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  • Unipol, Gdf porta via 45 pc a Consob che se la prende con la stampa

    La Consob mostra un’ incredibile solerzia nell’aprire indagini sui giornalisti ma non altrettanta, stando a quanto emerge dalle prime battute dell’indagine su UnipolSai , ne avrebbe profusa sull’analisi dei conti della compagnia assicuratrice bolognese.  In una nota di venerdì scorso, l’organo di vigilanza prometteva di approfondire le variazioni del valore del titolo in relazione alle informazioni diffuse a mercato aperto, con chiaro riferimento alla notizia della perquisizioni nella sede del nuovo gigante delle assicurazioni, avvenute il giorno prima.

    Non è la prima volta che la Consob  reagisce stizzita alla diffusione di notizie sull’indagine coordinata dal pm Luigi Orsi.  Nei mesi scorsi aveva aperto un’inchiesta su Giovanni Pons e Vittoria Puledda del quotidiano La Repubblica: in un articolo dell’11 dicembre 2012 avevano messo in fila  le possibili debolezze dei bilanci Unipol, che aveva in corso la fusione con Fonsai.  Proprio per verificare se ci siano responsabilità di funzionari dell’autorità di controllo nell’abbellire i conti della società che stava per convolare a nozze con le macerie dell’impero Ligresti, la Guardia di Finanza ha portato via 45 computer dalla sede romana di Consob. Dall’analisi del materiale informatico il pm si aspetta di capire se il Presidente Giuseppe Vegas (non indagato) non solo non avrebbe vigilato sulla fusione, com’era suo compito istituzionale, ma avrebbe anche ostacolato nei fatti la verifica su quanto valesse davvero Unipol. Anzitutto, impedendo che il funzionario Marcello Minenna, capo dell’Ufficio Analisi Quantitative, calcolasse il valore dei derivati in pancia a Unipol e poi tenendo all’oscuro delle operazioni in corso uno dei commissari della Consob, Michele Pezzinga. (manuela d’alessandro)

  • Nobili al Csm, mai rinunciato in 34 anni a un’indagine

    E’ fnita.  Il Csm serra  le quinte dichiarando chiusa l’istruttoria sulla vicenda Bruti – Robledo con l’ultimo atto, l’audizione del procuratore aggiunto Alberto Nobili. Era stato Robledo a chiedere che venisse ascoltato il pm sull’assegnazione del fascicolo Ruby  a Ilda Boccassini. Secondo la sua versione, Nobili non rinunciò a coordinare l’indagine partita dalle rivelazioni della giovane marocchina perché “mai è stato interpellato sul punto, né è stata richiesta la sua opinione”. “Nobili – si legge nella memoria di Robledo – venne meramente informato della decisione che era già stata presa dal Procuratore della quale si limitò a prendere atto”.

    Bruti invece aveva sostenuto davanti al Csm che il fascicolo sulle notti ad Arcore era stato assegnato a Boccassini col beneplacito del magistrato che in quel momento avrebbe dovuto coordinarlo, il procuratore aggiunto Nobili. Ebbene, oggi un consigliere del Csm ha letto testualmente a Nobili quanto scritto da Robledo nella sua memoria chiedendogli se corrispondesse al vero e, non solo il procuratore, protagonista di tantissime ‘storiche’ inchieste sulla criminalità organizzata, ha confermato di non essere stato interpellato prima della decisione sul passaggio dell’inchiesta alla sua ex moglie Boccassini, ma ha anche sottolineato di non essersi mai tirato indietro in 34 anni di carriera di fronte a un’indagine.  Quando Bruti gli comunicò che l’inchiesta non gli saprebbe spettata, Nobili ha detto di averne “preso atto”, senza avere “nulla da obbiettare”. Sia la Prima che la Settima Commissione hanno a questo punto chiuso l’istruttoria avviata in seguito alla denuncia di Robledo su presunte irregolarità nella gestione della Procura da parte di Bruti. La Settima Commissione si riunirà in seduta straordinaria martedì prossimo, giorno in cui potrebbe già formulare le conclusioni da proporre al plenum, mentre la Prima Commissione si riunirà solo all’ inizio di giugno. (manuela d’alessandro)

  • Raccolta di firme tra pm
    non siamo come media ci dipingono

    I pm di Milano provano a ridisegnare l’immagine di una Procura spezzata dalla violenta contesa finita davanti al Csm tra il loro capo, Edmondo Bruti Liberati, e il ‘rivale’ Alfredo Robledo. Armando Spataro, che tra poche ore potrebbe salutare l’ufficio ed essere nominato alla guida della Procura di Torino, è tra i  promotori una raccolta di firme a sostegno di un documento, che Giustiziami ha potuto leggere. In essa, il magistrato che ha seguito alcuni tra i più importanti processi di terrorismo interno e internazionale contesta l’immagine che sembrerebbe emergere dalle ultime vicende di una Procura alcova dei peggiori sentimenti. “Nell’ovvio rispetto delle future determinazioni del Csm (…) – si legge nel documento – non possiamo non intervenire in ordine alla rappresentazione mediatica non corrispondente al vero che viene offerta alla pubblica opinione (…) con un’immagine di una Procura dilaniata dalla contrapposizione interna. Respingiamo ogni tentativo di delegittimazione complessiva dell’operato della Procura che rischia di danneggiare la credibilità e compromettere l’efficacia dell’azione dell’ufficio”. A quanto ci risulta, il foglio fatto girare negli uffici ha raccolto il consenso della maggioranza dei pubblici ministeri, anche se non l’unanimità. Hanno firmato in 62 su un’ottantina complessiva di pm in servizio a Milano.  Alcuni di loro non si è riusciti a contattarli, altri hanno invece non hanno condiviso il contenuto del documento. In qualche caso ci sono stati anche dibattti molto duri tra i sostenitori dell’iniziativa e chi non ha firmato.

