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  • L’ultimo giorno di Livia Pomodoro dopo 22 anni di Presidenza

    Per 22 anni Presidente, prima del Tribunale per i Minorenni (1993 – 2007), poi di quello dei ‘grandi’, Livia Pomodoro si alza oggi da una delle sedie più importanti della giustizia milanese. Ad aprile svestirà anche la toga e andrà in pensione non appena soffiate le 75 candeline. In una lettera inviata agli avvocati, Pomodoro riferendosi al suo mandato parla di “cammino non scontato, non facile, pieno di problemi ma anche di successi e di cambiamenti che sono diventati punto di riferimento nazionale su come si può gestire con efficacia la Giustizia in Italia”. Commenta un legale: “Ha fatto molto soprattutto per il civile, poco per il penale anche se le aule per i processi sono state ben sistemate”.

    Funambolica l’idea di chiamare  i corridoi del pianterreno, luogo di bolge e dolore vero, coi nomi di donne presi dalla cultura classica. Ha speso molte energie per velocizzare la giustizia con l’introduzione del Processo Civile Telematico, lanciando Milano come capofila. Ci è riuscita in parte: si va avanti con successi e  intoppi, ma le va riconosciuto il merito di avere visto lungo e, in generale, di non avere mai interpretato il suo ruolo come quello di un’asettica giurista fuori dal mondo.

    Molte perplessità restano sull’utilizzo dei fondi Expo destinati al Palazzo. I monitor che costellano il Tribunale sono sempre più un oggetto misterioso, non funzionano o fanno pubblicità alle ragioni dell’Anm, e le gare per l’assegnazione dei soldi sono apparse opache non solo a noi ma anche ad alcuni magistrati. Pomodoro è stata nominata Ambasciatrice We di Expo, cioè selezionata, leggiamo sul sito ufficiale dell’Evento, tra le “figure di spicco che diffondono e testimoniano l’importanza di fare rete, in un unico grande WE”. Presiederà inoltre il ‘Centro Internazionale di Documentazione e Studio sulle politiche pubbliche in materia di Alimentazione’ nato da un protocollo firmato tra Camera di Commercio, Expo2015, Comune di Milano e Regione Lombardia. Per la sua successione dieci magistrati hanno presentato domanda al Csm. Favorita è l’attuale Presidente del Tribunale dell’impresa, Marina Tavassi, buone quotazioni anche per l’attuale Presidente dei gip Claudio Castelli e l’attuale ‘vicario’ del Tribunale Roberto Bichi. Decideranno i giochi di corrente.

    Un’altra Pomodoro sarà difficile, magistrato ‘scenico’ non solo per la sua passione per il teatro (ne dirige uno e si è esibita con parrucca colorata), ma anche per come ha interpretato la sua Presidenza. Poco magistrato anche per come ha reagito alle critiche, non con ostilità, ma sempre con un saluto e un sorriso. (manuela d’alessandro)

  • Ruby ter, il decreto dei pm
    Se necessario buttate giù le porte

    Buttate giù le porte – se necessario – ma con delicatezza. A pagina 3 del decreto di perquisizione, i pm Luca Gaglio, Tiziana Siciliano e Pietro Forno autorizzano il personale di polizia giudiziaria a rimuovere “eventuali ostacoli fissi che eventualmente si frapponessero al regolare svolgimento delle operazioni di perquisizione locale di cui al presente decreto (il tutto con facoltà di servirsi dell’ausilio di personale idoneo e con modalità tali da recare il minor danno possibile alla proprietà)”. Una formula di rito, forse, ma quanto mai cogente, in questo caso.

    Sembra infatti che per entrare nella lussuosa abitazione in cui vive la soubrette Barbara Guerra, una villa da un milione di euro progettata dall’archistar Mario Botta e intestata formalmente a società riconducibili a Silvio Berlusconi, sia stata necessaria la presenza dei vigili del fuoco. Non si è arrivati a scardinare la serratura, certo: alla fine Barbara Guerra si è convinta ad aprire. Ma forse la minaccia è servita. Anche per la cassaforte scoperta a casa di Francesca Cipriani, la presenza contestuale di un fabbro poteva essere utile. Pare però che la giovane ex partecipante del Grande Fratello abbia fornito gentilmente le chiavi.

    Ecco in esclusiva il decreto perquisizioni ruby ter (ci scusiamo per la qualità dell’immagine ma, si sa, il lavoro di ricerca documenti non è cosa per designer, né per archistar).

  • I ‘tappabuchi’ della giustizia
    Chiamati per 8 giorni al mese

    Da lavoratori socialmente utili – e sempre più esperti di cose di Tribunale – a ‘tappabuchi’ a chiamata da otto giorni al mese.

    Mentre Tribunale e Procura denunciano la cronica carenza di personale, solo in minima parte alleviata dagli arrivi di personale annunciati dieci giorni fa dal ministro della Giustizia Orlando, ci sono lavoratori che il palazzo lo vedono dieci-quindici giorni al mese. Non perché non abbiano voglia di faticare – anzi, fanno parte di un programma che serve proprio a integrare il reddito di chi il lavoro l’ha perso incolpevolmente, con una spesa minima per la pubblica amministrazione e beneficio massimo per la macchina della Giustizia – ma semplicemente perché vengono chiamati al in Tribunale per poche ore. Volonterosi tappabuchi.

    Sono i 140 lavoratori socialmente utili (Lsu) dell’accordo tra Provincia di Milano e Tribunale. Gente in cassa integrazione o mobilità. L’ultima infornata è di venerdì scorso, quando un’email succinta dalla segreteria dell’ufficio Personale annuncia: “Si comunica che il personale assegnato alle rispettive cancellerie, presterà attività lavorativa dal dal 16-17 febbraio al 28 febbraio per un totale di 50 ore lavorative: dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle ore 14. Cordiali saluti”. Dieci giorni, dieci. Part-time. Cinquanta ore in tutto. L’equivalente di otto giornate intere. (altro…)

  • “Evasore seriale”, gli sequestrano 5 mln senza una condanna

    E’ stato sempre prescritto, tranne un’assoluzione per insufficienza di prove, nei numerosi processi per frode fiscale in cui è incappato. Ma i giudici della sezione Autonoma Misure di Prevezione, presieduti da Fabio Roia, gli hanno sequestrato 5 milioni di euro sulla base di “indizi” che dimostrerebbero una “spoporzione tra gli investimenti effettuati nell’ambito delle sua attività lavorative  e il reddito dichiarato.

