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  • A Cesare quel che è di Cesare, il 41bis è antifascista

    Il fascismo non c’entra. Bisogna dare a Cesare quello che è di Cesare. Il 41bis sul quale anche la “mitica” Corte europea dei diritti dell’uomo ha messo l’imprimatur al pari del predecessore articolo 90 è tutto della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista. Che ora un governo di destra di ex fascisti molto forcaiolo lo condivida in pieno è solo una conseguenza automatica.

    L’articolo 90 nacque in piena emergenza “antiterrorismo” per annientare l’identità politica dei detenuti nelle carceri speciali, il circuito dei camosci. Il 41bis rappresenta la prosecuzione del 90 nel paese dell’emergenza infinita. Nato come “antimafia” è stato subito applicato anche ai prigionieri politici. Oggi affligge oltre a Cospito quattro ex militanti delle Brigate Rosse organizzazione che ha cessato di esistere oltre 20 anni fa.

    Il 41bis ha una chiaro marchio “de sinistra” considerando per esempio lo striscione che apriva il corteo in ricordo di Falcone e Borsellino a Palermo. C’era scritto: “Giù le mani dal 41bis”. La mafia dell’antimafia dì sciasciana memoria che fa il paio con il terrorismo dell’antiterrorismo.  Il problema di questo antifascismo che nella sua storia vanta gli incontri segreti tra Almirante e Berlinguer durante i 55 giorni di Moro ovviamente ”per difendere la democrazia”.
    A Cospito il carcere duro fu applicato per decisione di Marta Cartabia ministro di un governo col Pd dentro e una fama ingiustificata di “garantista“,

    Il ministro Nordio si prepara tra pochi mesi a prorogare la tortura ai danni di Cospito dopo aver respinto tutte le richieste di revoca presentate dai legali dell’anarchico. E lo farà con il consenso di tutte le forze politiche. I fascisti insieme agli antifascisti. Nel paese della Costituzione più bella  del mondo, quella usata come carta igienica  mezzo secolo fa dal regime Dc Pci e sostituita con una Carta adeguata alle leggi dell’emergenza. Dove il 41bis ci sta benissimo.

    (frank cimini)

  • Dal Beccaria alla comunità per un corteo secondo i pm

    Hanno già trascorso due notti al carcere Beccaria per aver partecipato al corteo in solidarietà per Gaza in attesa dell’interrogatorio di convalida davanti al gip De Simone domani alle 12. Accusati di resistenza aggravata e danneggiamenti un ragazzo e una ragazza di 17 anni studenti del liceo Carducci ora rischiano di essere rinchiusi in una comunità per minori. È questa la richiesta dei mitici pm di Milano per contrastare una sovversione che nei fatti non c’è

    I due ragazzi erano stati fermati verso le ore 12 di lunedì davanti alla stazione e centrale di Milano in pratica prima che iniziassero gli scontri dei manifestanti con le forze di polizia. E subito trasferiti al Beccaria in attesa della convalida con la decisione che arriverà al più presto solo due giorni dopo. Il difensore Angelo Guido Guella chiede la scarcerazione. Del resto le due ragazze maggiorenni fermate con le stesse accuse erano state scarcerate il giorno dopo con la misura dell’obbligo di firma quotidiano in un commissariato. Ai minorenni invece è andata già peggio perché intanto hanno fatto una notte in prigione in più. Essere minorenni in questa ennesima storia di repressione senza sovversione appare addirittura come una aggravante. E in più c’è il rischio stando alla procura di andare in una comunita. Che tipo di comunita’? E soprattutto a fare che cosa? Magari a disintossicarsi dalla voglia di scendere in piazza per protestare?

    Domani davanti al gip sarà sentito il quinto arrestato un uomo di 37 anni che risponde anche di lesioni ai danni di un rappresentante delle forze dell’ordine. Reato diventato più grave con l’entrata in vigore del decreto sicurezza, l’ultimo simbolo giuridico dell’infinita emergenza italiana.
    (frank cimini

     

     

     

     

     

  • Lo Stato fa la faccia feroce manette a gogo’ per minori

    Lo Stato fa subito la faccia feroce a meno di 24 ore dalla manifestazione in solidarietà con il popolo palestinese. Scattano cinque arresti per reati come la resistenza aggravata nel corso di una manifestazione per i quali le manette non sono certamente obbligatorie.

    Due ragazze arrestate hanno avuto la convalida del provvedimento nel processo per direttissima e ora l’obbligo di firma giornaliero. Un terzo arrestato sta in attesa della decisione del giudice preliminare. Ha 37 anni è accusato anche di lesioni e avendo l’aggravante di aver commesso il reato ai danni di un rappresentante delle forze dell’ordine per cui il suo comportamento rientra in quelli previsti dalle aggravanti del decreto sicurezza.  Altri due essendo minorenni dipendono da quello che deciderà il tribunale dei minori. L’arresto di minori a causa di un corteo non può non suonare come particolarmente afflittivo.
    Dalle indagini della Digos erano inizialmente emersi i nomi di otto persone tra cui le cinque arrestate. Ma ovviamente prosegue il lavoro di visione dei filmati al fine di identificarne altri. Le accuse di danneggiamenti aggravati non sono state ancora contestate formalmente pur facendo parte dell’inchiesta generale. Gli inquirenti attendono appunto l’analisi dei filmati degli scontri per attribuire le precise responsabilità sui danni causati.
    La visione dei video viene considerata importante per identificare i partecipanti alla “guerriglia urbana” che si stima fossero diverse centinaia. Insomma la prospettiva è quella di andare verso un maxi processo.
    La sicurezza era stata rafforzata intorno al Tribunale mentre erano in corso i processi per direttissima a completare il quadro del clima di emergenza intorno a questo ultimo atto in ordine di tempo di una repressione senza sovversione. Gli arresti di ieri mattina a cui seguiranno altri nei prossimi giorni hanno chiaramente una funzione di deterrenza verso la partecipazione ai cortei sia per la solidarietà internazionale che per le questioni di politica interna. In modo che si capiscano le vere ragioni del decreto sicurezza e del perché abbia sostituito velocemente il disegno di legge. Il tutto per regolare lo scontro sociale.
    (ftank cimini
  • Corruzione urbanistica, pm passo più lungo della gamba

    “Da pm e gip motivazioni svilenti” “Non può bastare dare o accettare incarichi per dimostrare la corruzione” “Congetture” “Mancano i gravi indizi”. Sono alcune delle definizioni utilizzate  dai giudici del Riesame nel motivare perché erano state annullate le ordinanze di custodia cautelare a carico di Alessandro Scandurra (domiciliari) e Andrea Bezziccheri (carcere) due delle persone indagate nell’indagine sull’urbanistica.

    Nei prossimi giorni saranno depositate le motivazioni relative ad altre posizioni dove in alcuni casi restano in piedi misure meno afflittive ma le ordinanze di cui si è venuti a conoscenza oggi segnano l’intera inchiesta con rilevazioni molto critiche. Non ci sono prove del patto corruttivo. Al massimo si potrebbe parlare di abuso d’ufficio reato nel  frattempo abolito.

    Insomma i pm a fronte degli abusi edilizi dimostratida grattacieli eretti  ristrutturando cortili avevano scelto di fare il passo più lungo della gamba, ingolositi dalla possibilità di contestare la corruzione e procedere con misure cautelari. In parole povere forti degli elementi in loro possesso sugli abusi hanno cercato di stravincere e di dare una forza mediatica all’inchiesra che comunque fa discutere di problemi gravi che esistono. La questione è che almeno secondo due decisioni del Riesame n9n c’è il reato più grave  e non esistevano ragioni per privare della  libertà imprenditori e architetti. Dal l’urbanistica emergono importanti questioni politiche che tocca in primo luogo alla politica risolvere. Questo al di là della sussistenza o meno di fatti di corruzione

    (frank cimin)

     

  • Dalle scopate del Cav a quelle del figlio di La Russa

    I colleghi della giudiziaria da un bel po’ lamentano di avere poco da scrivere. Un importante pm chiosa: “Qui ormai ci sono solo reati sessuali, il tempo dei colletti bianchi è finito”. Volendo fare un battuta che suona anche come osservazione critica si può dire che nel tempio che fu di Mani pulite i pm sono passati dalle scopate di Silvio Berlusconi a quelle del figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa.

    O meglio al revenge porn di Leonardo Apache La Russa perché l’accusa di violenza sessuale dovrebbe essere archivista secondo la procura. La richiesta sembra ben argomentata e con ogni probabilità sarà accolta in autunno dal giudice per le indagini preliminari. Ma l’inchiesta su Apache resta un segno dei tempi magri a livello cronachistico. Insomma Milano e il suo palazzacciò non sono più caput mundi.

    In verità non manca qualche inchiesta importante. Ma per esempio quella sugli abusi edilizi, con grattacieli che nascono dalla ristrutturazione di cortili non è ben vista (eufemismo) dagli editori dei giornali che sono pur sempre dei padroni e da quasi tutti i partiti. La maggior parte della politica è a favore della famosa legge “salva Milano” nel frattempo arenata in Senato e che in parole povere sarebbe un vero e proprio colpo di spugna, una sorta di insabbiamento.

    Per cui se ne parla il meno possibile degli abusi e dei danni ai diritti dei cittadini ai quali viene sottratto spazio e aria in nome della necessità di favorire lo  sviluppo. Va detto che questa inchiesta quando la procura era in mano a Magistratura Democratica  non sarebbe stata possibile. Gli abusi edilizi in grande stile c’erano già ma non si poteva disturbare la giunta di centrosinistra. La moratoria delle indagini su Expo sta lì a dimostrarlo.
    Milano ha perso per ora il primato del circo mediatico giudiziario. In pole position c’è la procura di Pavia con l’indagine bis su Garlasco che monopolizza l’attenzione generale tra prime pagine di giornali e tg passando per i talk show dove personaggi improbabili ne raccontano di tutti i colori. E parliamo di un’indagine dove almeno per adesso non è emerso nulla che possa portare a chiedere la celebrazione di un nuovo processo. In compenso però ci sono un sacco di laureati in Garlascologia una facoltà destinata forse a trovare una soluzione al problema della disoccupazione intellettuale.

    (frank cimini)

  • Più armi nel Pil meno welfare indagini su anarchici a gogo

    In poche ore arrestato a Roma Massimiliano Mori che gestiva due blog di idee e pratiche anarchiche compresa la pubblicazione di motivazioni di attentati per lo più dimostrativi per una accusa di istigazione a delinquere che in casi del genere non regge alla prova dei dibattimenti. La procura di Bologna ordina 15 perquisizioni in riferimento a fatti dell’aprile 2023. Due auto della polizia incendiate a Rimini, associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. Il periodo incriminato è quello delle manifestazioni di solidarietà per Alfredo Cospito. Il pm che firma i provvedimenti è Stefano Dambruoso ex star del contrasto al fondamentalismo islamico che lo fece balzare sulla copertina di Time come il cacciatore numero al mondo di Bin Laden.

    Da tempo Dambruoso si è specializzato sul fronte anarchico con risultati  molto scarsi, inchieste flop che manco arrivano in aula. Della campagna di solidarietà con Cospito faceva parte anche il corteo dell’11 febbraio 2023 che nei giorni scorsi ha portato a Milano a condanne fino a 4 anni e 7 mesi. Dopo una requisitoria show in cui i pm accusvano i manifestanti di essere vestiti “in modo aggressivo”.

    Il contesto di queste notizie giudiziarie è quello in cui il governo italiano aderisce a Trump firmando la promessa di spendere per acquisto di armi il 5 per cento del Pil. Togliendo soldi a welfare e servizi nonostante la Sora Meloni affermi che non sarà cosi. Non è difficile ipotizzare in questa situazione un incremento almeno piccolo del conflitto sociale. Sul punto è stata già affidata la delega al decreto sicurezza. Piu galera per chi protesta nelle piazze. E per chi lo farà da già carcerato. Tutto si tiene.

    Chi comanda sembra avere nostalgia degli anni ‘70. L’infinita emergenza italiana dopo mezzo secolo non conosce limiti. Neppure in un quadro di repressione senza sovversione come quello attuale. Diciamo che siamo a inchieste giudiziarie “esplorative”, a intimidazioni e avvertimenti. Quel poco che si muove o ha intenzione di farlo sarà ucciso nella culla. E si parla esplicitamente  di modificare la già flebile normativa sulla tortura perché la polizia deve poter lavorare senza lacci e laccinoli. Senza dover sopportare iscrizioni del registro degli indagati. Mentre i sindacati di polizia premono affinché sia creato il reato di “terrorismo di piazza”. Affinché quello di Stato possa dispiegarsi liberamente.

    (frank cimini)

  • Quando Leonardo Apache La Russa
    fece l’Indiano coi cronisti di Garlasco

    Facendo slalom tra microfoni, taccuini e giornalisti spiaggiati nella calura insopportabile della Questura in attesa della rivelazione che li liberi finalmente dallo stato di patologica confusione svelando loro quel che ormai non capiscono più – chi ha ucciso Chiara Poggi – un giovane in pantaloni comodi e maniche di camicia arrotolate usa il tono del cazzeggio avvicinando a turno i cronisti con – ritiene forse – le difese più abbassate.
    “Ma venite sempre qui?” Eh, talvolta. “Per esempio, siete venuti anche per la storia del figlio di La Russa?”. Mah, chi fa la nera o la giudiziaria di quella storia si sarà pure occupato. Ma come mai chiedi a noi, bel fioeu di zona 1 con gli occhi blu? “No, sai…è che è un mio amico“. Ah. “E non ho ancora capito com’è andata veramente quella storia”. Aaah. Parla della nota indagine su una presunta violenza sessuale e del relativo presunto caso di revenge porn. Beh, sul revenge porn – fanno notare i giornalisti – hanno chiuso le indagini sì certo c’è la questione dell’elemento soggettivo, si vedrà in tribunale come andrà a finire, il fatto in sé però è abbastanza pacifico. La violenza, invece, boh. “Ah hanno chiuso le indagini, vuol dire che archiviano?”. No, significa che tendenzialmente chiederanno il processo. Anzi, lo hanno già fatto. “Lo hanno già fatto?”. Sì. Invece per la presunta violenza è stata chiesta l’archiviazione, anche se poi la parte offesa si è opposta. “Davvero?”.
    Davvero. Davanti a tanta sollecitudine e a quegli occhi glaciali, le illuminate menti dei cronisti vengono trafitte da un sospetto. Fusse che fusse che l’amico del figlio di La Russa è un po’ il figlio di La Russa stesso? Google photos prontamente fornisce loro le risposte che un tempo, quando il mestiere era una cosa per persone serie, avrebbero cercato dentro se stessi. Capello lunghetto, la barba rada, incolta…non c’è bisogno di Dna o di un incidente probatorio. Scusa Leonardo, sei proprio sicuro di non aver capito bene quella storia? Leonardo Apache La Russa smette di fare l’indiano. Colto in flagrante, esce dalla finzione con un sorriso luminoso: “Ma come avete fatto a scoprirmi?”.
    Davanti alla questura passa anche Francesco Chiesa Soprani, quello degli audio di una che col delitto di Garlasco non c’entra niente, anche se ai programmi televisivi piace tanto parlarne. Francesco che ci fai qui? “Passavo, ciao”. Ma perché sei entrato in questura, prima? “Niente, andavo a chiedere un’informazione”.
    Venite a trovarci davanti in via Fatebenefratelli la prossima volta. Ci annoiamo. Magari rimediate una intervista.

  • Tutti alla facoltà di Garlascologia lauree a gogo’

    Garlasco non è solo un’arma di distrazione di massa, ma una telenovela con almeno una nuova puntata tutti i giorni. Oggi il Ris dei carabinieri si è insediato nella villetta dove fu uccisa Chiara Poggi, ispezione, sopralluogo per operare una ricostruzione in 3D per fare concorrenza al famoso plastico di Vespa formato Cogne.

    La famiglia della ragaza uccisa 18 anni fa osserva che si tratta degli stessi accertamenti già fatti nell’indagine su Alberto Stasi condannato in via definitiva a 16 anni di ruclusione. I genitori di Chiara lamentano inoltre che l’ordinanza relativa all’ispezione era statale data prima ai media e poi a loro. Anche qui niente di nuovo sotto il sole. Era già accaduto per la famosa impronta 33 consegnata prima al Tg1 e poi alla difesa di Sempio. Il Tg1 è tra quelli che ci sguazza di più in questa vicenda avendo un filo pressoché diretto con chi fa le indagini.

    Il carattere mediatico di questa inchiesta bis su Garlasco è fin troppo chiaro. Che si riesca a tornare in aula con elementi che sufficienti e utili a celebrare  un nuovo processo appare allo stato improbabile. Intanto si sta celebrando una gigantesca udienza giorno per giorno dove le persone coinvolte sono molto meno garantite che in Tribunale dove il diritto è già incerto.

    E si alimenta la curiosità del pubblico che ha portato il sindaco a chiudere un po’ di strade per garantire la riservatezza e la  privacy dei residenti. La Garlascologia potrebbe essere la materia di una nuova facoltà universitaria per distribuire lauree a gogo’.  Si intravede un possibile sbocco per la disoccupazione intellettuale

    (frank cimini)

  • I pm si innamorano di processi che non sono roba loro

    Quando i magistrati si innamorano a tal punto dei loro processi fino a diventarne militanti e a trannerli in sede anche se non sono roba loro. A volte però i nodi vengono al pettine. Il pettine nel caso specifico lo aveva in mano il gup di Firenze Anna Liguori che davanti alla richieste dei pm di mandare a giudizio Marcello Dell’Utri accusato di violazione della normativa antimafia e di trasferimento di valori per non aver rispettato la legge Rognoni La Torre ha deciso che Firenze non c’entra trasferendo il processo per competenza territoriale a Milano.