    Francamente, con tutta la stima per Spataro e per molti altri pubblici ministeri che giustamente rivendicano la serenità per lavorare, non ce la sentiamo di assumerci la responsabilità di avere raffigurato la Procura così come non è. E’ un fatto che sia in corso al quarto piano una lotta senza esclusione di colpi che non coinvolge soltanto il capo e Robledo ma anche tutte le toghe, e sono tante, che hanno preso posizione a favore dell’uno o dell’altro, a volte con toni anche molto duri nella camera caritatis delle loro stanze. E questo fatto è stato raccontato, bene o male. Ci si è anche ricamato sopra, a volte in modo discutibile, ma il dato di partenza è che a Milano sta succedendo qualcosa che prima mai si era visto. (manuela d’alessandro)

  • Ereditiera uccisa in viale Sarca
    Fratello condannato, ricercato, sparito

    Condannato a 30 anni in primo grado per aver ucciso la sorella, trovata in viale Sarca a Milano, in una serata quasi ‘noir’ di pioggia battente, all’interno di un’auto. Assolto in appello, ma poi la Cassazione annulla. Nell’appello bis, due giorni fa, Pasquale Procacci è stato di nuovo ritenuto colpevole di omicidio aggravato. Pare fosse in aula fino a poco prima della lettura del dispositivo. Ma da allora è sparito. La polizia lo cerca, tecnicamente è “irreperibile”, come spiega una fonte investigativa. Per lui c’è una nuova ordinanza di custodia cautelare.

    Del resto, con una condanna in appello a 30 anni di carcere, il rischio che un imputato scappi prima che la Cassazione renda definitiva la sentenza è piuttosto alto. Specialmente se, come nel caso di Procacci, i soldi non mancano. Ha 73 anni e poco da perdere, dispone di un patrimonio immobiliare consistente frutto in parte dell’eredità che starebbe proprio alla base del movente. La squadra Mobile della polizia l’ha cercato a casa, negli altri appartamenti dati in affitto e nella sua abitazione al mare. Non c’è traccia di lui.

  • Sea, ora l’inchiesta della ‘guerra’ in Procura rischia l’avocazione della Pg

    Il fascicolo Sea, prima ‘dimenticato’ nell’armadio dal capo della Procura e poi ‘pomo della discordia’ tra Bruti Liberati e Robledo, rischia di finire avocato dalla Procura Generale su richiesta delle difese. L’istanza  sarebbe motivata dalla mancanza di serenità in Procura dove il litigio interno ha portato a una paralisi dell’attività investigativa che riguarda altre numerose inchieste dei dipartimenti guidati da Francesco Greco, reati societari e finanziari, e Alfredo Robledo, reati contro la pubblica amministrazione.

    Sempre in relazione alla Sea, c’è un’indagine per aggiotaggio in mano al pm Sergio Spadaro. Il caso che suscita maggiori perplessità e interrogativi inquietanti è quello del cosiddetto ‘Ruby ter’. I giudici dei processi Ruby uno (Berlusconi) e Ruby due (Fede, Minetti e Mora) hanno in pratica ordinato alla Procura di svolgere indagini sulle presunti corruzioni e false testimonianza di ‘olgettine’, poliziotti e varia umanità. Invece non si muove foglia perché, riferiscono le ‘voci’ del Palazzo, la Procura avrebbe deciso di aspettare le sentenza di appello dei due processi che potrebbero arrivare in estate ma anche oltre. L’impressione è che Berlusconi, in questo momento, interessi molto meno che in passato sia per il suo ruolo nelle riforme sia perché messo all’angolo dall’affidamento ai servizi sociali.
    Lungo è l’elenco delle inchieste che da mesi segnano il passo e si tratta di indagini equamente distribuite tra i due dipartimenti al centro della contesa di cui si stanno occupando  il Csm con tre commissioni e il pg della Cassazione per l’aspetto disciplinare. (altro…)

  • Bruti riscrive al Csm, Robledo pedinò senza informarmi

    Sintesi delle puntate precedenti. C’è stato un doppio pedinamento che ha intralciato l’inchiesta Expo (Bruti). No, dici il falso, non c’è stato (Robledo). E’ vero, non c’è stata nessuna sovrapposizione (Guardia di Finanza).

    Oggi ecco una nuova puntata di ‘Procuropoli’, i cui intrighi sono degni di una soap opera degli anni ottanta.

    Titolo: E invece sì, il doppio pedinamento c’è stato, il bugiardo sei tu. (Bruti).  Trama: il capo della Procura scrive una nota di una paginetta e mezzo al Csm in risposta a quella inviata ieri da Robledo per ribadire che un indagato – a quanto ci risulta potrebbe essere il manager di ‘Expo2015′  Angelo Paris – sarebbe stato seguito sia dagli uomini della polizia giudiziaria della Guardia di Finanza, sia da quelli del Nucleo di Polizia Tributaria delle Fiamme Gialle. Anzi, è l’ accusa di Bruti,  smentendo il doppio pedinamento Robledo implicitamente ammette di avere disposto un servizio di osservazione durato circa due mesi senza informarlo. (altro…)

  • Robledo a Csm, Gdf è con me, nessun doppio pedinamento

    Affermazioni “del tutto inveritiere e fuorvianti”, “radicalmente inventate e prive di qualunque fondamento”. Alfredo Robledo il giorno dopo il violento attacco subito da Edmondo Bruti Liberati risponde al suo capo con altrettanta veemenza inviando una nota al Csm.

    A Bruti che gli contesta di avere intralciato le indagini sull’inchiesta che tocca  Expo anche attraverso il doppio pedinamento di un indagato, Robledo ribatte calando l’ass0. Allega alla sua nota un documento in cui il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza mette nero su bianco che “per quanto consti agli atti d’indagine, nel corso delle attivita’, nel corso delle attivita’ di osservazione e controllo svolte da personale di questa articolazione non si sono registrati episodi di sovrapposizione operativa con personale della pg della Guardia di Finanza presso codesta Procura della Repubblica”. Bruti afferma invece che gli uomini del Nucleo si sarebbero sovrapposti a quelli della sezione di Polizia Giudiziaria del Palazzo nella ‘caccia’ a un indagato.

    Alla nota spedita all’organo di autogoverno della magistratura, Robledo allega “copia dei ‘Rapporti di Servizio’ redatti da personale di questo Nucleo di Polizia Tributaria riferiti a sopralluoghi nonche’ attivita’ di osservazione e controllo esperite nell’ambito del procedimento penale”. Di fatto, almeno una parte della Guardia di Finanza si schiera dalla parte del leader del pool dei reati contro la pubblica amministrazione, smentendo il doppio pedinamento ipotizzato da Bruti. La nota e’ firmata dal comandante del Nucleo Vito Giordano e dal comandante del gruppo Alberto Catalano. Per Robledo, “le inveritiere affermazioni” di Bruti “appaiono altamente lesive della dignita’”  della sua funzione. Nessuna contro – risposta per il momento da parte di Bruti in una contesa che adesso sta mettendo in serio imbarazzo anche le Fiamme Gialle.  (manuela d’alessandro)

     

