

    L’8 giugno scorso la polizia di prevenzione su ordine della procura di Roma sequestrava l’archivio di Paolo Persichetti nell’ambito delle infinite indagini sul caso Moro contestando i reati di associazione sovversiva e favoreggiamento di latitanti. Il 2 luglio il Riesame affermava che al massimo si poteva contestare il reato di violazione di segreto politico in relazione alla diffusione di atti della commissione parlamentare di inchiesta. Oggi il gip Valerio Savio ha negato accertamenti con la formula dell’incidente probatorio sull’archivio perché “manca una formulata incolpazionr anche provvisoria”. Cioè non c’è reato.
    Savio aggiunge che la decisione viene adottata allo scopo di evitare accertamenti non utili e anche costosi per l’erario. Cioè spiega il giudice che la giustizia non ha tempo da perdere e denari da buttare. Si tratta di una bocciatura su tutta la linea dell’indagine coordinata dal pm Eugenio Albamonte esponente di spicco della corrente di Magistratura Democratica e dallo stesso procuratore capo Michele Prestipino la nomina del quale era stata definita irregolare prima dal TAR e poi dal Consiglio di Stato.
    Il gip boccia in pratica una sorta di caccia ai misteri inesistenti che dura da quarant’anni e che viene praticata ora dalla sola procura di Roma dopo la “sparizione” della commissione parlamentare di inchiesta non rinnovata nella presente legislatura.
    “Sosteniamo dall’inizio che qui non c’è reato, la decisione del giudice conferma questo assunto – spiega l’avvocato difensore Francesco Romeo – Siamo di fronte alla ricerca del reato impossibile. Stiamo inseguendo dei fantasmi. I contenitori ci sono e li hanno indicati ma non basta citare le norme, la pubblica accusa deve circostanziare le condotte di reato ed è quello che da giugno a oggi non è venuto fuori. Si tratta di un’accusa senza pilastri”.
    Ma l’archivio storico di Persichetti resta sotto sequestro. La decisione di oggi del gip non basta a liberarlo. Adesso bisognerà aspettare l’esito del ricorso in Cassazione.
    Dice Persichetti: “Tre anni di indagini estremamente invasive per giunta ancora non concluse attraverso forzature continue, clonazione di telefonini, intercettazioni ambientali e pedinamenti costate migliaia di euro di soldi pubblici sono pervenute all’impossibilità di formulare una contestazione chiara e definita. Questa è la storia iniziata nel gennaio del 2019 da una grottesca indagine della Digos di Milano conclusa con una archiviazione ma subito ripresa dalla procura di Roma. Una caccia ai fantasmi una pesante intromissione nella ricerca storica e nel lavoro giornalistico”.
    Il sequestro dell’archivio tra l’altro ha avuto come conseguenza l’impossibilità di pubblicare il secondo volume della storia delle Brigate Rosse dal titolo “Dalle fabbriche alla campagna di primavera” di cui Paolo Persichetti è coautore con Elisa Santalena e Marco Clementi. Il volume due è dedicato alle fabbriche dove nacquero le Br con buona pace di inquirenti che inseguono dopo 43 anni i misteri di servizi segreti e affini andando a prelevare il DNA delle persone già condannate sperando di individuare “i complici”.
    (frank cimini)

  • Parigi, Italia sbaglia procedura su ex Br Di Marzio

    Le autorità italiane hanno scelto la procedura sbagliata per ottenere la consegna dell’ex militante delle Br Maurizio Di Marzio uno dei dieci rifugiati a Parigi che rischiano l’estradizione. Nell’udienza di mercoledì scorso in corte d’Appello a Parigi i difensori di Di Marzio hanno eccepito la scelta di procedere con ‘emissione di un mandato di arresto europeo, il Mae, invece di una richiesta formale di estradizione. L’avvocato francese Willuam Julie’ che rappresenta lo stato italiano ma la presenza del quale in udienza viene contestata dalle difese ha sostenuto che si tratta di un semplice errore correggibile in corso d’opera.
    Secondo Irene Terrel legale di Di Marzio va annullata l’intera procedura fin qui seguita e bisogna ripartire da zero. Sull’eccezione i giudici decideranno il prossimo 24 novembre.
    Le udienze per gli altri ex militanti italiani riprenderanno il prossimo 12 gennaio perché l’Italia deve completare i dossier in base ai quali chiede l’estradizione. Non si sa ancora se l’iter proseguirà convocando tutti nella stessa udienza oppure se le presenze saranno frazionate. Anche perché in relazione alla lunghezza del procedimento il giudice a latere aveva suscitato non poche perplessità chiedendo agli avvocati della difesa: “Non vorrete mica parlare ognuno per due ore?”. Si tratta di parole che rischiano di mettere fortemente in dubbio il diritto di difesa contingentando i tempi degli interventi. Con ogni probabilità al fine di garantire alle difese tutti i loro diritti sarebbe opportuno frazionare le presenze in udienza.
    (frank cimini)

  • Pacchi bomba, assolti pista anarchica distrutta a Genova

    Per Natascia Savio e Robert Firozpoor i pm avevano chiesto la condanna a 17 anni, per Giuseppe Bruna 18 anni e 4 mesi. Tutti accusati di terrorismo in relazione ai pacchi bomba intercettati con destinazione due magistrati di Torino è un dirigente del Dap. Si trattava dell’inchiesta Prometeo, pista anarchica, con l’appoggio di tutti i partiti e tutti i giornali. Oggi i giudici di Genova hanno deciso per l’assoluzione. Non hanno commesso il fatto. La pista anarchica non c’è più.
    La sentenza arriva dopo due anni e mezzo di carcere duro. I giudici hanno disatteso le richieste di condanna della procura antiterrorismo di Genova dando credito ai difensori che avevano parlato di indagini a senso unico. Dei tre imputati Bruna resta in carcere a causa di un’altra misura cautelare mentre gli altri due sono liberi. Natascia Savio aveva fatto un lungo sciopero della fame perché detenuta in una prigione troppo lontana dal suo difensore Claudio Novaro.
    Non è la prima indagine su gruppi anarchici che si rivela un flop. Era già accaduto di recente sia a Roma sia a Bologna, con le misure cautelari annullate dal Riesane e dalla Cassazione.
    A Genova è stato necessario arrivare alla sentenza di primo grado davanti alla corte d’Assise. Nel frattempo gli imputati hanno pagato un prezzo altissimo con due anni e mezzo di carcere. Erano stati arrestati nel 2019 con l’accusa di aver confezionato pacchi bomba diretti ai pm torinesi Antonio Rinaudo, noto come grande inquisitore dei NoTav per terrorismo con scarsissimi risultati, e Roberto Sparagna. Il terzo pacco bomba era destinato a Santi Consolo del Dap.
    (frank cimini)

  • Il pm che arrestò se stesso. Storia di un romanzo

    in questi tempi di magistrati che si arrestano tra loro o che tentato di farlo, di procure che cercando di vincere i processi lanciando sospetti infondati sui giudici e sui gip abbiamo letto la storia di un pubblico ministero che arrestò se medesimo. La cosa tecnicamente è impossibile e infatti sta in un romanzo scritto nel 1985, non ancora pubblicato ma che con ogni probabilità lo sarà entro la fine dell’anno proprio perché l’argomento è diventato di stringente attualità.
    Il titolo del romanzo è “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”. L’ambiente è quello dell’emergenza antiterrorismo. Il protagonista è il pm Leopoldo Fiore sostituto procuratore a Milano che considera colpevoli tutti quelli che si avvalgono della facoltà di non rispondere e ovviamente utilizza a piene mani la legge sui pentiti dando in pratica dei fiancheggiatori a quei pochissimi suoi colleghi che la criticano in nome dello Stato di diritto.
    Non è il caso di svelare troppi particolari della trama perché non vogliamo togliere il gusto di leggere a chi si recherà in libreria tra pochi mesi trovando il romanzo insieme ad altri tre racconti.
    Tra un “pentito” e l’altro il dottor Fiore ne trova uno che lo “tradisce”. Chi di spada ferisce di spada perisce. Il collaboratore di giustizia come si usano definire questi signori svela una serie di irregolarità chiamiamole così con un eufemismo che caratterizzano le indagini.
    E Leopoldo Fiore emette un mandato di cattura a suo carico per minacce, falso ideologico e abuso d’ufficio. Il capo della procura ne prende atto gli ricorda di averlo sempre difeso contro tutti gli attacchi, “ma questa volta hai proprio sbagliato”. Così Il dottor Fiore finisce in galera. E che cosa fa? Si avvale della facoltà di non rispondere, proprio quel comportamento che aveva sempre censurato considerandolo addirittura indizio di partecipazione al terrorismo.
    L’autore del romanzo è un antico compagno di battaglia e di militanza di chi scrive queste povere righe, una sorta di recensione di un libro che non è ancora uscito sulla giustizia di tanti anni fa ma che trova riscontro in quello che accade adesso, tempi di loggia Ungheria, argomento tabù per magistrati, politici e mezzi di informazione.
    A scrivere il romanzo è l’avvocato Gabriele Fuga, noto tra l’altro per un lavoro fondamentale fatto insieme al compianto Enrico Maltini, “La finestra è ancora aperta”. Si tratta della ricostruzione più completa dell’assassinio in questura dell’anarchico Pino Pinelli dove si svela il ruolo fondamentale nel coprire la verità che ebbero gli uomini dei servizi segreti arrivati da Roma.
    Nel romanzo dedicato al dottor Fiore si parla anche di avvocati arrestati “per terrorismo”. Fuga fu uno di quei legali finiti in carcere perché chiamati in causa dai soliti pentiti. L’inchiesta che costò la galera all’avvocato Fuga era coordinata da un pm che poi fu eletto come parlamentare europeo nelle liste di un partito che è fin troppo facile immaginare quale fosse. Il solito. (frank cimini)

  • NoTav, La sorveglianza speciale in tempi di democratura

    Il libro, un romanzo di immaginazione dal titolo “Io non sono come voi” non è più tra le aggravanti come chiedeva invece la procura, ma il Tribunale di Torino comunque ha deciso la misura della sorveglianza speciale di 18 mesi per Boba, al secolo Marco Bolognino, 53 anni, anarchico, militante NoTav, redattore di Radio Blackout, condannato in primo grado a 18 mesi per lesioni in relazione a una manifestazione di piazza e a 4 anni per incendio doloso al carcere delle Vallette.
    Il Tribunale del capoluogo piemontese si conferma leader nella repressione delle lotte sociali e del dissenso dopo aver tentato invano di trasformare un compressore bruciacchiato da una molotov nel rapimento Moro del terzo millennio (stoppato dalla Cassazione tre volte) e aver condannato Dana Lauriola che aveva usato un megafono durante un sit-in in autostrada a due anni di reclusione, pena che sta scontando tuttora ai domiciliari dopo nove mesi di carcere.

    Boba attualmente a piede libero continua le sue battaglie politiche partecipando a manifestazioni e incontri pubblici dando fastidio diciamo e presentandosi come socialmente pericoloso secondo la sezione misure di sorveglianza del Tribunale. Per cui la sua libertà va limitata.
    L’istituto della sorveglianza speciale nacque sotto il fascismo ma non è infrequente che venga utilizzato dallo stato democratico nato dalla Resistenza antifascista.
    “Anche reati non connotati da immediata offensività della sicurezza e tranquillità pubblica laddove commessi come strumento di lotta ideologica possono rientrare nella previsione degli articoli di legge dei quali ci stiamo occupando” avevano scritto i giudici nel motivare la misura cautelare contro la quale l’avvocato Claudio Novaro ha depositato ricorso in appello.
    “Affiggere dei volantini dal contenuto politico anche laddove si ritenga che gli stessi rappresentino uno strumento di lotta ideologica non pare costituire alcun pericolo per la sicurezza e la tranquillità pubblica a meno di non ritenere tali ogni forma di dissenso e di protesta” scrive il difensore nel ricorso che sarà esaminato dalla corte d’appello nei prossimi mesi.
    “Analogo discorso vale per l’occupazione di immobili da tempo dismessi di proprietà dello Stato o del demanio e del tutto inutilizzati” aggiunge il legale che critica la volontà di considerare a fini preventivi anche reati contravvenzionali.
    Secondo l’avvocato Novaro appare sintomatica la straordinaria distanza tra le posizioni dei giudici e la dottrina giurisprudenziale più avanzata “che ha considerato le misure di prevenzione personali alla stregua di istituti estremamente problematici per un diritto penale democratico avanzando plurimi dubbi sulla loro compatibilità con il quadro costituzionale di riferimento”.
    La difesa ricorda che le condanne di Bolognino non sono definitive e che quindi non possono essere utilizzate in sede di misure di prevenzione. In via subordinata il legale critica anche l’eccessiva durata della sorveglianza speciale e l’eccessiva afflittivita’ delle prescrizioni adottate dal Tribunale come quelle di non frequentare esercizi pubblici tra le 18 e le 21 e di non rincasare dopo le 21. Inoltre non sarebbe del tutto motivato il divieto di partecipare a manifestazioni pubbliche.
    (frank cimini)

  • Ombre rosse corte d’assise conferma Bergamin prescritto

    Per la seconda volta la corte d’Assise di Milano ha dichiarato prescritte le condanne inflitte a Luigi Bergamin uno dei rifugiati politici in Francia per i quali l’Italia chiede l’estradizione. La corte ha rigettato l’opposizione della procura rispetto alla prima decisione spiegando che le motivazioni addotte dalla pm Adriana Blasco non sono convincenti.
    La procura ricorrerà in Cassazione alla quale si era già rivolta ma la Suprema Corte aveva derubricato il ricorso a opposizione alla prescrizione rimandando gli atti in corte d’Assise.
    In estrema sintesi la decisione del Tribunale di Sorveglianza che aveva dichiarato Bergamin “delinquente abituale” non c’entra nulla con la questione della prescrizione. Va considerato che lo status di “delinquente abituale” non è definitivo perché il difensore Giovanni Ceola ha proposto ricorso per Cassazione.
    L’abitualità non era diventata definitiva entro il termine di 30 anni che scadeva l’otto aprile del 2021. Comunque il tutto è ancora subjudice perché se ne riparlerà in Cassazione dal momento che la procura non si rassegna nemmeno davanti al trascorrere del tempo tanto è vero che si aggrappa a una “delinquenza abituale” decisa oltre 40 anni dopo i fatti per i quali Bergamin era stato condannato.
    Evidentemente per quanto riguarda la prescrizione nelle storie degli anni ‘70 i tempi scaduti sono “mobili” come dimostra il caso di Maurizio Di Marzio dove il secondo arresto li proroga addirittura al 2049 secondo una interpretazione restrittiva al massimo. Insomma una storia senza fine perché la politica non ha voluto trovare una soluzione al conflitto sociale di tanti decenni fa.
    (frank cimini)

  • Moro, Riesame e pm agit-prop contro la ricerca storica

    Il Riesame ha confermato il sequestro dell’archivio di Paolo Persichetti consentendo alla procura di Roma di continuare a inseguire i misteri inesistenti del caso Moro, le famose “cose da chiarire” secondo il teorema del pm Eugenio Albamonte, noto per aver chiesto e ottenuto attraverso il copia e incolla di un gip il prelievo del Dna dai condannati per via Fani e altre persone a 43 anni dai fatti.
    Stavolta il copia e incolla lo fa il Riesame anche se per ora c’è soltanto il dispositivo della decisione e mancano le motivazioni che arriveranno prossimamente. Con calma. Tanto c’è tempo per la difesa che ricorrerà in Cassazione nella speranza di avere lumi, capirci qualcosa su questa strana associazione sovversiva di cui farebbe parte il solo Persichetti il quale risponde pure di favoreggiamento di latitanti.
    Nell’archivio del ricercatore, che paga insieme al suo impegno di studioso il passato di condannato per fatti di lotta armata, ci sarebbero segreti da svelare. Persichetti avrebbe avuto la disponibilità di atti elaborati dalla commissione parlamentare di inchiesta, atti segreti che invece erano pubblici.
    Ma Albamonte non ha avuto bisogno in udienza di spiegare granché. Il Riesame gli ha creduto sulla parola quando il pm ha in pratica detto esplicitamente che un dissequestro sarebbe equivalso a un mettere il bastone tra le ruote sulla strada della ricerca della verità, cioè della verità che hanno in testa i dietrologi e i complottisti.
    Albamonte non ha detto una parola sul capo di imputazione, sulla qualificazione giuridica dei fatti. Il pm è una sorta di agit-prop e il Riesame gli è andato dietro.
    Insomma le tonnellate di atti processuali dove emerge che dietro le Br c’erano solo le Br sono carta straccia. Bisogna “cercare la verità” come dice il messaggio dal colle più alto in occasione del 9 maggio, oppure “ci sarà clemenza in cambio di verità’” come ha proposto uno dei massimi candidati al Quirinale.
    La criminalizzazione della ricerca storica indipendente con questa inchiesta appare come un dato di fatto, inequivocabile. Chi mette in dubbio i teoremi di una commissione parlamentare che non c’è più sarà perseguito perché quella commissione è stata sostituita dalla procura dove al vertice c’è un capo che secondo il TAR e il consiglio di Stato sarebbe lì a causa di una nomina irregolare.
    Ma Michele Prestipino resta al suo posto protetto dal Csm in applicazione della legge del marchese del Grillo e firma con Albamonte il decreto di perquisizione al fine di rafforzare l’idea che con questa nuova indagine sul caso Moro si tratta di “salvare la patria”.
    Intanto Mattarella è a Parigi per insistere sull’estradizione della banda dei nonnini. E l’indagine su Persichetti, al quale sono state sequestrate pure le cartelle cliniche del figlio disabile perché a questo arriva lo Stato democratico nato dalla Resistenza antifascista, serve a rafforzare l’idea che l’argomento appare ancora caldo. E che quindi i francesi ne tengano conto perché magari pure dalla banda dei nonnini potrebbero arrivare “illuminazioni” sul caso Moro. Nella testa dei dietrologi tutto si tiene (frank cimini)

