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  • Sulla piastra Expo il pg vuole indagare ancora 6 mesi

    Con ogni probabilità il sostituto procuratore generale Felice Isnardi chiederà altri sei mesi per indagare sulla “piastra”, l’appalto targato Expo da 272 milioni di euro vinto con un ribasso del 42 per cento dalla Mantovani. La notizia, anticipata dal ‘Fatto Quotidano’, viene confermata oggi in ambienti giudiziari. Evidentemente i 30 giorni decisi dal gip dopo l’avocazione del fascicolo da parte della procura generale non possono bastare per accertare che cosa accadde veramente. Insomma c’è ancora lavoro da fare. Quello che la mitica procura di Milano allora guidata da Bruti Liberati non fece. “Non c’era tempo per la verifica di congruità” fu la spiegazione di Expo alla quale i pm aderirono nella sostanza e non è stato l’unico episodio del genere.

    Era accaduto pure per la mancata gara pubblica in relazione a due padiglioni della ristorazione, assegnata a Oscar Farinetti. Ci fu un’indagine lampo sul numero uno dell’evento Beppe Sala, nemmeno interrogato, e archiviazione dell’accusa di abuso d’ufficio. “Sala favorì Farinetti ma non è provato che ne avesse l’intenzione”, la tesi della procura nel paese in cui amministratori pubblici sono condannati per molto meno sposata dal giudice, lo stesso che per i fondi di Expo giustizia si affidò ad aziende che avevano consuetudine con l’amministrazione, “ditte amiche”, senza una gara pubblica. Insomma Expo doveva essere fatta e poche chiacchiere. In occasione di eventi speciali la legalità diventa un optional e il diritto si storce. Con il timbro dei magistrati.

    Eccolo spiegato il successo di Expo. Bastano le parole con cui per due volte Renzi ringraziò l’allora procuratore Bruti Liberati: “senso di responsabilità istituzionale”.

    Su Expo si consumò la guerra interna alla procura tra Bruti e l’aggiunto Alfredo Robledo, prima allontanato dagli interrogatori e poi trasferito a Torino dal Csm. Adesso a più di due anni di distanza è la procura generale a cercare la verità che alla procura per ragion di stato non interessava. Non è detto che ci riesca, ma l’affare intanto si ingrossa (frank cimini)

  • La Procura di Milano allo sbando dopo il pasticcio sul delitto Caccia

     

    Il pasticcio è davvero brutto e la “mitica” procura dà l’impressione di non sapere come uscirne. Rocco Schirripa era stato arrestato il 21 dicembre dell’anno scorso, come esecutore materiale dell’uccisione di Bruno Caccia, nel 1983 capo della prcura di Torino. Ma Schirripa era già stato indagato 20 anni fa e poi archiviato. Le manette scattavano senza che la procura avesse chiesto al gip la riapertura formale del caso. Quindi processo da azzerare. Il pm Marcello Tatangelo sabato scorso chiedeva alla corte d’assise la scarcerazione. Richiesta accolta oggi ma nello stesso tempo è scattato il fermo di Schirripa sul quale il gip dovrà decidere entro 48 ore.

    Le prove illegittime non sono prove, protesta la difesa. Parliamo delle intercettazioni raccolte dalla procura senza la riapertura formale delle indagini. Ma gli elementi raccolti prima di inserire (per la seconda volta) il nome di Schirripa tra gli indagati possono essere usati. In origine infatti il fascicolo era stato rubricato a modello 44, seza indagati. Certo, un po’ strano se si procede per omicidio. Il panettiere era finito nel registro degli indagati con ritardo. Cioè si indagava su di lui senza farlo formalmente, una procedura anomala troppo spesso usata dagli inquirenti anche con personaggi illustri tanto che Berlusconi ne è stato vittima due volte, nel 1994 (inchiesta tangenti alla gdf) e nel 2010 (caso Ruby).

    Non si capisce (ma in realtà si comprende benissimo) perché di fronte a comportamenenti gravi dei magistrati perchè i pm non possono non conoscere vita morte e miracoli di un fascicolo a loro affidato il ministro della giustizia non abbia messo un paio di ispettori sul Frecciarossa per Milano. Del resto anche per il fascicolo Sea “dimenticato” per 6 mesi in un cassetto gli 007 non erano partiti.  Evidentemente le procure, in particolare quella di Milano, sono intoccabili. Poche settimane fa il capo dell’Anm Piercamillo Davigo in un’intervista era arrivato a dire: “I processi sulle primarie non li abbiamo ancora fatti”. La politica si prende gli avvertimenti e tace. E’ ricattabile. (frank cimini)

  • Fusco risponde a Robledo, su Finmeccanica nessuna rivelazione ad Aiello

    La “guerra” tra l’ormai ex procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati e l’ex aggiunto Alfredo Robledo continua con altri mezzi, cioè a colpi di “memorie” despositate al consiglio giudiziario tra il pm Eugenio Fusco e lo stesso Robledo nel frattempo trasferito a Torino come giudice.

    Il consiglio giudiziario entro un paio di mesi dovrà prendere una decisione molto importante dal punto di vista formale, la possibilità per Robledo di vedersi confermare l’incarico di procuratore aggiunto, incarico sul quale la Cassazione modificando la scelta del Csm ha già detto di sì. In ogni caso Robledo non potrà tornare in procura a Milano.

    In una memoria Robledo aveva chiesto che Fusco, componente del consiglio giudiziario, si astenenesse nella decisione a causa di incompatabilità e anche un presunto conflitto di interessi.

    Al centro della vicenda i rapporti tra Robledo e l’avvocato Aiello all’origine del trasferimento a Torino. “Anche Fusco ebbe rapporti con Aiello” è la tesi di Robledo in relazione all’indagine su Finmeccanica. “Mi viene attribuito di aver rivelato il contenuto di una misura cautelare despoitata il 21 dicembre 2012 di cui successivamente avrei fatto sapere l’esito e il contenuto di informative a carico di Lunardi nelle quale si richiedeva l’emissione di misure cautelari – replica Fusco – Nell’atto prodotto dal dottor Robledo manca un elemento di fondamentale importanza, che può sfuggire a chi legge ma difficilmente a chi scrive: tutte le conversazioni telefonicbe riportate (tra l’avvocato Aiello e un altro legale n.d.r.) sono successive all’esecuzione dell’ordinanza nei confronti di Giuseppe Orsi e Bruno Spagnolini”.

    Inoltre Fusco precisa: “Non corrisponde al vero che siano state redatte informative con richiesta di emissione di misura cautelare a carico di Lunardi”.

