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  • Il cartello del giudice civile, se volete disturbarmi dovete essere simpatici

     

    Il giudice civile Enrica Alessandra Manfredini non ne può più di gente convinta che il suo sia l’ufficio informazioni della nuova palazzina della giustizia in via Pace. Ma ha deciso di sublimare l’insofferenza in un ‘gioco’ aperto ai seccatori di passaggio, invitati a dare sfogo alle più estreme fantasie per disturbarla. Partecipate numerosi! (m.d’a.)

  • 48 anni senza un giorno di assenza e con passione, va in in pensione Laura Bertolé Viale

    Quarantotto anni e mezzo senza un giorno di malattia.

    “Ecco, tutto quello che dovevo fare l’ho fatto”.  Laura Bertolé Viale sposta alcuni fogli sull’immenso tavolo del suo ufficio elegante, quasi li accarezza. C’è una firma importante, l’ultima della sua vita giudiziaria, con la quale toglie l’indagine, per assegnarla a quello che ancora per oggi è il suo ufficio, a un pubblico ministero che non ha indagato a fondo su un delitto. Negli ultimi cinque anni da avvocato generale dello stato, come mai nessun suo predecessore, ha esercitato il potere – dovere di avocazione, anche inimicandosi magistrati di peso a cui biasimava scarso ardore investigativo. E’ stata la prima a mettere il naso tra i rovi burocratici e reali dove è in costruzione da 20 anni l’aula bunker del carcere di Opera, ottenendo che la corte dei conti aprisse un’indagine. E una dei pochi ad accorgersi che il sistema di affidamento dei fondi Expo alla giustizia milanese era oscuro e non rispettoso della legge, tanto da decidere di starne fuori mentre attorno a lei c’era la corsa alla fetta più sostanziosa.

    “Sono entrata in magistratura nel maggio del 1968, tredici anni al tribunale civile e  poi ho seguito da giudice penale e da pubblico ministero tutti i terrorismi: rosso, nero e islamico”.  Ha sostenuto l’accusa nei processi d’appello per le stragi di piazza Fontana e della Questura di Milano, giudice estesore della prima condanna in appello perAdriano Sofri, si è occupata dell’omicidio Calabresi. E’ stata anche rappresentante dell’accusa in diversi processi a Silvio Berlusconi (All Iberian, Mills, diritti tv, nastro Unipol).

    “Ho fatto tutto, vado in pensione contenta”. Magistrato con la porta sempre aperta a tutti, mancherà molto a una giustizia che non ama guardare allo specchio le sue deformità. (manuela d’alessandro)

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  • Il broker segreto dei francescani
    si è impiccato in casa

    Il signor Rossi s’è tolto la vita. Impiccato. In casa, una villetta in fondo a una via tra edifici bassi e i campi in collina ai marigini di Lurago D’Erba, piena Brianza. Quando i finanzieri del Nucleo Valutario hanno suonato il citofono, questa mattina, non ha risposto nessuno.

    Ieri avevano perquisito gli uffici della Anycom Srl, proprio accanto al tribunale di Milano. Per oggi era prevista la perquisizione. I sigilli alla casa erano già stati apposti ieri.

    Il signor Rossi, al secolo Leonida, 78 anni, era un professionista che si muoveva tra Svizzera e Italia, e investiva il patrimonio dei francescani di mezza penisola grazie agli incarichi ricevuti da Giancarlo Lati, economo generale della Curia Generalizia dell’Ordine dei Frati Minori, Renato Beretta, economo della ‘provincia’ lombarda e Clemente Moriggi, economo della Conferenza dei Ministri Provinciali dell’Ordine dei Frati Minori. Rossi avrebbe riciclato oltre 26 milioni di euro sottratti alle casse dei francescani impiegandoli “in attività economiche, in particolare in attività edilizie speculative”, come si legge nel decreto di perquisizione firmato dai pm di Milano Adriano Scudieri, Sergio Spadaro e Alessia Miele. Attività che però non rientravano, stando alle accuse, tra “gli scopi e le finalità religiose degli enti” da cui quei denari provenivano. Quei fondi, stando alle indagini, venivano trasferite sui conti di Rossi per poi essere reinvestiti “nella realizzazione di complessi immobiliari (villaggi turistici, alberghi, ecc.) in alcune zone dell’Africa nonché nel Medio Oriente”. E solo “a fine 2014, dopo le continue richieste pervenute dai citati enti religiosi circa la restituzione delle somme dovute”, Rossi ammette di non potere più restituire i capitali ricevuti. “A partire dalla fine del 2011 Rossi aveva infatti progressivamente rifiutato le restituzioni, facendo infine registrare l’ammanco di cassa”. Ci sarebbero altri soldi gestiti in modo sospetto, tra cui 680mila euro dell’Opera Don Bosco per le Missioni.

    Ora il signor Rossi non potrà spiegare più niente. (manuela d’alessandro)

  • Schiaffo e sbeffeggi dalla Svizzera a Renzi, no al rientro del miliardo per Ilva

    La ‘Salva Ilva’ voluta dal governo Renzi per dare ossigeno al gigante siderurgico prostrato dalle inchieste giudiziarie si schianta contro la Svizzera. Il Tribunale Federale di Bellinzona boccia lo sblocco verso l’Italia di 1,2 miliardi di euro che erano stati sequestrati alla famiglia Riva come frutto di presunti reati in una delle tante indagini sulla gestione dell’azienda.

    Nella sentenza con cui negano il rimpatrio, i magistrati di Bellinzona massacrano con toni quasi sbeffeggianti il nostro sistema giudiziario e la norma che avrebbe dovuto risollevare la fabbrica un tempo orgoglio italiano. Sotto accusa c’è il sofisticato meccanismo previsto dalla ‘Salva Ilva’ per permettere alla società di utiilizzare i fondi sequestrati ai Riva attraverso la sotttoscrizione di obbligazioni da parte dell’azienda dell’acciaio. “La consegna del denaro – scrivono le toghe elvetiche – a causa della costellazione giuridica in Italia avrebbe come risultato che i valori in questione sarebbero stati subito convertiti, senza che vi sia una sentenza di confisca passata in giudicato ed esecutiva, in obbligazioni di una società in fallimento soggetta ad amministrazione straordinaria”. Questo significherebbe che “i beni patrimoniali sarebbero convertiti in titoli con valore non equivalente (presumibilmente senza valore o con valore fortemente ridotto) e ciò costituirebbe un’espropriazione senza un giudizio penale“.  Il principio, tanto caro agli svizzeri, è quello di conservare il denaro sequestrato fino a una pronuncia definitiva non facendogli perdere valore.

    Cosa succederà ora? Il miliardo e passa resta ibernato presso la banca luganese Ubs e non torna alle figlie dell’ex patron, morto nel 2014, Emilio Riva, che avevano presentato ricorso contro la decisione della Procura di Zurigo, cancellata dal Tribunale Federale, di dare il ‘via libera’ allo sblocco dei soldi. Le eredi di Emilio sono state ritenute “non legittimate” a presentare l’istanza. Entro 10 giorni i magistrati di Zurigo potranno ricorrere contro i colleghi federali ma è molto probabile che anche la Procura di Milano non resti impassibile a guardare la montagna di denaro risucchiata oltreconfine. (manuela d’alessandro)

    Il comunicato del Tribunale Federale di Bellinzona

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  • Emilio Fede va alla guerra contro le testimoni del processo Ruby ma per il gip fa querele “pretestuose”

    L’uomo è sanguigno, si sa. E si sa anche che “la miglior difesa è l’attacco”. Sorprende però che un giornalista esperto come Emilio Fede, ex direttore di successo, questa volta sia stato tanto impulsivo da fare – in sede giudiziaria – come il pilota che a 90 all’ora punta dritto contro un muro di cemento armato. Facendosi male da solo.

    Il suo muro incrollabile, Fede lo trova nelle dichiarazioni di tre testimoni, Chiara Danese, Ambra Battilana e Imane Fadil, nel processo Ruby. Quelle che hanno fatto luce sul bunga bunga e i metodi di cooptazione di giovani avvenenti ragazze ad Arcore. Le tre testimoni hanno contribuito alla condanna di Fede in primo e secondo grado (la Cassazione ha annullato, ci sarà un nuovo processo d’appello). Il 13 settembre 2013 Fede presenta a Novara una querela “per i delitti di calunnia, falsa testimonianza e altri eventualmente ravvisabili” (meglio abbondare. Meno di due mesi prima era stato condannato in primo grado nel processo Ruby per induzione alla prostituzione). Oggi il gip di Milano Donatella Banci Buonamici archivia la querela, e la motivazione non è piacevole per l’ex direttore del Tg4.

    “Merita solo evidenziare, a dimostrazione della strumentalità della denuncia querela presentata dal signor Fede (…) il contenuto di alcune conversazioni riportate in sentenza e comunque non contestate dalle difese, dalle quali emerge in maniera assolutamente univoca l’impegno profuso da Fede nell’individuare e selezionare giovani donne da condurre al cospetto di Silvio Berlusconi e indurle al compimento di atti sessuali“. Il luogo è villa San Martino ad Arcore, “dove si verificheranno i sipari descritti da una pluralità di testimoni presenti”, scrive il gip. Le accuse a carico delle tre ragazze vanno archiviate perché è “assolutamente evidente la assoluta mancanza di elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio”. Ma non avevano detto una sacco di bugie in aula, come sosteneva Fede? “Allo stato, sulla base del materiale esistente agli atti, questo giudice non può che condividere la valutazione espressa dal collegio giudicante, non emergendo dalle dichiarazioni delle tre indagate elementi in grado di inficiarne la veridicità del contenuto. Vanno invece valorizzate la linearità e la coerenza delle dichiarzioni rese dalle testimoni, che risultano scevre da contraddizioni”. Il loro racconto è “logico e coerente, estremanente dettagliato nelle parti salienti e privo di qualisiasi forzatura o animosità punitiva o di odio nei confronti dell’imputato”. Lui invece un pochino arrabbiato forse lo è.

    Il documento: archiviazione querela fede

  • I 4 anni di carcerazione preventiva di Daccò, la foto simbolo di un abuso

    L’uomo molto magro che vedete seduto e girato all’indietro tra i banchi dell’aula del processo Maugeri è Pierangelo Daccò. Il 17 novembre compirà quattro anni di carcerazione preventiva a Bollate dove è detenuto dopo l’arresto per bancarotta fraudolenta nell’ambito di un’indagine sul crac dell’ospedale San Raffaele. Quattro anni di carcerazione preventiva: un’enormità. Difficile ricordare casi analoghi, anche per reati più gravi. “In materia di custodia cautelare – spiegò uno dei più brillanti giuristi italiani, Valerio Onida intevistato sugli abusi della galera preventiva – dovrebbero valere sempre elementari principi di civiltà giuridica, tante volte affermati dalla Corte Costituzionale e dalla Corte europea del diritti dell’uomo.  L’accusato in attesa di giudizio si presume non colpevole (…). Le condizioni che legittimano la misura restrittiva devono di norma essere accertate in concreto e le misure adottate devono essere proporzionate e ristrette al minimo indispensabile per fronteggiare in concreto le riscontrate esigenze cautelari”. Il 7 maggio 2014 la Cassazione ha annullato in parte la sentenza d’appello con la quale Daccò era stato condannato col rito abbreviato a 9 anni di carcere per il dissesto finanziario del San Raffaele. L’ex uomo d’affari, 59 anni, dovrà attendere ancora molto per una sentenza definitiva: un nuovo appello e una probabile nuova Cassazione. Nel frattempo, partecipa alle udienze del processo Maugeri, dove è accusato di associazione per delinquere e corruzione, da detenuto per altra causa. (manuela d’alessandro)

    ps abbiamo mostrato la foto di un detenuto perché riteniamo che la sua carcerazione preventiva sia un abuso. Da parte nostra, nessuna valutazione sulla sua innocenza o colpevolezza che spetterà ai giudici stabilire in via definitiva.

    ps2 finalmente, il 3 dicembre sono stati concessi i domiciliari a Daccò

     

  • Il giudice Saguto chiede di venire a Milano dove voleva piazzare il figlio chef

    A Milano, coi favori dell’amico avvocato, sognava di trovare un posto al sole per il figliolo chef. E nella “capitale morale”, mentre attorno a lei divampava l’inchiesta di Caltanissetta e decideva di lasciare l’amara Palermo, piantava la bandierina dei suoi desideri. Tra la fine di settembre e i primi di ottobre, il magistrato antimafia Silvana Saguto ha compilato due domande per diventare presidente di sezione o magistrato della corte d’appello a Milano mostrando una salda sicurezza nella sua innocenza.

    Il curriculum brillerebbe se non fosse che, nelle prossime ore, il Csm potrebbe sospendere dalle funzioni e dallo stipendio l’ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Induzione, corruzione e abuso d’ufficio: la Procura di Caltanissetta le contesta di avere affidato all’avvocato Cappella Seminara gli incarichi più redditizzi in cambio di favori, oltre che di aver fatto per tre anni la spesa in un supermercato sequestrato, pagando di tanto in tanto, e avere usato la scorta per comprare frutta, verdura e filo interdentale. In un’intercettazione agli atti, Saguto chiede all’avvocato Seminara, amministratore dei più grossi patrimoni mafiosi a Palermo, di cercare un ristorante milanese dove far lavorare il figlio cuoco.

    “A Palermo non ci torno più – aveva dichiarato il magistrato dopo che il Csm ha accolto la sua richiesta di trasferimento –  Non ci lavorerò mai più, né mai più mi occuperò di misure di prevenzione… Forse abbiamo dato troppo fastidio e hanno voluto fermarci. Non so quanto i colleghi di Caltanissetta e i finanzieri se ne siano resi conto”.(manuela d’alessandro)

  • Touil è libero, il giudice dice ‘no’ al Cie e all’espulsione

    Non piange e non ride. Quello che è successo lo sfiora come un’eco lontana da un altro pianeta. “Non capisce, ha lo sguardo fisso nel vuoto”, spiegano i suo avvocati. Ma oggi  Abdelmajid Touil è un uomo libero, oltre che innocente rispetto all’accusa di avere partecipato alla strage del Museo del Bardo, 24 morti, tra cui 4 italiani.   Il rischio dell’ espulsione è ancora vivo, bisognerà però  scavalcare la decisione del giudice di pace di Torino che non ha convalidato il suo trattenimento nel Cie in quanto tappa di passaggio verso il Marocco dove rischierebbe la vita. In un provvedimento di tre righe, il giudice, valutata la “particolarità della situazione”, accoglie la richiesta della difesa di farlo uscire dal centro. A fianco degli avvocati Guido Savio e Silvia Fiorentino, è emersa una presenza decisiva, quella del procuratore Armando Spataro  il quale, “in adesione ai principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”, ha espresso parere contrario alla permanenza del ragazzo nel Cie.