    Il gup ha accolto l’istanza dei difensori Francesco Centinze e Filippo Dinacci secondo i quali il procedimento “è da svolgersi a Milano luogo di residenza del nostro assistito e dovevsarebbero avvenute le condotte contestate dalla procura. Questo procedimento è radicato a Firenze solo per la contestazione di aggravanti delle stragi”.

    Per i legali della difesa il processo non ha alcuna attinenza con l’inchiesta ancora aperta della  Dda di Firenze sui mandanti esterni delle stragi di mafia in cui era indagato con  Dell’Utri anche Silvio Berlusconi poi deceduto,

    La procura di Firenze voleva tenere tutto insieme ipotizzando che l’ex manager di PublItalia avrebbe ricevuto 42 milioni di euro come quantum per garantire l’’impunità di Silvio Berlusconi. Dell’Utri e la moglie Miranda Ratti avrebbero eluso le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione perché l’ex senatore come condannato per concorso esterno in associazione mafiosa aveva il dovere di comunicare le variazioni del proprio patrimonio in relazione e ai soldi ricevuti dal Cavaliere.

    Insomma fino ad oggi, a Firenze soldi e tempo buttati, dopo anni di indagini. Non si può non ricordare il caso del processo  Sme trasferito da Milano a Perugia dalla Cassazione del 2006. Erano passati ben 11 anni dall’inizio della vicenda. E a Perugia scattò la prescrizione per Cesare Previti, Attiio Pacifico, Renato Squillante tutti condannati in primo e secondo grado. Berlusconi era stato prosciolto in precedenza per intervenuta prescrizione.
    Adesso che il caso dei soldi da Berlusconi a Dell’Utri sarà trattato a Milano ricominciando ovviamente da zero bisognerà vedere cosa succederà nell’inchiesta sui presunti mandanti delle stragi, già archiviata due volte in passato dalle procure siciliane. Si tratta di diversi tronconi di indagine dove compare anche il generale del Ros Mario Mori che secondo l’accusa pur avendone l’obbligo giuridico non avrebbe impedito gli eventi stragisti. In occasione degli auguri natalizi ai cronisti il capo della procura di Firenze aveva promesso la chiusura dell’indagine entro la fine del 2025.
    (frank cimini)

  • Pm indagano su vendita stadio Meazza a Milan e Inter

    Come si duceva ai tempi del gran maestro di giudiziaria Annibale Carenzo   “La procura ha accesso un faro”. Il farò questa volta è sulla vendita svendita dello stadio Meazza a Milan e Inter. Un fascicolo conoscitivo a modello 45 senza indagati e senza ipotesi reato ma al fine di verificare se ci sono danni per le casse pubbliche.

    Il Comune è tenuto a non regalare beni pubblici a soggetti privati. Finora si è parlato di 124 milioni per acquistare l’area, 72,98 mi,ioni per lo stadio,  meno 80 milioni che potrebbero essere a carico del Comune per lo smaltimento delle macerie e la bonifica. Quindi 116,98 milioni in tutto per un’area di 280 mila metri quadri. Cioè 417,79 euro al metro quadro.

    Sulla valutazione del Meazza aleggia un altro dubbio visto che poi l’impianto genera 25 milioni di ricavi. Era stato applicato un deprezzamento dovuto alla vetustà dell’impianto ma anche alla considerazione che gli spazi commerciabili interni non sarebbero incrementabili. Ciò deriva da una dichiarazione di M-I Stadio, la società partecipata da Milan e Inter che lo gestisce. Dunque dagli stessi acquirenti, oppure per loro tramite dal Comune di Milano. Ma va considerato che il progetto di ristrutturazione di Arco Associati presentato nel 2024 aveva dimostrato la possibilità di raddoppiarli.

    Il fascicolo sul Meazza non arriva in un momento tranquillo per la giunta di centrosinistra considerando l’inchiesta sull’ urbanistica, i venti cantieri bloccati, la costruzione di grattacieli di venti piani attraverso la ristrutturazione formale di cortili. Insomma la storia della legge Salva Milano che per ora pare bloccata. Ma ormai siamo pure in una situazione assurda in cui la destra manifesta davanti a palazzo Marino chiedendo le dimissioni del sindaco Beppe Sala e nello stesso tempo l’approvazione della Salva Milano. Il sindaco in seconda battuta dice che comunque ci vuole una legge. Nel paese delle 2000 leggi e regolamenti.

    I comitati dei cittadini chiedono al Comune di costituirsi parte civile nei processi per gli abusi edilizi che sono già iniziati. Nessuno però finora ha chiesto la creazione di una commissione e interna amministrativa per capire intorno agli abusi edilizi o presunti tali che cosa fosse accaduto. Se i funzionari indagati e ora sotto processo avessero ricevuto direttive politiche.

    Insomma nel caos urbanistico mancava solo l’inchiesta sulla vendita di San Siro.

    (frank cimini)

  • Giambellino assolto per sempre dopo azzeramento da pm

    È definitiva l’assoluzione dall’accusa di associazione per delinquere dei mitanti del comitato Giambellino Lorenteggio. La procura generale non ha depositato il ricorso in Cassazione contro la sentenza della corte di appello ammettendo di non avere gli elementi a supporto per  farlo. Si tratta di una conclusione per certi versi clamorosa dopo che nel corso delle indagini preliminari erano state emesse misure cautelari che sconvolgevano la vita di ragazzi i quali studiavano e lavoravano.

    In realtà ai rappresentanti dell’accusa non interessava arrivare prioritariamente alle condanne ma bloccare la lotta per la casa in una metropoli che ha fame di case, piena di abitazione sfitte e dove i costruttori con la scusa di ristrutturare cortili e la complicita del Comune erigono grattacieli di venti piani e quando vengono messi sotto inchiesta per abusi edizi sperano nella cosidetta legge Salva Milano.

    Come avevano sottolineato gli avvocati difensori il comitato non esiste più al pari della mensa popolare della scuola di calcio e di teatro. Questa è una bruttissima storia di utilizzo del processo penale nello scontro sociale e politico, dove all’opera non si sono visti interventi di garantisti ma solo accuse di “delinquenti” totalmente inventate.

    La corte di appello ribaltando le condanne emesse in primo grado lo aveva scritto chiaro: “L’associazione per delinquere non sussiste”. I militanti del collettivo occupavano case fatiscenti alla manutenzione delle quali l’Aler ente l’ regionale regionale non provvedeva.

    La finalità dell’indagine era terrorizzare chi lotta contro le disuguaglianze sociali metterlo in condizione di non nuocere. “Finalità di terrorismo“ si potrebbe dire mutuando le logiche di lor signori. Costi quel che costi. Ma proprio di costi sembra impossibile parlare. Quanto è costata questa indagine tra anni di ordinamenti intercettazioni addirittura elicotteri nei giorni degli arresti? Non lo sapremo mai. Vige una sorta di segreto di Stato. L’ennesima storia di democratura.

    (frank cimini)

     

  • Per quale Costituzione scioperano i magistrati?

    Lo sciopero dei magistrati è una anomalia tutta italiana, ma purtroppo ce ne dobbiamo fare una ragione anche al fine di evitare di sentire la solita cantilena dell’attacco all’indipendenza e all’autonomia di una categoria incontrollata e incontrollabile che non paga mai per i suoi errori e nemmeno per i suoi orrori.

    Ma veniamo al motivo dell’astensione dal lavoro.”In difesa della Costituzione” dicono dopo averla sbandierata e squadernata alle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario per poi uscire dalle aule nel momento in cui parlava un rappresentante del ministero. Comportamenti e atteggiamenti  da asilo Mariuccia da parte di funzionari dello Stato super pagati.

    La domanda è una sola. Per quale Costituzione scioperano? Per quella targata 1948 e poi buttata nel cesso circa mezzo secolo fa  dal regime Dc-Pci e dai governi di unità nazionale? O scioperano in nome della Costituzione materiale adeguata alle leggi di emergenza pretese e ottenute dalle procure, approvate da un Parlamento di vigliacchi che aveva interamente delegato ai magistrati la questione della sovversione interna?

    Parliamo delle leggi premiali che consentirono ai responsabili dei crimini più efferati di uscire dal carcere “puniti“ non per quello che avevano commesso ma per ciò che pensavano di quanto  avevano fatto? Le leggi della madre di tutte le emergenze restarono in vigore anche nelle emergenze successive, mafia e Mani pulite. Non ci furono tribunali speciali come nel ventennio ma uso speciale dei tribunali ordinari. Cioè il peggio del peggio., Perché avessero creato i tribunali speciali poi avrebbero dovuto a un certo punto abolirli.

    Invece stanno ancora lì. Tanto è vero che siamo alla repressione senza sovversione. In corte di assise 50 anni dopo per accertare con carte false e.violazioni delle regole processuali chi uccise il carabiniere ma non Mara Cagol finita con un colpo di grazia il 5 giugno del 1975. 50 anni fa.

    E stiamo con il carcere duro del 41bis applicato a oltre 700 detenuti un numero superiore a quello del periodo delle stragi di mafia. Dove sta la Costituzi9ne del 1948? Non c’è più da tempo immemore. Ma serve all’Anm la cupola della magistratura per prendere in giro un paese intero in nome della “legalità“ che non è mai il diritto di chi è senza diritti. Chi è senza diritti non ha alternative al conflitto sociale oggi in verità molto debole ma per quel poco che c’è viene represso da magistrati e politici uniti nella lotta. Su questo non litigano. Come quando usarono la Costituzione come carta igienica per contrastare un tentativo di rivoluzione il più serio nel cuore dell’Occidente.

    (frank cimini)

  • I servizi segreti querelano ma non sono “deviati”

    I servizi segreti hanno querelato i quotidiani Foglio e Unità che avevano raccontato la storia del funzionario Giovanni Caravelli volato a Tripoli per informare i libici sulle carte in possesso della Cpi per incriminare altri 86 torturatori. In modo che stessero lontani dall’Italia dove verrebbero arrestati.

    E non si tratta di servizi segreti “deviati“ che non esistono. Anzi non sono mai esistiti.

    È sempre la solita storia su ogni argomento: dire servizi deviati fa credere che ci siano servizi buoni, dire capitalismo aggressivo o predatore o turbo fa credere che ci sia un capitalismo non aggressivo o non predatore.

    Il termine deviati fu inventato dal Pci negli anni ‘70 per accreditarei come forza di governo dentro uno Stato “indelebilmente segnato dalle lotte operaie e popolari”. Era la teoria della “classe operaia che si fa stato”.

    Insomma raccontavano la favola del loro stato che era democratico mentre ce ne sarebbe stato un altro  cattivo e “deviato” dalle funzioni istituzionali.

    Ma gli uomini dei servizi segreti arrivati da Roma per indirizzare e inquinare le indagini sulla bomba di piazza Fontana e coprire i responsabili dell’assassinio di Pinelli erano funzionari dello Stato democratico nato dalla Resistenza antifascista.

    Come adesso negli accordi con i torturatoti l’unico avviati dal ministro Minniti governo Gentiloni centro sinistra. E adesso un governo di destra prosegue l’opera. Del resto era stato così per le prime leggi sul lavoro flessibile e sull’istituzione dei Cpr luoghi di tortura ai danni di persone private della libertà senza aver commesso reati.
    (frank cimini)

     

  • Steccanella ricorda la giudice in bicicletta

    Quando per parecchi anni ho abitato vicino a lei, in zona Pagano, mi capitava spesso di vedere una signora bionda, molto elegante, che pedalava in bicicletta verso la nostra comune destinazione giornaliera, il Tribunale di Milano, io diretto in motorino verso il mio ufficio e lei verso il suo all’interno del Palazzo, io avvocato e lei magistrato. Tribunale di Milano dal quale non mi pare si sia mai mossa nel corso della sua lunga esperienza professionale, in gran parte da giudicante, anche se non mancò di rivestire la funzione di PM negli anni in cui in quel luogo succedevano tante cose, non tutte belle, ma almeno succedevano, come tante altre cose che succedevano nella nostra città.

    Non eravamo amici, ci si dava del Lei, ma non è mai mancato, credo, l’apprezzamento reciproco, fermi restando i rispettivi e diversi ruoli, come sarebbe bello sempre accadesse in qualsiasi luogo di lavoro e non di culto, fino a quando, raggiunta la pensione, non l’ho più incontrata.
    Che fosse anche un bravo magistrato non devo dirlo io e mi interessa poco, come poco rileva un episodio di parecchi anni fa che creò tra di noi un certo malumore da parte sua, quando la mia proverbiale intemperanza mi portò a criticare pubblicamente la sua gestione di un processo di appello e un giornalista riprese la notizia per scrivere un articolo che nulla c’entrava con quel fatto, ma poi la cosa rientrò, e tutto si risolse in breve tempo, come ancora mi viene da dire, sarebbe bene succedesse sempre.
    Ho di Lei il ricordo di due momenti in cui, in qualche modo portò un po’ di luce in quel luogo spesso cupo e sordo quale è quello dove ogni giorno si determina il destino di esseri umani, coi suoi modi garbati e la dolcezza che aveva nello sguardo e nel timbro di voce, gentile, femminile ma autorevolmente apprezzato.
    La prima volta risale a più di 40 anni fa, quando misi per la prima volta piede in Tribunale come carabiniere ausiliario addetto alla scorta dei detenuti che prelevavamo da quel vero e proprio inferno di San Vittore per condurli a giudizio. In quella situazione orrenda di prigionieri in gabbia e gente distratta, lei presiedeva uno dei tanti collegi e mi colpì la sua diversità umana da tutto il resto, quell’aula “sorda e grigia” non le modificava i tratti, anche qui come dovrebbe sempre succedere.
    La seconda accadde tantissimi anni dopo, non molto tempo fa, quando me la trovai a decidere le sorti di un mio assistito che i media avevano trasformato in un mostro e nei confronti del quale trovavo insormontabili difficoltà ad ottenere il rispetto dei minimali diritti che il mio mestiere mi impone di perseguire.
    Non era tenuta a farlo perché oggetto della udienza era altro, eppure volle ugualmente inserire nel provvedimento finale un inciso che stabiliva che nei confronti del mio assistito non si poteva applicare l’osceno regime di detenzione speciale meglio noto come il famigerato 41 bis e fu solo grazie a quell’inciso che con immensa fatica e molti mesi di attesa riuscii ad ottenere una declassificazione del detenuto, rivelatasi a tal punto giusta da scatenare le ire del noto Delmastro, quello che prova “intima gioia” a togliere il respiro ai carcerati.
    Lei non era così, Lei era una bella persona, prima ancora che un bravo magistrato.
    Un saluto speciale a Giovanna Ichino, la bella signora in biciletta, da un avvocato del Foro di Milano.
    (avvocato Davide Steccanella)

  • Giudici: perché il Giambellino non era una “associazione”

    “C’era la continuazione tra più fatti di occupazioni abusive di immobili ma va esclusa l’esistenza di una associazione per delinquere” Lo scrivono in 113 pagine i giudici della corte di appello di Milano per spiegare perché il 6 dicembre scorso avevano assolto  dal reato più grave i giovani del Comitato  Giambellino Lorenteggio che in primo grado erano stati condannati dopo essere stati agli arresti domiciliari e subito altre misure cautelari.

    ”Lo scopo del comitato era quello di occupare case popolari vuote e assegnarle ai richiedenti cercando poi di rendere definitiva l’occupazione contro le iniziative della polizia in particolare monitorando eventuali movimenti degli agenti” aggiungono i giudici secondo i quali si trattava di una ipotesi scolastica della associazione per delinquere che è cosa ben diversa dalla associazione per delinquere finalizzata alla esecuzione di un vasto programma criminoso per la commissione di un numero indeterminato e non preventuvato di reati.
    Il Comitato agiva a livello di quartiere non aveva la pretesa di estendere le sue attivita’  fuori dai limiti territoriali ove se fosse presentata l’occasione.

    La procura di Milano da questa vicenda esce seccamente  sconfitta. Ma purtroppo questo accade dopo la chiusura delle scuole di teatro e di calcio e pure della mensa popolare. Insomma i pm hanno distrutto il Giambellino azzerando la lotta per la casa e contro le disuguaglianze sociali. Uno dei pm apparteneva a Md e questo dimostra che quando c’è da praticare la repressione senza che vi sia sovversione Magistratura Democratica non è seconda alle correnti centriste e di destra.

    (frank cimini)

  • Assolto per vizio di mente è in carcere non si trova Rems

    Assolto per vizio di mente su richiesta conforme del pm da una serie di comportamenti violenti, tra cui la rapina, sta ancora in carcere perché non si trova una residenza dove collocarlo. L’assoluzione è del 12 dicembre. Il giorno 23 dicembre il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha rivolto un appello a varie autorità affinché si trovi una Rems in ambito regionale lombardo.

    Il protagonista di questa terribile vicenda è un uomo di 50 anni che tra l’altro aveva minacciato di morte anche sua madre, al fine di ottenere soldi per comprare sostanze stupefacenti.

    Il periodo trascorso in carcere non solo non gli ha giocato ma ha prodotto un aggravamento delle sue condizioni psichiche, scrive in sede di motivazione il giudice che lo ha assolto. Secondo il giudice l’uomo, difeso dall’avvocato Federica Liparoti, deve essere trasferito in una struttura dove sia curato e seguito. Altre misure non sono possibili.

    La persona di cui stiamo parlando, secondo il giudice, non risulta consapevole della malattia, come emerge dalle perizie alle quali era stato sottoposto.

    Il problema è che a tre settimane dalla condanna sta ancora in carcere perché il sistema non è stato in grado di individuare una struttura adeguata.