  • Expo, ammissioni da tutti, ma il ‘compagno G’ resta una sicurezza

    La storia non è un’amante fantasiosa, spesso ama riproporre  i copioni. In quello dell’inchiesta Expo tutti hanno ammesso piccole e grandi responsabilità,  qualcuno ha perfino confessato di avere con sé al momento dell’arresto i biglietti “con la contabilità delle tangenti”, tutti tranne Primo Greganti, Gianstefano Frigerio e Luigi Grillo, i tre politici già coinvolti in indagini che hanno segnato la storia d’Italia.  Fedele alla linea, il ‘compagno G’, come accadde in Tangentopoli, si è dichiarato innocente, sostenendo che lui si occupava della “filiera del legno”, mica degli appalti  e così ha fatto l’ex parlamentare della Dc Gianstefano Frigerio.  Grillo ha negato tutto come già fece quando finì indagato per la scalata ad Antonveneta e la storia in quel caso gli diede ragione perché venne assolto dopo una condanna in primo grado.  Gli altri invece si sono lasciati decisamente andare con ammissioni  di rado riscontrate   al ‘primo giro’ degli interrogatori di garanzia. L’ex udc Sergio Cattozzo rivela di avere provato a nascondere i bigliettini su cui annotava le mazzette ai finanzieri, il manager di Expo Angelo Paris da’ le dimissioni con tante scuse (“Colpa mia, mi sono fidato delle persone sbagliate, ho raccontato informazioni sulle gare che dovevano restare riservate”),  mentre l’imprenditore Enrico Maltauro ammette che sì, i fatti sono proprio quelli descritti nell’ordinanza. (manuela d’alessandro)

     

  • Arrestato Expo, il Ministro delle Finanze Vaticane sta con noi

    Il Vaticano è, dopo la sinistra e la destra, il “terzo canale” nel mondo di quella “squadra” fortissima che vince tutti gli appalti della sanità e di Expo. Un amico di questa “squadra”, leggendo gli atti dell’inchiesta che ha portato in carcere anche l’ex Pci Primo Greganti, sembra essere l’uomo alla guida della Prefettura gli Affari Economici del Vaticano, una sorta di Ministero del Bilancio, il Cardinale Giuseppe Versaldi.  Il suo nome spunta da un giro di telefonate tra gli indagati, impegnati in un pressing che dovrebbe portare il manager Stefano Cetti a conquistare una poltrona nella società A2A.

    Un, due, tre, vediamo le  porte a cui deve bussare il ‘giocatore’ Cetti.

    “Sì, sì, Cetti lo devi vedere – suggerisce l’ex Dc Giandomenico Frigerio all’ex Udc ligure Sergio Cattozzo, in un’intercettazione del 23 dciembre 2013 che vede protagonisti i due futuri arrestati – perché gli ho detto, gli ho parlato di A2A nella prospettiva e gli ho detto, ci sono tre canali da seguire: il primo canale è il rapporto con la sinistra, devi parlare con Sergio perché ti fissano un appuntamento con Primo e li vedi tutti e tre perché tu l’hai mancato completamente, quella sera non c’eri, eri impegnato”; poi gli ho detto poi sulle banche che sono gli azionisti veri il canale è Gigi (Grillo,ex senatore di Forza Italia) ma anche lì devi parlare con Sergio un’altra volta e fissare un appuntamento con lui; poi c’è il terzo canale che è il mondo cattolico e lì ti faccio parlare io col cardinale con quelli lì, ma i primi due canali sono fondamentali, quindi parlane con Sergio al più presto”.

    Un, due, tre. La parola “Cardinale” compare ben 9 volte nelle fittissime pagine dell’ordinanza, ma solo due volte è seguita da un nome. “Non posso parlare – comunica l’ex senatore forzista Luigi Grillo all’imprenditore Enrico Maltauro – ti chiamerò tra circa un’ora appena finisce la conferenza stampa del cardinale Bertone”. Che ci fa Grillo alla conferenza stampa? Misteri della fede. Sempre al telefono, Frigerio catechizza Cetti: “Il terzo canale è il mondo del Vaticano, dove noi abbiamo amici il Ministro delle Finanze che è il cardinale Versaldi e anche il Segretario di Stato con…quindi magari lì ti mando un mio amico il Walter Iacaccia che è legato a Versaldi…poi ti porta lui da Versaldi”. Sembra che questo incontro col Cardinale  poi si combini davvero: “Guarda che è il Cardinale – dice Frigerio al manager di Expo Angelo Paris, parlando di un incontro fissato per il “giovedì”- perché è proprio un mio amico il Cardinale …è una persona seria…uno di Alessandria…ma poi un uomo di quelli di una volta”.    (manuela d’alessandro)

  • Formigoni e telecamere, amore finito. Il Celeste non le vuole in aula.

    E’ proprio vero, solo i paracarri non cambiano mai idea. E Roberto Formigoni ha cambiato idea. Parliamo di telecamere. Da presidente della giunta regionale della Lombardia le aveva utilizzate per quasi vent’anni, comparendo soprattutto al tg regionale della Rai a colazione, pranzo e cena. Spesso era in diretta negli studi di corso Sempione, dove giornalisti fatti assumere dai partiti nel servizio pubblico, gli stendevano tappeti rossi affinchè esternasse con brevi cenni sull’universo mondo e trattasse tutti gli argomenti possibili e pure quelli impossibili.

    Ma adesso non è più aria. Accade nell’aula della decima sezione penale del Tribunale di Milano dove Formigoni, ora nell’Ncd e presidente della commissione agricoltura del Senato è imputato nell’ambito del caso Maugeri di associazione per delinquere e corruzione insieme a Pierangelo Daccò, uomo d’affari sospettato di essere stato di casa al Pirellone, all’ex assessore Antonio Simone e altri. Per bocca del suo bravissimo avvocato Mario Brusa, il Celeste fa sapere di essere contrario alla presenza delle telecamere perché “snaturerebbero il processo”. La tesi ha un suo fondamento, intendiamoci. Ma fa specie che venga sposata da chi utilizzò a piene mani le telecamere come strumento di governo al fine di aumentare il suo potere personale. I giudici si sono riservati la decisione. Con ogni probabilità, come spesso accade in casi del genere, diranno di sì alle riprese solo per la sentenza. (frank cimini)

  • Stasi, costretto a un’innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio

    Da 7 anni Alberto Stasi deve dimostrare la sua innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio, ribaltando il principio di legge per cui spetterebbe all’accusa dimostare la colpevolezza dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio. Paga gli errori dei carabinieri di Vigevano che distrussero gran parte della memoria del computer dell’allora studente della Bocconi, indispensabile per ricostruire con esattezza il suo alibi (scrivere la tesi di laurea), non sequestrarono la bicicletta di Stasi (ora è tardi per le analisi scientifiche), furono costretti a riesumare il cadavere di Chiara perché dimenticarono di prendere le impronte digitali della vittima, fecero scorazzare un gatto sul pavimento della villetta dei Poggi.   Indimenticabile il procuratore capo Alfonso Lauro che, annunciando il fermo del ragazzo pochi giorni dopo il delitto, rivelò che era stata trovata la “prova della pistola fumante”, il sangue della vittima sui pedali della bicicletta. La super – perizia disposta dal gup Stefano Vitelli, che poi lo assolse, stabilì che le microtracce di materiale biologico non erano compatibili “con l’ipotesi di una deposizione per contatto con le suole di sangue”.  Già molto prima che questa perizia venisse effettuata, appena due giorni dopo il fermo, Alberto venne scarcerato dal gip, che si accorse della follia di metterlo dentro sulla base di un labilissimo indizio.