    Con un provvedimento ‘pilota’, la Guardia di Finanza di Milano ha portato via all’imprenditore di origini irpine  Mario La Porta, attivo nel settore del movimento terra, 60 immobili, terreni, conti correnti e due società, come misura di prevenzione e non a seguito di inchieste o procedimenti in corso. “Questi beni, secondo i giudici, “appaiono indicativi di una disponibilità economica temporalmente in gran parte coincidente con le attività illecite poste in essere (…) che non trova giustificazione in adeguati e proporzionati redditi leciti, sì da ritenere che costituiscano il frutto o il reimpiego di attività illecite”. Secondo il pm Alessandra Dolci, a partire dal 2000 l’imprenditore si è dedicato a “diverse attività illecite” anche per reati in materia ambientale e di immigrazione e “principalmente” ha messo in atto “un’evasione fiscale in forma sistematica e seriale” accumulando “un ingentissimo patrimonio immobiliare”. Tutti raggiri al fisco mai culminati in una condanna sebbene accertati in sede tributaria. Per giustificare la ‘pericolosità sociale’ di Mario La Porta i giudici si riferiscono ad accertamenti condotti dalla Dia che evidenzierebbero “consolidati rapporti” tra la famiglia La porta ed esponenti della criminalità organizzata calabrese, in particolare col clan dei Flachi. Ora in un’apposita udienza i giudici dovranno decidere se confiscare o meno i beni sequestrati all’imprenditore.  Resta il fatto che per la prima volta, almeno a Milano, c’è stato un sequestro patrimoniale a carico di un presunto evasore come misura di prevenzione, ‘solo’ sulla base di indizi. (manuela d’alessandro)

  • Non toccate la prescrizione, baluardo della libertà e del diritto

    Nulla di sorprendente, in epoca di “giustizialismo” sfrenato e di populismi demaogici d’accatto (urlare in TV che “i ladri devono andare in galera” e che “gli stupratori meritano che si butti via la chiave” se non il taglio del pene, è opera tanto banale quanto assai pagante in termini di facile consenso), che l’ultima grande crociata dei tifosi delle Procure e degli “erotizzati dalle manette” sia l’assalto alla diligenza della prescrizione, fatta ormai mediaticamente passare come il grande salvacondotto delle tante nefandezze nostrane. E così non passa giorno che qualche tribuno, anche autorevole, non accompagni alla applaudita invettiva di rito anche accorate richieste di eliminazione per “evitare che i delinquenti continuino a farla franca grazie ai cavilli legali di qualche avvocato” e ovviamente, e giustificatamente, di fronte a siffatto tam tam, i non addetti se la bevono, ed ingrossano vieppiù le fila della messa cantata.

    Forse non tutti sanno che… titolava anni fa una fortunata rubrica di “La settimana enigmistica” e allora forse sarà bene spiegare a chi non lo sa in cosa realmente consista questa causa di estinzione prevista dal nostro Codice Penale (si badi non di procedura, il che significa che è norma sostanziale, e non di rito) del 1930, all’art. 157. Il principio, di vetusta e onusta tradizione di qualsiasi civiltà giuridica che si rispetti, stabilisce che per mantenere sulla micidiale graticola di un processo penale (solo chi ci è passato può capire quale pena sia essere imputati e doversi difendere in termini di tempi, costi, sofferenze, perdite di relazioni sociali o di opportunità lavorative, irreparabile lesione della reputazione) lo Stato dispone di un tempo predeterminato, oltre al quale non può andare. Il che significa semplicemente che allo Stato non è concesso di procrastinare all’infinito la notevole potestà autoritativa di cui dispone, ossia quella di dichiarare se un cittadino ha davvero commesso o meno il reato che un bel giorno ha deciso di contestargli e stabilire l’entità della punizione effettiva che ciò gli comporterà in termini di privazione della libertà personale. Fin qui, mi immagino, nessuno, neppure tra i più aficionados alla parola condanna troverà nulla da obiettare. Il punto, viene detto, è che quel tempo entro il quale lo Stato deve decidere della vita dei cittadini è troppo breve, mentre i processi sono troppo lunghi e quindi, di fatto, l’attuale prescrizione garantirebbe una inaccettabile quanto diffusa impunità. (altro…)

  • L’ordinanza con cui il Csm caccia Robledo e gli toglie la funzione di pm

    In dieci pagine la sezione disciplinare del Csm getta Alfredo Robledo nell’inferno riservato, prima di lui, a pochi altri. Tra questi al pm Ferdinando Esposito curiosamente pure spedito da Milano a Torino dopo essere stato spogliato come Robledo della funzione di pm.  Sorte analoga subirono i magistrati della Procura di Catanzaro e quelli di Salerno nell’ambito di una guerra con al centro l’indagine ‘Why not’. Andò ancora peggio a un altro pm di passaggio a Milano, Edi Pinatto, che venne rimosso dall’ordinamento giudiziario perché, quando era giudice a Gela, ci mise otto anni per scrivere le motivazioni di una sentenza con cui erano stati condannati sette componenti del clan Madonia.  Oltre alla decisione del Csm trovate anche la difesa di Robledo. (m.d’a.)

    ORD. 16.15 ROBLEDO proc. n. 7.15 R.G.C

    Udienza cautelare(1) memoria di Alfredo Robledo

  • Calcioscommesse, ecco gli atti
    Chiusa indagine, verso maxiprocesso

    Oltre quattro anni di inchiesta, almeno cinque tornate di arresti, 130 indagati che si ritrovano nell’avviso di conclusione delle indagini. Molti patteggiamenti già arrivati, e squalifiche sportive già definitive. Stentiamo a immaginare quale aula potrà gestire un processo con un numero così elevato di parti.

    Ecco il documento che riassume le accuse della Procura di Cremona, notificato questa mattina, con tutti i nomi e tutte le partite sotto accusa.

    Cremona calscioscommesse avviso conclusione indagini

  • Se Kabobo nella sentenza diventa un danno per Expo

    Expo è una creatura fragile e anche un omicidio del 2013 può nuocere gravemente alla sua salute. Non un omicidio qualunque, certo: Adam Kabobo, ghanese, massacrò a colpi di piccone tre passanti in una tetra alba milanese di gennaio, la personificazione del terribile ‘uomo nero’ negli incubi dei bambini.

    Ora, nelle motivazioni alla sua condanna a 20 anni di carcere, i giudici della Corte d’Appello riconoscono al Comune di Milano un risarcimento per il danno d’immagine che avrebbe subito dall’eccidio. “La diffusione della notizia – si legge nel documento – ha prodotto comprensibile e intenso allarme nella cittadinanza con conseguente danno per l’Amministrazione comunale, sia con riferimento all’azzeramento degli effetti auspicati in conseguenza della costosa attività  di promozione dell’immagine della città, anche all’estero, sia sotto il profilo della verificata inefficienza dell’attivita’ di lotta alla violenza predisposta dal Comune a tutela degli abitanti della zona, teatro degli omicidi”.

    I legali di Kabobo, nel sostenere contro il verdetto di primo grado che Palazzo Marino non aveva subito alcun danno d’immagine, avevano fatto fatto cenno nel ricorso in appello alla “visibilità internazionale di Milano, sede dell’Expo 2015”. Solo che secondo loro tutori dell’ordine e della sicurezza sarebbero la Questura e il Prefetto, non tanto Palazzo Marino.

    Per i giudici però il  “grande clamore mediatico sui giornali e sulle reti televisive, anche straniere, dell’omicidio di 3 cittadini milanesi colpiti a picconate in piena città” ha danneggiato proprio il Comune, impegnato a promuovere l’immagine della città in vista dell’Esposizione Universale. (manuela d’alessandro)


     

  • La stretta di mano Moratti – Moggi, tenerezza e sorrisi su Calciopoli

    Pace. Lucianone quando vede Massimo entrare nell’aula dove è imputato per avere diffamato Giacinto Facchetti prende luce e ha il sorriso di quando guidava la Juve che mieteva tricolori.  La mano di Massimo si allunga come un ramo di ulivo e lui la prende con vigore. La pace tra Luciano Moggi e Massimo Moratti scende su Calciopoli  oltre il novantesimo.

    Nei tempi regolamentari si era giocato così. Moratti, dopo la sentenza di condanna di Luciano: “Il verdetto che acclara la colpevolezza di certe persone rende l’idea delle difficoltà passate dall’Inter”. Moggi, in contropiede: “Moratti deve stare zitto perché guida una squadra la cui storia è costellata di debiti e di bidoni. Moratti e Facchetti chiamavano Bergamo per fargli vincere le partite”.

