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  • Moro, ma quanto costa ai cittadini l’ennesima inchiesta sui “misteri”?

    In questi giorni Antonio Marini, procuratore generale facente funzione di Roma, sta interrogando tutte le persone già condannate da tempo con sentenza definitiva per il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro e della sua scorta. Siamo a 37 anni dai fatti. Ma la caccia ai misteri inesistenti e a chi c’era dietro le Br sembra proprio non demordere. In più c’è una guerra interna alla magistratura, dal momento che Marini ha ereditato l’inchiesta dal collega Luigi Ciampoli andato in pensione e dopo averlo criticato per non avergli affidato il fascicolo. Ciampoli ha chiesto l’intervento del Csm per dirimere il litigio.

    Ciampoli aveva chiesto l’archiviazione in relazione all’ormai  famosa moto Honda a bordo della quale secondo i dietrologi ci sarebbero stati appartenenti ai servizi segreti. Marini ha ottenuto dal gip la restituzione del fascicolo per continuare a indagare tra l’altro su un dettaglio in realtà già chiarito in atti nel 1998. Al momento dei fatti non c’era nessuna moto. Una moto era passata in precedenza e a bordo c’erano due militanti dell’Autonomia romana. I due erano lì per caso, furono sentiti sia pure a distanza di anni. Uno nel frattempo è pure deceduto e anche per questo Ciampoli aveva chiesto di archiviare.

    La guerra interna alla procura generale costerà ai contribuenti italiani un bel po’ di soldini e si somma sia alla smania di protagonismo dei magistrati sia alla dietrologia che sul caso Moro è già stata utilizzata da non pochi per costruire notorietà, carriere, fortune personali e addirittura seggi parlamentari. In tempi di tanto conclamata spending review non è poco.

    Bisogna aggiungere che la commissione parlamentare sulla strage di via Fani, nella sua ennesima riedizione, recentemente aveva spedito sul posto la polizia giudiziaria “per ricostruire la scena del crimine” con un laser. Sempre 37 anni dopo, ripetiamo.

    Magistrati e politici stavolta sembrano uniti nella lotta nell’ostinarsi a non voler prendere atto dei fatti nudi e crudi. Dietro le Br c’erano solo le Br, un gruppo di operai delle fabbriche del nord insieme a giovani romani, tutti comunisti. L’unicità di questa vicenda a livello mondiale sta nella circostanza che allora, 1978, altri comunisti erano in maggioranza di governo. Anche per questa ragione dietrologia e complottismo hanno avuto gioco facile nel suscitare attenzione nonostante l’assenza di riscontri sia pure minimi. Che dire? L’unica a questo punto è ricordarsi delle parole profetiche di Aldo Moro: “Il mio sangue ricadrà su di voi”. (frank cimini)

  • Inchiesta sull’acido, quando il pm scava davvero

    Di sè ha sempre detto: “Sono un contadino piemontese”. E stamattina il pm Marcello Musso lo ha dimostrato durante il sopralluogo nelle campagne a sud est di Milano, per la precisione a Viboldone, alla ricerca di un martello che sarebbe stato usato da Andrea Magnani, uno dei giovani indagati per le aggressioni con l’acido. Il pm aveva disposto che gli agenti dell’ufficio prevenzione generale della Questura e della polizia scientifica portassero “un metal detector utile per la ricerca del martello o della mazzetta che Magnani afferma di avere gettato insieme a ogni altra traccia del delitto commesso in via Carcano”. Ma, spinto dall’impetuosa energia investigativa che certo non gli fa difetto, Musso si è tirato su le maniche e ha affondato la pala nel terreno. (manuela d’alessandro –  foto per gentile concessione di franco vanni)

  • Addio all’avvocato Guiso, difese Curcio e Craxi

    Se ne va a 82 anni l’avvocato Giannino Guiso, un protagonista dei processi politici nel nostro paese, una sorta di Verges* italiano. Dai giorni drammatici del sequestro Moro quando per conto del Psi come avvocato di Renato Curcio cercò di intavolare una trattativa per salvare la vita dell’esponente democristiano fino a Mani pulite dove come legale di Craxi, insieme a Enzo Lo Giudice anche lui scomparso di recente, si scontrò duramente con il pool della procura di Milano.

    “Un giorno la storia giudicherà chi ha cercato di giudicare Craxi” furono le sue parole dopo la morte del leader socialista. Guiso tentò nelle aule giudiziarie ma anche fuori di far emergere che Craxi era il caprio espiatorio in relazione a un fenomeno come il finanziamento illecito dei partiti ben noto a un’intera classe politica ma che per decenni quasi tutti avevano finto di ignorare.

    Guiso attraversò in pratica quelle che furono insieme alla mafia le principali “emergenze” della storia italiana e che fanno sentire ancora oggi il loro peso su una amministrazione della giustizia incapace, nonostante i tanti progetti di riforma, di risolvere i suoi problemi.

    Anche in tempi recenti aveva ribadito la sua convinzione, Moro poteva essere salvato, se la politica avesse fatto in pieno il suo mestiere senza delegare interamente alla magistratura la risoluzione del problema della sovversione interna. A Guiso era chiaro che dalla madre di tutte le emergenze in poi si era ristretto il diritto di difesa e i codici erano stati strumentalizzati dai magistrati per aumentare il loro potere a scapito dei politici.

    L’avvocato sardo diceva di apprezzare in particolare il Craxi di Sigonella che si scontrò con gli americani per difendere la sovranità del paese. Guiso se ne va mentre i problemi che aveva segnalato in tutta la sua vita professionale sono lontani dall’essere risolti. Criticava aspramente i magistrati ma anche la politica che si era consegnata mani e piedi alle toghe. Spiegava sempre che il diritto non può essere uno strumento di trasformazione della società. Predicava per molti versi nel deserto, ma lo ha fatto con grande generosità, con discorsi che andavano al di là della posizione del cliente di turno patrocinato al momento. Guiso aveva una visione complessiva e per questo perse la sua battaglia per salvare la vita prima di Moro e poi di Craxi (frank cimini)

    *Jacques Verges, l”avvocato del diavolo francese che difese terroristi di destra e di sinistra

     

  • Sky1992, mancano i congiuntivi massacrati dall’Eroe e tanto altro

    L’attore che impersona l’Eroe di Mani pulite parla un italiano molto corretto, troppo, ripensando ai congiuntivi massacrati allora e pure adesso da Tonino da Montenero di Bisaccia. E manca tanto altro, tantissimo, considerando che si ha la pretesa da parte di Sky di raccontare a chi allora non c’era cosa accadde nel mitico 1992.

    Sembra che la storia del mondo inizi con l’arresto di Mario Chiesa. Bisognava spiegare innanzitutto che la corruzione c’era pure prima del 1992 e che gli uffici giudiziari, compresa la procura di Milano che poi per anni avrà in mano le sorti del paese e per certi versi ce l’ha ancora purtroppo, facevano finta di non vederla.

    Perché non era ancora scattata l’ora x, il momento propizio. Che poi arriva. Accade, al di là dei riferimenti alla caduta del muro di Berlino, quando le toghe si rendono conto che la politica si è indebolita, che ha meno consenso tra la “gggente”. A quel punto scatta l’aggressione, perché i magistrati hanno da andare all’incasso, riscuotere il credito acquisito anni prima quando i politici delegarono completamente la risoluzione del problema relativo alla sovversione interna, il cosiddetto “terrorismo”.

    E’ la storia dell’infinita emergenza italiana diventata prassi di governo dagli “anni di piombo” passando per i professionisti dell’antimafia fino a Mani pulite e oltre. Con il codice di procedura penale usato come carta igienica, la carcerazione preventiva finalizzata ad acquisire prove.

    E speriamo che dalle prossime puntate emerga il ruolo dei giornali che erano di proprietà di imprenditori non certo editori puri che erano sotto schiaffo da parte del pool per le loro attività e che appoggiarono l’inchiesta in cambio dell’impunità. Un do ut des perfetto. Speriamo. L’inizio della fiction non promette nulla di buono. Anzi (frank cimini)

  • Farsopoli, Moggi creò un’associazione a delinquere da solo

    Dopo 9 anni la Cassazione decreta la prescrizione dell’accusa di associazione per delinquere a carico di Luciano Moggi, assolvendolo dalle frodi sportive. L’associazione Lucianone però la creò da solo. Di 8 arbitri coinvolti all’inizio è stato condannato solo De Santis che aveva rinunciato alla prescrizione mentre per Racalbuto il tempo era già scaduto in appello. Su 50 partite investigate ne restano cinque ma in tre casi gli arbitri sono stati assolti. Tutti i giudici fin qui hanno affermato che il campionato non fu alterato e il sorteggio non fu truccato.

    Insomma il messaggio che arriva dalla Suprema Corte è chiaro: sarebbe stato troppo azzerare tutto. Per cui c’è la soluzione all’italiana: si prende atto che è passato troppo tempo. E intanto si potrebbe aggiungere che abbiamo scherzato.

    Un processo abnorme nato da un’indagine dove i magistrati e la polizia giudiziaria a Napoli avevano selezionato accuratamente le conversazioni intercettate privilegiando quelle di Moggi e nascondendo per esempio quelle di un’altra società, già specializzata in passato in plusvalenze, fondi neri e passaporti falsi che nulla vinceva prima di Farsopoli, nulla vince esaurito l’effetto di quanto accadde nel 2006 e che per sperare di tornare a vincere dovrà puntare su qualche altro imbroglio mediatico-giudiziario.

    Insomma siamo alla Mani pulite in salsa calcistica. Anche lì alla fine pagarono solo alcuni, in particolare uno e per giunta pure con la vita, mentre altri se la cavarono e ci fu pure chi venne beatificato.

    Tornando al pallone, quella bufera basata sul nulla servì per falsificare alcuni campionati di serie A e uno di serie B e per vedere la nazionale eliminata al girone in due mondiali consecutivi. Quando c’era Moggi invece il torneo iridato registrò per puro caso crediamo una finale in cui metà dei calciatori erano stati acquisiti prima o dopo in operazioni condotte da Big Luciano. Fu Italia-Francia cioè Juve A contro Juve B. Poi John Elkann, evidentemente stanco di vincere, diede il la alla diffusione di intercettazioni già cestinate dalla procura di Torino come irrilevanti. L’erede temeva che Moggi gli scalasse la società. E comunque fu gloria per Francesco Saverio Borrelli, Guido Rossi e altri che riscrissero pure la storia del calcio dopo quella del paese, imitati poi dai magistrati di Napoli. La Cassazione ha preso atto e sembra inutile aspettare le motivazioni. (frank cimini).