    “Siamo felicissimi, è stata evitata l’ennesima figuraccia dell’Italia in tema di diritti umani”, esultano i legali. Cosa acccadrà ora? Ci sono tre strade per evitare che l’espulsione si concretizzi. Una, improbabile, è che la Questura di Milano revochi il ‘foglio di via’ verso il Marocco. Poi ci sono due carte in mano agli avvocati: il ricorso al giudice di pace di Milano contro il provvedimento di espulsione e la richiesta alla commissione territoriale competente dello status di rifugiato. Touil non lo sa ma dalla sua libertà passa un pezzo della nostra democrazia. (manuela d’alessandro)

    Il provvedimento del giudice di Torino

  • In arrivo il nuovo ‘super registro dei reati’ a Milano, rischio paralisi

    Fate in fretta se avete nel cassetto una denuncia contro ignoti da presentare alla Procura di Milano (ogni giorno ne arrivano un migliaio). Se lo farete adesso è molto probabile che prima di un anno quel foglio non si muova dalla scrivania su cui è stato posato. Ma se la presenterete dopo il 10 novembre passerà molto più di anno perché quella denuncia cominci la sua ‘strada giudiziaria’ verso un processo o un’archiviazione.

    Miracoli al contrario della rivoluzione informatica che sta per travolgere la giustizia milanese: tra 2 settimane spira il buon vecchio Re.ge., il registro informatico delle notizie di reato, quello su cui ogni avvocato, sospettato o cronista vorrebbe allungare le mani, lo ‘scrigno’ dei segreti del Palazzo. Al suo posto ecco il Sicp (Sistema Informativo Cognizione Penale), che minaccia di ibernare le attività della  giustizia milanese. Di per sé, l’innovazione è promettente. Il nuovo ‘registro’ sarà molto più ricco di contenuti: non solo notizie di reato, ma anche quelle sulle misure cautelari e su tutti i passaggi clou dei procedimenti penali. Inoltre, mentre il Re.ge è consultabile solo dai pm, il Sicp sarà a disposizione  di tutti gli altri uffici, dal Tribunale alla Corte d’Appello alla Procura Generale.

    E allora, perché la sua introduzione è accolta con sgomento dagli addetti ai lavori? Intanto, perché l’informatica senza l’uomo è perduta. A Milano, non a caso l’ultima città assieme a Roma in Italia ad affidarsi al nuovo sistema, per ogni ufficio di pubblico ministero ci sono 0, 80 dipendenti. Calcolando che tutto il carico del ‘sistemone’ graverà sulla Procura, da cui poi partirà il flusso delle informazioni per gli altri uffici, è intuibile il disagio. Aggiungiamoci che per aprire una nuova maschera bisogna aver compilato quelle precedenti altrimenti non si va avanti, con un notevole dispendio di tempo. A dirlo è anche il Csm in una delibera del 17 ottobre nella quale candidamente ammette: “ormai è chiaro che alcuni sistemi informatici, come il Sicp, rallentano e non velocizzano le attività ed assicurano un ritorno su altre dimensioni come quello della qualità”. Nella relazione inaugurale dell’anno giudiziario 2015 a Torino, si legge che il Sicp “è lento e farraginoso perché lo scaricamento di qualsiasi evento richiede molti più passaggi di prima e il personale non è stato formato”. Simili problemi sono emersi in molti altri distretti italiani e ora vanno immaginati in una realtà sofisticata come quella milanese, dove il problema più grave sono  i ritardi nelle iscrizioni delle denunce contro ignoti.

    Il Sicp, infine, fa molto affidamento, nelle intenzioni, sulla consolle del magistrato, una sorta di ‘scrivania informatica’ che dovrebbe essere messa a disposizione delle toghe. Peccato che a Milano le consolle, in teoria finanziate coi famosi fondi Expo per la giustizia, non siano ancora a disposizione delle toghe. (manuela d’alessandro)

     

  • Ilva, tutti assolti dalla frode per la riforma sull’elusione del Governo Renzi

    Primi, debordanti effetti della riforma fiscale entrata in vigore a ottobre. A scartare il ‘pacchetto regalo’ offerto dal Governo sono tre imputati del processo per una presunta maxi frode fiscale messa a segno dal gruppo Riva creando elementi fittizi passivi nei bilanci dell’Ilva.

    Il Tribunale di Milano li ha assolti ‘perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato’  alla luce delle modifiche apportate agli articoli 1, 3 e 4 della legge 74/2000. I tre, due ex manager del gigante siderurgico e un dirigente di Deutsche Bank,  erano accusati di avere ideato  una complessa triangolazione di prodotti strutturati e investimenti finanziari tra Italia, Germania e Madeira che  ha consentito al Gruppo di spostare oltre i confini nazionali 159 mln ed evadere imposte per 52 mln. I giudici della prima sezione hanno accolto la richiesta del pm Stefano Civardi il quale non ha potuto fra altro che chiedere l’assoluzione perché l’elusione fiscale (tecnicamente chiamata “abuso di diritto”) non e’ piu’ perseguibile penalmente ma puo’ essere solo sanzionata sotto il profilo amministrativo. Il vantaggio è, ovviamente, tutto per le grandi aziende che riescono a schivare sapientemente le norme fiscali: non a caso,  l’elusione viene definita ‘l’evasione dei ricchi’. Tra le altre cose, la legge depenalizza tutte le operazioni di interposizione, simulazione e frodi, escamotoge sofisticati per  ingannare il fisco, come quello al centro di questo processo concluso con tre assoluzioni. (manuela d’alessandro)

     

     

  • In carcere da innocente,Touil vittima dell’antiterrorismo internazionale

    E adesso chiediamo scusa a un ragazzo di 22 anni che per 5 mesi e mezzo è stato muto e solo in carcere con l’accusa di essere un terrorista. Ci andava solo la mamma a trovarlo, una volta alla settimana. Anche in cella ha continuato a studiare l’italiano, come faceva a Gaggiano prima che l’arrestassero. Cercava un lavoro e andava a scuola per imparare la lingua del Paese dove era arrivato su un barcone gonfio di disperati.

    La notizia che conta non è che la Corte d’Appello di Milano ha negato l’estradizione verso la Tunisia di Abdelmajid Touil, il ragazzo marocchino arrestato a maggio su richiesta delle autorità nordafricane perché sospettato di avere partecipato all’attentato al Museo del Bardo. Non poteva fare altrimenti: l’Italia non può estradare neppure il peggiore criminale in uno Stato in cui vige la pena di morte (articolo 24 della Costituzione).

    Quello che conta è che gli indizi messi assieme dalla Tunisia erano così labili che oggi la Procura di Milano ha chiesto di archiviare le accuse di terrorismo internazionale e strage nell’indagine ‘italiana’  a suo carico.

    Dicevano da Tunisi: una persona l’ha identificato in una fotografia come uno degli autori del massacro. Fin da subito, era stato chiaro che Touil nei giorni della strage si trovava a Gaggiano, proprio alla scuola d’italiano. Sul suo comodino la Digos non aveva trovato neanche un Corano.

    E ancora, dicevano: da una scheda sim da lui acquistata sono partite telefonate con alcuni esponenti del clan terrorista accusato della strage. Invece, è bastato ricostruire i ‘movimenti’ della scheda, la tempistica delle chiamate e la data del suo viaggio in Italia per accertare che gli interlocutori venivano chiamati da Touil non nella loro veste di estremisti ma in quella di scafisti.

    Cinque mesi e mezzo. Bravi i magistrati Maurizio Romanelli ed Enrico Pavone che hanno sventato un’ingiustizia. Resta la domanda: si poteva arrivarci prima che un ragazzo  appassisse solo e muto in una galera per cinque mesi e mezzo? (manuela d’alessandro)

  • Fondi Expo, per il Tar più di 6 mln sono stati assegnati in modo “illegittimo” al Tribunale

    Quella che potete leggere qui  è la sentenza  con la quale il Tar della Lombardia ha dichiarato illegittimi  e annullato appalti per 6,4 milioni di euro destinati alla giustizia milanese in nome di Expo. Il Tribunale di Milano ha siglato una convenzione scorretta con la Camera di Commercio per informatizzare gli uffici giudiziari in occasione dell’Esposizione Universale. In buona o mala fede? A stabilirlo dovrebbe essere un’inchiesta penale o quantomeno ci si attenderebbe un’ispezione ministeriale per capire la natura del gigantesco abbaglio.  Dal 2010 a oggi milioni di euro sono stati spesi con appalti senza gara  o con gare dichiarate illegittime, come Giustiziami e poi Il Fatto Quotidiano avevano anticipato nei mesi scorsi. Di una parte di questi appalti si occupa il Tar in una sentenza che meriterebbe le prime pagine dei giornali se questi non fossero finanziati da Expo.

    Nel 2014 il Tribunale, allora presieduto da Livia Pomodoro, e la Camera di Commercio firmano una convenzione in base alla quale la seconda s’impegna a realizzare alcuni lavori pagati col ‘tesoro’ di Expo: la manutenzione e gestione del sito del Tribunale di Milano, la gestione della pubblicità legale delle aste giudiziarie su siti e quotidiani; il servizio informativosu fallimenti e concordati e il supporto al processo civile telematico. Tutto procede, finché una società, la Aste On Line snc, fa ricorso al Tar lamentando una lesione della concorrenza.

    Il Tar  le da’ piena ragione affermando che “la convenzione determina un’illegittima restrizione della concorrenza attualmente esistente nel settore, tendendo all’individuazione di un operatore particolare a cui demandare l’effettuazione della pubblicità in via preferenziale”. Crollata la convenzione, sono nulle tutte le gare sue ‘figlie’ che ora vanno rifatte.

    (manuela d’alessandro)

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  • Fondazione Mps non chiede i danni a Mussari – Vigni, li ha già perdonati?

    Certe relazioni non finiscono mai. Neanche di fronte a un tradimento cruento, come quello al cuore e al portafoglio delle decina di migliaia di risparmiatori di una delle banche più antiche del mondo, il Monte dei Paschi di Siena. La Fondazione Mps, che di quella banca deteneva la maggioranza e assicurava una robusta rendita alla città di Siena, ha scelto di non costituirsi parte civile contro Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, rispettivamente ex presidente ed ex direttore generale della banca, nell’udienza preliminare che si è aperta stamattina sulla ristrutturazione del derivato Alexandria, posseduto da Mps attraverso un contratto stipulato con Nomura. Mussari e Vigni sono accusati di falso in bilancio e aggiotaggio.

     «Al momento non possiamo dare spiegazioni», fanno sapere dall’ufficio stampa della Fondazione che invece ha chiesto di costituirsi parte civile (deciderà poi il giudice) contro gli altri imputati, Gian Luca Baldassarri, Sadeq Sayeed, Raffaele Ricci. Imbarazzi, rapporti di riconoscenza?

    Mussari è stato prima presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena (2001-2006) e poi di Monte dei Paschi di Siena (2006 – 2012).  Alexandria, il derivato sintetico di 3 miliardi di euro venne stipulato nel 2009 sotto la gestione Mussari – Vigni ed è stato chiuso in anticipo lo scorso 23 settembre nell’ambito di una transazione tombale.

    Qual è il messaggio di questa scelta al processo? Forse che quel concentrato di poteri senesi – politico, economico, sociale, accademico, religioso, massonico,  insomma tutta la città – che è storicamente la Fondazione Mps ha di fatto perdonato Mussari o, comunque, non ha la forza di prendere le distanze da lui e da quei cinque anni di storia che hanno azzerato un patrimonio secolare? (manuela d’alessandro)

    ps in serata la Fondazione diffonde una nota motivando la scelta col fatto che avrebbe iniziato una causa civile (del tutto in sordina, mai comunicata ai media), nei confronti dei “Signori” (proprio con la ‘s’ maiuscola) Mussari e Vigni a Firenze. Com’è noto, è possibile chiedere i danni sia in sede civile che penale. Sarebbe stato forse troppo?

     

  • L’omicidio del codice di procedura penale che ‘compie’ 25 anni

    Sono passati più di 25 anni dalla introduzione in Italia di quel “nuovo” codice di procedura che nel finale del 1989 avrebbe dovuto, si disse, eliminare il vigente “rito inquisitorio” a favore del più anglosassone “rito accusatorio”. In questi anni la gran parte dei principi cardine che avevano ispirato quella trasformazione procedurale sono morti e sepolti con il risultato che l’odierno processo penale risulta meno garantista, per usare un termine tanto abusato quanto osceno, di quello dei nostri padri, rivelandosi soprattutto per l’imputato innocente una trappola esiziale.

    Si volle separare la prima fase segreta delle indagini, monopolio della accusa, da quella successiva dell’accertamento in contesa paritaria davanti al Giudice “terzo” ed estraneo alla prima fase, ma il dibattimento si è da anni trasformato nel luogo ove l’accusa fa direttamente confluire, e senza passare dal via, gli esiti della prima fase e se dimentica di farlo, provvede direttamente il Giudice “terzo” ricorrendo a quei poteri di integrazione istruttoria che, previsti come straordinari, sono diventati la regola sulla base del principio dell’accertamento della verità.

    Il ricorso alle intercettazioni, previsto come eccezionale ha finito con il costituire l’ossatura portante di gran parte delle indagini a prescindere dalla tipologia di reato perseguita e la prematura, quando smodata, divulgazione sui media sede primaria dei popolari giudizi al punto che si invocano resistenze al bavaglio anche per quelle che di penale rilevanza non avrebbero un bel nulla. Alcuni processi di criminalità organizzata finiscono direttamente in Cassazione con sentenze motivate sul “copia e incolla” dell’originario “file” delle intercettazioni della Polizia giudiziaria che le trascrive per il Pm che sulla base di quelle chiede al GIP la misura cautelare che sulla base di quelle la applica e che diventano in sede di giudizio abbreviato assunto motivazionale di colpevolezza, confermato dalla Corte d Appello ed insindacabile in sede di legittimità.

    Si volle limitare il ricorso alla carcerazione preventiva ma l’applicazione giurisprudenziale fece diventare anche il mero silenzio dell’incolpato duplice segnale di inquinamento probatorio e di pervicacia delinquenziale, sul presupposto che chi non recide il legame con il malaffare rendendosi inaffidabile delatore rimane “intraneo” allo stesso ed introducendo persino quel “giudicato cautelare” dei pure previsti controlli incidentali, che, in assenza di impossibili attivazioni da parte di chi si trova recluso, impedirebbe al Giudice della carcerazione ogni futura rivalutazione fino a scadenza massima.