    Il presidente del ‘triplete’ si accomoda al banco del testimone in questo processo che è un ‘bigino’ della grande Calcipoli. Composto. “Sì, è vero: i designatori degli arbitri Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto mi chiamavano qualche volta. Avevano questo atteggiamento di apertura e cordialità con tutti, chiamavano tutti”.

    Un avvocato con tono provocante gli ricorda di quando al telefono espresse a Bergamo soddisfazione per un arbitro e gli raccontò di essere andato a trovarlo prima della partita: “Come mai andava prima delle partite a salutare gli arbitri nello spogliatoio?”.  Il testimone infila con uno sbuffo le mani nel lungo cappotto grigio: “Ci andavamo anche gli altri. Non era proibito, era un atto di cortesia andare a trovare gli arbitri. Le mie intenzioni non erano certo quelle di sporcare il calcio, se il retropensiero della sua domanda era quello”.

    Per essere più convincente, Moratti rimodula un po’ la versione su quelle telefonate dei designatori. Non un atto di cortesia, ma “una presa in giro, mi volevano far credere che ci fosse chissà quale clima di simpatia per l’Inter. Io rispondevo perché sono educato, ma ero in imbarazzo. Non sono uno un granché curioso”. Ricorda un incontro estivo con Bergamo a Forte dei Marmi, dopo la tragedia epica del 5 maggio (l’Inter perse con la Lazio in modo inopitato e regalò il tricolore alla Juve). “Bergamo voleva dirmi che quello che era successo a noi in quel campionato era stato un incidente”. Finisce con Moratti che prima di andarsene ripassa da Moggi. Caso mai non si fosse capito: si stringono ancora la mano, parlano fitto per qualche minuto, con un po’ di malinconia negli occhi. Non c’è bisogno del fischio di un arbitro per dire che è finita.  (manuela d’alessandro)

     

     

  • Fabio Riva, il latitante che Londra non vuole consegnare all’Italia

    Dice, amaro, un investigatore: “In Inghilterra c’è la giustizia di classe, se sei ricco non ti estradano”.   

    Fabio Riva, 60 anni, quando il 27 novembre 2012 parte l’ordine di arresto da Taranto con l’accusa di disastro ambientale, si trovava già a Londra. Si costituisce a Scotland Yard ottenendo la libertà vigilata su cauzione. Il 22 maggio 2014 il gip di Milano gli notifica un mandato di arresto europeo per associazione a delinquere e truffa ai danni dello Stato. Sono passati più di due anni e la giustizia inglese sembra non avere nessuna intenzione di estradare il figlio di Emilio Riva, patron del gigante siderurgico morto quando già la sua ‘creatura’ stava franando.

    Nel frattempo, per quella presunta truffa da cento milioni sui rimborsi pubblici, il già vicepresidente di Riva Fire  è stato condannato il 21 luglio 2014 a sei anni e mezzo di carcere e a pagare, in solido con altri imputati, una provvisionale di 15 milioni di euro allo Stato.  In Inghilterra a un certo punto, nel 2013, sono iniziate le udienze per l’estradizione di Fabio Riva. I suoi avvocati hanno cercato di convincere la Corte britannica  degli errori della magistratura italiana. Per il versante ambientale si è scomodato il professor Suresh Moolgaukar, di Exponent, un’associazione mondiale di esperti, nata per fornire consulenza alle aziende su come affrontare i temi critici legati all’ambiente. Poi, radi contatti tra  i pubblici ministeri italiani che coordinano l’indagine e i giudici britannici. I primi che chiedono nuove, i secondi che temporeggiano. 

    Ieri il Tribunale fallimentare di Milano ha dichiarato lo stato di insolvenza di Ilva, un passaggio obbligato per permettere di portare avanti l’amministrazione straordinaria e di salvare quel che resta dell’ex diamante di famiglia. Con la certificazione del crac, Fabio Riva rischia la nuova accusa di bancarotta fraudolenta. “Quando chiediamo l’estradizione di un nomade basta un secondo – considerano in Procura – qui stanno passando gli anni”. (manuela d’alessandro)

    *L’8 maggio 2015 i giudici inglesi hanno accolto la richiesta di estradizione

  • Erri De Luca, ecco perché uno scrittore non può essere accusato di istigazione

    “Recentemente si è tenuta avanti al Tribunale di Torino la prima udienza che vede imputato il noto scrittore Erri De Luca per alcune affermazioni contenute in una intervista rilasciata dallo stesso ad Huffington Post a proposito della attività di sabotaggio in corso da anni in Val di Susa contro la costruzione della linea alta velocità.

    Il processo scaturisce dalla denuncia presentata da una impresa costruttrice, e che la Procura di Torino, con il succesivo avallo del Giudice della Udienza preliminare, ha ritenuto di qualificare ai sensi dell’art. 414 del Codice Penale che punisce con pena da 1 a 5 anni “chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più delitti”.

    Al di là dell’ evidente eclatanza dell’ iniziativa, non si riscontrano in epoca recente analoghi casi di scrittori mandati “alla sbarra” come istigatori per avere espresso una opinione, qualsivoglia essa sia , qualche considerazione giuridica sulla fattispecie penale contestata si impone. (altro…)

  • L’indagine sui siriani anti – Assad: terrorismo o reati comuni?

    La Procura di Milano indaga su uno ‘spicchio’ di guerra civile siriana nel nostro Paese.

    Tra la fine del 2011 e il 2012, mentre cresceva la protesta popolare contro Bashar Al – Assad, un gruppo di siriani mise a segno una serie di aggressioni, pestaggi, devastazioni, minacce ai danni di connazionali da loro ritenuti a favore del dittatore. Tra gli atti più violenti, l’assalto ai titolari di un bar a Cologno Monzese da parte di uomini armati di bastone e spranghe che parlano in arabo e accusano i due baristi (cristiani) di sostenere il regime.

    Reati comuni oppure terrorismo? Il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e i pm Alessandro Gobbis e Adriano Scudieri, dopo una lunga ponderazione, scelgono di contestare l’articolo 270 bis, quello che punisce l’associazione internazionale finalizzata al terrorismo, introdotto dopo gli attentati alle Torri Gemelle. La fazione dei ‘giusti’, così veniva acclamata in quei giorni da tutto l’occidente, viene accusata di terrorismo. Spingendosi in questa direzione, i pm tengono conto anche della ‘proiezione’ internazionale del gruppo che preparava armi chimiche contro Assad in Siria e si rendeva protagonista, attraverso il suo leader Haisam Sakhanh, un elettricista di Cologno partito al fronte, di un’esecuzione sommaria ai danni di sette soldati inginocchiati e torturati. Fonti investigative spiegano che si è optato per il 270 bis perché le azioni truci erano finalizzate a intimidire un’intera fascia di popolazione con una determinata caratteristica, quella di appartenere agli adepti di Assad. Allo stesso modo sarebbe stato terrorismo se i fan del dittatore avessero ‘perseguitato’ i ribelli. In passato, l’articolo 270 bis è stato ipotizzato nella maggior parte dei casi per islamici che reclutavano combattenti da mandare nelle zone di guerra o raccoglievano denaro per la causa. Qui siamo in uno scenario abbastanza inedito dagli esiti, a livello processuale, non scontati. (manuela d’alessandro)

  • Sugli schermi ‘pubblici’ comprati coi soldi Expo la propaganda di Anm contro Renzi

     

    L’Associazione Nazionale Magistrati, a cui aderisce circa il 90 per cento delle toghe (non tutte!), utilizza ormai da diversi giorni gli schermi acquistati coi soldi Expo e collocati in diversi punti del Palazzo di Giustizia di Milano, per fare propaganda contro il Governo. (quel-monitor-di-expo-al-passo-carraio-dove-non-serve-a-nessuno)

    Nella foto si vede uno dei monitor al piano terra raffigurare una vignetta che ironizza sulla responsabiità civile dei magistrati voluta dal governo Renzi.