    (frank cimini e manuela d’alessandro)

    La memoria con cui Fusco risponde a Robledo

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  • Mastrogiovanni, i medici condannati tornano in corsia perché manca la legge sulla tortura

     

    Sette anni fa Francesco Mastrogiovanni, “il maestro più alto del mondo” (definizione dei suoi studenti) fu tenuto legato mani e piedi per 87 ore al letto di contenzione dell’ospedale di Vallo della Lucania, reparto psichiatrico. Oggi la corte d’appello di Salerno modificando parzialmente la sentenza di primo grado ha condannato insieme ai 6 medici anche gli 11 infermieri assolti dal tribunale in primo grado. Pene fino a 2 anni di reclusione con la concessione delle attenuanti generiche ma cade l’interdizione dai pubblici uffici: gli imputati, condannati a vario titolo per omicidio come conseguenza del sequestro di persona e falso, torneranno in corsia.

    Ed è questa la conseguenza più preoccupante alla fine di un iter giudiziario tortuoso e che come altre vicende sconta il fatto che l’Italia non ha mai ratificato la convenzione internazionale che prevede la tortura come reato tipico del pubblico ufficiale. In Parlamento da sempre non si riesce a fare un passo in avanti. I sindacati di polizia sono contrarissimi e la politica si adegua al volere di chi è intenzionato a continuare con certe pratiche.

    La situazione di stallo ha poi ricevuto un autorevole avallo dal Quirinale che tra Napolitano e Mattarella ha dato la grazia a ben tre responsabili del sequestro dell’imam Abu Omar, vittima di una operazione di terrorismo di stato o meglio di più stati, torturato e sodomizzato.

    Il caso Mastrogiovanni fa parte di un lungo doloroso elenco dove spiccano le torture inflitte ai manifestanti contro il G8 di Genova del 2001. Chi scrive queste poche righe lo fa per denunciare l’ennesima ingiustizia derivata dall’assenza di una norma sacrosanta a tutela dei cittadini, la protervia e l’arroganza del potere. Ma anche per ricordare un amico e compagno di sovversioni giovanili negli anni ’70 che ha pagato con la vita l’essere considerato “diverso”, “pazzo” dalle istituzioni totali che lui da anarchico aveva sempre combattuto (frank cimini)

  • La Procura impugna l’assoluzione dei No Expo, i due pesi e due misure

    “Dove vedono e dove cecano”, recita il vecchio adagio. Che la procura ricorra contro le assoluzioni è considerato fisiologico, ma a volte il contesto fa la differenza. La procura di Milano ha impugnato la sentenza del gup che aveva assolto 3 manifestanti dall’accusa di devastazione in relazione al corteo del primo maggio del 2015. E’ lo stesso ufficio inquirente che aveva chiuso un occhio e l’altro pure sugli appalti dell’evento. Una circostanza pacificamente provata dal premier Matteo Renzi che in riferimento al “successo” di Expo ringraziava in ben due occasioni l’allora procuratore Edmondo Bruti Liberati per “il senso di responsabilità istituzionale”.

    La moratoria delle indagini, che portava tra l’altro al proscioglimento del numero uno di Expo Beppe Sala dall’accusa di abuso d’ufficio con una motivazione tragicomica, non vale per le pietre tirate contro le vetrine delle banche. In 40 pagine la procura rimprovera al gup una errata applicazione della legge penale e il fatto di non aver valutato complessivamente e unitariamente gli elementi di prova.

    Dura lex sed lex, ma solo per chi ha protestato contro la manifestazione simbolo del sistema paese di cui la magistratura evidentemente si sente parte integrante con tanti saluti all’obbligatorietà dell’azione penale. In questo caso la procura non demorde e fa finta di niente anche davanti alla lezione di diritto impartita dalla corte di appello di Atene che nel respingere l’estradizione di 5 anarchici ricordava il principio della responsabilità penale come personale e non collettiva.

    “Giustizia di classe” si sarebbe detto in altri tempi, quando per esempio il neo procuratore di Milano Francesco Greco faceva parte della sinistra di Md, una sparuta pattuglia di magistrati (“pochi ma buoni”) distribuita tra Roma e Milano che contrastò la logica dell’emergenza battendosi con vigore anche contro i vertici della corrente. Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta e vale ma solo fino ad un certo punto la considerazione che si nasce incendiari e si muore pompieri. Non è così per tutti in verità. La legalità non è una questione di giustizia ma di potere. (frank cimini)

  • Guerra senza fine in Procura. Robledo: anche il pm Fusco ebbe contatti con l’avvocato Aiello.

    E’ senza fine la guerra in procura a Milano che era sfociata nel trasferimento dell’aggiunto Alfredo Robledo come giudice a Torino nel corso del contenzioso con l’allora procuratore capo Edmondo Bruti Liberati. Adesso Robledo ha depositato al consiglio giudiziario, chiamato a formulare un parere sul mantenimento dell’incarico, una memoria in cui chiama in causa il pm Eugenio Fusco.

    Fusco avrebbe intrattenuto rapporti confidenziali con l’avvocato Domenico Aiello, lo stesso legale con il quale Robledo aveva scambiato una serie di sms all’origine del trasferimento del magistrato a Torino.

    “Nello stesso contesto dell’indagine di Reggio Calabria Aiello – scrive Robledo – sempre in occasione di conversazioni telefoniche con terzi affermava che il collega Fusco gli avrebbe rivelato in dettaglio il contenuto di una richiesta cautelare al gip depositata il 21 dicembre 2012”. “Non ho alcun dubbio che le affermazioni di Aiello non siano veridiche – aggiunge Robledo nella memoria al consiglio giudiziario –  per queste ragioni ritengo che via sia stata una disparità di trattamento. Per analoga fattispecie nei miei confronti era stato aperto un procedimento disciplinare mentre non mi risulta che analoga iniziativa sia stata adottata nei confronti del collega Fusco”

    Fusco è membro del consiglio giudiziario e si troverebbe secondo Robledo in una classica situazione da conflitto di interessi non solo per le affermazioni di Aiello ma anche per la precedente vicenda Sea, il fascicolo “dimenticato” in carico allo stesso Fusco e che il procuratore Bruti Liberati affidò al dipartimento di Robledo solo a gara d’asta conclusa e quando in pratica non era più possibile svolgere accertamenti dal momento che i direttati interessati ormai sapevano di essere sotto inchiesta.

    Secondo la ricostruzione di Robledo, Fusco non dovrebbe partecipare al voto in merito al parere che il consiglio giudiziario deve mandare al Csm. Quel parere è importante perché riguarda il futuro professionale di Robledo. Le sezioni civili della Cassazione infatti confermando il trasferimento di Robledo a Torino hanno anche deciso che contrariamente alla scelta del Csm il magistrato può fare l’aggiunto. La decisione non è definitiva non essendo ancora state depositate le motivazioni e di questo ritardo Robledo si duole nella memoria al consiglio giudiziario.

