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  • Tutti insieme a Opera per abolire l’ergastolo ostativo

     

    Si è svolto nel teatro del carcere di Opera, alla presenza di detenuti, studenti, operatori, un convegno sul tema dell’ergastolo ostativo.

    L’ergastolo ostativo è l’ergastolo “vero”, quello che, nonostante la buona condotta, nonostante il cambiamento che anche le neuroscienze ritengono inevitabile nella mente di qualsiasi persona dopo oltre venti anni, mantiene fede alla terribile promessa scritta sulla copertina dello stato di esecuzione: fine pena 31/12/9999.

    E proprio grazie al lavoro di un gruppo di “ergastolani senza scampo” (dal titolo del libro da poco pubblicato da alcuni di relatori del convegno, i professori Pugiotto e Galliani, insieme a uno di quegli ergastolani, Carmelo Musumeci), è stato possibile radunare per la discussione operatori di livello elevatissimo, con l’ambizione di formulare una proposta condivisa per superare quello che è stato unanimemente definito un istituto contro la costituzione e comunque contro i principi di civilità di uno stato moderno.

    Nella mattinata, l’avv. Maria Brucale della Camera Penale di Roma e il prof. Mauro Palma, presidente dell’Ufficio del Garante nazionale delle persone private della libertà personale, hanno illustrato che cosa sia l’ergastolo ostativo e quali siano le sue criticità. I prof. Andrea Pugiotto e Davide Galliani hanno analizzato i suoi profili di incostituzionalità, e gli standard di tutela ricavabili dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e il dott. Roberto Chenal, giurista alla Corte europea, ha chiarito quali siano i poteri, i precedenti della Corte EDU e la valenza dei principi CEDU.

    Il pomeriggio è stato introdotto dalla presentazione del trailer del docufilm “Spes contra spem”, girato proprio ad Opera da Ambrogio Crespi, presente insieme a Rita Bernardini dei Radicali italiani.

    Di seguito gli ergastolani hanno presentato il lavoro messo a punto in una serie di incontri da noi coordinati la scorsa estate, insieme con il dott. Siciliano, direttore del carcere. Hanno preso la parola anche tre persone del gruppo, che, con forte emozione, hanno cercato di spiegare il percorso portato avanti in quest’ultimo anno.

    Infine, coordinati da Salvatore Scuto, hanno preso la parola operatori di diversissima provenienza, i quali, sebbene da punti di vista differenti, hanno espresso la comune posizione di contrarietà all’attuale sistema:  Roberto Pennisi, sostituto procuratore presso la Procura nazionale antimafia, Marcello Bortolato, magistrato di sorveglianza, Riccardo Polidoro, avvocato e responsabile dell’osservatorio carcere UCPI, Elisabetta Zamparutti, del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, Laura Vaira, criminologa, Luigi Pagano, Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Enza Bruno Bossio, parlamentare.

    Il convegno si è concluso con l’impegno a non lasciare soli gli ergastolani senza scampo e a cercare proposte condivise ed accettabili da parte della politica.

    Valentina Alberta

    Antonella Calcaterra

    Camera Penale di Milano

  • Boccassini diserta la cerimonia d’insediamento di Greco

    Lei, seduta nel suo ufficio, vestita di bianco e di nero, fuma una sigaretta parlando coi collaboratori. Come in un giorno qualsiasi. Lui, un piano più in giù, riceve l’abbraccio e le parole dolci (“dicono che mi assomigli per il carattere e ne sono orgoglioso”) di Francesco Saverio Borrelli, nel momento più importante della sua vita. Il pubblico alla cerimonia d’insediamento applaude, di un applauso così fragoroso che una piccola onda forse arriva anche lassù.

    Li avevamo lasciati (in apparenza?) dalla stessa parte: Francesco Greco, da oggi procuratore capo di Milano, e Ilda Boccassini, impegnati nella difesa strenua di Edmondo Bruti Liberati dall’attacco sferrato da Alfredo Robledo nella sanguinosa guerra in Procura. Ma già la sera stessa della nomina del Csm si era sparsa la voce che Ilda volesse esprimere il suo malcontento per non essere stata presa in considerazione nella corsa al vertice, esclusa perfino dai tre ‘nominati’ finali (Greco, Melillo e Nobili).

    Non basta l’investitura di un Borrelli emozionatissimo (“Sono certo che Greco sarà capace di pilotare la navicella puntando sulla coesione e l’armonia dell’ufficio”). Il nuovo corso parte con una procura ancora spaccata, anche se nell’aula dove Greco inaugura il dopo – Bruti si respira una gran voglia di ricominciare e qualche pm entusiasta addirittura registra con lo smartphone.

    Il nuovo capo ringrazia il suo predecessore esaltando il ruolo di Bruti nel difendere l’”autonomia della magistratura”, proprio quello che i suoi contestatori, tra cui tanti magistrati, gli accusano di non avere fatto, con la ‘moratoria’ sulle indagini di Expo. Non cita Bruti, e non pare una dimenticanza, il pg Carmen Manfredda, che elogia il curriculum di Greco ma non manca di ricordare la necessità di rispettare l’articolo 3 della costitiuzione e il principio di obbligatorietà dell’azione penale. Manfredda aveva firmato assieme all’allora procuratore generale Laura Bertolé Viale l’avocazione di una decina di inchieste  a Greco per non aver indagato abbastanza.L’altro grande assente di giornata è il procuratore generale Roberto Alfonso, ufficialmente impegnato altrove.

    Greco promette “una procura start up: velocità, trasparenza e giustizia online”, ma il suo idolo è antico, quel piccolo uomo di 86 anniseduto in prima fila, che si alza per abracciarlo nel tripudio galvanizzato di tutti i pm. Sullo sfondo, il sinistro rumore di un’assenza. (manuela d’alessandro)

  • Giudice Salvini, pericolosa la magistratura che vuole fare le leggi

     

    Pochi giorni dopo la nomina del nuovo Procuratore e di Milano, l’ANM ha varato 14 Commissioni di studio in cui complessivamente saranno impegnati nei prossimi anni centinaia di suoi iscritti, tutti appartenenti ai vari Partiti – correnti. In queste Commissioni permanenti, che assomigliano a Commissioni ministeriali, un piccolo esercito di magistrati, oltre 300 si occuperà non solo dei temi propri della categoria – i carichi di lavoro e le condizioni di lavoro e sicurezza, il processo telematico – ma anche di tematiche generali e decisive come la riforma del diritto penale, la riforma della processo penale e l’esecuzione penale, il diritto del lavoro.

    La novità è passata senza troppo clamore – ne ha scritto solo il quotidiano ‘Il Dubbio’ – e il ministro Orlando avrebbe accolto con favore la “offerta di collaborazione della ANM, forse facendo buon viso e cattivo gioco tenendo conto che il parere su alcune proposte di legge è già previsto ma solo da parte del CSM, che è un organo costituzionale e non un’associazione privata di magistrati come l’ANM.

    Può darsi che sia un malpensiero ma tutto ciò appare un nuovo passo avanti nel progetto di concordare, tramite una consultazione obbligatoria con la magistratura come ente organico, con il Governo e il Parlamento la formazione delle leggi, quantomeno quelle del sistema giustizia. Far sì che nessuna sia varata se non con l’approvazione dell’ANM e non “passino”, con una sorta di veto, quelle non gradite o i passaggi non graditi. Penso a quelle su temi sensibili come le intercettazioni, la prescrizione, le impugnazioni e così via.