    Perché parliamo di propaganda?  L’Anm è una sorta di sindacato dei magistrati che, in quanto tale, tutela gli interessi dei suoi iscritti nelle forme che ritiene più opportune. Ha acquistato pagine di giornale per difendersi da quella che ritiene una riforma ingiusta e delegittimante, ha organizzato il giorno dell’apertuta dell’anno giudizario una conferenza stampa del suo leader Rodolfo Sabelli per spiegare all’opinione pubblica le sue ragioni. Fin qui, nulla da ridire.

    Quello che non ci piace è che l’associazione esponga le proprie, sindacabili ragioni attraverso gli schermi comprati coi soldi pubblici di Expo e che dovrebbero servire per dare informazioni utili alla collettività in transito per il Tribunale tutti i giorni. Decine di persone che vorrebbero sapere dove si trova un’aula, non perché ai magistrati non vada giù la riforma della giustizia. (manuela d’alessandro)

     

     

     

     

     

     

  • “L’ultimo fucilato” a Milano, processi, feste e morte nella città liberata

    Ci sono 1432 tombe nel campo perenne riservato ai morti della Repubblica Sociale Italiana che si trova nel Cimitero Maggiore di Milano. Un piccola parte sono stati uccisi in combattimento o durante agguati partigiani nell’ultimo scorcio dell’avventura mussoliniana, gli altri sono tutti caduti per giustizia sommaria all’indomani della Liberazione.

    Tutti, meno uno, l’unico fucilato in esecuzione di una regolare sentenza: Giovanni Folchi, ufficiale della Rsi, fascista della prima ora, e ultimo  condannato a morte nella storia della città.

    E’ la Milano “festante, crudele e caotica” di quei giorni intorno all’aprile del 1945 quella in cui il cronista giudiziario Luca Fazzo immerge “L’ultimo fucilato”, la storia di un ragazzo che a 29 anni viene mandato alla più cruenta delle fini. La sentenza arriva dopo un solo giorno di processo nell’aula della Prima Corte d’Assise del Palazzo di Giustizia, stipata da ex partigiani che applaudono al verdetto, ed è firmata da Luigi Marantonio, presidente del collegio e magistrato con in tasca  fino a pochi giorni prima la tessera del Partito del Duce. (altro…)

  • Ecco l’atto di accusa del pg della Cassazione contro Alfredo Robledo

    Ecco l’atto d’accusa firmato dal pg della Cassazione Gianfranco Ciani contro Alfredo Robledo. Il titolare dell’azione disciplinare chiede che il Csm trasferisca lontano da Milano il procuratore aggiunto e che gli tolga le funzioni di pm. Le accuse ruotano attorno a un presunto “scambio di favori” con l’avvocato della Lega Nord Domenico Aiello che avrebbe ricevuto dal magistrato notizie riservate nell’inchiesta sugli indebiti rimborsi dei consiglieri regionali lombardi. In queste ore, Robledo sta scrivendo la memoria difensiva che presenterà alla sezione disciplinare del Csm nell’udienza del 5 febbraio. (m.d’a.)

    Atto incolpazione Robledo

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  • Nozze gay, la Procura: “Pisapia non sei indagato”
    E lui: “Ma gli ignoti chi sono?”

    Sono indagato, ma no che non sei indagato, e com’è che non mi avete indagato? Per anticipare la stampa, da buon conoscitore del sistema mediatico, Giuliano Pisapia fa uno scatto in avanti e sabato, durante un convegno del Pd, annuncia che la Procura di Milano lo accusa di omissione in atti d’ufficio per avere trascritto i matrimonio gay contratti all’estero.

    Solo che lo sprint del sindaco avvocato è fin troppo bruciante, sicchè stamattina, con un certo imbarazzo, il procuratore Edmondo Bruti Liberati e il pm Letizia Mannella lo riportano ai blocchi di partenza comunicando ai giornalisti che vero, c’è un’inchiesta a carico di ignoti nata dall’esposto di un’associazione di cittadini, ma Pisapia non risulta indagato. E fanno anche capire che questa indagine finirà con una richiesta di archiviazione, senza nessun fuoco d’artificio.

    La Procura giustamente non ha nessuna voglia di ipotizzare una responsabilità penale per il sindaco che non obbedì a ottobre alla richiesta del Prefetto Francesco Paolo Tronca di cancellare le trascrizioni delle nozze ‘arcobaleno’.  Da vecchio uomo di legge, il sindaco oggi c’è quasi rimasto male: ma come, si è chiesto, aprite un’inchiesta sulle trascrizioni dei matrimoni, e la lasciate a carico di ignoti quando tutto il mondo sa che le ho fatte io? “Quegli ignoti sono noti – così  il sindaco rivendica il suo diritto a essere indagato – le trascrizioni le ho fatte io perché le ritenevo legittime. Era giusto che mi assumessi le responsabilità di quello che ho fatto e non so se cercassero ignoti tra soggetti che, invece, ignoti non lo erano”.  (manuela d’alessandro)

     

     

     

  • Camera Penale contro Anm, aprire il Tribunale è solo propaganda

    Aprire le porte del Tribunale ai cittadini diffondendo numeri che dovrebbero esaltare l’efficienza della magistratura è “propaganda nemica della Giustizia” basata su “dati incompleti e parziali”.

    In un acre  comunicato dal titolo ‘Questa casa non ha padroni’, la Camera Penale di Milano attacca l’iniziativa dell’Anm che oggi, nell’ambito della ‘Giornata per la Giustizia’, fa entrare chi vuole nel Palazzo progettato dal Piacentini per mostrare come funziona la giurisdizione.

    “I Tribunali sono la casa della giustizia e la giustizia è di tutti”, rivendicano i legali. “Le porte del Tribunale sono per definizione aperte, è pleonastico aprirle per un solo giorno. Gli interessi dei cittadini debbono essere tutelati attraverso il corretto esercizio della funzione giurisdizionale nel pieno rispetto degli equilibri istituzionali”. I rappresentanti degli avvocati contestano in particolare i dati diffusi da Anm in questi giorni, anche, aggiungiamo noi, attraverso gli schermi acquistati coi fondi Expo che mostrano le cifre della giustizia secondo la magistratura. Alle toghe che esaltano i giudici italiani come i più efficienti in Europa e lamentano i danni derivanti dalla prescrizione, rispondono così: “Le cause di rinvio delle udienze sono per il 77 per cento attribuibili a varie disfunzioni degli uffici non addebitabili all’esercizio della funzione difensiva”; “lo Stato ha circa 400 milioni di euro di debito per la lentezza dei procedimenti”; “la grandissima parte delle prescrizioni matura nella fase delle indagini preliminari, quando la difesa non interviene in alcun modo. Il numero delle prescrizioni è in costante calo”. Anche alcuni magistrati avevano espresso perplessità per il ruolo di anfitrioni a loro richiesto in queso ‘sabato per la giustizia’.