    (frank cimini)

  • Da Nordio per Cospito ultima carognata su farina e lievito

    Evidentemente Carlo Nordio, il “liberale e garantista” ministro della Giustizia non ha di meglio da fare in questi giorni. Insieme al Dap ha impugnato in Cassazione l’ordinanza con cui il Tribunale di Sorveglianza di Sassari, ribaltando la decisione della direzione della prigione e del magistrato monocratico, aveva autorizzato Alfredo Cospito ad acquistare farina e lievito.

    Il Tribunale aveva sottolineato che il divieto di acquistare farina e lievito “cozza contro la linea di indirizzo posta dalla Corte Costituzionale che con specifico riferimento alla materia ‘alimentare’  aveva spiegato che anche chi si ritrova ristretto secondo le modalità dell’articolo 41bis deve conservare la possibilità di accedere a piccoli gesti di normalità quotidiana, tanto più preziosi in quanto costituenti gli ultimi residui in cui puo’ espandersi la sia libertà individuale”.

    Insomma per la Consulta  il divieto relativo all’uso di farina e lievito va contro lo spirito e la lettera dell’articolo del regolamento penitenziario del carcere duro. In pratica siamo al di là del bene e del male.

    I giudici scrivevano anche: “Del resto non si ha notizia di detenuti che abbiano appiccato il fuoco alle suppellettili della camera utilizzando farina. Lo fanno invece purtroppo frequentemente, con gli accendini e i fornelli a gas di cui dispongono”.

    E ancora si legge nell’ordinanza poi impugnata: “I detenuti comuni e del reparto 41bis possono acquistare olio di oliva e di semi, prodotti che sono notoriamente altamente infiammabili… Questo a riprova che il divieto relativo alla farina basato sulla sola possibilità che i detenuti possano realizzare congegni esplosivi o incendiari non ha serio fondamento ed è dunque irragionevole“.

    Secondo la direzione del carcere il Dap e il Ministero della Giustizia non ci sarebbe stata lesione di alcun diritto e il ricorso del detenuto aveva a oggetto una mera lamemtela su aspetti attinenti alla regolamentazione dettata dall’amministrazione. “È inspiegabile infine che il Tribunale metta in discussione che le ragioni poste a fondamento del diniego siano qualificabili come ragioni di sicurezza… Con la farina può essere prodotta colla utilizzabile per occultare oggetti non consentiti. Anche sostanze come il lievito possono diventare facilmente infiammabili o addirittura esplosive” si legge nel ricorso.

    La richiesta di Nordio alla Cassazione è quella di annullare l’ordinanza senza rinvio o in subordine di rimandare le carte al Tribunale per un nuovo esame.

    Si tratta dell’ultima in ordine di tempo carognata ai danni dell’anarchico Alfredo Cospito che sta pagando ancora sulla sua pelle il lunghissimo sciopero della fame contro la tortura del 41bis che affligge circa 700 detenuti. Il digiugno di Cospito in realtà è stato considerato a scopo di terrorismo nell’infinita  emergenza italiana sfociata in questi giorni nelle cosiddette “zone rosse Capodanno”.

    (frank cimini)

  • Per andare in Dna lotta tra pm a chi ce l’ha più duro

    Per un posto alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo c’è una lotta senza esclusione di colpi tra magistrati. Il pm di Genova Federico Manotti lo scorso 9 dicembre ha scritto una nota urgente al Csm chiedendo che la pratica ritorni in commissione prima di approdare alla decisione finale del plenum perché la sua candidatura era stata valutata meno significativa rispetto a quella di altri colleghi.

    Manotti lamenta che la terza commissione non ha tenuto conto che lui si occupa si terrorismo sia interno sia esterno da circa 10 anni e che aveva fatto esperienze anche in materia di criminalità organizzata. Manotti aggiunge che i candidati Giovanni Munfo’, Antonella Fratello e Maurizio Giordano “non hanno alcuna esperienza in materia di terrorismo”.

    Manotti aggiunge che Eugenio Albamonte invece ”a eccezione di due applicazioni non ha fatto parte della direzione distrettuale antimafia”. Il pm genovese chiede che sia riconosciuto pure a lui co e ad altri candidati un punteggio pari a 6 “consentendomi di rientrare tra i soggetti proposti”.

    Federico Manotti attualmente rappresenta  l’accusa nel processo per associazione sovversiva alla rivista Bezmotivny accusata di essere clandestina nonostante venisse spedita per posta e si trovasse in bacheca nella piazza di Massa Carrara, prima di essere chiusa per mancan di soldi.
    Eugenio Albamonte pm a Roma e esponente della corrente di Area è  il candidato in pole-position. È noto per aver indagato sui misteri inesistenti del caso Mor ovviamente sen a a risultati e soprattutto per perseguire e perseguitare da cinque anni il ricercatore
    storico Paolo Persichetti. Albamonte ha impiegato un lustro per prendere atto che non vi era nulla di penalmente rilevante passando anche attraverso un perquisizione avvenuta l’8 giugno del 2021 che aveva portato tra l’altro al brillante risultato di sequestrare le carte mediche del figlio diversamente abile di Persichetti.

    Sulla richiesta di archiviazione deciderà il gip Valerio Savio. Intanto possiamo registrare che la lotta per il posto in Dna tra candidati esperti o presunti tali è tra pm “garantisti”. Forse sarebbe meglio augurarsi che la scelta cada su quelli meno esperti. Magari farebbero meno danni.

    ((frank cimini)

  • Il dossier Schiavi della vendetta 41bis come pena di morte

    Ha per titolo “Schiavi della vendetta” a cura della associazione “Yaraiha”. Si tratta di “un viaggio infernale tra 41bis, ergastolo e tortura psicologica”.

    Luna Casarotti l’autrice scrive di tortura di Stato e spiega: “Il regime del 41bis caratterizzato da severe misure di isolamento si traduce i un costante preoccupante esempio di abuso di potere all’interno del sistema penitenziario, disumanizzando i detenuti e riducendoli a meri strumenti da controllare. Questa  modalità di detenzione concepita per raccogliere informazioni e mantenere il predominio sui prigionieri considerati pericolosi, infligge una tortura silenziosa con effetti devastanti sia sul piano psicologico che fisico”.

    Tra le conseguenze gravi vi sono disturbi mentali che colpiscono gli individui più vulnerabili. Un esempio di questo deterioramento è rappresentato dalla sindrome di Ganzer un raro disturbo psichico che si manifesta con risposte a semplici a domande che vengono definite approssimative. I detenuti che ne soffrono hanno amnesie dissociative aggravate dallo stress esterno. Ricercatori americani hanno documentato che l’isolamento prolungato può portare a depressione, ansia, istinti suicidari.

    Nelle celle del 41bis le finestre sono spesso oscurate o protette da reti e plexiglas privando i reclusi dell’opportunità di vedere l’esterno e di orientarsi nel tempo. La percezione di sorveglianxa costante amplifica l’angoscia e il senso di oppressione rendendo ogni giorno una lotta contro forze invisibili.

    Il 41bis tende a spogliare le persone di ogni identità e senso di appartenenza. In questo è il degno erede dell’articolo 90 ideato e applicato ai tempi dell’emergenza antiterrorismo. Il 41bis serve non solo per punire ma anche per estorcere informazioni. Tendenzialmente è una fabbbrica di “pentiti”. I diritti sono sacrificati in un ambiente in nome di obiettivi politici e di sicurezza. La Corte Costituzionale del 2019 aveva sancito l’illegittimita di parte della normativa sull’ergastolo ostativo diove si negava l’accesso ai benefici in assenza di “collaborazione” con la giustizia.

    In questo contesto anche il divieto di possedere foto di familiari come accaduto a Alfredo Cospito può apparire una misura minore eppure assume un significato simbolico di controllo e privazione emotiva. Infatti i magistrati accogliendo il ricorso del difensore Flavio Rossi Albertini ordinarono la restituzione delle immagini perché non c’erano rischi di violazione del regime detentivo in assenza di messaggi criptati.

    L’ergastolo può essere considerato col 41bis una pena di morte mascherata. Per chi crede nella possibilità di recupero del reo il 41bis rappresenta una delle pagine più oscure del nostro diritto penale.
    ((frank cimini)

  • Vero scopo indagine stop a lotta per la casa. Raggiunto

    Quando ai primi giorni di gennaio saranno depositate le motivazioni della sentenza con  cui la corte di appello ieri ha assolto i militanti del comitato Giambellino -Lorenteggio dall’accusa di associazione per delinquere la procura generale sicuramente impugnerà la sentenza in Cassazione. Un po’ diciamo per dovere d’ufficio, un po’ come dicono a Napoli per sfottere la mazzarella a San Giuseppe. Ma in realta ai rappresentanti dell’accusa che avevano chiesto la conferma delle durissime condanne decise in primo grado non frega quasi niente degli sviluppi processuali.

    Il vero scopo dell’indagine era fermare la lotta per la casa arrestando ai domiciliari nove attivisti procedendo con altre misure cautelari mettendo nel mirino 75 persone. L’obiettivo infatti e purtroppo è stato raggiunto. Come hanno sottolineato gli avvocati difensori a commento del verdetto il comitato non esiste più al pari della mensa popolare, della scuola di calcio e di teatro.
    Con l’uso violento dello strumento penale sono stati distrutti anche servizi creati per i cittadini dagli attivisti oltre ad avere sconvolto la vita di persone impegnate in attività di studio e di lavoro. La finalità dell’indagine era terrorizzare chi lotta contro le disuguaglianze sociali, metterlo in condizione di non nuocere. “Finalità di terrorismo” si potrebbe dire nuruando le logiche di lor signori.

    Costi quel che costi. Ma proprio di costi è impossibile parlare. Quanto è costata questa indagine tra anni di pedinamenti intercettazioni addirittura elicotteri che volavano nei giorni degli arresti? Non lo sapremo mai. Vige una sorta di segreto di Stato, soprattutto a livello delle spese relative alla polizia di prevenzione. Questa del Giambellino è l’ennesima storia di democratura che ci tocca registrare.

    L’attivita’ del comitato poneva problemi, soprattutto quello della fame di case, che la politica non aveva la possibilità e soprattutto la voglia di affrontare. Si trattava di rimettere in discussione troppe cose a partire dai modelli di sviluppo per finire a interessi materiali, i piccioli di chi comanda. Per cui se ne occupano magistratura e polizia per regolare lo scontro sociale e politico come accade quantomeno dagli anni ‘70.

    Il tutto ovviamente cin la complicità dei giornali che al momento degli arresti si scatenarono con le prime pagine ovvio “a difesa della legalita’ e della democrazia”, pubblicando anche notizie di “colore” in gran parte pure false. Per le assoluzioni spazio quasi zero invece. Sui cartacei di Corriere e Repubblica oggi zero righe anche in cronaca di Milano. Fa eccezione un pezzo tutto sommato accettabile del Giornale mentre Libero arriva a definire addirittura criminogena la sentenza di assoluzione perché autorizzerebbe occupazioni a raffica. Insomma per usare parole gentili, con un linguaggio di fini allusioni, un paese di merda.

    (frank cimini)

  • Caso Moro conferma i peggiori pm sono promossi

    Il pm Eugenio Albamonte sta per passare dalla procura di Roma alla direzione nazionale antimafia. In parole povere promosso. Nella migliore delle ipotesi che non sembra fatto quella più probabile Albamonte ha impiegato oltre cinque anni dal 2019 a oggi per realizzare che non c’erano comportamenti penali rilevanti da addebitare al ricercatore storico Paolo Persichetti indagato cambiando piu volte l’ipotesi di reato. Alla fine nessun risultato. Eppure era stato un gip a dire che non c’erano ipotesi di reato “e forse mai ce ne saranno”.

    L’asscszione sovversiva a fini di terrorismo era caduta nel giro di pochi mesi. Il favoreggiamento, la violazione di segreto in relazione a carte della commissione Moro2 che sarebbero state pubblicate dopo 48 ore  apparivano da subito destinati a subire uguale sorte.

    Eppure l’8 giugno del 2021 Persichetti subiva una lunga perquisizione dove venivano sequestrate pure le carte mediche del figlio diversamente abil. Il quasto generale è quello della caccia ai ministeri inesistenti del caso Moro, a presunti complici sfughiti a decenni di indagini, a mandanti rimasti nell’ombra perché la teoria del Grande Vecchio non ha mai smesso di affascinare toghe sbirri politici e varia umanita’. Questo nonostante cinque processi e varie code abbiano detto che dietro le Br c’erano solo le Br. O meglio le lotte so viali ma questo non si può dire perché in pratica è una sorta di reato.

    Albamonte non era e non è in buona fede. È stato uno strumento volontario ( si è prestato) all’attività della polizia di prevenzione che non indaga sui reati ma sulle intenzioni che attribuisce al malcapitato di turno. E ovviamente nel caso in cui non emergano riscontri succede niente. La polizia di prevenzione è una potenza assoluta, incontrollata e incontrollabile. Come e forse più della magistratura.

    A Paolo Persichetti hanno impedito e continuano a impedire di svolgere il suo lavoro la ricerca storica. Hanno impedito di fatto la pubblicazione del secondo volume sulla storia delle Br “Dalle fabbriche alla campagna di primavera” scritto il primo con Elisa Santalena e Marco Clementi. Albamonte ha aspettato che scattasse la prescrizione per depositare una richiesta di archiviazione sulla quale decidera il gip. Decisione scontata. Albamonte se ne va alla Dna. E la polizia di prevenzione continuerà il suo sporco lavoro.

    (frank cimini)

  • Ombre Rosse scatta prescrizione per Raffaele Ventura

    Raffaele Ventura era uno dei rifugiati politicici a Parigi per i quali l’Italia aveva chiesto l’estradizione che era stata negata dalla magistratura francese. Adesso per Raffaele Ventura condannato in origine a 27 anni di reclusione per fatti di lotta armata fra i quali l’omicidio del poliziotto Antonino Custra arriva la dichiarazione di estinzione della pena residua, 14 anni, decisa il 30 ottobre scorso dalla corte di appello di Milano. In data di oggi la procura generale che non ha presentato ricorso in Cassazione ha deciso la revioca del mandato di arresto europeo.

    Ventura, 75 anni a Parigi dal 1981. è libero di tornare in Italia. La corte di appello  aveva applicato la norma secondo cui la pena si estingue col decorso di un tempo pari al doppio della pena inflitta e, in ogni caso, non superiore a trenta e non inferiore a dieci anni.

    L’operazione Ombre Rosse  era stata decisa dal ministro Marta Cartabia e ispirata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella quando il giorno del rientro di Cesare Battisti aveva dichiarsto: “E adesso gli altri“.  Ma la sezione istruttoria della corte di appello di Parigi negava la consegna dei rifugiati per il motivo che tutti erano stati condannati in contumacia, condizione non ammessa dalla legge francese. Tutti a eccezione di Giorgio Pietrostefan, delitto Calabtesi. Ma in questo caso avevano osato il troppo tempo trascorso (mezzo secolo dal 1972) e le condizioni di salute dell’ex dirigente di Lotta Continua.

    Insomma a Parigi adesso c’è un rifugiato politico in meno. Se ne farà una ragione l’Italia che non solo con questo governo continua a cercare di artigliare in giro per il mondo persone per fatti di 50 anni da.

    (frank cimini)

     

  • Spiati, pm ne voleva 13 in carcere. Gip: manco uno

    Al di là delle serenate d’amore di giornali e tg l’inchiesta sugli spiati si rivela un flop. La procura di Milano aveva chiesto 13 arresti in carcere e 3 ai domicilieri.  Ha ottenuto 4 ai domiciliari e due misure cautelari minori.

    Il gip ha ridimensionato il tutto a una storia ordinaria di spionaggio industriale. Dalla procura una richiesta scritta in 1172 pagine. Tutta scena. Sembrava in pericolo la democrazia. Emerge invece che si è trattato di un gruppo di truffatori capaci di vendere a prezzi alti ai loro clienti informazioni che spesso erano già di pubblico dominio.

    Il ministro della Giystizia Carlo Nordio che evidentemente non ha nulla di meglio da fare ha parlato di gap tra la tecnologia dei “criminali” e lo Stato. Il problema invece sta nell’assenza totale di anticorpi da parte della pubblica amministrazione. Un problema già emerso evidente almeno ai tempi di Mani pulite ma da allora sempre insabbiato.

    Insabbiato dalla politica. E quando la politica fa finta di niente risulta poi impossibile che l’intervento dei magistrati possa risolvere qualcosa. infatti anche in questo caso la montagna rischia di partorire il classico topolino.

    Il ricorso della procura al Riesame già annunciato pare la classica pezza peggio del buco. Negli organi di informazione non c’è senso critico fanno copia e incolla con le ordinanze di custodia anche quando sono un flop. Lo spettacolo va avanti in questo modo da anni. E diciamo il mondo peggiora. Chi controlla chi non si capisce. Ma tutto va bene madama la marchesa.