  • Da Milano a Brescia a occuparsi di colleghi appena lasciati, Csm: ok

    Da Milano a Brescia a occuparsi di indagini che vedono i colleghi appena lasciati come indagati o parti offese, ma per il Csm è tutto ok. Accade questo. In sede di commissione il Csm ha proposto come procuratore aggiunto a Brescia il pm milanese Carlo Nocerino. Nella città della leonessa c’è già un altro aggiunto Sandro Raimondi, anche lui proveniente da Milano, incaricato di trattare i fascicoli in cui sono coinvolti magistrati in servizio nel distretto di Milano. E con ogni probabilità sarà affiancato da Nocerino. Ovviamente qui non è in discussione l’onestà personale di Raimondi e Nocerino. Il problema è che l’organo di autogoverno della magistratura avrebbe dovuto tenere presenti ragioni di opportunità e di trasparenza.

    E’ giusto che un magistrato si trovi a dover decidere la sorte di colleghi che certamente conosce e con cui ha lavorato fino a pochissimo tempo prima? Non sarebbe stato meglio evitare soprattutto di mettere in imbarazzo un magistrato che va a lavorare proprio nella sede titolare dei cosiddetti “articoli 11”? Non mancavano di certo altre candidature altrettanto autorevoli per il posto da aggiunto a Brescia che sarà lasciato libero da Fabio Salamone che scade per la regola dell’ultradecennalità. E’ il caso di Roberto Di Martino, attuale capo della procura di Cremona, coordinatore delle indagini sul calcio scommesse, e di Francesco Piantoni, pm a Brescia da molti anni.

    Carlo Nocerino è un magistrato di grande esperienza che nel recente passato si è occupato dei casi Enipower e Parmalat quando era nel dipartimento relativo ai reati societari e prima ancora delle indagini sull’omicidio di Maurizio Gucci. E’ a Milano da moltissimi anni. Il Csm accogliendo la sua domanda di fare l’aggiunto a Brescia, nel caso l’ok della commissione dovesse essere confermato dal plenum, potrebbe metterlo in una situazione di non serenità, di imbarazzo. Evidentemente avranno pesato altre valutazioni, senza rispettare il principio che un magistrato, anche e forse soprattutto quando deve giudicare il comportamento di colleghi, non solo deve essere ma apparire indipendente, nel senso di non essere condizionato da rapporti di conoscenza, amicizia frequentazione. (frank cimini)

  • Le motivazioni della sentenza con cui Alberto Stasi è stato condannato a 16 anni

    Ecco le attese motivazioni con cui i giudici della prima sezione della Corte d’Appello di Milano spiegano la condanna a 16 anni di carcere per Alberto Stasi, dopo la doppia assoluzione e la sentenza di annullamento da parte della Cassazione che aveva disposto un processo di secondo grado bis.  (m.d’a.)

     

    Garlasco appello bis

  • Giornalisti, contenti che l’Inpgi non è parte civile contro chi vi avrebbe truffato?

    Cari giornalisti, siete contenti che l’ente che custodisce le vostre pensioni non cerchi di rimettere in cassa quasi otto milioni rubati agli iscritti attraverso una presunta truffa?

    Questo sta accadendo nel processo milanese a Giorgio e Luca Magnoni, padre e figlio, accusati  di avere raggirato, attraverso la fallita holding Sopaf di cui erano amministratori,  gli enti previdenziali di medici, ragionieri e, appunto, giornalisti.  Nell’udienza di oggi hanno chiesto di costituirsi parti civili l’Enpam (Ente Nazionale dei Medici) e la cassa previdenziale dei ragionieri, nessuna istanza invece è arrivata dall’Inpgi.

    Come mai? Facciamo un’ipotesi. Forse perché il Presidente dell’Inpgi Andrea Camporese è tra gli indagati in un rivolo di questa indagine? Nel novembre 2014, Camporese aveva ricevuto un invito a comparire firmato dal pm Gaetano Ruta che gli contesta il reato di truffa aggravata. Per la Procura, avrebbe aiutato la Sopaf a incassare 76 milioni di euro acquistando dalla holding  le quote del fondo Fip (Fondo Immobili Pubblici) a un prezzo superiore rispetto a quello reale.

    Sempre stando alla ricostruzione della Procura, Camporese sarebbe stato avvertito da persone interne all’Inpgi dei rischi dell’operazione, ma avrebbe agevolato la Sopaf “con artifici e raggiri” consistiti nel rappresentare falsamente all’organo amministrativo dell’Ente che che la finanziaria fosse titolare delle quote di Fip. Camporese ha sempre respinto le accuse (“Mi auguro si accerti la correttezza del mio operato”) e gli auguriamo di essere assolto. Nel frattempo, però, è umiliante per chi rappresenta che l’Inpgi non si costituisca parte civile. (manuela d’alessandro)

  • Coppi, dire che Arcore era un harem e stravincere

    “Professore – chiede un cronista durante una pausa del processo d’appello Ruby – ma lei che ne pensa della vivacità sessuale di Berlusconi?”. “Alla mia età (ha due anni meno dell’ex premier, ndr) si rinuncia alla domanda e si teme anche l’offerta, quando arriva, perché si rischia una brutta figura”.

    Al professor Franco Coppi di posare un’aureola sul capo di Silvio Berlusconi non è mai passato per la mente. Anzi se possibile, durante le sue arringhe ha fatto brillare ancor più la cresta del “drago” a cui  “le vergini si offrono per rincorrere il successo”, metafora coniata dalla ex dell’ex Cavaliere, Veronica Lario, e poi ripresa da tutti i magistrati che hanno rappresentato l’accusa in questa vicenda.

    Ad Arcore c’era un sistema prostitutivo, questo è certo – ha ammesso candido Coppi davanti alla Suprema Corte – ma non c’è prova che Berlusconi sapesse della minore età di Ruby. E quella sera, quando chiamò in Questura, fece bene a chiedere di affidare Ruby a Nicole Minetti che poi si è rivelata quel che è, ma allora era una rispettabile consigliera regionale”.

    Semplice, semplice, solo sfogliando il codice e certo senza attingere al suo fondo di sapienza, il Professore ha convinto i giudici di secondo grado e la Cassazione a cancellare i sette anni di condanna per concussione e prostituzione minorile. Del resto, che quello a Silvio non fosse un processo così complicato l’hanno sottolineato pure gli ‘ermellini’ classificando il caso con un grado di difficoltà 5,5 su 10. A renderlo un ‘mostro’ giuridico erano stati i predecessori di Coppi, Niccolò Ghedini e Piero Longo.

    Nel processo di primo grado hanno cercato di convincere le tre giudici (bastava un po’ di psicologia di seconda mano per capire che in quanto donne andavano affrontate in diverso modo) che ad Arcore si sarebbero celebrate “cene eleganti”, dove tutt’al più si raccontava qualche barzelletta spinta, ci si travestiva da Ilda Boccassini e si cantavano le canzoni con Apicella. Ma il loro ‘capolavoro’ è stato non impedire quell’incredibile marcia verso il Palazzo di Giustizia di un centinaio di parlamentari del Pdl capeggiati da Angelino Alfano contro la persecuzione ai danni di Berlusconi ricoverato al San Raffaele per un male all’occhio. Invece di blandire il loro ‘capo’ ne hanno assecondato l’istinto a difendersi dal processo e non dentro l’aula. E’ bastato metterci un piede in quell’aula a Coppi per stravincere uno dei suoi processi più facili. (manuela d’alessandro)

  • Palazzo Marino, il falso ideologico e la Repubblica penale

    Questa è una piccola storia che dimostra la facilità con cui in Italia si finisce sotto processo penale per poi essere assolti con spreco di denaro sia da parte dello Stato sia da parte del cittadino chiamato a difendersi.

    Scriviamo e parliamo dell’accusa di falso ideologico contestato a un architetto che aveva per un restauro in centro presentato una Dia (denuncia di inizio attività), poi si era informato presso l’ufficio piccole opere del Comune di  Milano sull’esito della pratica, ritirando l’incartamento prima dei 30 giorni e ripresentando il tutto come una richiesta di concessione.

    Il funzionario del comune riteneva che il falso si fosse consumato comunque segnalando la notizia di reato alla procura. Il dirigente dello sportello unico emetteva un provvedimento di diffida a sospendere le opere, “ovviamente mai iniziate”, precisa l’avvocato difensore Giulia Gavagnin. Il 6 ottobre scorso c’è stata l’assoluzione “per insussistenza del fatto”. In aula uno dei funzionari di Palazzo Marino affermava che sarebbe stato scorretto informarsi sull’esito della presentazione di una pratica e che sarebbe stato parimenti scorretto ripresentare una diversa Dia anche se la precedente era stata ritirata. (altro…)

  • Domanda semplice e non innocente: il Csm su Bruti deciderà mai?

    La domandina è semplice e vorrebbe tanto essere innocente ma non si può. Il Csm, sia pure in via cautelare ha deciso su Robledo trasferendolo a Torino, accelerando improvvisamente dopo aver tergiversato per 10 mesi sull’intera querelle con il suo capo Bruti Liberati facendo emergere sms, magari inopportuni e poco eleganti con l’avvocato leghista, che erano a disposizione da un anno e mezzo. Ma su Bruti Liberati che per “colpevole dimenticanza” (parole sue) lasciò nel cassetto il fascicolo sulla Sea che lambiva l’allora neonata giunta di centrosinistra (ottobre 2011) l’organo di “autogoverno” dei magistrati quando pensa di decidere?

    Il Pg della Cassazione Ciani, ora in pensione, dopo aver proposto il trasferimento di Robledo poi ottenuto, aveva emesso un comunicato ufficiale per dire: “Per il resto l’istruttoria prosegue….”. Il resto dov’è? E’ andato in pensione con Ciani?

    Non si conoscono i tempi del procedimento disciplinare su Bruti che tra pochi mesi (31 dicembre) andrà in pensione. E nemmeno quelli del procedimento di merito relativo a Robledo. E’, nel caso dell’ormai ex procuratore aggiunto, come mettere in galera un indagato e non fissare la data del processo. Il Csm aspetta che le sezioni civili della Cassazione decidano, è questione di mesi, sul ricorso contro il trasferimento?

    E per quanto riguarda Bruti si aspetta cosa? Che arrivi il momento della pensione? O un fascicolo nel cassetto per sei mesi (ottobre 2011 marzo 2012) è ritenuto da lor signori giudici dei giudici meno grave delle informazioni che l’avvocato Aiello afferma di aver appreso dai giornalisti e su Internet? Quindi bisogna pensare che l’intero affaire non è da ascrivere solo a due pesi due misure ma perfino a una tempistica diversa che rischia fortemente di sfociare nel mai?