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    (manuela d’alessandro)

  • La paura che alla ‘Giornata per la giustizia’ manchino i magistrati

    “Je suis magistrato”. Domani si celebra su iniziativa dell’Anm la ‘Giornata nazionale per la Giustizia’ con l’apertura del bel palazzo razionalista ai milanesi. Due gli obbiettivi: far vedere da vicino le stanze della giustizia e convincere i cittadini che la riforma Renzi è sbagliata (la vignetta che promuove l’iniziativa ironizza sulla responsabilità civile delle toghe mostrando un imputato che incassa una tangente).

    Quanti saranno i curiosi che vorranno sedersi per un giorno alla tavola dove si ‘cucinano’ sentenze, processi, inchieste? E i ‘cuochi’ in toga della giustizia saranno presenti per far degustare le loro specialità? Chissà.

    I promotori dell’iniziativa oggi ci hanno messo un po’ di pepe riempiendo la casella mail dei colleghi con un’accorata ‘chiamata alle armi’ che, a qualcuno, è risultata indigesta. I toni usati sono da ‘trincea’. “E’ fondamentale – scrive uno dei componenti dell’Anm locale – per la riuscita della giornata che vi sia una massiccia presenza di voi tutti (dove già vi fermate tantissimo durante l’arco della settimana, domeniche comprese) quando la cittadinanza verrà accompagnata a visitare il palazzo. Sarà importante che vi trovino pronti ad accoglierli; a far vedere le condizioni in cui voi tutti lavorate (…) l’unico modo per far comprendere a una cittadinanza che è stata continuamente bersagliata di messaggi diffamatori nei nostri confronti quale sia la realtà delle cose”. “Sappiamo bene – ammette un altro magistrato – che non tutti condividono quest’iniziativa, ma crediamo che in questo momento sia più importante dare il proprio contributo di presenza”. “Non ci stiamo all’insensibilità del governo (..). E’ importante – gli fa eco un terzo membro dell’Anm milanese –  che garantiamo tutti la nostra presenza, che è il modo più forte per parlare e fare capire che non difendiamo interessi di categoria, poichè l’unica istanza personale è quel tribunale interiore che ciascuno di noi ha dentro di sé e che, più rigoroso di tutte le corti, si chiama coscienza”. Qualche magistrato ha risposto facendo capire di non gradire l’invito con batttute ironiche riferite al sabato, altri, off the records, sottolineano che i primi a non esserci saranno i Presidenti del Tribunale e della Corte d’Appello impegnati domani in Comune a illustrare il bilancio di responsabilità sociale del Tribunale. (manuela d’alessandro)

  • Prescrizione, non sapremo mai se qualcuno sbagliò nella bonifica di Santa Giulia

    Non sapremo mai se qualcuno ha sbagliato  nella bonifica dell’area dove è sorto il quartiere Santa Giulia, frutto di un controverso maxi progetto immobiliare che prevedeva di ripulire 1 milione e duecentomila metri quadrati un tempo occupati da Montedison.

    Il processo a carico di 11 persone, tra cui l’ex immobiliarista Luigi Zunino, accusate di irregolarità nella gestione di rifiuti, discarica non autorizzate e altri reati ambientali, corre verso la prescrizione dopo essere stato ridimensionato nella accuse più gravi al termine dell’udienza preliminare.

    Nell’udienza di stamattina, le difese hanno chiesto al giudice monocratico Giulia Turri di dichiarare prescritte le ipotesi accusatorie in base a una tesi della Cassazione che collocherebbe la consumazione del reato quando c’è stata l’ultima movimentazione di terra, nel 2008. In questo caso, trattandosi di reati che si prescrivono in 5 anni, saremmo già al requiem per un processo cominciato a settembre.  Ribatte l’accusa, rappresentata dal pm Laura Pedio, che la prescrizione andrebbe calcolata dal 20 luglio 2010, giorno in cui la Procura dispose il sequestro di tutta l’area oggetto della bonifica, e quindi il processo ‘sopravviverebbe’ fino al 20 luglio prossimo.

    Deciderà lunedì il giudice Turri ma sin d’ora è possibile immaginare la difficoltà di arrivare entro l’estate a una sentenza almeno di primo grado che, se fosse di condanna, consentirebbe perlomeno alle parti civili di ottenere dei risarcimenti.  Condanna tutt’altro che scontata dal momento che questa indagine,  esplosa con 5 arresti nel 2009, tra cui quello dell’ex ‘re delle bonifiche’, poi defunto, Giuseppe Grossi, ha  perso sulla strada  ‘pezzi’ importanti con la decisione del gup di prosciogliere gli imputati dal reato più grave di avvelenamento della falda acquifera. L’ex presidente di Risanamento Zunino e gli altri imputati, tra i quali ex dirigenti del Comune e dell’Arpa, devono difendersi  ‘solo’ in relazione a reati ambientili punibili con sanzione pecuniaria. Quando venne sequestrata l’area l’ipotesi della Procura e del gip era che vi fossero sostanze cancerogene nelle falde e rifiuti pericolosi dove doveva sorgere un asilo. Comunque vada, non sapremo mai con certezza, attraverso una sentenza definitiva, cosa è successo nei giorni in cui si schiantava il sogno del nuovo quartiere verde e chic di Milano.  (manuela d’alessandro)

  • Cancellata l’assoluzione in appello: Allam diffamò gli islamici

    Nel giorno in cui la Francia ha vissuto la resa dei conti per l’eccidio di Charlie Hebdo, un articolo di Magdi Allam (allam_predicatori.shtml) che definisce “predicatori d’odio” i seguaci di Maometto diventa diffamatorio per i giudici milanesi dopo essere stato invece dichiarato frutto di una legittima “libertà di critica” in primo grado.

    Il pezzo firmato dal giornalista sul Corriere della Sera nel febbraio 2007 riecheggia molti degli argomenti portati in tv o sui media in questi giorni da commentatori e politici ostili all’Islam.  Allam definisce “tutti noi italiani vittime, inconsapevoli o irresponsabili, pavidi o ideologicamente collusi, che non vogliamo guardare in faccia la realtà, che la temiamo al punto da esserci sottomessi all’arbitrio e alla violenza di chi sta imponendo uno stato islamico all’interno del nostro traballante stato sovrano”.

    I giudici della Corte d’Appello di Milano,  sezione civile, ribaltano la sentenza che aveva assolto l’ex columnist di via Solferino condannandolo al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese processuali a favore dell’Ucoii (Unione delle Comunità Islamiche d’Italia).  Al centro dell’articolo c’è la vicenda di Dounia Ettaib, all’epoca vicepresidente dell’Associazione donne marocchine in Italia, aggredita da alcuni connazionali vicino alla moschea milanese di viale Jenner. Uno spunto che stimola ad Allam grevi riflessioni sul mondo islamico: (…) Sappiano tutto e di più sull’attività dei predicatori d’odio islamici nostrani ma preferiamo seppellire la testa sottoterra, non rendendoci conto che a differenza dello struzzo non riemergeremo ma finiremo per suicidarci”. E ancora,  l’ex vicedirettore del quotidiano afferma di non avere “alcun dubbio che nelle moschee e nei siti islamici dell’Ucoii e di altri gruppi radicali islamici s legittima la condanna a morte degli apostati e dei nemici dell’Islam”. Libertà di critica o diffamazione?Per l’avvocato dell’Ucoii Luca Bauccio “la libertà di critica non va mai confusa con la prevaricazione sugli altri”. (manuela d’alessandro)

  • Il ‘regalo’ di 3 finanzieri: un software gratis per 28mila pratiche della giustizia

    Nel Palazzo dove si spendono milioni di euro targati Expo per informatizzare i processi, la fantasia e la tenacia di tre giovani finanzieri creano, senza alcuna spesa di denaro pubblico, un software in grado di gestire 28mila pratiche nell’ufficio della Procura Generale di Milano.