    Stasi paga le idee oscure di un’accusa che, in assenza di indizi certificabili dalla scienza con certezza, non ha costruito la trama attorno a  quello che in tutti i libri gialli è il primo elemento di un crimine, il movente.  L’ultimo, quello invocato dal pg Laura Barbaini, è crollato con la sentenza che ha assolto Stasi dall’accusa di materiale pedopornografico. Adesso, i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano riaprono ancora una volta le danze, ancora una volta appellandosi a Santa Scienza, ‘costretti’ dalla sentenza con cui la Cassazione ha cancellato le precedenti assoluzioni (nella sezione Documenti potete leggere l’ordinanza di oggi).  Bisogna riesaminare il capello castano chiaro trovato tra le mani della ragazza, il materiale biologico che c’era sotto le sue unghie e ripetere, ancora non si sa come,  la camminata virtuale di Stasi sugli ultimi due gradini della scala nella casa per capire se davvero potesse non sporcarsi le suole di sangue.  Siamo sicuri che  gli esiti di questi accertamenti potrebbero portare a un giudizio di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio? Se anche il sangue e quello che c’era sotto le unghie erano riconducibili ad Alberto, basterebbe per condannarlo? Rileggendo questa storia sette anni dopo viene in  mente il travaglio di Dmitrij, uno dei fratelli Karamazov. Tutto congiurava perché fosse stato lui a uccidere il padre, soprattutto perché solo su di lui si era concentrato lo sguardo di tutti. Invece il colpevole era il servo Smerdjakov, che lo confessò. Qui invece c’è un imputato che deve dimostrare di essere innocente al di là di ogni ragionevole dubbio. (manuela d’alessandro)

  • Giudice critica giudici, il popolo voleva pena solenne per Berlusconi

    Giudice non mangia giudice, ma a volte sì, se in ballo c’è la libertà di Silvio Berlusconi vista da correnti diverse della magistratura.  “Credo che oggi siano chiari i sentimenti che animano gran parte dei cittadini. Si aspettavano che venisse ribadita l’importanza di rispettare le regole e le leggi dello Stato. Si aspettavano che una grave condanna non finisse miseramente nel nulla e soprattutto non finisse con quella che sembra una presa in giro, con quelle quattro ore settimanali a intrattenere i vecchini”.  Non è Marco Travaglio, non è un opinionista, non è Giustiziami.  Chi critica con questi toni la decisione del Tribunale di Sorveglianza di evitare i domiciliari a Silvio Berlusconi è l’ex Procuratore Generale di Firenze Beniamino Deidda, direttore di ‘Questione Giustizia’, la rivista della corrente Magistratura Democratica. In un sorprendente editoriale che potete leggere su www.magistraturademocratica.it, Deidda si richiama  alla “volontà popolare” di cui si fa interprete, per deplorare la scelta di giudici “che hanno sottovalutato la difficoltà del loro compito”. “Se ne sono liberati con questa uscita un po’ curiosa delle quattro ore settimanali di impegno sociale, senza chiedersi cosa il condannato avrebbe fatto nelle restanti 164 ore della settimana. E in passato – chiosa malevolo – Berlusconi ha già mostrato di non sapere sempre impiegare il suo tempo in opere edificanti”. “Sarebbe stato bello – insiste Deidda – che i giudici sapessero interpretare il profondo sentimento popolare secondo cui la legalità sarebbe stata ripristinata solo con una decisione ferma e solenne, distante dalle polemiche contingenti, capace di riaffermare il primato del diritto e, nello stesso tempo, di recuperare una personalità con forti venature di ribellione alle regole e di preoccupante disinvoltura anti – sociale”.  L’esponente di Md precisa che la sua è un’analisi di carattere  “giuridico – sociale” e spiega che “i giuristi si aspettavano anche che il Tribunale cogliesse l’occasione per affrontare il tema delle misure alternative nei confronti di un uomo ricco, fortunato, con immensa disponibilità economica in Italia e all’estero, titolare di incarichi politici prestigiosi (…) un uomo che ha seminato pessimi esempi destinati purtroppo a fare scuola”. Poi censura il collegio presieduto da Pasquale Nobile de Santis, corrente Unicost,   perché non ha tenuto abbastanza in conto gli attacchi dell’ex Cavaliere alla magistratura che, giustamente, lui da ‘pari’ si permette invece di bastonare senza pietà. Con una foga da politico o da tribuno del popolo più che da giurista, invocando una sorta di giudizio ad personam per l’uomo delle leggi ad personam. (manuela d’alessandro)

  • Da stasera Silvio non potrà più uscire di casa senza questo foglio

    Ecco il ‘foglietto’ che da questa sera Silvio Berlusconi dovrà portare sempre in tasca. Non stropicciarlo, non dimenticarlo in qualche cambio d’abito, non fargli cadere sopra il caffé. Sarà la sua ‘bussola’, gli indicherà cosa può fare e cosa no, chi può vedere e chi no, a che ora deve andare a coricarsi con Francesca e Dudù, quando può fare politica e quante volte deve andare al centro anziani di Cesano Boscone.  E’ l’ordinanza pronunciata il 10 aprile scorso dal Tribunale della Sorveglianza di Milano che, come scrivono i giudici Beatrice Crosti e Pasquale Nobile de Santis, il leader di Fi”dovrà portare sempre con sé”.

    SORVEGLIANZA SILVIO

  • Lettera di Bruti a Robledo, perché Frank sa le cose in anticipo?