    Quanto ai tanti riti alternativi al processo oggi abbiamo un giudizio abbreviato che, nato per invogliare l’incolpato con uno sconto di pena ad accettare un esito sulla base delle sole carte del PM, da un lato commina ergastoli in una unica udienza monocratica a porte chiuse con la stessa legittimazione di una Corte d’Assise impegnata in un lungo processo dibattimentale, e dall’altro legittima, come nel caso Garlasco, supplementi istruttori persino alla Corte di Appello bis nei confronti di chi è già stato più volte assolto. Il giudizio immediato, nato per consentire al PM di saltare la udienza filtro in caso di evidenze probatorie raccolte nei primi 3 mesi di indagine, viene oggi utilizzato da un lato per processare l’imputato in manette saltando i previsti termini di fase oppure per processare, caso Ruby, un colpevole così poco “evidente” da risultare poi assolto, mentre il patteggiamento, nato per definire con sanzioni non esecutive una rinuncia al processo, oggi costituisce marchio di accertata colpevolezza ed “allargato” titolo per rapide detenzioni definitive di entità tutt’altro che modesta. La stessa udienza preliminare, nata per essere un giudizio sulla indagine, oltre a rivelarsi del tutto inutile, è oggi la sede dove spesse volte il PM integra le proprie prove oltre la scadenza prorogabile, ragion per cui trova la sua essenza solo come momento primo e finale per definire alternativamente la vicenda. (altro…)

  • No agli animali nel Palazzo, caccia al geco del Procuratore

    Divieto di ingresso agli animali in Tribunale: ma alcune specie continueranno a frequentare inevitabilmente gli austeri corridoi. Piccioni, rondini, topi, pidocchi, il piccolo zoo metropolitano che da sempre vegeta a palazzo di giustizia. A questa fauna nei giorni scorsi si è aggiunto, anche se per poche ore, un geco. Il piccolo rettile è stato introdotto del tutto involontariamente a Palazzo nientemeno che dal procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, che – avvicinandosi il momento dell’addio all’ufficio, fissato per il 16 novembre – ha ordinato di tasca sua tre grandi piante da lasciare nel corrodio davanti alla sua stanza. Ma insieme alle piante dal vivaio è arrivato il minuscolo geco, che è balzato fuori dal vaso e ha iniziato ad aggirarsi sui marmi piacentiniani. E’ partita la caccia al geco, con l’obiettivo di portare in salvo l’animale. La caccia capitanata dal Procuratore ha avuto momenti quasi comici, ma alla fine il geco è stato catturato e chiuso in una bottiglia. Poche ore dopo pare sia stato liberato nel giardino di casa Bruti, confidando che l’inverno milanese non sia troppo inclemente. (orsola golgi)

  • Il memoriale di ‘nonna’ Gucci, case e dolori di un’ereditiera (sobria)

     

    “Quanto ereditato mi ha consentito di vivere sempre senza problemi”. Eccolo il sogno di molti italiani, evocato dalla signora Silvana Barbieri, mamma di Patrizia Gucci, in un memoriale consultato da Giustiziami ed entrato a far parte del processo che vede imputata l’ereditiera assieme alle nipoti Allegra e Alessandra Gucci per evasione fiscale. Il pm Gaetano Ruta ha chiesto per tutte loro l’assoluzione dalle accuse di avere nascosto al fisco 9 milioni (le sorelle) e 88mila euro (la nonna) sostenendo che “all’origine ci sarebbe stata la pianificazione di un’evasione di cui però non è stata raggiunta la prova”.

    Il documento del luglio scorso, lungo 17 pagine, ci consegna scampoli della storia immobiliare, giudiziaria e umana della vedova Reggiani, ora 89enne, e della figlia Patrizia, condannata a 26 anni per essere stata la mandante degli assassini del marito Maurizio Gucci e ora in libertà. Nelle ‘memorie’ scorre un pezzo della saga glamour ‘in nero’ di una delle più importanti dinastie della moda nel mondo. Anche Silvana Barbieri venne processata per l’omicidio dell’erede della maison ma fu scagionata nel 2000 dall’accusa di aver aiutato la figlia a cercare un killer per sbarazzarsi di Maurizio.

    SOBRIETA’ 

     “Dopo la morte di mio marito nel 1973 ereditai un cospicuo patrimonio immobiliare (…) nonostante la mia condizione economica benestante, e la mia ancora giovane età ho sempre avuto uno stile di vita sobrio, sicuramente agiato,ma schivo da ogni ostentazione, o lusso eccessivo. Ero attenta a ogni spesa (…)

    MONTECARLO, MON AMOUR

    “Mi liberai di quegli immobili che avevano un particolare valore affettivo o evocavano brutti ricordi e conservai quelli che erano frutto del lavoro di mio marito ed erano per me la fonte di reddito. La casa di Corso Matteotti era un trilocale con terrazzo più servizi preso in locazione perché non avevo ancora deciso dove stabilirmi definitivamente (…) Conobbi la titolare di un’agenzia immobiliare a Montecarlo, dove mi trasferii, che mi trovò un appartamento non particolarmente grande (100 mq) ma sito in una posizione prestigiosa che affacciava direttamente sul porto. Fu da me arredato finemente ed era un vero e proprio bijoux. Le mie nipoti Alessandra e Allegra venivano spesso lasciate da Maurizio e Patrizia da me quando andavano a fare i loro viaggi in giro per il mondo e la casa divenne piccola. Acquistai un nuovo immobile con una posizione splendida e un bel terrazzo (…) Ospitavo sovente amici, conobbi il Principe, e frequentavo molte persone. La cerchia più stretta di amici comprendeva ad esempio la contessa Offedduzzi, la nota famiglia ebrea degli Alzarachi, la famiglia Aldrovandi, noti produttori di calzature (…)Venivo a Milano per gli affari attinenti ai cespiti immobiliari e per vedere mia figlia quando non era nell’abitazione di St. Moriz o altrove, mentre a Montecarlo si svolgeva la maggior parte della vita sociale, che occupava gran parte del mio tempo, non avendo io esigenza di lavorare ma potendomi gestire il mio patrimonio ereditario”.

    L’OMICIDIO

    “Il 1995 fu l’anno in cui il mio genero Maurizio Gucci venne ucciso (…) pur nella drammaticità del frangente (Patrizia venne arrestata nel 1997) le mie permanenze e abitudini non dovettero modificarsi in modo sostanziale. Pur mantenendo la mia residenza e le mie frequentazioni  a Montecarlo si rese necessaria (e non fu certo una scelta) una mia più intensa presenza a Milano, sia per i colloqui in carcere con mia figlia sia per quelli con gli avvocati (…) Fui invitata dalle mie nipoti a utilizzare la casa di Porta Venezia che divenne il punto di appoggio per tutte noi. Era una prestigiosa abitazione di proprietà della famiglia Marelli che Maurizio Gucci aveva scelto per andarvi ad abitare con la sua nuova compagna e che aveva preso in locazione da una società della famiglia Marelli attraverso una società estera a lui riconducibile. (…) Personalmente ero estranea a tale società estera. Gli onerosi canoni di locazione furono sempre pagati in automatico, in forza del contratto di locazione della società estera, con liquidità derivanti dal patrimonio Gucci. Non contribuivo in alcun modo con le mie sostanze.

    IL MIO PATRIMONIO TUTTO CESPITI

    “Circa il mio patrimonio, confermo che tutte le entrate sono sempre derivate da cespiti ereditati che avevo venduto (es. casa di via dei Giardini, casa al mare) o locato (…) Quello che ho ereditato mi ha sempre consentito di vivere senza problemi. Dalla metà degli anni ’90, Montecarlo per me e St. Moriz per le ragazze erano luoghi più sereni di Milano ove ci attendevano solo problemi. Debbo confessare che quella vicenda ha inciso profondamente nella mia vita e nel mio modo di relazionarmi agli altri. Divenni più schiva e meno propensa alle relazioni sociali, notai un raffreddarsi nei rapporti con molte persone e comunque in generale le mie relazioni sociali si diradarono significativamente anche per una sorta di mio irrazionale pudore, del tutto in giustificato per quel che mi riguarda, potendo dire di aver vissuto a testa alta tutta la mia esistenza, tutt’altro che priva di problemi.

    LA CASA DEI SOGNI VICINO AL PALAZZO DA 6 MLN

    “Fu così che nel 2004 acquistai fu acquistato l’immobile di via Andreani (ndr, a pochi metri dal Palazzo di Giustizia) attraverso l’acquisto dal precedente proprietario (da parte della capogruppo delle mie società, la Mauzia) delle quote della Soire srl, società precedente intestataria dell’immobile. Fu versato dalla Mauzia un acconto di un milione di euro mentre fu acceso un mutuo ipotecario per i rimanenti cinque milioni costituenti il saldo prezzo. (…) Allegra e Alessandra si dichiararono disponibili a prendere in locazione l’immobile per partecipare ai costi di gestione. La locazione si concretizzò attraverso un contratto tra Soire e una società di cui si servivano le ragazze. Venne deciso un canone di 200mila euro a favore di Soire.

    LE SPESE EXTRA CARCERE E LUSSO  DI PATRIZIA 

    “Allegra e Alessandra (che hanno ereditato il patrimonio Gucci e hanno disponibilità ben superiori alle mie) hanno sempre contribuito in modo consistente per Patrizia, sia per quel che riguarda il mantenimento in prigione sia per gli acquisti e le spese (non indifferenti) che la mamma – certo non badando al risparmio – effettuava nel corso delle uscite dal carcere (parrucchiera, estetisti, accessori, sartoria e vestiario di qualità) oltre che per le spese della casa di via Andreani. A tale scopo venivano inviati sul mio conto italiano, a cadenza bimestrale, 25 o 30mila euro funzionali a queste spese. Il denaro proveniva da disponibilità estere delle mie nipoti e tramite in conto svizzero veniva girato sul mio conto dov’è diventato oggetto di contestazione a titolo di reddito non dichiarato. In realtà erano accrediti di Allegra e Alessandra, quale contributo delle spese di cui sopra”.

    Manuela D’Alessandro

     

     

  • Lasciateli a casa, da oggi è “vietato l’ingresso degli animali nel Palazzo”

    Chissà se a loro piaceva girovagare per la ‘savana’ di cemento del Tribunale, annusare i fascioli polverosi, incrociare strani uomini in toga. Da oggi, è “vietato agli animali l’accesso ai Palazzi di Giustizia del Distretto di Milano”. Il provvedimento è firmato dalll’avvocato generale Laura Bertolé Viale e timbrato da Edmondo Bruti Liberati il quale, non molto tempo fa, si aggirava per la Procura in compagnia della moglie e di un simpatico barboncino color panna. Nell’”importante direttiva” di cui si invita “la più scrupolosa osservanza”, si fa cenno a “recenti spiacevoli accadimenti verificatisi nel tentativo di accesso al Palazzo di Giustizia con animali da compagnia al seguito”. “Fatti salvi i cani guida per non vedenti e da accompagnamento per persone disabili”, per tutti gli altri, come indicato da diversi cartelli appesi ai varchi, il Palazzo diventa proibito. Tutto “al fine di poter garantire il regolare e sereno svolgimento dell’attività d’ufficio”. Se è anche colpa nostra (non-dite-piu-che-ad-agosto-non-ce-un-cane-nel-palazzo-di-giustizia) perché segnalammo la presenza di un dolce cagnetto ad agosto, chiediamo scusa agli amici degli animali. (manuela d’alessandro)

  • Le “nuove verità” su Aldo Moro, ecco perché sono tutte bufale

    In questi giorni sono apparsi due articoli che anticipano quelle che sarebbero state le rilevanti “scoperte” dell’ ennesima indagine sul sequestro del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, avvenuto nel lontano 1978, grazie “alla disponibilità di tecniche e strumenti investigativi assai sofisticati che allora non esistevano”,  come dichiara il Senatore PD Federico Fornaro, segretario della Commissione parlamentare di inchiesta.

    Il primo, datato 27 settembre, e pubblicato sul sito “Fasaleaks” del noto giornalista Giovanni Fasanella, riporta una intervista al citato senatore Fornaro mentre il secondo, datato 30 settembre e a firma Francesco Saita è stato pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Visto che non passa anno che non ci vengano proposte “nuove” verità che poi magari finiscono con la incriminazione per calunnia, come di recente avvenuto nel giugno del 2013 con l’ex finanziere Giovanni Ladu o nell’aprile del 2014 con l’artificiere Vitantonio Raso, la legge della prudenza si impone inesorabile. Sarebbero 3, secondo il Senatore Fornaro, le nuove acquisizioni su quanto avvenuto il mattino del 16 marzo 1978 in via Fani. La prima è una nuova ricostruzione con il laser della azione armata delle Brigate Rosse “che consente di ipotizzare la presenza sul luogo del sequestro di uno o due membri del commando mai identificati”. Di più il Senatore non dice, ma ci anticipa che si tratterebbe di “tiratori scelti, killer di professione provenienti, si aggiunge, “da ambienti mafiosi, in particolare ‘ndrangheta, e dalla Raf, l’organizzazione terroristica tedesca”. Attendiamo ovviamente di conoscere nel dettaglio gli esiti di queste nuove indagini al laser, in grado addirittura di identificare tratti calabresi e tedeschi, ma la presenza di tiratori scelti lascia un tantino dubbiosi visto che, come ampiamente ricostruito, si trattò di sparare plurime raffiche a distanza ravvicinata su cinque uomini della scorta colti alla totale sprovvista e bloccati a bordo di due autovetture incastrate secondo il medesimo schema operativo utilizzato qualche mese prima dai militanti della RAF in occasione del sequestro dell’industriale Schleyer. Che per portare a compimento una siffatta azione occorresse ai 10 componenti accertati del commando BR l’ausilio di un killer della ‘ndangheta (e di un rappresentante delle RAF in un periodo in cui ormai non se la passavano troppo bene) pare ipotesi priva di ragionevolezza, ma andiamo oltre.

    (altro…)

  • Il giudice spedisce i legali in camera di consiglio per chiudere la ‘partita’ tra blogger e Canalis

     

    “Vi chiudo dentro e butto le chiavi”. Qualche avvocato fa il muso lungo di chi proprio non desidera violare la sacralità di quella stanza di solito riservata alle elucubrazioni dei giudici prima di una decisione o di una sentenza. Ma poco ci manca che lo spiritoso giudice Stefano Corbetta,  accompagni i riottosi uno per uno e per mano nella sua camera di consiglio: i legali di Selvaggia Lucarelli, Guia Soncini e Gianluca Neri alias Macchianera, accusati a vario titolo di avere rubato e spiato foto di vip, e quelli delle loro presunte vittime, Elisabetta Canalis, Federica Fontana e Felice Rusconi (rubavano-foto-e-gossip-dalle-mail-dei-vip-a-processo-selvaggia-lucarelli-e-guia-soncini).