    Il sistema ‘Prometeo’, così si chiama la neonata piattaforma informatica, è nato da un’intuizione dell’Avvocato dello Stato Laura Bertolè Viale che un anno fa convoca i suoi ragazzi e gli chiede: “Cosa possiamo fare per accelerare le pratiche nell’ufficio?”. Davide Carnevali, Luigi Cerullo e Damiano Franco come prima cosa vanno a bussare alle porte degli impiegati facendosi spiegare le loro esigenze e poi s’inventano questo programma capace di archiviare e gestire, anche sostituendo i polverosi registri cartacei con strumenti informatici, le delicate informazioni della giustizia.

    Si presenta come un normale sito web, esportabile in altre amministrazioni, ed è basato su tecnologie open source. Come Prometeo sfidò le divinità, questi tre ragazzi sembrano provocare l’dea  del pubblico che non funziona e si deve affidare a partner privati, talvolta con modalità oscure (sospesi-gli-affidamenti-diretti-expo-per-la-giustizia-milanese-il-verbale-che-svela-il-clamoroso-cambio-di-rotta), come accaduto coi fondi dell’Esposizione Universale. Dai quali, guarda caso, è stata esclusa la Procura Generale.  (manuela d’alessandro)

  • Stasi come Franzoni, “poca prova, poca pena”

    E’ una sentenza che ricorda da vicino quella inflitta in via definitiva ad Anna Maria Franzoni, la mamma di Cogne,  per l’omicidio del figlio Samuele.  Anche Alberto Stasi viene condannato a 16 anni di carcere dopo un’aspra battaglia processuale con un verdetto che sembra riflettere tutti i dubbi ermersi in questa indagine. Non quindi ai 30 anni chiesti dal procuratore generale Laura Barbaini vittoriosa, comunque,  insieme alla parte civile Gian Luigi Tizzoni, al termine di una ‘partita’ che ribalta i precedenti esiti processuali di uno dei più controversi casi di cronaca nera degli ultimi anni.

    Difficile per la Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Barbara Bellerio, ignorare la sentenza della Cassazione (la-strana-cassazione-su-alberto-stasi-che-per-3-volte-diventa-mario) che nell’aprile 2013 aveva annullato con rinvio le assoluzioni pronunciate dal gup di Vigevano Stefano Vitelli, prima, e dalla stessa Corte d’Assise di Milano (ovviamente in composizione diversa) poi. Gli ‘ermellini’, entrando nel merito della vicenda, avevano chiesto di “rivisitare gli indizi” e sottolineato le “incongruenze” nel racconto di Stasi, identico dal primo giorno, su quanto accadde quella mattina d’estate.
    Ma la pena per l’ex studente bocconiano dagli occhi celesti scende sensibilmente rispetto alle previsioni in caso di condanna perché i giudici hanno tolto alla contestazione della Procura Generale l’aggravante della crudeltà. Ai 24 anni tetto massimo previsto per l’omicidio è stato quindi applicato lo sconto di un  terzo della pena previsto dal rito abbreviato. Dopo la lettura della sentenza, in un clima surreale, è stata allestita una conferenza stampa. Da un ‘banchetto’ improvvisato, si sono affacciati mamma Rita e papà Giuseppe, molto emozionati, che hanno ringraziato con calore i loro legali, “per i quali Chiara è diventata una figlia”. Per loro e per il fratello della vittima, Marco, anch’egli presente, i giudici hanno stabilito un risarcimento di un milione di euro. “Ora guarderò Chiara e le dirò ‘ce l’hai fatta’”, ha detto la mamma. Dall’altra parte, Stasi viene descritto come “sconvolto”,  dopo aver provato a convincere i giudici della sua innocenza rendendo dichiarazioni spontanee: “Non cercate a tutti i costi un colpevole, condannando un innocente. In questi sette anni ci si è dimenticati che la morte di Chiara è stata un dramma anche per me”.

    Dopo sette anni non si può dire che i dubbi siano stati dissipati, a maggior ragione di fronte a una decisione che appare ispirata al principio “poca prova, poca pena”, come ha detto un legale di Alberto. In attesa delle motivazioni tra 90 giorni, è difficile immaginare perché, qualora Stasi sia davvero colpevole, il suo non sia stato un omicidio aggravato dalla crudeltà. Un ragazzo che uccide la fidanzata sfondandole il cranio e gettandola sulle scale ha commesso un omicidio ‘semplice’? Era stata la stessa pg a parlare di una condotta senza pietas da parte dell’imputato. In ogni caso resta lo sconcerto per una giustizia che ha detto tutto e il contrario di tutto in sette anni dopo un’indagine costellata di errori clamorosi.  (manuela d’alessandro)

  • Perché gli scippatori vanno in galera e i corrotti no?
    Un’idea di riforma da chi esegue le pene

    “Volete sapere perché gli scippatori vanno in galera e i corrotti no? Semplice, basta leggere un articolo di legge e semplicissimo sarebbe cambiarlo”. Così semplice che non si fa, appunto, preferendo arrovellarsi su complicate ipotesi di riforma.

    Spiega il il sostituto procuratore generale di Milano Antonio Lamanna, magistrato di grande esperienza che diede parere  favorevole all’affidamento ai servizi sociali di Silvio Berlusconi dopo la condanna Mediaset. “Quando viene pronunciata una sentenza di condanna definitiva a pena detentiva, entrano in gioco l’articolo 656 del codice di procedura penale e l’articolo 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario. Se la pena non supera i tre anni, e ciò accade per la maggior parte dei casi, il pubblico ministero ne sopende l’esecuzione, tranne che per una serie di reati che vengono indicati in queste norme”.

    Quello che stupisce sono alcuni dei reati che costituiscono eccezione alla regola generale, per i quali cioé non si può sospendere la pena detentiva e si finisce in carcere senza ‘sconti’: scippo, contrabbando aggravato di sigarette, furto in appartamento. Tra queste fattispecie certamente la corruzione non sfigurerebbe. Invece chi prende mazzette ed è condannato a meno di tre anni (succede spesso per la concessione delle generiche o perché si viene giudicati con riti alternativi), evita il carcere. “Basterebbe aggiungere la corruzione accanto allo scippo, al contrabbando e agli altri reati, tra i quali le violenze sessuali, per essere sicuri che chi commette un reato grave come la corruzione sconti in carcere almeno parte della pena”. Una riforma facile, facile. Non giustizialismo, ma buon senso, per un reato tra i più odiosi perché spesso colpisce la fiducia nelle istituzioni e viene compiuto non da chi nasce in ambienti criminogeni ma da chi ‘sceglie’ di tradire la fiducia dei cittadini. (manuela d’alessandro)

  • Davanti a tutti in graduatoria da sostituto Pg
    Ma Robledo rischia il trasferimento da Milano

    Tra i magistrati in corsa per ottenere un posto da sostituto in Procura Generale c’è proprio colui che potrebbe dover lasciare Milano per incompatibilità ambientale. Per oggi è attesa la proposta della Prima commissione del Csm su un eventuale trasferimento di Alfredo Robledo (e di Edmondo Bruti Liberati?). E proprio oggi si scopre, dalle graduatorie interne pubblicate dal Csm, che lo stesso Robledo è primo in una lista di 26 magistrati che hanno chiesto un posto nell’ufficio guidato da Manlio Minale.