    Anche il nostro Frank Cimini entra in ‘Procuropoli’, l’appassionante saga giudiziaria in onda al Tribunale di Milano che sta vivendo il picco di ‘audience’ con le audizioni al Csm in questi giorni.  In una lettera del 27 aprile 2012 che potete leggere cliccando il link qua sotto, ora all’attenzione dell’organo di autogoverno della magistratura, il procuratore Edmondo Bruti Liberati rinfaccia ad Alfredo Robledo una fuga di notizie sull’inchiesta relativa alle firme false raccolte a sostegno di Roberto Formigoni per le elezioni regionali del 2010. Frank ‘spione’ nella guerra di  Procuropoli? Barba finta? No, credete a noi, la sua barba è verissima!

    Ecco la lettera di Bruti: Frank barba finta?

  • Robledo: Bruti mi disse “potevo dire a qualcuno di fare la pipì e farti sbattere all’esecuzione”

    Ecco la lettera che Alfredo Robledo ha scritto al pg Manlio Minale in cui viene riportato un dialogo davvero poco istituzionale tra i due contendenti davanti al Csm. Il Procuratore capo Edmondo Bruti Liberati avrebbe preso in giro il suo rivale sottolineando che se è diventato aggiunto lo deve a un voto della sua corrente, Magistratura Democratica : “Avrei potuto dire a uno dei miei colleghi al Consiglio che Robledo mi rompeva i coglioni e di andare a fare la pipì al momento del voto, così sarebbe stata nominata la Gatto, che poi avremmo sbattuto all’esecuzione”. La lettera, che è all’attenzione del Csm, meritadi essere letta tutta perché offre altri spunti interessanti per entrare nel clima della ‘battaglia’.

     

    robledo-liberati6.pdf

  • Saipem condannata a dare più di 1 mln a ex manager indagato per mazzette

    Il giudice del Tribunale del Lavoro di Milano Pietro Perillo ha dichiarato illegittimo il licenziamento dell’ex direttore operativo di Saipem Pietro Varone, arrestato nel luglio 2013  nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Milano su presunte mazzette pagate da Saipem per ottenere contratti in Algeria. La società è stata condannata a versare all’ex manager circa un milione e 200.000 euro,  mentre il Tribunale ha respinto la richiesta di risarcimento danni presentata dall’azienda nei confronti dell’ex dipendente.
    Varone era stato licenziato l’8 gennaio 2013 al termine di una procedura interna all’azienda. Tra le tesi portate da Saipem per giustificare il licenziamento c’era quella che i presunti comportamenti illegittimi di Varone si spiegassero solo con la sua iniziativa autonoma e individuale. Non sono ancora note le motvazioni del provvedimento che verranno depositate nei prossimi giorni, ma è possibile che il giudice abbia tenuto conto del fatto che il licenziamento disciplinare sarebbe stato recapitato a un domicilio diverso da quello indicato da Varone alla società. Saipem è stata condannata “a corrispondere a Varone 423.614,36 euro a titolo di indennità di mancato preavviso oltre a una incidenza sul TFR per 31.378,92 euro, nonché 741.326,88 euro a titolo di indennità supplementare, oltre interessi e rivalutazione su tali importi dalla cessazione del rapporto al saldo effettivo”.
    Il giudice Perillo ha anche respinto la richiesta di risarcimento danni per 10 milioni di euro avanzata da Saipem nei confronti di Varone. (manuela d’alessandro)

  • Mai visti giudici così buoni con Silvio, è la fine?

    Un magistrato che si è scornato in aula più volte con Berlusconi commenta: “Potevano essere più cattivi”. Niccolò Ghedini, uno che alla fine di ogni udienza inseriva lo strale automatico contro le toghe made in Milano, gode: “Decisione equilibrata dei giudici”. Che succede a Palazzo? Forse è davvero la fine di Silvio Berlusconi se, dopo il Pd, anche gli altri eterni rivali sono diventati buoni con lui, se lo trattano come un bambino discolo a cui si tolgono solo pochi giocattoli e gli si paventa qualche scapacione se rifarà la marachella.

    Nell’ufficio del Presidente Pasquale Nobile De Santis telefonano dal New York Times, dal Brasile, da mezzo mondo per sapere come dovrà espiare la pena del processo Mediaset. Forse si aspettavano la ‘battaglia finale’, il sangue scorrere sui titoli di coda.  Invece. C’è addirittura delicatezza nelle parole dei giudici che gli concedono l’affidamento in prova. Silvio ha pagato almeno in monete il suo debito civile con la giustizia, si è mostrato disponibile a imboccare i vecchietti, e tanto basta per mettere nero su bianco che “è scemata la sua pericolosità sociale” e “almeno in nuce” ci sono i presupposti per la redenzione. Sì, la strada per la salvezza può essere imboccata perfino da chi è stato “capace di influenzare l’ambiente in direzione incompatibile con le regole del diritto civile” perché ci sono “indici di volontà di recupero dei valori morali perseguiti dall’ordinamento”. Certo, deve stare attento a non farsi tentare ancora dal Diavolo. Le “recenti esternazioni pubbliche in spregio della magistratura potrebbero inficiare gli indici di resipiscienza”, ammonisce il Tribunale.  Eppure sgorga fiducia nel futuro del 78enne ex Cavaliere: “L’affidamento in prova può sostenere e aiutare il soggetto a portare a maturazione quel processo di revisione critica e di emenda”. Silvio, preoccupati: i giudici tifano per te!  (manuela d’alessandro)

     

     

  • 20 giorni con gli anziani, tarallucci, vino e tombola per Silvio?

    Una ventina  di giorni con gli anziani, il tempo di qualche largo sorriso dei suoi e vigorosa stretta di mano con gli ospiti e poco più. A questo si ridurrebbe, al di là del valore simbolico che ognuno ci vorrà vedere,  l’espiazione della pena incassata nel processo Mediaset da Silvio Berlusconi. Tutto sembra procedere in questa direzione dopo che oggi il procuratore generale Antonio Lamanna, a sorpresa rispetto ai rumors nei corridoi del Palazzo, ha concesso parere favorevole alla proposta che l’arzillo ex Cavaliere sconti la condanna in un centro per anziani nell’hinterland milanese, vicino alla sua residenza di Arcore. La matematica consegna una prospettiva che fa sorridere pensando alle pene inflitte per il reato di frode fiscale in altri Paesi. Dai quattro anni inziali la pena dovrebbe essere portata a dieci mesi e mezzo: tre vengono scontati perché coperti dall’indulto e 45 giorni saranno risparmiati al condannato dopo sei mesi perché lo prevedono i benefici di legge. Il programma approvato dal pg prevede che il leader di Forza Italia trascorra mezza giornata, una volta alla settimana, nel suo refugium peccatorum. Alla fine, una ventina di giorni, appunto, ora più, ora meno. Con una discreta libertà di movimento per continuare la sua attività politica. Tarallucci, vino e una tombolata a Natale. Il finale che si conviene per ogni vera tragedia italiana. (manuela d’alessandro)
  • Un avvocato, mai avuto i brividi come per ergastolo Brega