    (frank cimini)

     

  • Brigate Rosse trojan usato su ignoti che invece sono noti

    Ti piazzano addosso il captatore trojan ti intercettano un per mesi confrontando le tue parole con quanto repertato 50 anni fa e quando i tuoi difensori eccepiscono l’assenza del decreto autorizzativo da parte del gip il gup rigetta l’eccezione e ti spiega che il decreto non era necessario perché al momento l’inchiesta era contro ignoti. Diventata contro noti solo dopo aver ascoltato le conversazioni intercettate. Insomma ti metto addosso il mezzo più invasivo possibile e non si può dire che ti sospetto. Sei ignoto.
    Stiamo parlando dell’inchiesta sulla sparatoria di Cascina Spiotta il 5 giugno del 1975 quando morirono il carabiniere Giovanni D’Alfonso e Mara Cagol. Ovviamente l’indagine si occupa solo dell’omicidio del carabiniere e non del colpo di grazia con cui fu finita Mara Cagol mentre era per terra arresa e disarmata.
    Il gup Ombretta Vanini ha deciso che non c’erano irregolarità e violazioni dei diritti apprestandosi il prossimo 30 ottobre a rinviare a giudizio per concorso in omicidio Renato Curcio, Mario Moretti, Pierluigi Zuffada e Lauro Azzolini.
    Il captatore trojan insomma veniva usato per ragioni di assoluta urgenza. Su un fatto badate bene avvenuto mezzo secolo fa. In una indagine riaperta annullando una precedente sentenza di proscioglimento per Azzolini del 1987 senza leggerla perché le carte erano scomparse nel 1994 durante l’alluvione di Alessandria.
    A far riaprire l’indagine era stato l’esposto presentato dagli eredi del carabiniere. In aula in udienza preliminare sono stati letti articoli di stampa e anche alcune frasi dei libri di Curcio e Moretti per dimostrare che erano stati dirigenti delle Br. Un fatto notorio già all’epoca dei fatti e della prima inchiesta poi “alluvionata”. Ma allora Curcio e Moretti non erano stati chiamati in causa. Vengono tirati in ballo adesso per spettacolarizzare e mediatizzare l’indagine e consumare una vendetta politica contro un intero periodo storico quello degli anni ‘70.
    Ovviamente davanti a questi veri e propri strafalcioni giuridici non si sente la voce di nemmeno uno dei tabti garantisti che affollano un paese disgraziato. Tutti garantisti solo per gli amici e il proprio clan.
    Quando si tratta di quella storia, un conflitto sociale durissimo sfociato in una guerra civile a bassa intensità ma neanche troppo bassa le garanzie non esistono. Infine ultima considerazione. Con quello che hanno speso per i captatori trojan non si può permettere cha la procura di Torino una delle più forcaiole d’Italia venga smentita.
    Per cui si andrà in corte d’Assise per assistere ai vincitori che processano i vinti. Norimberga due.
    (frank cimini)

  • DePasquale condannato da giudice che assolse Di Pietro

    Sono passati molti anni ormai e le storie sono molto diverse, ma per chi conosce la vera storia di Mani pulite non quella raccontata dalle gazzette della Repubblica delle procure è impossibile non reagire con un sorriso amaro.
    Fabio De Pasquale è stato condannato per non aver depositato prove a favore degli imputati del processo Eni-Nigeria. Rifiuto di atti d’ufficio. Le motivazioni tra 45 giorni e i gradi successivi di giudizio chiariranno le sue responsabilità.
    Il presidente del Tribunale che lo ha condannato è Roberto Spanò colui che da giudice delle indagini preliminari alla fine degli anni ‘90 decide che non c’era neanche bisogno del vaglio dibattimentale. Antonio Di Pietro uomo simbolo della magistratura di allora era puro come un giglio di campo.
    Davanti alla richiesta di processarlo l’Associazione Nazionale Magistrati fece un comunicato con cui per la prima volta nella sua storia si schierò con l’indagato. Ovviamente fu anche l’ultima.
    Di Pietro che viveva a scrocco degli indagati del suo ufficio tra Mercedes telefonini con bolletta pagata prestiti a babbo morto restituiti dentro scatole di scarpe non si poteva toccare.
    Non era processabile per evitare che venisse fuori la farsa della rivoluzione politico giudiziaria, la presunta lotta alla corruzione che c’era anche prima del 1992 ma che le procure in testa Milano facevano finta di non vedere.
    De Pasquale si era scontrato con Di Pietro perché questi interveniva sui suoi fascicoli. Un indagato di De Pasquale latitante si consegnò a Di Pietro. De Pasquale ebbe la notizia dalla telefonata di una giornalista. Il capo della procura San Francesco Saverio Borrelli si schierò dalla parte di Tonino da Montenero di Bisaccia. Di Pietro aveva il paese nelle sue mani. Poveri noi, detto ancora oggi per allora. (frank cimini)

  • Sulle Br i pm intercettano senza l’ok del gip

    Pur di arrivare a celebrare il processo alle Brigate Rosse per i fatti del 5 giugno 1975 alla Cascina Spiotta morte di Mara Cagol e del carabiniere Giovanni D’Alfonso i pm di Torino continuano a combinarne di tutti i colori in violazione della procedura. L’imputato Lauro Azzolini è stato intercettato tramite il captatote trojan senza che esista agli atti un decreto specifico di autorizzazione da parte del gip.
    Il decreto era necessario perché si parla di un imputato già prosciolto con le indagini a suo carico riaperte con un revoca della sentenza di proscioglimento che non si trova perché scomparsa durante una alluvione. Verdetto revocato senza neanche essere letto.
    La conversazione tra Azzolini e la moglie veniva in modo illegittimo utilizzata nell’interrogatorio di Luigi Bialetti sentito come testimone con l’obbligo di dire la verità nonostante in precedenza fosse stato indagato per falsa testimonianza.
    Il difensore di Azzolini l’avvocato Davide Steccanella chiede l’espulsione degli atti illegittimi e non utilizzabili dal voluminoso fascicolo processuale. Vediamo cosa deciderà il gup nell’udienza che inizia dopodomani 26 settembre a Torino. Con Azzolini sono imputati Renato Curcio Mario Moretti e Pierluigi Zuffada.
    Nessun accertamento è stato fatto per stabilire le modalità con cui fu uccisa Mara Cagol mentre era a terra disarmata ormai arresa.
    Ogni sforzo è stato concentrato per individuare il brigatista scappato dopo lo scontro a fuoco che la procura di Torino ritiene di aver individuato in Lauro Azzolini. Questo succede nonostante il Ris dei carabinieri non abbia trovato impronte attribuibili a Azzolini sulla porta della cascina e sul furgone utilizzato dai brigatisti.
    Stiamo parlando di una indagine densa di irregolarità atti illegittimi e forzature della procedura ai fini di processare la storia. Nel caso gli inquirenti fossero in buona fede ci sarebbe da chiedere come abbiano fatto a laurearsi e a superare il concorso da magistrati. È più semplice pensare invece a militanti del loro processo che con ogni probabilità fossero stati al posto dei loro predecessori mezzo secolo fa sarebbero riusciti a fare anche di peggio. E questo è tutto dire.
    (frank cimini)

  • Cospito ricorre e insiste per poter avere farina e lievito

    “Nel caso tali prodotti fossero veramente pericolosi per l’ordine e la sicurezza interna ed esterna dell’istituto nessun istituto italiano li avrebbe consentiti non solo nel regime ordinario, ma men che meno nel regime del cosiddetto carcere duro cosa che invece è prevista e possibile. Inoltre, previsto e possibile è l’acquisto di tali beni anche nel reparto del 41 bis OP della CC di Bancali – Sassari per altri reclusi ed anche per altro detenuto appartenenti ad altri gruppi di socialità che essendo in possesso di ordinanze ormai definitive sono autorizzate all’acquisto, al possesso e all’utilizzo della farina e del lievito creando così un evidente, pacifico e palese disparità di trattamento”. L’anarchico Alfredo Cospito insiste per poter disporre di farina e lievito nonostante la Cassaziibe recentemente abbia bocciato il ricorso di un altro detenuto in regime di 41bis. L’avvocato Maria Teresa Pintus ha impugnato la decisione del magistrato di sorveglianza di Sassari e resta in attesa della fissazione di un’udienza davanti al Tribunale.
    “È evidente che se i rischi paventati dall’Amministrazione, ovvero il fatto che i prodotti possano essere vietati solo ed esclusivamente perché infiammabili – allora non si capisce perché la carta, l’olio, il legno, ecc. non siano proibiti – fossero reali il
    Garante Nazionale non avrebbe mai invitato ad introdurre tali generi nel mod. 72 in quanto pericolosi – si legge nel ricorso –
    Vi è tra l’altro da chiarire che la capacità infiammatoria della farina è legata solo ed esclusivamente alla polvere creata dalla stessa al momento della sua formazione procedimento chimico che avviene esclusivamente nelle fabbriche e che proprio per tale motivo si è ovviato a livello industriale con degli accorgimenti atti ad impedire qualsiasi tipo di pericolo per i lavoratori”.
    È vero che rientra nel potere dell’amministrazione disciplinare le regole della vita detentiva che può pertanto variare da istituto a istituto, è altresì vero che le limitazioni possono essere imposte solo in virtù di motivate esigenze di sicurezza – si conclude nel ricorso – E poiché nel caso in esame le esigenze di sicurezza – se è vero che mai ce ne fossero ovvero dell’infiammabilità della farina – sono state ampiamente confutate da tecnici specializzati ne consegue che il divieto di acquisto imposto al sig. Cospito è oltrechè immotivato illegittimo e come tale deve essere eliminato”.
    (frank cimini)

  • Sharon, arriva la la “zona rossa” di Terno d’Isola

    Nella storia dell’infinita emergenza italiana arriva la “zona rossa” di Terno d’Isola in provincia di Bergamo. Non c’entrano stavolta i black block. Chiudono le strade per ragioni investigative, le indagini sull’uccisione di Sharon Verzeni. Si cerca nei tombini ora a un mese dal delitto il coltello, l’arma che secondo il quotidiano che perde più copie in Europa era stata trovata nei giorni immediatamente successivi al fatto. Era una bufala, non la sola in questa inchiesta spettacolarizzata dai media dove ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere per una ragazza ammazzata a coltellate.
    Le strade sono state chiuse per decisione dell’autorità giudiziaria, una procura fin qui assente e silente anche perché senza capo che si insedierà il 9 settembre.
    L’idea della chiusura era stata probabilmente sollecitata dai carabinieri ai quali finora l’indagine è completamente delegata. Come si suol dire in questi casi gli inquirenti brancolano nel buio e sentendosi tra l’altro ingiustamente colpevoli per non aver ancora scoperto l’assassino al fine di dimostrare che lavorano adottano iniziative clamorose che colpiscono.
    Così si arriva alla zona rossa di Terno d’Isola. Forse ci si poteva pensare prima ai tombini. I cento testimoni ascoltati finora non sono serviti. Compreso il presunto supertestimone che poi si è scoperto essere abbastanza circo e sordo. Dai coltelli sequestrati in giro e mandati al Ris di Parma non è arrivato nulla. E nemmeno dalle tracce sul corpo di Sharon. Intanto era stato preso il Dna offerto volontariamente da una quarantina di residenti. Un altro buco nell’acqua. L’assassino sicuramente non offre il Dna. I paragoni con il caso Yara sono frutto di ignoranza e superficialità. Lì c’era un dato dal quale partite l’ormai famoso Ignoto1. Qui siamo a zero.
    Però la zona rossa fa scena, molta scena. Come le convocazioni di testimoni in caserma a favore di telecamere e i sopralluoghi con il fidanzato di Sharon, Sergio Ruocco, formalmente non indagato. Solo formalmente però. In realtà pressato. Lui continua a dirsi tranquillo e a rilasciare interviste in cui formula ipotesi di cui potrebbe anche fare a neno.
    (frank cimini)

  • Autogol dei politici rafforzano magistratura

    Una delle ragioni per cui Mani pulite non è finita e sembra finire mai è la responsabilità della politica. Non c’è uno schieramento un partito che rinunci a strumentalizzare le inchieste giudiziarie quando sotto tiro ci sono gli avversi e questo aumenta ancora di più in modo spropositato il potere della magistratura. La novità degli ultimi giorni sulla quale vale la pena di soffermarsi ma non più di tanto per evitare di farsi distrarre dai problemi reali del paese è che siamo arrivati alla strumentalizzazione al tentativo di utilizzare una inchiesta che non c’è e che al 99 per cento ci sarà mai. Arianna Meloni è dirigente di un partito il primo partito del paese, le nomine le fanno i partiti che governano a volte nel consociativismo con l’opposizione per cui non si capisce perché ci dovrebbe essere una indagine giudiziaria.

    Quando governava Matteo Renzi lui e suoi procedevano alle nomine, adesso invece Arianna Meloni dovrebbe spiegare le scelte politiche. Dopo l’articolo del Giornale il centrodestra si è indignato ovviamente gridando al complotto sempre in relazione e a una indagine di cui non c’è traccia.

    Ma si è indignata pure l’Associazione nazionale magistrati dedicandosi alla sua attività preferita, “ci vogliono delegittimare”. Parliamo di una categoria che ha già dimostrato ampiamente di essere in grado di delegittimarsi da sola con una grandissima capacità di autoassolversi e autoamnistiarsi come è accaduto in relazione al caso Palamara, radiato come unico responsabile di una ottantina di nomine sottobanco nel regno del traffico di influenze che però in questo caso nessuno ha contestato formalmente.

    Si tratta del reato di cui secondo le fantasie dovrebbe rispondere Arianna Meloni, del reato che ai comuni mortali di solito viene contestato per molto meno di quanto accade al Csm. Ma queste strumentalizzazioni delle inchieste da una parte e dall’altra portano poi vantaggi a chi le fa? Non pare proprio. A Bari dove la destra aveva dato addosso al centrosinistra sul voto di scambio, altro reato evanescente al pari del traffico di influenze, hanno vinto gli avversari. Alle elezioni europee non sembra aver influito l’inchiesta di Genova sulla presunta corruzione Toti-Spinelli. E in vista delle elezioni del 27 ottobre in Liguria il centrodestra pare restare con un buon vantaggio nonostante la mobilitazione di piazza contro l’allora governatore detenuto in casa. Insomma sembra che gli elettori se ne freghino ampiamente e che chi strumentalizza la giustizia faccia un buco nell’acqua a differenza di trent’anni fa.
    (frank cimini)

  • Sharon, Dna a strascico mossa disperata delle indagini

    Che a due settimane dall’uccisione di Sharon Verzeni gli inquirenti non avessero nulla in mano lo si era capito. Adesso la conferma arriva da una sorta di mossa della disperazione, quella di prendere il Dna a tutti i residenti della via del delitto e delle strade limitrofe. Ovviamente chi fornisce il Dna lo fa su base assolutamente volontaria e ciò avviene perché le persone pensano comunque di dare un contributo a scoprire l’assassino.
    Ma si tratta di una gravissima violazione dei diritti dei cittadini intesi come collettività. Il paragone con il caso Yara non regge perché in quel caso si partiva da un Dna sia pure parziale di tipo familiare acquisito in una discoteca. A Terno invece si parte senza avere in mano nulla. Si agisce su persone la cui unica caratteristica è quella di abitare in zona.
    Innanzitutto bisogna anche semplicisticamente osservare che l’assassino il proprio Dna non lo fornisce a chi indaga. E quindi a che cosa serve l’iniziativa? È possibile fidarsi della catena di custodia di questi dati che poi dovrebbero essere distrutti? E chi garantisce sulla effettiva sorte di questi Dna?
    Il feroce delitto di cui è stata vittima Sharon Verzeni la forte impressione che ha suscitato non può giustificare in uno stato di diritto l’operazione di prendere il Dna a persone sospettabili di nulla.
    Il cittadino medio da’ la sua collaborazione senza rendersi conto della delicatezza del problema. Il cittadino medio non solo in Italia è sostanzialmente forcaiolo fino a quando non finisce direttamente o indirettamente attraverso familiari e amici nei meccanismi giudiziari.
    Diciamo che nell’inchiesta sull’uccisione di Sharon non c’è prudenza. Del resto parliamo di una procura titolare delle indagini dove il capo designato si insedierà solo a settembre. Il magistrato facente funzione di capo è in ferie. Come si è arrivati alla decisione relativa al Dna a strascico ancora prima di avere dal Ris di Parma dei carabinieri risultati poi da approfondire? Sono domande legittime. Ma va anche detto che nonostante la pressione di opinione pubblica e media chi indaga non può e non deve sentirsi colpevole di non aver scoperto l’assassino in soli quindici giorni. Nelle indagini tutto quello che poteva essere fatto è stato fatto. Non c’è stata inerzia. Anzi.
    (frank cimini)

  • Ilaria Salis libera ma da Ungheria carota e bastone

    L’Ungheria libera Ilaria Salis mentre si appresta a chiedere al parlamento europeo la revoca dell’ immunità acquisita con le elezioni del 9 giugno scorso. Insomma da Budapest praticano la politica del bastone e della carota.

    Ieri mattina la polizia è andata nella casa che dal 23 maggio ospita Ilaria Salis agli arresti domiciliari togliendo la caviglierà elettronica che serviva per controllarla ed evitare che non scappasse. Questa è la conseguenza della decisione del Tribunale che ha accolto l’istanza presentata dall’avvicato Giorgy Magiar subito dopo l’elezione al Parlamento di Strasburgo che però sarà proclamata ufficialmente solo il prossimo 16 luglio.

    Le autorità ungheresi hanno deciso di giocare d’anticipo liberando l’insegnante di Monza che lunedì compirà 40 anni e che festeggerà qui dopo che il padre e l’intera famiglia avevano già comprato i biglietti per raggiungerla a Budapest in occasione del compleanno.

    Ilaria infatti è completamente libera e torna. Ma la battaglia come precisano i suoi difensori italiani Eugenio Losco e Mauro Straini non è finita. Toccherà al Parlamento europeo decidere sulla richiesta ungherese di revoca della immunità. Impossibile prevedere adesso se il processo continuerà o se riprenderà soltanto alla fine del mandato.

    Ilaria Salis era stata arrestata il 23 febbraio dell’anno scorso con l’accusa di aver aggredito e picchiato un paio di partecipanti alla manifestazione “dell’onore” organizzata da gruppi neonazisti. Provocando ferite guaribili tra i 5 e gli 8 giorni ma che nel capo di imputazione diventavano “potenzialmente letali” fino a far ipotizzare una condanna a 24 anni di reclusione o a un patteggiamento a 11 anni.