    Tra chi ha chiesto di diventare sostituto Pg non ci sono solo magistrati milanesi, ovviamente. Ma c’è anche chi parla di una “mezza fuga dalla Procura” guidata da Bruti. Robledo risulta primo in graduatoria (valutazione: 31) davanti ad Amato Barile (30), pm alla Procura di Lagonegro, e a Celestina Gravina (26), attuale Procuratore a Matera che farebbe così ritorno nella Milano che la vide impegnata da inquirente, tra le altre cose, nell’inchiesta sulla strage di Linate. Al settimo posto c’è un’altra pm milanese, Laura Gay, attualmente all’esecuzione (dipartimento guidato da Robledo dopo la nota estromissione dal pool anticorruzione). Più indietro i sostituti procuratori Maria Mazza, Paola Pirotta (di quel secondo dipartimento che fu guidato da Robledo), Angelo Renna, Silvia Perrucci, Maria Teresa Latella.

    Chiedono un posto al terzo piano lato Manara anche l’ex giudice milanese Gemma Gualdi (quinta in graduatoria), l’ispettore del ministero Paolo Fortuna, il pm di Pavia Giovanni Benelli, i pm dei minori di Milano Maria Saracino e Ciro Cascone e la pm di Brescia Silvia Bonardi, magistrato che negli ultimi mesi ha indagato per concussione il collega milanese Ferdinando Esposito.

    I posti messi a bando sono solo due. Con l’eventuale trasferimento di Robledo, qualcuno verrebbe ripescato.

    (Aggiornamento delle ore 16: sulla questione trasferimenti per incompatibilità ambientale il Csm ha deciso di rinviare. Prima verrà ascoltato il presidente di Corte d’Appello Giovanni Canzio, il 16 dicembre, poi si vedrà).

  • Camera Penale, “scandaloso negare un legale alla mamma di Ragusa”

    C’è un aspetto poco attraente dal punto di vista mediatico che  si è dimenticato di sottolineare nella vicenda di Veronica Panarello, la mamma di Ragusa accusata di avere ucciso il figlio di 8 anni, Loris. Qualcosa che interpella la nostra coscienza di vivere in uno stato di diritto. Prima di essere fermata, questa donna è stata interrogata per ore dai pubblici ministeri come persona informata sui fatti, senza la possibilità di essere affiancata da un avvocato sebbene fosse chiaro a tutti che per la pubblica accusa fosse lei l’unica indiziata dell’omicidio.

    In una nota diffusa oggi (nota-del-consiglio-direttivo-del-10122014.html) che critica la protesta organizzata dall’Associazione Nazionale Magistrati contro la riforma Renzi, la Camera Penale di Milano prende una posizione molto chiara. Per gli avvocati, la donna “è stata prima posta alla berlina mediatica e poi privata del proprio diritto costituzionale all’assistenza difensiva e della possibilità di esercitare il proprio diritto al silenzio in un clima quasi da auto da fe’”. I magistrati non dovrebbero preoccuparsi di falsi problemi come la riduzione delle ferie,  ma “del rispetto e dell’applicazione dei diritti e delle garanzie che sono alla base del funzionamento del diritto penale”. Era stato invece indagato come “atto dovuto” Orazio Fidone, il cacciatore che aveva trovato il corpo del bambino in un canalone nella campagna ragusana. Sarebbe stato un “atto dovuto” anche iscrivere Veronica Panarello che avrebbe goduto così della possibilità di concordare una linea difensiva con un legale, riconoscendole il diritto alla difesa garantito dalla Costituzione.  Commenta Salvatore Scuto, presidente della Camera Penale milanese: “Nell’Anm ormai ha preso il sopravvento l’ala più dura dei magistrati guidati da Piercamillo Davigo e Nicola Gratteri che puntano a indebolire i diritti delle difese. Si vuole per esempio allungare la prescrizione dimenticando che essa matura al sessanta per cento nell’udienza preliminare. E si perdono di vista problemi ben più seri, come la scandalosa negazione di un legale a Ragusa”.  (manuela d’alessandro)

  • Rinviato il convegno sull’omogenitoralità,
    “pressioni” perché relatori pro – famiglie gay

    Ci sarebbero state “pressioni” o “veti” da parte di alcune ‘toghe’ che ritenevano il parterre dei relatori troppo “orientati a favore dei diritti delle famiglie omosessuali” alla base del rinvio del convegno sull’omogenitorialità organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura in collaborazione con l’Aiaf (associazione italiana degli avvocati per la la famiglia e i minori).

    Il seminario si sarebbe dovuto svolgere il 15 dicembre a Palazzo di Giustizia ma i partecipanti, con grande stupore, hanno ricevuto oggi da Giuseppe Buffone, giudice civile e promotore dell’incontro, una mail in cui li si informava del rinvio al 27 febbraio. La data è stata posticipata, spiega il magistrato, “in vista della riorganizzazione” dell’incontro, motivata dal “serio interesse” espresso da “alcuni colleghi” alla “partecipazione ai lavori con l’obbiettivo di arricchire il seminario”. Fin qui, la motivazione ufficiale.

    Ma c’è una nota delle toghe di ‘Area’ (formazione che riunisce Magistratura Democratica e Movimento per la Giustizia)  dalla quale par di capire che lo scenario in cui è maturata la decisione del rinvio del convegno intitolato ‘La tutela dei diritti nelle famiglie omogenitoriali’ non sia stato così soft. “Stupisce perché – si legge nel documento – sembrerebbe in realtà originata dalla perplessità di alcuni colleghi di Milano che avebbero contestato i contenuti del convegno ritenendo che fosse troppo ‘orientato’ a favore dei diritti delle famiglie omosessuali. Se questo è accaduto lo troviamo francamente preoccupante, anche per la storia del nostro distretto”. Una rappresentante di Area Milano, da noi contattata, dice: “Le ragioni del rinvio sono risibili. In questi casi si invita più gente possibile per creare dibattito, ma certo non si rinvia un convegno”. “Quello che è certo – sottolinea uno dei relatori – è che a Milano è la prima volta che viene rinviato un convegno”.

    Secondo i rappresentanti della corrente, “è impensabile che nell’attività formativa, e in particolare in ambiti di così assoluto rilievo, possano intervenire decisioni che suonano come veti o pressioni da parte di singoli o di gruppi di magistrati che in questo modo compromettono l’indipendenza della quale dovrebbe godere la Scuola della Magistratura”.

    “Se davvero ci fossero state queste pressioni sarei sbalordita – commenta l’avvocato e presidente di Aiaf Lombardia Cinzia Calabrese – abbiamo organizzato altri convegni in altre città con gli stessi relatori, senza alcun problema. Sono incontri di studio, dove l’ideologia non c’entra nulla”.