    Non sarei troppo contento che le leggi in materia di giustizia fossero fatte dall’Unione Camere Penali. L’associazione degli avvocati dice molte cose acute ma adeguandosi alle sua linea e alle sue proposte, non si farebbe alcuna indagine né si concluderebbe mai alcun processo. Ma non mi sembra, all’opposto, che si debba passare ad una “legislazione concordata” e ad un necessario via libera dell’ANM e delle sue Commissioni che i cittadini non hanno eletto in Parlamento L’estensione dell’influenza della magistratura nello scacchiere istituzionale è resa possibile dalla sua struttura, un corpo di soggetti in numero limitato, compatto, gerarchico, che opera per cooptazione interna ed è quindi facilmente controllabile dai suoi capi e non è sottoposto a periodiche verifiche elettorali ma solo a controlli autoreferenziali. Trae anche vantaggio dalla presenza ormai costante di noti ex-magistrati nell’agone politico, con i suoi riverberi sui mass- media, e anche nelle sedi decisionali della politica. Infatti i magistrati che sono entrati in politica appena dopo aver dismesso la toga e qualche volta anche prima non sono da meno nel perseguire l’aumento di influenza della magistratura. (altro…)

  • Il giudice rivoluzionario che riconosce il permesso di soggiorno per fame

    Per la prima volta un giudice italiano riconosce un permesso di soggiorno per fame. Tecnicamente, si chiama ‘protezione umanitaria’, l’ultima carta dei disperati che non hanno le caratteristiche né per lo status di rifugiato né per chiedere il diritto d’asilo. Mai era stata riconosciuta ai migranti economici.

    E’ un provvedimento visionario ed emozionante quello del giudice civile di Milano Federico Salmeri che, osserva l’avvocato Eugenio Losco, esperto della materia, “non fa una piega in diritto“. Alti e saldi sono i principi a cui si ancora per accogliere un ragazzo di 24 anni scappato dal poverissimo Gambia:  l’articolo 32 della costituzione che riconosce il diritto alla salute inteso anche come diritto ad avere un pasto; la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nella quale si fa diretto riferimento al diritto all’alimentazione; i patti internazionali ratificati dall’Italia che sanciscono “il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame”.

    Per il magistrato, il richiedente “è titolare del pieno diritto ad accedere alla protezione umanitaria affinché gli sia garantito un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia laddove le condizioni economico – sanitarie del proprio paese non consentano un livello sufficientemente adeguato ed accettabile di vita”. Il fondo monetario internazionale, le nazioni unite e wikipedia (citati dal giudice) raccontano di un paese dalle terre infertili dove le famiglie non possono comprare nemmen un pugno di riso.

    Questo significa una “protezione di massa umanitaria?”, si chiede il giudice, prevenendo le reazioni alla sua decisione, come quella del leader leghista Matteo Salvini (“sentenza folle”). La sua risposta è: “il riconoscimento  di un diritto fondamentale non può dipendere dal numero di soggetti cui quel diritto viene riconosciuto. Per sua natura, un diritto universale non è a numero chiuso”.  Resta chiaro che la decisione di un giudice non vincola gli altri che dovranno pronunciarsi sullo stesso tema, limitandosi a essere un precedente. “Un precedente rivoluzionario – chiude l’avvocato Losco – se pensiamo anche agli immigrati italiani del novecento che scappavano da una povertà meno severa di quella di questo ragazzo”. (manuela d’alessandro)

    Il testo dell’ordinanza del giudice dal sito Melting Pot

  • In carcere con una grave cirrosi, muore 5 giorni dopo l’arresto

     

    Pericoloso, così pericoloso perché trovato in possesso di un’arma da meritare il carcere, nonostante la difesa avesse implorato di lasciarlo libero perché soffriva di una grave forma di cirrosi epatica.

    S.R., che aveva precedenti per reati non gravi, è stato rinchiuso venerdì, sabato e domenica in cella. Sempre più sofferente, con la malattia che gli mangiava il fegato e la vita, finché lunedì è stato autorizzato il colloquio coi familiari e revocata la custodia cautelare “perché a fronte di tale sopravvenuto stato di morbilità sono venute meno le esigenze che giustificavano l’adozione della misura”.

    Ieri mattina, è morto. Ne dà notizia la camera penale di Milano che denuncia “l’ennesima vittima di un sistema processuale che consente l’abuso della misura cautelare custodiale, l’ennesima vita umana, uguale a quella di coloro che la perdono in fondo al mare, durante i viaggi della speranza, alle vittime della strada, alle donne che cadono sotto la violenza degli amori assassini, uguale a qualunque altra vita umana”.

    La legge che pure è  molto chiara e prevede il carcere solo in casi eccezionali quando ci sono severi motivi di salute viene disapplicata ” a causa dell’evidente resistenza culturale della magistratura a vedere limitato il proprio potere discrezionale nell’ottica di una riduzione della custodia cautelare”. Sono 18mila i detenuti in attesa di giudizio o mai condannati in primo grado, un numero enorme, non dissimile da quello precedente alla riforma del 2015 sulle misure cautelari che “ha introdotto aggettivi e avverbi volti a eliminare il potere discrezionale del giudice”. (manuela d’alessandro)

  • Sconta 2 volte la stessa pena, per i giudici è anche colpa del detenuto che non si è attivato

    Il detenuto ha scontato 208 giorni di carcere in più per un errore della magistratura ma è in parte colpa sua perché “non si è attivato per fare in modo di far pervenire, anche mediante la direzione generale del carcere, un’istanza direttamente all’autorità giudiziaria anche eventualmente chiedendo l’ausilio per la redazione ad altri detenuti di nazionalità italiana con maggiore esperienza e capacità”. Insomma, il marocchino di 28 anni, che aveva scontato due volte la stessa pena per furto e resistenza, avrebbe dovuto travestirsi da avvocato o quantomeno interrogare i compagni di cella, ai quali vengono attribuite conoscenze da lucidi giuristi.

    Sorprendono le motivazioni con le quali i giudici della corte d’appello di Milano spiegano che l’indennizzo massimo di 49 mila euro previsto in casi come questo dalla giurisprudenza per ingiusta detenzione “deve essere congruamente ridotto a 25 mila euro per la condotta colposa dell’istante (seppure non connotata dal requisito della gravità, in considerazioni delle sue condizioni personali e culturali)” consistita nel non essersi attivato “per far valere il diritto alla scarcerazione” e anche perché era già detenuto al momento dell’errore giudiziario. I giudici non gli riconoscono  una somma di denaro più consistente anche considerando che il “soggetto è aduso non sporadicamente al regime detentivo” e l’ingiusta detenzione non gli ha causato “particolare pregiudizio di ordine patrimoniale” dal momento che era già dietro le sbarre quando l’errore gli moltiplicò la pena.