  • “Ombre rosse”, legale francese: io dietro mosse pm Milano

    “Sono stato io a suggerire al pm di Milano le mosse per far dichiarare lo status di delinquente abituale e per ricorrere contro la prescrizione di Luigi Bergamin”. Sono le parole pronunciate da William Julie’ l’avvocato francese che rappresenta lo Stato italiano nel procedimento dove si deve decidere l’estradizione di nove rifugiti politici fermati a Parigi nell’ambito dell’operazione “Ombre Rossse” e poi rimessi in libertà in attesa che si concluda l’iter burocratico-giudiziario davanti alla corte d’Appello.
    Le parole di Julie’ vengono riportate da Giovanni Ceola uno dei difensori di Bergamin il quale aggiunge: “Io non so se quanto affermato corrisponda alla realtà ma si tratta di parole gravi”. Va ricordato che la presenza del legale francese nel corso delle udienze era già stata contestata dagli avvocati dei rifugiati perché considerata estranea alla procedura.
    Julie’ però continua a intervenire e a dire la sua ed era arrivato addirittura ad affermare che dopo l’eventuale estradizione gli ex terroristi sarebbero riprocessati, posizione che non coincide con quella ufficiale dello Stato italiano.
    Va detto che la procura di Milano e il pm Adriana Blasco non sembrano aver bisogno di “suggeritori” nel perseguire la linea dura che tra l’altro aveva portato alla gaffe di sbagliare indirizzo nel ricorrere in Cassazione contro la prescrizione decisa dalla corte d’Assise di Milano. La Cassazione ha rimandato indietro gli atti invitando la procura a opporsi eventualmente alla prescrizione ma rivolgendosi alla stessa corte locale.
    La prossima udienza della causa per le estradizioni si terrà il 29 settembre quando saranno decise le questioni preliminari e dì costituzionalità. Nel frattempo i giudici francesi hanno deciso di allentare le misure relative agli obblighi di firma dei rifugiati. Ne è stato del tutto esentato Giorgio Pietrostefani (delitto Calabrese) attualmente ricoverato in ospedale. (frank Cimini)

  • Dopo i flop pm Dambruoso chiede sorveglianza speciale

    Erano stati arrestati a maggio dell’anno scorso sette anarchici a Bologna con l’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. Dopo tre settimane il Tribunale del Riesame ordinava la scarcerazione con una decisione che sarà poi confermata dalla Cassazione. In sede di chiusura delle indagini l’accusa rinunciava a contestare il reato associativo, quello più grave. Ora però dopo i flop il pm Stefano Dambruoso, che da sostituto procuratore a Milano era finito sulla copertina della rivista Time come cacciatore di fondamentalisti islamici, si rivolge alla sezione delle misure di prevenzione, chiedendo per gli indagati la sorveglianza speciale. Il Tribunale deciderà il prossimo 12 luglio in udienza camerale.
    “Sono richieste tutte uguali – osserva Ettore Grenci avvocato della difesa – pericolosità terroristica ed eversiva. Il pm cita l’ordinanza del gip dell’operazione ‘Ritrovo’ ma dimentica il piccolo dettaglio della sonora bocciatura sia del Riesame sia della Cassazione”.
    Al centro dell’inchiesta anche una serie di manifestazioni e cortei nei pressi delle carceri al fine di portare solidarietà ai detenuti alle prese con l’emergenza Covid, il sequestro di striscioni, maschere antigas, artifici pirotecnici, fumogeni, imbrattamenti di edifici pubblici e privati con vernici spray, frasi offensive contro le autorità di Governo. Insomma un’attività politica alla luce del sole al pari di tante realtà antagoniste.
    Del resto sia il Riesame sia la Cassazione avevano annullato gli arresti spiegando il rischio di reprimere il dissenso. Ma la procura non demorde e il pm Dambruoso diventa militante del suo processo cercando di arrivare comunque all’emissione di misure volte a limitare l’attività politica degli indagati. La sorveglianza speciale non è un arresto ma influenza in modo pesante la vita quotidiana e l’impegno politico delle persone che vi vengono sottoposte.
    Nella richiesta della misura si scrive di “perdurante comportamento antisociale fondato su fatti sintomatici originati da una condotta abitualmente criminosa tesi al progressivo inasprimento dei reati commessi”. (frank cimini)

  • “Ombre Rosse”, la Cassazione rimanda il pm a scuola

    La mitica procura di Milano appare sempre più in confusione tra processi che smentiscono le sue tesi e i suoi teoremi, pm indagati a Brescia e ufficio spaccato tra il cerchio magico del capo Francesco Greco e il resto della truppa. Succede che adesso la procura manda le sue impugnazioni dove la procedura non lo prevede affatto.
    Il pm Adriano Blasco che da diversi anni ormai si occupa di esecuzioni della pena aveva impugnato la dichiarazione di prescrizione della corte d’Assise per Luigi Bergamin uno dei nove rifugiati in Francia fermati (operazione “Ombre Rosse”) e poi rilasciati in attesa della decisione sull’estradizione.
    Il pm Blasco si era rivolta alla Cassazione che a stretto giro di posta ha fatto presente alla rappresentante della procura di aver sbagliato indirizzo. Il pm può solo opporsi alla prescrizione rivolgendosi alla stessa corte d’Assise che l’aveva decisa. Il percorso è stato avviato e la corte ha fissato l’udienza per il prossimo 13 luglio con la procura che sembra avere scarse probabilità di ottenere soddisfazione.
    Insomma non accade tutti i giorni che una procura sbagli indirizzo.
    Il difensore di Bergamin intanto ha presentato ricorso in Cassazione contro la dichiarazione di “delinquenza abituale” decisa dal Tribunale di Sorveglianza sia in primo grado sia rigettando l’appello. È la prima volta nella nostra storia giudiziaria che un imputato subisce una sorte simile a quaranta anni e più dai fatti per i quali è stato condannato. Ma la procura ha scelto questa strada nella speranza di incidere sulla decisione delle autorità francesi in tema di estradizione. Secondo il pm milanese infatti lo status di delinquente abituale vanificherebbe del tutto la prescrizione. Cioè siamo sempre lì.
    Oggi pomeriggio alle 16 a Parigi è fissata l’udienza assolutamente interlocutoria considerando i tempi lunghi previsti dalla procedura sul tema dell’estradizione di Bergamin. Si preannunciano scintille a seguito di quanto accaduto la settimana scorsa nell’udienza relativa ad altri rifugiati. Si tratta della partecipazione dell’avvocato rappresentante dello stato italiano contestata dalle difese che è poi un francese iscritto al bureau d’Oltralpe.
    La presenza di questo legale è stata però appoggiata dall’avvocato generale, figura che fa parte del sindacato della magistratura che comunque dall’altro lato ha reclamato insieme ai difensori le richieste all’Italia di ulteriori chiarimenti sostenendo che ci sarebbero dei buchi nei dossier inviati dalle autorità del nostro paese.
    Ha destato sorpresa invece l’affermazione dell’avvocato francese in rappresentanza dell’Italia il quale ha invitato a concedere l’estradizione perché poi i rifugiati sarebbero processati di nuovo per i fatti di tantissimi anni fa. Una posizione che non è assolutamente quella ufficiale dell’Italia.
    (frank Cimini)

  • Anarchica fa sciopero della fame nel carcere dei pestaggi

    Nel carcere dei pestaggi e dei detenuti di Santa Maria Capua Vetere dove l’inchiesta ha portato a 52 misure cautelari a carico di funzionari e agenti penitenziari c’è una reclusa anarchica Natascia Savio che fa lo sciopero della fame dal 17 giugno scorso perché considera lesi i suoi diritti di difesa.
    Savio è sotto processo a Torino per associazione sovversiva ma a piede libero perché le manette erano state annullate dal Tribunale del Riesame. A Genova invece è imputata per l’invio di pacchi esplosivi.
    Savio è in sciopero della fame per protestare contro le sue attuali condizioni detentive che le impediscono di avere rapporti continuativi con i suoi familiari e il suo avvocato e che costituiscono un’evidente diminuzione delle sue possibilità difensive.
    Savio è anarchica. È detenuta in custodia cautelare dal marzo del 2019. Da marzo di quest’anno, proprio nell’imminenza dei due processi a suo carico, è stata trasferita a Santa Maria Capua Vetere, che dista circa 1.000 Km dal luogo di residenza dei suoi familiari e dallo studio del suo legale. L’avvocato Claudio Novaro si è rivolto al Garante dei detenuti che ha risposto, confermando di aver avviato un’interlocuzione con il ministero.
    Sono state inviate anche plurime istanze al DAP – nella speranza di ottenere un suo trasferimento in un carcere vicino al luogo di celebrazione dei suoi processi e attrezzato per consentirle di consultare gli atti. Tutto finora senza esito. (frank cimini)

  • Moro, su Persichetti gioco delle parti tra pm e riesame

    Dopo il sequestro dell’archivio storico di Paolo Persichetti dove tra l’altro ci sono le carte per un nuovo libro sul caso Moro sembra esserci un gioco delle parti tra il Tribunale del Riesame e la procura. A fronte dell’istanza di dissequestro presentata dall’avvocato Francesco Romeo i giudici non hanno fissato la data dell’udienza perché la procura di Roma non ha depositato atti a supporto del sequestro e delle accuse di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo e favoreggiamento di latitanti, reati per i quali Persichetti appare come l’unico indagato.
    Insomma chi indaga e chi dovrebbe controllare il lavoro degli inquirenti prendono tempo senza che Persichetti possa avere la possibilità non solo di ribattere alle accuse ma di cercare di riavere a disposizione il principale strumento del suo lavoro di storico. Il procuratore abusivo Michele Prestipino la cui nomina è stata considerata irregolare dal Tribunale amministrativo regionale e dal Consiglio di Stato e il sostituto Eugenio Albamonte ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati hanno scelto la linea del silenzio, di mantenere le carte coperte puntando sul disinteresse quasi generale per la vicenda appena scalfito a quanto pare dall’appello con 500 firme a tutela della ricerca storica indipendente
    Insomma nulla è possibile sapere di questa fantomatica associazione sovversiva che opererebbe secondo le motivazioni scritte nel decreto di perquisizione da almeno sei anni, divulgando molto presunti atti segreti prodotti e/o elaborati dalla commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro. Una commissione che non è stata ricostituita in questa legislatura ma che continua a pendere con una spada di Damocle sulla vita politica e giuiziaria del paese, nonostante le sue teorie dietrologiche e complottarde non abbiano trovato alcun riscontro, a cominciare dalle tonnellate di atti processuali dove persino “pentiti” e “dissociati” affermino che dietro le Brigate Rosse c’erano solo le Brigate Rosse e non pezzi di servizi segreti di mezzo mondo.
    Persichetti con la sua attività e i suoi libri ha contribuito enormemente a confutare i dietrologi che però continuano a riscuotere le simpatie delle alte cariche dello Stato perché il più attivo a dire che bisogna ancora cercare “là verità” è il presidente della Repubblica il quale come capo supremo del Csm avrebbe ben diverse e altre trame di cui occuparsi. A iniziare dalla famosa loggia Ungheria di cui i giornali hanno smesso praticamente di scrivere.
    La sensazione è che la magistratura e la politica in questo unite nella lotta abbiano un interesse spasmodico a convincere della caratteristica ancora “calda” dell’argomento anni ‘70, con l’attenzione rivolta soprattutto a Parigi chiamata a decidere sull’estradizione di nove rifugiati, “la banda dei nonni” per fatti di 40 anni fa. Anzi 50 considerando che ieri nella mia capitale francese c’è stata udienza per Giorgio Pietrostefani, condannato per il delitto Calabresi, 17 maggio 1972.
    (frank cimini)

  • Giudici veggenti: Bergamin pronto a uccidere ancora

    Pur di affibbiare a Luigi Bergamin lo status di “delinquente abituale” in modo da incidere sull’estradizione dalla Francia i giudici del Tribunale di sorveglianza di Milano vestono i panni dei veggenti e per dimostrarne la pericolosità sociale scrivono che potrebbe uccidere ancora a oltre 40 anni dai fatti di lotta armata per i quali era stato condannato.
    “Si reputa infatti che egli possa commettere altri reati di pari elevato disvalore se non anche crudeltà nel caso in cui si trovi in contingenze politiche sociali che non condivide non essendo a ciò ostativa l’età anagrafica avendo egli svolto il ruolo di ideatore e mandante dei delitti e delle azioni sovversive” sono le parole dei giudici che sottolineano “la mancanza di presa di coscienza del disvalore degli atti compiuti, indici della pericolosità attuale”.
    E ancora: “Un soggetto può essere ritenuto attualmente socialmente pericoloso sulla base di una valutazione prognostica circostanziata ma non esseee dedito alla commissione di reati secondo un giudizio di fatto come tale discrezionale che deve fare riferimento sia alla condotta passata che a quella recente”.
    Che in oLtre 40 anni in Francia non abbia commesso reati come ha cercato di spiegare il suo difensore Giovanni Ceola per i giudici non conta nulla. Perché Bergamin “non solo non ha mai posto in essere condotte ne’ formali ne’ concrete volte a dimostrare il sincero pentimento anche parziale per i reati commessi per i danni cagionati alla collettività e alle numerose vittime degli illeciti portati a termine ma al contrario si è volontariamente sottratto a qualsivoglia verifica di tale genere. Ciò costituisce di pericolosità attuale con particolare riferimento alle persone offese dei reati di omicidio ed è indicativo della volontà di non rinnegare le scelte operate, non potendosi nel contesto dato valutare il silenzio come elemento neutro”.
    I giudici lamentano anche che il condannato non si sia avvalso dei benefici previsti dalla legge emanata per favorire la dissociazione. Insomma Bergamin non si è pentito ne’ dissociato per cui deve essere estradato e messo in galera. La dichiarazione di prescrizione dei reati decisa dalla corte d’Assise di Milano poi è ancora subjudice perché il pm ha presentato ricorso in Cassazione.
    Insomma non c’è scampo. Va ricordato che il provvedimento relativo alla delinquenza abituale è stato notificato solo oggi al difensore mentre era già stato oggetto di notizia sulle agenzie di stampa e sui siti di informazione lo scorso 16 giugno. E questo la dice lunga ancora una volta sui rapporti tra pm e giudici da una parte e i media dall’altra. È la giustizia bellezza. E pure l’informazione. (frank cimini)

  • “Bergamin delinquente abituale”. Milano pressa Parigi

    Il Tribunale di sorveglianza di Milano rigettando il ricorso della difesa ha confermato la dichiarazione di “delinquenza abituale” per Luigi Bergamin uno dei nove rifugiati politici in Francia fermati il 28 aprile scorso poi rimessi in libertà e che l’Italia chiede siano estradati.
    Per la prima volta nella nostra storia giudiziaria un provvedimento del genere viene emesso a oltre quarant’anni dai fatti per i quali erano state pronunciate sentenze di condanna, gli omicidi di un maresciallo Antonio Santoro e di un agente di polizia Andrea Campagna che risalgono al 1978 e al 1979. Da allora Bergamin a Parigi non aveva più commesso reati rifacendosi una vita e ottenendo un dottorato di ricerca, come affermato dall’avvocato Giovanni Ceola.
    Ma le parole del legale non sono state prese minimamente in considerazione dai giudici che hanno sposato la tesi del pm Adriana Blasco. I giudici aggiungono che Bergamin aveva dimostrato “prontezza nel disattendere le prescrizioni limitative della libertà personale nel sottrarsi in tal modo al rispetto del principio di legalità dimostrando di essere in grado di avvalersi di una rete di protezione da parte di persone disponibili in caso di necessità a sostenerlo e aiutarlo a sottrarsi all’esecuzione della pena”.
    Ma c’è di più. Da parte dei giudici di sorveglianza di Milano c’è in sede di motivazione una sorta di “rimprovero” alle autorità francesi che non avrebbero indagato sui comportamenti di Bergamin nel violare le prescrizioni limitative della libertà personale.
    I giudici di Milano cioè vanno anche oltre il loro compito “sentenziando” in pratica quello che le autorità parigine avrebbero dovuto fare e non hanno fatto. Il Tribunale di sorveglianza sottolinea che la stessa decisione di costituirsi a fine aprile sarebbe stata strumentale a sfuggire all’esecuzione della pena considerando che la situazione non era mutata rispetto al 1986.
    Secondo l’avvocato Ceola invece Bergamin si è sempre presentato una volta la settimana all’ufficio della gendarmeria vicino casa sua.
    Il provvedimento di delinquenza abituale per Bergamin sembra comunque rivolto soprattutto alle autorità francesi affinché incida in merito alla decisione sull’estradizione che sarà discussa a partire dal prossimo 30 giugno e che comunque è prevista in tempi molto lunghi come per gli altri rifugiati. Il prossimo 23 aprile sarà discussa la posizione di Giorgio Pietrostefani condannato per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Pietrostefani in caso di estradizione rischia di scontare la pena a 50 anni dal fatto che risale al 17 maggio del 1972. Un altro record in questa operazione “Ombre rosse” che in realtà è la caccia alla banda dei nonnini di Parigi nel segno della vendetta.
    (frank cimini)

  • Anarchici, dietrofront del pm Dambruoso sul “terrorismo”

    La procura di Bologna ha chiuso le indagini che nel maggio 2020 avevano portato agli arresti per associazione sovversiva finalizzata al terrorismo rinunciando alla contestazione proprio del reato più grave. Il pm Stefano Dambruoso ha dovuto prendere atto delle sconfitte riportate davanti al Riesame prima e alla Cassazuone poi dove gli arresti erano stati annullati.
    “Non basta la comune adesione all’ideologia anarchica
    come effettivo e reale ‘contagio’ del gruppo investigato da parte delle idee e finalità terroristiche eventualmente sviluppatesi in altre cellule della galassia anarchica mentre viene richiesto al giudice di merito di fornire la prova di una tale e concreta contaminazione che deve portare alla gemmazione di cellule autonome aventi le caratteristiche tipiche dell’associazione sovversiva con finalità di terrorismo”. Era questo uno dei passaggi della motivazione con cui la Cassazione rigettava il ricorso del pm Stefano Dambruoso contro la decisione del Riesame di Bologna di scarcerare gli anarchici arrestati a maggio.