    Tra  i giuristi chiamati a parlare, figurano il Presidente del Tribunale di Bologna, Giuseppe Spadaro, firmatario di una sentenza con la quale nel 2013 una bambina venne affidata a una coppia omosessuale, lo psichiatra Vittorio Lingiardi, autore del saggio ‘Citizen gay’ e il giudice civile Olindo Canali che pure si è espresso sulla materia del convegno con un paio di verdetti sul tema che sucitarono dibattito. “In realtà a Milano, a differenza che in altre città – ci spiega il giovane giudice Buffone, considerato un enfant prodige del diritto di famiglia – non abbiamo ancora avuto casi relativi a famiglie omogenitoriali, ma questo convegno serve proprio a fare il punto”. (manuela d’alessandro)

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

  • ‘Ndrangheta, per la prima volta Milano ‘perde’ un pezzo di competenza

    La mafia saluta e se ne ritorna su quel ramo del lago. Mafia presunta, si intende. Anzi, per la precisione: ‘ndrangheta. Con una decisione innovativa, che contrasta con le tesi della Dda, il presidente della settima sezione penale di Milano, Aurelio Barazzetta, ha stabilito che il processo a carico di sette imputati nato dall’inchiesta denominata ‘Metastasi’, si dovrà celebrare a Lecco. E’ la prima volta che Milano perde pezzi di un processo sulle cosiddette ‘locali’ di ‘ndrangheta individuate a partire dall’inchiesta ‘Infinito’.

    Se la competenza sul reato previsto dall’articolo 416bis in fase di indagini è indubbiamente della procura distrettuale, il tribunale competente è un altro se, come ha stabilito il giudice in questo caso, le condotte mafiose si sono concretamente realizzate al di fuori dei confine milanese. Per radicare nel capoluogo il dibattimento non basta che il potere intimidatorio della locale poggi sulla forza dell’organizzazione mafiosa sovraordinata, quella ‘Lombardia’ già individuata nel corso di ‘Infinito’. Bisogna guardare alle condotte materiali che sostanziano il reato di associazione di stampo mafioso. E in questo caso, sarebbero avvenute tutte in territorio lecchese. Al tribunale sul lago finiscono tra gli altri Mario Trovato (fratello del più noto Francesco ‘Coco’ Trovato), e Antonio Rusconi, ex sindaco di Valmadrera. Nel collegio difensivo c’è una certa euforia tanto che qualcuno parla di provvedimento che per la prima volta “fa crollare un teorema della Dda milanese”. Molti legali, ora, dovranno lavorare in trasferta. E anche i pubblici ministeri faranno avanti e indietro. Non proprio comodissimo.

  • La mafia saluta Milano
    e si fa processare sul lago
    Legali: crolla il teorema della Dda

    La mafia saluta e se ne ritorna su quel ramo del lago. Mafia presunta, si intende. Anzi, per la precisione: ‘ndrangheta. Con una decisione innovativa, che contrasta con le tesi della Dda, il presidente della settima sezione penale di Milano, Aurelio Barazzetta, ha stabilito che il processo a carico di sette imputati nato dall’inchiesta denominata ‘Metastasi’, si dovrà celebrare a Lecco. E’ la prima volta che Milano perde pezzi di un processo sulle cosiddette ‘locali’ di ‘ndrangheta individuate a partire dall’inchiesta ‘Infinito’.
    Se la competenza sul reato previsto dall’articolo 416bis in fase di indagini è indubbiamente della procura distrettuale, il tribunale competente è un altro se, come ha stabilito il giudice in questo caso, le condotte mafiose si sono concretamente realizzate al di fuori dei confine milanese. Per radicare nel capoluogo il dibattimento non basta che il potere intimidatorio della locale poggi sulla forza dell’organizzazione mafiosa sovraordinata, quella ‘Lombardia’ già individuata nel corso di Infinito. Bisogna guardare alle condotte materiali che sustanziano il reato di associazione di stampo mafioso. E in questo caso, sarebbero avvenute tutte in territorio lecchese. Al tribunale sul lago finiscono tra gli altri Mario Trovato (fratello del più noto Francesco ‘Coco’ Trovato), e Antonio Rusconi, ex sindaco di Valmadrera. Nel collegio difensivo c’è una certa euforia tanto che qualcuno parla di provvedimento che per la prima volta “fa crollare un teorema della Dda milanese”. Molti legali, ora, dovranno lavorare in trasferta. E anche i pubblici ministeri faranno avanti e indietro. Non proprio comodissimo.

  • La mafia saluta Milano
    e si fa processare sul lago
    Legali: crolla teorema della Dda

    La mafia saluta e se ne ritorna su quel ramo del lago. Mafia presunta, si intende. Anzi, per la precisione: ‘ndrangheta. Con una decisione innovativa, che contrasta con le tesi della Dda, il presidente della settima sezione penale di Milano, Aurelio Barazzetta, ha stabilito che il processo a carico di sette imputati nato dall’inchiesta denominata ‘Metastasi’, si dovrà celebrare a Lecco. E’ la prima volta che Milano perde pezzi di un processo sulle cosiddette ‘locali’ di ‘ndrangheta individuate a partire dall’inchiesta ‘Infinito’.
    Se la competenza sul reato previsto dall’articolo 416bis in fase di indagini è indubbiamente della procura distrettuale, il tribunale competente è un altro se, come ha stabilito il giudice in questo caso, le condotte mafiose si sono concretamente realizzate al di fuori dei confine milanese. Per radicare nel capoluogo il dibattimento non basta che il potere intimidatorio della locale poggi sulla forza dell’organizzazione mafiosa sovraordinata, quella ‘Lombardia’ già individuata nel corso di Infinito. Bisogna guardare alle condotte materiali che sustanziano il reato di associazione di stampo mafioso. E in questo caso, sarebbero avvenute tutte in territorio lecchese. Al tribunale sul lago finiscono tra gli altri Mario Trovato (fratello del più noto Francesco ‘Coco’ Trovato), e Antonio Rusconi, ex sindaco di Valmadrera. Nel collegio difensivo c’è una certa euforia tanto che qualcuno parla di provvedimento che per la prima volta “fa crollare un teorema della Dda milanese”. Molti legali, ora, dovranno lavorare in trasferta. E anche i pubblici ministeri faranno avanti e indietro. Non proprio comodissimo.

  • La ‘ndrangheta saluta Milano
    e si fa processare sul lago
    Legali: crolla teorema della Dda

    La mafia saluta e se ne ritorna su quel ramo del lago. Mafia presunta, si intende. Anzi, per la precisione: ‘ndrangheta. Con una decisione innovativa, che contrasta con le tesi della Dda, il presidente della settima sezione penale di Milano, Aurelio Barazzetta, ha stabilito che il processo a carico di sette imputati nato dall’inchiesta denominata ‘Metastasi’, si dovrà celebrare a Lecco. E’ la prima volta che Milano perde pezzi di un processo sulle cosiddette ‘locali’ di ‘ndrangheta individuate a partire dall’inchiesta ‘Infinito’.
    Se la competenza sul reato previsto dall’articolo 416bis in fase di indagini è indubbiamente della procura distrettuale, il tribunale competente è un altro se, come ha stabilito il giudice in questo caso, le condotte mafiose si sono concretamente realizzate al di fuori dei confine milanese. Per radicare nel capoluogo il dibattimento non basta che il potere intimidatorio della locale poggi sulla forza dell’organizzazione mafiosa sovraordinata, quella ‘Lombardia’ già individuata nel corso di Infinito. Bisogna guardare alle condotte materiali che sustanziano il reato di associazione di stampo mafioso. E in questo caso, sarebbero avvenute tutte in territorio lecchese. Al tribunale sul lago finiscono tra gli altri Mario Trovato (fratello del più noto Francesco ‘Coco’ Trovato), e Antonio Rusconi, ex sindaco di Valmadrera. Nel collegio difensivo c’è una certa euforia tanto che qualcuno parla di provvedimento che per la prima volta “fa crollare un teorema della Dda milanese”. Molti legali, ora, dovranno lavorare in trasferta. E anche i pubblici ministeri faranno avanti e indietro. Non proprio comodissimo.