    Amine Cherouaqi potrebbe essere stato punito il doppio del dovuto per una svista nel nome trascritto con una lettera diversa nel database dell’esecuzione della pena. Aveva mandato una missiva all’ufficio matricola del carcere in cui spiegava  che aveva già passato in galera gli 8 mesi e 20 giorni. “Lui scriveva che doveva uscire  – racconta il suo legale Debora Piazza – ma loro non gli credevano e rispondevano che tutti dicono che devono uscire”.  (manuela d’alessandro)

     

     

  • L’inutilità del braccialetto elettronico, 3 ordinanze una prova

    Tre ordinanze, una prova. Tre casi di cronaca delle ultime settimane: gli arresti del sindaco di Lodi Simone Uggetti, dell’immobiliarista Danilo Coppola e dell’ex sindaco di Como, Stefano Bruni.

    Storie di presunte gare truccate e bancarotte acccomunate dal fatto che, quando il gip deve decidere tra il carcere e i domiciliari, enfatizza l’inutilità del braccialetto elettronico.

    Sentiamo i giudici.

    Ordinanza Uggetti (gip di Lodi Isabella Ciriaco): “la misura degli arresti domiciliari con lo strumento del braccialetto elettronico si rivela inidonea a garantire le esigenze cautelari, essendo pur sempre fondata sulla spontanea osservanza delle relative e più blande prescrizioni da parte di chi via sottoposto”.

    Ordinanza Coppola (gip di Milano Livio Cristofano): “la misura domiciliare coi controlli di tipo elettronico risulterebbe del tutto inefficace ed inidonea  a impedire o ostacolare la reiterazione dei reati tenendo conto della loro tipologia che non necessita di presenza fisica nei luoghi di influenza (…)”.

    Ordinanza Bruni (gip di Milano Maria Cristina Mannocci): “il controllo elettronico non può impedire i contatti con l’esterno, né la fuga, ma può solo comunicare l’ormai avvenuto abbandono del luogo di detenzione domiciliare”.

    Questi ‘monili’ sono costati oltre 100 milioni di euro pubblici. Dovevano liberare le carceri, come accade in altri paesi. Ma in Italia non si può.

    (manuela d’alessandro)

     

     

  • Le ombre del garante su chi ha avuto i fondi expo per la giustizia milanese e il pct

     

    Ora lo dice anche il garante della concorrenza e del mercato: i fondi Expo per informatizzare la giustizia milanese sono finiti senza gara a una società che ha messo in atto “condotte ostruzionistiche e discriminatorie” tali da spazzare via ogni possibile concorrenza. E chi glieli ha assegnati, e ne dovrebbe rispondere,  sono stati una parte della magistratura milanese, il Ministero della Giustizia e il Comune di Milano.

    Quello meneghino è solo un capitolo di una lunga ‘tirannide’ esercitata dalla corazzata bolognese Net Service su tutto il processo civile telematico (PCT). Finché un giorno,  siamo nell’ottobre 2015, a fuochi di Expo ancora accesi, qualcuno prova a ribellarsi. Un gruppo di imprese riunite sotto la sigla Assogestionali, che ritiene di avere le carte in regola ma non la possibilità di competere sul terreno della ‘giustizia 2.0’, si rivolge al garante. “Ci siamo resi conto che Net Service la fa da padrona in tutti i Tribunali italiani e volevamo capirne le ragioni – racconta l’avvocato Carlo Piana, autore dell’esposto – abbiamo anche chiesto invano al Comune di Milano i documenti sugli affidamenti diretti per i fondi Expo, poi trovati su Giustiziami. Che ci fossero questi soldi a disposizione era di dominio pubblico nell’ambiente, ma, come sempre per quanto riguarda il Pct, non c’è stata la possibilità di competere ad armi pari e sono andati a  Net Service attraverso affidamenti diretti. E sempre richiamandosi alla norma  del codice degli appalti per cui anche oltre i 40mila euro si può evitare la gara se viene individuato un solo operatore economico con le conoscenze tecniche richieste per aggiudicarsi il contratto”.

    Per il garante che ha avviato un’istruttoria la “strategia di Net Service impedisce l’accesso di altri produttori di software applicativi per il Pct sul mercato italiano”. ” Da un lato, questo ipotizzato abuso di posizione dominante si spiega col fatto che nel 2001 e 20012 la società ex Finemccanica si era aggiudicata le due gare ‘madri’  per la progettazione, realizzazione e gestione dell’infrastruttura centrale del Pct. Con in mano la mappa e l’architrave del Pct e delle sue continue evoluzioni, Net Service gioca d’anticipo anche sui software applicativi, traendo in inganno, ipotizza il garante, anche gli utilizzatori finali dei prodotti che la ritengono l’unica con certe competenze.

    Questo assolve chi ha assegnato i fondi Expo? Crediamo di no perché da magistrati abituati ad andare oltre le apparenze e a considerare spesso gli affidamenti diretti un’anticamera per le tangenti ci saremmo aspettati un controllo ben più rigoroso. Per esempio, se  Net Service meritava davvero di ricevere con affidamento 631 mila euro di fondi Expo per lavorare sulla consolle del magistrato. O se, più opportunamente, si sarebbe dovuta fare una gara. Ma, come sappiamo, sui fondi Expo si è giocata una durissima battaglia anche all’interno della stessa magistratura milanese tra chi ha distribuito soldi senza ombre di dubbio e chi aveva intuito che quegli affidamenti diretti a raffica non erano giustificabili.  Una battaglia di cui si trova traccia nelle decine di schermi Samsung acquistati col bottino dell’Esposizione Universale che adornano le pareti del Palazzo di Giustizia: dovevano servire per orientarsi tra aule e processi, sono inesorabilmente spenti da oltre due anni. (manuela d’alessandro)

    Il testo del provvedimento del garante

     

     

     

     

     

     

  • Avanza la riforma che sopprime i tribunali dei minori, a rischio i diritti dei bambini

     

    Zitta zitta avanza in parlamento una riforma che mira a sopprimere i tribunali per i minorenni e le procure minorili affidandone le competenze a ‘sezioni specializzate’ nell’ambito della giustizia ordinaria.

    “Bambini trattati come adulti”, sintetizza Paolo Tartaglione, che lavora coi più piccoli ed è promotore di una petizione contraria, già arrivata a quota diecimila firme (tra loro Giuliano Pisapia e Gherardo Colombo).

    E pensare che l’Europa ha appena imposto ai suoi stati, attraverso la direttiva ‘giusto processo penale minorile’, di copiare il modello italiano. Il ministro Orlando ha nascosto nel ‘disegno di legge per l’efficienza del processo civile’ la rivoluzione sui diritti dei più indifesi, sottraendola così a un dibattito che avrebbe meritato. “La riforma sarebbe una ferita profonda per gli interessi di bambini e adolescenti – argomenta Tartaglione – rendenddo di fatto inapplicabili le leggi a loro tutela che necessitano di alta competenza per essere interpretate e applicate. Chi si occupa di incidenti stradali e marchi aziendali si occuperà anche dei bambini”.

    La deputata del Pd che col suo emendamento ha innescato l’iniziativa, Donatella Ferranti, ritiene che l’introduzione di un “giudice unico” comporti “un arricchimento di professionalità pensando ad esempio al tribunale civile e a quello dei minori che spesso lavorano sulle stesse materie, come nel caso delle separazioni”.