    Va detto che rapporti di grande confidenza tra avvocati  e magistrati sono la norma, a volte pure con punte di spregiudicatezza (non ci sembrano questi i casi, né per Robledo, né per Fusco), ma il problema è che in questa vicenda ci sono stati fin qui due pesi e due misure.

    A Robledo il Csm e la Cassazione hanno fatto pagare la colpa di aver gridato forte che il re è nudo, cioè che i magistrati spesso fanno valutazioni politiche. Del resto questo è il rimprovero della procura di Brescia a Bruti Liberati in merito alla gestione del caso Sea pur assolvendolo dall’accusa di abuso d’ufficio. Ma anche qui il rimprovero è rimasto lettera morta soprattutto perché il Csm annunciava il procedimento disciplinare a carico di Bruti solo quattro giorni dopo che l’allora capo della procura aveva annunciato di andare in pensione. E’ la giustizia bellezza! (frank cimini e manuela d’alessandro)

     

     

  • Auguri Cavaliere, non avremo mai più un imputato così divertente

     

    Auguri Cavaliere (per noi lo sei sempre), auguri sentiti e sinceri. La cronaca giudiziaria un “cliente” come te l’avrà mai più. Udienza dopo udienza passarono 22 anni e non è ancora finita. A Milano e altrove causa spezzettamento per ragioni di competenza c’è il Ruby-ter mentre s’annuncia un Ruby-quater. Ecco, presidente Berlusconi basta questo dato: per un pelo di quella lana siamo a quattro processi, un record mondiale.

    Ci hai fatto scrivere tanto e scriveremo ancora, ci hai fatto divertire. Anche noi siamo tra i beneficiati della tua discesa in campo. In un certo senso, ovvio. E non siamo i soli. Lo diciamo a te che hai portato in parlamento e al governo personaggi assolutamente improbabili, che senza Berlusconi avrebbero fatto fatica a mettere insieme il pranzo con la cena. Non solo gli amici o presunti tali. Pure ai nemici o presunti tali hai fatto del bene. Il ‘Manette Daily’ con Berlusconi a palazzo Chigi sfondava il muro delle centomila copie, adesso dati ufficiali ma verosimilmente drogati come quelli di tutte le gazzette lo mettono a 38 mila copie. Se è vero che quei manettari in servizio permanente effettivo attaccano tutti è anche vero che i mal di pancia provocati da te al potere restano unici.

    Presidente del consiglio o quando andava male capo dell’opposizione, 6 tv, banche, assicurazioni, giornali, il Milan che vinceva tutto e un mare di donne, la causa dicono degli ultimi guai. O meglio parte di quel 20 per cento di processi infondati, una piccola parte che però ha inficiato tutta l’azione della magistratura. Del resto sei l’unico grande imprenditore sul quale hanno indagato a fondo nell’ambito di un’operazione senza pari nel mondo civile. Altri tuoi colleghi sono stati miracolati, anche raccontando a verbale ‘nu cuofano e fesserie.

    Noi abbiamo seguito e registrato tutto. La consapevolezza è che un altro imputato così non ci sarà, non ci potrà essere. Adesso buona parte della magistratura fa carriera e acquisisce potere soprattutto non facendo le indagini che dovrebbe fare. Una volta era il contrario, anche se le moratorie qui e lì, i due pesi e due misure ci sono sempre stati. Caro Cavaliere, l’augurio è di goderti gli 80 anni e pure quelli che verranno. E’ stato bello, ma si tratta di un tempo irripetibile. Auguri ancora.

    (frank cimini)

  • Per Sala moratoria Expo senza fine, nuova archiviazione sulle case non dichiarate

     

    Peppino Sala nell’autocertificazione richiesta ai titolari di cariche pubbliche aveva indicato un terreno a Zoagli ma non i due immobili costruiti, e nemmeno due motocicli, una casa in Svizzera e le quote di una società in Romania, ma questo non gli costerà un processo per falso ideologico. Perché la procura di Milano ha chiesto di archiviare l’accusa in quanto si tratterebbe solo di informazioni incomplete. Non ci sarebbe stata alcuna alterazione della realtà. Nel caso il gip dovesse accogliere la richiesta dei pm Sala sarebbe fuori dai guai per la seconda volta. Una sorta di sindaco della procura.

    Era già caduta infatti l’accusa di abuso in atti d’ufficio in relazione all’affidamento a Oscar Farinetti di due padiglioni per la ristorazione di Expo senza indire gara pubblica. Il gip su richiesta conforme della mitica procura di Milano decise che Sala favorì Farinetti ma non c’era la prova che ne avesse l’intenzione. Una motivazione tragicomica, come del resto appare quella degli immobili di Zoagli.

    Insomma la moratoria su Expo appare senza limiti e si protrae nel tempo, anche adesso l’evento è finito da tempo. Expo non si tocca. Del resto per il “successo” dell’esposizione Renzi aveva ringraziato in ben due occasioni la procura allora di Bruti Liberati parlando di “responsabilità istituzionale”. Adesso al posto di Bruti c’è Francesco Greco, già nel ‘cerchio magico’ dell’allora procuratore capo. E non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Expo e i suoi uomini, Sala in testa, sembrano godere di una sorta di impunità. Il proscioglimento in relazione all’affare Farinetti fu sicuramente più grave. Ricordiamo però che venne firmato da un giudice il quale sui fondi Expo giustizia si era comportato come Sala contribuendo a distribuirli senza gare pubbliche.

    Quantomeno a livello di scambi di potere Expo è stato un banchetto dove hanno mangiato tutti, anche i magistrati. Per questo la verità non la sapremo mai. Tutto a difesa del sistema paese, cioè la patria degli affari. E la chiamano pure legalità. (frank cimini)

  • “Il marcio su Roma”, quando la politica è peggio dei clan

    “La politica sta facendo il possibile per perdere l’occasione. La via d’uscita in fondo è semplice: sostituire il necessario processo politico al funzionamento di un sistema politico con un processo penale contro la ‘mafia romana” usando Massimo Carminati e Salvatore Buzzi come parafulmini”. “Il marcio su Roma”, 186 pagine, 15 euro, Cairo Editore, scritto dal giornalista del manifesto Andrea Colombo, mette il dito nella piaga, è senza ombra di dubbio l’analisi più fredda sulla vicenda demoninata “Mafia capitale”.

    Colombo giustamente privilegia il parlare di politica perchè come sempre accade in casi del genere l’aspetto penale è quello meno interessante. Intanto ci vorrà qualche anno per arrivare a stabilire se dal punto di vista tecnico-giuridico operò un’associazione mafiosa o si trattò solo di una storia di grande corruzione, grande ma non grandissima dal punto di vista delle cifre. Siamo infatti a livello molto inferiore a quello di Expo e ciò sarebbe stato molto chiaro se la mitica procura di Milano avesse indagato sugli appalti dell’evento invece di decidere una moratoria per la quale il premier Renzi ha ringraziato pubblicamente due volte i magistrati definendo il tutto “sensibilità istituzionale”. In parole povere l’aggiramento dell’obbligatorietà dell’azione penale.