    La Cassazione ricordava inoltre che non erano state rinvenute armi ma unicamente artifici pirotecnici aste e bastoni impiegati per dispiegare bandiere o stendardi. L’acquisto di maschere antigas non era finalizzato al compimento di azioni violente ma a scopi protettivi in vista di possibili azioni delle forze di polizia in occasione delle manifestazioni di piazza.

    Nel corso dei cortei e delle manifestazioni alle quali parteciparono gli indagati “al di là di qualche imbrattamento e danneggiamento non vi fu mai pericolo concreto per la pubblica incolumità“.

    In occasione dell’incendio di un impianto di ricetrasmissione diventato il fulcro della ricostruzione accusatoria la Cassazione sposava la tesi dei giudici del Riesame. C’era l’obiettivo di danneggiare la struttura “ritenuta espressione dell’assoggettamento alle tecnologie da parte delle istituzioni dello Stato piuttosto che la volontà di causare un pericolo di devastazione di maggiori proporzioni”.

    Al centro dell’inchiesta che portò agli arresti poi revocati dal Riesame c’erano una serie di manifestazioni di solidarietà con i detenuti che avevano visto aggravata la propria condizione dalla diffusione del Covid. Le riunioni pubbliche si erano svolte usando ogni precauzione dalle mascherine al rispetto della distanza tra le persone. Per cui l’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo era apparsa spropositata e animata dalla volontà di reprimere il dissenso rispetto alle politiche securitarie. I giudici del Riesame avevano rilevato proprio questo rischio.
    Insomma tanto rumore per nulla. Il blitz era costato un po’ di settimane di carcere ai militanti del gruppo anarchico che ora saranno presumibilmente processati solo per i reati fine che da soli
    non sarebbero bastati a giustficare le richieste di manette. La procura decideva di forzare la mano anche montando una campagna mediatica sulle pagine dei giornali locali i quali poi avrebbero riportato solo in poche righe la sconfessione del “teorema” da parte del Riesame per concentrarsi nel titolo sulla “manifestazione non autorizzata” per celebrare le scarcerazioni. (frank cimini)

  • Estradizioni da Parigi e fantasia senza limiti della procura

    Non sembra avere limiti la fantasia della procura di Milano nel tentativo di ottenere l’estradizione dalla Francia di una sorta di banda dei nonni per fatti di lotta armata avvenuti oltre quarantanni fa. Il pm Adriana Blasco ha presentato ricorso in Cassazione contro la declatoria di estinzione della pena e di prescrizione decisa dalla corte d’Assise di Milano per Luigi Bergamin uno dei nove fermati il 27 aprile dalla gendarmerie e poi rimessi in libertà dalle autorità d’Oltralpe.
    Nelle righe fittissime di 19 pagine con una trentina di documenti allegati il pm si concentra soprattutto sulla “condizione di latitanza protrattasi da quasi quattro decenni con l’assenza di qualsivoglia forma di resipiscenza e di ripudio delle pregresse condotte devianti’ di Luigi Bergamin oggi 73 enne.
    Per la procura la corte d’Assise avrebbe violato una lunga serie di norme giuridiche non motivando sufficientemente il provvedimento di prescrizione. I magistrati stanno combattendo una battaglia con dedizione degna di miglior causa e non tengono conto che persino dal punto di vista tecnico Bergamin rimesso fuori dal carcere dai francesi che avevano ricevuto documentazione dall’Italia non può essere ritenuto un latitante.
    L’8 giugno inoltre il pm Blasco insisterà davanti al tribunale di sorveglianza per ottenere che lo stesso Bergamin venga dichiarato delinquente abituale sperando nonostante siano passati decenni dai fatti che la circostanza possa influire sul procedimento di estradizione.
    La dottoressa Blasco inoltre veste anche i panni della “storica” ricostruendo le vicende dei “Proletari armati per il comunismo” l’organizzazione della quale fece parte
    Bergamin. I magistrati che si occuparono dei Pac all’epoca avevano accertato che ideologo e fondatore fu Arrigo Cavallina. Successivamente quando si trattava di ottenere la consegna di Cesare Battisti fu ingigantito il ruolo di quest’ultimo. Adesso tocca a Bergamin il ruolo del deus ex machina. Siamo anche oltre la storia scritta dai vincitori. Siamo approdati alle ricostruzioni sulla lotta armata secondo le convenienze e le opportunità del momento.
    Comunque secondo la

      mitica procura di Milano Bergamin non può avere la prescrizione solo perché non si è pentito. Per cui anche i calcoli aritmetici relativi al passare del tempo vanno a farsi benedire.
      Nei prossimi giorni a Parigi riprenderanno le udienze relative ai nove rifugiati dei quali l’Italia chiede la consegna. Si tratta di procedimenti che si preannunciano lunghi anche perché tra l’altro i dossier inviati dalle autorità del nostro paese risulterebbero incompleti. Poi finito il lavoro dei giudici la decisione spettera’ al presidente Macron il quale sembra aver messo la faccia in questa vicenda al fine della sua propaganda sulla sicurezza per arginare Marine Le Pen. C’è da dubitare che l’elettore medio francese sappia chi è Giorgio Pietrostefani al punto da farsene influenzare al momento del voto. La storia poi rischia di allungarsi al tal punto nel tempo che magari a decidere non sarà nemmeno Macron. Ma e per fortuna di questo il pm Blasco non scrive niente.
      (frank cimini)

  • C’è sempre una pista anarchica ovunque e comunque

    C’è sempre una pista anarchica, ovunque e comunque. A Torino, dove la procura aveva invano tentato di trasformare l’incendio di un compressore in un atto di terrorismo, il prossimo 21 aprile il tribunale di sorveglianza dovrà decidere su richiesta dei pm se applicare a Marco Boba la misura della sorveglianza speciale e tra gli elementi da valutare c’è un libro scritto sei anni fa dal titolo “Io non sono come voi”. “Io ho odio dentro di me c’è solo voglia di distruggere, le mie sono pulsioni nichiliste” si legge nel romanzo che dovrebbe costare a chi l’ha scritto secondo la procura una forte limitazione della libertà. Non il carcere perché per quello non c’è abbastanza. Ma un prezzo il redattore di Radio Black Out, occupante di El Paso, esponente del movimento anarchico, deve evidentemente pagare.
    Da Torino a Roma dove il Riesame su input della Cassazione ha cancellato l’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo per quattro anarchici arrestati a giugno dell’anno scorso. Siccome il reato più grave era già stato annullato per Francesca Cerrone siamo davanti all’ennesima inchiesta flop sugli anarchici analoga a quella di Bologna.
    Marco Boba, 53 anni, in passato aveva scontato diversi periodi detenzione per la sua partecipazione alle lotte sociali. A quanto pare non è sufficiente scontare le condanne ma è anche necessario abiurare la propria identità la propria appartenenza e dimostrare di aver assorbito un’altra idea, quella del silenzio e della rassegnazione.
    Nel romanzo l’alter ego di Boba dice: “Per la società per il sistema io sono un violento ma ti assicuro che per indole sono una persona tranquilla, la mia violenza è un centesimo rispetto alla violenza quotidiana che subisco che subisci tu o gli altri miliardi di persone su questo pianeta”.
    La misura della sorveglianza speciale risale ai tempi del fascismo ma viene usata spesso anche in democrazia o democratura a seconda dei punti di vista. Il provvedimento si concretizza in un serie di divieti che cancellano relazioni amicizie affetti nel nome della cosiddetta pericolosità sociale. La refrattarietà a piegare la testa è prova di pericolosità sociale secondo la procura già responsabile insieme al tribunale della vicenda di Dana Laureola da nove mesi in carcere con la prospettiva di restarci fino a due anni per aver parlato con il megafono durante una mafistazione dei NoTav in autostrada.
    A Roma invece della mega operazione “antiterrorismo” del giugno scorso non resta quasi niente. Il reato associativo è stato spazzato via su indicazione della Cassazione. In carcere resta solo Claudio Zaccone per una presunta azione contro una caserma dei carabinieri ma anche per lui l’accusa di aver agito con fini di eversione dell’ordine democratico è caduta.
    Daniele Cortelli, Flavia Di Giannantonio e Nico Aurigemma sono stati scarcerati. Prima la Cassazione e poi il Riesame hanno dato ragione al difensore Ettore Grenci secondo il quale il blitz era stato una repressione del dissenso sociale e politico. Si trattava di manifestazioni in solidarietà con i detenuti alle prese con l’emergenza Covid fatte tra l’altro con l’uso di mascherine e rispettando le distanze tra le persone.
    Le procure però sembrano non curarsi dei paletti più volte fissati dalla Cassazione in materia di terrorismo nel senso che non basta l’adesione astratta a una ideologia per far scattare le manette. I servizi di sicurezza poi ci hanno messo il carico presentando le operazioni flop di Bologna e di Roma nella relazione annuale come grandi successi investigativi. Al pari dell’estradizione dalla Spagna di Francesca Cerrone che adesso dell’intero castello di accuse deve fronteggiare solo il presunto furto di cemento del valore di 30 euro. Dopo aver fatto nove mesi di galera praticamente gratis. (frank cimini)

  • Cade accusa di terrorismo per altri 4 anarchici romani

    È caduta l’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo per altri quattro anarchici romani arrestati a giugno dell’anno scorso. Lo ha deciso il Tribunale del Riesame di Roma al quale la Cassazione aveva rimandato indietro gli atti spiegando che la mera adesione all’ideologia anarchica non basta per contestare l’aggravante di aver agito con fini di eversione dell’ordine democratico.

    L’accusa di terrorismo cade per Claudio Zaccone, Daniele Cortelli, Flavia di Giannantonio e  Nico Aurigemma. Sono stati tutti scarcerati a eccezione di Zaccone che resta detenuto per un’azione contro una caserma dei carabinieri.

    In precedenza era stata scarcerata Francesca Cerrone. L’operazione del giugno scorso si rivela sempre di più come un flop investigativo nonostante fosse stata citata come un successo nella relazione annuale dei servizi di sicurezza.

    Va ricordata la storia di una analoga operazione avvenuta a Bologna nel maggio dell’anno scorso con scarcerazione da parte del Riesame di tutti gli anarchici dopo tre settimane.

    A scoprire gli altarini nel caso di Roma è stata ancora una volta la Cassazione che già in passato aveva avuto modo di fissare paletti ben precisi in relazione all’associazione sovversiva finalizzata al terrorismo.  Ma gli uffici inquirenti della magistratura e quelli della Digos sembrano proseguire imperterriti per la loro strada di fatto criminalizzando manifestazioni di dissenso come quelle organizzate sotto le carceri in solidarietà con i detenuti alle prese con l’emergenza Covid.

    Francesca Cerrone aveva scontato nove mesi di custodia cautelare e dell’accusa a suo carico resta solo il presunto furto di sacchi di cemento del valore di 30 euro. Per capire il contesto politico di queste inchieste va ricordato che Nico Aurigemma si era visto negare il permesso di colloquio con i genitori e la sorella perché il pm esprimendo parere contrario aveva indicato tra i motivi il fatto che il giovane si era avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di garanzia. Cioè Aurigemma per aver esercitato il suo diritto di indagato si vedeva negare un diritto da detenuto. (frank cimini)

     

  • Terrorismo, Cassazione: per Cerrone motivazione carente

    “La motivazione sull’esistenza dell’ipotizzata associazione con finalità terroristiche è carente. La sovrapposizione della struttura associativa e quella del centro sociale è affermata ma non sufficientemente illustrata e non fa comprendere  in che modo la frequentazione e del centro sociale Bencivengasia già di per se espressiva dell’esistenza di un rapporto di stabile e organica compenetrazione e del sodalizio tale da implicare un ruolo dinamico e funzionale”. Questo scrive la Cassazione in merito all’attività politica dell’anarchica Francesca Cerrone arrestata per  ordine dei giudici di Roma.

    La Cassazione ha annullato con rinvio degli atti al Riesame per un nuovo giudizio l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Cerrone nel frattempo resta detenuta e va ricordato che la Cassazione ha impiegato dai primi d dicembre a oggi due mesi e mezzo depositare la motivazione. Non sono stati ancora depositati invece i motivideella decisione relativa ad altri quattro anarchici i quali ai primi di novembre erano stati rimandati gli atti al Riesame sempre  con annnullamento dell’ordine di carcerazione.

    Per quanto riguarda la posizione di Cerrone la Cassazione ha annullato senza rinvio il mandato di arresto in riferimento alla stesura del documento “Dire e se dire” dove veniva contestata l’istigazione a delinquere anche in rapporto alla campagna di solidarietà con i detenuti. Sempre senza rinvio cassata l’accusa riguardante i fumogeni accesi durante una manifestazione davanti al carcere di Rebibbia.

    In pratica il lavoro della procura, del gip autore del solito copia e incolla, e del Riesame responsabile dell’assenza totale di qualsiasi sforzo critico è stato fatto a pezzi dalla Cassazione. La suprema corte già in pasto aveva fissato dei paletti ben precisi in tema di associazione sovversiva ma le procure fanno di non capire sempre ligi ai canoni dell’emergenza infinita.

    (frank cimini)

  • Giustizia superlumaca anarchici in attesa in galera

    Alla giustizia lenta e lentissima siamo abituati da sempre ma “il fenomeno” è ancora più inquietante quando a pagarne le conseguenze sulla propria pelle sono indagati detenuti in custodia cautelare e a carico dei quali la procura (Roma nel caso specifico) non ha ancora esercitato l’azione penale.
    Ai primi giorni del novembre scorso la Cassazione rispediva al Riesame gli atti relativi all’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo per 4 anarchici invitando il Tribunale a decidere ex novo. Ecco, sono passati quasi tre mesi e le motivazioni della Cassazione non sono state ancora depositate. Fatto che rende impossibile una nuova udienza mentre gli indagati restano in cella. A metà dicembre analoga decisione per una quinta persona del gruppo, con rilievi critici ancora più forti in merito alla scelta del Riesame di confermare il
    carcere. Anche queste motivazioni mancano all’appello.
    Gli avvocati della difesa avevano presentato ricorso contro gli arresti paventando che il costante richiamo alla vicinanza ideologica a una determinata area dell’anarchismo diventasse l’unico criterio alla base degli arresti. I legali ricordavano che proprio la Cassazione aveva nel recente passato fissato dei paletti ben precisi affinché non si perseguisse il fatto ma il “tipo di autore”. Si tratta della tendenza che è storicamente rappresentata nel concetto di “diritto penale del nemico”.

    Del resto al centro dell’inchiesta c’erano una serie di manifestazioni sit-in volantinaggi contro il carcere come istituzione e per denunciare le condizioni di detenzione aggravate dall’emergenza Covid. C’era e c’è il rischio di criminalizzare un pubblico attivismo politico impostato su una critica radicale anche dura a istituzioni pubbliche.. (frank cimini)

  • Cassazione rinvia al Riesame il “terrorismo anarchico”

    La Cassazione ha annullato con rinvio a un nuovo Riesame l’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo contestata a quattro anarchici arrestati a giugno scorso a Roma. All’origine della decisione potrebbe esserci una carenza di motivazione come avevano sottolineato i difensori degli indagati nei loro ricorsi. Bisognerà aspettare almeno una ventina di giorni per conoscere i motivi della scelta operata dalla Suprema Corte. Nel frattempo gli indagati restano in carcere.