    Quella immagine di ieri sera non se ne va, cerco di soffocarla nel da fare dell’oggi e del domani, di metabolizzarla nella legge che ho imparato e nel mestiere che da più di 25 anni mi occupa tra entusiasmi, delusioni e normalità, provo ad anestetizzarla tra le tante facce amiche o anche solo conosciute che c’erano ieri in quella gigantesca e più volte battuta in questi anni aula, ricorro alla razionalità del sincero rispetto di chi ricopre diverse funzioni e cerco di scacciare lo spettro del carrozzone che come cantava qualcuno “va avanti da sé” mi sforzo di ritornare sui luoghi abituali e necessitati del mio nuovo giorno. Ma ieri sera insieme a tanti ero lì ad ascoltare un verdetto di uomini ed il caso logistico dell’assemblaggio mi volle di poco contiguo ad un altro uomo di cui avevamo tanto e in tanti sentito molto parlare ed accusare. Era in piedi vicino ad una grande gabbia mentre un Giudice lo condannava all’ergastolo specificando poi minuti e minuti di aggiunte per lui evidentemente inutili, dietro la moglie e forse qualche amico se ne ha ancora. (altro…)

  • Ergastolo e arresto shock in aula per Brega

    Lui è appoggiato alla gabbia, confuso tra gli avvocati, lo sguardo duro, accanto c’è la moglie, bionda, bella, pronta a difenderlo coi cronisti anche dopo, anche quando la Corte d’Assise pronuncia una sentenza mai ascoltata prima in un’aula di giustizia italiana. Ergastolo con isolamento diurno di 3 anni. “Di più non c’è niente, c’è la morte”, commenta un legale che sfoglia il codice per vedere se di più potrebbe essere dato, tecnicamente, perché col pensiero è difficile andare oltre. La stessa pena di Olindo Romano e Rosa Bazzi, gli assassini nella corte di Erba, tanto per dire. Pier Paolo Brega Massone, l’ex primario di chirurgia toracica della clinica Santa Rita, passa alla storia come il primo medico condannato per avere ucciso (quattro) suoi pazienti non per errore, come a volte capita, ma perché ha ‘accettato’ la possibilità che potesse accadere (omicidio volontario con dolo eventuale). Lo avrebbe fatto per guadagnare potere all’interno della struttura perché ogni intervento erano soldi pubblici che incassava quell’ospedale poi ribattezzato ‘clinica degli orrori’ dove sarebbero stati asportati polmoni e seni, senza una ragione. Dopo la lettura del verdetto della Corte d’Assise, le telecamere si girano tutte su di lui. (altro…)
  • Uepe chi? Cronisti a caccia del centro anziani ‘Villa Silvio’

    Uepe. Fino a ieri nessuno sapeva cosa fosse, ma ora il destino di Silvio Berlusconi è nelle mani dell’Ufficio Esecuzioni Penali Esterne che ha chiesto di far scontare all’arzillo ex Cavaliere la condanna Mediaset in un centro per anziani, sempre che il Tribunale di Sorveglianza non decida di metterlo ai domiciliari. In teoria non dovrebbe essere difficile scoprire qual è la struttura destinata a Silvio. Sappiamo dov’è, non lontano da Arcore. Il sito del Ministero della Giustizia ci informa che “l’elenco degli enti convenzionati è affisso presso le cancellerie di ogni Tribunale”. Quanti saranno i centri per anziani convenzionati in zona?

    I due cronisti fiduciosi bussano alla cancelleria del Tribunale di Sorveglianza al settimo piano. Ci fanno entrare i gentili impiegati. “Dov’è l’elenco delle strutture dell’Uepe?”. Segue sguardo interdetto della signora a cui ci siamo rivolti. “Sì, sì, c’è scritto sul sito del Ministero che dovrebbe esserci un elenco…”. “Ah, ma mica siamo nati oggi noi, sappiamo cosa c’è sotto questa richiesta – dice la simpatica cancelliera al telefono con un collega più anziano interpellato per avere lumi. Niente, anche il tizio risponde che in 20 anni non ha mai sentito parlare di questo elenco. “Ma c’è sul sito del Ministero…”, ribadiamo. “E vabbé, sa quanto cose il Ministero dice che devono essere affisse, poi le appendi e magari c’è la privacy”. Pazienza, lo scopriremo domani, forse. Ora possiamo dedicarci al ‘toto – Silvio’: domiciliari o servizi sociali? Per i bookmakers giudiziari prende quota l’ipotesi peggiore per l’ex premier.  (manuela d’alessandro e oriana lupini)

     

     

     

  • Saranno felici i figli di chi non potrebbe diventare genitore?

    Che vita avranno i figli di “malati terminali, cugini primi, anziani”, genitori “tecnologici” a cui la natura non avrebbe concesso la capacità di procreare?  Questo si chiede in una sentenza piena di tormenti il giudice Gennaro Mastrangelo esprimendo la crisi del diritto “messo con le spalle al muro” di fronte al caso di un uomo di 48 anni e una donna di 54 che hanno ‘affittato’ l’utero di una donna indiana per far nascere il loro erede.   I due imputati sono stati assolti dall’accusa di alterazione di stato per avere fatto ricorso in India alla maternità surrogata totale ed essersi dicharati all’anagrafe di Milano papà e mamma del piccolo, in realtà concepito col seme dell’uomo, l’ovulo di una donatrice e messo al mondo da una terza donna. Una bugia che è costata ‘solo’ la condanna a un anno e 4 mesi di carcere per falsa dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla propria identità.  La mamma “tecnologica” del bimbo, che ora ha due anni, non avrebbe potuto avere figli perché diventata infertile a causa delle cure per un tumore. (altro…)