    “Nella maggior parte dei tribunali italiani – ribatte Tartaglione – ci sono due – tre giudici che si devono esprimere su qualsiasi materia, che non capiscono come si deve parlare a un bimbo e tutte le dinamiche complesse che ci stanno attorno. Non è colpa loro: un medico di un ospedale di campo sa fare tutto, è bravissimo, ma se ho un problema al cuore preferisco andare dallo specialista”.  I contrari sottolineano anche che la riforma sarebbe “a costo zero”,  senza una formazione dei magistrati che si andranno a occupare dei minori, e che le sezioni specializzate, salvo in città come Milano, non si faranno mai. A luglio si va in senato, dopo che la camera ha già dato il via libera. Almeno, prima, se ne parli. (manuela d’alessandro)

    il link per firmare la petizione

  • Di chi sono e che diritti hanno gli embrioni di Antinori per metà corpo di reato?

     

    C’è un affollamento di diritti e pretese attorno ai 6 embrioni sequestrati nell’inchiesta che ha portato all’arresto del ginecologo Severino Antinori. Quelli della ragazza spagnola che reclama il diritto di non diventare madre attraverso i suoi ovociti rubati; quelli delle 3 coppie che vorrebbero diventare genitori attraverso quegli ovociti; quelli dello Stato che li ha sequestrati come corpo del reato. E poi ci sarebbe il diritto degli embrioni, per di più in questo caso metà ‘leciti’ (il seme messo a disposizione dai maschi delle coppie) e metà no (l’ovocita rubato alla presunta vittima) a diventare vite umane. Ma l’embrione  ha questo diritto? E l’embrione per metà corpo di reato lo manterrebbe?

    Per il diritto italiano parrebbe di no. Nel nostro ordinamento l’embrione non è un soggetto giuridico, ma la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito con una storica sentenza nel 2015 che esso è titolare dei diritti fondamentali riconosciuti a tutti gli uomini e tra questi, primo su tutti, c’è il diritto alla vita.

    Spetterà allora a un giudice esprimersi sugli embrioni portati via dalla clinica di Antinori e ora conservati alla clinica Mangiagalli: molto presto se la ragazza spagnola presenterà attraverso il suo legale un’istanza per far distruggere gli embrioni; o più avanti, nel caso di una sentenza di condanna, quando toccherà decidere la sorte del corpo del reato.

    E sullo sfondo, se dovesse essere seguita la via europea, una  domanda gigantesca: prevale la volontà di una donna che avrebbe subito una violenza oppure il diritto di 6 vite potenziali?  (manuela d’alessandro)

  • Tangenti sulle dentiere dell’eccellenza lombarda
    Il leghista Rizzi a processo immediato

     

     

    Il giorno della presa della Bastiglia, quest’anno, coincide con l’inizio del processo a Fabio Rizzi, autore della riforma sanitaria in salsa leghista indicata dal presidente della Regione Roberto Maroni come un esempio di efficienza italiana e non solo. Difficile paragonarla a una rivoluzione come avrebbe voluto Palazzo Lombardia. E del resto la capitolazione di Rizzi e di quella pagina politica è iniziata tempo fa, con l’arresto firmato dal gip di Monza, Emanuela Corbetta, che ieri ha notificato a Rizzi e altri 13 imputati il decreto che fissa il giudizio immediato al 14 luglio, il giorno della presa della Bastiglia, appunto.

    E’ una storia di appalti truccati in continuazione, da quando la ‘regina delle dentiere’ Maria Paola Canegrati, imprenditrice brianzola, entra nelle convenienti simpatie di Valentino Longo, braccio destro di Rizzi. Stando alle accuse, per anni truccano appalti al punto da trasformare la Canegrati in una quasi monopolista del settore dei servizi odontoiatrici negli ospedali pubblici.

    Rizzi – stando alle accuse del pm Manuela Massenz – ne riceve un aiuto per la campagna elettorale da 19,997 euro, pagati alla ditta che produce borse e gettoni per carrelli, con il logo della Lega Nord, in occasione delle regionali del febbraio 2013. Altri 50mila euro da spartire con il suo braccio destro Longo in occasione di una vendita di quote del gruppo Canegrati a terzi. E profitti derivanti dalla partecipazione al 50 per cento in una società della stessa Canegrati attraverso la copertura delle compagne di Rizzi e Longo. Una parte del denaro sarebbe passato dalla Svizzera, grazie a un professionista, Stefano Lorusso, arrestato in Florida tempo dopo la retata, e da poco passato ai domiciliari. Poi c’è la storia di un finanziamento alle società di un imprenditore del settore, promosso presso Finlombarda dalla solita coppia Rizzi-Longo. I quali, oltre che di corruzione, rispondono anche di associazione per delinquere. “Promotori e organizzatori, nelle rispettive qualità – sintetizza il gip – il primo di consigliere regionale e presidente della Commissione permanente Sanità e Politiche sociali del Consiglio regionale, il secondo di appartenente allo staff del primo, con incarichi pubblici nell’ambito dell’odontoiatria. Avrebbero abusato “dei propri ruoli e poteri” perché “inducevano i dunzionari pubblici preposti alla gestione dei servizi di odontoiatria e alle forniture odontoiatriche dell’aziende ospedaliere della regione, a favorire nell’indizione delle gare d’appalto o nella scelta del contraente privato le società riconducibili alla Canegrati”. Hanno due settimane di tempo per chiedere riti alternativi. Fonti legali indicano che sarebbero intenzionati a chiedere il patteggiamento.

    Richiesta immediato

  • Se c’è vento state lontani da questa minacciosa finestra

     

    (foto di Alfredo Faieta)

    Siamo in un ufficio minacciato dai venti glaciali della Patagonia? Purtroppo no: la vista, comunque mirabile, è quella offerta dal settimo piano del Palazzo dove le folate della giustizia fanno temere per un vetro molto delicato. Tanto che l’ignota mano invita a tenersi a prudente distanza se dovessero manifestarsi ire eoliche. (m.d’a.)

  • Riesame: scarcerare il revisore, la Procura ha confuso gli elenchi delle società

    Bastava andare sul sito della Consob per accorgersi che la società  non era un ‘ente di interesse pubblico’ e quindi il reato contestato era una semplice contravvenzione per la quale non è possibile l’emissione di misure cautelari.  Giovanni Varriale, commercialista pavese, ha trascorso due settimane ai domiciliari  e si è dovuto dimettere dai suoi incarichi societari per quello che il Tribunale del Riesame di Milano ha qualificato come un errore da correggere con la revoca immediata dell’arresto. Era finito in manette il 20 aprile scorso assieme, tra gli altri, al finanziere Corrado Coen, con le accuse di associazione a delinquere e false certificazioni. In sostanza, l’accusa era quella di avere ‘presentato’ società che rotolavano sull’orlo del baratro come floride. Tra queste, la Hi Real spa, che però al mercato Aim (mercato alternativo di borsa spa regolamentato da Consob),  come dimostrato dai documenti presentati dagli avvocati Pasquale Pantano e Stefano Borella, non è indicata come ”ente di interesse pubblico’.