    G,i avvocati della difesa avevano presentato ricorso contro gli arresti paventando che il costante richiamo alla vicinanza ideologica a una determinata area dell’anarchismo diventasse l’unico criterio alla base degli arresti. I legali ricordavano che proprio la Cassazione aveva nel recente passato fissato dei paletti ben precisi affinché non si perseguisse il fatto ma il “tipo di autore”. Si tratta della tendenza che è storicamente rappresentata nel concetto di “diritto penale del nemico”.

    Del resto al centro dell’inchiesta c’erano una serie di manifestazioni sit-in volantinaggi contro il carcere come istituzione e per denunciare le condizioni di detenzione aggravate dall’emergenza Covid. C’era e c’è il rischio di criminalizzare un pubblico attivismo politico impostato su una critica radicale anche dura a istituzioni pubbliche.

    Sempre la Cassazione ha chiuso almeno per il momento un’altra partita quella relativa all’inchiesta “sorella” di quella romana avviata dalla procura di Bologna rigettando il ricorso del pm Stefano Dambruoso contro le scarcerazioni di un gruppo di anarchici finiti in carcere a maggio e poi rimessi fuori dal Riesame. Per Dambruoso noto per essere finito sulla copertina della rivista Time come cacciatore di terroristi islamici si tratta di una sconfitta su tutta la linea.

    Per quanto riguarda l’indagine romana la Cassazione dovrà esaminare il prossimo 16 dicembre il ricorso di un’altra indagata Francesca Cerrone arrestata in Spagna e poi estradata.

    Non è stata ancora fissata invece l’udienza sempre davanti alla Suprema Corte per discutere il ricorso dell’avvocato Ettore Grenci per conto dell’indagato Nico Aurigemma al quale era stato negato il colloquio con i genitori e la sorella. Tra i motivi del no al colloquio spiccava il parere del pm relativo al fatto che Aurigemma si era avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di garanzia. Cioè era stato penalizzato e “punito” per aver esercitato un suo diritto (frank cimini)

     

  • Dissenso radicale uguale terrorismo domani in Cassazione

    L‘attivismo politico impostato su una critica anche dura e radicale a istituzioni pubbliche trattato come associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. Se ne discute domani in Cassazione dove sarà esaminata la richiesta degli avvocati di un gruppo di anarchici arrestati a Roma a giugno scorso di annullare le misure cautelari in carcere poi confermate dal tribunale del Riesame.

    ”Il costante richiamo alla vicinanza ideologica a una determinata area dell’anarchismo diviene l’unico criterio che consente al tribunale di qualificare azioni e finalità delle stesse sotto la nozione di terrorismo tralasciando tutte le altre verifiche che la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità richiede siano svolte con particolare rigore attenzione e cautela” scrive in uno dei ricorsi l’avvocato Ettore Grenci che avverte: “Cosi si verifica esattamente il pericolo da cui ci mette in guardia la Corte Costituzionale ovvero quello di perseguire non il fatto ma il tipo di autore tendenza che è storicamente rappresentata nel concetto di diritto penale del nemico non a caso formatasi proprio sulla criminalizzazione di movimenti e organizzazioni ritenute ‘anti-Stato’”.

    Nel motivare le misure cautelari sia il gip sia il Riesame avevano censurati in modo particolare le manifestazioni con sit-in volantinaggi e altro in relazione alle strutture carcerarie e alle condizioni di detenzione aggravate ulteriormente dalla crisi legata al Covid. Insomma domani in Cassazione si parlerà dell’infinità emergenza italiana e di una sorta di democratura che di fatto mette a rischio il dibattito politico fino a eliminarlo del tutto (frank cimini)

  • Battisti: cercatevi un altro mostro da esibire

    Appena trasferito nel carcere di Rossano in regime di alta sorveglianza in una situazione “ancora più feroce rispetto a Oristano” Cesare Battisti oltre a denunciare la presenza nella stessa prigione di fondamentalisti islamici pericolosi per la sua incolumità lancia in una lettera ai suoi avvocati un messaggio ben preciso.”A coloro che non possono farne a meno consiglio di trovarsi un altro mostro da esibire“ sono le sue parole.

    Battisi nella lettera ai legali scrive di essersi assunto più colpe del dovuto “in un segno di pace e di compassione per tutte le vittime di un conflitto che ha creato un frattura sociale. Mi sono fidato così come gli avvocati e ci sono state alcune voci garantiste anche dentro le istituzioni. Purtroppo la risposta dello Stato è stata micidiale. Seppellito prima venti mesi a Oristano e poi indispettiti dallo sciopero della fame mi precipitano nell’isolamento di Guantanamo Calabro dove mi aspetta un isolamento indefinito”.

    Battisti ammalato di diabete praticamente impossibilitato a mangiare i grassi della dieta carceraria aveva chiesto già a Oristano di potersi cucinare pietanze più leggere come il riso in bianco. Ma il tipo di sorveglianza alla quale è sottoposto sembra non permetterglielo.

    ”Ecco cosa riserva lo Stato a chi si è detto disponibile affinché si potesse superare un conflitto armato sepolto da più di 40 anni di reticenze istituzionali e di disinformazione – aggiunge Battisti che deve scontare 4 ergastoli e che si vede protrarre un isolamento diurno che avrebbe dovuto essere di sei mesi secondo le sentenze – uno Stato forte sa e deve discernere il buio dalla luce. Purtroppo si ricorre agli antichi metodi che non fanno di certo onore a una democrazia del secolo XXI”.

    Fonti del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria si limitano a dire di non avere riscontri di pericoli per Battisti da parte di fondamentalisti islamici. I legali del detenuto ribadiscono di volere risposte dalle autorita’. Insomma la possibilità di farsi con le proprie mani un riso in bianco al fine di salvaguardare la salute non dovrebbe essere un pericolo per le istituzioni. Anche se si tratta del detenuto che il giorno dell’estradizione un paio di ministri di questa Repubblica si divertirono a riprendere con gli iPhone per esibire il mostro. Battisti adesso dice per quel ruolo di cercare qualcun altro (frank cimini)

  • Solidarietà ai detenuti come terrorismo? Cassazione il 3/11

    Un elenco di azioni di modesto allarme sociale danneggiamenti imbrattamenti reati contravvenzionali affissioni di manifesti tutte realizzate nell’ambito di una generalizzata campagna di solidarietà ai detenuti possono essere assimilabili ai delitti contro la personalità dello Stato al terrorismo? È la domanda alla quale è chiamata a rispondere la Cassazione che il prossimo 3 novembre discuterà il ricorso contro gli arresti di un gruppo di anarchici avvenuti a Roma a giugno scorso e poi confermati dal Riesame che secondo i difensori sarebbe andato oltre la stessa motivazione del gip che aveva emesso le misure cautelari.

    Nel ricorso a tutela dell’indagata Francesca Cerrone l’avvocato Ettore Grenci ricorda che era stata proprio la Suprema Corte in passato a precisare che “la semplice idea eversiva non accompagnata da propositi concreti e attuali di violenza non vale a realizzare il reato ricevendo tutela proprio dall’assetto costituzionale che essa mira a travolgere”.

    Il gip prima e il Riesame poi avevano aderito a quella parte della giurisprudenza che considera la fattispecie di reato il pericolo presunto dove alla configurabilità non è richiesto un evento naturalisticamente inteso ma una mera messa in pericolo del bene giuridico tutelato.

    La Cassazione comunque aveva precisato che non qualsiasi azione violenta può farsi rientrare nel concetto di eversione ma solo quella che miri al sovvertimento dei principi fondamentali che formano il nucleo intangibile dell’assetto ordinamentale.

    Per i difensori il Riesame avrebbe finito per valorizzare unicamente il presunto “contesto” in cui il gruppo avrebbe agito ovvero l’adesione ideologica degli indagati all’anarchismo. Il Riesame avrebbe valorizzato oltre misura il presunto legame esistente tra alcuni indagati e Alfredo Cospito esponente del Fai da tempo detenuto.

    Manifestazioni non autorizzate, riunioni, imbrattamenti  e diffusione di volantini assurgono  a gravi danni per il paese. Si tratta di una vicenda analoga a quella degli arresti di Bologna che però erano stati annullati dal Riesame e che saranno esaminati dalla Cassazione su richiesta della procura del capoluogo emiliano.

    Va ricordato che in tutta Italia in concomitanza con la diffusione  del Covid-19 ci sono state diverse manifestazioni in solidarietà con i detenuti che hanno visto aumentare i rischi per la loro salute. Di pari passo c’è stata una intensificata attività investigativa tendente a mettere in discussione il diritto a manifestare intorno alle carceri e a reprimere l’area anarchica.

    Gli avvocati nel ricorso denunciano che da parte del Riesame si esaspera la logica anticipatoriadella tutela penale comunemente sottesa ai reati di pericolo portandoa un parossismo insostenibile la limitazione dei diritti fondamental di elaborazione e manifestazione del pensiero critico in una società democratica. (frank cimini)

     

  • Sulle piste anarchiche giudici fantasiosi

    L’istigazione per un fatto del passato non si era mai sentita in un capo di imputazione. La lacuna è stata colmata con discreta fantasia dal gip di Roma che aveva firmato l’ordine di custodia cautelare per associazione sovversiva finalizzata al terrorismo a carico di Francesca Cerrone militante anarchica arrestata in Francia e estradata nei giorni scorsi.

    L’ordinanza di arresto è stata impugnata dal difensore Ettore Grenci davanti al Riesame dove sarà discussa dopodomani 30 luglio. “Se l’istituzione guarda necessariamente al futuro non si potrà certamente porre in relazione la stessa ad un fatto del passato” scrive il legale nel ricorso.

    Si parla dell’attentato alla caserma dei carabinieri di Roma San Giovanni. “Non può certo sfuggire il dato temporale – si legge nel ricorso – l’episodio si è verificato il 2 dicembre 2017  ben dieci mesi prima della presunta pubblicazione e diffusione del documento ‘Dire e se dire’”.

    Il documento anonimo “Dire e se dire”  ad avviso del legale “compie un’analisi politica che si inserisce nella cornice di un radicale pensiero libertario dal piu ampio respiro che non pare il alcun modo collegato a specifici episodi ne’ dare sollecitazioni concrete e attuali sul compiere azioni che abbiano quella particolare caratterizzazione terroristica o eversiva richiesta dalla norma e dallo stesso capo di accusa”.

    Per la difesa i singoli reati scopo attengono a condotte delittuose di marginale allarme sociale per lo più connessi a delitti contro il patrimonio se non addirittura contravvenzionali.

    ”È  davvero inspiegabile come si possa realisticamente immaginare che una scritta o un volantino affisso su un muro una manifestazione non autorizzata il lancio di un petardo possano definirsi azioni in grado di porre in pericolo le fondamenta di uno stato democratico” aggiunge il difensore.

    L’operazione che a Roma aveva portato all’arresto degli anarchici dei quali solo uno liberato dal Riesame per insussistenza delle esigenze cautelari ruota intorno alla solidarietà per i detenuti e alla campagna di contestazione del carcere come istituzione. Si tratta di un blitz “gemello” di quello di maggio scorso a Bologna dove però le accuse erano state azzerate dal Riesame. Nella capitale era andata diversamente. Adesso c’è la “coda“ della militante arrestata in Francia mentre a metà agosto si conosceranno le motivazi9ni in base alle quali era stata confermata la detenzione degli altri arrestati. (frank cimini)

  • Quando le botte ai detenuti sono ignorate dai giudici

    “I segni sul corpo del detenuto Fallanca vennero rilevati  anche dal medico del carcere dottor Manenti che lo visitò al ritorno dall’udienza… La visita avvenne alla presenza degli stessi poliziotti della penitenziaria dai quali il recluso sosteneva di aver  ricevuto abusi. Purtroppo il presidente invece di raccoglierne doverosamente la denuncia lo interruppe e lo fece cacciare dall’aula. Si tratta di una ricostruzione altamente credibile risultante da prove assunte nel contraddittorio tra le parti. Lo stesso Falanca aveva denunciato i fatti in una lettera dal carcere”.

    A ricordare i fatti del novembre 2018  è l’avvocato Eugenio Losco in una istanza al Riesame di Roma dove il legale aveva fatto ricorso contro l’arresto del suo assistito militante anarchico che nell’occasione sarà l’unico scarcerato per insussistenza delle esigenze cautelari di un gruppo al quale si contesta l’associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. Tutti gli altri si sono visti confermare la detenzione.

    L’aggressione a Falanca era avvenuta durante una precedente detenzione. Il presidente del Tribunale di Firenze sbottava: “Fallanca si tratta di una questione che esula dagli atti processuali”. “Ma riguarda la mia custodia cautelare sono stato aggradito da più di dieci persone” la replica dell’imputato detenuto. Il pubblico presente rumoreggia, il presidente fa sgomberare l’aula è espelle Falanca. Due imputati a piede libero lasciano anche loro il processo per solidarietà con Fallanca.

    In tempi di abusi su persone arrestate da parte delle forze di polizia vale la pena di ricordare l’episodio per far capire che appare molto difficile in casi del genere avere tutela dalle istituzioni e da chi dovrebbe garantire la legalità in tutti i sensi. Ci sono avvocati che ormai sconsigliano i proprio assistiti di denunciare ”gli abusi minori” anche perché il rischio di essere incriminati per calunnia è molto alto.

    Fallanca ha inoltre ricordato di essere stato scortato in seguito dagli stessi agenti della polizia penitenziaria che aveva cercato di denunciare. (Frank Cimini)

  • Anarchici, perché il Riesame ha bocciato pm Dambruoso

    “Non sono enucleabili incitamenti alla commissione di reati rivolti ai loro lettori trattandosi di documenti che esprimono spesso ricorrendo a meri slogan posizioni radicalmente critiche proprie dei gruppi cosiddetti antagonisti verso le politiche migratorie senza però trascendere nell’istigazione a delinquere”.  È questo dei tanti passaggi in cui il Riesame di Bologna boccia su tutta la linea il pm Stefano Dambruoso e il gip che con la richiesta della procura aveva fatto copia e incolla arrestando        7 anarchici accusati di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. Tutti scarcerati appunto dal Riesame il 30 maggio dopo tre settimane di detenzione.

    Adesso sono state depositate le motivazioni in cui si sottolinea che i documenti scritti del gruppo “non contengono espressioni idonee a indurre i lettori a passare alle vie di fatto per realizzare gli obiettivi selezionati costituendo piuttosto tesi di programmazione di un’azione politica voora a porre in atto la cosiddetta controinformazione in vista di una futura aggregazione di soggetto sociali subalterni”.

    I giudici affermano inoltre che l’incendio di un tetto collegato a un manufatto con alcuni ripetitori televisivi “non aveva messo in pericolo la pubblica incolumità“. Inoltre non era stato necessario nemmeno l’intervento dei pompieri.

    Il Riesame ricorda inoltre che in relazione al detto incendio “considerando la pena edittale di due anni non è possibile disporre alcuna misura cautelare”.

    E la solidarieta’ ad alcune persone detenute per fatti di terrorismo “non può essere ritenuta istigante a commettere atti violenti in quanto ci si limita a esortare gli aderenti al movimento a non abbassare la testa”.

    Dalle motivazioni emerge quello che gli stessi inquirenti avevano detto in conferenza stampa parlando di arresti nell’ambito di una strategia di tipo preventivo in vista di disordini originati dalla crisi economica dovuta al diffondersi del corona virus. Insomma era un processo alle intenzioni.

    Il Riesame ricorda che la Cassazione in materia di 270 bis, associazione sovversiva, fissa dei paletti molto concreti. Va detto che in materia il Riesame di Bologna la pensa all’esatto opposto di quello di Roma che di recente ha confermato tutti gli arresti di anarchici tranne uno e che spieghiera’  i motivi intorno a Ferragosto.

    Al centro di entrambe le inchieste ci sono azioni di solidarietà con immigrati reclusi in strutture senza aver commesso reati e con detenuti mentre si continua a non sapere nulla dei motivi per cui nella prima decade di marzo 15 reclusi morirono nel corso di rivolte. L’unico dato certo al riguardo è che 34 detenuti saranno processati per devastazione a Milano. (frank Cimini)

  • Non risponde al gip. Negato colloquio con genitori

    L’indagato in stato di arresto si avvale della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di garanzia. Pochi giorni dopo il giudice delle indagini preliminari di Roma Anna Maria Gavoni rigetta l’istanza di colloquio con i genitori e la sorella del detenuto accogliendo il parere contrario del pubblico ministero che aveva messo nero su bianco l’esplicita motivazione.

    ”Con parere allo stato contrario anche alla luce dell’esito dell’interrogatorio di garanzia” sono le parole del magistrato della procura, il sostituto Francesco Dall’Olio. Il protagonista della vicenda è Nicola Aurigemma uno degli anarchici arrestati il 12 giugno scorso con ll’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. Si tratta della famosa ordinanza musicale dal momento che tra gli eventi contestati agli indagati destinatari delle misure cautelari c’era “utilizzo dell‘Hip Hop.

    ”Non mi era mai capitato di vedere rigettata un’istanza di colloquio con una motivazione del genere” è il commento dell’avvocato difensore Ettore Grenci il quale sta preprando insieme ai colleghi le memorie in vista dell’udienza del Riesame in programma per il prossimo 30 giugno.

    Il detenuto Aurigemma insomma paga dazio per aver esercitato il suo diritto di avvalersi del,a facoltà di non rispondere davanti al gip. E per questa ragione si vede negare un altro diritto quello di poter ricevere la visita o di parlare per telefono con i genitori e la sorella.