    Questo processo non è solo una tenzone tra i blogger più cliccati della rete e la ex di George Clooney la cui mail sarebbe stata monitorata per mesi sino al ‘furto’ delle foto del suo 32esimo compleanno a Villa Oleandra. E’ anche una sfida aspra tra alcuni dei legali milanesi più quotati nell’ambito del diritto informatico e delle diffamazioni (Caterina Malavenda, Giuseppe Vaciago, Marco Tullio Giordano, Barbara Indovina).

    Così quando il magistrato con tono pacioso chiede se ci siano stati tra la prima udienza di giugno e quella di oggi “contatti tra gli avvocati” per trovare un accordo su un eventuale risarcimento a favore delle parti civili, le toghe si raggelano. “Se vi congedo ora – insiste Corbetta di fronte al silenzio che accompagna la sua domanda  – so già che non parlerete tra voi. Allora andate adesso nella mia camera di consiglio e provate a vedere se ci sono margini effettivi di manovra”. Uno dei legali del fronte imputati brontola: “Se proprio dobbiamo perdere mezz’ora…”.

    L’inedita camera di consiglio si svolge in un clima polare, le parti sono distanti e gli stessi avvocati della difesa non appaiono compatti sulla strategia. Alla fine i legali escono dal ‘retrobottega’ del giudice senza un’intesa ma promettono di contattare i loro assistiti per valutare se ci siano le condizioni per chiudere almeno la parte del processo che riguarda ipotesi di reato nate da querela. Il giudice ci riprova : “Qualora fosse trovato un accordo, è chiaro che nel caso di un’eventuale condanna terremo conto del comportamento processuale”. Altrimenti, alla guerra. Nella sua lista dei testimoni la parte civile ha messo anche il direttore di ‘Chi’ Alfonso Signorini al quale Lucarelli propose (se a pagamento o no, lo stabilirà il giudice) le fotografie di Villa Oleandra, così appetitose perché per la prima volta gli interni di casa Clooney  sarebbero apparsi al mondo. (manuela d’alessandro)

     

     

  • ‘Il clima ideale’ tra Milano e la ex Jugoslavia, thriller d’esordio di Franco Vanni

     

     

    E’ tutta una questione di clima per Aleksandar Jovanov. Cambia pelle, odore e perfino nome quando Franco Vanni gira la manopola della temperatura sulle pagine.

    Nel clima mite della campagna elettorale serba 2012 è il candidato premier progressista “buono, sicuro, conciliante” che si fa fotografare tra i garofani.  In quello acre della Bosnia orientale venti anni prima lo chiamavano Dragan ed era un criminale di guerra, stupratore e assassino “per divertimento” ma anche perché non sopportava la puzza di carogna che emanava il suo corpo fin da bambino.

    Pure per Michele, trentenne di Milano coi capelli a scodella e l’ossessione dello yo – yo, è una faccenda di clima. Lobbista, il suo lavoro consiste nel creare quello “ideale” per gli interessi dei clienti, anche quando gli tocca piegare la legge. Tenero con la sola persona al mondo a cui “non saprebbe mai dire di no”. Nonno Folco, 91 anni, psichiatra di furiosa intelligenza e ironia, lo spedisce in Albania a indagare sulla vita della meravigliosa Nina, cameriera e figlia di Jovanov.

    Il vecchio vuole sapere se la ragazza è così legata al padre da dispiacersi molto se lui dovesse andare a ficcare una pallottola nel cuore del futuro premier. Folco è pronto a immolarsi per evitare che il politico, i cui abomini gli sono stati svelati da un’adolescente bosniaca sua paziente, si consacri con l’elezione “paladino dei diritti civili”. Michele vola a Tirana, incontra Nina che poi scompare e da quel momento il clima del racconto impazzisce, regalando variazioni continue. Vanni, cronista giudiziario di ‘Repubblica’, ha il ritmo giusto per alternare ambienti feroci ad altri dolci. Sa quando lasciar riposare i personaggi all’ombra dei loro pensieri e quando buttarli tra i nembi dell’azione. Scrive chiaro e spedito, e la storia da tortuosa alla fine si fa semplice, come semplice ne è l’ispirazione e il senso ultimo: l’amore puro tra un nonno e un nipote. Ai nonni ‘Franco e Franco’, il giovane Franco dedica il suo esuberante esordio.  (manuela d’alessandro)

    ‘Il clima ideale’ di Franco Fanni, Laurana Editore, pagg. 296, euro 16. Lo trovate anche alla libreria ‘L’Accademia’ di corso Porta Vittoria 14

     

     

     

  • Cadono lastre dal soffitto del nuovo Tribunale. Un avvocato, “salva per un soffio”

    “Camminavo al piano terra quando ho sentito un boato, come un colpo di pistola”. Sono le nove di lunedì mattina e l’avvocato Annalisa Premuroso sta percorrendo il corridoio della nuova palazzina del Tribunale di Milano. “Un collega, mentre ancora non mi rendevo conto di cosa fosse successo – racconta –  mi avverte che è caduto a terra un pannello che si è staccato dal soffitto, che mi ha sfiorata alle spalle e non mi ha preso per un niente…”.

    Se il giudice imprigionato nel bagno con la maniglia rotta aveva strappato un sorriso (qui), quanto accaduto all’avvocato Premuroso fa paura, ancor più perché la settimana scorsa era piombato dal soffitto un altro tassello. “E in quel caso non si era neppure chiuso il corridoio, come sarebbe stato logico fare. Stiamo aspettando il morto? – si chiede il legale – La lastra era molto pesante, di cemento e intonaco, se mi avesse colpito mi sarei fatta molto male”.

    Oggi, invitata da un giudice, l’avvocato ha presentato una denuncia alla commissione logistica del Tribunale allegando le immagini del crollo.

    Maniglie che si rompono, cellulari che non prendono, luci al neon definite “insostenibili” da chi ci lavora e adesso parte del soffitto che viene giù. Bella è bella, la nuova palazzina destinata ai processi di lavoro e famiglia, lo dicono tutti. Ma sembra la bellezza di una donna troppo truccata per nascondere imperfezioni pericolose.

    Manuela D’Alessandro

     

  • Il giudice imprigionato in bagno spacca la porta e i carabinieri lo verbalizzano

    Eccoci nella nuova, scintillante palazzina della giustizia milanese, quella riservata ai giudici civili e del lavoro da poco inaugurata. Il giudice entra in bagno per fare la pipì e, chiudendo la porta dietro di sé, resta con la maniglia in mano. Che fa? “La pipì anzitutto e poi non mi faccio travolgere dal panico, prendo a manate la porta e urlo di venirmi ad aprire”. Non può telefonare perché i cellulari nella nuova, scintillante palazzina non prendono (l’avevamo raccontato qui). Allora si mette comodo e pensa: ‘Prima o poi a qualcuno scapperà la pipì’. Invece i suoi colleghi (il bagno è di servizio) se ne stanno tutti beati dietro alle scrivanie.

    Passa mezz’ora e la pazienza si fiacca. Il giudice prende il mozzicone di maniglia e colpisce la porta che scopre essere di pastafrolla. Con due calcioni apre un bello squarcio nel ‘tamburato’.

    “Stai calmo, ora ti salviamo!”, gli urlano dall’aldilà sentendo i rumori delle pedate. Dallo squarcio intravvede due carabinieri. Aprono quel che resta della porta. Neppure un secondo per rigustare la libertà che il brigadiere gli chiede i documenti e verbalizza le generalità.  “Potevate almeno chiedermi come stavo…”, butta lì il magistrato. “Signore, noi facciamo il nostro lavoro…”, risponde il militare che di fronte alla porta rotta forse vola con la fantasia e pensa a un’ipotesi di danneggiamento aggravato dall’uso di una maniglia contundente. (manuela d’alessandro)

    ps. qualche giorno prima una collega del giudice imprigionato aveva segnalato all’ufficio manutenzione che la maniglia era rotta.

  • Sui siti le foto di Boettcher in gabbia e dello sfigurato. Fermateci, per favore

     

    Guardate i siti dei principali giornali italiani. In altro, tra le principali notizie, ci sono la foto di un ragazzo sfigurato e quella di un ragazzo in gabbia, messe una di fianco all’altra. Stefano Savi con un cappellino che non fa ombra sull’oscenità del martirio e Alexander Boettcher in tuta dietro le sbarre, vittima e imputato del processo sulle aggressioni con l’acido.

    Esiste un limite al diritto di cronaca? Sì, esiste. Non sono solo le carte deontologiche la cui conoscenza dovrebbe essere necessaria a un giornalista per fare il suo mestiere ma anche le regole della fratellanza o almeno del rispetto tra umani a stabilirlo. Inoltre, il pm Marcello Musso aveva chiesto di non riprendere o fotografare Savi per rispetto della sua “identità offesa”.

    A meno che i due non abbiano dato il consenso a essere ripresi, fotografarli e metterli online è come picchiare un disabile, come aggredire in quattro una sola persona inerme.

    Qualcuno ci fermi, per favore. (manuela d’alessandro)

     

  • Detenuta lavoratrice a Expo, evade uscendo dai tornelli. Ricercata da luglio.

    E’ scivolata via lieve dai tornelli dell’esposizione universale, confusa nella folla stanca che abbandonava i padiglioni un pomeriggio di luglio. Evasa da Expo dove lavorava per 500 euro al mese nell’ambito del progetto che vede impegnato un centinaio di detenuti delle varice carceri lombarde – Bollate, Opera, Busto Arsizio e Monza – a dare informazioni e aiutare i visitatori che perdono il filo tra i paesi del mondo.

    Una detenuta transessuale vicina all’ultima curva della sua pena per omicidio preterintenzionale, due anni e mezzo da scontare a Bollate, una delle carceri meno crudeli con chi ha perso la libertà. Impeccabile sempre, tutte le volte che le era stato concesso uno spicchio d’aria con diversi permessi durante la carcerazione. Mai un ritardo, una sbavatura. Per questo era stata scelta, anche col sì del giudice della sorveglianza, tra i candidati a vivere un’esperienza di lavoro a Expo con uno stipendio inferiore di un terzo rispetto ai contratti collettivi nazionali, come previsto dalla legge. Sei ore al giorno per sei giorni alla settimana dentro alla giostra dell’esposizione finché non le è venuta voglia di scendere e scappare via. Da allora, primi di luglio, la stanno cercando invano. Se dovessero trovarla, la sua curva prima della libertà diventererebbe una strada senza fine. (manuela d’alessandro)

  • Fare una denuncia alla polizia nel cuore della città di Expo

    Via fatebenefratelli, siamo in uno dei quartieri più eleganti di Milano, a due passi da via dei giardini per intenderci, la casella viola più pregiata del monopoli. Nel bel palazzo neoclassico della questura c’è, appena dopo l’ingresso, una sala d’attesa di pochi metri quadri che ospita chiunque, cittadino o meno, desideri parlare con un poliziotto. Sono solo tre gli agenti che raccolgono le denunce. Tempo d’attesa, non meno di un’ora e mezza.

    Uno di loro si affaccia e scruta la platea accalcata.  Ne approfittano due ragazzi francesi. “Do you speak French?”, chiedono ambiziosi. “No”. “Do you speak english?”. “No, non parlo niente”, ribatte l’agente, che poi, rivolto a tutti, esorta “Vedete voi come organizzarvi con la coda”. Siamo in Polizia, mica dal salumiere, qui i bigliettini non sono previsti. Devi occupare il posto in modo marziale, o quelli dietro di te ti fanno secco. Una signora di origini slave regala un po’ di cabaret agli astanti e poi s’informa con un altro agente sul dormitorio in cui  trascorrere la notte. “Signora, in via Ortles non c’è posto, deve rivolgersi al commissariato più vicino a casa”. Una senzatetto avrà certo un commissariato vicino a casa.

    Un signore  vorrebbe portare il suo bambino a fare la pipì nel wc della sala d’attesa.  La porta non si apre, nonostante gli sforzi di tutti, poliziotti compresi. Alla fine i due vengono invitati ad andare al bar di fronte alla questura. La coppia di francesi riprova a chiedere informazioni. La risposta è in italiano e il ragazzo, che non avrà più di 20 anni, adesso è seccato: “I don’t understand italiano”, poi, in inglese, conciona sui nostri usi con quel tono irritato che sanno avere i francesi per concludere con un lapidario “I never saw that”. (manuela d’alessandro)

  • Non dite più che ad agosto non c’è un cane nel Palazzo di Giustizia

    Non si dica che ad agosto a Palazzo di Giustizia non c’è un cane. Ed è pure un cane felice di starci. Il bassotto scorazza con naturalezza sul ‘prato’ di marmo grigio e si prende coccole e carezze degli sparuti frequentatori della Procura estiva che incontrano la premurosa padrona. (manuela d’alessandro – foto per gentile concessione di franco vanni)

     

  • Martina e figlio ancora in ospedale perché non sanno dove mandarli

    Martina Levato e il suo bambino stanno bene. Sono così in salute che avrebbero potuto lasciare sin da oggi la clinica Mangiagalli. Non vengono dimessi, fanno sapere dall’ospedale con più fiocchi azzurri e rosa di Milano, solo perché non si sa dove mandarli.

    Il provvedimento del Tribunale dei Minori col quale è stato revocato il ‘divieto di abbraccio’ tra madre e figlio col trascorrere delle ore appare sempre più una decisione monca. La Mangiagalli è diventata una sorta di ‘stato cuscinetto’ di cui i due sono cittadini onorari mentre il mondo attorno si azzanna su cosa sia il loro bene e male e i magistrati cercano un’alchimia per fare meno danni possibili.

    Se è normale che opinione pubblica, psichiatri ed editorialisti  si azzuffino sui dilemmi etici e giuridici sollevati dal caso, lo è molto meno che nelle ultime settimane  la giustizia non sia stata capace di garantire  una risposta veloce e univoca alla domanda sul futuro di Martina e del neonato.

    Pochi giorni prima del parto, il Tribunale del Riesame indicava nell’Icam, la struttura che accoglie madri detenuti con figli piccoli, la soluzione in attesa di una decisione definitiva dei giudici minorili. Poi l’ordine del pm dei minori Annamaria Fiorillo a impedire qualsiasi contatto tra Martina e il bimbo considerata l’assoluta “inadeguatezza” della ragazza nelle vesti di madre. Infine, ieri i giudici hanno demolito la scelta del pm concedendo la possibilità di un incontro al giorno, ma senza allattamento diretto. E’ apparso subito chiaro che quel provvedimento avrebbe avuto un senso solo per poche ore, il tempo delle dimissioni dalla clinica.