  • Un assistente sociale per Berlusconi

    Alle cinque del pomeriggio, Berlusconi entrerà nell’arena al primo piano del Palazzo di Giustizia. Cinquantonovesimo ‘torero’, dopo altri 58 condannati che aspettano di sapere come sconteranno la loro pena. Davanti a lui, o ai suoi avvocati se deciderà di non presentarsi, ci saranno il Presidente del Tribunale, Pasquale Nobile De Santis che per l’occasione scenderà in campo in prima persona, il giudice Beatrice Crosti e due ricercatori universitari sorteggiati dall’apposito albo, gli ‘esperti’ in materia. L’udienza si aprirà con la relazione di uno dei due giudici che spiegherà come si sia arivati a questo punto, come il protagonista assoluto della politica italiana degli ultimi 20 anni rischi di perdere la libertà dopo essere stato condannato a quattro anni per frode fiscale nel processo Mediaset. Uno solo di questi anni dovrà scontare, gli altri sono indultati. Tutte le ipotesi sono aperte, dalla più cruenta per l’ex Cavaliere (i domiciliari, escluso il carcere per l’età), a quella auspicata e più probabile (l’affidamento ai servizi sociali). Dopo il giudice prenderà la parola l’accusa, rappresentata dal pg Antonio Lamanna che esprimerà un parere non vincolante. Infine, i giudici si riserveranno una decisione entro 5 giorni, cioè martedì della settimana prossima, che verrà comunicata solo alle parti (tutto si svolge in camera di consiglio, off limits al pubblico). La novità di oggi è che il ‘torero’ – contrariamente a quanto accade a Milano per chi deve scontare un anno o meno di prigione – è stato sottoposto alla cosiddetta ‘indagine sociale’ nei mesi scorsi. Un assistente sociale ha bussato a casa sua per vedere se ci sono i presupposti per rimetterlo sulla ‘retta via’, se l’ambiente sociale e familiare in cui vive è adatto a indirizzarlo verso un futuro probo. E poi, cosa accadrà se il ‘torero’ dovesse uscire vivo dalla battaglia? Potrebbero decidere i giudici stessi dove  dovrà scontare i servizi sociali, in che contesto, oppure saranno i suoi avvocati, Franco Coppi e Niccolò Ghedini, a suggerire un ambiente idoneo. Certo dall’arena uscirà un (fu) Cavaliere se non incornato a morte quantomeno ferito.  (manuela d’alessandro)

  • Offese omofobe sul web
    Chi rispose rischia il processo

    Insulto omofobo libero, vietato rispondere per le rime. E così, vi abbiamo già svelato la morale della favola. Succede questo: Fabio Federico, ex An poi Pdl, sindaco di Sulmona (l’Aquila) fino al 2013, anni addietro registra un videomessaggio in cui mette in fila una quantità di stupidaggini omofobe da far impallidire l’estensore di un ipotetico pamphlet “Eterosessualità e tradizione”. 
    In parte si tratta di opinioni, come tali insindacabili, in parte ironie dal gusto più o meno discutibile, in parte ancora di affermazioni pseudoscientifiche che gli studiosi semplicemente non riterrebbero degne di interesse, se non fosse che la questione dell’omosessualità come patologia è ampiamente smentita da decenni dall’Organizzazione mondiale della sanità e dagli Ordini internazionali degli Psicologi e degli Psichiatri. Tra le altre dichiarazioni di Federico, spicca la seguente: “Se hai degli ormoni maschili e un genoma maschile, fai il maschietto. Il contrario è fuori natura, ci sono delle possibilità di composizione intermedie di questi assetti genetici. Ci sono delle aberrazioni genetiche che determinano il fatto che non si sia né perfettamente uomo e né perfettamente donna”. Precisazione: Federico è un medico. 
    Il video finisce su Youtube nel 2011. In molti, soprattutto nella comunità gay, lo ritengono una provocazione. Da campagna elettorale, certo, ma pur sempre una provocazione se non proprio un insulto. Qualcuno, con una reazione d’ira, invece che ignorare o al più sbeffeggiare con sarcasmo, passa all’insulto, anche pesante, commentando i toni omofobi del video. L’allora sindaco si sente in dovere di segnalare il fatto alla pubblica autorità con una bella querela per 36 utenti di internet. La Procura di Sulmona procede con le indagini, spezzetta il fascicolo in 36 parti e trasmette gli atti agli uffici competenti, quelli del luogo in cui i vari insulti sono è stati materialmente digitati. 
    In questi giorni sono arrivati i primi avvisi di conclusione delle indagini. Tra gli altri uno a Roma, uno a Torino e uno a Milano. Dove il pm Enrico Pavone contesta a un uomo di 45 anni (sposato in Spagna con il suo compagno uruguayano) il reato di diffamazione aggravata ai danni dell’ex sindaco fustigatore del’omosessualità. Aggravata, certo, perché il video è stato visionato da almeno 30mila persone ma pure i commenti contro il primo cittadino sono leggibili da chiunque abbia una connessione internet. Il legale dell’indagato milanese, l’avvocato Barbara Indovina, deposita una memoria in cui chiede l’archiviazione, propugnando la scriminante della provocazione subita. Il suo assistito “non può essere punito”, afferma in sostanza, in quanto il video che ha ispirato il duro commento conterrebbe affermazioni “lesive di regole comunemente accettate nella civile convivenza”. Purtroppo, diciamo noi, che in Italia l’omofobia sia lesiva di regole comunemente accettate, è ancora da dimostrare. Certo in Spagna, dove quel filmato è perfettamente visibile, e dove è stato segnalato, l’omofobia è reato. E chissà che qualcuno in terra iberica non intenti questa volta un’azione contro il sindaco.
  • Un altro ricordo di D’Ambrosio
    L’avv. Vanni ‘risponde’ a Frank

    Caro Frank,
    voglio ricordare Gerardo D’ Ambrosio anche in un altro modo.
    E’ stato un magistrato laico: ha avuto sempre chiari i limiti dei suoi poteri e della sua funzione, anche quando “mani pulite” teneva in pugno i governi del paese, quando il tuo illustrissimo collega Enzo Biagi dedicava sul Corriere l’intera pagina 3 all’infanzia di Antonio Di Pietro, e quando un settimanale metteva in copertina Borrelli a cavallo (senza il suo consenso, pare). Neanche in quegli anni D’Ambrosio ha mai pensato di avere una funzione purificatrice del mondo dai suoi mali, né il potere di redimere con i mandati di cattura la mitica società civile italiana dai suoi vizi secolari.
    Soprattutto, Gerardo D’ Ambrosio è stato un PM che non ha mai rifiutato il confronto con gli avvocati, né in aula, né fuori, forse anche perché non aveva nessuna ragione per temerlo. Aveva una concezione dialettica del processo perché sapeva dialogare, non perché il codice di procedura penale l’ha imposta a tutti, senza alcun successo.
    Non era difficile, per un avvocato, confrontarsi con D’Ambrosio, anche su temi importanti, semplicemente bussando alla porta del suo ufficio, che di solito era aperta. Per mettere a fuoco la differenza di stile, nel passaggio tra epoche storiche prossime: hai mai provato a bussare alla porta di un PM di prima nomina, di quelli appena arrivati, o a chiedergli un appuntamento?
    E’ certamente possibile che D’Ambrosio abbia preso anche decisioni sbagliate, ma per come l’ho conosciuto escludo che le abbia prese per convenienza o per superbia: non è mai stato superbo, ed era libero abbastanza da poter ignorare la convenienza.
    Questo per un magistrato non è poco, anzi: è la ragione per la quale l’ho ammirato, la stessa per la quale lo ricordo con rimpianto. (avvocato Luigi Vanni in risposta all’articolo ‘Morto D’Ambrosio, dal malore attivo di Pinelli a Mani Pulite, scritto da Frank Cimini)