    Insomma, il Csm non vuole fare chiarezza su una vicenda che, per chi vuol capire, ha danneggiato l’immagine, e non solo quella, della magistratura, in misura di molto superiore all’attività dell’imputato più eccellente di tutti. Bruti si sa ha un potere che val molto al di là della sua persona e della sua corrente (Md), il capo dello Stato uscente Napolitano fece fuoco e fiamme per proteggerlo. Era stato designato a capo della procura di Milano quasi all’unanimità e ovvio su input di re Giorgio. Da politico consumato ha garantito un po’ tutte le parti. Adesso ha pure deciso di tenere per sé l’interim del dipartimento anticorruzione, fatto anomalo in una grande, nel senso di grossa, procura. I boatos riferiscono che le inchieste su Expo riprenderanno dopo il 31 ottobre. A palazzo dei Marescialli, cacciato chi aveva gridato che il re è nudo, tutto va bene. Piccolo particolare: Il re di vestiti addosso non ne aveva. Nel frattempo la menano un giorno sì e l’altro pure che sono indipendenti. Persino quando dicono loro che dovrebbero essere in ufficio il primo settembre e non a metà mese, come tutti i comuni mortali. Gridano anche che hanno la produttività più alta d’Europa. Il Csm vada a verificare quanti magistrati, non solo a Milano, stanno in ufficio di pomeriggio. Con calma, anche dopo il 31 dicembre. Non c’è fretta (frank cimini)

  • NoTav, gup: Non sono terroristi, ma stiano in galera uguale

    “Con il loro comportamento processuale non hanno dato segni di resipiscenza” scrive il gup di Torino per negare gli arresti domiciliari a 3 militanti NoTav accusati dell’azione al cantiere di Chiomonte del 14 maggio del 2013 per i quali era caduta davanti al Riesame l’accusa di aver agito con finalità di terrorismo.

    Francesco Sala, Lucio Alberti e Francesco Mazzarelli restano in carcere, e in regime di alta sorveglianza nonostante il “taglio” dell’imputazione più grave, per resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento e porto di armi da guerra (le molotov).

    Per il gup non è possibile sovrapporre a livello di materiale probatorio il procedimento a carico dei 3 con quello connesso a carico dei 4 militanti Notav assolti  a dicembre dall’accusa di terrorismo, condannati a 3 anni e 6 mesi per i reati comuni e messi agli arresti domiciliari.

    Sala, Mazzarelli e Alberti arriveranno da detenuti al processo con rito abbreviato del 23 aprile. Il gup ha deciso di non tenere conto né della sentenza della corte d’assise né del Riesame che anche per i 3 aveva escluso il terrorismo. Il giudice si è adeguato alla propaganda dell’accusa che per bocca del pg Maddalena anche in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario aveva criticato la corte d’assise che avrebbe “sottovalutato” il fenomeno della violenza politica.

    Non si spiega, o per altro verso si spiega benissimo, perché Sala, Mazzarelli e Alberti restano detenuti in un regime di 41bis di fatto nel carcere di Ferrara pur non essendo più formalmente imputati di terrorismo. “Nessuna resipiscenza” dice il gup, tralasciando il fatto che la sede per eventuali dichiarazioni è quella del giudizio abbreviato il 23 aprile. Come del resto fecero nel processo connesso i 4 coimputati davanti all’assise spiegando le motivazioni dell’azione di Chiomonte ammettendo la loro partecipazione (frank cimini)

  • Procuratore smentisce il Corriere…. come l’uomo che morde il cane

    Non era mai accaduto. E’ successo oggi. Il procuratore della Repubblica di Milano ha smentito il Corriere della Sera in relazione a un accordo raggiunto dal colosso Google con agenzia delle entrate, gdf e pm attraverso il pagamento di 320 milioni di euro per risolvere un contenzioso fiscale.

    Edmondo Bruti Liberati, senza nemmeno citare il quotidiano o generiche notizie di stampa, ha emesso un comunicato ufficiale in cui afferma: “E’ stato intrapreso il contraddittorio con rappresentanti del gruppo Google…. allo stato non sono state raggiunte intese con la società che si è riservata di fornire dati che consentano di quantificare la redditività in Italia”.

    Cioè, dice Bruti, l’accordo non è stato perfezionato. Su Corriere.it Luigi Ferrarella, l’autore dell’articolo, precisa che l’accordo raggiunto la settimana scorsa dopo una riunione in procura prevede che la settimana prossima la compagnia americana presenti l’istanza di adesioneall’agenzia delle Entrate sulla base della fotografia scattata dal processo di constatazione della gdf.

    Anche Google aveva smentito, ma che lo faccia la compagnia interessata al contenzioso fa parte del gioco, è quasi scontato. Che il procuratore di Milano prenda, si diceva una volta carta e penna ora sostituite dal computer, per controbattere quella che al massimo appare come una inesattezza sui tempi della formalizzazione nero su bianco di un accordo già intervenuto è sicuramente singolare.

    Il capo della procura di Milano che smentisce o meglio cerca di smentire il Corriere è un po’ come l’uomo che morde il cane. Insomma è una notizia, che va al di là di un pur importante contenzioso fiscale. Anche il circuito mediatico giudiziario di cui parlano spesso i critici, in realtà non moltissimi, della repubblica penale nata nel 1992 ma con ogni probabilità pure molto prima, conosce i suoi intoppi.

    Tornando a Google, la settimana prossima l’accordo sarà formalizzato esattamente nei termini di cui ha scritto il quotidiano di via Solferino. Ma allora sarà una notizia vecchia. La novità, vera e unica, è il procuratore di Milano che si imbarca nella smentita (tentata) del Corriere (frank cimini)

     

  • Yara, un processo sui media…sorella di Bossetti picchiata 3 volte

    E’ la terza volta che la picchiano e stavolta l’hanno mandata in ospedale con trauma cranico e fratture varie con una prognosi di 30 giorni. Lei è Laura Letizia Bossetti, sorella dell’uomo in carcere con l’accusa di aver ucciso Yara Gambirasio. Il 10 febbraio corso le avevano anche messo a soqquadro la casa, adesso invece l’hanno di nuovo pestata. Si parla di due uomini incappucciati.

    E soprattutto a questo punto non si può non ricordare il clima non certo meteorologico e il contesto in cui si sta svolgendo l’inchiesta. Non passa giorno che sui media finiscano elementi di indagine nell’esclusiva disponibilità dell’accusa, procura di Bergamo e polizia giudiziaria, che aggraverebbero la posizione dell’unico indagato il quale dalla sua cella continua a proclamarsi innocente.

    Mai come in questo caso non è un problema di merito ma di metodo. Sarà un processo ad accertare le presunte responsabilità del signor Bossetti. Ma di questo passo non potranno non influire sulla decisione dei giudici le fughe di notizie che tendono mediaticamente a convincere l’opinione pubblica che l’indagato è colpevole “oltre ogni ragionevole dubbio”.

    I particolari dell’inchiesta non sono a disposizione della difesa che apprende delle continue novità dai media, ovviamente senza poter interloquire sul punto perché l’inchiesta non è ancora chiusa. In questa situazione agiscono persone magari affette da disturbi mentali o da semplice imbecillità che vanno a prendersela con la sorella dell’indagato dopo aver respirato il clamore mediatico innescato da chi, pm o polizia giudiziaria, dovrebbe tutelare il segreto istruttorio.

    E invece gli inquirenti fanno l’esatto contrario. Forse sarebbe il caso di sanzionare con procedimento disciplinare davanti al Csm il pm titolare dell’inchiesta tutte le volte che finiscono sui giornali atti e documenti non ancora depositati e che solo l’accusa conosce. Ci dovrebbe pensare la politica abituata però a  protestare solo quando i danni riguardano un suo esponente o un potente. Bossetti è un cittadino qualsiasi, con un quadro indiziario sicuramente pesante, che ha diritto di difendersi. E il diritto di difesa è fortemente limitato dall’accusa che usa i giornali per “vincere” il processo in anticipo (frank cimini)

  • Giudici: dai NoTav nessuna minaccia grave allo Stato

    Dai NoTav non ci fu nessuna minaccia grave allo Stato. Lo scrivono i giudici della corte d’assise di Torino nelle motivazioni della sentenza che a dicembre scorso aveva assolto 4 militanti dall’accusa di aver agito con finalità di terrorismo.

    “Pur senza voler minimizzare i problemi per l’ordine pubblico che derivano da inaccettabili manifestazioni non si può non riconoscere che in Val di Susa non si vive una situazione di allarme da parte della popolazione e che nessuna delle manifestazioni violente ha inciso sugli organismi statali che devono realizzare l’opera” scrivono i giudici. Al centro del processo c’era l’azione contro il cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013 per la quale i 4 imputati, assolti dall’accusa più grave, furono condannati a 3 anni e 6 mesi soprattutto per l’uso di armi da guerra (molotov).

    “Appare incontrovertibile – secondo la corte – la mancanza di volontà di attentare alla vita delle persone che lavoravano nel cantiere”. I 4 imputati si trovano agli arresti domiciliari da dicembre dopo un anno di carcere proprio per effetto della sentenza della corte.

    Altri 3 militanti NoTav invece sono ancora in carcere nonostante sia caduta al riesame anche per loro l’accusa di aver agito con finalità di terrorismo. Oggi, nel giorno in cui sono state rese le motivazioni  della sentenza della corte, l’avvocato Eugenio Losco ha depositato istanza di arresti domiciliari per i 3 imputati detenuti in regime di alta sorveglianza e che saranno processati con rito abbreviato il prossimo 23 aprile. L’avvocato chiede di sostituire il carcere con la detenzione in casa perchè le esigenze cautelari si sono sicuramente attenuate dal momento che non c’è più l’imputazione di terrorismo.

    Il gip deciderà nei prossimi giorni se tenere in conto la sentenza della corte d’assise ora pure motivata oppure se supportare la procura di Torino che con il teorema Caselli ha radicalizzato lo scontro sul treno ad alta velocità oltre ogni misura forzando la mano in senso emergenziale (frank cimini)

  • “Giustiziato” Robledo, i due pesi due misure del Csm

    Alfredo Robledo lascia il posto di aggiunto alla procura di Milano per andare a fare il giudice a Torino. Trasferito. Lo ha deciso il Csm che ha valutato gli sms scambiati da Robledo con l’avvocato della Lega Nord Domenico Aiello quando questi era indagato a Reggio Calabria e venne intercettato. Quei messaggi che al massimo saranno stati inopportuni e ineleganti alla fine pesano molto di più rispetto a cose più gravi. Questa è la forma che è vero che è sostanza ma a volte conta più della sostanza. A quasi un anno dall’esposto presentato da Robledo contro il capo della procura Bruti Liberati il Csm di fatto decide solo su Robledo.

    Due pesi e due misure. Come se il fascicolo sulla Sea “dimenticato” da Bruti in cassaforte e finito sul tavolo di Robledo con sei mesi di ritardo fosse aria fritta, un nonnulla. Il pg della Cassazione Gianfranco Ciani ad un certo punto si svegliò dal torpore, quello della giustizia interna alla magistratura, per dire che Robledo doveva andare via da Milano. “L”istruttoria per il resto prosegue”, aggiunse qualche giorno dopo, ma del resto non si è saputo più niente.