    Tornando a Roma, “la presenza a pari merito di tutte le forze politiche, destra, centro cattolico e sinistra impedisce per una volta di adoperare lo scandalo solo come argomneto di facile propaganda contro gli avversari. Stavolta non si può dire: quelli sono corrotti non noi, non può dirlo nessuno – chiosa Colombo – il problema non può essere affrontato nei termini di una politica distratta che ha permesso il proliferare delle mele marce ma deve essere posto nei termini di un sistema che non è tale solo nella capitale”. Er sistema, appunto.

    Il libro di Andrea Colombo smentisce dati e fatti alla mano che il sistema fosse sostanzialmente sano fino alla vittoria di Alemanno, dal momento che già nell’era Veltroni erano presenti quasi tutte le denegerazioni di cui poi si sarebbe avvalsa l’associazione di Carminati. La cooperativa “29 giugno” “passa da normale cooperativa sociale a potenza tentacolare con Veltroni ed è difficile credere che Luca Odevaine, suo capo di gabinetto fosse allora una perla mutatasi poi in gaglioffo per sortilegio”. Insomma “Mafia capitale” nacque “a sinistra”. E pure su questo si dovrebbe riflettere, ma non lo fa nessuno. La politica delega ai magistrati la risoluzione di problemi sociali, politici e culturali. Accade da quasi 40 anni nell’ex culla del diritto. “Mafia capitale” non è un’eccezione (frank cimini)

  • “Chiediamo a Signorini la verità”, i magistrati non credono a Legnini sulla toga fedifraga

    “Non risulta pendente alcun procedimento penale o disciplinare a carico di componenti del Csm”. Giovanni Legnini prova a smentire la vicenda del magistrato fedifrago svelata da giustiziami.prlb.eu inviando una  nota ai consiglieri dell’organo di autogoverno della magistratura. Nessuno sembra però credergli e anzi molti deridono i toni ambigui del comunicato.

    Legnini ha dovuto emergere dal silenzio pressato dalle centinaia di magistrati che chiedono da giorni chiarezza nelle mailing list di corrente. “Se davvero è andata così, questo signore non può continuare a sedere nel Csm”, scrivono in molti. Altri manifestano livore contro la stampa: “Quando si vuole eliminare un concorrente si prega un giornalista (è un termine improprio) e si da’ origine alla notizia”.  Nei bar attorno al Tribunale di Milano all’ora di pranzo capannelli di toghe si confrontano sul nome (lo sanno tutti) e sui risvolti della vicenda.  E lo stesso accade a Roma,  da dove stamattina il presidente del Csm Legnini si è sentito in dovere di riportare “un clima sereno e proficuo” tra i magistrati.

    Ma la sua difesa non ha convinto stando alla mailing list di Anm. “E’ uno scialbo comunicato parasovietico del tipo in Urss non ci sono furti”, azzarda uno. “Legnini scrive ‘non è pendente alcun procedimento’ – osservano altri – parlando al presente. Questo significa che in passato lo era e magari è stato definito con un patteggiamento?”. E ancora: “Se non fosse per lo sputtamento, ci sarebbe da ridere”; “Chiediamo a Signorini come sono andate le cose”.

    Chissà se il giornalista re del gossip sa se il Csm ha mai aperto un’inchiesta sul magistrato fedifrago esercitando quell’azione penale che dovrebbe essere il pane della magistratura, oppure se ora sta insabbiando un’indagine conclusa con un patteggiamento o in altro modo che avrebbe dovuto portare alla rimozione dall’incarico, peraltro importante, rivestito dal magistrato. (manuela d’alessandro e frank cimini)

  • Storia di corna, membro del Csm simula furto iphone

     

    Aveva scritto via whatsapp un messaggio all’amante inviandolo per errore alla moglie che s’infuriava e chiedeva spiegazioni e lui replicava che l’apparecchio gli era stato rubato. Il nostro nel tentativo di dimostrare di essere estraneo al fatto presentava una denuncia formale alla polizia affermando di aver subito un furto. Protagonista della vicenda un componente togato del consiglio superiore della magistratura che ora è nei guai, indagato dalla procura di Roma per simulazione di reato e sotto procedimento disciplinare. Perché la denuncia si è rivelata priva di riscontri con la realtà.

    I controlli e gli accertamenti in un caso del genere sono molto più accurati e soprattutto più veloci rispetto a quando una denuncia del genere viene presentata da un comune mortale. Per cui emergeva immediatamente che l’apparecchio, peraltro intestato al Csm, era sempre stato nella disponibilità del consigliere e mai oggetto di un furto.

    Il nostro magistrato è indagato dalla procura di Roma per aver simulato un reato e sotto inchiesta disciplinare da parte del Csm. Tutto è accaduto perché il consigliere non ha avuto la forza di far fronte alla rabbia di sua moglie per quel messaggio all’amante dal contenuto diciamo “inequivocabile” e ha finito per imboccare una strada senza ritorno.

    La vicenda è clamorosa, considerando l’importante incarico ricoperto dall’interessato che è tuttora al suo posto a giudicare i colleghi in attesa dello sviluppo delle indagini. L’episodio avvenuto alcuni mesi fa è coperto dal massimo riserbo anche se risulta essere a conoscenza di un numero non certo piccolo di persone.

    Con tutti i problemi che ha il Csm mancava solo una storia di corna gestita molto male (peggio non si poteva insomma) dal protagonista principale. Adesso si tratta di stare a vedere come sarà gestita dai colleghi del nostro, a Perugia e a Roma. Mettere tutto a tacere appare francamente difficile anche se recentemente in più occasioni il cosiddetto organo di autogoverno dei giudici ha dimostrato di avere l’omertà nel suo dna (frank cimini).

  • Sala batte il gemello Parisi…l’aiutino dei giudici

    Alla fine solo un milanese su due è andato a votare, ma Beppe Sala riesce a battere il gemello Stefano Parisi e diventa sindaco. Da Palazzo Marino controllerà il dopo Expo dopo essere stato il numero uno della gestione dell’evento del quale in verità non si conoscono ancora i conti veri, ma è uno di quei casi in cui il conflitto di interessi evidentemente non conta.