    Un tempo che ora viene dilatato, fino a quando non si sa. Restano le vecchie mura della Mangiagalli, lembo di terra neutrale, a proteggere una piccola vita abbandonata su una ruota medioevale dalle tremende indecisioni dei grandi. (manuela d’alessandro)

  • Acido, il biglietto del pm Musso al piccolo A. su carta intestata della Procura

    “Ad A. con infinita tenerezza per un lungo cammino”, scrive il pm Marcello Musso sul biglietto consegnato alle puericultrici della clinica Mangiagalli che assistono il piccolo dato alla luce a ferragosto da Martina Levato, la studentessa condannata a 14 anni di carcere per avere sfregiato con l’acido un ex compagno di studi.

    Assieme al biglietto, un paio di babbucce bianche: il primo dono ricevuto da questo bambino che per il resto ha ricevuto solo schiaffi nel suo soffio di vita. Un “atto di solidarietà umana”, quello del magistrato, come l’ha definito lui stesso davanti alle telecamere lasciando l’ospedale, o un gesto inopportuno perché fuori dai compiti istituzionali consoni a un pubblico ministero? O, addirittura, una provocazione, come suggerito da alcuni sui social, da parte di chi ha condotto le indagini togliendo di fatto una madre (almeno per ora) al neonato?

    Marcello Musso ha voluto scrivere le parole che hanno accompagnato il dono su carta della Procura di Milano, premurandosi di sbarrare a penna  l’intestazione. Lo ha fatto non  perché non avesse voglia di comprare un biglietto in cartoleria, ma  per evidenziare che il regalo al bimbo viene dall’uomo che c’è dietro al magistrato, costretto dalla legge alla durezza verso la mamma di A. La linea tracciata con biro nera sulle parole ‘Procura di Milano’  dovrebbe  segnare, nelle sue intenzioni, un confine tra il Musso pm e Musso uomo. “Sono il magistrato che ha fatto condannare Martina, ma anche una persona con una sensibilità scossa da questa vicenda e l’opinione pubblica lo deve sapere”, ha ripetuto più volte Musso in questi giorni a chi gli stava vicino, mentre era tormentato dai dubbi sull’opportunità  della visita al piccolo.

    Stamattina, quando ha preso dal suo ufficio la busta verde con le babbucce e il messaggio per recarsi alla Mangiagalli, Musso era un uomo che tremava nella sua volontà. Sicuro di compiere un gesto per lui necessario ma consapevole di esporsi alle critiche di chi non lo avrebbe apprezzato. Per il suo coraggio lo rispettiamo, pur continuando a ritenere che il posto dove un magistrato deve esprimere umanità sono gli atti giudiziari, quelli su carta intestata ma non sbarrata.  (manuela d’alessandro)

  • Addio a Gianfranco Maris, partigiano con la toga addosso

     

    Se n’è andato oggi, segnato dagli anni (tanti) e da una vita irripetibile. Gianfranco Maris è stato un caso raro ed emblematico di come la militanza politica si possa intrecciare alla professione di avvocato senza rinunciare alle diverse coerenze che i due mondi richiedono. D’altronde lui, che era sopravvissuto ai lager nazisti, riusciva a evitare che questa sua cicatrice profonda condizionasse il resto della sua vita: certo, il 25 aprile di ogni anno sfilava in corteo dietro lo striscione dell’Aned, l’associazione dei suoperstiti dei lager, col fazzoletto bianco e celeste al collo. Ma anche di quell’orrore parlava con disincanto, e non ha mai permesso che tutta una vita lunga e ricca si riducesse all’icona di sopravvissuto.

    Era comunista fino al midollo, nel modo serio e concreto in cui si era comunisti nell’Italia uscita dalla guerra. Per il Pci più ortodosso fu senatore e soprattutto punto di riferimento nel rapporto con le istituzioni, quando sotto l’attacco terroristico (che aveva, va ricordato, nella presenza di un Pci forte e credibile il suo ostacolo principale ) comunisti e apparati dello Stato realizzarono un patto di ferro, che ebbe in Ugo Pecchioli il suo esponente piu noto ma che viaggiò in concreto nel lavoro quotidiano di uomini come Maris. Eppure va ricordato anche che intanto faceva l’avvocato, e lo faceva bene, senza timore di rovinarsi la reputazione: perché quegli erano anni, a differenza di oggi, in cui un avvocato veniva rispettato in Procura e in tribunale anche se svolgeva fino in fondo e senza sconti il suo dovere come legale di uomini del crimine organizzato, convinto che anche essi avessero diritto al rispetto dei loro diritti processuali.

    Poi venne l’epoca dei pentiti, in cui Maris entró da protagonista, assumendo la difesa del collaboratore di giustizia piu difficile di tutti: Leonardo Marino, il pentito del caso Calabresi. Perché se difendere i Peci e i Sandalo era facile, tanto visibile era il contributo dato allo smantellamento delle bande armate, difendere l’ambulante di Bocca di Magra che aveva fatto finire in galera Adriano Sofri volle dire mettersi contro un universo che (non solo a sinistra) considerava il processo milanese una colossale montatura, e la presenza di Maris accanto a Marino la prova provata della compromissione del Pci nella congiura. Delle minacce che gli piovevano addosso, non sembrò mai preoccuparsi: e in questo, verosimilmente, l’esperienza del lager contribuirà dargli scorza.

    I suoi figli, Gianluca e Floriana, hanno continuato sulle sue orme nella difesa dei pentiti, anche e sopratutto quelli di malavita organizzata: ma sempre con lo spessore di chi fa l’avvocato davvero e non ha voglia di farsi usare.

     

     

  • “Da due giorni sequestrati in albergo in Ghana”
    Viaggio di lavoro incubo per una troupe italiana

    Un luogo esotico e caldissimo. Un albergo di lusso. Un sequestro. Un affaire legale internazionale. Una troupe cinematografica. Gli elementi per il film ci sono proprio tutti. Solo che la storia è tutt’altro che divertente, e sta capitando davvero.

    Da due giorni, ad Accra, capitale del Ghana, il regista napoletano Antonio Canitano, firma di diverse puntate della fiction Rai ‘Un posto al sole’, e tre colleghi della sua troupe sono di fatto sotto sequestro all’interno dell’Hotel Alisa. Della vicenda si sta occupando l’ambasciata italiana nel Paese. “Lunedì mattina abbiamo provato ad andarcene dall’albergo e siamo stati bloccati con la forza”, racconta Canitano dalla hall dell’hotel. La proprietà non ne vuole sapere di lasciarli andare fintanto che il conto non sarà saldato, 45mila dollari per un mese e mezzo di soggiorno. Ma chi deve pagare? Certo non la troupe, semmai la società ghanese BarCo Studios capitanata dall’imprenditore Kobby Bartels, che produce il film a cui la troupe italiana ha lavorato e che per Canitano e i suoi colleghi ha prenotato le camere di hotel.

    “Non le dico quello che abbiamo fatto per uscire, non c’è stato verso”, racconta il regista napoletano. “I nostri passaporti sono nelle loro mani. Abbiamo già perso il volo di ritorno di lunedì sera e quello di martedì”, prosegue Canitano, che è anche stato sentito dalla polizia di Accra. “Bartels ha anche lasciato all’albergo la propria auto, a garanzia del pagamento”. Che però non è ancora avvenuto: la situazione sembra ancora in stallo. “Ho paura che non ci lasceranno partire neanche stasera”, prevede Canitano. Non agevolissimo, per l’avvocato milanese Gian Matteo Santucci, seguire la situazione, pur con il supporto di un collega locale, Amarkai Amarteifio. Da Milano, in pieno estate, ci sta provando a colpi di email e telefonate initerrotte.

  • Un ‘Best of 2015’
    da leggere sotto l’ombrellone

     

    E’ estate inoltrata. La vostra testa, sovente insieme al resto, va alle spiagge dorate, ai freschi picchi alpini, a posti lontani ed esotici. L’immagine dell’afoso Palazzo di giustizia, per chi è partito, sta a metà strada tra l’incubo del futuro ritorno al lavoro e la certezza di un luogo a suo modo più rassicurante che inquietante, per chi lo conosce e ci lavora. Per questo non vi è così facile compiere il distacco completo da quel crocevia di sofferenza e arrabbiature, di lavoro serio e socialità, di burocrazia e alti ideali. Per aiutarvi a rimanere con un piede là dentro, mentre l’altro si tuffa in acque cristalline, abbiamo preparato questo piccolo compendio della stagione appena trascorsa. Si comincia dalle cose più leggere e intonate alla calura estiva. Buona lettura.

    GIUSTIZIAMI SUMMER EDITION

    Il caso vip dell’anno, scoperto da Giustiziami.

    “Vendevano foto e gossip rubati dalle mail dei vip”. A processo Selvaggia Lucarelli, Guia Soncini e Macchianera. https://giustiziami.prlb.eu/rubavano-foto-e-gossip-dalle-mail-dei-vip-a-processo-selvaggia-lucarelli-e-guia-soncini/

    Intanto in un altro processo zeppo di vip, Belén Rodriguez viene chiamata a testimoniare, ma da Ibiza inonda il web di foto in bikini. https://giustiziami.prlb.eu/belen-testimone-nel-processo-ai-vip-posta-foto-in-bikini-da-ibiza/

    Tribunale + estate = condizionatori che si rompono. Processi rinviati per caldo, Flegetonte manda in tilt il Palazzo di giustizia. https://giustiziami.prlb.eu/processi-rinviati-per-caldo-flegetonte-manda-in-tilt-il-tribunale/

    Quando il tempo è galantuomo. Dieci anni dopo, prescritte le corna di Paolini a Fede. Alla faccia del galateo. https://giustiziami.prlb.eu/10-anni-dopo-prescritte-le-corna-di-paolini-a-fede/

    Non vedete l’ora che ricominci il Crozza Show? Beh, l’ispirazione per la prima puntate c’è già. “Dal barbiere alle braghette, Formigoni dà spettacolo in aula“. https://giustiziami.prlb.eu/dal-barbiere-alle-braghette-formigoni-crozza-show-in-aula/

    Un nostro piccolo scoop, quello del del magistrato ubriaco in bicicletta. Lo ricordate? Bene, ora fa giurisprudenza. https://giustiziami.prlb.eu/il-caso-del-magistrato-ubriaco-in-bici-fa-giurisprudenza/

    Mentre siete al mare, state pur certi che lui rimarrà in ufficio,a lavorare 12 ore al giorno. E’ il pm Stakanov. “Inchiesta sull’acido, quando il pm scava davvero”. https://giustiziami.prlb.eu/inchiesta-sullacido-quando-il-pm-scava-davvero/

    COSE PESE. OGNI TANTO FACCIAMO LE PERSONE SERIE. E SCOPRIAMO COSE SERIE

    Questa inchiesta in due puntate ci è valsa una menzione speciale al premio Vergani. La cosa che ci rende più orgogliosi è però un’altra. Quello che abbiamo scritto ha inciso sulla realtà. Lo dimostra la seconda parte dell’indagine.

    Le carte degli appalti Expo senza gara per il Tribunale. A chi e perché sono finiti i fondi per la giustizia milanese https://giustiziami.prlb.eu/la-carte-degli-appalti-expo-senza-gara-per-tribunale-a-chi-e-perche-sono-finiti-i-fondi-per-la-giustizia-milanese/

    Sospesi gli affidamenti diretti Expo per la giustizia milanese. Il verbale che svela il clamoroso cambio di rotta. https://giustiziami.prlb.eu/sospesi-gli-affidamenti-diretti-expo-per-la-giustizia-milanese-il-verbale-che-svela-il-clamoroso-cambio-di-rotta/

    Altra storia tipicamente italiana. Un’edificio pubblico incompiuto, nonostante diciannove anni e milioni di euro spesi. “L’aula bunker di Opera non è finita e fa ruggine”. https://giustiziami.prlb.eu/19-anni-e-milioni-di-euro-dopo-laula-bunker-di-opera-non-e-finita-e-fa-ruggine/

    Una serie di articoli non ci hanno resi molto simpatici al quarto piano di via Freguglia. Ma che ci vuoi fare? Questi, per esempio.

    “Manipolò titoli per 8,5 mln”, la Procura generale chiude un’altra indagine avocata al pm Greco. https://giustiziami.prlb.eu/manipolo-titoli-per-85-mln-procura-generale-chiude-unaltra-indagine-avocata-a-pm-greco/

    La moratoria sulle indagini della Procura di Milano per Expo (e non solo). https://giustiziami.prlb.eu/la-moratoria-sulle-indagini-della-procura-di-milano-per-expo-e-non-solo/

    GLI EDITORIALI

    Qualcuno è provocatorio, certamente questi corsivi hanno alla base un’esigenza vera.

    Perché l’omicidio stradale è un finto reato colposo di ispirazione forcaiola. https://giustiziami.prlb.eu/perche-lomicidio-stradale-e-un-finto-reato-colposo-dispirazione-forcaiola/

    Tutti a celebrare Falcone…ma lui voleva carriere separate. https://giustiziami.prlb.eu/tutti-a-celebrare-falcone-ma-lui-voleva-carriere-separate/

    Video dell’arresto di Bossetti, una vergogna per pm e media. https://giustiziami.prlb.eu/video-arresto-di-bossetti-una-vergogna-per-pm-e-media/

    Il commento più significativo a un fatto accaduto in Tribunale non l’ha composto un giornalista ma una madre. Quella del giovane avvocato Lorenzo Claris Appiani, all’indomani della strage compiuta da Claudio Giardiello in Tribunale. Le sue parole valgono da insegnamento e ispirazione per molti. https://giustiziami.prlb.eu/la-mamma-di-lorenzo-avvocati-non-rendete-vana-la-sua-morte/

    UN PICCOLO TRIBUTO

    Quello ad Annibale Carenzo, decano di tutti i cronisti giudiziari di Milano e forse d’Italia. Tra pochi mesi avrà 81 anni. Lo potete incontrare a tutti i giorni a Palazzo, in particolare al primo piano o nel cortile centrale. Cerca notizie, e ne trova ancora.

    “Annibale compie 80 anni. Da Mina ad Alessandrini, le sue 45 stagioni nel Palazzo”. https://giustiziami.prlb.eu/annibale-compie-80-anni-da-mina-ad-alessandrini-i-suoi-45-anni-nel-palazzo/

    L’INCHIESTA DELL’ESTATE

    Infine, vi lasciamo con una riflessione sull’inchiesta più hot dell’estate.

    hacking-team-riguarda-tutti-noi-la-nostra-liberta-la-nostra-costituzione

  • “Pronto a luglio”. Ma dopo 19 anni il bunker di Opera resta un cantiere

     

     

    Qualcosa di nuovo c’è: una recinto verde che, in teoria, dovrebbe tenere lontani i non addetti ai lavori dal cantiere, come avverte un cartello con monito: “Limite invalicabile, sorveglianza armata”. Invece, è agevole entrare da un cancello aperto e constatare che la promessa del provveditore alle Opere Pubbliche Pietro Baratono non è stata mantenuta. “A luglio – aveva garantito – l’aula bunker di Opera sarà terminata”.