    A novembre dell’anno scorso la notizia della carcerazione di Ilaria in condizioni terribili cominciava a filtrare sui giornali. Ma il caso scoppiava clamorosamente solo in occasione dell’udienza del 28 marzo scorso quando le telecamere del Tg3 riprendevano l’imputata in manette, ceppi catene e al guinzaglio delle guardie. Fino ad allora il governo italiano a conoscenza di tutto non aveva mosso un dito. Le immagini cambiarono il quadro fino alla decisione degli arresti domiciliari con la caviglierà finiti ieri mattina.

    Il padre Roberto Salis dice: “Vado a prenderla e me la porto a casa io. Sono molto contento sto cercando di organizzare il rientro il prima possibile. Ho lavorato in sordina ma non ci aspettavamo che venisse liberata già oggi. Mi ha chiamato l’avvocato Magiar per dirmi che la polizia stava andando a liberarla”.

    Secondo i dirigenti del gruppo Sinistra e Verdi “la liberazione è una sconfitta di Orban e dei leader repressivi di estrema destra. È una vittoria significativa per la giustizia”.

    L’Ungheria fa sapere che combatterà ancora per farla condannare. Aiutata evidentemente in Italia da chi tira fuori vecchie storie di occupazioni abusive di case per le quali come sottolineano gli avvocati non ci sono mai stati provvedimenti formali.
    (frank cimini)

  • Rubare gli avvocati è molto pericoloso

    Ci sono ladri cattivelli, quelli che puntano al colpo sicuro, mettendo in conto la violenza. La vecchietta indifesa per strada, il coltello per minacciare.

    Ladri che puntano alto. Il quadro al museo, l’operazione pianificata nei dettagli, il fascino criminale di Lupin.

    Poi ci sono i ladri che sfidano l’abisso, cacciandosi nei guai a tutti i costi, per inseguire il sogno di un televisore 4k, di una vacanza di lusso in Polinesia. Come lei, I., 54 anni, che tra tutti i posti in cui poteva mettersi a rubare ha deciso di puntare all’unica categoria con cui i guai sono sicuri: gli avvocati.

    Si faceva assumere come segretaria. Si presentava benissimo. Seria, sorridente.

    Con l’avvocato Francesco Molfese, studio in viale Montenero, secondo la procura ha giocato un po’ sporco, approfittando dell’età e della salute. Ad agosto 2022 gli ha preso la carta di credito, ha falsificato una delega e si è presentata in banca per effettuare tre bonifici con causali finte. Due a se stessa, uno al compagno. Totale 15.450 euro. Poi ha usato quella stessa carta per fare acquisti: Unieuro, Rinascente, Micheal Kors, Coin, profumeria Mazzolari in Galleria Vittorio Emanuele. Agosto 2021. Fanno altri 8900 euro.

    All’avvocato Alessandro Limatola sottrae due bancomat e si impossessa di 6mila euro in pochissimi giorni di prelievi seriali. Passarla liscia era davvero una missione impossibile, una sfida al destino: uno dei bancomat era collegato al conto di una Fondazione di studi economici e giuridici. Settembre 2022.

    Anche con l’avvocato Alessandro Orsenigo, operazione bancomat: mille euro.

    Nello studio dell’avvocato Lorenza Biglia, in via Lanzone, si presenta invece per un colloquio. Ma l’attesa è sfibrante, così la donna esplora lo studio e scova la borsa incustodita dell’avvocatessa Rossana Spagnolli. Intanto si intasca i 250 euro in contanti, poi col bancomat spende 48 euro in tabaccheria.

    A dicembre 2022, tre prelievi con la tessera dell’avvocato Massimo Bonacina. Fanno 1250 euro.

    Dallo studio dell’avvocato Claudio Acampora prende la carta di credito “eludendo la sorveglianza” direttamente dal cassetto della scrivania del titolare. Le marche da bollo sottratte sono un di piu. Coi prelievi arriva a 4850 euro in due giorni (gli avvocati non hanno il limite quotidiano di 500 o 1000 euro come gli umili redattori di questo blog).

    Alla fine, di un avvocato ha avuto bisogno lei. Prima il carcere, a San Vittore, poi l’immediato disposto dalla giudice Lorenza Pasquinelli, infine ieri la condanna davanti alla quarta monocratica. Il pm aveva chiesto sei anni, il giudice gliene ha dati quattro. La morale però è anche che evidentemente gli avvocati milanesi non si parlano abbastanza tra loro. E come sempre noi siamo qui per aiutare.
    (N.d.r)

  • In Cassazione Davigo gioca la carta Coppi

    In Cassazione il professor Franco Coppi considerato il più importante penalista italiano affiancherà Davide Steccanella con l’obiettivo di ribaltare la condanna di primo grado confermata in appello a un anno e tre mesi comminata a Piercamillo Davigo in relazione alla consegna al pm Paolo Storari dei verbi di Piero Amara.
    Nel ricorso alla Suprema Corte i difensori dell’ex pm di Mani Pite ed ex membro del Csm fanno osservare che il loro assistito è stato condannato per concorso nel reato con un imputato Storari assolto in via definitiva dalla stessa imputazione.
    Inoltre sempre nel ricorso si fa notare in via subordinata che la procura avrebbe al limite dovuto modificare l’accusa a Davigo contestando la norma che punisce il concorrente che trae in inganno l’altro in buona fede e quindi incolpevole. Ma si tratta all’evidenza di un fatto diverso da quello per il quale Davigo è stato condannato.
    La procura avrebbe dovuto mutare l’imputazione ma non l’ha fatto è la tesi dei difensori.
    Gli avvocati fanno osservare che a conclusione di una vicenda giudiziaria che ha interessato quattro procure con diversi imputati che ebbero a che fare con i verbali di Amara l’unico condannato è stato Davigo.
    (frank cimini)

  • Emergenza infinita processo a Curcio Moretti 50 anni dopo

    L’udienza preliminare è fissata per il prossimo 24 settembre.La procura della Repubblica di Torino chiede di processare Renato Curcio, Mario Moretti, Lauro Azzolini e Pierluigi Zuffada per l’omicidio del carabiniere Giovanni D’Alfonso in relazione alla sparatoria alla Cascina Spiotta nell’Alessandrino dove il 5 giugno del 1975 fu uccisa anche Margherita Cagol. La procura utilizza intercettazioni eseguite prima che l’indagine venisse formalmente riaperta dopo il proscioglimento di Azzolini senza che si potesse leggere e riesaminare il vecchio fascicolo perché scomparso causa alluvione.
    È la classica storia da emergenza infinita, una “malattia” dei magistrati che ne hanno fatto una ragione di vita e di conseguenza di morte per gli altri.
    Margherita Cagol venne colpita dal fuoco degli operanti nel corso del blitz che portò alla liberazione dell’imprenditore Vallarino Gancia. La donna sul prato antistante la cascina era ormai disarmata. Ma nocn è dato satpere negli atti depositati e relativi alle indagini condotte dalla procura di Alessandria se vi fu o meno una formale imputazione a carico dei militari per la morte di Margherita che fin da subito venne fatta sbrigativamente passare come giustificata dal conflitto a fuoco. L’ex carabiniere Giovanni Villani arrivato sul luogo a sparatoria avvenuta sentito l’anno scorso nell’ambito della nuova inchiesta disse che la versione ufficiale non lo aveva mai del tutto convinto.
    Anche Renato Curcio interrogato come indagato si rivolse ai pm affermando di aspettarsi indagini sulla morte della moglie. I magistrati risposero che si stavano attivando in quella direzione. Parole al vento evidentemente.
    L’avvocato Davide Steccanella difensore di Azzolini nelle sue contro deduzioni inviate al gup che dovrà decidere sul rinvio a giudizio afferma che la lettura delle carte dell’accusa “lascia piuttosto perplessi”.
    Curcio e Moretti fa notare la difesa sono chiamati in causa per il ruolo di dirigenti delle Brigate Rosse ricoperto all’epoca, un fatto storico è noto da almeno 40 anni e sulla base di un documento reperito ancora nel 1975 e pacificamente realizzato dopo il fatto di Cascina Spiotta. Zuffada è accusato per un concorso che dovrebbe essere ritenuto anomalo e pertanto prescritto. Azzolini è imputato di aver partecipato alla sparatoria ma dagli atti non emerge prova. Fu già processato e prosciolto per il medesimo fatto nel 1987. Poi c’è stata per due anni e mezzo una indagine segreta nei suoi confronti che ha rivelato, scrive Steccanella, una serie di iniziative assunte dagli inquirenti in aperto contrasto con quanto previsto dal codice di rito.
    Con una serie di eccezioni procedurali il difensore chiede la nullità dell’ordinanza di revoca del proscioglimento, la nullità del primo decreto autorizzativo delle indagini per insussistenza dei presupposti di legge e di conseguenza di tutte le proroghe successive. La richiesta di nullità riguarda anche gli accertamenti tecnici irripetibili disposti dalla procura nel settembre 2022 per mancato avviso alla parte interessata dell’inizio lavori. Oltre all’inutilizzabilita’ degli esiti del Ris. Sono inutilizzabili per la difesa tutte le intercettazioni ambientali perché mezzo di ricerca della priva introdotto con il codice del 1989 e non applicabile in un procedimento iniziato con il codice del 1930.
    (frank cimini)

  • Milano Cortina non è Expo si indaga senza moratorie pare

    Ci sarebbe anche il presunto tentativo di pilotare il televoto per la scelta del logo Milano-Cortina 2026 nell’indagine della procura di Milano in cui si ipotizzano corruzione e turbativa d’asta in merito agli appalti dei servizi di digitalizzazione per l’evento. Massimo Zuco ex dirigente della Findazione indagato con l’ex amministratore delegato Vincenzo Novari, con Luca Tomassini rappresentante di Vetrya avrebbe insistito affinché uno dei loghi relativi all’evento oggetto del televoto pubblico avesse la meglio sull’altro.

    Gli ex dirigenti sarebbero stati corrotti con denaro e altre utilità come una Smart per compiere atti contrari al dovere d’ufficio e favorire l’affidamento delle gare relative al cosiddetto ecosistema digitale di fondazione Milano.

    Dal decreto di perquisizione emerge che Luca Tomassini avrebbe sponsorizzato il manager Zuco per fargli ottenere un posto dentro la Fondazione, Almeno per il momento sembra escluso il coinvolgimento di politici che insegna la storia recente non sono indispensabili per certi “magheggi”. La differenza rispetto all’evento Expo 2015 è cge la procura indaga e non omaggia il sistema paese “per senso di responsabilità” come ebbe a dire Renzi ringraziando i pm di allora.
    Insomma i tempi cambiano. Del resto il sindaco Sala ha avuto già modo di lamentarsi per le indagini sulle violazioni urbanistiche dimostrando di non averle gradite. Lui che si tempi di Expo per l’affare Farinetti venne prosciolto senza neanche essere interrogsto. E per questo riuscì a essere candidato a sindaco vincendo la campagna elettorale per il primo mandato.
    (frank cimini)

  • Dal governo ora pure “suggerimenti” dannosi a Ilaria Salis

    Non bastava che il governo italiano a conoscenza del caso Salis fin dal giorno dell’arresto si muovesse per trovare una soluzione solo dopo le immagini del Tg3 con ceppi manette e guinzaglio. No, adesso al danno cercano di aggiungere la beffa, i ministeri della Giustizia e dell’Interno “suggerendo” all’insegnante di Monza l’iscrizione tra gli italiani residenti all’estero al fine di poter più agevolmente vedere rispettato il suo diritto di votare alle elezioni europee.
    Giustamente Roberto Salis, il padre della ragazza definisce la proposta assolutamente fuori luogo perché come conseguenza si perderebbe il diritto di poter avere gli arresti domiciliari in Italia invece che a Budapest.
    L’ingegner Salis inoltre risponde al ministro Antonio Tajani chiedendo di sapere quali sarebbero i meriti vantati per la soluzione del caso. “La decisione di presentare ricorso contro la negazione dei domiciliari è stata unicamente della famiglia, ne’ suggerita o caldeggiata da nessuna istituzione” sono le parole del padre della ragazza.
    Tajani replica di non voler rispondere alle polemiche accusando come sempre chi a suo dire avrebbe politicizzato il caso. Non c’era in realtà nulla da politicizzare in una vicenda assolutamente ed è esclusivamente politica fin dall’inizio.
    Parlando di cose concrete prima del 24 maggio, data della prossima udienza, la famiglia Salis verserà i 40mila euro della cauzione in modo che l’imputata possa essere trasferita nella casa di una privata cittadina disposta ad ospitarla. Ilaria Salis avrà’ il braccialetto elettronico in modo da poter essere controllata.
    In udienza la ragazza in carcere dal 23 febbraio dell’anno scorso non sarà più incatenata e ammanettata per ascoltare nell’occasione i testimoni dell’accusa. Si tratta dei militanti neonazisti che lei avrebbe aggredito provocando ferite guaribili tra i 5 gli 8 giorni e che nel capo di imputazione sono diventate “letali” al punto da far ipotizzare una condanna a 24 anni di reclusione, 11 anni in caso di patteggiamento.
    (frank cimini)

  • Viola confermato capo pm, la grande sconfitta di Md

    Il Consiglio di Stato ha confermato in via definitiva Marcello Viola come capo della procura di Milano rigettando il ricorso di Maurizio Romanelli ex aggiunto nel capoluogo lombardo e da poco nominato a capo dei pm di Bergamo. La decisione conforme a quella che aveva preso il Tar chiude una lunghissima vicenda di lotta tra le correnti dell’Associazione nazionale magistrati che aveva fatto registrare anche roventi polemiche.

    Il Consiglio di Stato la rilevato come correttamente il Csm avesse riconosciuto la maggiore rilevanza delle funzioni direttive svolte da Viola, considerando “di minore rilievo l’esperienza semidirettiva svolta da Romanelli presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo in ragione della sua durata di poco superiore al biennio, della sua mancata sottoposizione al vaglio della procedura quadriennale di conferma e delle modalità del suo conferimento”.
    Inoltre l’incarico semidirettivo di procuratore aggiunto pur se svolto da Romanelli nell’ufficio messo a concorso non fosse di per se idoneo a superare le esperienze dirette vantate da Viola.

    La delibera del Csm di due anni fa “va condivisa perché la stessa illustra in dettaglio le ragioni della prevalenza di Viola sotto i profili del lavoro giudiziario, organizzativo, delle esperienze di rilievo ordinamebtale e di quelle in ambito formativo”.

    Maurizio Romanelli era sostenuto dalla corrente di Magistratura Democratica, la stessa di cui avevano fatto parte i due ultimi capi della procura milanese Francesco Greco e Edmondo Bruti Liberati. C’era bisogno di una inversione di rotta anche a livello politico che portava tra l’altro a interrompere dopo decenni la prassi di un procuratore capo proveniente sempre dal palazzo di giustizia di Milano.

    Secondo il Consiglio di Stato “nessuna delle censure dell’appello te si mostra suscettibile di positivo apprezzamento, non riuscendo le stesse e inficiare la legittimità della procedura per cui è causa e del suo esito favorevole a Marcello Viola”.

    La prevalenza di Marcello Viola ex pg a Firenze è stata considerata netta. Magistratura Democratica che riteneva la procura di Milano una sorta di suo feudo è stata la grande sconfitta di una lunga tenzone. E va ricordato che i periodi legati alla direzione di Bruti Liberati prima e Greco poi erano stati caratterizzati da molte polemiche. Lo scontro tra Bruti e l’allora aggiunto Alfredo Robledo. Infine la spaccatura dell’ufficio inquirenti in relazione al caso Eni-Nigeria con le divergenze (eufemismo) tra Paolo Storari e Fabio De Pasquale sfociate poi nel processo di Brescia dove i due in aula se ne sono dette di tutti i colori.
    (frank cimini)

  • Israele “dimentica” le torture citate dai giudici italiani

    Le autorità israeliane rinunciano almeno per il momento a ottenere la consegna di Yaeesh Anan accusato di terrorismo e spiegano di farlo perché il giovane palestinese è indagato in Italia per gli stessi fatti e si trova tuttora in carcere. Nella motivazione della loro iniziativa di cui ha preso atto la corte di appello dell’Aquila non c’è il minimo accenno a un particolare fondamentale.
    I giudici italiani nel negare l’estradizione chiesta allora da Israele avevano indicato tra i motivi del rigetto le ricorrenti torture alle quali sono sottoposti i palestinesi in Israele.
    Per cui spiegava la corte di appello Anan una volta estradato avrebbe corso seri rischi per la propria incolumità.
    “Israele ha dimenticato di menzionare la circostanza ostativa delle torture praticate nelle sue carceri contro i palestinesi. La cui ricorrenza aveva indotto la corte di appello a dichiarare Anan non estradabile – dice l’avvocato Flavio Rossi Albertini – Ma si sa che l’unica democrazia in medioriente soffre di amnesia selettiva“.
    “Alla luce dell’esistenza di indagini italiane in corso le autorità israeliane desiderano – si legge nella comunicazione inviata – in questa fase di ritirare la domanda di estradizione e si riservano il diritto di ripresentarla in una fase successiva nel caso scelgano di farlo. Vorremmo ringraziare le autorità italiane per il loro impegno e assistenza in questo caso e ribadiamo la nostra disponibilità a una continua collaborazione tra i due paesi”.
    Insomma Israele fa finta di niente rispetto al fatto che un paese amico dica esplicitamente che da quelle parti in mediooriente i detenuti vengono torturati per cui non si fida di consegnare persone accusate di terrorismo.
    Va ricordato che Anan e altri due palestinesi sono stati arrestati in riferimento ai loro comportamenti sul web e sospettati di essere in procinto di compiere attentati. Ipotesi ovviamente tutta da dimostrare. Ma intanto stanno in carcere. Yaeesh Anan ha perso la libertà ma nel caso fosse stato estradato in Israele avrebbe rischiato di perdere molto di più. Questo è stato detto con il timbro di una corte di appello del nostro paese. Non è poco. Anzi.
    (frank cimini)