    Robledo paga per il fatto di aver gridato che il re è nudo. Gli sms con Aiello, vecchi di un anno e mezzo, sono stati tirati fuori al momento opportuno quando servivano per risolvere una situazione che all’immagine della magistratura ha fatto molto male. Quei messaggi servivano per punire l’anello debole della catena, dal momento che Bruti Liberati notoriamente ha un potere che va molto al di là del suo nome e della sua corrente, Md. E infatti non è un mistero che sia stato sostenuto in tutti i modi dal capo dello Stato uscente Giorgio Napolitano che fu tra i suoi grandi elettori.

    La pezza è peggio del buco, ma in un certo senso regge. Garantisce il diritto dei magistrati, della categoria e soprattutto dei suoi vertici a fare politica, a compiere scelte politiche in violazione di principi come indipendenza e autonomia, obbligatorietà dell’azione penale buoni da sempre solo per essere sbandierati nelle dichiarazioni pubbliche e nei comunicati stampa.

    Della sabbia sulla Sea, dei criteri di assegnazione delle indagini (Ruby e non solo) in pratica non si parlerà più. Il Csm con i suoi due pesi due misure ha fatto giustizia, ha garantito riproduzione di potere. In realtà per chi vuol capire questa storia dimostra che i magistrati sono persino peggio dei politici perchè avrebbero dei doveri in più di essere credibili, di apparire indipendenti, ma alla fine della fiera a lor signori in toga frega niente.(frank cimini)

  • NoTav, condanne a 140 anni di carcere per 2 manifestazioni

    E’ il paese dell’emergenza infinita, dove la soluzione dello scontro sociale e politico è affidata al processo penale, con tutti i i partiti e le toghe uniti nella lotta. Il Tribunale di Torino ha condannato 47 militanti NoTav (assolvendone 6) a 140 anni di carcere in relazione a due manifestazioni tra giugno e luglio del 2011.

    Resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, dice il capo di imputazione della procura, accolto in sostanza dai giudici, alla fine di un processo celebrato nell’aula bunker delle ‘Vallette’ in un clima da anni di piombo, limitando l’accesso del pubblico a non più di una cinquantina di persone per udienza.

    Tutto ciò accade mentre la realizzazione del treno ad alta velocità è messa in discussione persino da alcuni dei suoi fautori perché, se ne sono accorti adesso, costa troppo. Da Torino arriva un messaggio politico che va al di là del processo specifico, la sentenza durissima e spropositata vuole essere un avvertimento a chiunque si sta ribellando o pensasse di farlo. E’ una sentenza politica che ha anche il sapore della vendetta interna alla magistratura, per ridimensionare le scelte della Cassazione e della corte d’assise di Torino che in un’altra vicenda NoTav avevano azzerato l’accusa di aver agito con finalità di terrorismo in riferimento all’azione contro il cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013.

    E la sentenza con 47 condanne arriva a pochi giorni dalle parole del Pg torinese Maddalena che, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, aveva criticato la sottovalutazione della gravità della violenza politica da parte di suoi colleghi. (frank cimini)

  • C’è un solo magistrato arrabbiato all’anno giudiziario 2015

    C’è un solo magistrato davvero arrabbiato all’inaugurazione dell’anno giudiziario milanese 2015. Intorno a lei, l’impegno è massimo a glissare su Bruti – Robledo. Toghe a festa, complimenti reciproci, ma che brava la Procura, che record il Tribunale, che performance a Milano. Poi tocca all’Avvocato Generale Laura Bertolé Viale, una che parla semplice e diretto e non dedica metà del discorso a ringraziare qualcuno.

    Va giù come una macina sul Governo Renzi.

    Cos’è la ‘salva Berlusconi’? “Una legge irragionevole e discriminatoria che avrebbe come effetto principale  quello di creare una sotanziale differenza di trattamento tra i contribuenti di minori e quelli di maggiori dimensioni“. E la riforma sulla corruzione? Una cosa piccola piccola, che si limita ad umentare la reclusione da 6 a 10 anni invece che da 4 a 8 anni  solo per un tipo di corruzione, quella per “atto contrario ai doveri d’ufficio”. Fuori restano “la concussione, la corruzione in atti giudiziari, l’induzione indebita, la corruzione specifica”. “Che fine hanno fatto – domanda – la previsione tanto pubblicizzata e di indubbia utilità di riduzione della pena per chi collabora alla scoperta del reato e la riparazione pecuniaria a favore della pubblica amministrazione pari alla somma illlecitamente corrisposta?”.

    Ed ecco l’autoriciclaggio. “Trionfalmente approdato nel nostro sistema da circa 23 giorni – ironizza – è stato preceduto da un vero e proprio battage pubblicitario  ma un piccolo comma del nuovo articolo vanifica tutti i primi tre là dove dichiara ‘non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale. Non vedo nessuna ragionevolezza in questa non punibilità dell’utilizzatore finale”.

    Tutto il pacchetto di riforma del codice penale viene definito “ben misera cosa rispetto ai progetti” ed esclude il reato di falso in bilancio che, così com’è, “non tutela l’informazione societaria”. “Nel 2014 – ironizza Bertolé – ci sono state solo 5 sentenze di condanna per questo reato e temo non sia perché c’è più onestà…”.

    Infine, la prescrizione. Il disegno di legge presentato alle Camere è un “ben misero condensato” in cui “non una parola è detta sulla durata della prescrizione”.  Bertolé puntella il suo discorso con le parole “cittadini” e “uguaglianza” e poco si richiama alle rivendicazioni della magistratura.  Per questo, al di là delle considerazioni nel merito delle sue critiche, il suo è l’intervento di migliore auspicio per l’anno giudiziario che viene.

    (manuela d’alessandro)

  • Pg Ciani: Da lite Bruti-Robledo nessun danno a procura
    Forleo: dimostri che legge è uguale per tutti

    La querelle Bruti- Robledo non ha provocato problemi alla procura. “Le liti interne non hanno inciso sul contrasto alla criminalità e alla corruzione”. Questo dice il pg della Cassazione Gianfranco Ciani che evidentemente ha scelto la strada della satira, dopo aver chiesto l’allontanamento di Alfredo Robledo da Milano senza approfondire l’attività di Bruti che, comunque, aveva ammesso di aver lasciato “per deplorevole dimenticanza” il fascicolo sulla Sea nel cassetto.

    Per il pg della Cassazione dunque non è successo nulla. Al massimo sarà colpa “dell’attenzione dei messa media e dell’opinione pubblica che nell’ultimo anno si è concentrata sulle problematiche interne ad alcuni uffci giudiziari requirenti”.

    Per farsi un’ida basta leggere quanto scrive sul suo profilo Facebook il giudice Clementina Forleo rivolgendosi a Ciani: “Dimostri di essere stato nominato in base alla meritocrazia…dimostri che la legge è uguale per tutti…abbia il coraggio di inchiodare alle sue reiterate violazioni di legge il capo della procura di Milano…. senza se e senza ma”.

    Da un anno in procura a Milano le inchieste sono ferme. Lo dicono i pm, anche quelli non schierati con Robledo. Lo hanno anche messo per iscritto quelli del pool anticorruzione.

    Bruti Liberati ha l’interim di questo dipartimento da tempo, dopo che aveva cercato un aggiunto disposto a ricoprire l’incarico dal quale era stato esautorato Robledo. Nessuno però aveva accettato. Bruti coordina l’area omogenea. In pratica è un signor “ghe pensi mi”. (altro…)

  • Dopo 10 mesi per il pg solo Robledo è out…E Bruti?

    A 10 mesi dall’esposto presentato da Alfredo Robledo contro il capo dell’ufficio inquirente Edmondo Bruti Liberati il pg della Cassazione Ciani si sveglia e decide il da farsi solo sul procuratore aggiunto un tempo a capo del dipartimento anticorruzione poi spostato d’imperio alle esecuzioni penali.

    Per il pg della Cassazione Robledo deve essere trasferito da Milano e perdere le funzioni di pm a causa di uno scambio di favori con l’avvocato della Lega Nord Aiello che emergerebbe da intercettazioni di sms nell’ambito di una vicenda già archiviata dalla procura di Brescia a dicembre in relazione all’aspetto penale.

    Robledo avrebbe fornito informazioni all’avvocato nell’inchiesta sul Carroccio avendo in cambio altre informazioni sul comportamento della Lega nella vicenda dell’ex sindaco di Milano Albertini in causa con il vice di Bruti. In particolare, secondo il pg Robledo avrebbe suggerito ad Aiello un’istanza con cui ottenere copia di una consulenza non ancora nota agli indagati. E nell’indagine sui rimborsi ai consiglieri regionali, avrebbe violato il dovere di riservatezza rivelando al legale gli indizi a carico degli indagati.

    Giustizia disciplinare rapida solo per Robledo dunque e a quasi un anno dall’inizio della querelle, che non solo ha leso l’immagine della procura di Milano dove un tempo operò il “mitico” pool, ma che ha finito per scoperchiare gli altarini dei rapporti tra magistratura e politica.

    Un fatto incontrovertibile c’è: un fascicolo sulla Sea che lambiva l’allora neonata giunta di centrosinistra restò per sei mesi in un cassetto prima di essere affidato a Robledo, ma ormai monco perché non si poteva più intercettare gli indagati. “Mia colpevole dimenticanza” ammise Bruti, che però almeno per il momento se la cava alla grande, nonostante il suo grande protettore Giorgio Napolitano non sia più al Quirinale.

    Politicamente comunque Bruti è sempre stato più forte di Robledo, avendo un potere che va anche al di là della sua persona. Ma i due pesi e due misure adottati dal pg suscitano interrogativi sempre più inquietanti. In un paese normale, che non è questo, a 15 giorni dall’esposto entrambi i contendenti sarebbero stati trasferiti, quantomeno per incompatibilità ambientale che può esserci anche senza colpe specifiche. Così invece vince la politica, chi ce l’ha più duro nel vantare rapporti con quelli che contano. L’indipendenza e l’autonomia della magistratura di cui Csm, Anm e toghe varie blaterano tutti i giorni sui media sarebbero un’altra cosa. (frank cimini)

     

  • Salta l’accordicchio su Bruti – Robledo, il Csm teme la figuraccia

    Al vertice del Csm ci hanno provato, ma trovare quello che Luigi Ferrarella sul Corriere definisce oggi “allineamento astrale”, un accordicchio aumma aumma con troppe variabili, diciamo noi, era davvero un’impresa. Era troppo.

    Forse oggi, con un’improvvisa presa di coscienza, qualcuno ha pensato che la figuraccia per la magistratura e le sue correnti fosse eccessiva. E allora meglio tornare indietro. Salta l’accordo sul trasferimento di Robledo a Venezia. Scrive l’Ansa: “L’ipotesi di applicare il pm milanese Alfredo Robeldo alla procura generale di Venezia, per farlo poi rientrare a Milano, quando il procuratore Edmondo Bruti Liberati sarà in pensione, è tramontata. Non ci sono i presupposti normativi e di questo ha preso atto oggi la Settima Commissione del Csm, che avrebbe dovuto avviare l’iter necessario”.