    Una giustizia emergenziale in cui ovviamente le responsabilità maggiori in negativo sono del gip che aveva già fatto copia-incolla con la richiesta di custodia cautelare della procura per i sette anarchici, cinque finiti in carcere e due ai domiciliari (frank cimini)

  • Intervista a Steccanella: “Lotto per non far morire Battisti in carcere”

    Davide Steccanella gode di un doppio, prezioso punto di vista: da sei mesi è l’avvocato di Cesare Battisti, a cui sta cercando di far scontare una pena coerente con la Costituzione sia nell’entità che nei modi; da un’altra prospettiva, che ‘allena da anni’, è uno dei massimi storici degli anni del terrorismo italiano e non solo, autore di testi fondamentali  come ‘Gli anni della lotta armata: cronologia di una rivoluzione mancata’. Per la prima volta da quando affianca Battisti, catturato in Bolivia a gennaio dopo 37 anni di latitanza e in carcere per scontare due ergastoli relativi a 4 omidici, Steccanella si concede in un’intervista a tutto campo.

    Cosa significa per te, che ha studiato anche da storico quel periodo pur non avendolo mai  vissuto direttamente, difendere Cesare Battisti?

    Avrei preferito continuare a occuparmene da storico, sicuramente non avrei mai pensato da avvocato di scrivere un’istanza su fatti commessi nel 1979. All’inizio è stato difficile,  però nel momento in cui una persona in stato di detenzione mi nomina come avvocato non posso che fare solo l’avvocato e dimenticare di essere uno storico. Da quell’istante, considero il mio cliente una persona che ha necessità di una difesa tecnica e quello è il mio approccio, anche  se è senz’altro singolare fare diventare cronaca giudiziaria quella che è invece è storia. La situazione di Battisti è molto particolare perché qui non soltanto si parla di fatti commessi 40 anni fa ma lui è una persona che è andata via dall’Italia 40 anni fa, nel 1979 quando, dopo  due anni di galera, è stato fatto evadere da altri, è andato all’estero e non ha più fatto rientro nel nostro Paese. Ora, chiunque abbia potuto vivere in Italia negli ultimi 40 anni sa che questo è un Paese completamente diverso. C’è questo duplice problema: sono vecchi i fatti ed è vecchissimo questo rapporto con lo Stato che in questo momento sta eseguendo nei suoi confronti una pena. C’è anche una difficoltà di comunicazione: Battisti è una persona abituata a parlare da anni altre lingue. Insomma, è tutto molto singolare rispetto alle precedenti mie esperienze professionali.

    Prima di tornare in Italia, Battisti a un certo punto dice di essere andato dalla Francia al Brasile grazie ai servizi segreti francesi. Poi non ha mai più smentito questa storia. E’ davvero andata così e, nel caso, cos’ha ricevuto in cambio dai servizi? 

    Io parlo delle cose che so e questo non lo so, il mio cliente non mi ha mai riferito modalità di questo tipo. In quegli anni sono state molte le persone che si sono sottratte alle sanzioni riparando all’estero. Non era così inusuale che un soggetto riuscisse ad andare all’estero senza bisogno dei servizi segreti. Parliamo di una persona che è da 40 anni all’estero e che di dichiarazioni ne ha fatte tante, ogni volta determinate dalla situazioni in cui si trovava. Per questo,  preferisco adeguarmi a quello che mi ha detto di persona e su questo aspetto non ho avuto nessuna conferma. Da quello che ho capito io, mi pare assolutamente compatibile la sua versione. Ai tempi anche prendere gli aerei non era così complicato come oggi, è pieno di casi, non sarebbe né il primo né l’ultimo ad averlo fatto in quegli anni, non è necessario che ci sia dietro chissà quale protezione francese.

    Battisti ha ammesso di avere avuto un ruolo materiale o come mandante in quattro morti: quella del maresciallo degli agenti di custodia del carcere di Udine Antonio Santoro, del gioielliere Pierluigi Torregiani, del commerciante Lino Sabbadin e del poliziotto Andrea Campagna. La decisione  di ammettere gli addebiti dopo averli negati per anni è una decisione che ha preso lui oppure tu, come legale, gliel’ha suggerita? 

    Mai nella vita ho preso una decisione per conto dei miei clienti, soprattutto se è di questa delicatezza e di questa importanza. E’ una scelta che ha fatto lui e io gli ho creato i mezzi tecnici per portarla avanti. In quel momento ho ritenuto, quello  sì, di scegliere l’interlocutore che mi sembrava più adatto e istituzionale, cioè il procuratore dell’antiterrorismo di Milano, Alberto Nobili, che, tra l’altro, è un magistrato che stimo tantissimo e di cui mi fido ciecamente. La decisone è stata sicuramente sua ma tenete conto che sono state scritte un po’ di inesattezze su questo fatto, nel senso che Battisti non ha mai negato di fare parte dei Pac che erano una delle tantissime formazioni armate di quegli anni. Lui non ha mai detto ‘Io non ho fatto la lotta armata’. Se il discorso è relativo ai singoli episodi, il negarli ha un senso di fronte alle autorità che deve riceverli. Battisti non ha mai partecipato ai processi in Italia, era in contumacia e la prima volta che ha  trovato un magistrato, cioè dopo il rientro nel nostro Paese, ha fatto quella dichiarazione. Eventuali dichiarazioni fatte ai media all’estero in precedenza vanno prese con le molle. Non è corretto dire che ha cambiato idea, ha sostanzialmente sempre ammesso la sua situazione storica e politica sulla quale ha anche scritto dei libri. A Nobili ha detto che le sentenze corrispondono al vero perché insieme a tanti altri è stato un militante dei Pac. Teniamo presente che i Pac non erano le Br,  ma un gruppo ristretto. Se fai parte dei Pac, le azioni sono quelle e pensare che fai parte dei Pac senza partecipare a quelle azioni poteva sembrare contraddittorio. In Francia o in Brasile potevano crederci, non conoscendo la storia di questo Paese, nessuno in Italia poteva immaginarlo.  

    Nell’interrogatorio davanti a Nobili, Battisti ammette di  avere ucciso, sparandogli, il poliziotto Andrea Campagna “su indicazione data dal collettivo di Zona Sud in quanto Campagna era stato ritenuto uno dei principali responsabili di una retata ai danni dei compagni del collettivo Barona che erano poi stati torturati in caserma”. Come si lega quell’episodio alla vicenda di Battisti?

    Quello è un fatto provato, ormai storico, anche se l’inchiesta venne archiviata, e riguarda tutti i militanti del collettivo Barona che furono sottoposti a tortura in caserma. Si sanno anche i nomi. C’entra fino a un certo punto con Battisti. Certamente fu un episodio orrendo, che però in realtà aveva riguardato una serie di persone che non c’entravano nulla coi Pac. Ho trovato onesto da parte di Battisti non strumentalizzare per se stesso quell’episodio che effettivamente non aveva nessuna attinenza. Questa è una brutta pagina di quella storia che ho anche riportato in un libro, facendo parlare i protagonisti. Il problema di quella storia è che non si è trattato di una serie di episodi giuridicamente delittuosi ma si è inserita in un gigantesco conflitto sociale che ha coinvolto  il nostro Paese per più di 15 anni. Per durare più di 15 anni in uno Stato capitalista, che non sono le montagne della Sierra Nevada, evidentemente era una situazione storica molto particolare al cui interno si colloca la microesperienza di Battisti e di migliaia di altre persone.  Che lo Stato in qualche modo abbia reagito andando oltre i mezzi consentiti è  abbastanza normale, cioè tu dichiari guerra e l’attaccato risponde. Battisti è stato un combattente di quel periodo e trovo anche che sia abbastanza coerente che non faccia il  ‘piangina’ rimproverando lo Stato. Aveva messo in conto che lo Stato reagisse in quel modo. Cioè lui non è un democratico, non puoi chiedere a Battisti di utilizzare lo sdegno democratico perché sarebbe anche contraddittorio. Battisti è l’ultimo a sorprendersi che la polizia torturasse i militanti arrestati. Non toccava a lui parlane, ma allo Stato ammettere.

    Lo Stato italiano continua a  cercare i latitanti all’estero, com’era Battisti. Alcuni protagonisti di quegli anni e diversi intellettuali ritengono che lo Stato dovrebbe non limitarsi a ridurre quelli commessi all’epoca come dei fatti criminali ma anche espressione di un conflitto sociale.  E’ possibile che prima o poi accada?

    C’è stato un conflitto di classe che si è inserito perfettamente in quel ventennio molto particolare di un secolo molto particolare, con guerriglie sparse in tutto il mondo. Questo lo Stato non lo vuole ammettere ma ai tempi del sequestro Moro sarebbe stata sufficiente una dichiarazione che c’era un conflitto sociale in corso per salvare la vita del politico. Lo Stato decise di non farlo allora ed è ovvio che non lo fa 40 anni dopo, ma così si continuerà a raccontare una storia monca che non fa capire né com’è nata né com’è finita, con ciò lasciandola sospesa. Tu puoi raccontare la storia solo se la definisci, se no resta lì e queste sono delle protuberanze che assomigliano a una forma di vendetta tardiva. Io sono contrario anche a recuperare i criminali nazisti, c’è poco di giuridico e tanto di vendetta, oltre al discorso della propaganda politica. Sapere che un ministro, Matteo Salvini, dice che un detenuto deve marcire in galera mi fa orrore e in questo do’ atto alla Corte d’assise d’appello di Milano, che si è occupata del caso, di avere ristabilito i giusti termini giuridici. La storia di un Paese non doveva essere delegata alla magistratura che non ha il compito di risolvere un conflitto sociale. Battisti non ha inventato la lotta armata ma faceva parte di altri 6mila cittadini condannati per lotta armata. Ho trovato ripristinato il principio secondo cui nessuno deve marcire in galera proprio nell’ordinanza che ha respinto la mia istanza di commutare in 30 anni la pena dell’ergastolo (nel provvedimento, i giudici hanno stabilito che Battisti “potrà godere dei benefici penitenziari, in virtù di un trattamento che è diretta attuazione del canone costituzionale della funzione rieducativa della pena”, ndr). In quell’ordinanza, il percorso penitenziario arrivato dalle leggi degli anni ’70  ha trovato un senso anche perché se lo Stato si limita a essere una retina che raccoglie tutti i ruderi di una guerra finita ci fa brutta figura lui. Uno Stato forte chiude i conti col passato. C’è stato bisogno di una mia istanza per ottenere il riconoscimento del ‘presofferto’, cioé i quasi 8 anni di carcere che Battisti aveva già scontato. I media hanno fatto passare il concetto che abbiamo chiesto uno sconto di pena, ma non è così. Io mi sono limitato a osservare che una parte di galera l’aveva già fatta.

    Come hai trovato Battisti dal punto di vista umano?

    L’ho visto per la prima volta nel carcere di massima sicurezza, è una persona di 65 anni che ha tutta una storia particolare, completamente diversa da dalla mia, per cui all’inizio è stato un po’ difficile. Quello che posso dire è che mi pare una persona sincera. Il mito  che era stato costruito non mi sembra corrispondere per niente alla persona fisica e reale che in questi mesi sto conoscendo,. Sicuramente la mia impressione è migliore di quella che la stampa aveva trasmesso.

    Tu sostieni che Battisti non sia stato espulso ma estradato, e per questo gli vada applicata la pena massima dei 30 anni di carcere perché in Brasile non è previsto l’ergastolo, a differenza che in Bolivia. Perché ne sei convinto? 

    In tutti gli atti pubblici della Digos non si parla mai di una procedura di espulsione, Battisti sempre viene definito come estradato e, come tale, va trattato secondo quanto stabilito dal trattato tra Brasile e Italia del 2017.  A mio parere l’Italia non può fare questa figuraccia di non rispettare l’accordo col Brasile. Non capisco le levate di scudi alla mia richiesta di commutare la pena dal carcere a vita a 30 anni su un uomo di 65 anni. Chiunque dotato di un minimo di buon senso capisce che trasformare in 30 anni la pena su una persona di questa età è di assoluta irrilevanza. Allora mi chiedo: perché tutto questo accanimento su cose che non hanno un rilievo effettivo? Significa che lo Stato va oltre, che in qualche modo vuole fargliela pagare un po’ di più e questo è sbagliato. Prendo però atto che, in questi sei mesi, gli unici soggetti coi quali ho potuto interloquire rimanendo nell’ambito del diritto sono stati i magistrati e la poliziotta Cristina Villa (tra le principali artefici della cattura in Bolivia, ndr). Meno male che mi hanno consentito di fare il mio mestiere.  Battisti ha fatto parte di una storia dolorosa, anche in questo Palazzo di Giustizia (di Milano, ndr) vediamo tutta una serie di targhe che ci ricordano le persone che sono morte in quegli anni, ma ricordiamoci che sono morte tantissime persone anche dall’altra parte e non vengono mai ricordate. Lo dicono i numeri che è stata una guerra.

    A luglio scadono i sei mesi di isolamento. Cosa succederà dopo? 

    Battisti è stato rinchiuso nel carcere di Oristano dove non ci sono altri detenuti qualificati come lui, cioé As2 (Alta sicurezza livello 2, ndr). Questo significa che quando scadrà la pena dell’isolamento lui continuerà a scontare in maniera illegittima l’isolamento se non verrà trasferito in una carcere dove potrà stare con altri. Che uno Stato pretenda di eseguire una pena è legittimo ma questa non deve trasformarsi in una tortura. L’isolamento è una pena ulteriore che non può andare un giorno oltre la pena comminata. Se non lo spostano da lì è invece destinato a prolungare una pena a quel punto illegale. Lui deve scontare il dovuto ma non vedo perché debba essere sottoposto a un trattamento diverso rispetto agli altri detenuti. Proverò a rivolgermi al Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) per farlo trasferire in un altro carcere ed evitargli l’isolamento oltre la pena. Bisogna trovare un carcere dove ci sono altri As2. Battisti sta scontando una pena per una storia alla quale hanno partecipato tantissimi in questo Paese, non ha inventato niente, è figlio di un’epoca. Il mio obbiettivo è che non muoia in carcere perché quando ho scelto di fare l’avvocato l’ho fatto per un Paese dove ero convinto e lo sono tuttora che i detenuti non debbano marcire in galera. In Italia manteniamo in vigore la pena dell’ergastolo che quasi tutti gli altri Stati a cui l’Italia si sente superiore per civiltà, ritengono superata. Nell’accordo su Battisti, l’allora Ministro della Giustizia Andrea Orlando scriveva in tre pagine, quasi scusandosi col Brasile, di avere ancora l’ergastolo e sembrava di percepire l’imbarazzo per questo. Due anni dopo sentire l’attuale Ministro che la rivendica e si augura che un detenuto marcisca in galera lo trovo inquietante non per me bensì per tutto il sistema, in primis per gli stessi operatori del diritto, avvocati e magistrati: perché allora che ci stiamo a fare? Per marcire in galera non c’è bisogno di noi.

    (frank cimini e manuela d’alessandro)

     

     

     

     

     

  • Guido Galli diventa Alessandro, la gaffe della Scuola Superiore della Magistratura

    Viene quasi da ridere a pensare al tema del convegno: “L’identità personale”. Perché, nel promuovere un incontro su questo argomento, la Scuola Superiore della Magistratura incorre in una clamorosa gaffe storpiando l’identità del giudice Guido Galli, assassinato il 19 marzo del 1980 a Milano da un nucleo armato di Prima Linea all’interno dell’Università Statale.

    Forse per una crasi, l’aula Magna del Palazzo di Giustizia di Milano dove si svolgerà il meeting viene intitolata a Emilio Alessandrini e Alessandro Galli. Tra i temi presi in esame dai relatori ci sarà proprio il “diritto al nome, avuto riguardo della giurisprudenza nazionale e internazionale”.

    (manuela d’alessandro)

     

  • La replica del ‘Corriere’: nessuna bufala, raccontata una storia vera

    Riceviamo e pubblichiamo la replica dei colleghi del Corriere Gianni Santucci e Andrea Galli al post firmato da Frank Cimini ‘Bufale, giornali e apparati bisognosi di gloria e di soldi’.

    “Per le opinioni del signor Cimini non abbiamo alcun interesse. Il post sul nostro articolo pubblicato sul Corriere della Sera contiene però affermazioni scorrette e diffamatorie, alle quali siamo obbligati a rispondere.

    Primo. La bufala è una notizia falsa. Nulla di quanto affermato nell’articolo è falso. Dunque il signor Cimini, che di professione ha fatto il giornalista, non dovrebbe usare le parole a sproposito. Bufala, in questo caso, è un termine utilizzato a sproposito (e in modo offensivo).

    Secondo. Il signor Cimini parla di “molto presunto attentato”. La storia è diversa: abbiamo raccontato che quella sera, in poche ore, si è verificata una serie di fatti che ha determinato uno scenario di alto rischio, come mai era avvenuto in Italia nel recente passato. Dato che facciamo i giornalisti, questa è una notizia.