    Oltre che per questa ‘svista’, di cui è direttamente responsabile il consulente tecnico del pm professore all’Università di Torino (gip e Procura si sono fidati), Varriale è stato rimesso in libertà anche per l’assenza di indizi in relazione all’accusa di associazione a delinquere. “E’  improbabile – sintetizza il Riesame – che l’indagato si sia prefisso lo scopo di favorire Coen nell’attività di revisione dei bilanci”.  (manuela d’alessandro)

  • Il capo degli scontrini al Pirellone: “Se avessi controllato, sarei finito in giardino”

     

    Chi controllava le spese dei consiglieri regionali, in epoca di scontrini pazzi? Un signore, ora serenamente in pensione, il quale sentito come testimone nel processo a carico di qualche dozzina di consiglieri delle passate edizioni del Pirellone-show esordisce così: “Se avessi detto che non andava bene una singola spesa, mi sarei trovato il giorno dopo in giardino, ecco. Mi piace dire la verità”.

    Il presidente della corte, Gaetano La Rocca, perplesso, pare chiedere conferma a se stesso di quanto ha appena udito: “Mi sarei trovato in giardino”, gli fa eco.

    (Uhm).

    Torniamo indietro. Alvaro Scattolin, per trent’anni dirigente regionale, vincolato al giuramento di testimone, da felice giubilato si sente libero di parlare. E così spiega il suo ruolo: “Premetto che la dirigente non superiore non faceva in questa materia nulla. Pertanto io con un’impiegata, Patrizia…mi sfugge il nome adesso, facevamo il controllo delle somme che ci venivano date, che il regolamento diceva che si potevano controllare le somme se erano giuste e se corrispondevano alle voci, non so biblioteca. E questo fatto noi lo facevamo e alla fine, se tornavano il conto, mettevamo che i conti andavano bene”. (altro…)

  • La figuraccia di Orlando, restituita la libertà a Doina Matei dopo i sorrisi su Facebook

     

    Mica per niente il  principe della democrazia Montesquieu aveva stabilito il principio di separazione dei poteri. I magistrati, il popolo, la politica. Nella grande confusione sotto al cielo di questi giorni, annotiamo anche la poco lusinghiera figura del Guardasigilli Andrea Orlando sulla vicenda di Doina Matei, la ragazza rumena che a furor di popolo era stata privata della semilibertà perché aveva postato una foto sorridente al mare su Facebook.

    Come si permetteva di sorridere nove anni dopo essere stata condannata per omicidio preterintenzionale per aver ucciso con un ombrello una giovane donna in metropolitana a Roma? Così lo stesso Tribunale che le aveva concesso la libertà gliel’aveva tolta, forse stordito dal chiacchiericcio sui social di chi non poteva tollerare uno spicchio di gioia conquistato da una detenuta modello.  Il Ministro Orlando era intervenuto ostentando conoscenza del caso : “La decisione dei giudici è giusta – aveva detto – perché il regime a cui era sottoposta prevedeva la limitazione dei mezzi di comunicazione e l’uso di Facebook, che permette di comunicare col mondo intero, non era previsto”. Già, non era previsto ma neppure vietato e la legge ama la precisione in questi casi. E oggi Doina Matei, nel frattempo tornata in carcere,  è stata riammessa al regime di semilibertà con un unico vincolo: guarda un po’, il divieto di usare Facebook, quello che per il Ministro c’era già.  (manuela d’alessandro)

    Perdere la libertà per un sorriso su Fb, punita dalla giustizia morale

     

     

  • Indovinello: in quale città il segretario M.S. organizzerà la protesta pro – pm?

     

     

    Corso di Comunicazione politica, modulo avanzato. Crediti formativi universitari, 12.
    Esercitazione:
    Caso 1.
    Un presidente di Regione in carica (soggetto R. M.), esponente del partito L, è imputato in un processo giunto alla sua fase dibattimentale per un reato che prevede l’applicazione, in caso di condanna, della ‘legge Severino’. Un suo coimputato ha patteggiato, un altro è stato condannato con rito abbreviato. Nel corso del dibattimento, il politico si candida come capolista in un capoluogo di provincia della stessa Regione. In ragione di ciò, chiede al Tribunale di sospendere il processo a suo carico per la durata della campagna elettorale.
    Caso 2.
    Nella stessa Regione, un sindaco di capoluogo (soggetto U), esponente del partito D (Democratico) viene attinto da ordinanza di custodia cautelare per un reato di pubblica amministrazione. Nell’ipotesi accusatoria, avrebbe  truccato una gara d’appalto nella città di Lodi al fine di perseguire illecitamente il principio politico “la città ai suoi cittadini”.
    Quesiti:
    A) Indichi il candidato, e argomenti, in quale città, il segretario (soggetto M. S.) del partito L  dovrà organizzare, nella prima domenica utile, una manifestazione di protesta contro le ruberie degli amministratori locali, a sostegno al lavoro della magistratura.
    B) Indichi altresì, su una scala da 1 a 10, l’aggressività linguistica da utilizzare.
    C) Indichi infine quale sia la risposta più efficace per respingere le domande dei cronisti che chiederanno conto al soggetto M.S. del processo a carico del soggetto R. M., esponente del partito L.
    La risposta corretta a questo link:

    Lodi–Salvini–Renzi-faccia.html

  • L’intervista del giudice milanese alla tv indiana su Finmeccanica fa arrabbiare gli avvocati

    “Super exclusive”: il presentatore indiano di NewsX, una delle più seguite emittenti online del Paese, non sta nella pelle lanciando l’intervista al giudice italiano Marco Maiga, l’uomo che ha ritenuto colpevoli gli allora vertici di Finmeccanica per le presunte mazzette sulla vendita degli elicotteri all’India nel 2010 da parte di Agusta Westland. Un colloquio pubblico che, a quanto apprende Giustiziami, ha fatto infuriare i legali dei manager.

    Quella che per noi è una vicenda esaurita in pochi articoli di giornale il giorno dopo la sentenza di condanna a Giuseppe Orsi (4 anni e mezzo di carcere) e Bruno Spagnolini (4 anni), in India è diventata un caso cosmico. E il giudice milanese, presidente della Corte d’Appello che ha ribaltato il primo grado da cui i manager italiani erano usciti assolti per la corruzione, viene chiamato in causa su temi che potrebbero influenzare il bollente panorama politico. Maiga non si tira indietro. Intervistato nel suo ufficio, mostra schemi e appunti sequestrati (riportati anche nelle motivazioni) e spiega in inglese che “non ci sono prove contro Sonia Gandhi, solo una citazione in un fax, la traduzione di un fax mandato al signor Michel”. Christian James Michel, già assolto per le presunte tangenti pagate sugli elicotteri, ha inviato nei giorni scorsi una lettera alle due corti (Ambrurgo e L’Aia) competenti sul caso dei marò arrestati per la morte dei pescatori indiani. Qui ipotizza un patto segreto che sarebbe stato proposto a Matteo Renzi dal primo ministro Narendra Modi per scambiare le prove del processo Finmeccanica contro la famiglia di Sonia Gandhi per la liberazione dei marò. Una storia che fa palpitare gli indiani che da Maiga vogliono sapere  perché la magistratura italiana non abbia chiesto la presenza dei politici indiani nei processi: “Anzitutto – risponde lui – sono indiani, quindi non c’è per loro l’obbligo di essere presenti. In secondo luogo, gli indizi non sono così gravi e pesanti per me da indurmi a chiederlo”.