    Ragione tecnica numero uno: per la procura generale ci sono due posti a bando. Con venti domande. In queste condizioni, la norma prevede che non si  possa avviare il cosiddetto ‘interpello’ per un posto da applicato. Come poteva Robledo andare a Venezia per un solo anno? Poteva fare domanda per un posto ordinario, ma non per un ufficio a scadenza programmata.

    Secondo problema: chi, nel 2015, avrebbe coperto il ruolo da aggiunto al dipartimento anticorruzione di Milano? I pm del pool, nei giorni scorsi hanno scritto a Bruti Liberati, chiedendo una nomina per superare l’impasse e riprendere sul serio il lavoro. In queste condizioni, come assicurare a Robledo il suo vecchio posto da capo di quel dipartimento, lasciando il pool in mano a un aggiunto a sua volta ‘a tempo’?
    E le varie commissioni del Csm cosa dovevano fare, adeguarsi a un accordo informale, opaco, preso tra i protagonisti Robledo-Bruti-Legnini e limitarsi a ratificare tutto, senza aprire becco, mentre la stampa segnalava all’opinione pubblica un’anomalia che scandalizzava anche decine di magistrati milanesi?
    “Era una soluzione assurda, che tra l’altro dava per implicita la conferma di Bruti”, commenta un pm meneghino. Per non parlare, prosegue “della pazzesca, inquietante coincidenza con la fine del mandato di Napolitano”.

  • Robledo va a Venezia per tornare a Milano
    Il Csm trova l”accordicchio’

    Dieci mesi non sono bastati al Csm per decidere sulla querelle Bruti-Robledo. Alla fine, proprio nei giorni in cui Giorgio Napolitano grande protettore di Bruti Liberati lascia il Quirinale, spunta un sorta di accordicchio che porterà Robledo per circa un anno alla procura generale di Venezia come sostituto per poi tornare a Milano a capo del dipartimento anticorruzione che, nel frattempo, dovrebbe essere coperto con una nomina provvisoria. Nei giorni scorsi, alcuni pm dell’anticorruzione si sono lamentati  con Bruti che il loro lavoro è bloccato dopo l’esautorazione dell’aggiunto. (lotta-di-potere-in-procura-bruti-caccia-robledo-dallanticorruzione)

    Robledo tornerebbe quando Bruti andrà in pensione al 31 dicembre 2015 per raggiunti limiti di età, senza avvalersi degli effetti di una eventuale ulteriore proroga che potrebbe essere  decisa per l’impossibilità del Csm di rispettare gli impegni a livello di nomine dei capi degli uffici.

    Insomma, domani la prima commissione deciderà di non aprire la pratica formale di trasferimenti per incompatibilità ambientale ma aderirà alla cosiddetta “mediazione istituzionale” (insomma le istituzioni non godono di buona salute, diciamo) varata dal vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, che già di recente aveva annunciato: “Stiamo lavorando a una soluzione bonaria”.

    Dice un giudice milanese: “E’ la conferma che al Csm da tempo hanno preso i vizi peggiori della politica”. Al punto che, possiamo aggiungere, se in pratica si insabbia un’inchiesta importante comne quella sulla Sea, ammettendo di aver dimenticato il fascicolo per 6 mesi in un cassetto, si ha diritto comunque di arrivare alla pensione. Perchè al Csm ci sono i giochi e i veti delle correnti che rappresentano partiti politici e si comportano come tali e per giunta con uun Presidente della Repubblica che, smessi i panni dell’arbitro, ha giocato la partita.

    Un magistrato che dovesse dimenticare un fascicolo su Berlusconi in un cassetto verrebbe arrestato per corruzione senza neanche accertare quanto ha incassato e da chi. Una riflessione “bonaria”, diciamo. Il Csm di un paese normale avrebbe deciso in 15 giorni, trasferendo Robledo perché diventato incompatibile non per colpa sua a causa dell’esposto contro Bruti e Bruti perché se ti scordi un fascicolo che lambisce la neonata giunta milanese di centrosinistra non puoi fare il capo della procura. Il nostro non è un paese normale. Ma a sto punto basterebbe che i magistrati smettessero di menarla con la loro indipendenza e autonomia (frank cimini)

     

  • NoTav, pure i pm rinunciano all’accusa di terrorismo

    I pm di Torino chiedono il processo con rito immediato per tre militanti Notav, Lucio Alberti Graziano Mazzarelli e Francesco Sala, in relazione all’azione contro il cantiere di Chiomonte del 14 maggio del 2013 ma rinunciano a contestare l’accusa relativa alla finalità di terrorismo, che a livello di misura cautelare era stata azzerata dal Tribunale del riesame. I tre devono rispondere esclusivamente dei reati-fine, porto di armi da guerra (le molotov), danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale.

    La decisione dei pm è importante perchè significa che gli inquirenti prendono atto delle sconfessioni fin qui subite a livello di qualificazione giuridica: prima la Cassazione che rimanda a Torino gli atti, poi la Corte d’assise che assolve il 17 dicembre scorso quattro militanti Notav dall’imputazione più grave, infine il Riesame che annulla l’ordinanza bis per i tre che comunque sono in carcere da luglio.

    Sarà il gip Federica Bompieri a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio con rito immediato che presumibilmente sarà accolta. I difensori valuteranno la possibilità di ricorrere a riti alternativi, ma è chiaro che le difese hanno vinto la loro battaglia sul teorema Caselli. L’azione relativa al cantiere di Chiomonte non fu terrorismo hanno deciso diversi organi giudicanti e la procura è costretta a prenderne atto.

    Va ricordato però che l’agitare un fantasma del passato per influire su uno scontro sociale in atto adesso ha comportato mesi e mesi di custodia cautelare in regime di 41bis di fatto per sette militanti NoTav. Ora in 4 dopo un anno di cella sono ai domiciliari e 3 sono ancora detenuti nell’ambito di una vicenda che è stata ridimensionata in diritto e anche in fatto. I pm Padalino e Rinaudo le avevano tentate tutte anche contestando la finalità di terrorismo ai 3 all’immediata vigilia della sentenza per i 4, fiancheggiati in pratica da tutti i giornaloni. Della crociata mediatica che aveva trasformato la rottura di un compressore in un “affaire” della lotta armata di trenta e più anni fa resta praticamente nulla, se non l’ulteriore dimostrazione che i magistrati fanno politica. Anche perchè la politica, come tantissimi anni fa, delega alle toghe problemi di cui dovrebbe occuparsi lei. E’ il caso del treno ad alta velocità dove era sorto per contrastarlo e c’è ancora l’unico movimento radicato sul territorio. E per farlo fuori si sono inventati il “terrorismo”. Poi il Tav non si farà. Ormai ne sono convinti pure alcuni dei promotori. Ma intanto hanno ristretto gli spazi di libertà. Politici e magistrati uniti nella lotta (frank cimini)

  • NoTav, sono a casa i 4 militanti assolti da “terrorismo”

    Sono a casa i 4 militanti NoTav assolti dall’accusa di terrorismo il 17 dicembre scorso a Torino. La corte d’assise ha deciso per gli arresti domiciliari accogliendo la richiesta dei difensori. Tornano a casa dopo oltre un anno passato in regime di alta sorveglianza, carcere duro, un articolo 41bis di fatto, accusati di aver agito con finalità di terrorismo in relazione all’azione al cantiere di Chiomonte che aveva portato alla rottura di un compressore. I pm avevano dato parere fortemente negativo alla scarcerazione.

    I 4 militanti NoTav lasciano il carcere nel momento in cui contro la sentenza di assoluzione dall’imputazione più grave è in atto una campagna di linciaggio del verdetto della corte d’assise. Il ministro Lupi, il senatore piddino Esposito addebitano a quella sentenza la responsabilità dei recenti attentati mentre i pm all’udienza del Riesame per altri 3 militanti NoTav hanno duramente attaccato la decisione della corte d’assise, ancora prima che siano rese note le motivazioni tra circa tre mesi. Insomma pm e giornali preparano il clima in vista del processo d’appello.

    La sentenza di primo grado non l’hanno proprio digerita. Eppure si tratta di una sentenza che va nel solco tracciato dalla Cassazione che aveva rispedito indietro a Torino l’accusa di terrorismo. evidentemente per l’accusa e i suoi fiancheggiatori in politica e nelle redazioni il diritto non c’entra. Si tratta in effetti di un’operazione politica a difesa della realizzazione di un’opera rimessa in discussione da alcuni degli stessi promotori perché costa troppo. Se ne sono accorti adesso, La Torino-Lione non si farà quasi certamente. E quindi, agitando un fantasma del passato, il potere darà la colpa ai “terroristi”. (frank cimini)

  • NoTav, anche il Riesame boccia teorema Caselli

    Dopo la Cassazione e la corte d’assise di Torino anche il Riesame del capoluogo piemontese ha annullato l’accusa di terrorismo in relazione all’azione contro il cantiere del treno ad alta velocità di  Chiomonte del 14 maggio 2013. La Cassazione e la corte d’assise si erano espressi in relazione alla posizione di 4 giovani arrestati a dicembre dell’anno scorso. Il Riesame invece ha vagliato la posizione di altri 3 militanti NoTav in carcere da luglio scorso ma ai quali era stata notificata di recente una nuova ordinanza con cui si contestava agli indagati di aver agito con finalità di terrorismo.

    Per il teorema Caselli è la terza bruciante sconfitta che tra l’altro arriva a pochi giorni, era il 17 dicembre, dall’assoluzione in corte d’assise dei 4 militanti dall’imputazione più grave. La corte spazzava via l’accusa di terrorismo condannando i 4 a 3 anni e 6 mesi contro i 9 anni e mezzo chiesti dall’accusa.

    I pm Rinaudo e Padalino avevano parlato di “un’azione di guerra” e a pochi giorni dal verdetto per i 4 avevano tirato fuori dal cappello il coniglio dell’ordinanza bis per i 3 cercando di influenzare la corte. E invece i pm ne hanno ricavato una doppia sconfitta. Converrà loro farsene una ragione, invece di far filtrare sui giornaloni la convinzione che la sentenza di assoluzione sia tra le cause delle recenti azioni a Firenze e Bologna perché avrebbe indotto a pensare in giro che non si rischia granchè a livello penale. (altro…)

  • NoTav, il “terrorismo” azzerato? Confinato in cronaca locale

    La notizia che il Tribunale del Riesame di Torino ha annullato l’accusa di “terrorismo” a carico di tre militanti Notav in relazione all’azione del cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013 finisce nelle cronache locali di Repubblica e Stampa. Il Corsera che non ha la cronaca di Torino mette 6 righe nell’edizione nazionale. Il Giornale e Libero zero righe, al pari del Fatto quotidiano e del Manifesto, due giornali critici verso il treno ad alta velocità, ma va considerato che tra gli editorialisti del Manette Daily figura il procuratore ora in pensione Giancarlo Caselli, l’inventore del teorema “fu un’azione di guerra, volevano far recedere l’Italia e l’Europa dalla realizzazione dell’opera”.