    Terzo. Il signor Cimini afferma che “uno dei tre “forse” in passato avrebbe avuto un contatto con un sospetto fondamentalista”. Nell’articolo non usiamo il dubitativo “forse”, perché quel contatto è esistito ed è documentato (è stato l’elemento chiave che ha fatto scattare l’allerta). Il “fondamentalista” non è “sospetto”, perché è stato arrestato in Francia ed è tutt’ora detenuto, dopo oltre un anno. Forse una più attenta lettura dell’articolo sarebbe stata opportuna, ma non ci permettiamo di dare consigli al professor Cimini.

    Quarto. Il signor Cimini afferma: “Oggi giorno successivo allo scoop il quotidiano di via Solferino non ha scritto una riga. In pratica c’è la conferma della bufala”. Perdono, forse non conosciamo importanti regole del giornalismo di cui il professor Cimini è invece depositario. Domanda: bisogna scrivere un secondo pezzo, il giorno dopo l’uscita di un articolo, per certificare che quel primo articolo non sia una bufala? Se è così, grazie dell’insegnamento, professor Cimini. Poveri ingenui, pensavamo che fare verifiche puntuali e accertare la veridicità di tutte le informazioni contenute in un articolo fosse sufficiente.

    Quinto. Bisogna soffermarsi sull’affermazione: “nel nostro paese ci sono in materia di terrorismo e affini apparati investigativi enormi, spropositati rispetto alle necessità”. Ripetiamo: non ci interessano e non entriamo nel merito delle opinioni del signor Cimini, ma non accettiamo che su quell’affermazione si costruisca un ragionamento nel quale veniamo inseriti come “complici” al servizio di apparati dello Stato. Purtroppo svolgiamo il nostro lavoro a un livello molto più basso: abbiamo saputo una notizia, l’abbiamo verificata cercando informazioni e conferme da più e diverse fonti nell’arco di quattro giorni, infine l’abbiamo pubblicata. Dunque, professor Cimini, per cortesia ci tenga fuori dalle sue raffinate e approfondite analisi”.

     

    Andrea Galli e Gianni Santucci, cronisti del Corriere della Sera

  • Bufale, giornali e apparati bisognosi di gloria e di soldi

    Era una bufala in piena regola. Se ne era avuta la certezza già leggendo l’articolo in prima pagina ieri sul Corriere della Sera in merito a un molto presunto attentato di Capodanno che girava intono a tre marocchini i quali prenotavano e pagavano con 700 euro un albergo per poi non farsi vedere. Uno dei tre “forse” in passato avrebbe avuto un contatto con un sospetto fondamentalista. Questo bastava per scatenare la notte dell’ultimo dell’anno intorno all’albergo e a una vicina festa con 5000 persone poliziotti di ogni tipo ai quali toccava alla fine accertare che non era successo niente.

    Oggi giorno successivo allo scoop il quotidiano di via Solferino non ha scritto una riga. In pratica c’è la conferma della bufala, che però dovrebbe portare ad aprire una discussione seria su un argomento tabù: nel nostro paese ci sono in materia di terrorismo e affini apparati investigativi enormi, spropositati rispetto alle necessità che costano un sacco di quattrini. E operano dove  attentati di matrice islamica non ce ne sono stati. La prevenzione è attività necessaria ma da svolgere in silenzio. Con ogni probabilità la fine di giustificare la loro attività pagata ovviamente con soldi pubblici in quantità che non è dato conoscere causa segreto di stato queste strutture inventano pericoli. Naturalmente con la complicità di giornali e giornalisti che in realtà non vedono l’ora di gridare “al lupo al lupo”, perché bisogna stringersi tutti in un grande abbraccio intorno allo stato democratico che ci protegge.

    Leggendo lo “scoop” di ieri del Corrierone e ascoltando le bufale di complemento dei telegiornali, dove si è soliti mai verificare il contenuto della carta stampata, in molti se non tutti sono orientati a pensare a un pericolo reale. E così il gioco è fatto. In tempi di spending review dove possiamo già contare sulla commissione Moro che spreca denaro mandando la pg in via Fani 40 anni dopo con il laser. Per scoprire che a sparare furono solo le Br come avevano stabilito cinque o sei processi. (frank cimini)

  • 35 anni dopo, fu vera gloria la legge sui pentiti?

    Il 29 maggio 1982, durante quella che venne definita “emergenza terrorismo” veniva approvata in Italia la Legge n. 304 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 149 del 2 giugno) dal titolo “Misure a difesa dell’ordine costituzionale”. La cosiddetta “legge sui pentiti” introduce all’art. 3 notevoli sconti di pena per chi “rende piena confessione di tutti i reati commessi e aiuta l’ autorità di polizia o giudiziaria nella raccolta di prove decisive per la individuazione o la cattura di uno o più autori di reati commessi ovvero fornisce comunque elementi di prova rilevanti per la esatta ricostruzione del fatto e la scoperta degli autori di esso.”

    In tal caso” si legge “la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dieci a dodici anni e le altre pene sono diminuite della metà, ma non possono superare, in ogni caso, i dieci anni”. Al secondo comma del medesimo art. 3 si legge che quelle pene già ridotte sono ulteriormente diminuite fino ad un terzo “quando i comportamenti previsti dal comma precedente sono di eccezionale rilevanza” e in tal caso è prevista, si legge al successivo art. 6, “la libertà provvisoria con la sentenza di primo grado o anche successivamente quando, tenuto conto della personalità, anche desunta dalle modalità della condotta, nonché dal comportamento processuale, il giudice possa fondatamente ritenere che l’imputato si asterrà dal commettere reati che pongano in pericolo le esigenze di tutela della collettività.”.

    All’inizio la Legge verrà aspramente criticata da molti cultori del diritto e alcuni giudici milanesi scriveranno, in una Sentenza del 1983, che “spoglia il magistrato della sua dote più sacra, l’imparzialità assoluta nei confronti di chiunque e comunque delinqua» (cfr. Sentenza 20/83, pag. 99).

    Tra i casi che destano più “scalpore” nell’opinione pubblica quello dell’ex BR Patrizio Peci, che a fronte di 7 omicidi confessati (più numerosi ferimenti) uscirà dal carcere dopo soli 3 anni e mezzo in regime di protezione, quello del milanese Marco Barbone, scarcerato dopo poco più di 2 anni dal suo arresto al termine del processo di primo grado per l’ omicidio di Walter Tobagi, e quello dell’ex piellino Michele Viscardi, tra i responsabili dell’omicidio del giudice Guido Galli, che sconterà una pena inferiore a quella del settantenne ex partigiano bolognese Torquato Bignami denunciato dal Viscardi per avere prestato al figlio Maurice (anch’egli di Prima Linea) un appartamento a Sorrento, dove fu ricoverato il Viscardi stesso perché ferito in un conflitto a fuoco dopo una rapina a Ponte di Cetti (Viterbo), in cui erano rimasti uccisi i carabinieri Pietro Cuzzoli e Ippolito Cortellessa. (altro…)

  • I verbali del comandante dell’Isis, 20 anni di storia di noi e dell’islam radicale

     

    Tutta la storia, narrata in prima persona, di Abou Nassim, il comandante dell’Isis catturato oggi in Libia e considerato dai servizi il referente del terrore per l’Italia oltre che uno degli autori della strage del Bardo secondo le autorità tunisine.  Un concentrato diluito di due decenni nella viva voce del tunisino registrata dai verbali degli interrogatori di tutto quello che sta attorno al tema ‘terrorismo islamico’. Arrivato in Italia con un barcone, da spacciatore di droga a “uomo pio” e vicino agli ambienti estremisti attraverso la frequentazione delle moschee milanesi, detenuto e torturato in una base americana in Pakistan dopo l’11 settembre, combattente in Bosnia, arrestato per terrorismo ed espulso dall’Italia dopo un’assoluzione in primo grado (poi in appello ha preso 6 anni), vicino prima ad Al Qaeda e poi ‘colonnello’ dell’Isis. Ha solo 46 anni, Abou Nassim, ma nella sua vicenda personale raccontata al gip Guido Salvini ritroviamo tutta la storia dei rapporti tra il nostro Paese e l’ Islam radicale negli ultimi 20 anni. (manuela d’alessandro)

    primo interrogatorio Nassim

    secondo interrogatorio Nassim

    terzo interrogatorio Nassim

  • Le foto dei bimbi guerrieri e quelle dei piccoli profughi morti in mare

    Due foto di bambini nell’ultima storia di terrorismo islamico raccontata da un’indagine giudiziaria. C’è quella dei 4 piccoli con la tuta mimetica e il dito puntato verso il cielo, a un paradiso che non può che essere di giocattoli: minuscoli guerriglieri inconsapevoli che riempiono di orgoglio la loro mamma, Alice Brignoli, e il papà Mohamed Koraichi, da Bulciago (Lecco) alla Siria per lo Stato Islamico. “L’immagine simbolo della vita attuale di Alice, dal momento che l’ha impostata come foto del suo profilo whatsapp!”, annotano gli inquirenti nell’ordinanza di custodia cautelare a carico dei giovani sposi foreign fighters e di altri 4 presunti jihasti. Sfugge un punto esclamativo, come di  sorpresa.

    Ma c’è anche una foto sul profilo Facebook del pugile – terrorista Raim Moutaharrik, un’immagine che quasi scompare tra tutte quelle che glorificano l’esuberanza atletica del campione di kickboxing, un guerriero del ring, un ragazzo integrato, diremmo, grazie allo sport. Tanti amici italiani passano da quel profilo per lasciare le faccine col sorriso, i ‘mi piace’, gli ‘in bocca al lupo’ per le sue sfide.  Un bambino steso sulla riva del mare, un piccolo profugo, la foto che avremo potuto mettere anche noi, quanti di noi l’hanno postata in questi mesi per mettere al caldo la coscienza o per una rabbia confusa. “Io non ho più parole!!!”, scrive Raim e gli scappano tre punti esclamativi. Il senso di questa storia di bambini e di terrore è forse nei punti esclamativi: di stupore, di rabbia, di terrore.  (manuela d’alessadro)

  • Il campione di Kickboxing che voleva fare un attentato in Italia

    Combattente sì, ma solo sul ring. Così lo conoscevano i compagni con cui incrociava i guantoni. Eccolo Raim Moutaharrik, il ragazzo marocchino che per la procura di Milano era pronto ad arruolarsi nell’Isis e a compiere un attentato in Italia. Il 14 maggio aveva un impegno importante, partecipare all’ ‘XI Trofeo Città Di Seregno Boxe’ al quale sono invitati i migliori rappresentanti della kickboxing.  Sul sito dell’evento si presenta così: “Sono un metalmeccanico, un fighter determinato”. Ventisei anni, è un atleta del ‘The Jolly Stompers/ Fight club Seregno’. Nell’intervista pubblicata dagli organizzatori della competizione, spiega di avere vinto 24 gare su 28 e  invia anche un messaggio al suo avversario: ““La legge del ring premia solo una persona”, poi annuncia di voler fare “un match intelligente”.  Agli atti dell’indagine condotta dai pm Romanelli, Cajani e Pavone, c’è un “messaggio – bomba” registrato via whatsapp in cui uno sceicco, non ancora identificato, lo esorta così: “Caro fratello, ti mando il poema bomba, ascolta lo sceicco e colpisci dove sei”.  “Che Dio ti benedica Sheiko – risponde – se Dio vuole. Avranno la brutta notizia, ci vendicheremo di loro. Che Dio vi protegga e ci sarà la vostra vittoria sul popolo degli ingiusti. Se  Dio vuole da noi non vedranno altro che macellazione e uccisione, Se Dio vuole vi raggiungeremo”. Prima di immolarsi, vuole solo sistemare moglie e figli nello Stato Islamico. “Se riesco  a mettere la mia famiglia in salvo, giuro sarò io il primo ad  attaccarli (…) in questa Italia crociata, il primo ad attaccarla, giuro, giuro che l’attacco, nel Vaticano con la
    volontà di Dio”. L’unica richiesta che ti chiedo – dice Moutaharrik a un altro arrestato – è la famiglia, tu sai voglio almeno che i miei figli crescano un po’ nel paese del califfato dell’Islam”. E, forse, vuole vincere anche l’utimo incontro sul ring. (manuela d’alessandro)

    *L’intervista è stata rimossa dal sito nelle ore successive all’arresto

     

     

     

     

  • Abu Omar, Italia condannata da Ue… Tortura non è reato

    La corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per il rapimento e la detenzione illegale di Abu Omar. Il nostro paese dovrà risarcire con 70 mila euro l’ex imam e con altri 15 mila euro la moglie, entrambi parte civile al processo in cui furono condannati gli uomini della Cia e “assolti” a causa del segreto di stato quelli del Sismi.

    Secondo la corte internazionale le autorità italiane erano a conoscenza dell’operazione di extraordinary rendition mentre Abu Omar vide violati i suoi diritti di non essere sottoposto a tortura e maltrattamenti.

    La decisione di Strasburgo ridicolizza i comportamenti dei governi di “diverso” colore da Prodi a Berlusconi a Monti a Letta a Renzi che apposero il segreto di Stato su quanto accadde a febbraio del 2003 a Milano e anche la Grazia concessa da Mattarella a due degli imputati americani. Questo accade nel paese in cui la politica ha dimostrato ampiamente di non voler ratificare la convenzione internazionale contro la tortura affinchè la stessa tortura diventi un reato tipico del pubblico ufficiale.

    E non vuole farlo nemmeno adesso che un giovane ricercatore Giulio Regeni è stato tortura e ucciso in Egitto, il paese in cui Abu Omar fu trasferito dopo il rapimento per essere sottoposto ad atroci maltrattamenti. E dove ancora adesso è trattenuto illegalmente dal momento che non può uscirne, dopo che l’Egitto non aveva risposto alle richieste di assistenza giudiziaria formulate dalla magistratura italiana.

    Ai danni di Abu Omar si scatenò un’operazione di terrorismo di stato, anzi di più stati considerando il passaggio attraverso una base Usa in Germania e le responsabilità della Cia. Obama, che non ha mantenuto la promessa di chiudere quel simbolo della negazione dello stato di diritto a nome Guantanamo, ha ringraziato Mattarella per la grazia concessa a due imputati. In Italia il Parlamento fa finta di niente perchè “le forze dell’ordine” non vogliono che la tortura sia sanzionata come reato. Evidentemente hanno tutta l’intenzione di continuare a praticarla. (frank cimini)

  • Mattarella, la grazia alla Cia e la tortura che non è reato

    Perché in Italia non viene varata una legge per sanzionare la tortura come reato tipico del pubblico ufficiale? La risposta arriva dal presidente della Repubblica che ha deciso la grazia per un agente della Cia e per l’ex segretaria dell’ambasciata Usa condannati in relazione al caso di Abu Omar, l’imam sequestrato nel 2003 dagli 007 americani, trasferito attraverso la base di Aviano e la Germania in Egitto dove fu torturato e sodomizzato.

    La decisione non avrà effetti pratici perché i due graziati non sono detenuti ma ha un alto valore simbolico: nel nostro paese la tortura mai sarà reato. Mattarella in pratica dà ragione a chi ostacola il varo della norma perché “metterebbe in difficoltà le forze dell’ordine”. Del resto già il predecessore Napolitano aveva graziato il responsabile sicurezza della base di Aviano mentre gli uomini del Sismi, a iniziare da Nicolò Pollari, erano stati “graziati” dal segreto di Stato.

    Mattarella basa la sua decisione sul fatto che Obama ha rinunciato alle extraordinary renditions. Cioè della serie “non lo facciamo più”. Intanto lo stesso Obama non ha chiuso come aveva promesso il carcere di Guantanamo, l’esatto contrario di uno stato di diritto.

    Siamo ben oltre anche l’asservimento agli Usa, all’essere colonia. E’ la tortura legalizzata per sempre. La scelta di Mattarella copre quella che fu una operazione da terrorismo di stato, anzi di più stati, con la scusa della “lotta al terrorismo”, con tanti carissimi saluti all’ex culla del diritto. Qui è Italia, notte fonda. Per decisioni prese al Quirinale, prima da Napolitano che nel suo curriculum ha il sì ai carri armati a Budapest 1956, poi da Mattarella che è lì, anche se non si vede. Ogni tanto lo scongelano (frank cimini)

  • NoTav, da corte no secco a pg su nuove prove per “terrorismo”

    Dalla corte d’assise d’appello di Torino arriva l’ennesimo no all’accusa che aveva chiesto l’acquisizione di altri documenti e testimoni al fine di provare che l’azione contro il cantiere di Chiomonte del maggio 2013 fu eseguita con finalità di terrorismo. Il dibattimento non  sarà in sostanza rinnovato rispetto a quello di primo grado dove i 4 imputati erano stati assolti dalla finalità di terrorismo e condannati solo per i reati fine a 3 anni e 4 mesi. I giudici di appello hanno detto sì all’acquisizione solo degli atti sui quali accusa e difesa concordavano. Tra queste cartea c’è la sentenza della Cassazione a livello di motivazione recentemente depositata dove a proposito del ricorso dei pm contro l’annullamento dell’imputazione più grave si dice che era “ai limiti dell’inammissibilità”.