  • Sul 41bis di Cospito giustizia in corto circuito

    Sul 41bis di Alfredo Cospito confermato dalla Cassazione che ha respinto il ricorso del difensore la giustizia riesce ad andare in corto circuito con una motivazione che risulta il massimo della contraddittorietà. I supremi giudici da una lato citano le parole della procura nazionale antimafia e antiterrorusmo secondo cui Cospito pur da detenuto “continuava a compiere condotte apologetiche della violenza anarchica”.
    Dall’altro lato viene letteralmente bocciato il parere della stessa Dna che dava atto di una ridotta pericolosità dell’anarchico e concludeva per sostituire il regime del 41bis con quello dell’alta sorveglianza un gradino appena più sotto mantenendo la censura sulla corrispondenza.
    Secondo la Cassazione il parere della Dna “seppure particolarmente autorevole non costituisce un ‘fatto nuovo’ ma piuttosto una valutazione di carattere meramente giuridico come tale non decisiva ai fini della revoca anticipata del regime carcerario di cui si tratta”.
    Insomma la Cassazione gira e rigira la frittata affinché Alfredo Cospito sia seppellito vivo. Nemmeno le sentenze che avevano dichiarato insussistente l’associazione sovversiva nei procedimenti “Bialystock” e “Sibilla” non influiscono in alcun modo sulla “operatività della Federazione Anarchica Informale”.
    Per la Suprema Corte non c’è stata nessuna violazione di legge perché la motivazione del Tribunale di Sorveglianza di Roma non risulta mancante avendo dato risposta a tutte le argomentazioni contenute nella richiesta di revoca anticipata.
    Il ricorso viene così dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato a pagare le spese processuali e 3000 euro in favore della cassa delle ammende.
    La Cassazione spiega la sua decisione facendo riferimento al ruolo di Alfredo Cospito “descritto come figura di vertice del movimento anarchico insurreziinalista Fai-FRI “ancora attivo e pericoloso”.
    Gli eventi prospettati dalla difesa di Cospito per la Cassazione “erano già stati valutati in sede di ricorso avverso il decreto genetico del regime speciale oppure non potevano considerarsi nuovi e come tali indicativi del venir meno delle condizioni poste a fondamento di detto provvedimento prima della sua scadenza naturale”.
    La realtà è che Cospito viene considerato ancora più pericoloso dopo il lunghissimo sciopero della fame che ne avrebbe aumentato il carisma nell’ambito dei movimenti anarchici. Insomma siamo alla creazione di una sorta di nuovo reato, “il digiuno a scopo di terrorismo”. Per cui reclami e ricorsi non servono. La continuazione dell’ apologia della violenza anarchica serve a confermare il regime del 41bis tradendolo e travisandolo nello spirito e nella lettera perché il regime speciale dovrebbe (condizionale d’obbligo) servire esclusivamebte a impedire contatti con le organizzazioni esterne. L’apologia insomna è un alibi perché non sanno che pesci pigliare.
    (frank cimini)

  • Processo politico Cospito condanna confermata 23 anni

    La Cassazione ha confermato le condanne di Alfredo Cospito a 23 anni di reclusione di Anna Beniamino a 17 anni e 9 mesi come aveva sollecitato il procuratore generale Perla Lori spiegando che la sentenza della corte di assise di appello di Torino aveva ben interpretato i fatti ed era corretta. La Suprema Corte ha rigettato sia il ricorso della procura generale di Torino tendente a ottenere la celebrazione di un nuovo processo di appello per aumentare le pene ai due anarchici sia quello delle difese che avevano presentato eccezioni di incostituzionalità. Anche le difese puntavano a celebrare un altro appello per ottenere riduzioni di pena.

    Si chiude così la vicenda dei pacchi bomba di Fossano del 2006 nei pressi della scuola carabinieri che non provocarono morti e nemmeno feriti. La procura generale di Torino si era battuta per l’ergastolo a Cospito e per una condanna a 27 anni per Beniamino spiegando che solo per un caso non c’erano state vittime.

    Cospito è detenuto nel carcere di Sassari Bancali sottoposto al regime del 41bis ed era stato protagonista di un lungo sciopero della fame proprio perché protestare contro il carcere duro. Anna Beniamino reclusa a Rebibbia aveva interrotto invece il digiuno per ragioni di salute.

    Durante l’udienza in Cassazione c’era stato un presidio degli anarchici in solidarietà con Cospito e Beniamino. Su uno striscione la scritta “Fuori Alfredo dal 41bis” e su un altro “Con Alfredo Cospito per la solidarietà internazionale”. La notte precedente tre cassonetti venivano messi in mezzo alla strada in zona Tuscolano e dati alle fiamme con tentativi di appiccare il fuoco a un postamat e di sfondare la entrata di una banca. Sui muri sono state trovate scritte legate ad ambienti anarchici. Gli inquirenti seguono la pista delle proteste contro il 41bis che si svolgono spesso in coincidenza delle scadenze processuali di Cospito.

    Nei giorni scorsi a Torino erano state emesse diverse misure cautelari tra arresti domiciliari e obblighi di dimora e di firma in relazione agli incidenti del 4 marzo 2023 durante una manifestazione di solidarietà con Cospito.

    Cospito aveva di recente dal tribunale di sorveglianza ottenuto la possibilità di disporre di un Cd per ascoltare musica nel carcere di Sassari ma non ne dispone ancora perché i vertici della prigione sostengono di non riuscire a reperire un lettore di Cd. I suoi avvocati inoltre hanno presentato reclamo contro il trattenimento di alcune missive dirette all’anarchico per decisione prese a Sassari e dalla corte di asse di appello di Torino.
    Insomma alla vigilia del 25 aprile trionfa il fascismo dell’epoca moderna con la tortura del 41bis. Ora c’è pure il timbro della Cassazione.
    (frank cimini)

  • Pista anarchica eterna, arresti per corteo pro-Cospito

    La pista anarchica è eterna. A Torino sono state emesse 18 misure cautelari tra arresti domiciliari e obblighi di dimora in relazione alla manifestazione a favore di Alfredo Cospito allora impegnato in un lunghissimo sciopero della fame. Gli indagati sono 75, le accuse vanno dal danneggiamento all’istigaziine a delinquere alle lesioni aggravate a pubblico ufficiale. La manifestazione è quella del 4 marzo del 2023.

    Tra le persone raggiunte dalla misura degli arresti domiciliari c’è Pasquale Valitutti detto Lello figura storica del movimento anarchico solitamente in testa ai cortei a bordo della carrozzina sulla quale è costretto per disabilità. Valitutti è l’indagato più citato nell’ordinanza emessa dal gip Valentina Giuditta Soria che ha rigettato la misura dell’arresto in carcere chiesta dalla procura per diversi indagati.

    Pasquale Valitutti era in questura a Milano la notte tra il 14 e il 15 dicembre del 1969 accanto alla stanza del quarto piano dove veniva interrogato Giuseppe Pinelli poi volato giù in circostanze che formalmente la magistratura non ha mai chiarito. Valitutti da testimone ha sempre detto che il commissario Luigi Calabresi non si allontanò mai dalla stanza dell’interrogatorio di Pinelli, fermato e trattenuto illegalmente per tre giorni in relazione alle indagini sulla strage di Piazza Fontana.

    Secondo l’accusa nella manifestazione del 4 marzo 2023 “è stata evidenziata una organizzazione militare dell’area insurrezionalista con una precisa ripartizione di ruoli, con una copertura di un nucleo centrale che si rendeva responsabile delle azioni violente e poi con una copertura circolare che garantiva impunità”.

    L’operazione fa registrare l’esultanza del sottosegretario alla Giustizia Andrea Del Mastro perché “viene ribadito che la galassia anarchica è delinquenza. Cagionare 630mila euro di danni, manifestare con mazze e bombe carta non è libertà di pensiero ma illegalità diffusa che deve essere fermata anche con il carcere duro per l’ispiratore Cospito”.

    Del Mastro è sotto processo a Roma per violazione di segreto perché rivelò al collega deputato Giovanni Donzelli notizie e dettagli sulla detenzione di Cospito. Per Del Mastro la manifestazione fu colpa dell’anarchico al 41bis. Domani è fissata la Cassazione per i pacchi bomba di Fossano che in appello portarono alla condanna a 23 anni. Insomma Del Mastro prepara l’udienza. Secondo un avvocato difensore invece gli arresti di ieri sembrano voler impedire al maggior numero di anarchici possibile la partecipazione al corteo del primo maggio.
    Secondo l’avvocato Claudio Novaro difensore di molti indagati “A fronte della richiesta da parte dei PM di 22 arresti domiciliari, 10 custodie cautelari in carcere e 13 misure non custodiali, il Gip ha disposto tre arresti domiciliari e 15 misure non custodiali, operando un notevole filtro rispetto alle domande cautelari iniziali.
    Ciò che stupisce è che per le condotte addebitate a ciascun indagato, nessuna delle quali riguarda quei fatti materiali che la Polizia aveva definito di devastazione e saccheggio, sia rimasta inalterata tale qualificazione giuridica, che appare, obiettivamente, sproporzionata e scarsamente in sintonia con i diversi profili di responsabilità individuale indicati nell’ordinanza applicativa”.
    (frank cimini)

  • Mattarella per Ilaria? Per ora contro Meloni poi si vedrà

    La telefonata del Presidente della Repubblica all’ingegner Roberto Salis per esprimergli solidarietà almeno al momento può tranquillamente essere rubricata come una iniziative contro la premier Giorgia Meloni nell’ambito della disputa sul premierato. Se la telefonata può portare beneficio alla situazione di Ilaria Salis lo scopriremo soltanto in seguito ma appare più che lecito nutrire dei dubbi considerando i ristrettì quasi inesistenti margini di azione di cui dispone formalmente il Capo dello Stato che del resto non ha mancato di accennarvi.
    Tutto ciò va considerato insieme al niente o quasi che il governo ha fatto pur essendo a conoscenza del caso ben prima che ne parlassero i giornali e intervenissero le telecamere del Tg3.
    La sensazione è che all’interno del potere tra le cosiddette istituzioni e i loro personaggi vi sia un regolamento di conti anche sulla pelle di una ragazza detenuta in violazione del diritto e dei suoi diritti.
    Non è la prima volta che accade e sicuramente non sarà neanche l’ultima. Anche perché giusto di recente era accaduto per il caso di Alfredo Cospito. Una guerra tra i partiti sulla pelle di un anarchico detenuto e torturato al 41bis dove il sottosegretario Andrea Del Mastro aveva spifferato dettagli riservati al collega di partito Giovanni Donzelli per mettere in difficoltà una delegazione di parlamentari del Pd in visita al carcere di Sassari Bancali.
    Del Mastro è finito sotto processo per violazione del segreto d’ufficio e gli esponenti del Pd hanno chiesto di costituirsi parte civile. Il Tribunale deciderà domani sulla richiesta di costituzione. Dei destini degli anarchici agli uomini del potere storicamente interessa sempre poco. Questo emerge dai casi di Ilaria Salis e Alfredo Cospito. Intanto la pista anarchica è eterna con inchieste disseminate in diverse procure basate sul niente o quasi e dove a operare sono soprattutto magistrati collegati alla “sinistra” a caccia di fantasmi e uffici Digos disoccupati per mancanza di materia prima in un’epoca di repressione senza sovversione.
    (frank cimini)

  • Morto avvocato Piscopo un pezzo della storia anni ‘70

    Stamattina è morto l’avvocato Francesco Piscopo, un pezzo della storia degli anni ‘70, un fiero oppositore dei processi e delle leggi di emergenza. Aveva difeso molti arrestati e imputati insieme ad altri colleghi. Chi scrive queste poche righe ricorda della sua figura il senso dell’umorismo e dell’ironia.
    Parafrasando le requisitorie e le ordinanze dei magistrati diceva in occasione degli avvocati arrestati come “complici dei terroristi” che “se l’avvocato non viene pagato dai clienti è perché fa parte della banda. E se prende la parcella? “Sono soldi frutto di rapine e attività illecite quindi se ne deduce che è colpevole, l’avvocato c’entra sempre”.
    E ancora: “È quando sembra le prove non vi siano che in realtà ci sono. Se ci sono se ne può discutere”.
    Francesco Piscopo raccontava degli interrogatori di Toni Negri davanti al pm Pietro Calogero. “Gli davo gran calci sotto il tavolo per costringerlo a stare zitto. Perché lui tendeva a rispondere quando il magistrato tendeva a impostare una sorta di conversazione diceva lui perche’ voleva capire”.
    Piscopo interrompeva il pm: “Scusi dottore se dobbiamo conversare tolga le manette al professore e andiamo al ristorante”. Piscopo intanto continuava a dare calci “perché Negri era convinto di convincere il magistrato che lui non c’entrava. Impresa impossibile. Non aveva davanti un magistrato ma un avversario politico. E lo sapeva benissimo ma era portato a rimuovere perché presumeva molto da se stesso”.
    (frank cimini)

  • Cospito, Cassazione: la tortura del 41bis deve continuare

    La tortura deve continuare. La corte di Cassazione ha rigettato perché inammissibile il ricorso per la revoca del 41bis presentato dagli avvocati di Alfredo Cospito, l’anarchico detenuto nel carcere di Sassari Bancali dove sta scontando la condanna a 23 anni di reclusione per i pacchi bomba di Fossano davanti alla scuola dei carabinieri che non provocarono morti e nemmeno feriti.

    La Cassazione ha condannato Cospito a una multa di 3000 euro a favore della cassa delle ammende come è prassi nei casi di ricorsi rigettati.

    In pratica è stata confermata la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma, unico giudice in tutto il paese a decidere sull’articolo 41bis, dove a livello di motivazione si diceva che Cospito è ancora più pericoloso perché il lunghissimo sciopero della fame per protestare contro il carcere duro ne ha aumentato il carisma soprattutto nella considerazione degli anarchici e di chi lo sostiene all’esterno della prigione.

    Il Tribunale di Sorveglianza non aveva tenuto in alcuna considerazione il parere della direzione nazionale antimafia e antiterrorismo che aveva sostenuto la scelta di revocare l’articolo 41bis a favore dell’alta sorveglianza il regime appena un gradino sotto mantenendo la censura sulla posta.

    Insomma almeno per il momento non sembrano esserci vie di uscita. Al di là del fatto che la difesa aspetta la fissazione dell’udienza davanti alla Cedu, la corte europea dei diritti dell’uomo, ma si tratta in ogni caso di un percorso dai tempi non certamente brevi.

    Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari esulta per la decisione della Cassazione dicendo: “Benissimo, Cospito deve rimanere in carcere a scontare la sua pena al 41bis. Niente sconti o premi per i nemici dello Stato”

    Replica l’avvocato Flavio Rossi Albertini: “Lèggendo il commento del sottosegretario sorge il fondato sospetto che la vicenda Cospito sia statata profondamente influenzata dalla politica”. E su questo non sembrano esserci dubbi dal momento che in riferimento al processo al sottosegretario Andrea Del Mastro per violazione del segreto d’ufficio in merito alla carcerazione e di Cospito i partiti con il Pd che chiede di essere parte civile regolano i loro conti sulla pelle di un anarchico torturato.

    In questa vicenda il vero irriducibile appare lo Stato sempre pronto a perpetuare l’emergenza in un quadro di repressione senza sovversione. Una sorta di ultimo giapponese che ha evocato gli anni di piombo persino per un ragazzino che ha mimato la pistola P38 in Senato in direzione di Giorgia Meloni.

    (frank cimini)

  • L’Ungheria grida come Bracardi: “In galera!!!”

    Per i giudici ungheresi la soluzione è una sola, la galera. Lo hanno scritto in risposta alla corte di appello di Milano che chiedeva se fosse possibile sostituire il mandato di arresto europeo per L’anarchico Gabriele Marchesi con gli arresti domiciliari in Italia. Ma il discorso vale ovviamente anche per Ilaria Salis. Infatti i giudici magiari scrivono che Marchesi e Salis fanno parte della stessa “organizzazione criminale”.
    Da Budapest insistono sul pericolo di fuga, dicono che Marchesi agli arresti domiciliari scapperebbe anche se sta a casa da mesi e non è scappato. Non c’è peggior sordo di chi buon vuol sentire.
    Dice l’avvocato Eugenio Losco: “Si continua ad insistere in termini del tutto astratti sul rischio di fuga e l’impossibilità di applicare una misura diversa dal carcere. Sono considerazioni che non tengono in alcun conto il fatto che Gabriele Marchesi abbia rispettato gli arresti domiciliari cui è sottoposto da oltre tre mesi essendo già pienamente consapevole delle contestazioni ungheresi e del rischio di una pena fino a 24 anni. Proprio per questo la Corte di Appello di Miliano aveva chiesto alle autorità ungheresi perché le esigenze cautelari non potessero essere soddisfatte continuando ad applicare gli arresti domiciliari in Italia conformemente alla decisione quadro 829/2009. Incomprensibile poi come si possa affermare che non sia noto il suo domicilio in Italia visto che è stato trovato e tuttora si trova agli arresti domiciliari proprio nel luogo indicato nel mandato di arresto ungherese”.
    Se questa è la situazione non sembra avere probabilità di successo la richiesta di arresti domiciliari in Ungheria che sarà presentata in udienza il prossimo 28 marzo per Ilaria Salis. Il 28 marzo è anche la data della prossima udienza per Gabriele Marchesi. La corte deve decidere se estradarlo o meno e dovrà valutare la risposta arrivata da Budapest che in pratica è la replica del famoso grido di Bracardi “in galera in galera!!”che però aveva almeno il pregio di far ridere.
    Con un eventuale no all’estradizione di Marchesi la magistratura ungherese si sfogherebbe ulteriormente su Ilaria Salis e i rapporti con l’Italia si irrigidirebbero in maniera significativa. Anche se il molto presunto lavorio diplomatico dell’Italia con il governo di Orban non pare destinato a modificare in meglio la situazione. Al massimo a sto punto le toglierebbero il guinzaglio e le catene ai piedi in aula lasciando solo le manette.
    Intanto c’è un altro anarchico italiano coinvolto negli stessi fatti del 23 febbraio dell’anno scorso a Budapest che rischia di essere estradato. Era stato fermato in Finlandia dove i giudici non hanno ancora deciso cosa fare.
    (frank cimini)

  • Yaeesh non estradabile a tenerlo dentro ci pensiamo noi

    La corte di appello dell’Aquila dice che non vi sono le condizioni per estradare Anan Yaeesh in Israele perché rischierebbe di essere sottoposto a trattamenti disumani crudeli e degradanti ma il vero motivo per cui il giovane attivista palestinese non viene consegnato a Telaviv è quello dell’indagine che lo riguarda centrata sugli stessi fatti per i quali era stata chiesta l’estradizione.