    Diciannove anni e l’ennesima estate dopo, quella che doveva essere la nuova sede dei maxi processi milanesi è ancora un cantiere e neppure troppo fervido. “Quando finirete?”. “E chi lo sa”,  risponde con aria sconsolata uno dei pochi operai che si aggirano.

    Da marzo a oggi è cambiato poco. Resta una costruzione fantasma accanto al carcere, il cui aspetto più desolante sono le gabbie dove i detenuti dovrebbero attendere le udienze, in violazione se non della Convenzione di Ginevra almeno della dignità: sotto il livello del suolo, in una bolgia oscura senza finestre. Non sembrano terminati neanche i lavori per le stanze che dovrebbero ospitare di notte i magistrati durante le camere di consiglio, loculi, alcuni dei quali senza finestre e bagno, dove difficilmente le toghe vorranno riposare per meditare sulle sentenze.

    Il progetto iniziale prevedeva due aule di udienza, poi si è deciso di ridurre a una l’aula e destinare gli altri spazi a un grande archivio. Sopra l’aula sono previsti gli alloggi dei giudici, sotto le celle per ‘ospitare’ i detenuti nelle pause dei processi. Ma negli anni è successo di tutto: i soffitti sono crollati, la ruggine ha aggredito le gabbie, la falda acquifera è salita, com’era prevedibile ma non previsto nel piano originario.

    Il cambiamento più evidente è la crescita dell’erba ad altezza d’uomo nei campi che bisogna attraversare per raggiungere l’edificio perché una strada per accedervi non c’è e mai ci sarà: i terreni non sono stati espropriati, come prevedeva il progetto iniziale.

    Qualche mese fa,  su impulso della procura generale di Milano la corte dei conti ha aperto un’indagine con l’ipotesi di reato di ‘danno erariale per opera incompiuta’, mentre la procura a cui pure è giunta una segnalazione per il momento non sembra interessata ad approfondire il dossier. (manuela d’alessandro)

    19-anni-e-milioni-di-euro-dopo-laula-bunker-di-opera-non-e-finita-e-fa-ruggine

    aula-bunker-di-opera-incompiuta-da-19-anni-indaga-la-corte-dei-conti

  • Essere contro il 41 bis e non essere mafiosi

     

    Su alcuni temi non riusciamo in Italia a fare passi in avanti.
    Negli anni ottanta chi contestava giuridicamente le leggi antiterrorismo era un terrorista, chi adesso prova a fare dei ragionamenti critici sul 41 bis, o è un mafioso o aiuta la mafia. Tutto questo è il frutto della necessità da parte di molti, a fronte di alcuni tipi di reati , di essere per forza ” tifosi”.
    Se tu sei contro la mafia devi tifare sempre per i magistrati, i giudici che fanno i processi ed approvare qualsiasi normativa che riguarda i mafiosi , al di là del merito. Insomma, devi metterti in tribuna e fare il tifo.
    Quindi non puoi prendere posizioni critiche: sul 41 bis, per esempio, sono di tutta evidenza ragionevoli le norme che tendono a impedire il proseguimento dell’attività criminosa dal carcere all’esterno (questo dovrebbe valere peraltro per tutti i reati),  ma perché i sottoposti a 41 bis, possono vedere i propri familiari solo per un’ora al mese in un giorno predeterminato , perché chi ha figli pre – adolescenti può avere un contatto fisico con il minore per soli 10 minuti?
    La limitazione del contatto fisico con il figlio minore tutela la collettività, o forse siamo in presenza di una inutile afflizione?
    Come si giustifica, ancora  con la tutela della collettività, la limitazione a detenere in cella libri, i limiti di acquisto di beni alimentari, il fatto che le ore d’aria sono limitate rispetto agli altri detenuti ?
    Non è forse che tali misure servono ad accontentare l’opinione pubblica, o almeno quella parte che per alcuni reati vorrebbe la pena di morte e visto che in Italia, per fortuna non c’è, almeno pretende il carcere duro?
    E come si concilia con l’art.27 della Costituzione il fatto che il 41 bis viene applicato anche a coloro che sono in stato di custodia cautelare?
    Si possono porre queste domande ed andare come ho fatto io stamattina a ricordare le vittime della strage di Via Palestro?
    Io credo di si, dobbiamo forse ricordarci tutti, che anche i peggiori reati o i più terribili fenomeni criminali, devono essere affrontati rispettando le garanzie costituzionali, che valgono per tutti, non solo per alcuni.

    (avvocato Mirko Mazzali,  capogruppo Sel del Comune di Milano)

    Ho visto i miei figli e non riuscivo a parlare, lettere dal 41 bis

  • Colpo ai blog, la Cassazione rivoluziona l’informazione online ma solo per le testate giornalistiche

     

    Le sezioni unite penali della Cassazione hanno stabilito  qualche giorno fa che le garanzie previste dalla Costituzione a tutela della stampa si applichino anche all’informazione attuata in modo professionale e diffusa in rete.

    Una simile pronuncia è rivoluzionaria sia per il tenore della decisione, sia per alcuni passaggi della motivazione. Ma mentre l’esito ci pare condivisibile, sul ragionamento che ha condotto a tale risultato nutriamo più di una perplessità. La Corte prende le mosse da un’esigenza comunemente sentita. La diversità di disciplina tra la carta stampata e online può urtare contro un certo qual senso di uguaglianza sostanziale che indurrebbe, viceversa, ad applicare ai due fenomeni, obiettivamente molto simili, medesime regole.

    Per giungere a questo risultato, però, le sezioni unite forniscono quella che ritengono essere un’interpretazione evolutiva del concetto di stampa, contenuto nell’articolo 21 della costituzione e nella stessa legge sulla stampa del 1948 , a cui non si riesce ad aderire. Secondo la Corte, tale nozione va intesa in senso ‘figurato’ e in quest’ottica corrisponderebbe esclusivamente alla stampa periodica, ovvero all’informazione giornalistica professionale, qualunque sia il mezzo con cui viene diffusa.

    Una simile presa di posizione, quasi del tutto inedita nel panorama dell’ordinamento, travolge l’interpretazione tradizionale, che riconduceva alla stampa, seguendo la lettera della definizione normativa, solo le riproduzioni effettuate con mezzi meccanici e fisico chimici destinate alla pubblicazione, senza distinzione di contenuto. A tale definizione appartenevano certamente i giornali, ma anche i volantini, i libri, i manifesti,qualunque fosse l’argomento in essi trattato, mentre ne era escluso qualunque messaggio diffuso in via telematica poiché era assente, se non altro, la moltiplicazione delle copie.

    L’indirizzo scelto dalla recente sentenza, discutibile di per sé, suggerisce ancora maggiore scetticismo se si considerano i corollari che la Corte esplicitamente ne trae. Sono conseguenze che vanno ben al di là della questione di diritto sottoposta dalla sezione remittente. In sintesi si tratta di questo: tutte le disposizioni previste dall’ordinamento per la stampa, e in particolare per quella periodica, trovano già oggi applicazione alle manifestazioni del pensiero diffuse in rete, a patto che queste ultime abbiano appunto natura giornalistica. Così il collegio sottolinea nella motivazione come sussista fin d’ora un obbligo di registrazione per le testate  telematiche presso la cancelleria del Tribunale, con la relativa commissione del reato di stampa clandestina per chi non adempie a tale obbligo. Ancora: i giornali online dovrebbero dotarsi di un direttore , a cui sarebbe praticabile l’articolo 57 del codice penale, con la relativa responsabilità colposa per omesso controllo  nel caso di reato commesso dal periodico da lui diretto . La giurisprudenza delle sezioni semplici, finora, aveva escluso simili ipotesi poiché, come acennato, la definizione di stampa non comprendeva la rete, circostanza che escludeva l’applicabilità a quest’ultima delle disposizioni incriminatrici previste per la stampa, in base al divieto di analogia in malam partem.

    Non nascondiamo un certo scoramento dopo la lettura delle motivazioni e ci permettiamo di sperare che di questo arresto, proveniente da un organo così autorevole, resti nei repertori il dispositivo più che l’apparato di argomento che lo sostiene. (Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani da ‘Il sole 24 ore’ del 22 luglio 2015)

    La sentenza della Cassazione

  • Il nuovo Palazzo della giustizia milanese: non prende il telefono e le luci sono sempre accese

     

     

    Entri nell’ufficio di un giudice e lo trovi che sventola il telefonino alla finestra. “Che succede?”. “Succede che il telefonino qui non prende, o prende quando ne ha voglia. Per cercare la rete provo a metterlo fuori”. Via San Barnaba, benvenuti nella nuova casa della giustizia milanese. Dodicimila metri quadri su quattro piani, realizzata a spese e su progetto del Comune: qui sono sbarcate per intero da qualche giorno le sezioni della giustizia civile che si occupano di famiglia e lavoro, sia per il tribunale che per la corte d’appello. Tutto bello, tutto lucido, con un’aria vagamente da aeroporto elegante (non una Malpensa, eh).

    Eppure, girando negli uffici dei magistrati, si vedono mugugni che mal si addicono a chi ha messo da poco piede in una casa nuova di zecca.

    “Non sente che freddo? Ho la punta del naso gelata che manco in un rifugio…Sto venendo in ufficio con la sciarpa di lana”, si lamenta un altro magistrato. Il fatto è che l’aria condizionata , dio solo sa quanto benedetta in questi giorni demoniaci, qui è a temperature polari e, soprattutto, non si può spegnere. Vi piaccia o meno, quello è il clima che vi dovete sorbire.

    Poi c’è la questione delle luci. Sempre accese, dalla mattina alla sera, non c’è un interruttore per spegnerle. Solo a sera cala il buio. Che, in giornate estive, non è proprio il massimo, né a livello estetico né energetico.

    Siamo nel corridoio, guardiamo il cellulare. Prende a singhiozzo, per lunghi tratti non è possibile telefonare, mandare messaggi, usare internet. Com’è stato possibile non accorgersene prima di aprire gli uffici? I lavori sono cominciati nel 2009 e si sono conclusi con qualche anno di ritardo (la fine era prevista nel 2011).

    “La verità è che non è stato neanche fatto un collaudo prima di farci entrare”, protesta un  giudice che si accorda con una collega per spedire quanto prima una lettera di protesta a chi ha trascurato questi letali dettagli.  (manuela d’alessandro)

    Nella foto la sala server del nuovo edificio cui parlammo  qui

  • Hacking Team diventa un caso nel senato Usa e l’Fbi la scarica

    L’attacco informatico ad Hacking Team (HT) con la rivelazione su wikileaks degli affari tra la società milanese e regimi totalitari come il Sudan diventa un caso nel parlamento americano.

    Il senatore repubblicano dello Iowa, Charles E. Grassley, presidente della commissione giustizia, ha presentato un’interrogazione nella quale chiede conto dei rapporti tra Fbi e Dea con l’azienda italiana, in particolare vuole sapere se le relazioni tra le due agenzie governative e HT siano avvenute in violazione della legge che proibisce di stringere affari di qualsiasi natura con il regime totalitario africano (Sudan Accountability and Divestment Act del 2007).

    Dall’interrogazione  (qui il testo) rivolta al direttore dell’Fbi, al segretario generale della Difesa e al capo della Dea, scopriamo anche che le due roccaforti  della sicurezza hanno ‘scaricato’ Hacking Team in anticipo sulla data di scadenza dei rispettivi contratti, ma, insinua Grassley, troppo tardi, quando già la collaborazione sarebbe stata proibita.

    “Le forze militari – fissa il principio – devono avere gli strumenti tecnologici per investigare su criminali e terroristi per la sicurezza pubblica, ma è importante che li acquistino da fonti responsabili, etiche e che agiscano secondo la legge”.  Per il senatore i documenti resi pubblici dalla tremenda incursione negli archivi di HT svelano che nel giugno 2014 le Nazioni Unite avevano sollecitato chiarimenti alla società sui rapporti col Sudan, ricevendone una risposta solo a gennaio 2015 quando  HT si limitò a negare di avere relazioni in quel momento col Sudan, senza fare cenno al passato.

    “Fbi, Dea e DoD (Department of Defense) – insiste l’anziano senatore dello Iowa –  avevano fatto mettere nel contratto con HT una clausola che certificasse che non aveva condotto operazioni in Sudan? E se no, perché? HT aveva garantito falsamente che non aveva rapporti col Sudan  e per questo, dopo averlo scoperto, Dea ha interrotto il contratto?”.

    Questo accade nel Campidoglio americano, mentre da noi Regione Lombardia continua a detenere senza battere ciglio il 26,03 per cento del capitale sociale di HT. Dalla Corea del Sud, intanto, arriva la notizia, battuta da Associated Press e ripresa dal New York Times (Spia corea), che dietro l’apparente suicidio di uno 007 di Seul ci sarebbe l’ombra della vicenda Hacking Team.  (manuela d’alessandro)

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  • E’ morto l’ex procuratore Manlio Minale, per lui “il diritto e i fatti sopra ogni cosa”

    E’ morto stamattina Manlio Minale, ex procuratore generale ed ex procuratore della Repubblica di Milano. Avrebbe compiuto 75 anni ad agosto quando sarebbe dovuto andare in pensione. A maggio aveva anticipato l’addio alla magistratura con una lettera ai colleghi in cui spiegava di dover lasciare l’adorata toga un po’ prima del tempo per motivi di salute.

    Nato a Tripoli, in Libia, nel 1940, era entrato in magistratura nel 1965. Nel 1980 l’arrivo a Milano dove aveva presieduto la corte d’assise che condannò Adriano Sofri per l’omicidio Calabresi. Sempre a Milano è stato coordinatore del pool Antimafia e poi presidente del Tribunale di Sorveglianza. Nel 2003 aveva preso il posto di Gerardo D’Ambrosio alla guida  della procura, incarico ricoperto sino al 2010 quando è diventato procuratore generale.

    Lo ricordiamo col suo ultimo discorso pronunciato il 25 gennaio 2014, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario.