    Nell’ordinanza la corte definisce “ininfluenti” le carte e i testimoni che la procura generale voleva introdurre. Il pg Marcello Maddalena, che al pari di altri suoi colleghi non andrà in pensione il 31 dicembre a causa della sospensiva decisa dal consiglio di stato, prenderà la parola lunedì per ribadire che gli imputati vanno condannati anche per terrorismo. Maddalena posa il suo ragionamento sul ricorso contro la sentenza di primo grado presentato dai pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, fedeli al teorema Caselli, smentito già in due occasioni dalla Cassazione, oltre che dalla sentenza della corte d’assise.

    E’ chiaro che la contesa vera va ben al di là del processo relativo alle azioni contro  i cantieri del Tav. Caselli, ora in pensione, intendeva allargare ulteriormente la possibilità di bollare come eversive tutte le manifestazioni di resistenza attiva a livello sociale e politico. La linea dell’ex procuratore fin qui ha ricevuto dai giudici solo bastonate, ma i rappresentanti dell’accusa non intendono demordere.

    Lunedì dunque parlerà il pg, venerdì 18 toccherà alle difese e il 21 dicembre dovrebbe esserci la sentenza (frank cimini)

  • 48 anni senza un giorno di assenza e con passione, va in in pensione Laura Bertolé Viale

    Quarantotto anni e mezzo senza un giorno di malattia.

    “Ecco, tutto quello che dovevo fare l’ho fatto”.  Laura Bertolé Viale sposta alcuni fogli sull’immenso tavolo del suo ufficio elegante, quasi li accarezza. C’è una firma importante, l’ultima della sua vita giudiziaria, con la quale toglie l’indagine, per assegnarla a quello che ancora per oggi è il suo ufficio, a un pubblico ministero che non ha indagato a fondo su un delitto. Negli ultimi cinque anni da avvocato generale dello stato, come mai nessun suo predecessore, ha esercitato il potere – dovere di avocazione, anche inimicandosi magistrati di peso a cui biasimava scarso ardore investigativo. E’ stata la prima a mettere il naso tra i rovi burocratici e reali dove è in costruzione da 20 anni l’aula bunker del carcere di Opera, ottenendo che la corte dei conti aprisse un’indagine. E una dei pochi ad accorgersi che il sistema di affidamento dei fondi Expo alla giustizia milanese era oscuro e non rispettoso della legge, tanto da decidere di starne fuori mentre attorno a lei c’era la corsa alla fetta più sostanziosa.

    “Sono entrata in magistratura nel maggio del 1968, tredici anni al tribunale civile e  poi ho seguito da giudice penale e da pubblico ministero tutti i terrorismi: rosso, nero e islamico”.  Ha sostenuto l’accusa nei processi d’appello per le stragi di piazza Fontana e della Questura di Milano, giudice estesore della prima condanna in appello perAdriano Sofri, si è occupata dell’omicidio Calabresi. E’ stata anche rappresentante dell’accusa in diversi processi a Silvio Berlusconi (All Iberian, Mills, diritti tv, nastro Unipol).

    “Ho fatto tutto, vado in pensione contenta”. Magistrato con la porta sempre aperta a tutti, mancherà molto a una giustizia che non ama guardare allo specchio le sue deformità. (manuela d’alessandro)

    ce-un-solo-magistrato-arrabbiato-allanno-giudiziario-2015

  • La disperazione di Touil verso l’espulsione: “è perso, non riconosce la madre”

    Abdelmajiid Touil, ristretto nel Cie di Torino dopo il no all’estradizione della corte d’appello di Milano, non riconosce la voce della mamma al telefono, né l’avvocato Silvia Fiorentino e ha lo sguardo perso nel vuoto. Lo denunciano in una nota i suoi avvocati secondo cui il giovane “mostra di non comprendere la situazione in cui si trova”.

    Touil in pratica ha fatto 5 mesi di carcere gratis, prima di uscirne sia per il no all’estradizione sia per la decisione della procura di Milano di chiedere l’archiviazione in relazione alla strage del museo del Bardo a Tunisi alla quale è risultato del tutto estraneo in verità sin dal primo momento. La Tunisia indizi veri sul conto del giovane non li ha mai prodotti, ma questo non ha impedito il protrarsi della carcerazione in regime di alta sorveglianza a Opera.

    Touil non riesce a esprimersi nemmeno in arabo nonostante la presenza di due interpreti, affermano Silvia Fiorentino e l’altro legale Guido Savio che ricordano la presenza all’incontro con il loro assistite del garante dei detenuti in Piemonte Bruno Mellano e dell’assessore regionale all’immigrazione Monica Cerutti.

    Per Touil è stato avviato l’iter per l’espulsione verso il paese di origine, domani si svolgerà l’idienza per la convalida davanti al giudice di pace di Torino. Il Marocco potrebbe estradarlo in Tunisia, dove è prevista la pena di morte. Sarebbe così vanificata la decisione della corte d’appello. Sono in gioco diritti formali e sostanziali, a cominciare dal diritto alla vita. Touil ha in Italia familiari con il permesso di soggiorno e stava seguendo un corso per imparare la lingua, il 20 maggio al momento dell’arresto. Le autorità italiane rischiano un provvedimento di censura a livello internazionale, come era già accaduto nel caso Shalabayeva, dove c’erano state aspre polemiche per il comportamento del ministro Alfano lo stesso che si appresta a espellere Touil e che al momento dell’arresto del marocchino aveva presieduto una pomposa quanto inutile conferenza stampa in cui presentava come prove regine i deliri degli inquirenti tunisini. L’unico rimedio a questo punto sarebbero le scuse e un permesso di soggiorno. Il minimo nell’ex culla del diritto (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • In carcere da innocente,Touil vittima dell’antiterrorismo internazionale

    E adesso chiediamo scusa a un ragazzo di 22 anni che per 5 mesi e mezzo è stato muto e solo in carcere con l’accusa di essere un terrorista. Ci andava solo la mamma a trovarlo, una volta alla settimana. Anche in cella ha continuato a studiare l’italiano, come faceva a Gaggiano prima che l’arrestassero. Cercava un lavoro e andava a scuola per imparare la lingua del Paese dove era arrivato su un barcone gonfio di disperati.

    La notizia che conta non è che la Corte d’Appello di Milano ha negato l’estradizione verso la Tunisia di Abdelmajid Touil, il ragazzo marocchino arrestato a maggio su richiesta delle autorità nordafricane perché sospettato di avere partecipato all’attentato al Museo del Bardo. Non poteva fare altrimenti: l’Italia non può estradare neppure il peggiore criminale in uno Stato in cui vige la pena di morte (articolo 24 della Costituzione).

    Quello che conta è che gli indizi messi assieme dalla Tunisia erano così labili che oggi la Procura di Milano ha chiesto di archiviare le accuse di terrorismo internazionale e strage nell’indagine ‘italiana’  a suo carico.

    Dicevano da Tunisi: una persona l’ha identificato in una fotografia come uno degli autori del massacro. Fin da subito, era stato chiaro che Touil nei giorni della strage si trovava a Gaggiano, proprio alla scuola d’italiano. Sul suo comodino la Digos non aveva trovato neanche un Corano.

    E ancora, dicevano: da una scheda sim da lui acquistata sono partite telefonate con alcuni esponenti del clan terrorista accusato della strage. Invece, è bastato ricostruire i ‘movimenti’ della scheda, la tempistica delle chiamate e la data del suo viaggio in Italia per accertare che gli interlocutori venivano chiamati da Touil non nella loro veste di estremisti ma in quella di scafisti.

    Cinque mesi e mezzo. Bravi i magistrati Maurizio Romanelli ed Enrico Pavone che hanno sventato un’ingiustizia. Resta la domanda: si poteva arrivarci prima che un ragazzo  appassisse solo e muto in una galera per cinque mesi e mezzo? (manuela d’alessandro)

  • NoTav, i pm si aggrappano al caso Moro e alla jihad

    Al fine di dimostrare che l’azione contro il cantiere di Chiomonte fu eseguita con la finalità di terrorismo da parte dei NoTav (tesi smentita dalla corte d’assise di Torino e per ben due volte dalla Cassazione) i pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo si aggrappano al caso Moro e agli attentati della jihad  “rimproverando” i giudici che avevano assolto gli imputati dall’accusa specifica.

    I giudici di primo grado avevano assolto i militanti NoTav dall’aggravante relativa al terrorismo spiegando che l’azione contro il cantiere è cosa profondamente diversa dal comportamento delle Br che, in cambio della liberazione di Moro, chiesero la scarcerazione di persone legittimamente detenute e da richieste analoghe avanzate da esponenti del fondamentalismo islamico. (altro…)

  • Pm: 8 mesi a Erri De Luca. A tutela di Tav banche e “sistema”

    Erri De Luca ha istigato a commettere sabotaggi ai danni del treno a alta velocità e per questo deve essere condannato a 8 mesi carcere. Il pm torinese Antonio Rinaudo, già protagonista della causa persa sulla finalità di terrorismo contestata alle manifestazioni NoTav, non si smentisce. Aggiunge di chiedere una pena non alta per il comportamento processuale dell’imputato che non si è sottratto alle domande. Bontà sua. Per sua eccellenza in toga sottrarsi alle domande è una specie di reato.

    La volontà censoria dell’accusa è evidente. Sul Tav deve trionfare il pensiero unico. Perché la procura agisce, non solo in questo processo, a tutela di un’opera dannosa, violentatrice del territorio, devastante, ma allo stesso tempo capace di muovere un sacco di soldi per un grande affare in cui c’è la regìa delle banche che direttamente o indirettamente controllano i giornaloni. E quindi “chi tocca il Tav muore”. Non c’è spazio per altre idee.

    Il sistema nel suo complesso anche al fine di riprodurre potere di quell’opera ritiene di avere necessità assoluta. La magistratura non solo si adegua ma è ben contenta di tutelarla. Basta ricordare che gli appalti del Tav appaiono gli unici onesti e trasparenti, mai scalfiti da un’inchiesta seria. Tutte le attenzioni investigative sono riservate a chi protesta, al punto che un compressore rotto nel cantiere di Chiomonte è diventato una sorta di rapimento Moro, stando al teorema Caselli, finora sconfessato da corte d’assise e per ben due volte dalla Cassazione.

    Ora a farne le spese dovrebbe essere Erri De Luca, colpevole d’aver detto che il re è nudo. Tutti i partiti sono per il Tav. Insieme ai poteri forti spesso evocati a sproposito in questo “strano” paese, ma non è questo il caso. Anzi. (frank cimini)

  • NoTav, non è terrorismo. Cassazione riboccia teorema Caselli

    Per la seconda volta la Cassazione boccia il teorema Caselli. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dei pm di Torino che chiedevano fosse riconosciuta la finalità di terrorismo per 3 militanti NoTav in relazione ai fatti del cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013. In precedenza la Cassazione aveva bocciato istanza analoga della procura torinese per altri 4 imputati.

    I pm Rinaudo e Padalino dovranno farsene una ragione. E dovrà farsela l’ex procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli nel frattempo andato in pensione. I tre imputati erano stati condannati a 2 anni e 10 mesi per l’azione, ma come per altri 4 militanti Notav era stata esclusa l’accusa più grave. Finora le decisioni dei giudici, compresi quelli della corte d’assise di Torino, hanno sempre escluso la sussistenza del teorema elaborato da Caselli, un vero e proprio professionista dell’emergenza, pronto ad agitare un fantasma del passato per regolare lo scontro sociale e politico di oggi.

    Il 14 maggio del 2013 durante la manifestazione era stato distrutto un compressore. Da lì partiva la crociata dei pm, fiancheggiata dai giornaloni, direttamente o indirettamente controllati dalle banche molto interessate al treno dell’alta velocità e poco propense a valutare la devastazione del territorio provocata dall’opera, i cui appalti sembrano gli unici onesti e trasparenti in un paese in cui le inchieste giudiziarie nascono per molto meno. E’ la ragion di stato. (frank cimini)

    No tav, condanne dimezzate rispetto a pm

    giudici, dai notav nessuna minaccia allo stato

  • Hacking Team riguarda tutti noi, la nostra libertà, la nostra costituzione

     

    Hacking Team riguarda tutti noi, la nostra libertà, le nostre garanzie, il nostro stato di diritto. La lettura dei 4 gigabyte visibili su wikileaks dopo essere stati sottratti da ignoti alla società milanese che vende software di sorveglianza a governi di tutto il mondo  da’ i brividi. E non per la paura che i terroristi possano avere scoperto chissà quali segreti ma perché per la prima volta è evidente anche ai profani come strumenti informatici di questo tipo vengano usati dalle forze dell’ordine e dalla Procure italiane in modo molto, troppo disinvolto e fuori da regole precise. (L’attacco ad Hacking Team)

    In teoria, avete la garanzia di venire intercettati solo se un giudice lo ritenga indispensabile per verificare dei sospetti su di voi.  Ecco, scordatevi questa garanzia perché molte Procure si affidano, come emerge dalla mail pubblicate da wikileaks, a tecnologie gestite da privati che sono in grado di inoculare un virus nel vostro pc, leggere le vostre mail, presentarsi a un appuntamento che avete fissato con qualcuno via chat o  posta elettronica, sapere dove vi trovavate in un preciso momento.  Tutto senza che sia necessario il provvedimento di un gip dal momento che ancora non si è stabilita l’esatta natura giuridica dei trojan di stato, programmi per pc simili ai virus che si comportano come un ‘cavallo di Troia’ nel computer dell’ignaro sospettato per succhiarne tutte le informazioni. Anche a Milano, dove pure le polizie giudiziarie sono molto più preparate della media nazionale e non c’è bisogno di affidarsi a esterni come Hacking Team,  è in corso da tempo una discussione tra i magistrati  sulla natura giuridica di queste potenti armi investigative. Alcuni le considerano perquisizioni e sequestri e per questo  le può utilizzare in autonomia la polizia giudiziaria avvalendosi o meno di società come hacking team. In questo caso, la pg dovrà darne comunicazione solo in un momento successivo al pm o potrebbe anche non farlo,  mettendo in cantiere dati preziosi sul sospettato non ancora indagato. Per un’altra parte della dottrina e della giurisprudenza vanno considerate intercettazioni vere e proprie e quindi ci vuole l’ok del gip alla richiesta dell’accusa (articolo 15 della Costituzione).  In attesa che si faccia chiarezza,  la situazione attuale è che un privato, magari in affari col Sudan come Hacking Team, può sguazzare indisturbato nel vostro mare informatico, oppure lo può fare un più o meno valido poliziotto senza che un giudice ci abbia messo becco. O, peggio ancora, un investigatore che vi volesse male potrebbe mettervi file pedopornografici nel pc a vostra insaputa. A Milano negli ultimi mesi si sono svolti due incontri tra magistrati sul tema dei trojan di Stato a cui gli avvocati, fatto inedito, non sono stati ammessi come uditori, tanto per sottolineare la delicatezza del tema. Fa impressione, almeno a un lettore neofita che per la prima volta grazie a wikileaks può vedere come funzionano questi sistemi, vedere la disinvoltura con la quale colonnelli del Ros o della Guardia di Finanza discutano e chiedano consigli a David Vincenzetti, ad di Hacking Team, geniale professionista ma non uomo delle istituzioni, su come condurre le indagini.  Sapere che la maggior parte delle polizie giudiziarie italiane si  affida mani e piedi a questi strumenti fa venir voglia di spegnere il pc, anche se, come si dice in questi casi, non si ha nulla da temere. (manuela d’alessandro)

  • NoTav, 3 condanne a 2 anni 10 mesi, dimezzata richiesta pm

    Sono stati condannati a 2 anni 10 mesi e 20 giorni di reclusione e saranno scarcerati in giornata Lucio Alberti, Graziano Mazzarelli e Francesco Sala, i  3 militanti Notav processati con il rito abbreviato per l’azione al cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013. I pm di Torino Padalino e Rinaudo avevano chiesto 5 anni e 6 mesi, insistendo sul carattere “militare” dell’azione, nonostante l’accusa di aver agito con la finalità di terrorismo fosse caduta per i 3  imputati come per gli altri 4 già processati con rito ordinario e condannati a 3 anni e 6 mesi.

    Anche la sentenza del gup dopo quella della corte d’assise, ricordando la Cassazione che aveva bocciato per prima il “teorema Caselli” sul terrorismo, ridimensiona non poco la ricostruzione della procura. Stiamo parlando del danneggiamento di un compressore avvenuto la notte del 14 maggio 2013  che è già costato in pratica un anno di custodia cautelare ai primi 4 imputati e poco meno agli altri 3. La qualificazione giuridica decisa da Caselli poco prima di andare in pensione non ha retto ma hanno avuto scarso successo anche le pesanti richieste di condanna. Per i primi 4 imputati erano stati sollecitati in assise 9 anni e 6 mesi di reclusione. Per gli imputati del processo in abbreviato 5 anni e mezzo. L’accusa ha ragionato come se fosse ancora in piedi la finalità di terrorismo ed è stata smentita pure a livello di quantificazione della pena.