    Parliamo dell’operazione che ha portato in carcere con la firma del gip aquilano Anan Yaeesh e altri due palestinesi con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale, quella che nel corso di un presidio di solidarietà è stata definita “una bolla mediatica”. Insomma non potevano consegnarlo perché rischiava di essere torturato e lo hanno arrestato.

    Il rischio della tortura e della violazioni dei diritti umani la corte di appello lo ammette dando credibilità alle relazioni depositate dall’avvocato Flavio Rossi Albertini che provengono da organizzazioni non governative ritenute affidabili sul piano internazionale quali Amnesty Internationale Humans Right Watch “che ben possono essere utilizzate ai fini della verifica della condizione ostativa all’estradizione.

    In queste relazioni, ricorda la corte di appello, si fa riferimento a condizioni di detenzione penose per i cittadini palestinesi, caratterizzate sovraffollamento, violenze fisiche, condizioni di scarsa igiene e di mancata assistenza sanitaria u,teriorme te peggiorate in concomitanza con il conflitto in corso”.
    In buona sostanza non potendo per ragioni di immagine della democratura italiana spedirlo in Israele “ci pensiamo noi a tenerlo in vinculi. In questo modo la procura di Telaviv sarà soddisfatta del comportamento della sua sezione distaccata a L’Aquila,
    frank cimini

  • L’Aquila sezione distaccata della procura di Telaviv

    Evidentemente gli apparati antiterrorismo italiani e israeliani non erano sicuri dell’estradizione di Anan Yaeesh di cui si discuterà in relazione alla custodia in carcere in udienza domani alla corte di appello dell’Aquila. E quindi al mandato di arresto emesso da Telaviv del quale è stata chiesta la revoca da parte dell’avvocato Flavio Rossi Albertini se n’è aggiunto un altro firmato dal gip del capoluogo abruzzese con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale che riguarda anche altri due palestinesi.
    I tre avrebbero fatto operazioni di proselitismo e sarebbero stati pronti a compiere attentati anche suicidari. Questo riportano le agenzie di stampa e i siti online dei giornali insieme a dichiarazioni di politici entusiasti del blitz a cominciare dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
    Pare di capire che l’estradizione di un cittadino palestinese verso Israele che è un paese in guerra sarebbe complicata. Di qui la decisione di arrrestsrlo per decisione della magistratura italiana. In questo modo c’è la sicurezza di tenerlo in galera e di non doverlo liberare in caso di un rigetto della richiesta di consegnarlo a Israele.
    Le indagini il condizionale è più che mai d’obbligoavrebbero accertato la costituzione di una struttura operativa militare denominata “Gruppo di risposta rapida – Brugate Tulkarem articolazione delle Brigate dei Martiti di Al – Aqsa che si propone il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo anche contro uno stato estero.
    Per gli avvocati della difesa ci sarebbe il rischio concreto ed effettivo che Yaeesh venga sottoposto a trattamenti inumani e degradanti contesa la tortura.
    (frank cimini)

  • È ai domiciliari ma per seguire udienza va in galera

    Premetto che in quasi mezzo secolo di cronaca giudiziaria non avevo mai visto e sentito una cosa del genere. Siamo al Tribunale Massa al processo contro un gruppo di anarchici accusati di istigazione a delinquere, apologia di reato aggravate da finalità terroristiche offese all’onorevole e al prestigio del presidente della Repubblica. Il processo è stato chiamato “scripta scelera” in relazione alla rivista “Bez Motivny” chiusa ormai da tempo per mancanza di fondi
    L’imputato Luigi Palli sta agli arresti domiciliari a Faenza ma non viene autorizzato a essere presente in aula di persona. Se vuole seguire udienza deve presentarsi al carcere della Dozza a Bologna e farlo per videoconferenza.
    Pare che non si riescadavvero a scacciare il convitato di pietra dell’associazione terroristica da questoprcesso. Il motivo sarebbe “l’esplosiva” (aggettivo utilizzato dal giudice) situazione derivante dalla presenza di quell’imputato e del pubblico in aula.
    Palli non c’è. Ma poi quando l’udienza inizia effettivamente nel pomeriggio il giudice monocratico si rimangia la decisione precedente cambia idea e dispone la presenza dell’imputato Palli per la prossima udienza, purché, aggiunge non gli arrivino poi note di polizia negative. Cioè il giudice tratta gli imputati e gli avvocati oltre che il pubblico come scolaretti. “Dovete fare i bravi, se no, sono guai”.
    In aula sono presenti la procura antiterrorismo di Genova e l’avvocato dello Stato per il risarcimento danni al presidente della Repubblica. Insomna un classico processo emergenziale nell’anno di grazia 2024.
    (frank cimini)€

  • La spia Rovelli: do ut des con il commissario Calabresi

    “Conoscevo Calabresi perché era vicedirigente della Digos e seguiva gli anarchici. Per aprire un locale servivano i permessi, diciamo che fu una sorta di scambio. Tu mi dai delle informazi9ni, io ti faccio avere le licenze”. Enrico Rovelli ex manager di rockstar e organizzatore di eventi musicali festeggia i suoi 80 anni con una compiacente (eufemismo) intervista al Corriere della Sera.
    Rovelli afferma di essere ancora anarchico anche se in pratica smentito dalle sue stesse parole con cui ricostruisce il ruolo che ebbe ai tempi della strage di piazza Fontana e della morte per defenestramento di Pino Pinelli.
    “Di notizie importanti non ne ho mai date, se lo avessi fatto non sarei qui a raccontarlo – spiega in un colloquio col giornalista per dire e non dire – nell’area anarchica milanese eravamo in due a tenere i rapporti con Calabresi, io e Pino Pinelli. Pino aveva un rapporto speciale con Calabresi, ogni Natale si regalavano un libro”.
    Gabriele Fuga avvocato anarchico autore insieme a Enrico Maltini di “La finestra è ancora aperta” sulla morte di Pinelli tiene a precisare: “È gravemente offensivo per Pinelli e la sua famiglia l’accostamento quasi in ‘simbiosi’ che fa con Pino in merito alla fondazione del circolo del Ponte della Ghisolfa e rapporti con Calabresi. Lui Rovelli dava informazi9ni e Pino… libri”.
    Poi Gabriele Fuga aggiunge: “Si sono dimenticati Rovelli e soprattutto il suo intervistatore di Anna Bolena (nome d’arte di Rovelli n.d.r.) che era al servizio di Federico Umberto D’Amato, responsabile dell’ufficio affari riservati”.
    D’Amato, noto anche per una rubrica culinaria sul settimanale L’Espresso, fu uno dei personaggi chiave nella storia della strategia della tensione. Anna Bolena era il nome in codice nei rapporti con i servizi segreti che ebbero un ruolo importante sul quale la magistratura non indagò nel nascondere la verità sulla fine di Pinelli. Via Fatebenefratelli sede della questura vide un via vai di 007 arrivati da Roma subito dopo che Pinelli volo’ dal quarto piano.
    Le parole di Rovelli sono significative del modo in cui Luigi Calabresi faceva il commissario, scambiava permessi quantomeno in violazione dei doveri di ufficio in cambio di informazioni sugli anarchici che Rovelli adesso a 80 anni punta a ridimensionare ma sulle quali non sapremo mai la verità.
    È una intervista da leggere soprattutto per chi santifica Calabresi che quella notte famosa era il più alto in grado a contatto con l’interrogatorio dell’anarchico e l’ufficio dove si svolgeva era il suo. È da lì secondo la testimonianza di Lello Valitutti in questura anche lui perché fermato Calabresi non si mosse. Anche se il dettaglio non è importante. Il ruolo recitato per nascondere la verità appare fuori discussione. Al di là della sentenza creativa sul malore attivo con cui la magistratura se ne lavava le mani.
    (frank cimini)

  • L’antiterrorismo militante processa le Br 50 anni dopo

    In questo paese esiste una struttura di antiterrorismo militante di cui fanno sicuramente parte i pm di Torino che hanno chiuso le indagini sui fatti del 5 giugno 1975 a Casina Spiotta nell’Alessandrino quando venne uccisa Mara Cagol durante la liberazione dell’imprenditore Vallsrino Gancia.
    La procura vuole processare Renato Curcio, Mario Moretti, Lauro Azzolini e Pierluigi Zuffada per l’omicidio del brigadiere Giovanni d’Alfonso. Per la procura avrebbero avuto ruoli diversi, tra il sequestro dell’imprenditore e il conflitto a fuoco. Azzolini risponde per l’omicidio D’Alfonso. Moretti e Curcio avrebbero avuto un ruolo di concorso nell’organizzazione del sequestro di Gancia. Le impronte di Zuffada oltre a quelle di Azzolini sarebbero state trovate nella relazione in cui si spiegavano le fasi del blitz. Giusto per le famose impronte era stato condannato, l’unico. Massimo Maraschi.
    L’indagine era stata riaperta dopo un esposto presentato dagli eredi di D’Alfonso. In precedenza era stata archiviata. Questa sentenza venne revocata nonostante pm e gip non avessero potuto leggerla perché una alluvione l’aveva portata via. E in questo modo arriviamo adesso alla chiusura dell’indagine nuova che prelude alla richiesta di processo.
    Ovviamente nel corso degli anni mai si è tentato di accertare se Mara Cagol fosse stata “finita” con un colpo di grazia mentre era a terra inerme.
    La giustizia su quegli anni va in una sola direzione. Del resto la storia la raccontano i vincitori e i vinti non hanno diritto di parola. Si tratta della famosa memoria condivisa, appunto la verità raccontata da chi prevalse con i “pentiti”, le leggi speciali, la tortura a conclusione di un durissimo scontro sociale e politico sfociato in una guerra civile a bassa intensità e nemmeno troppo bassa.
    L’avvocato Davide Steccanella difensore di Azzolini e Zuffada si limita a commentare: “Voglio sapere se in Italia è possibile revocare una sentenza di proscioglimento senza averla letta. È questa l’eccezione che riproporrò nel corso del procedimento dopo che la Cassazione l’aveva definita intempestiva”.
    Curcio interrogato mesi fa come indagato aveva chiesto di essere illuminato sulla morte di sua moglie Mara. Il magistrato promise che si sarebbero messi in moto. Parole al vento.
    (frank cimini)

  • Cospito in Cassazione contro tribunale e ministro Nordio

    Il prossimo 19 marzo la Cassazione dovrà decidere sul ricorso di Alfredo Cospito per ottenere la revoca del 41bis impugnando la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma che lo aveva confermato e la scelta del ministro Carlo Nordio di non rispondere all’istanza della difesa
    Nel ricorso l’avvocato Flavio Rossi Albertini evidenzia che in una vicenda caratterizzata da un profondo ostruzionismo governativo di natura politica attribuire la decisione al ministro che fa parte del governo crea il rischio molto concreto che la scelta sia influenzata da considerazioni che esulano dall’aspetto giuridico in relazione in particolare alla capacità del detenuto di orientare le condotte criminali dei sodali all’esterno.
    Il legale avverte il rischio che vengano strumentalizzate a fini politici vicende individuali che dovrebbero essere oggetto di valutazioni strettamente giuridiche sulla sussistenza dei presupposti applicativi del regime differenziato.
    Nel ricorso si ricorda che il Tribunale di Sorveglianza non aveva tenuto in considerazione il parere contrario alla proroga del 41bis da parte della Direzione nazionale antiterrorismo a favore di scegliere il regime di alta sorveglianza mantenendo la censura sulla posta.
    La pericolosità di Cospito sarebbe diminuita secondo l’organo che si occupa di fronteggiare il fenomeno. Una tesi sposata dalla difesa ma che a ottobre scorso davanti al Tribunale di Sorveglianza era stata rigettata.
    Cospito sarebbe compatibile con un circuito di detenzione ordinario senza i rigori del 41bis. Purtroppo da parte dei giudici chiamati a decidere c’è la convinzione espressamente esplicitata che con il lungo sciopero della fame dell’anno scorso Cospito avrebbe aumentato il suo carisma e di conseguenza la sua pericolosità.
    (frank cimini)

  • Torino, processo su una canzone per Alfredo Cospito

    “Perché registravano e diffondevano anche attraverso il canale You Tube una canzone dal titolo Genova era in fiore nel corso della quale facevano apologia dell’attentato terroristico commesso in danno di Roberto Adinolfiamministratore di Ansaldo Nucleare per il quale Cospito Alfredo e Gai Nicola sono stati condannati in via definitiva”. C’è anche questo nel capo di imputazione a conclusione delle indagini condotte dal pm Paolo Scafi su una serie di manifestazioni in solidarietà con Cospito.
    C’è pure un volantino distribuito durante la celebrazione della messa nella chiesa Gran Madre di Dio. “Portiamo la nostra solidarietà a chi è rinchiuso e a chi lotta dentro e fuori le carceri, libertà per tutti e tutte contro la tortura”.
    Imbrattamenti, lesioni personali nel corso di una manifestazione, apologia di reato e istigazione a delinquere contestati a 17 indagati. Sotto accusa c’è non solo a Torino ma anche in altre città la solidarietà per Alfredo Cospito protagonista di un lunghissimo sciopero della fame tuttora ristretto in regime di 41bis nel carcere di Sassari Bancali. Lo sciopero della fame secondo gli inquirenti e il Tribunale di Sorvegkianza di Roma, unica autorità a decidere in Italia sui reclami contro il 41bis ha reso l’anarchico ancora più pericoloso perché ha aumentato il suo carisma.
    E a pagarne le conseguenze sono gli anarchici e gli antagonisti che protestano contro il carcere duro. Il volantino di solidarietà e il tentativo di esibire uno striscione fermato da un fedele durante la messa diventano prova di sovversione. Lo stesso discorso vale per l’imbrattamebto dei muri dell’immobile della sede Rai e dell’opera in ferro denominata “Sinfonia”, tirando palloncini colorati e secchi di vernice.
    Per tutto questo sarà celebrato un processo perché Digos e investigatori antiterrorismo in divisa e in toga sono da tempo disoccupati per mancanza di una materia prima adeguata. Insomma Cospito, nemico pubblico numero uno, con annessi e connessi è una formidabile occasione di lavoro per chi evidentemente rimpiange di non esserci stato negli anni 70 a reprimere un fenomeno storico.
    (frank cimini)

  • Salis, governo per un anno complice ora vanta “meriti”

    I giudici ungheresi hanno anticipato dal 24 maggio al 28 marzo la ripresa del processo a Ilaria Salis che intanto ha comunicato all’ambasciatore italiano il miglioramento delle condizioni di detenzione. Esumta il ministro degli Esteri Antonio Tajani, mentre quello della giustizia Carlo Nordio accusa i familiari della ragazza e gli avvocati di aver perso un anno di tempo avendo deciso solo ora di presentare l’istanza di arresti domiciliari a Budapest.

    Insomma il governo di Roma dopo aver fatto nulla per un anno, a conoscenza per forza di cose dall’ambasciata che Ilaria Salis veniva trascinata in tribunale incatenata a mani e piedi, col guinzaglio adesso si prende tutti i meriti di una situazione che starebbe per evolvere in positivo.

    Il condizionale è più che mai d’obbligo perché di concreto non c’è stato ancora niente. E la strada per chiedere i domiciliari a Budapest resta tutta in salita: bisogna versare una cauzione di 51 mila euro, trovare una casa in città che risponda a determinate esigenze di sicurezza.

    Tajani sottolinea che il miglioramento delle condizioni della reclusa “è stato ottenuto lavorando con discrezione e senza polemiche. Abbiamo sollecitato un processo equo e rapido tutelando i diritti della detenuta”.

    Debora Serracchiani del Pd polemizza con il ministro della Giustizia: “Il conferenziere Nordio non solo è rimasto muto e fermo per un anno ma adesso oltre al danno aggiunge le beffe attribuendo la responsabilità della detenzione di Ilaria Salis ai suoi familiari. Spero che ne sia consapevole altrimenti saremmo di fronte a un caso di cinismo senza precedenti. Siamo al paradosso anche con i vanti di Tajani ma questa è l’Italia della premier Meloni”.

    Intanto bisognerà vedere gli sviluppi del caso di Gabriele Marchesi e aspettare la risposta dei giudici di Budapest ai colleghi di Milano che hanno chiesto se è possibile sostituire il mandato di cattura europeo con gli arresti domiciliari in Italia. Difficilmente accetteranno tale eventualità per non creare contraddizioni con il caso Salis. Insomma almeno per adesso c’è poco da essere ottimisti.
    (frank cimini)

  • Pm contro pm. Non c’è pace in procura a Milano

    Non c’è pace per la procura di Milano dove va in scena l’ennesima puntata della saga “pm contro pm”. Il sostituto procuratore Rosaria Stagnaro ha chiesto di lasciare l’indagine sul caso di Alessia Pifferi la mamma che lasciò morire di fame di sete la sua bambina a causa delle presunte gravi scorrettezze subite dal collega Francesco De Tommasi che a sua insaputa aveva messo sotto intercettazione le psicologhe del carcere di San Vittore indagate per falso e favoreggiamento. Indagata anche l’avvocato Alessia Pontenani difensore di Pifferi. Avrebbero tutte favorito una perizia psichiatrica “addomesticata”, ma su questo ci sono un sacco di polemiche.