    Minale contro i giudici che non ricostruiscono i fatti

     

     

  • Hacking Team riguarda tutti noi, la nostra libertà, la nostra costituzione

     

    Hacking Team riguarda tutti noi, la nostra libertà, le nostre garanzie, il nostro stato di diritto. La lettura dei 4 gigabyte visibili su wikileaks dopo essere stati sottratti da ignoti alla società milanese che vende software di sorveglianza a governi di tutto il mondo  da’ i brividi. E non per la paura che i terroristi possano avere scoperto chissà quali segreti ma perché per la prima volta è evidente anche ai profani come strumenti informatici di questo tipo vengano usati dalle forze dell’ordine e dalla Procure italiane in modo molto, troppo disinvolto e fuori da regole precise. (L’attacco ad Hacking Team)

    In teoria, avete la garanzia di venire intercettati solo se un giudice lo ritenga indispensabile per verificare dei sospetti su di voi.  Ecco, scordatevi questa garanzia perché molte Procure si affidano, come emerge dalla mail pubblicate da wikileaks, a tecnologie gestite da privati che sono in grado di inoculare un virus nel vostro pc, leggere le vostre mail, presentarsi a un appuntamento che avete fissato con qualcuno via chat o  posta elettronica, sapere dove vi trovavate in un preciso momento.  Tutto senza che sia necessario il provvedimento di un gip dal momento che ancora non si è stabilita l’esatta natura giuridica dei trojan di stato, programmi per pc simili ai virus che si comportano come un ‘cavallo di Troia’ nel computer dell’ignaro sospettato per succhiarne tutte le informazioni. Anche a Milano, dove pure le polizie giudiziarie sono molto più preparate della media nazionale e non c’è bisogno di affidarsi a esterni come Hacking Team,  è in corso da tempo una discussione tra i magistrati  sulla natura giuridica di queste potenti armi investigative. Alcuni le considerano perquisizioni e sequestri e per questo  le può utilizzare in autonomia la polizia giudiziaria avvalendosi o meno di società come hacking team. In questo caso, la pg dovrà darne comunicazione solo in un momento successivo al pm o potrebbe anche non farlo,  mettendo in cantiere dati preziosi sul sospettato non ancora indagato. Per un’altra parte della dottrina e della giurisprudenza vanno considerate intercettazioni vere e proprie e quindi ci vuole l’ok del gip alla richiesta dell’accusa (articolo 15 della Costituzione).  In attesa che si faccia chiarezza,  la situazione attuale è che un privato, magari in affari col Sudan come Hacking Team, può sguazzare indisturbato nel vostro mare informatico, oppure lo può fare un più o meno valido poliziotto senza che un giudice ci abbia messo becco. O, peggio ancora, un investigatore che vi volesse male potrebbe mettervi file pedopornografici nel pc a vostra insaputa. A Milano negli ultimi mesi si sono svolti due incontri tra magistrati sul tema dei trojan di Stato a cui gli avvocati, fatto inedito, non sono stati ammessi come uditori, tanto per sottolineare la delicatezza del tema. Fa impressione, almeno a un lettore neofita che per la prima volta grazie a wikileaks può vedere come funzionano questi sistemi, vedere la disinvoltura con la quale colonnelli del Ros o della Guardia di Finanza discutano e chiedano consigli a David Vincenzetti, ad di Hacking Team, geniale professionista ma non uomo delle istituzioni, su come condurre le indagini.  Sapere che la maggior parte delle polizie giudiziarie italiane si  affida mani e piedi a questi strumenti fa venir voglia di spegnere il pc, anche se, come si dice in questi casi, non si ha nulla da temere. (manuela d’alessandro)

  • L’interrogatorio di Marianna, uccidere in Siria è il dovere di un musulmano

     

    “Lo vuole il Profeta, la mia religione è questo”. Il senso dell’interrogatorio di Marianna Sergio sta tutto qua. Che sia il vero Islam quello che predica la guerra santa, per cui un mostro come il terrorista Abu Bakr Al Baghdadi si può far passare per autentico interprete del Corano, che sia una religione quella secondo cui i presunti adulteri debbano essere lapidati a morte (la sorella di Marianna, Maria Giulia, ne ride in una conversazione su Skype come se fosse un fatto ineluttabile e divertente al tempo stesso), pare nient’altro che il pensiero di un’invasata, almeno a chi scrive. Qui però ci si limita a riferire che Marianna, aspirante jihadista e sorella di Maria Giulia ‘Fatima’, già divenuta militante del cosiddetto califfato di Siria e Iraq, ne è fermamente convinta.

    Nell’interrogatorio reso a San Vittore davanti al pm Paola Pirotta e al procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, la ragazza parla proprio di questo. Andare in Siria e unirsi alle fila dell’Isis insieme a Fatima, avrebbe affermato Marianna, era la cosa giusta da fare. Per fortuna la Digos e la magistratura sono intervenute in tempo. “Lì c’è la guerra”, ovvio che si combatta e uccida. Non lo fanno le donne perché non è previsto, avrebbe spiegato la ragazza, ma gli uomini, se veri musulmani, nell’uccidere un infedele compiono il loro dovere. Non usa mai il termine ‘eroina’, riferendosi alla sorella Maria Giulia che il suo viaggio verso il califfato l’ha portato a termine, ma ne parla in termine elogiativi.

    Anche la zia del marito di Maria Giulia, Anila, è stata interrogata dagli inquirenti, e in settimana toccherà anche ai genitori delle due sorelle. Nell’interrogatorio di garanzia davanti al gip Ambrogio Moccia si erano avvalsi della facoltà di non rispondere, salvo per poche dichiarazioni spontanee del padre delle ragazze, Sergio Sergio, ritenute non particolarmente utili dagli investigatori.

  • Belén testimone nel processo ai vip posta foto in bikini da Ibiza

    Fermi tutti, rinviate l’udienza, la teste non è a Milano. “Impegni all’estero”. E ci mancherebbe, quando uno ha da fare fuori dall’Italia mica lo si fa tornare in fretta e furia per testimoniare. Certo, se poi il processo si tiene nel caldo afoso del Tribunale di Milano un 10 luglio, non è che ci si possa aspettare la coda di testimoni davanti all’aula del dibattimento. Insomma, Belén Rodrìguez c’ha da fare, è in vacanza a Ibiza con la sorella e altre amiche. Solo il giudice ha avuto bisogno di una comunicazione da parte di un avvocato, ma del resto non è certo tenuto a seguire Instagram, piattaforma su cui la showgirl ha implicitamente comunicato ai suoi numerosi fan che non sarebbe stata a Milano, con una serie di fotografie culminate, nel corso del fine settimana, in questi scatti.

    Già il processo è quello che è. Si parla di diffamazione per alcune puntate del programma ‘Le Iene’ che mettevano in dubbio la veridicità di diversi articoli comparsi sui settimanali del gruppo Cairo ‘Nuovo’ e ‘Diva e Donna’. Roba da investire la Consulta, la Corte europea per i diritti umani e se necessario il tribunale dell’Aja. Tra gli imputati, l’ex direttore di Italia 1, Luca Tiraboschi, l’autore e regista delle ‘Iene’ Davide Parenti, il giornalista Filippo Roma, le showgirl Elenoire Casalegno e Vanessa Incontrada e i cantanti Gigi D’Alessio e Anna Tatangelo (le loro canzoni non sono citate nel capo d’imputazione), tutti accusati di diffamazione. Una di quelle cose per cui in un paese normale ci si parla tra avvocati, si transa, non si transa, ma non si intasa un tribunale.

    Insomma, per venerdì scorso uno dei legali della difesa aveva citato la starlette argentina. Ma lei era alle Baleari, in vacanza. Chissà se, arrivato a casa, il giudice si è iscritto a Instagram. Chissà se ha sognato l’imminente sospensione feriale delle udienze. Chissà se ha pensato ‘beata Belén’.

    La pagina Istagram di Belén Rodríguez

  • Dal barbiere alle braghette, Formigoni – Crozza show in aula

    Dichiarazioni spontanee rese dall’ex Governatore lombardo nel processo Maugeri in cui risponde di associazione a delinquere e corruzione. “E’ Maurizio Crozza o Roberto Formigoni?”.

    Io e il parrucchiere

    “Quando ero presidente, non riuscivo neanche a pagare il caffè al bar e neppure il parrucchiere che mi diceva ‘lei basta che venga qui e mi fa pubblicità’. Infatti in Regione tutti avevano preso il gusto di andare dove andava Formigoni.

    A casa in braghette

    “Presidente, mi permetta di dire con orgoglio che il mio impegno per la Regione era pienissimo. Uscivo di casa alle otto del mattino e tornavo alle dieci – undici alla sera. I primi tempi mi divertivo a lavorare anche alla domenica. Quando ero a casa, guardavo la televisione in braghette, ascoltavo la musica che tanto mi piace, mi rilassavo”.

    Milioni di milioni

    “Era più che naturale che milioni di persone potessero dire di avermi conosciuto e incontrato” (a proposito della data incerta in cui incontrò Pierangelo Daccò).

    Stessa spiaggia, nuova fiamma  

    “La Procura dice che avevo l’uso ‘esclusivo’ della barca di Daccò. Per dimostrare che non era così basterebbe guardare le riviste di gossip che tutti gli anni mi attribuivano una fiamma diversa pubblicando le mie foto in barca. E chi erano? Il primo anno una figlia di Daccò, il secondo una fanciulla più o meno avvenente e poi altre”.

    La crema di bellezza

    “Preciso che quella non era una crema di bellezza ma serviva per curare un’irritazione cutanea molto profonda al volto e allora siccome a Milano non si trovava l’avevo fatto arrivare da fuori”. (A proposito di un’intercettazione in cui Formigoni chiede al suo segretario: “Allora è possibile recuperarla da Chenot? Tieni presente che eventualmente lì possiamo madare l’autista. Ne ho bisogno entro lunedì al massimo”).

    Non vivevo d’aria

    “Si è insinuato che io viva d’aria. Io versavo alla mia casa dove risiedo coi memores domini dai 50mila ai 70mila euro all’anno. Era un versamento unico che serviva per l’affitto, la manutenzione, per pagare la colf”.

     Un antipasto qua, un prosciutto là

    “La Procura parla di cene da settemila euro spesi da Daccò nell’interesse di Formigoni. In realtà, Daccò organizzava le cene nell’interesse di Daccò. La mia segretaria mi diceva ‘C’è una cena da Daccò’ e se potevo passavo. Avevo tre quattro inviti a cena la sera, magari mangiavo un antipasto da una parte e il prosciutto dall’altra”.

    Alle cene andavo perché si mangiava bene

    “Alle cene c’era gente che trovava comodo parlarmi invece di fare la fila in Regione. Io a quelle cene, da Sadler o in altri ristoranti, andavo solo perché si mangiava bene”.

    Silenzio ai Caraibi

    “Cinque giorni dopo la delibera sono andato ai Caraibi con Daccò e con lui non è stata detta neanche una parola su quella delibera. Un conto sono i rapporti personali anche di amicizia e solidarietà, un conto è la funzione  di amministrazione pubblico”.

    Voi date i numeri    

    “La Procura ha calcolato le utilità che avrei ricevuto. Erano 8 milioni, poi all’inizio del processo sono diventati 49 milioni, infine 61. Vorrei capire la cifra esatta che mi viene contestata. (…) Quelle che la Procura chiama utilità per me sono scambi tra persone che sono amici. L’accusa sostiene che avrei cominciato a percepirle dieci anni dopo aver cominciato a favorire la Maugeri e cominciato la mia attività delinquenziale. Per la Procura Formigoni è così abile a manipolare le coscienze degli assessori che si espone al rischio di delinquere per dieci anni senza vantaggi, ma Presidente, come lei sa la politica è instabile e se uno deve avere dei vantaggi li vuole subito, poi magari non ti rieleggono”.

    Scontrini tra amici

    “Daccò non mi ha mai presentato il conto, entrambi godevamo della compagnia tra amici. Ma tra amici ci si sambiano scontrini e ricevute? Ecco la chiave del rapporto tra me e Daccò: siamo diventati amici e ci siamo comportati da amici, nessuno calcolava il valore di quello che uno dava all’altro. Un rapporto di amicizia è la tipica cosa in cui non ci sono calcoli, è gratuita”.

    Motoscafino

    “Tra l’altro anche Simone ha il suo motoscafino” (parlando degli yacht di Daccò, Formigoni ricorda che anche l’ex assessore lombardo Antonio Simone aveva la sua piccola imbarcazione).

    (manuela d’alessandro)

     

  • Ruby non parla ai pm
    Ma leggetevi le domande…

    E all’improvviso, Ruby non parla più. Vi ricordate la scenetta di Karima El Marough sullo scalone del palazzo di giustizia mentre mostra il suo passaporto alle telecamere? E l’intervista al programma di Santoro? Naturalmente, i processi sono un’altra cosa. Qualunque affermazione uno faccia in aula ha un peso molto diverso da quello che avrebbe di fronte a una telecamera. E Ruby, anche in aula di cose ne ha dette, con la sua deposizione fiume davanti ai giudici che processavano Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti.

    Ora però, nell’indagine ‘ter’, davanti ai pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio, preferisce non rispondere alle domande degli inquirenti. I quali ci provano comunque a raccogliere le sue dichiarazioni e non si accontentano di un semplice “mi avvalgo della facoltà di non rispondere”: ne raccolgono infatti ben nove. Loro domandano, mettono la giovane marocchina davanti a una serie di elementi accusatori e lei quasi meccanicamente risponde: “Mi avvalgo”.

    L’interesse di questo verbale sta allora nelle domande, e non nelle risposte. Vale la pena dargli un’occhiata. Qui sotto.

     

    prosegue

     

     

  • Accusato di corruzione, perché Andrea Camporese deve lasciare l’Inpgi

    Andrea Camporese, il ‘custode’ delle pensioni dei giornalisti, si dice “sgomento” perché nell’avviso di chiusura delle indagini sul crac di Sopaf (avviso 415 bis(1) che gli ha notificato la Procura di Milano viene accusato anche di corruzione, oltre che di truffa come già noto. Il presidente dell’Inpgi avrebbe ricevuto 200mila euro per favorire la società Adenium, controllata da Sopaf, danneggiando per sette milioni di euro l’ente previdenziale dei giornalisti attraverso l’acquisto di azioni a un prezzo superiore a quello di mercato.

    Il suo “sgomento” di fronte ad accuse ritenute ingiuste è comprensibile, meno l’invocazione alla “gogna mediatica”, al massimo potrebbe prendersela con la magistratura che lo accusa di reati gravi, non coi colleghi che riportano gli esiti di un’indagine.