    Eppure quando l’ordinanza era stata emessa non mancarono ampie articolesse nelle edizioni nazionali. Adesso invece l’affare viene trattato come un fatto locale. Come se i pm non avessero indicato tra le parti offese dal reato l’Unione Europea che però si guardava bene dal costituirsi parte civile e spediva a Torino poche righe vergate da un funzionario: “Caro cancelliere non siamo interessati a eleggere domicilio in Italia”.

    Di quelle poche righe però mai alcun giornale ha dato conto ai suoi lettori. “Embedded”. E per giunta servitori di due padroni: da un lato la procura, dall’altro le banche molto interessate a finanziare il Tav e che controllano direttamente o indirettamente gli editori delle gazzette nostrane. E quindi purtroppo ci sta che alle notizie negative venga data meno diffusione possibile. Basta però che non la menino con la libertà di stampa e pure con l’indipendenza facendo il paio con i comportamenti dei pm che sull’argomento continuano a ad agitare un fantasma del passato per regolare lo scontro sociale e politico di oggi proprio mentre alcuni promotori del Tav iniziano a manifestare dubbi a causa dei costi eccessivi. I pm fanno politica trincerandosi dietro un’indipendenza e autonomia sempre più presunte e dietro il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Ma il naso negli appalti del Tav non lo mettono. Il ministro dei Trasporti Lupi si fa giudice anzi veste i panni di un’intera corte d’assise per attaccare la sentenza che il 17 dicembre ha assolto 4 militanti sempre dall’accusa di “terrorismo”, invece di tacere e stare tranquillo. Gli appalti del Tav sono in questo straordinario paese gli unici onesti e trasparenti. E quello che spetta a Cl e Coop non si tocca (frank cimini).

  • NoTav, cade l’accusa di terrorismo….
    3 anni 6 mesi per compressore rotto

    L’accusa di terrorismo è stata fatta a pezzi dalla corte d’assise di Torino che ha deciso di condannare a “soli” 3 anni e 6 mesi i 4 militanti Notav imputati per l’azione contro il cantiere di Chiomonte del 14 maggio del 2013. I giudici hanno dato ragione all’accusa esclusivamente in relazione al danneggiamento all’incendio e alla violenza a pubblico ufficiale.

    Si tratta di una sonora sconfitta per i pm Padalino figicciotto berlingueriano e Rinaudo neofascista di Fdi che in aula avevano parlato di “atto di guerra” al fine di supportare l’accusa di aver agito con finalità di terrorismo. Il teorema Caselli esce fortemente ridimensionato se non addirittura azzerato dalla decisione della corte d’assise, anche se 3 anni e 6 mesi per un compressore rotto nel corso dell’azione non sono pochi. Ma bisogna ricordare che il processo è stato sottratto al suo giudice naturale, il tribunale di Torino, dai pm e soprattutto dal gip che decideva il rinvio a giudizio contestando la finalità di terrorismo, cioè l’agitare un fantasma del passato da parte di un professionista dell’emergenza del livello di Caselli, nel frattempo andato in pensione.

    La sentenza è in linea con quanto aveva deciso la Cassazione annullando sia pure con rinvio il verdetto del Riesame di Torino sulla sussistenza della finalità di terrorismo. Secondo la Suprema Corte per contestare l’accusa di terrorismo ci vogliono elementi concreti e nel caso specifico la concreta possibilità che le autorità debbano rinunciare alla realizzazione dell’opera.

    Del resto gli stessi pm in sede di requisitoria facevano una parziale marcia indietro rispetto all’ipotesi originaria di accusa passando dall’attentato alla vita a quello dell’incolumità fisica di operai e poliziotti. Ma i pm poi giocavano la carta della disperazione alla vigilia della sentenza contestando l’accusa di terrorismo ad altri 3 militanti Notav che a luglio erano stati arrestati per i fatti del 14 maggio 2013. L’ordinanza bis era un chiaro tentativo di influire sul verdetto ormai prossimo, dal momento che conteneva alcune testimonianze rese in aula da appartenenti alle forze di polizia nel processo appena concluso. Erano deposizioni già sotto la valutazione della corte d’asssise e i pm e il gip che con un “copia e incolla” diceva di sì si rendevano protagonisti di un’operazione quantomeno scorretta e inopportuna.

    Ai pm comunque il giochetto non è riuscito. La corte d’assise ha detto di no mettendo un punto fermo che ha un significato sicuramente più generale. In questo disgraziato paese è possibile contrastare i progetti di imprese, banche, partiti (in realtà corporazioni), sindacati, appoggiati da giornali e tg, senza dover far fronte all’accusa di terrorismo. Insomma, come aveva ricordato un legale in sede di arringa, un compressore rotto non è parificabile al sequestro Moro.

    Sulla sentenza non può non aver pesato il fatto che la più importante delle parti offese indicate dai pm, l’Unione Europea, decideva di non costituirsi parte civile. “Caro cancelliere non siamo interessati a eleggere domicilio in Italia” scriveva un funzionario di Bruxelles alla corte d’assise. E il presidente chiosava: “La commissione non sembra granchè interessata al nostro processo”. Insomma non c’era stata nessuna azione di guerra, nessun ricatto tale da costringere a rinunciare alla realizzazione di un’opera sulla quale adesso persino alcuni  dei principali promotori hanno dei forti dubbi “perchè costa troppo”. Ecco, se ne sono accorti adesso. Dopo aver delegato, come tanti decenni fa, un problema sociale, politico e di modello di sviluppo, alla magistratura. I giudici stavolta non hanno tolto le castagne dal fuoco per conto della politica. Ma, ricordiamolo, 7 ragazzi (i 4 del processo finito oggi e altri 3) stanno in carceri di massima sicurezza(alcuni da un anno), torturati da un 41bis di fatto, a causa di un teorema che una corte d’assise stamattina ha buttato nel cesso(frank cimini)

  • Notav, pm e gip giocano sporco a pochi giorni dalla sentenza

    A pochi giorni dalla sentenza del processo prevista per il 17 dicembre a carico di 4 militanti NoTav che rischiano la condanna a 9 anni e 6 mesi di carcere accusati di aver agito “con finalità di terrorismo” per la rottura di un compressore, i pm e il gip di Torino aggravano la posizione di altri 3 indagati per lo stesso fatto avvenuto il 14 maggio del 2013 al cantiere di Chiomonte. Anche ai 3 già detenuti il gip su richiesta dei pm con una nuova ordinanza di custodia cautelare contesta ora la finalità di terrorismo che l’estate scorsa era stata esclusa.

    Nella nuova ordinanza si riportano le testimonianze che alcuni appartenenti alle forze di polizia hanno reso nel processo in via di definizione a giorni. La mossa di pm e gip appare quantomeno inopportuna e scorretta perché la loro valutazione non può non rischiare di interferire con la decisione che i giudici della corte d’assise di Torino stanno per adottare sulle presunte responsabilità dei primi 4 militanti finiti in carcere un anno fa, ripetiamo, per lo stesso fatto.

    Il gip in riferimento all’azione di Chiomonte scrive di “atto di guerra” facendo un copia e incolla con la richiesta della procura, aggiungendo che si tratta di una minaccia all’integrazione europea. Il giudice non fa alcun accenno che proprio l’Unione Europea indicata dai pm come parte offesa nel processo ai 4 militanti Notav con una missiva di poche righe aveva rifiutato di costituirsi parte civile tanto che il presidente della corte d’assise aveva commentato: “La commissione non sembra granchè interessata a questo processo”. Un funzionario di Bruxelles aveva scritto: “Non intendiamo eleggere domicilio in Italia”.

    Ma pm e gip nonostante ciò vanno per la loro strada agitando un fantasma del passato che viene utilizzato al fine di di regolare lo scontro sociale e politico di oggi, arrivando a ignorare la Cassazione che aveva annullato sia pure con rinvio la finalità di terrorismo contestata ai primi 4 arrestati.

    Insomma l’accusa contenuta nella nuova ordinanza condivisa da un giudice che dovrebbe essere terzo è la carta truccata giocata dai pm in vista della sentenza del 17 dicembre. E’ in pratica la replica alle arringhe dei difensori uno dei quali aveva sostenuto che esiste differenza tra un compressore rotto e il sequestro Moro. (frank cimini)

     

  • Anche Maroni sta scivolando lì…
    E non si presenta al pm

    Il governatore lombardo Roberto Maroni stamani avrebbe dovuto presentarsi in procura a Milano davanti al pm Eugenio Fusco che gli aveva inviato un invito a comparire per induzione indebita e turbata libertà di scelta del contraente. Entrambe le accuse fanno riferimento ai rapporti tra Maroni e la sua amica Maria Grazia Paturzo, da un lato assunta nella società Expo2015  e dall’altro lato candidata a partecipare a un viaggio a Tokio del presidente della giunta regionale, al quale Maroni rinunciò perchè Expo si sarebbe rifiutato di pagare il soggiorno della donna.

    Maroni rifiutò di di andare a rappresentare la Regione a Tokio solo poche ore prima della partenza, evidentemente contrariato dal fatto che Expo non avesse aderito al suo desiderio di avere in delegazione l’amica Paturzo con spese a carico della società. Insomma a colui che promise di usare le scope per ripulire il Carroccio in seguito all’inchiesta sul “cerchio magico” non passò nemmeno per l’anticamera del cervello di tirare fuori lui (che ogni mese incassa uno stipendio non certo basso) i 6.500 euro di viaggio e soggiorno per la ragazza.