    Tocca al procuratore capo Marcello Viola decidere sulla richiesta presentata dal pm Stagnaro in una vicenda intricata destinata a lasciare il segno come già accaduto nel recente passato. Il problema è che i pm litigano tra loro, se ne dicono di tutti i colori per poi restare tutti insieme appassionatamente nello stesso ufficio.
    E’ accaduto per Paolo Storari e Fabio De Pasquale nell’ambito del processo Eni-Nigeria che si erano confrontati duramente anche nell’aula del Tribunale di Brescia dove il procuratore aggiunto è sotto processo per non aver messo a disposizione delle difese una serie di atti importanti.

    Storari aveva lamentato l’immediata mancata iscrizione tra gli indagati dell’avvocato Piero Amara e delle persone chiamate in causa in relazione alla famosa loggia Ungheria. De Pasquale avrebbe tergiversato per “tutelare” Amara considerato il testimone chiave dell’accusa nel caso Eni poi finito con l’assoluzione di tutti gli imputati.

    Storari e De Pasquale fanno ancora parte della stessa procura. Il Consiglio Superiore della Magistratura non è mai intervenuto con l’alibi dei processi penali in corso.

    In questi anni di guerre interne alla procura l’unico a essere stato fatto fuori in quattro e quattr’otto fu il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ma lì c’era da salvare la patria, vale a dire Expo 2015. Robledo voleva indagare, l’allora capo della procura Edmondo Bruti Liberati avrebbe fermato gli accertamenti dopo i primi arresti.

    Matteo Renzi da presidente del consiglio ringraziò due volte la procura di Milano “per il senso di responsabilità istituzionale dimostrato”. Furono parole molto significative su quanto accaduto. Fondi e appalti assegnati senza gare pubbliche scegliendo “aziende in rapporti di consuetudine con la pubblica amministrazione”. Una indagine aperta in relazione alle presunte omissioni fece il giro d’Italia delle procure per poi essere archiviata a Trento senza iscrivere tra gli indagati alcun magistrato.

    Via il dente via il dolore. Robledo fu trasferito a fare il giudice a Torino. Allora il Csm ritenne di intervenire. Nella vicenda ebbe il suo peso il presidente Giorgio Napolitano che ricordò come prioritarie le prerogative dei capi delle procure. Da allora per evitare contrasti il Csm quando deve nominare i procuratori aggiunti rinuncia ai suoi poteri delegando di fatto la scelta ai capi degli uffici inquirenti. E vissero tutti felici e contenti.
    (frank cimini)

  • Trojan, il gip di Napoli l’ha fatta fuori dal vaso

    Elogio del trojan. Mai più senza trojan. È questo il messaggio che arriva dal giudice per le indagini preliminari di Napoli Antonio Baldassarre che ha firmato l’ordinanza con arresti in carcere e altre misure cautelari in relazione agli appalti e alle tangenti di Pozzuoli.

    ”Il filo conduttore degli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria è stato rappresentato dalle intercettazioni telefoniche, ambientali e mediante inoculazione di captatore informatico sui telefoni cellulari di alcuni indagati. A scanso di polemica che talvolta accompagna tale tipo di indagini è bene specificare sin da subito alcuni profili – argomenta il giudice – il primo è che nel caso di specie tale scelta investigativa si è rivelata fin da subito essenziale in relazione alla tipologia di reati in questione. È evidente e di comune esperienza che le indagini di tipo tecnico costituiscono l’unico strumento realmente efficace per accertare i reati a concorso necessario e comunque basata su una inevitabile condivisione dei propositi criminalità parte di tutti i protagonisti coinvolti che procedono nella medesima direzione”.

    Il giudice insomma mette le mani avanti. Il trojan viene descritto come insostituibile. Questo nonostante diversi magistrati oltre a politici di diverso schieramento abbiano a più riprese ammesso l’eccessiva invasivita’ di tale strumento che finisce per abbracciare l’intera vita quotidiana dei soggetti coinvolti al di là degli accertamenti in corso.

    ”Gli unici soggetti che sono a conoscenza delle attività delittuose commesse e in corso sono proprio quegli stessi che dei reati si giovano e ne percepisco i i profitti – continua il gip – Gli accordi che conducono a tali fattispecie sono per loro definizione riservati se non segreti, raramente vi sono testimoni disinteressati presenti ai fatti. Le vittime dei reati si rendono conto solo con ritardo ma raramente sono in grado di offrire elementi di conoscenza specifica sull’accaduto. Quindi è giocoforza necessario vincere la mutua e indissolubile riservatezza dei concorrenti nei reati. Per farlo è necessario proprio accedere alle loro conversazioni ai discorsi alle pianificazioni e al contenuto degli incontri riservati organizzati per poter acquisire quegli elementi che altrimenti non avrebbero modo di venire all’esterno”.

    Insomma si tratta di un’ordinanza che irrompe nel dibattito politico sulla giustizia soprattutto a livello di intercettazioni orientandolo fortemente. Nel caso specifico il giudice delle indagini preliminari arriva addirittura ad affermare che vi possa essere una interpretazione alternativa delle conversazioni. Questo lo si vedrà in seguito. Ma l’ordinanza a resta singolarmente esplicita in termini di politiche giudiziarie. Sia consentito affermare che almeno un po’ il giudice l’ha fatta fuori dal vaso.
    (frank cimini)

  • A Report la mafia a tre teste che in realtà non esiste

    A Milano ci sarebbe una mafia a tre teste con la santa alleanza tra Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta utilizzando il capoluogo lombardo e zone limitrofe come una sorta di “laboratorio”. Era la tesi della procura che il giudice delle indagini preliminari Tommaso Pena nel novembre scorso aveva bocciato rigettando 140 richieste di misure cautelari su 154 (una sorta di record probabilmente non solo italiano) per associazione mafiosa.

    Se questa prospettazione ritenuta infondata abbiamo visto l’altro ieri sera su RaiTre nella trasmissione Report un’intera puntata come se invece fosse tutto vero. La decisione del gip è stata ricordata solo con un brevissimo accenno di poche parole per dedicare tutto lo spazio alla “straordinaria scoperta fatta dai carabinieri e dalla procura”.

    Sigfrido Ranucci non ha avuto neanche la bontà di ricordare che la procura di Milano pur avendo presentato ricorso al Tribunale del Riesame contro la decisione del gip Perna ha limitato l’impugnazione alla posizione di 70 indagati la metà di quanti voleva sanzionare origine. Insomma anche da parte dell’organo dell’accusa c’è stata l’ammissione di un flop quantomeno parziale. In attesa dell’appuntamento del Riesame che non è stato ancora fissato.

    Report si comporta come se il network criminale fosse stato ritenuto consolidato. Nel ricorso la procura accusava il gip di aver fatto “copia e incolla” con il parere di un avvocato espresso in tutt’atra circostanza fuori dall’inchiesta. Il gip avrebbe ignorato e smentito “le più eterogenee evidenze investigative processuali dell’ultimo ventennio”.
    I giornali solitamente a sostegno della procura operavano un massacro mediatico del giudice. Doveva intervenire il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia con un comunicato per sottolineare che il controllo del gip lunghi dall’essere classificato come una patologia evidenzia il principio dell’autonomia della valutazione giurisprudenziale”.

    Ma di tutto questo nella puntata di Report non si parla. E in questa vicenda è stato del tutto assente il Csm sempre pronto ad aprire pratiche a tutela quando i magistrati vengono criticati dai politici. Ma quando ricevono attacchi dai colleghi e dai giornali va tutto bene.

    Report insomma si ripete. Non ha mai preso atto che la storia della trattativa Stato-mafia era del tutto infondata secondo la Cassazione non perdendo occasione di riproporla. Come del resto non tiene conto degli esiti processuali del caso Moro di e si esclude che le Brigate Rosse fossero state eterodirette e avessero avuto complici occulti.
    (frank cimini)

  • Il giudice “un po’ confuso” tifa Borrelli e Toni Negri

    Come minimo deve avere un po’ di confusione in testa Marcello Degni il giudice della corte dei Conti che sui social critica l’opposizione per non aver costretto il governo di centrodestra all’esercizio provvisorio e che ora rischia sanzioni da parte dei colleghi.

    Nelle sue esternazioni da un lato evoca Francesco Saverio Borrelli che alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario nel gennaio del 2002 pronunciò il famoso triplice “resistere” con riferimento al governo Berlusconi e dall’altro lato posta elogiando la prima pagina del Manifesto in morte di Toni Negri “maestro attivo”. Poi cita il filosofo padovano sul “comunismo come manifestazione gioiosa collettiva etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà dei confini e della politica”.

    Per Degni Toni Negri è un intellettuale raffinatissimo. La contraddizione nell’elogiare sia Borrelli sia Negri. Il carceriere e il carcerato si potrebbe osservare, ricordando per esempio che Borrelli da giudice condannava per terrorismo senza prove “perché non poteva non sapere considerando la sua statura intellettuale” l’avvocato comunista Sergio Spazzali.

    Il comportamento del giudice Degni ricorda l’indicazione di voto che diede Rossana Rossanda alle elezioni del 1984, “Toni Negri alla Camera e Pci al Senato”. In quel caso la contraddizione era ancora più evidente perché eravamo nel pieno delle polemiche sul caso “7 aprile” con il pm Piero Calogero che aveva preparato i testimoni nei locali della federazione padovana del partito comunista italiano.

    Ancora Degni dice che quando passa in via Fatebenefratelli pensa sempre a Pinelli voltato dalla finestra, alla ballata che recita “Calabresi e Guida assassini che un compagno avete ammazzato quella lotta non avete fermato la vendetta più dura sarà”.

    Impossibile non domandarsi se questo giudice più che maggiorenne e vaccinato ormai alla soglia della pensione si renda conto della confusione che fa sulla storia politica del paese nel tentare di mantenere insieme i suoi miti.

    Con le sue esternazioni di oggi è ancora di più con quelle passate che riemergono riesce a togliere dall’imbarazzo (eufemismo al massimo grado) il governo per il “botto” di Capodanno nel biellese. Insomma il giudice Marcello Degni avrebbe bisogno di riflettere, di studiare, di informarsi e soprattutto di pensare a quello che dice perché non se la può certo cavare spiegando che quanto afferma sui social sarebbero pensieri personali i quali non c’entrano con l’attività di giudice. La toppa è peggio del buco.
    (frank cimini)

  • Moro, le bufale senza fine. Domenica su Report

    “Aldo Moro non può essere stato ucciso in via Montalcini e poi portato in via Caetani”. Questo dice Ilaria Moroni, direttrice dell’archivio Flamigni, nella puntata di Report che andrà in onda domenica prossima 7 gennaio di cui è stato anticipato il contenuto in un trailer che riguarda la presentazione del libro scritto dall’ex ministro Vincenzo Scotti e dall’economista Romano Benini sulla politica di Aldo Moro.

    ”Sorvegliata speciale” è il titolo. “Le reti di collegamento della Prima Repubblica” il sottotitolo del pomo che racconta l’avversione degli Stati Uniti e soprattutto di Henry Kissinger per la politica di Moro. Scotti spiega che il segretario di Stato americano era nettamente contrario a che Moro assumesse responsabilità specialmente in relazione a Israele e Medio Oriente. Cose trite e ritrite sulle quali si discute da ormai mezzo secolo ma che servono per riproporre tutta la dietrologia possibile e immaginabile sulla strage di Via Fani e sul caso Moro.

    Le perizie che dimostrerebbero che Moro non fu ucciso in via Montalcini di cui parla Ilaria Moroni non esistono, non hanno nulla da spartire con gli atti di ben cinque processi. Ma la dietrologia non finisce mai, le bufale continuano.

    E per la fondazione Flamigni, dal nome dell’ex senatore Sergio Flamigni che fu l’antesignano dei misteri inesistenti, le bufale sul caso Moro si sono rivelate da sempre un affare a causa della consistente mole di finanziamenti pubblici dal ministero della Cultura.

    40 mila euro il 9 gennaio del 2019, 38 mila euro il 15 aprile, 2000 euro il 15 ottobre. Vanno aggiunti 40 mila euro il 20 maggio dall’istituto centrale per gli archivi, 3491 euro il 7 agosto dall’Agenzia delle Entrate. Dal ministero 49.157 euro il 22 giugno, 8300 euro il 29 dicembre. Poi ancora altri soldi successivamente.

    Per carità tutto regolare, tutto secondo la legge. Il primo febbraio del 2021 l’archivio viene trasferito presso lo spazio Memo per gentile concessione della Regione Lazio con visita e complimenti del governatore Zingaretti.

    Dietrologia e complottismo vengono incoraggiati. Ogni 16 marzo ogni 9 maggio a dire che bisogna cercare la verità è per primo il Presidente della Repubblica e del Csm a discapito dei processi dive sono state escluse responsabilità diverse da quelle delle Brigate Rosse.

    Si tratta di esiti processuali ignorati dalle commissioni parlamentari e dalla procura di Roma che continuano la caccia alle streghe. Tra gli intervistati da Report c’è l’ex procuratore generale Luigi Ciampoli che si vanta di aver indagato lo psichiatra Steve Pieczenik inviato in Italia dal dipartimento di Stato Usa . L’accusa era di concorso nell’omicidio Moro. Non si sa che fine abbia fatto. Adesso c’è il pm Eugenio Albamonte a continuare la caccia e non ha ancora deciso cosa fare dell’inchiesta chiusa da tempo sul ricercatore indipendente Paolo Persichetti, che il gip aveva definito “indagine senza reato e chissà mai se ci sarà”.

    La sensazione è che questa dietrologia, nel paese dove la Cassazione ha appena accusato il centro sociale Askatasuna di “pensare alla lotta armata”, serva non tanto per il passato quanto per governare oggi agitando un fantasma che con la realtà attuale c’entra zero.
    (frank cimini)

  • Alcolici e vetro di Capodanno Beppe Sala sindaco sceriffo

    Ormai in nome della sicurezza, in omaggio a “law and order” si può vietare tutto o quasi, persino quello che si può comprare e consumare in determinate occasioni. L’ultimo giorno dell’anno in vista della notte di San Silvestro è l’esempio per fotografare una filosofia di governo e non ci sono differenza tra il livello nazionale e quello locale.

    A Milano sarà in vigore dalle ore 18 di domani 31 dicembre fino alle otto 8 di lunedì primo gennaio il divieto di di vendere distribuire o somministrare, anche gratuitamente, bevande in bottiglie e contenitori di vetro e lattine anche per asporto e bevande superalcoliche.

    L’ordinanza sindacale, firmata dal primo cittadino Giuseppe Sala, si rivolge a esercizi di vicinato, supermercati, attività commerciali, artigiani, pubblici esercizi, distributori automatici, commercio ambulante o con posto fisso e street food, presenti nell’are delimitata dalla circolazione del filobus 90/91 quindi ben oltre il,centro storico.

    La mescita o la vendita delle bevande ‘alla spina’ sarà consentita solo in contenitori di carta o di plastica, mentre la consumazione in vetro sarà autorizzata solo per il servizio al tavolo all’interno dei locali.

    Abbiamo riportato nel dettaglio l’ordinanza sindacale emessa da un politico che a parole si dice da sempre molto attento ai diritti che qui vengono letteralmente violati nel timore di rosse a bottigliate favorite da eccessivo ingerimento di alcolici.

    E quindi via ai divieti che comunque potranno essere aggirati facilmente dai “malintenzionati” prove dei a rifornirsi anche nei supermercati prima delle fatidiche ore 18 o pure dopo fuori dalla citata “area delimitata”.

    Non è la prima volta che accade. Ricordo che durante i mondiali di calcio di Italia 90 si arrivò al punto di vietare di ristoranti che la bottiglia di vino restasse sul tavolo durante il pranzo o la cena. Era l’oste o il cameriere a riempire i bicchieri volta per volta occultando la bottiglia alla vista e alla disponibilità dei clienti fino al prossimo giro di mescita.

    Insomma ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. I cittadini vengono trattati peggio che da sudditi. In modo aprioristico come persone non in grado di controllarsi. Ovviamente a colpi di divieti. Il sindaco di Caserta Carlo Marino anche lui del Pd ha dimostrato di non essere da meno. Stessa ordinanza.
    (frank cimini)

  • Cospito, giudici sbloccano lettera in inglese nessun rischio

    I giudici del Tribunale di Torino hanno accolto il reclamo di Alfredo Cospito contro la decisione della corte di assise di appello che aveva bloccato una lettera in inglese con un disegno a penna raffigurante diverse persone che parlavano tra loro.
    “Pur emergendo che il redattore della lettera appartiene a ambienti anarchici – scrivono i giudici- traspare che questi si limita a informarsi delle condizioni di salute di Cospito augurandosi che siano buone, a deprecare che sia stato sottoposto al regime del 41bis e a manifestargli solidarietà per il lungo sciopero della fame che aveva intrapreso”.
    “Non constano elementi concreti che la missiva e il disegno possano contenere messaggi criptici suscettibili di pregiudicare le indagini di incentivare la commissione di reati o di mettere a repentaglio la sicurezza e l’ordine dell’istituto penitenziario”.
    Alfredo Cospito è detenuto nel carcere di Sassari Bancali ed è in attesa che venga fissata l’udienza al Tribunale di Roma per discutere il ricorso contro l’applicazione del 41bis.