    Resta la gestione opaca (eufemismo) dell’evento universale intorno al quale aveva fatto quadrato il cosiddetto sistema paese sin dal giorno in cui in quel di Parigi Milano e l’Italia avevano sbaragliato la terribile armata di Smirne. Del sistema paese ha fatto parte integrante la magistratura con tanti saluti all’esercizio obbligatorio dell’azione penale con cui ci ammorbano in convegni e comunicati stampa. Innanzitutto Sala ha potuto essere il candidato del centrosinistra perché magistrati e giudici hanno chiuso un occhio e l’altro pure sul favore che Sala nel settore ristorazione di Expo aveva fatto all’amico Oscar Farinetti. Nessuna gara pubblica, nessun abuso d’ufficio decise il gip su richiesta conforme della procura, nonostante nella tragicomica motivazione si ammettesse che mister Eataly fu favorito di fatto. Ma senza che ce ne fosse l’intenzione, furono le parole. Insomma c’era fretta, show must go on.

    Non c’era traccia di accordi sotterranei fu la tesi di pm e gip dimenticando che in tal caso l’accusa sarebbe stata di corruzione e non di abuso d’ufficio. Il giudice poi era uno di quelli che evitò le gare pubbliche per i fondi di Expo giustizia. Chi controlla i controllori non lo sapremo mai.

    Il centrosinistra era già stato beneficiato dal fascicolo sulla compravendita della Sea, dimenticato per 6 mesi in un cassetto della procura e ricomparso magicamente solo quando le indagini non si potevano più fare, scatenando la guerra interna all’ufficio inquirente in cui alla fine ha pagato l’anello debole il pm Robledo trasferito a Torino per lesa maestà dell’allora capo Bruti Liberati. In seguito partì la moratoria delle indagini sugli appalti Expo dove la ciliegina sulla torta è il proscioglimento di Sala senza nemmeno il disturbo di un interrogatorio. Il premier Renzi in ben due occasioni ringraziò Bruti Liberati “per la sensibilità istituzionale”. La legge per gli avversari si applica, per gli amici si interpreta. Nell’ex patria del diritto (frank cimini)

     

  • Sui no Expo flop della procura, crolla il teorema della ‘devastazione’

    Crolla il teorema della devastazione, l’accusa che la procura di Milano, quella della moratoria sugli appalti Expo, aveva formulato a carico di 4 imputati nel processo con rito abbreviato concluso questa mattina in relazione alla manifestazione del primo maggio. 3 imputati sono stati assolti dall’imputazione più grave, devastazione e saccheggio, uno solo è stato condannato a 3 anni e 8 mesi, pena minima considerando che per questo reato si rischiano da 8 a 15 anni di reclusione.

    Uno degli imputati è stato assolto da ogni accusa e questo significa che ha fatto 6 mesi di custodia cautelare gratis. Per resistenza aggravata il gip ha deciso due condanne; a 2 anni e 2 mesi e a 1 anno e 8 mesi. Va considerato che a ottobre scorso erano state emesse 10 misure di custodia cautelare in carcere. 5 di questi provvedimenti riguardavano giovani greci per i quali la corte di appello di Atene aveva respinto la richiesta di estradizione, puntualizzando che  la responsabilità collettiva non esiste, che c’è solo quella personale e che nel capo di imputazione non era indicata la responsabilità di fatti specifici per ognuno degli indagati.

    La motivazione dei giudici greci, illustrata dai difensori degli imputati davanti al gup, ha finito per influire sulla sentenza. “Considerando tutto, la procura ha perso 9 a 1: su 10 misure carcerarie emesse c’è un solo condannato per devastazione e saccheggio. Un decimo indagato non è ancora arrivato al vaglio dei giudici perché si trova all’estero.

    Insomma la montagna della procura ha partorito il classico topolino. Questo accade dopo che i provvedimenti restrittivi erano stati emessi a sei mesi dai fatti quando le esigenze cautelati erano tutt’altro che attuali. Si tratta di un processo che poteva essere celebrato con gli indagati a piede libero, ma la procura aveva scelto deliberatamente di drammatizzare i fatti del primo maggio, la protesta dei NoExpo.

    Tutto il contrario era accaduto con gli appalti dove dopo un po’ di arresti per corruzione relativi a personaggi già rottamati ai tempi di Mani pulite, le indagini si fermavano alcuni mesi prima dell’inaugurazione dell’evento. E’ la moratoria che ufficialmente viene negata ma che sta nei fatti. E a beneficiarne è stato soprattutto Beppe Sala, prosciolto dall’accusa di aver favorito Oscar Farinetti per la ristorazione, senza nemmeno il disturbo di essere interrogato. Sala evitava di fare la gara pubblica. Che poi è quello che per i fondi di Expo giustizia facevano i vertici del palazzo di corso di porta Vittoria affidando i lavori ad aziende amiche. Significa che assolvendo Sala la magistratura ha assolto se stessa.

    Il progetto della “giustizia” era di far pagare per Expo il conto solo a chi era sceso in piazza per protestare. Ma alla fine la procura della moratoria sugli appalti, decisa per non disturbare l’evento e in omaggio alla ragion di stato, ha raccolto ben poco, molto meno di quello che pensava. Il caso del resto si era già ridimensionato se si pensa che a ottobre, al tempo delle dieci misure carcerarie, gli investigatori avevano detto esplicitamente che c’erano altri identificati e che altre manette sarebbero arrivate. Non è arrivato nulla e ormai dal primo maggio del 2015 è passato oltre un anno. Una delle spiegazioni è che c’è un giudice se non a Berlino ad Atene, da dove per la “mitica” procura di Milano è arrivata una vera lezione di diritto. (frank cimini)

  • Il Csm riduce la sanzione a Robledo che gridò: “Il re è nudo”

    Alfredo Robledo si vede confermare dal Csm il trasferimento a Torino ma recupera la funzione di procuratore aggiunto oltre alla perdita di sei mesi di anzianità. Insomma sanzione ridotta ma resta il fatto che Robledo è l’unico a pagare dazio per lo scontro interno alla procura di Milano con l’allora capo Edmondo Bruti Liberati, una vicenda con la quale la magistratura è riuscita a farsi male da sola e in misura superiore a qualsiasi “delegittimazione” compresa quella operata dall’imputato eccellente per antonomasia.

    Robledo con il suo esposto in pratica aveva gridato: “Il re è nudo”.  Aveva fatto emergere alla luce del sole che i magistrati fanno valutazioni politiche. Questo tra l’altro mise nero su bianco, rimproverando Bruti pur assolvendolo dall’abuso d’ufficio, la procura di Brescia. Bruti però non ha pagato dazio dal momento che il Csm annunciò il procedimento disciplinare solo quattro giorni dopo il comunicato con cui l’allora procuratore disse che di lì a poco sarebbe andato in pensione.

    Sul fascicolo Sea, insabbiato da Bruti e consegnato a Robledo con sei mesi di ritardo quando in pratica non si poteva più indagare non sapremo mai cosa accadde veramente. Francesco Greco che supportò Bruti è stato addirittura premiato come successore al vertice dell’ufficio nonostante una decina di  indagini per frode fiscale avocate dalla procura generale e finite con la condanna degli imputati dopo le richieste di archiviazione rigettate dal gip.