    L’interrogatorio di Maroni sarebbe stato l’ultimo atto dell’inchiesta. E’ saltato per decisione legittima dell’indagato, alla fine di una lunga trattativa tra il pm e l’avvocato difensore Domenico Aiello. L’indagine dovrebbe essere chiusa a gennaio con il deposito delle carte.  A quel punto Maroni potrà chiedere lui di essere sentito in procura, dopodichè con ogni probabilità ci sarà la richiesta di processo. Nella vicenda delle assunzioni l’accusa si fa forte a sostegno delle sue tesi della decisione di un indagato, Alberto Brugnoli, manager di Eupolis, di patteggiare. Nel caso del mancato viaggio a Tokio la rilevanza penale del comportamento di Roberto Maroni appare un po’ più sfumata, anche se la storia è sicuramente indecorosa a livello politico. Ma il governatore lombardo non è certo l’unico politico a fregarsene ampiamente dei danni reputazionali. Diciamo che è in buona compagnia e, se dovesse essere condannato per l’induzione indebita, rischia di decadere dalla carica per la legge Severino.  (frank cimini)

  • NoTav, legali a giudice Riesame: astieniti, ti sei già espresso

    L’avvocato Eugenio Losco patrocinatore dei  dei tre militanti NoTav in carcere da luglio e ora destinatari di una ordinanza bis per terrorismo ha depositato un invito ad astenersi dal presiedere il collegio del Riesame a carico del giudice Cristina Domaneschi in vista dell’udienza di lunedì 22 dicembre. Il giudice Domaneschi aveva già presieduto il collegio che aveva rigettato il ricorso, sempre in relazione alla finalità di terrorismo per l’azione contro il cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013, degli altri 4 militanti NoTav assolti il 17 dicembre dalla corte d’assise di Torino dal capo di imputazione più grave e condannati a 3 anni e 6 mesi contro la richiesta di 9 anni e 6 mesi dei pm.

    Domaneschi inoltre avrebbe dovuto presiedere il collegio del Riesame ancora in relazione alla posizione dei 4 imputati dopo che la Cassazione aveva annullato con rinvio la decisione di confermare la finalità di terrorismo nell’azione di Chiomonte. L’udienza poi non fu celebrata perché le difese rinunciarono al ricorso. (altro…)

  • Firme false, 2 anni 9 mesi a Podestà che Bruti non voleva far indagare

    Due anni e 9 mesi per falso elettorale. E’ la condanna di Guido Podestà, all’epoca dei fatti e ancora fino al 31 dicembre presidente della Provincia di Milano, per le firme false raccolte a sostegno del listino di Formigoni e della lista Pdl in occasione delle elezioni regionali del 2010. Il pm Alfredo Robledo aveva chiesto 5 anni e 8 mesi per falso ideologico. Il giudice Monica Amicone dimezza la richiesta di pena e riqualifica il reato. Ma la sostanza è che l’impianto accusatorio tiene in una vicenda che ha fatto parte del contenzioso tra il capo della procura Edmondo Bruti Liberati e l’aggiunto Robledo fino a poco tempo fa responsabile del dipartimento dei reati contro la pubblica amministrazione. (processo-a-podesta-sospeso-per-scontro-bruti-robledo-a-rischio-anche-quelli-a-formigoni-e-berlusconi).

    Lo ha ricordato anche il professor Gaetano Pecorella in sede di conferenza stampa post-sentenza presentando un book di “22 domande senza risposta” (titolo “Che Italia è questa- Il processo di Robledo contro Podestà”) che farà da traccia per impugnare la condanna. “Bruti Liberati aveva invitato Robledo a compiere alcuni accertamenti e a non procedere all’iscrizione di Podestà, ma Robledo preferì procedere lo stesso”, sono le parole di Pecorella.

    Robledo, questa ormai è praticamente storia, intese quell’invito del procuratore

    come una sorta di interferenza nell’indagine a tutela della politica, un’azione insomma dello stesso segno di quella che avrebbe portato a “dimenticare nel cassetto per 6 mesi” il fascicolo Sea, quella volta a tutela della giunta di centrosinistra di Milano.

    Pecorella quasi si diverte a citare il giurista Carrara, “quando la politica entra dalla porta la giustizia esce dalla finestra”, per poi ricordare di aver chiesto il trasferimento del processo da Milano a Brescia perché il suo cliente sarebbe stato una vittima della guerra interna alla procura.

    La difesa lamenta la mancata citazione di diversi testimoni che avrebbero scagionato Podestà. Ci sarà il deposito delle motivazioni tra 90 giorni quando con ogni probabilità sia Bruti sia Robledo non saranno più in Procura per decisione del Csm e questa vicenda interesserà tutti un po’ meno di oggi (frank cimini)

  • NoTav, legale: Un compressore rotto non è il sequestro Moro

    “Se le Br sequestrano il presidente della Dc e chiedono la liberazione di 10 detenuti è chiaro che vogliono costringere lo Stato, ma qui stiamo discutendo di tutt’altra storia… il fatto non ha alcun rapporto diretto con le istituzioni”, dice in sede di arringa davanti alla corte d’assise di Torino l’avvocato Novaro, uno dei difensori dei 4 militanti NoTav che per aver rotto un compressore durante un’azione contro un cantiere dell’alta velocità sono accusati di aver agito con finalità di terrorismo.

    Il legale contesta che quell’azione sul compressore possa aver avuto la forza di far recedere dalla realizzazione dell’opera e cita la Cassazione che aveva rispedito a Torino gli atti dell’accusa. “Se no il bene giuridico tutelato diventa astratto”, chiosa l’avvocato.

    Per far cadere l’accusa relativa alla finalità di “terrorismo”, la difesa sceglie di evocare l’azione più clamorosa della storia italiana per marcare la differenza tra ieri, 36 anni fa, e oggi. E lo fa praticamente costretta dai pm che in sede di requisitoria avevano parlato di “atto di guerra” chiedendo la condanna di ciascun imputato a 9 anni e 6 mesi di reclusione. Una richiesta di pena molto dura, anche se era la stessa procura a fare marcia indietro dal momento che rispetto all’ipotesi originaria non contestava più l’attentato alla vita di operai e poliziotti ma l’attentato all’incolumità fisica.

    Le parole dei legali della difesa arrivano a pochi giorni da una circostanza quantomeno inquietante che ha visto la polizia di stato “regalare” a giornali e tg l’immagine della Renault rossa dove il 9 maggio del 1978 venne lasciato il cadavere di Moro, aggiungendo che prossimamente l’auto sarà esposta al pubblico. E’ l’agitare un fantasma del passato che fa compagnia proprio al “teorema Caselli” con cui il processo era stato sottratto al suo giudice naturale, il tribunale, per essere celebrato in corte d’assise al fine di rinnovare ulteriormente la politica dell’emergenza.

    Il 17 dicembre ci sarà la sentenza per i 4 militanti NoTav, in carceri di massima sicurezza da quasi un anno, coinvolti in una vicenda giudiziaria dove la più importante delle parti offese indicate dalla procura, l’Unione Europea, rifiutava di costituirsi parte civile. “La commissione non sembra granchè interessata al nostro processo”, chiosava all’avvio delle udienze il presidente della corte. Sembra difficile che si dimentichi la sua acuta osservazione in camera di consiglio (frank cimini)

  • Da Bruti ok alla Boccassini
    Forno dà il via libera a Robledo
    Ma chi valuta Bruti?
    E comunque i pareri sono da buttare

    Un girotondo spezzato. Il Procuratore dà un giudizio su un suo vice, un altro procuratore aggiunto valuta un collega pari-grado, ma poi nessuno valuta il procuratore stesso.

    Questo accade alla Procura di Milano. In valutazione, tre pedine fondamentali, che aspettano di sapere dal Consiglio giudiziario, e poi dal Csm, se saranno riconfermate nei propri ruoli per i prossimi quattro anni. Ciascuno ha bisogno di un parere, tranne il procuratore stesso. Quindi Bruti Liberati valuta positivamente Ilda Boccassini, capo della Dda. Pietro Forno, numero uno del pool sui reati che riguardano i soggetti deboli, valuta positivamente Alfredo Robledo, capo dell’anticorruzione fino al giorno in cui Bruti l’ha esiliato all’Esecuzione. Ma chi dà il voto a Bruti, anche lui attualmente in valutazione? Nessuno, è capo di un ufficio e non è previsto che sia il Procuratore generale, per esempio, a formulare una valutazione da sottoporre al consiglio giudiziario.

    Fatto singolare, poi, è che il consiglio giudiziario ha appena rispedito al mittente i pareri di Bruti su Boccassini e di Forno su Robledo. Perché? Troppo generici, non rispettavano i quesiti previsti. In sostanza, secondo alcuni membri dell’articolazione locale del Csm, quelle schede di valutazione assomigliavano troppo a una specie di copia-incolla del bilancio di responsabilità sociale della Procura, il rapporto che annualmente viene distribuito a tutti i sostituti, ai vertici del Palazzo di Giustizia, e anche ai giornalisti. Non una valutazione specifica sui magistrati in questione, insomma, ma un riepilogone dei dati che riguardano i loro dipartimenti. Curiosa in particolare la carenza di dettagli su un punto: la capacità di rapportarsi con i sostituti. Chissà cosa ne pensano i pm della Dda, o quelli del secondo dipartimento. Bruti per Boccassini, e Forno per Robledo, pare si siano astenuti dal precisarlo.

  • Il pm De Pasquale libera i 3 anarchici fermati ieri, tanto rumore per nulla

    Sono liberi i 3 anarchici arrestati ieri durante gli scontri relativi allo sgombero del centro sociale ‘Il corvaccio’ in zona Corvetto. Il pm Fabio De Pasquale, per anni grande accusatore di Silvio Berlusconi e ora alle prese con presunte maxitangenti pagate dall’Eni in mezzo mondo, non ha chiesto nel processo per direttisssima la convalida dei fermi. Alla base della decisione del magistrato la convinzione che si trattasse di fatti di lieve entità riguardanti lanci di bottiglie di birra e di latte, pezzi di intonaco che peraltro non colpivano nessuno. Non c’erano inoltre esigenze cautelari. I tre giovani tra i 25 e 33 anni restano indagati a piede libero per resistenza a pubblico ufficiale, al pari di altri 6 militanti dell’area antagonista. I 3 erano stati fermati a causa di una valutazione sui loro precedenti. La decisione del pm almeno per ora ha azzerato tutto.

    Tanto rumore per nulla. Ieri era stato messo in atto un costosssimo dispositivo repressivo tra un paio di elicotteri, blindati e centinaia di uomini al fine di sgomberare i due centri sociali ‘Il Corvaccio’ e la ‘Rosa Nera’. Secondo stime attendibili il valore dell’operazione sarebbe stato di almeno 100 mila euro. Soldi investiti o buttati a mare (è questione di punti di vista) per trasformare come accade troppo spesso un problema sociale, politico e culturale in una esclusiva questione di ordine pubblico dove lo Stato decide di mostrare i muscoli in quartieri periferici della metropoli in cui  di solito brilla per la sua assenza. Accade raramente ma stavolta è successo. Di avere a che fare con un magistrato che un minimo di sale in zucca ce l’ha (frank cimini).

  • NoTav, compressore rotto. “Terrorismo, atto di guerra”, pm chiede 9 anni e 6 mesi

    I pm di Torino hanno chiesto la condanna a 9 anni e 6 mesi di carcere per 4 militanti NoTav arrestati nel dicembre scorso per un’azione contro il cantiere di Chiomonte in Val di Susa durante la quale a colpi di bottiglie molotov fu danneggiato un compressore. “Atto di guerra”. “Azione militare minuziosamente preparata” sono i titoli della requisitoria. L’iniziativa per i pm ebbe la finalità terroristica, con gravi danni all’immagine dell’Italia e dell’Unione Europea. Nella requisitoria non si è fatto cenno che la Ue non ha voluto costituirsi parte civile e che leggendo la nota della commissione il presidente della Corte d’assise commentò: “L’Unione Europea non sembra granchè interessata a questo processo”.