    (manuela d’alessandro)

    il link con l’intervista integrale: http://www.newsx.com/national/27082-newsx-exclusive-judge-marco-maigo-answers-questions-on-agustawestland-scam

  • L’impiegata comunale di Lodi, “Io, in panico di fronte al sindaco che truccava il bando”

     

    La scena che racconta con toni drammatici è questa: lei entra nell’ufficio del sindaco di Lodi Simone Uggetti (Pd) e si trova di fronte Cristiano Marini, legale rappresentante della principale società interessata all’aggiudicazione del bando per la gestione delle piscine scoperte. I due stanno correggendo la bozza che lei aveva trasmesso giorni prima a Uggetti. Lei, se le sue dichiarazioni dovessero essere confermate dai giudici, è la funzionaria che avrebbe sventato l’ennesino caso di malaffare concepito in un’amministrazione comunale. Whistleblower, la gola profonda si diceva un tempo.

    E’ il 29 febbraio ed ecco quello che sarebbe successo nel palazzo del Broletto: “La scena che mi si presenta mi è subito chiara. Questa volta l’incontro non sarà come al solito a due, ma a tre. Il terzo interlocutore mi viene presentato come l’avvocato Marini, consigliere di Astem e di Sporting Lodi. Vorrei andarmene, ma non trovo il coraggio. Vedo sulla scrivania le copie del mio bando riguardante l’offerta economica e il sindaco mi invita a spiegare meglio quanto ho scritto, riesco solo a chiedere che Marini esca dall’ufficio. Capisco che la mia reazione ha infastidito il sindaco  e questo atteggiamento mi mette in una condizione di vulnerabilità ancora più forte. Cerco di reggere alle insistenze del sindaco che mi chiede un cambiamento dopo l’altro alternando dinieghi a rassegnate accettazioni. (…) Fingo di essere disposta a rimettere ancora in discussione tutto, per paura della reazione, sapendo ormai dentro di me che quel bando non l’avrei mai più firmato perché veniva totalmente snaturato nel suo equilibrio, perché chissà da quante mani era già passato quel procedimento di cui dovevo essere l’unica responsabile. (…). Il sindaco mi spiega che la società di mia sorella, la Sportime, potrebbe collaborare con Sporting Lodi. Capisco il tentativo di coinvolgimento della società di mia sorella per farmi sentire parte della partita.  Quel bando da me non verrà mai più firmato e, come insegnatoci nei recenti corsi dell’anti – corruzione, decide di andare a segnalare quanto accaduto…”.

    Il bando verrà aggiudicato “con la modifica dei criteri di assegnazione dei punteggi” predisposti dalla funzionaria alla società di Marini, arrestato con Uggetti per turbata libertà degli incanti. A firmarlo sarà il dirigente indicato nel piano anti – corruzione comunale al quale si era rivolta, ricevendone rassicurazioni, la denunciante.  (manuela d’alessandro)

  • La verità, 30 anni dopo: il ‘nuovo’ codice ha fallito

    Alla fine del 1989 veniva introdotto in Italia il “nuovo” Codice di Procedura penale che, dopo lunga gestazione e il contributo di alcuni tra i maggiori giuristi del tempo, mandava definitivamente in cantina quello “glorioso” del 1930. Si disse, con certa enfasi, che il “nuovo” processo, costruito secondo il modello accusatorio di matrice anglosassone e non più inquisitorio, vetusto retaggio del vecchio regime, sarebbe stato più “garantista”. Bizzarro neologismo posto che, riferendosi al rispetto delle garanzie di legge dell’imputato, sembrerebbe accreditare l’esistenza di qualcuno che altrettanto legittimamente non lo fa.

    Il nuovo processo penale prevedeva alcuni capisaldi destinati, sulla carta, a rivoluzionare quello precedente. Una fase inziale di ricerca della prova da parte dell’accusa dalla durata massima di sei mesi e sotto il rigido controllo dell’Autorità Giudiziaria sulle indagini di Polizia prima di dare accesso alla difesa. Una seconda fase di preventiva verifica, da parte di un Giudice terzo, della effettiva necessità o meno di celebrare un processo sulla base del materiale raccolto da entrambe le parti. Una terza fase di verifica dell’effettiva fondatezza dell’accusa da parte di un Tribunale del tutto ignaro di quanto in precedenza avvenuto, previa l’acquisizione orale delle prove presentate a dibattimento dalle parti in contraddittorio in condizione di assoluta parità.

    I due successivi gradi di impugnazione invece non differivano troppo dal rito abrogato, il primo restava una rivalutazione di merito di quanto acquisito in primo grado ed il secondo un controllo di legittimità sulla sentenza ricorsa. A latere del “modello” base furono introdotte alcune significative “novità”, le tre principali erano: 1) la previsione di riti alternativi “snellenti” che introducevano incentivi in punto di pena (ma non solo) per l’imputato che rinunciava al pubblico dibattimento, 2) la rivisitazione del regime cautelare previgente per circoscrivere allo stretto necessario la limitazione della libertà di un cittadino non ancora condannato e 3) l’abolizione della vecchia formula assolutoria per “insufficienza di prove” secondo il principio che la responsabilità penale dell’imputato deve essere provata dall’accusa “al di là di ogni ragionevole dubbio” dovendo lo stesso, in caso contrario, essere assolto. La “ratio” alla base della scelta del legislatore era quella di ridurre il numero dei processi penali ai soli casi veramente meritevoli di un compiuto accertamento dibattimentale e non solo per velocizzare i tempi della giustizia ma anche per non sottoporre a lunghi, costosi e logoranti processi cittadini che magari dopo anni di sofferenze risultavano innocenti.

    A distanza di quasi 30 anni possiamo dire che di quell’idea inziale è rimasto ben poco. Le indagini “segrete” del PM si protraggono ben oltre il limite di legge, essendosi nel tempo trasformata, la prevista facoltà di chiedere al Giudice una proroga, da eccezione a regola, e l’abuso della “delega di PG” da parte dei PM ha fatto sì che le indagini si risolvano molto spesso in accertamenti di Polizia Giudiziaria cui il PM mette solo il proprio finale avallo. Nei procedimenti costruiti per lo più sull’esito di intercettazioni, di cui viene fatto largo uso e per un numero sempre maggiore di reati, l’iniziale brogliaccio di PG che ricostruisce il contenuto di mesi di ascolto finisce con l’essere il fulcro del “file” sul quale viene formulata dal PM la richiesta di provvedimenti cautelari al GIP che a sua volta li trafonde nell’Ordinanza applicativa che molto spesso diventa a sua volta il tessuto motivazionale di una Sentenza in sede di Giudizio abbreviato di altro GIP poi confermata dalla Corte d’Appello e ratificata dalla Corte di Cassazione. (altro…)

  • Le foto dei bimbi guerrieri e quelle dei piccoli profughi morti in mare

    Due foto di bambini nell’ultima storia di terrorismo islamico raccontata da un’indagine giudiziaria. C’è quella dei 4 piccoli con la tuta mimetica e il dito puntato verso il cielo, a un paradiso che non può che essere di giocattoli: minuscoli guerriglieri inconsapevoli che riempiono di orgoglio la loro mamma, Alice Brignoli, e il papà Mohamed Koraichi, da Bulciago (Lecco) alla Siria per lo Stato Islamico. “L’immagine simbolo della vita attuale di Alice, dal momento che l’ha impostata come foto del suo profilo whatsapp!”, annotano gli inquirenti nell’ordinanza di custodia cautelare a carico dei giovani sposi foreign fighters e di altri 4 presunti jihasti. Sfugge un punto esclamativo, come di  sorpresa.