    Paga solo l’anello debole della catena. Così ha voluto Giorgio Napolitano al Quirinale all’epoca di fatti e misfatti e regista nemmeno tanto occulto dell’operazione, con quel suo richiamo ai poteri pressoché incontrollabili dei capi degli uffici.

    Il re era nudo per davvero. Ma la verità non interessava non interessa a nessuno. Basta scorrere le cronache con cui i giornaloni hanno incensato la nomina di Greco, da destra a sinistra passando per il centro. Almeno la smettessero di blaterare di indipendenza e autonomia, di obbligatorietà dell’azione penale a ogni piè sospinto. La smettessero di prendere per i fondelli. Non lo faranno. Impunità garantita per legge. Dal Csm che dovrebbe controllare. Il condizionale è più che mai d’obbligo. (frank cimini)

    La difesa di Robledo davanti al Csm

     

  • Il Csm dell’omertà nomina Francesco Greco Procuratore

    Ci sono voluti sette mesi per formalizzare, ma in realtà era tutto scritto, a cominciare dalla manfrina di sentire i candidati uno per uno. Una messa in scena, una ammuina, per fingere una gara vera. Almeno questo spettacolo potevano evitarlo prima di comunicarci che Francesco Greco va a capo della procura di Milano in sostituzione di Edmondo Bruti Liberati, in pensione dal 16 novembre scorso.

    Così è pienamente assicurata la continuità con la gestione di Bruti, soprattutto con la moratoria delle indagini su Expo che tra l’altro ha consentito la candidatura di Beppe Sala a sindaco di Milano, passando per un proscioglimento senza nemmeno il disturbo di un interrogatorio e con una motivazione tragicomica. Il giudice che su input della procura l’aveva firmata era lo stesso che per i fondi Expo giustizia aveva contribuito a non indire gare pubbliche ricorrendo alle solite aziende in strettissimi rapporti con l’amministrazione. Più o meno come si era comportato Sala nel settore ristorazione con Oscar Farinetti.

    Un altro giudice che contribuì a evitare le gare pubbliche, andato in pensione, ora siede comodo in due importanti consigli di amministrazione. Se Expo è stata una grande abbuffata, senza esercizio obbligatorio di quell’azione penale con cui a parole ci ammorbano da sempre, a tavola era presente anche la magistratura.

    I giornaloni illustrando il curriculum del nuovo signore del quarto piano elencano le tante inchieste fatte omettendo però di ricordare che Francesco Greco aveva sollecitato l’archiviazione in una dozzina di procedimenti per frode fiscale, con avocazioni da parte della procura generale che poi otteneva la citazione diretta a giudizio e anche la condanna degli imputati. Il Csm, informato per prassi della questione, ha fatto finta di niente.

    Del resto parliamo del cosiddetto organo di autogoverno che aveva coperto fino in fondo le responsabilità di Bruti Liberati in relazione al famoso fascicolo “scomparso” del caso Sea. L’iter disciplinare veniva annunciato solo dopo il comunicato con cui l’allora procuratore affermava che di lì a poco sarebbe andato in pensione.

    Sea è la storia di un insabbiamento. I pm di Brescia nell’archiviare l’abuso d’ufficio a carico di Bruti scrivevano che il procuratore aveva agito in base a valutazioni politiche, ma pure in questo caso il Csm se n’è fregato. Il fascicolo ricompariva magicamente solo quando le indagini in pratica non si potevano più fare per finire con sei mesi di ritardo sul tavolo dell’allora aggiunto Alfredo Robledo, l’altro protagonista con Bruti della guerra interna all’ufficio. Decisa su diretto intervento del Quirinale, gestione Napolitano. Robledo cacciato e trasferito a Torino. E per giunta processato dal Csm nello stesso giorno in cui diventa procuratore Francesco Greco componente del cerchio magico di Bruti. Il procuratore della Cassazione addirittura ha chiesto per lui la perdita di un anno di anzianità e il trasferimento ad altra sede e funzione. Lo metteranno a togliere la polvere ai fascicoli?   La continuità intanto è pienamente assicurata. E’ arduo dare la palma del peggiore tra controllati e molto presunti controllori (frank cimini)

  • Continua la moratoria su Expo, la procura non indaga sulle opere non pagate

    Non ci sono solo gli appalti nella moratoria delle indagini praticata dalla procura di Milano al fine di non mettere in discussione Expo2015. Per non ledere l’immagine dell’evento tanti saluti alla strombazzata obbligatoria dell’azione penale anche sulle opere non pagate.

    Lo dice la storia dei lavori relativi al padiglione della federazione russa e di un esposto per insolvenza fraudolenta aggravata presentato dai creditori in procura a ottobre dell’anno scorso. L’ufficio inquirente ha disatteso la richiesta di sequestro della struttura senza svolgere alcun atto di indagine. E questo dopo che nell’ambito della causa civile intentata per ottenere il pagamento ci fosse stata una consuenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice che dava torto a Rsv Holding srl, società con sede a Mosca, rigettando la richiesta di non pagare le aziende italiane alle quali i lavori erano stati commissionati a causa di presunte imperfezioni e ritardata consegna.

    La società con sede a Mosca inoltre non ha versato il dovuto nemeno agli esperti che avevano eseguito la consulenza tecnica.

    Idealstile srl, Sech costruzioni metalliche, Mia Infissi, Catena Serna, Vivai Mandelli, Autotrasporti P&P risultano creditori di oltre 800 mila euro. Quattro di queste aziende hanno scelto una transazione recuperando il 20 per cento e tutte sono in difficoltà a causa dei mancati pagamenti.

    Insomma Expo non si tocca. La vicenda del padiglione russo si aggiunge alle indagini interrotte alcuni mesi prima dell’inaugurazione dell’evento, alla tragicomica motivazione dell’archiviazione dell’abuso d’ufficio a carico di Beppe Sala (una sorta di reato a fin di bene) il quale pur di favorire Oscar Farinetti ometteva la gara pubblica, come del resto avevano fatto per i fondi di Expo giustizia i vertici del tribunale di Milano. Tutto si tiene, anche perchè nessuno controlla i controllori (frank cimini)

  • NoTav, a Torino una procura generale “de coccio”

     

    Dopo aver perso la battaglia già sei volte, quattro nel merito al Riesame e due in Cassazione, la pubblica accusa non demorde e ricorre ancora alla Suprema Corte per dire che l’attacco al cantiere di Chiomonte nella notte tra il 13 e il 14 maggio del 2013 “fu terrorismo”. Lo ha deciso per la procura generale di Torino il magistrato Francesco Saluzzo che ha ereditato il ruolo di Marcello Maddalena andato in pensione subito dopo aver perso in appello. I giudici di secondo grado infatti confermavano l’assoluzione dall’accusa di terrorismo condannando i 4 militanti NoTav solo per i reati minori.