    In attesa che un Tribunale valuti la fondatezza dei reati, Andrea Camporese non può restare alla guida dell’Inpgi per due ragioni. La prima è che chi ha affidato il suo futuro a un ente previdenziale deve avere la certezza, e non solo la presunzione, di un amministratore onesto; la seconda è perché ha ricevuto 25mila euro all’anno per due anni per aver fatto parte del comitato consultivo di Adenium, un incarico di solito non retribuito. Per elementari ragioni di opportunità, chi ricopre una posizione di garanzia non dovrebbe mettersi in situazioni di conflitto d’interesse. (manuela d’alessandro)

    giornalisti-contenti-che-linpgi-non-e-parte-civile-contro-chi-vi-avrebbe-truffato

     

     

     

     

     

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  • Taranto aspetta la rinascita ma le figlie di Riva bloccano il miliardo salva Ilva in Svizzera

    Con un ricorso al Tribunale Federale di Bellinzona, le figlie di Emilio Riva bloccano il rientro dalla Svizzera all’Italia del miliardo e 200 milioni, presunto frutto di reati, che dovrebbe alleggerire le pene della fabbrica tarantina in base al decreto ‘salva – Ilva’. (reuters – da gip ok a sblocco)

    Fanno i loro interessi, certo, convinte che quel denaro, sequestrato nell’ambito di un’indagine della Procura di Milano in cui si ipotizzano le accuse di truffa ai danni dello stato e trasferimento fittizio dei beni, sia cosa loro. E sfruttano i varchi giuridici nell’ordinamento della Svizzera, paese che, pur con qualche resistenza, il 19 giugno ha comunque detto sì alla magistratura italiana che chiedeva di ‘scongelare’ i soldi dai conti Ubs e metterli a disposizione del Commissario starordinario Piero Gnudi. Eppure resta una certa amarezza nel constatare l’accanimento con cui le eredi di Emilio, l’ex ‘re’ dell’Ilva morto più di un anno fa ma prima annientato dalle inchieste giudiziarie, non vogliano aiutare il disgraziato stabilimento che fu di famiglia. Le due donne hanno rinunciato all’eredità del padre in Italia e non è difficile pensare che l’abbiano deciso per non andare incontro alle pretese risarcitorie dei creditori e dei danneggiati dalla crisi dell’azienda.  Ora si danno da fare per evitare la migrazione di soldi che ritengono loro mentre Taranto aspetta come l’oro quel denaro. Nei prossimi giorni il Tribunale di Bellinzona, che per adesso si è limitato a sospendere il rimpatrio del miliardo e 200 milioni, deciderà nel merito sul suo destino. (manuela d’alessandro)

  • Processi rinviati per caldo, Flegetonte manda in tilt il Tribunale

    Processo rinviato per caldo. Nella camera di fuoco della quarta sezione penale del Tribunale di Milano, sprovvista di aria condizionata, il giudice Monica Amicone spiega agli avvocati che si sventagliano con ogni mezzo a disposizione l’impossibilità di celebrare l’udienza del processo Tronchetti vs De Benedetti (il-vuoto-di-memoria-di-de-benedetti-al-processo-contro-tronchetti).

    Era già stata costretta a rinviare l’udienza precedente a quella del processo in cui il presidente di Pirelli è imputato per diffamazione perché per 4 volte si era verificato un black out dovuto ai condizionatori sparati a mille nel Tribunale che avevano fatto saltare l’impianto elettrico.

    “Mi scuso, ma non ci sono le condizioni per andare avanti – dice il magistrato prima di far suonare la campanella anticipata – è già stato un miracolo arrrivare sin qui con la registrazione”.  Oggi era in programma la requisitoria del pm Mauro Clerici, assente, ma il processo è saltato non perché il magistrato (sostituito da un altro) non c’era ma per i danni provocati da Flegetonte. Che, oltre a essere il nome dell’anticiclone colpevole dei bollori di questo spicchio d’estate, viene descritto nella mitologia anche come una divinità che aiuta Minosse nel giudizio delle anime. Oggi non ne aveva proprio voglia.  (manuela d’alessandro)

  • 10 anni dopo prescritte le corna di Paolini a Fede

    Prima che il giudice dichiari prescritte le corna a Emilio Fede, Gabriele Paolini si confronta sui numeri da giocare al lotto con la mamma 81enne, una donna molto elegante che vuole presentarci. “Bella, eh? Faceva la cantante lirica”.

    Non sono bastati 10 anni alla giustizia per capire se il disturbatore della tv diffamò l’allora direttore del tg4  urlandogli in diretta “Sei un cornuto”.  I giudici della Corte d’Appello di Milano ‘cancellano’ la condanna a sei mesi di carcere inflitta nel 2008 e pronunciano una sentenza di non doversi procedere per prescrizione. Paolini alza il pantalone e mostra il braccialetto elettronico: “In questo periodo penso molto e ho pensato che i domiciliari sono giustissimi”. E’ accusato davanti al Tribunale di Roma di avere abusato di cinque minorenni adescandoli tramite internet. La prossima udienza è prevista per il 7 luglio. “Io D. (una dellle presunte vittime, ndr) lo amavo anche se aveva 17 anni e un mese. Vivo solo in attesa del 7 luglio quando lui verrà in aula e dovrà confermare quello che aveva detto subito dopo il mio arresto, cioè che mi amava. Ho già tentato il suicidio una volta, non so cosa potrà succedere il 7 luglio”.

    E da grande cosa farà Paolini che per anni ha saltellato sul piccolo schermo molestando giornalisti (memorabile il calcio che gli sferrò Paolo Frajese)? “Ho grandi progetti. Per adesso ci sono miei validi emuli, come Mauro Fortini. E comunque ora ve lo posso dire: mi comportavo così per urlare al mondo che non mi capiva il mio dolore”. (m.d’a.)

     

  • Ruby e quell’intervista da Michele Santoro
    Fabrizio Corona, gliela feci fare io, pagata

    Ma quindi Michele Santoro ha pagato per intervistare Ruby?

    “Ho fatto fare a Ruby un’intervista”, racconta l’ex coordinatore di paparazzi Fabrizio Corona, sentito come testimone dai pm che indagano sul caso Ruby ter a marzo scorso (ve lo avevamo anticipato qui).

    Dice Corona, a proposito dell’intervista e di Karima el Marough: “Era molto attaccata ai soldi, volle esser pagata prima. Era nel 2012. Le feci fare l’intervista per Santoro in cui per la prima volta parlò di Berlusconi. Tra il 2011 e il 2012 Ruby avrà fatto una decina di serate nei locali guadagnando al massimo 5mila euro a serata. Nel 2013 e 2014 non ha più fatto serate”. Millanterie di Corona, non nuovo alle sparate ma sotto obbligo di giuramento da testimone, oppure Annozero ha davvero scucito del denaro per intervistare la nota Rubacuori?

    Qui l’intervista di Annozero a Ruby. Effettivamente è del 2012.

    Qui invece il verbale di Fabrizio Corona.

  • Le molliche di pane per la rondine prigioniera del Tribunale

     

     

    “Era bellissima”. Quando l’hanno vista volare, gli impiegati dell’ufficio ‘Ritiro copie’ sono stati trafitti da un raggio di bellezza. Poi lei si è infilata in una crepa dello stanco Palazzo di Giustizia, dove il muro aveva ceduto, in un punto troppo alto per aiutarla a scendere. Sono rimasti col naso all’insù a scrutare ogni piccola oscillazione nel nido di cemento. Hanno chiamato i vigili del fuoco e quando sono arrivati lei è uscita a tradimento, volava e rimbalzava contro le vetrate del terzo piano. Carcere a vita. I vigili se ne sono andati come i medici che dicono che non c’è più nulla da fare. Era venerdì e loro  hanno deciso di lasciarle una fila di molliche di pane sul davanzale con a fianco un cartello destinato a chi vuole mettere sempre tutto in ordine. “Si prega di non buttare  niente. C’è una rondine che non riesce a uscire dal Palazzo”. Da allora non l’hanno più vista. Oggi qualcuno diceva: “C’è una cosa nera nel buco. E’ lei, è morta”. (manuela d’alessandro)

  • Presunto basista assolto per via Palestro, per la prima volta Spatuzza smentito

    E’ la prima volta che una sentenza di merito da’ torto al collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, l’ex mafioso di Brancaccio le cui rivelazioni hanno riscritto la storia dell’attentato al giudice Paolo Borsellino e di molti altri capitoli firmati da Cosa Nostra.  La Corte d’Assise di Milano, presieduta da Guido Piffer, ha assolto per non aver commesso il fatto Filippo Marcello Tutino dall’accusa di strage per essere stato quasi 22 anni fa il basista della strage di via Palestro. L’indagine che aveva portato a un mandato di arresto a suo carico nel 2014 firmato dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dal pm Paolo Storari era scaturita dalle rivelazioni del pentito, autoproclamatosi “autore di oltre 40 omicidi”, il quale aveva identificato Tutino come l’uomo che prelevò Spatuzza assieme a Francesco Giuliano alla stazione di Milano, partecipò al furto della Fiat Uno e poi la imbottì di esplosivo.

    “Nel merito è la prima volta che Spatuzza viene smentito”,  spiega l’avvocato Flavio Sinatra che ha difeso Tutino, in passato legato al clan dei Graviano. “In un’altra occasione, la Cassazione aveva annullato senza rinvio la condanna all’ergastolo per la strage di via dei Georgofili inflitta al boss Francesco Tagliavia, accusato da Spatuzza”.

    In attesa delle motivazioni, è evidente che i giudici non hanno ritenuto riscontrate, diversamente da quanto sostenuto dal pm Storari, che si è battuto con toni molto accesi con l’avvocato Sinatra, le affermazioni ribadite da Spatuzza anche in aula. Il difensore aveva sottolineato la stranezza per Cosa Nostra di affidarsi per un incarico così delicato a un uomo considerato “instabile” e “inaffidabile” dai Graviano che lo avevano cacciato da Palermo e trasferito a Milano per la sua indisciplina. “Finalmente qualcuno mi ha creduto”, ha detto Tutino, per il quale era stato chiesto l’ergastolo, al suo avvocato. L’imputato ha voluto assistere alla sentenza in videocollegamento dal carcere di Opera dove è detenuto per altre vicende, fiducioso in un verdetto a lui favorevole. (manuela d’alessandro)

    Via Palestro, le scuse di Spatuzza a Milano

     

     

     

  • Poliziotto eroe salva ristoratore dalle fiamme
    Si ritrova sotto accusa per averlo insultato

    Ha salvato una vita mettendo seriamente in pericolo la propria. Per spegnere le fiamme innescate per protesta da un ristoratore in crisi, ha preso fuoco. Un atto di coraggio avvenuto un anno fa a Monza. Il gesto non gli evitato un’indagine penale innescata proprio da quell’episodio. Di più, assurdo nell’assurdo: l’inchiesta è nata dalla denuncia presentata dall’uomo salvato dalle fiamme grazie al suo intervento.

    A fine febbraio 2014, Carlo De Gaetano, ristoratore, si dà fuoco per protestare contro la costruzione di barriere anti r  umore davanti al suo ristorante in viale Lombardia, a Monza. Cosparge di benzina una coperta, accende e ci sale sopra. Intervengono il comandante della polizia stradale di Seregno, Gabriele Fersini, e un agente, Lorenzo Lucarini, che nel tentativo di fermarlo rimangono a loro volta avvolti dalle fiamme. La scena è terrificante, come mostrano queste immagini: www.youtube.com/watch?v=GEJT0bmjDww

    Fersini e Lucarini se la cavano, ma con lesioni serie. Nella concitazione del momento, con il corpo ustionato, il comandante della Stradale pronuncia una frase rabbiosa nei confronti di De Gaetano: “Mettete le manette a quel c.”. Bene, qualche giorno dopo De Gaetano denuncia Fersini e Lucarini per ingiuria, minacce e violenza. Il pm di Monza Giulia Rizzi apre un fascicolo come “atto dovuto” e per non tralasciare nulla al caso, a settembre scorso interroga i due agenti, come prevede la norma, con un avvocato. Nei mesi scorsi, chiede poi l’archiviazione dell’inchiesta. Per l’agente Fersini si è trattato comunque di uno choc ulteriore. “Siamo abituati a stare dall’altra parte del tavolo, abbiamo messo a repentaglio la nostra vita per salvarne un’altra, ritrovarci formalmente sotto accusa è stato durissimo”, ci racconta. Il tutto mentre veniva proposta la promozione dei due agenti per meriti speciali.

    Nel frattempo, un’altra inchiesta andava avanti, quella a carico dell’autore del gesto incendiario. Il 20 febbraio 2016 De Gaetano sarà giudicato a Monza per tentato omicidio nei confronti di Lucarini e di lesioni gravissime ai danni di Fersini. “Se dovessi ricevere anche un solo euro lo darò in beneficienza ma porterò anche a cena i miei figli. A loro avevo detto che uscivo di casa e che sarei tornato nel giro di mezz’ora. Invece a casa mi hanno rivisto solo dopo 9 giorni di ospedale”.

  • Aula bunker di Opera incompiuta da 19 anni, indaga la Corte dei Conti

     

    E infine è arrivata la Corte dei Conti a indagare sull’aula bunker del carcere di Opera in costruzione da 19 anni e non ancora ultimata. In questa storia di giganteschi ritardi anche la magistratura contabile, nel suo piccolo, ha tentennato prima di aprire un fascicolo per appurare se la collettività abbia subito danni.

    Mesi fa la Procura Generale aveva presentato un esposto alla Corte dei Conti che ora ipotizza il reato di ‘danno erariale da opera incompiuta’.  Forse non è ancora troppo tardi per spiegare come diversi milioni di euro siano stati investiti in un cantiere senza fine per realizzare un mostro di cemento  attaccato a una delle carceri più grandi in Italia. Soldi e risorse inghiottiti in un progetto più volte cambiato in corso destinato a ospitare maxi processi molto meno frequenti rispetto al remoto 1996, anno in cui la struttura  venne concepita.  La Procura Generale aveva inviato un dossier anche alla Procura che, almeno stando a quanto a noi noto, sembra non avere ancora avviato accertamenti. Del resto, se reati vi fossero, sarebbero con ogni probabilità già prscritti.

    Un nostro sopralluogo a marzo aveva svelato un cantiere fatiscente, il cui aspetto più desolante erano le gabbie in cui i detenuti dovrebbero attendere le udienze, in violazione se non della Convenzione di Ginevra almeno della dignità: sotto il livello del suolo, in una bolgia oscura senza finestre. Erano ancora indietro anche i lavori per le stanze che dovrebbero ospitare di notte i magistrati durante le camere di consiglio, loculi, alcuni dei quali senza finestre e bagno, dove difficilmente le toghe vorranno riposare per meditare sulle sentenze.

    Il Provveditore regionale alle opere pubbliche, Pietro Baratono, ci aveva assicurato che  a luglio l’opera sarebbe stata consegnata alla giustizia milanese. Vigileremo. (manuela d’alessandro)

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