    Lucio Francesco e Graziano, detenuti in regime di alta sorveglianza anche dopo la bocciatura dell’imputazione più grave, avevano pagato un ulteriore prezzo a livello di salute contraendo la scabbia che li costringeva a giorni di isolamento che per decisione della direzione del carcere di Torino impediva loro di incontrare i legali per studiare la linea di difesa. (scabbia per i Notav)

    Il punto di riferimento di chi indaga sulle proteste contro l’alta velocità continua a essere una giustizia dell’emergenza al fine di tutelare una grande opera che danneggia il territorio delle valli piemontesi, tutela una classe politica in grandissima parte favorevole al Tav. Gli appalti dell’alta velocità invece appaiono come i più onesti e trasparenti del mondo. Lì, diciamo, la procura di Torino non si esercita. Insomma, quella dell’azione penale obbligatoria al di là di roboanti dichiarazioni e comunicati, è una favola.(frank cimini)

  • I dubbi della Procura sul marocchino arrestato e le certezze della politica

    Per partecipare alla strage del museo del Bardo, Abdelmajid Touil avrebbe dovuto prendere un aereo da Milano a Tunisi con ritorno immediato in giornata, 18 marzo, perché il ragazzo, 22 anni, è in Italia dal 17 febbraio (fino a prova contraria). Era arrivato con un barcone e poi era stato destinatario da Agrigento di un decreto di espulsione. Le autorità tunisine lo accusano di essere tra l’altro un reclutatore di guerriglieri nel nome dell’islam. Dicono da Tunisi che Touil sarebbe stato tra gli organizzatori dell’attentato. Nelle settimane scorse, la Tunisia ha già arrestato più di 40 persone e non è certo nota per essere una culla del garantismo.

    Gli inquirenti italiani che hanno dato esecuzione a un mandato di cattura internazionale stanno svolgendo in queste ore accertamenti sul suo effettivo ruolo nell’attentato. Politici di ogni colore, in testa il presidente del consiglio Matteo Renzi e il ministro dell’interno Angelino Alfano si sono spprofondati in elogi per la brillante operazione, come si dice sempre in casi del genere. Giornali online e tg hanno fatto il resto e pure di più, sbattendo il mostro in prima pagina.

    Per arrestare un altro immigrato dal nordafrica Mohamed Fikri furono dirottate due navi di cui una sbagliata. Era lui oltre ogni ragionevole dubbio l’assassino di Yara Gambirasio. E invece no, ma per arrivare all’archiviazione impiegarono due anni e l’indagine è ancora in mano alle stesse persone che adesso sempre ostentando sicurezza accusano Bossetti.

    I parenti di Touil dicono che il 18 marzo il ragazzo era qui. Alla polizia italiana non risulta come frequentatore di ambienti radicalizzati e nemmeno di moschee. Gli inquirenti italiani hanno dato semplicemente attuazione a un provvedimento tunisino, come sono obbligati a fare.  “Non sappiamo che ruolo abbia avuto Touil nella strage – dice un investigatore del Ros – in questa fase il Paese che chiede l’estradizione non è tenuto a descrivere le condotte contestate. Si è limitato a comunicarci il titolo di reato: omicidio volontario e partecipazione ad attività terroristica internazionale”.

    Per l’eventuale estradizione su cui deciderà la Corte d’Appello ci sono problemi perchè in Tunisia il codice prevede la pena di morte. I due paesi possono anche trovare un accordo nella non esecuzione della pena capitale in caso di condanna. Staremo a vedere. Ma l’informazione del nostro paese oggi ha scritto una delle sue pagine più nere. Non è la prima e crediamo molto verosimilmente neppure l’ultima. Insieme ai politici che a caccia di facili consensi elettorali si accodano alle autorità tunisine senza manifestare il minimo dubbio. (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • NoTav, gup: Non sono terroristi, ma stiano in galera uguale

    “Con il loro comportamento processuale non hanno dato segni di resipiscenza” scrive il gup di Torino per negare gli arresti domiciliari a 3 militanti NoTav accusati dell’azione al cantiere di Chiomonte del 14 maggio del 2013 per i quali era caduta davanti al Riesame l’accusa di aver agito con finalità di terrorismo.

    Francesco Sala, Lucio Alberti e Francesco Mazzarelli restano in carcere, e in regime di alta sorveglianza nonostante il “taglio” dell’imputazione più grave, per resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento e porto di armi da guerra (le molotov).

    Per il gup non è possibile sovrapporre a livello di materiale probatorio il procedimento a carico dei 3 con quello connesso a carico dei 4 militanti Notav assolti  a dicembre dall’accusa di terrorismo, condannati a 3 anni e 6 mesi per i reati comuni e messi agli arresti domiciliari.

    Sala, Mazzarelli e Alberti arriveranno da detenuti al processo con rito abbreviato del 23 aprile. Il gup ha deciso di non tenere conto né della sentenza della corte d’assise né del Riesame che anche per i 3 aveva escluso il terrorismo. Il giudice si è adeguato alla propaganda dell’accusa che per bocca del pg Maddalena anche in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario aveva criticato la corte d’assise che avrebbe “sottovalutato” il fenomeno della violenza politica.

    Non si spiega, o per altro verso si spiega benissimo, perché Sala, Mazzarelli e Alberti restano detenuti in un regime di 41bis di fatto nel carcere di Ferrara pur non essendo più formalmente imputati di terrorismo. “Nessuna resipiscenza” dice il gup, tralasciando il fatto che la sede per eventuali dichiarazioni è quella del giudizio abbreviato il 23 aprile. Come del resto fecero nel processo connesso i 4 coimputati davanti all’assise spiegando le motivazioni dell’azione di Chiomonte ammettendo la loro partecipazione (frank cimini)

  • Giudici: dai NoTav nessuna minaccia grave allo Stato

    Dai NoTav non ci fu nessuna minaccia grave allo Stato. Lo scrivono i giudici della corte d’assise di Torino nelle motivazioni della sentenza che a dicembre scorso aveva assolto 4 militanti dall’accusa di aver agito con finalità di terrorismo.

    “Pur senza voler minimizzare i problemi per l’ordine pubblico che derivano da inaccettabili manifestazioni non si può non riconoscere che in Val di Susa non si vive una situazione di allarme da parte della popolazione e che nessuna delle manifestazioni violente ha inciso sugli organismi statali che devono realizzare l’opera” scrivono i giudici. Al centro del processo c’era l’azione contro il cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013 per la quale i 4 imputati, assolti dall’accusa più grave, furono condannati a 3 anni e 6 mesi soprattutto per l’uso di armi da guerra (molotov).

    “Appare incontrovertibile – secondo la corte – la mancanza di volontà di attentare alla vita delle persone che lavoravano nel cantiere”. I 4 imputati si trovano agli arresti domiciliari da dicembre dopo un anno di carcere proprio per effetto della sentenza della corte.

    Altri 3 militanti NoTav invece sono ancora in carcere nonostante sia caduta al riesame anche per loro l’accusa di aver agito con finalità di terrorismo. Oggi, nel giorno in cui sono state rese le motivazioni  della sentenza della corte, l’avvocato Eugenio Losco ha depositato istanza di arresti domiciliari per i 3 imputati detenuti in regime di alta sorveglianza e che saranno processati con rito abbreviato il prossimo 23 aprile. L’avvocato chiede di sostituire il carcere con la detenzione in casa perchè le esigenze cautelari si sono sicuramente attenuate dal momento che non c’è più l’imputazione di terrorismo.

    Il gip deciderà nei prossimi giorni se tenere in conto la sentenza della corte d’assise ora pure motivata oppure se supportare la procura di Torino che con il teorema Caselli ha radicalizzato lo scontro sul treno ad alta velocità oltre ogni misura forzando la mano in senso emergenziale (frank cimini)

  • NoTav, condanne a 140 anni di carcere per 2 manifestazioni

    E’ il paese dell’emergenza infinita, dove la soluzione dello scontro sociale e politico è affidata al processo penale, con tutti i i partiti e le toghe uniti nella lotta. Il Tribunale di Torino ha condannato 47 militanti NoTav (assolvendone 6) a 140 anni di carcere in relazione a due manifestazioni tra giugno e luglio del 2011.

    Resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, dice il capo di imputazione della procura, accolto in sostanza dai giudici, alla fine di un processo celebrato nell’aula bunker delle ‘Vallette’ in un clima da anni di piombo, limitando l’accesso del pubblico a non più di una cinquantina di persone per udienza.

    Tutto ciò accade mentre la realizzazione del treno ad alta velocità è messa in discussione persino da alcuni dei suoi fautori perché, se ne sono accorti adesso, costa troppo. Da Torino arriva un messaggio politico che va al di là del processo specifico, la sentenza durissima e spropositata vuole essere un avvertimento a chiunque si sta ribellando o pensasse di farlo. E’ una sentenza politica che ha anche il sapore della vendetta interna alla magistratura, per ridimensionare le scelte della Cassazione e della corte d’assise di Torino che in un’altra vicenda NoTav avevano azzerato l’accusa di aver agito con finalità di terrorismo in riferimento all’azione contro il cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013.

    E la sentenza con 47 condanne arriva a pochi giorni dalle parole del Pg torinese Maddalena che, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, aveva criticato la sottovalutazione della gravità della violenza politica da parte di suoi colleghi. (frank cimini)

  • NoTav, pure i pm rinunciano all’accusa di terrorismo

    I pm di Torino chiedono il processo con rito immediato per tre militanti Notav, Lucio Alberti Graziano Mazzarelli e Francesco Sala, in relazione all’azione contro il cantiere di Chiomonte del 14 maggio del 2013 ma rinunciano a contestare l’accusa relativa alla finalità di terrorismo, che a livello di misura cautelare era stata azzerata dal Tribunale del riesame. I tre devono rispondere esclusivamente dei reati-fine, porto di armi da guerra (le molotov), danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale.

    La decisione dei pm è importante perchè significa che gli inquirenti prendono atto delle sconfessioni fin qui subite a livello di qualificazione giuridica: prima la Cassazione che rimanda a Torino gli atti, poi la Corte d’assise che assolve il 17 dicembre scorso quattro militanti Notav dall’imputazione più grave, infine il Riesame che annulla l’ordinanza bis per i tre che comunque sono in carcere da luglio.

    Sarà il gip Federica Bompieri a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio con rito immediato che presumibilmente sarà accolta. I difensori valuteranno la possibilità di ricorrere a riti alternativi, ma è chiaro che le difese hanno vinto la loro battaglia sul teorema Caselli. L’azione relativa al cantiere di Chiomonte non fu terrorismo hanno deciso diversi organi giudicanti e la procura è costretta a prenderne atto.

    Va ricordato però che l’agitare un fantasma del passato per influire su uno scontro sociale in atto adesso ha comportato mesi e mesi di custodia cautelare in regime di 41bis di fatto per sette militanti NoTav. Ora in 4 dopo un anno di cella sono ai domiciliari e 3 sono ancora detenuti nell’ambito di una vicenda che è stata ridimensionata in diritto e anche in fatto. I pm Padalino e Rinaudo le avevano tentate tutte anche contestando la finalità di terrorismo ai 3 all’immediata vigilia della sentenza per i 4, fiancheggiati in pratica da tutti i giornaloni. Della crociata mediatica che aveva trasformato la rottura di un compressore in un “affaire” della lotta armata di trenta e più anni fa resta praticamente nulla, se non l’ulteriore dimostrazione che i magistrati fanno politica. Anche perchè la politica, come tantissimi anni fa, delega alle toghe problemi di cui dovrebbe occuparsi lei. E’ il caso del treno ad alta velocità dove era sorto per contrastarlo e c’è ancora l’unico movimento radicato sul territorio. E per farlo fuori si sono inventati il “terrorismo”. Poi il Tav non si farà. Ormai ne sono convinti pure alcuni dei promotori. Ma intanto hanno ristretto gli spazi di libertà. Politici e magistrati uniti nella lotta (frank cimini)

  • NoTav, sono a casa i 4 militanti assolti da “terrorismo”

    Sono a casa i 4 militanti NoTav assolti dall’accusa di terrorismo il 17 dicembre scorso a Torino. La corte d’assise ha deciso per gli arresti domiciliari accogliendo la richiesta dei difensori. Tornano a casa dopo oltre un anno passato in regime di alta sorveglianza, carcere duro, un articolo 41bis di fatto, accusati di aver agito con finalità di terrorismo in relazione all’azione al cantiere di Chiomonte che aveva portato alla rottura di un compressore. I pm avevano dato parere fortemente negativo alla scarcerazione.

    I 4 militanti NoTav lasciano il carcere nel momento in cui contro la sentenza di assoluzione dall’imputazione più grave è in atto una campagna di linciaggio del verdetto della corte d’assise. Il ministro Lupi, il senatore piddino Esposito addebitano a quella sentenza la responsabilità dei recenti attentati mentre i pm all’udienza del Riesame per altri 3 militanti NoTav hanno duramente attaccato la decisione della corte d’assise, ancora prima che siano rese note le motivazioni tra circa tre mesi. Insomma pm e giornali preparano il clima in vista del processo d’appello.

    La sentenza di primo grado non l’hanno proprio digerita. Eppure si tratta di una sentenza che va nel solco tracciato dalla Cassazione che aveva rispedito indietro a Torino l’accusa di terrorismo. evidentemente per l’accusa e i suoi fiancheggiatori in politica e nelle redazioni il diritto non c’entra. Si tratta in effetti di un’operazione politica a difesa della realizzazione di un’opera rimessa in discussione da alcuni degli stessi promotori perché costa troppo. Se ne sono accorti adesso, La Torino-Lione non si farà quasi certamente. E quindi, agitando un fantasma del passato, il potere darà la colpa ai “terroristi”. (frank cimini)

  • NoTav, anche il Riesame boccia teorema Caselli

    Dopo la Cassazione e la corte d’assise di Torino anche il Riesame del capoluogo piemontese ha annullato l’accusa di terrorismo in relazione all’azione contro il cantiere del treno ad alta velocità di  Chiomonte del 14 maggio 2013. La Cassazione e la corte d’assise si erano espressi in relazione alla posizione di 4 giovani arrestati a dicembre dell’anno scorso. Il Riesame invece ha vagliato la posizione di altri 3 militanti NoTav in carcere da luglio scorso ma ai quali era stata notificata di recente una nuova ordinanza con cui si contestava agli indagati di aver agito con finalità di terrorismo.

    Per il teorema Caselli è la terza bruciante sconfitta che tra l’altro arriva a pochi giorni, era il 17 dicembre, dall’assoluzione in corte d’assise dei 4 militanti dall’imputazione più grave. La corte spazzava via l’accusa di terrorismo condannando i 4 a 3 anni e 6 mesi contro i 9 anni e mezzo chiesti dall’accusa.

    I pm Rinaudo e Padalino avevano parlato di “un’azione di guerra” e a pochi giorni dal verdetto per i 4 avevano tirato fuori dal cappello il coniglio dell’ordinanza bis per i 3 cercando di influenzare la corte. E invece i pm ne hanno ricavato una doppia sconfitta. Converrà loro farsene una ragione, invece di far filtrare sui giornaloni la convinzione che la sentenza di assoluzione sia tra le cause delle recenti azioni a Firenze e Bologna perché avrebbe indotto a pensare in giro che non si rischia granchè a livello penale. (altro…)

  • NoTav, il “terrorismo” azzerato? Confinato in cronaca locale

    La notizia che il Tribunale del Riesame di Torino ha annullato l’accusa di “terrorismo” a carico di tre militanti Notav in relazione all’azione del cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013 finisce nelle cronache locali di Repubblica e Stampa. Il Corsera che non ha la cronaca di Torino mette 6 righe nell’edizione nazionale. Il Giornale e Libero zero righe, al pari del Fatto quotidiano e del Manifesto, due giornali critici verso il treno ad alta velocità, ma va considerato che tra gli editorialisti del Manette Daily figura il procuratore ora in pensione Giancarlo Caselli, l’inventore del teorema “fu un’azione di guerra, volevano far recedere l’Italia e l’Europa dalla realizzazione dell’opera”.

    Eppure quando l’ordinanza era stata emessa non mancarono ampie articolesse nelle edizioni nazionali. Adesso invece l’affare viene trattato come un fatto locale. Come se i pm non avessero indicato tra le parti offese dal reato l’Unione Europea che però si guardava bene dal costituirsi parte civile e spediva a Torino poche righe vergate da un funzionario: “Caro cancelliere non siamo interessati a eleggere domicilio in Italia”.

    Di quelle poche righe però mai alcun giornale ha dato conto ai suoi lettori. “Embedded”. E per giunta servitori di due padroni: da un lato la procura, dall’altro le banche molto interessate a finanziare il Tav e che controllano direttamente o indirettamente gli editori delle gazzette nostrane. E quindi purtroppo ci sta che alle notizie negative venga data meno diffusione possibile. Basta però che non la menino con la libertà di stampa e pure con l’indipendenza facendo il paio con i comportamenti dei pm che sull’argomento continuano a ad agitare un fantasma del passato per regolare lo scontro sociale e politico di oggi proprio mentre alcuni promotori del Tav iniziano a manifestare dubbi a causa dei costi eccessivi. I pm fanno politica trincerandosi dietro un’indipendenza e autonomia sempre più presunte e dietro il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Ma il naso negli appalti del Tav non lo mettono. Il ministro dei Trasporti Lupi si fa giudice anzi veste i panni di un’intera corte d’assise per attaccare la sentenza che il 17 dicembre ha assolto 4 militanti sempre dall’accusa di “terrorismo”, invece di tacere e stare tranquillo. Gli appalti del Tav sono in questo straordinario paese gli unici onesti e trasparenti. E quello che spetta a Cl e Coop non si tocca (frank cimini).