    Per la terza volta dunque la Cassazione si dovrà occupare di quell’ormai famoso compressore bruciacchiato dalle bottiglie molotov che nel teorema Caselli, procuratore all’epoca dei fatti, era diventato una sorta di rapimento Moro del terzo millennio.

    Gli imputati e le parti civili che impugnano sentenze sfavorevoli lo fanno pagando di tasca loro, la pubblica accusa no. A pagare le spese siamo infatti noi contribuenti e questo vale anche per i ricorsi “a schiovere” come dicono a Napoli. (altro…)

  • I greci: non vi diamo i No Expo perché da noi non c’è la responsabilità collettiva

    “La responsabilità collettiva non è riconosciuta dal diritto penale greco che contempla solo la responsabilità individuale… L’accusa è di aver perpetrato delle devastazioni mentre l’unica prassi attribuita personalmente è quella di aver capovolto l’auto tipo Mercedes di seguito bruciata, accusa peraltro descritta in modo contraddittorio”. E’ uno dei passaggi della motivazione con cui la corte d’appello di Atene ha rigettato la richiesta di estradare in Italia cinque militanti antagonisti in relazione alla manifestazione del primo maggio dell’anno scorso in occasione dell’inaugurazione di Expo.

    I giudici ellenici ricordano che non esiste nel loro codice il reato di devastazione e saccheggio contestato agli indagati, “mentre per il reato di resistenza alle autorità sono necessari diversi requisiti come la violenza o la minaccia contro un ufficiale dello stato nello svolgimento dle suo servizio che però non viene attribuita nel caso specifico”.

    Nella motivazione si afferma che i fatti contestati sono puniti in Grecia con la reclusione da da 6 mesi a 5 anni, “reati minori per i quali non è previsto l’arresto prima del processo”.

    “Il ricercato – dice la corte d’appello di Atene – è stato fermato a Milano il 2 maggio 2015 senza che gli venisse fatta alcuna accusa è stato trattato come fosse indagato senza però che gli venissero riconosciuti i diritti minimi, senza che gli fosse fornito un interprete e senza il permesso di consultarsi con un avvocato”.

    Il sì all’estradizione e la consegna all’Italia violerebbe i principi costituzionali ai quali si è fatto riferimento come pure il principio della giustizia equa previsto dall’articolo 6 dell’accordo europeo sui diritti dell’uomo. Gli accusati sarebbero costretti a subire la custodia cautelare prima del processo fanno osservare i giudici greci.

    Per la corte d’appello di Atene che ha deciso di non dare esecuzone al mandato di arresto europeo l’unica soluzione è l’eventuale celebrazione di un processo in Grecia che dovrà essere valutata.

    Oggi intanto a Milano inizia il processo con rito abbreviato a carico di altri quattro partecipanti alla manifestazione del primo maggio. I rilievi critici dei giudici di Atene sul capo di imputazione potrebbero pesare soprattutto in relazione al concetto di concorso nel reato di devastazione e saccheggio che in tra l’altro in Italia prevede la condanna fino a 15 anni di reclusione, come accade solo in Russia e Albania. Insomma non ci sarebbe proporzionalità rispetto ai fatti contestati, come osserva la corte d’appello di Atene.

    (frank cimini)

    Il verdetto di Atene

     

  • Domani in aula figlio 15enne di Bossetti, bullismo in toga

    Domani  al processo per l’uccisione di Yara Gambirasio testimonierà sia pure in modo protetto e a porte chiuse il figlio 15enne dell’imputato Massimo Bossetti che all’epoca dei fatti di anni ne aveva 12. E’ un teste della difesa che la corte d’assise ha deciso di ammettere mentre la mamma non si è opposta alla deposizione.

    Si potrebbe parlare di giustizia impazzita, considerando che in questa vicenda abbiamo già assistito al deposito da parte della procura di Bergamo delle pagelle scolastiche dei figli di Bossetti. Siamo davanti a una chiarissima manifestazione di bullismo giudiziario in cui sono coinvolte tutte le parti processuali.

    Il minore testimonierà sul bravo papà che ogni sera portava a casa in regalo ai figli le figurine e con ogni probabilità su chi scaricava da internet immagini pedopornografiche. Sembra un teatro dell’assurdo ma c’è di mezzo un ragazzino la vita del quale è destinata già a essere segnata in modo indelebile dalla storia in cui è coinvolto a suo padre, comunque finisca il processo.

    Gli avvocati della difesa evidentemente non sono stati in grado di fare una valutazione un minimo assennata della loro mossa ma è sconvolgente che i giudici abbiano deciso di convocare il figlio dell’imputato. Insomma la tragedia è destinata ad allargarsi. Un ragazzino dodicenne quando tutto accadde sarà in un’aula di corte d’assise dove si parla della fine atroce di Yara, uccisa a 13 anni. E’ lo spettacolo preparato da uomini e donne (la presidente della corte d’assise è una femmina) di legge per una giustizia che si delegittima da sola e sulla quale sembra che nessuno degli addetti ai lavori abbia qualcosa di critico da dire o da far rilevare.

    Il libero convincimento dei giudici si dirà. Ma si tratta di un argomento che appare risibile e che in passato è già servito a coprire le peggiori nefandezze. La deposizione di domani finirà per fare del male a tutti, specialmente al minorenne e con ogni probabilità si rivelerà inutile ai fini del decidere. (frank cimini)

     

  • Di Martino e le carriere frenate dei pm che indagarono su Di Pietro

    Per protestare contro le correnti, i veti e i controveti dentro la magistratura va in pensione il  pm Roberto Di Martino che rappresenta l’accusa al processo per la presunta frode sportiva del ct Antonio Conte. Ma i “guai” di Di Martino che si è visto rigettare dal Csm sia la richiesta di fare il capo della procura di Bergamo sia quella di diventare avvocato generale dello Stato a Brescia non derivano dal pallone. Bisogna tornare indietro di una ventina di anni quando a Brescia Di Martino indagò su Di Pietro per corruzione in atti giudiziari, il famoso caso di Chicchi Pacini Battaglia, l’uomo entrato e uscito come una meteora da Mani pulite, per ricordare le parole dell’avvocato Giuliano Spazzali nel teleprocesso a Cusani.