    Ma c’è anche una foto sul profilo Facebook del pugile – terrorista Raim Moutaharrik, un’immagine che quasi scompare tra tutte quelle che glorificano l’esuberanza atletica del campione di kickboxing, un guerriero del ring, un ragazzo integrato, diremmo, grazie allo sport. Tanti amici italiani passano da quel profilo per lasciare le faccine col sorriso, i ‘mi piace’, gli ‘in bocca al lupo’ per le sue sfide.  Un bambino steso sulla riva del mare, un piccolo profugo, la foto che avremo potuto mettere anche noi, quanti di noi l’hanno postata in questi mesi per mettere al caldo la coscienza o per una rabbia confusa. “Io non ho più parole!!!”, scrive Raim e gli scappano tre punti esclamativi. Il senso di questa storia di bambini e di terrore è forse nei punti esclamativi: di stupore, di rabbia, di terrore.  (manuela d’alessadro)

  • Il campione di Kickboxing che voleva fare un attentato in Italia

    Combattente sì, ma solo sul ring. Così lo conoscevano i compagni con cui incrociava i guantoni. Eccolo Raim Moutaharrik, il ragazzo marocchino che per la procura di Milano era pronto ad arruolarsi nell’Isis e a compiere un attentato in Italia. Il 14 maggio aveva un impegno importante, partecipare all’ ‘XI Trofeo Città Di Seregno Boxe’ al quale sono invitati i migliori rappresentanti della kickboxing.  Sul sito dell’evento si presenta così: “Sono un metalmeccanico, un fighter determinato”. Ventisei anni, è un atleta del ‘The Jolly Stompers/ Fight club Seregno’. Nell’intervista pubblicata dagli organizzatori della competizione, spiega di avere vinto 24 gare su 28 e  invia anche un messaggio al suo avversario: ““La legge del ring premia solo una persona”, poi annuncia di voler fare “un match intelligente”.  Agli atti dell’indagine condotta dai pm Romanelli, Cajani e Pavone, c’è un “messaggio – bomba” registrato via whatsapp in cui uno sceicco, non ancora identificato, lo esorta così: “Caro fratello, ti mando il poema bomba, ascolta lo sceicco e colpisci dove sei”.  “Che Dio ti benedica Sheiko – risponde – se Dio vuole. Avranno la brutta notizia, ci vendicheremo di loro. Che Dio vi protegga e ci sarà la vostra vittoria sul popolo degli ingiusti. Se  Dio vuole da noi non vedranno altro che macellazione e uccisione, Se Dio vuole vi raggiungeremo”. Prima di immolarsi, vuole solo sistemare moglie e figli nello Stato Islamico. “Se riesco  a mettere la mia famiglia in salvo, giuro sarò io il primo ad  attaccarli (…) in questa Italia crociata, il primo ad attaccarla, giuro, giuro che l’attacco, nel Vaticano con la
    volontà di Dio”. L’unica richiesta che ti chiedo – dice Moutaharrik a un altro arrestato – è la famiglia, tu sai voglio almeno che i miei figli crescano un po’ nel paese del califfato dell’Islam”. E, forse, vuole vincere anche l’utimo incontro sul ring. (manuela d’alessandro)

    *L’intervista è stata rimossa dal sito nelle ore successive all’arresto

     

     

     

     

  • Colpì Berlusconi con la statuetta, Tartaglia è libero, “percorso positivo”

    Ricordate le foto di Doina Matei su Facebook, quelle per cui la giovane assassina e detenuta modello ha perso la semilibertà? Qualcuno aveva forse sperato in un finale analogo quando Massimo Tartaglia, l’uomo che nel 2009 ferì Silvio Berlusconi con una statuetta del duomo, partecipò a un casting per interpretare il ruolo di Babbo Natale in un centro commerciale. Era dicembre 2014. La sua storia giudiziaria, fortunatamente, non ha seguito gli umori giustizialisti della folla.

    Oggi il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha rimosso l’ultimo ostacolo alla sua libertà. Cittadino speciale, Tartaglia, ancora bisognoso di cure, ma non più pericoloso, scrive il giudice agiovanna De Rosa.

    Dopo il proscioglimento per totale vizio di mente, Tartaglia era stato sottoposto alla libertà vigilata. Con vincoli sempre meno stringenti, mano a mano che il suo percorso di riabilitazione e cura psichiatrica avanzava. Prima il permesso di uscire dal suo comune di residenza, poi dalla provincia di Milano. Pur con una serie di obblighi, tra cui quello di firma settimanale in commissariato. Due anni fa, un permesso speciale, concesso per rivedere il mare: nessuna foto su Facebook, per fortuna. Di “comportamento sempre adeguato” e “quadro positivo” parla il giudice nel suo provvedimento. Spiegando che il bisogno di proseguire le cure non va necessariamente di pari passo con la limitazione della libertà. E che la misura di sicurezza non è un vincolo penale. Non serve a scontare una pena, ma a rendere inoffensivo un soggetto potenzialmente pericoloso per gli altri. Cosa che Tartaglia non è più. Ora fa il giardiniere, tecnicamente manutentore del verde per conto di una cooperativa legata al centro psicosociale che lo segue. “Un percorso esemplare di riabilitazione, possibile solo perché seguito a 360 gradi”, commenta il suo avvocato, Daniela Insalaco. Mentre Berlusconi scivola lentamente verso i margini del potere politico, il suo aggressore è di nuovo libero. Questa volta non chiamatela giustizia a orologeria.

  • Dall’assoluzione alla condanna per corruzione, le motivazioni della sentenza d’appello Finmeccanica

    Due settimane fa la Corte d’Appello di Milano ha detto che i vertici di Finmeccanica, gigantesca macchina di denaro e potere, hanno corrotto i funzionari pubblici indiani con una tangente da 51 milioni di euro per la fornitura di 12 elicotteri al governo di New Dehli.  Oggi vengono rese note le motivazioni della sentenza  che fanno a pezzi la ricostruzione definita “carente e lacunosa” del Tribunale di Busto Arsizio dal quale era arrivata l’assoluzione dal reato di corruzione per Giuseppe Orsi e Bruno Spagnolini, ex numeri uno di Finmeccanica e della controllata Agusta Westland. Qui leggete tutta un’altra storia rispetto al primo grado in cui i leader di una delle più importanti società italiane avrebbero “avallato” una potente corruzione attraverso intermediari e giri di fatture false così da meritarsi le condanne a 4 anni e mezzo (Orsi) e 4 anni (Spagnolini) di carcere. (m.d’a.)