    Della scelta da parte della Ue e della sua motivazione nessun giornale ha mai scritto. Evidentemente esiste un legame molto stretto (eufemismo) tra i media e la procura. Del resto i giornaloni sono controllati direttamente o indirettamente dalle banche molto interessate alla realizzazione dell’opera.

    I pm Padalino e Rinaudo negano la possibilità di concessione delle attenuanti generiche “nonostante lo stato di incensuratezza degli imputati”. Fanno testo invece per l’accusa “gli altri carichi pendenti” oltre alla “personalità” e alla “pericolosità” degli stessi. La procura fa una piccola marcia indietro  sull’attentato alla vita delle persone, dal momento che chiede la condanna solo per l’attentato all’incolumità di operai e poliziotti. Di qui la richiesta di condanna a 9 anni e 6 mesi inferiore ad alcune previsioni della vigilia ancora più catastrofiche per gli imputati.

    Ma stiamo parlando di una magistratura che agita un fantasma del passato per reprimere l’unico movimento radicato sul territorio, in una porzione sia pure piccola del paese. Ovviamente il treno ad alta velocità Torino-Lione era ed è un problema sociale, politico, culturale, di modello di sviluppo la cui risoluzione è stata delegata ai magistrati. Come accadde tanti anni fa in una situazione infinitamente più tragica. E così per fermare la protesta di un’intera valle si utilizza come una clava il codice penale. Come deterrente verso chiunque altro dovesse scendere in piazza per protestare. Ironia della sorte la richiesta di condanna per “terrorismo” arriva proprio nel momento in cui la realizzazione dell’opera viene messa in discussione da alcuni dei suoi grandi fautori a causa dei costi miliardari dei quali molti sembrano accorgersi solo ora. E tra questi spicca il senatore piddino Stefano Esposito, una sorta di Pecchioli del terzo millennio per la foga con la quale sollecita di seppellire in prigione i NoTav.

    Lasciano il tempo che trovano le affermazioni dei pm in aula di oggi. “Qui non si processano le idee”, parole di Rinaudo, magistrato vicino a Fratelli d’Italia, sottotroncone di An. “La serva che ruba è ladra, la padrona è cleptomane” detto da Padalino, ex figiciotto. Insomma l’arco costituzionale (allargato ai neofascisti) è rappresentato tutto e bene. (frank cimini)

  • “Crimini contro l’ospitalità”, un libro spiega bene perché chiudere i Cie

    “Non è possibile umanizzare una istituzione che porta con sé inscritta la violazione dell’umanità. I Cie vanno chiusi”. In 103 pagine, un po’ reportage dal centro di “accoglienza” di Ponte Galeria, un po’ saggio, Donatella Di Cesare, docente di filosofia teoretica alla Sapienza di Roma, spiega perché i Centri di identificazione ed espulsione, isitituiti con una legge che reca il nome dell’attuale capo dello Stato, sono incostituzionali. Scrive la’utrice: “La porta blindata che si chiude sulla libertà dell’immigrato si chiude anche sulla nostra democrazia”.

    Perché nei Cie vengono privati di libertà e dignità persone che nessun reato hanno commesso. La loro colpa è essere “clandestini”. “Gli stranieri temporaneamente privi di passaporto o carta di identità diventano illegali. Una contingenza burocratica è assurta così a proprietà costitutiva e dominante di un essere umano. Su questo passaggio illecito e contrario a ogni logica si è fondato il reato di clandestinità” scrive l’autrice. (altro…)

  • Bruti ai 46 pm in assemblea: ‘Mai indagine insabbiata o rallentata’.

    “Mai un’indagine è stata insabbiata e nemmeno rallentata. Non ci sono stati ostacoli. I giornali hanno strumentalizzato scrivendo di procura lacerata, io non sono mai intervenuto sui media, non ho replicato e quindi ho una conoscenza parziale dei fatti”. Così ha parlato il capo della procura di Milano Edmondo Bruti Liberati davanti a 46 pm da lui convocati in assemblea per ritrovare la compattezza dell’ufficio inquirente, la cui immagine è stata scalfita dalla querelle tra lo stesso Bruti e uno dei suoi vice Alfredo Robledo, che ora dovrà essere definita dal Csm.

    Per 40 minuti nel corso dell’assemblea si è parlato di “Giada” il programma per fissare le udienze finanziato con soldi Expo e che ha creato fin qui più problemi di quanti non ne abbia risolti. E pure su questo punto Bruti ha trovato il modo di prendersela con i giornali e con le rappresentazioni che ne hanno dato. Un’assemblea un po’ surreale, in un clima difficile dove a un certo punto un pm si è sentito iun dovere di non essere stato lui a fornire le mail per un articolo su “Giada”.

    Nessuno ha fatto cenno invece ai fondi Expo della giustizia assegnati senza gare proprio nel palazzo in cui si prendono provvedimenti restrittivi della libertà in materia di turbativa d’asta. E su “nessun rallentamento di indagini o insabbiamento” non è stata pronunciata da alcuno la parola Sea, il nome del fascicolo “scomparso” per 6 mesi, da ottobre 2011 a marzo 2012, affidato da Bruti a Robledo quando la gara d’asta era già stata fatta, e che poi ha visto il proscioglimento di Vito Gamberale e degli altri imputati. Hanno preso la parola per fare rilievi critici Luca Poniz, Luca Gaglio e Paola Pirotta (solo quest’ultima viene considerata ‘roblediana’), i quali hanno sottolineato come ad alcuni pm vengano messi a disposizione più mezzi (polizia giudiziaria e carichi di lavoro meno pesanti) rispetto ad altri.  Alla fine è arrivato un timido applauso attribuito da chi c’era ai ‘fedelissimi’ del capo.

    Per Bruti “l’assemblea è andata bene, le assenze sono dovute a impegni di udienze o comunque di lavoro”. Il capo ha preanniunciato altre riunioni e l’aggiunto Francesco Greco ha proposto di fare unba nuova assemblea “anche prima di Natale”.

    Prima dell’inizio della riunione,  Bruti, di cui è nota la proverbiale gentilezza coi giornalisti (anche con chi lo critica), è apparso insolitamente nervoso. “Se il procuratore Robledo vuole fare le conferenze stampa, le faccia”, si è rivolto con stizza ai giornalisti che facevano la ‘conta di presenti e assenti’ davanti alla sua stanza ed erano appena usciti dall’ufficio del ‘rivale’. “Non state qui ad origliare, spostatevi, faremo un verbale che poi resterà a noi e ci faremo una ragione di chi viene e di chi non viene”. Poi è tornato al consueto aplomb e, stando a quanto riferito da chi era presente, ha fatto anche cenno ai problemi più importanti della vita di fronte ai quali anche la sua lite con Robledo viene sminuita.  (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • A leggere Beccaria avvocati, giornalisti e un solo giudice, Roberta Cossia

    Si legge Beccaria nell’atrio del palazzo di giustizia per iniziativa della commissione carceri del Comune di Milano e della camera Penale. Ognuno legge un paio di passi. In piedi, al microfono, l’eco non è delle migliori (eufemismo) ma questo si sapeva e si sa.

    Si alternano avvocati e giornalisti. E un solo giudice, Roberta Cossia, ex gip che lavora da anni al Tribunale di Sorveglianza. Si tratta di uno dei pochi magistrati che Beccaria lo ha letto bene, lo conosce, lo ha capito. Insomma se ne intende e non avrebbe bisogno di rileggerlo. E invece è qui. Altri no. Molti sono impegnati a studiare come arrestarsi tra loro. Vent’anni fa dovevano e volevano cambiare il mondo, ora si guardano in cagnesco facendosi le pulci, combattendosi nel nome delle correnti. Scimmiottano i partiti e hanno pure il coraggio di gridare indignati che sono indipendenti e autonomi. Da chi? Leggessero Beccaria. (frank cimini)

  • Cronaca giudiziaria orfana di zio Silvio.
    Ora lo possiamo dire: mai più uno così.

    Senza ‘zio Silvio’ non c’è più la cronaca giudiziaria. Siamo tutti orfani.  Uno come lui su cui scrivere non ci sarà mai più. Presidente del consiglio o capo dell’opposizione, tre tv,  giornali, assicurazioni, banche, un partito personale, un potere immenso, decine di processi  soprattutto a Milano nel palazzo che fu simbolo di Mani pulite (che lui all’inzio appoggiò con i suoi potenti mezzi) e dulcis in fundo il numero di cellulare memorizzato sugli apparecchi di centinaia di prostitute.

    Ora ‘zio Silvio’ ha meno potere di prima e i processi sono quasi finiti, anche se dovrà far fronte a Ruby-ter, la corruzione dei testimoni e soprattutto delle testimoni, quando la procura incavolata per l’assoluzione in appello del Ruby-uno chiederà il rinvio a giudizio. Ma nulla sarà come prima. Sia per lui sia per i cronisti giudiziari, costretti a sbarcare il lunario vergando articolesse sulla querelle Bruti-Robledo, anche quella peraltro conseguenza dell’inizio della fine del potere del Cav ex Cav.

    Nessun imputato potrà essergli mai pari. Leggi ad personam da una parte e procedure ad personam dall’altra. Parlamento a sua disposizione fino ai 214 che votano “Ruby nipote di Mubarak” e decine di persone, specialmente femmine, intercettate perché frequentavano Arcore, prima di indagare formalmente lui sei mesi dopo. Una storia durata vent’anni, iniziata con un avviso di garanzia per corruzione depositato in edicola mentre lui presiedeva a Napoli un convegno planetario sulla criminalità e finito molto tempo con un’assoluzione.

    Tante prescrizioni perché lui modificava le norme, ma anche apparati investigativi giganteschi. Mai un’azienda ebbe un numero così elevato di perquisizioni a tappeto. Fossero stati trattati tutti così i grandi gruppi industriali sarebbe finito il capitalismo senza alcuna presa del palazzo d’inverno da parte dei bolscevichi.

    Abbiamo lavorato tantissimo, ci siamo anche divertiti e ora sentiamo la sua mancanza. Anche se lui c’è ancora, un po’ tra gli anziani di Cesano Boscone e un po’ a fare lo statista e il padre della patria, cosa questa di cui quando era potente gli fregava nulla. Buttato fuori dal Senato grazie a una legge che anche il suo partito aveva votato sotto l’emozione delle ruberie di Batman, un Carneade qualsiasi, “solo un mariuolo”, uno che a zio Silvio manco un baffo gli fa. Comunque grazie zio Silvio e lunga vita (frank cimini)