    A coordinare l’indagine sul magistrato simbolo della falsa rivoluzione di Mani pulite c’erano con Di Martino, Fabio Salamone, Francesco Piantoni e Silvio Bonfigli. Salamone si era candidato per la procura di Bergamo. Il Csm ha detto di no. Piantoni aveva chiesto di diventare procuratore aggiunto e non ce l’ha fatta. Bonfigli, confinato in procura generale a Brescia dopo anni di “esilio” in organismi internazionali, per sua fortuna non aveva chiesto nulla. E si è risparmiato un niet, perché quell’inchiesta che vedeva il buio dove tutti vedevano la luce con la notte che era scura davvero pesa ancora. Chi tocca i fili muore. Non si poteva mettere in discussione Mani pulite e infatti gli ineffabili gip  bresciani si adeguarono alla ragion di Stato, esemplificata da un comunicato dell’Anm che ai tempi per la prima volta nella sua storia difese l’indagato e non i pm. Ovviamente fu anche l’ultima.

    La magistratura non perdona chi canta fuori dal coro. Di Pietro viveva a scrocco degli inquisiti del suo ufficio tra prestiti a babbo morto, telefonini, Mercedes e appartamenti, ma fu prosciolto. La categoria così difese sé stessa, la sua immagine.

    Una sorta di legge dell’omertà, che sta nel dna del Csm, come dimostra la recente soluzione della guerra interna alla procura di Milano, dove ha pagato solo l’anello debole Afredo Robledo trasferito a Torino, mentre non ha pagato dazio il capo Bruti Liberati che “dimenticò” per 6 mesi in un cassetto il fascicolo Sea e che dal 16 novembre è tranquillamente in pensione.

    Tra meno di un anno ci sarà il 25esimo compleanno di Mani pulite. L’unica celebrazione seria sarebbe quella di mettere al quarto piano del palazzo di giustizia di Milano una targa con le parole intercettate di Pacini Battaglia: “Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato”. Parole che furono considerate millanterie dai giudici. In un paese in cui si celebrano processi per molto meno, e a ripetizione persino per un pelo di quella lana. Infatti siamo già praticamente al Ruby quater. Quasi come il caso Moro, insomma.  (frank cimini)

     

  • Davigo numero uno dell’Anm, la favola del magistrato inflessibile

    C’è un manuale Cencelli dei magistrati e ha detto che Piercamillo Davigo sarà il numero uno dell’Anm per un anno. Una sorta di contratto a termine con incarico a rotazione per i leader di altre correnti, in modo da non scontentare nessun gruppo e accontentare tutti o quasi tutti. Si considerano i migliori, dicono peste e corna dei politici ma in realtà non vedono l’ora di emularli. I politici almeno sono stati eletti formalmente (in realtà nominati dai vertici dei partiti), le toghe invece hanno solo vinto un concorso.

    Comunque sia da un po’ di giorni ci stiamo sorbendo articolesse, editoriali, pezzi di tg in cui si racconta di un magistrato inflessibile, la solita favola trita e ritrita di quello che non guarda in faccia a nessuno. Il merito è tutto di Mani pulite, la più grande presa per i fondelli della storia giudiziaria, dove ci furono mille pesi e mille misure ma che godeva di buona stampa (eufemismo) perchè gli editori a causa delle loro attività imprenditoriali erano tutti sotto schiaffo del mitico pool.

    Per cui Davigo, per il quale non esistono innocenti ma solo colpevoli non ancora scoperti, fu protagonista di una stagione in cui lo stato di diritto, già falcidiato dal modo in cui la magistratura su delega della politica aveva risolto il problema della sovversione interna, finì in soffitta. Le toghe stavano incassando il credito acquisito durante i cosiddetti anni di piombo a scapito di una politica che da allora ha fatto fatica a riprendersi.

    Davigo, tanto per ricordarne una, davanti al fascicolo sul generale Ganzer indagato per traffico di droga si inventò letteralmente la competenza di Bologna, insieme a Ilda Boccassini, altro pm la cui fama va oltre tutte le galassie. La Cassazione si mise a ridere e rimandò l’inchiesta a Milano.

    L’Anm mette in mostra (a termine) Davigo, ma lo scontro con la politica è cambiato. La magistratura nei comportamenti, al di là delle parole, non è unita, fa fatica a compattarsi. Ci sono inchieste che non si fanno, da Expo agli appalti dell’alta velocità, ci sono fascicoli (Sea)  che spariscono nei cassetti e ricompaiono quando indagare è ormai impossibile. Una parte delle toghe subisce il fascino della politica molto più che in passato. E allora va bene pure il manuale Cencelli al fine di spartirsi il potere (frank cimini)

  • Così Tarfusser voleva cambiare la Procura di Milano, ma il Csm lo ha escluso

    “Prenderò di petto personalismi, invidie e gelosie”: questo era il programma che Cuno Tarfusser, già procuratore della Repubblica di Bolzano e oggi in servizio al tribunale internazionale dell’Aja, aveva sottoposto al Consiglio superiore della magistratura per sostenere la propria candidatura alla guida della Procura della Repubblica di Milano. Tarfusser non sembra destinato a entrare nel cerchio ristretto dei papabili: tanto che, come scrive oggi il Corriere della Sera, il Csm non lo ha nemmeno invitato alle audizioni che si sono tenute la settimana scorsa per dare modo agli aspiranti di illustrare il proprio programma. *
    Dalla lettura del programma di Tarfusser si intuiscono le ragioni che lo hanno tagliato fuori dalla corsa a raccogliere l’eredità di Edmondo Bruti Liberati. Innanzitutto la stringatezza del documento, considerata in ambienti del Csm eccessiva, ai limiti della povertà espositiva e di contenuti. Ma anche, forse, la presa di posizione assai esplicita sulle recenti vicissitudini della Procura milanese che Tarfusser indica senza eufemismi e a cui promette di porre fine in modo che è stato considerato un po’ brusco.
    Nel documento, dopo una serie di considerazioni piuttosto generiche sulla complessità organizzativa di un ufficio come la Procura di Milano e di auto-attestazioni sulla propria capacità di gestirlo al meglio, Tarfusser (su carta intestata del tribunale dell’Aja) scrive: “se sono indiscutibili le qualità professionali delle donne e degli uomini che rappresentano la magistratura requirente milanese, altrettanto innegabili sono le questioni e le problematiche, diciamo così, interpersonali e interdisciplinari. Considero assolutamente prioritario, quindi, per il nuovo Procuratore della Repubblica affrontare di petto questo problema. In una Procura della Repubblica deve esistere una vivace dialettica, un continuo e aperto scambio di idee e di informazioni, ma non ci può essere posto per personalismi, invidie, gelosie”. E annuncia che se diventerà il Procuratore sarà un capo “decisionista”, all’insegna del motto  “ubi comoda ibi incomoda”. Tradotto: visto che poi le rogne sono mie, è giusto che sia io a decidere. Anche questo, probabilmente, non ha aiutato la sua corsa verso la Procura milanese. (orsola golgi)

    * In serata è arrivata la notizia che il Consiglio ha cercato di porre rimedio alla gaffe invitando in extremis il collega altoatesino a presentarsi in piazza Indipendenza tra martedì e mercoledì prossimo.

    Il programma di Tarfusser