    Sentenza appello Finmeccanica

  • I lettori lo criticano, il giudice s’arrabbia e chiede rispetto su Facebook

     

    Sopra, la notizia del ‘Piccolo’ di Trieste postata su Facebook dell’assoluzione di 18 su 22 consiglieri regionali del Friuli Venezia Giulia accusati di aver dilapidato soldi pubblici in una delle tante inchieste sparse in Italia sulle ‘spese pazze’. Sotto, la sequela di commenti inviperiti di molti lettori che non se ne fanno una ragione. “L’ennesima sentenza di un paese senza né capo né coda”. “Allora i soldi per i cittadini si possono spendere per i fatti propri, che regole ha la giustizia?” “Il più pulito ha la rogna”. All’ennesima critica, il gup di Trieste Giorgio Nicoli si ribella e gli viene voglia di spiegarla. “Non nel merito – premette – che poi ci sarà una breve motivazione”, però si lascia andare a una quarantina di righe in cui, con tono un po’ piccato, chiede rispetto.

    Il pm  aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati per peculato a pene comprese tra un anno e otto mesi e due anni e tre mesi, ma il giudice si è limitato a rinviare a giudizio solo un indagato, ad accogliere le richieste di patteggiamento di altri due e a rimandare davanti al gup la posizione di un quarto. “Ho fatto il pm per 8 anni – spiega ai lettori del social network – il pm ha il ruolo di mettere in luce le tesi che possono confermare l’accusa e la difesa deve far valere in tutti i modi la tesi dell’innocenza e il giudice è solo davanti alla scelta di cui si deve assumere la responsabilità”. Par di capire che per il gup i giornalisti debbano assumersi invece la responsabilità di rimandare una visione distorta della giustizia: “In oltre 25 anni che mi occupo con ruoli diversi di giudizi penali non ho mai visto un caso  in cui il resoconto della stampa sia corrispondente a quello in cui si è chiamati a decidere in un processo”. Sarà, ma il puntuale resoconto del ‘Piccolo’ da’ conto soltanto di chi è stato rinviato a giudizio e chi no, nulla più. Sembra invece che il giudice, ferito nell’orgoglio, si sia difeso attaccando, col classico riflesso pavloviano di qualsiasi mortale criticato su Facebook. (manuela d’alessandro)

    spese-pazze-18-assolti-e-un-rinvio-a-giudizio-1.13319154?ref=fbfpi&refresh_ce

  • Greco avanti, ma Nobili non è molto lontano: gara apertissima per la Procura

    E’ apertissima la gara per la Procura di Milano dopo che oggi la quinta commissione del Csm ha proposto i nomi dei candidati alla successione di Bruti Liberati: il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco ha ottenuto tre voti (due da consiglieri di Area, uno da Sel); una preferenza, del togato di Mi, è andata al pm milanese Alberto Nobili e un’altra, quella della consigliera laica del Pdl, a Giovanni Melillo, capo di gabinetto del Ministro Orlando. Si è astenuto il togato di Unicost e proprio da questa non scelta bisogna partire per provare a immaginare quello che accadrà nel plenum.

    Unicost sembra più che mai decisiva, i cinque voti a sua disposizione possono cambiare l’esito della partita. Cosa ha voluto comunicare con la sua astensione il togato Massimo Forciniti? A quanto apprendiamo, la corrente è spaccata: da una parte Luca Palamara insisterebbe per Greco, scelta non gradita ad altri che invece punterebbero su Nobili.

    Greco è il candidato di Area, che ha un pacchetto di 7 voti tra i togati ed è corrente alla quale sarebbe vicino anche Melillo che oggi però è stata proposto dall’incertissima, fino all’ultimo, laica di centrodestra Elisabetta Casellati. Pare che il suo voto sia stato ispirato dal Presidente della Cassazione Giovanni Canzio al quale risulterebbe indigesta la nomina del capo del pool economico milanese. L’obbiettivo: sparigliare le carte, non far andare Greco contro Nobili allo scontro finale perché in un ‘uno contro uno’ avrebbe prevalso con molta facilità il primo.

    Nobili conta sui tre voti di Magistratura Indipendente e, oltre che sperare di ottenere le preferenze di Unicost, deve cercare consensi tra i laici. Stando a quanto riportato dal Sole24ore, la battuta che sta circolando in queste ore a Palazzo dei Marescialli è: “Davigo alla testa dell’Anm e Greco della Procura di Milano è troppo. Mani Pulite non può prendersi tutto”. Tuttavia, il procuratore aggiunto è molto gradito da Matteo Renzi e, almeno fino al voto della Casellato, sembrava godere anche delle simpatie di Silvio Berlusconi.  Area propone Greco ma, se la situazione dovesse pendere a favore di Nobili, a un certo punto potrebbe cambiare cavallo, buttandosi su Melillo. Finora il capo di gabinetto è stato considerato troppo ‘politico’, dimenticando che negli ultimi anni, con la gestione di Bruti,  la Procura di Milano è stata di fatto guidata da Quirinale e Palazzo Chigi. (manuela d’alessandro)

  • Perdere la libertà per un sorriso su Fb, la killer dell’ombrello punita dalla giustizia morale

    L’avvocato Nino Marazzita conferma lo scoop del ‘Corriere’ al telefono: “Sì, è andata proprio così. Le hanno tolto la semilibertà solo perché ha pubblicato una foto in costume al mare sul profilo Facebook”. Nessun divieto specifico del giudice della Sorveglianza a utilizzare i social o ad allontanarsi dal luogo di residenza. E allora, cos’è passato nella testa del giudice che ha revocato a Doina Matei  la misura alternativa al carcere conquistata con la buona condotta dopo otto anni, la metà della pena per avere ucciso una ragazza colpendola con la punta dell’ombrello nella metropolitana di Roma?

    Forse per la rumena di 21 anni era previsto il divieto a sorridere finché non finisce di scontare la condanna per omicidio preterintenzionale.  Ma questa è una prescrizione che può essere scritta solo nel codice della giustizia a furor di popolo, non in quello di uno stato di diritto.

    Immaginiamo il magistrato sfogliare due giorni fa ‘Il Messaggero’, autore della pubblicazione delle foto di Doina Matei, che aveva deciso di sfuttare un permesso godendosi il primo mare al Lido di Venezia. Ce lo figuriamo travolto dall’indignazione che scorre sui social, al bar. E oppresso dalla sua stessa indignazione di uomo per quella felicità che rinasce e seppellisce ancora una volta il dolore di una famiglia.

    Ex baby prostituta, Doina Matei aveva chiesto scusa ai genitori di Vanessa Russo, uccisa da un ombrello dopo una lite in metropolitana:”Ho invocato il perdono, non ho avuto risposta. Tocca a me ora piegarmi a quel silenzio”. In quel silenzio non doveva sorridere, ecco la sua colpa estrema. (manuela d’alessandro)

    *In serata, il Ministro Orlando ha spiegato che la concessione della semilibertà era condizionata a un utilizzo limitato del telefono cellulare ed è stata revocata perché l’accesso a Fb consente “di intrattenere rapporti con un numero illimitato di soggetti”. Ribatte l’avvocato Marazzita: “La mia assistita è stata ligia alle prescrizioni che, peraltro, non contemplavano alcun divieto esplicito per i social. Si è limitata a qualche foto postata durante un permesso premio di tre ore. Ne discuteremo in aula e sono certo che la spunteremo”.

    *Il 5 maggio il Tribunale di Venezia ha riammesso Doina Matei alla semilibertà stabilendo da questo momento il divieto dell’utilizzo dei social network.