  • Di Pietro escluso dalla foto ricordo del pool
    ai funerali di D’Ambrosio

    Il pool si riunisce attorno alla bara coperta di rose bianche del suo ’papà’ Gerardo D’Ambrosio nell’atrio del Palazzo di Giustizia. L’immagine è suggestiva. Francesco Saverio Borrelli, Francesco Greco, Gherardo Colombo, sono schierati in toga, emozionati e assorti,  per omaggiare il feretro di chi li guidò durante ’Mani Pulite’. Dalla foto simbolo dell’addio a D’Ambrosio manca soltanto Antonio Di Pietro. Dov’è? È a pochi metri dai vecchi compagni di battaglia, confuso tra il pubblico, in abiti ’borghesi’, lo sguardo cupo e triste. Escluso dal cerimoniale perchè  lui non solo non è più un magistrato ma anche perchè – questo pare abbiano risposto i responsabili del cerimoniale alle sue proteste –  la toga l’ha lasciata per volontà sua, non per andare in pensione. “Come mai è rimasto fuori?”, proviamo a chiedergli. Alza le spalle, con lo sguardo abbattuto, senza dire nulla. Fuori dal Palazzo, prima di entrare nella chiesa di San Pietro in Gessate dove si svolgono i funerali, recupera la verve consueta e inneggia allo “spirito di gruppo” del pool che mise in pratica il motto dei moschettieri “l”unione fa la forza” per combattere la corruzione. Quanto avrebbe voluto entrarci anche lui in quella foto.  (manuela d’alessandro)

  • La donna è toga.
    Il 65,5% dei magistrati praticanti sono femmine.

    La statistica consacra, come spesso accade, ciò che si vedeva già ad occhio nudo: le toghe rosa ormai sono un fiume in piena, e il mestiere di magistrato è sempre più un mestiere femminile. Dal processo Ruby a quello Santa Rita, bastava fotografare l’aula per toccare con mano quanto la presenza delle donne sui banchi fosse ormai pervasiva e a volte totalizzante: sei donne su sei nei due collegi giudicanti, donna il procuratore aggiunto del caso Ruby, donne le due pm del processo alla clinica degli orrori. E ancora: due donne su tre, presidente compreso, nel processo d’appello dei diritti tv a Silvio Berlusconi, e una donna sul banco dell’accusa; due donne su tre, presidente compreso, tra i giudici d’appello del processo a Dolce e Gabbana; e via di questo passo.
    Dal sito del Consiglio superiore della magistratura, i dati confermano esattamente la tendenza. Tra i 9443 magistrati ordinari in servizio, i signori sono ancora in leggero vantaggio: 4828 contro 4615 signore. Ma è chiaro che è l’onda lunga degli anni in cui l’accesso delle donne alla funzione giudiziaria era una eventualità sporadica: basti pensare che solo nel 1963 i concorsi per magistratura vennero aperti anche al gentil sesso, e che il primo concorso della nuova era, tenutosi poco dopo, vide ammesse solo otto donne su un totale di 187 promossi. (altro…)

  • Doppia fuga dalla toga
    L’addio ai grandi processi milanesi
    per un alberghetto sul mare in Marocco

    Dibattimento Parmalat, fatto. Processo a Berlusconi, provato anche quello. E’ il momento giusto: fuga dalla toga. “Mollo tutto, lascio Milano, provo con una vita diversa, più semplice, a contatto con la natura e con gente normale”. Sara Caletti, molte volte in aula al fianco del professor Carlo Federico Grosso, a gennaio si è cancellata dall’albo degli avvocati. “Cambiare vita significa anche condividere momenti belli con le persone che incontri tutti i giorni. Incontrarle in aula per un processo, beh…”.
    La vita diversa è un alberghetto sulla costa atlantica del Marocco, una decina di chilometri a sud di Essaouira. Località con un passato hippie (a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 vi lasciarono le proprie tracce Jimi Hendrix e Cat Stevens) che ha molto poco a che vedere con la severità del palazzo di Giustizia del Piacentini. Anche il marito di Sara è un avvocato, Alessandro Cesaris, socio dello studio Della Sala & Associati. “In epoca ormai remota ho seguito il processo di Piacenza per la strage del Pendolino (otto morti e quasi trenta feriti, ndr). Più di recente, come parte civile, il caso Aleotti-Menarini a Firenze (truffa ai danni dello Stato)”. Lui aspetterà giugno per cancellarsi dall’albo, quando la coppia si trasferirà. “Appena nostra figlia avrà finito la prima elementare. Dall’anno prossimo andrà alla scuola francese”, spiegano.
    In Marocco hanno rilevato una proprietà affacciata sull’oceano, al margine di una spiaggia di surfisti. Si chiama Auberge de la Plage. Di turismo, dicono, non ne sanno niente. Un’altra sfida. (altro…)

  • La clamorosa requisitoria che ‘assolve’ Dolce e Gabbana

    ‘Botte’ per tutti. Per la Guardia di Finanza, per la Procura e i giudici di primo grado che hanno cucito un’accusa addosso agli stilisti Dolce e Gabbana che “contrasta col buon senso giuridico” e gli è costata nel giugno dell’anno scorso la condanna in primo grado a un anno e otto mesi di carcere per omessa dichiarazione dei redditi. Mai richiesta di assoluzione è stata sostenuta con più vigore da un rappresentante della pubblica accusa con affermazioni che ‘superano’ il processo investendo le relazioni tra giustizia e finanza. Tra un fendente e l’altro, il pg Gaetano Santamario Amato a un certo punto ’esplode’ persino in una dichiarazione d’amore verso gli imputati: “Un grande gruppo industriale presente nel mondo che nel 2004 pensa in grande e decide di trasferirsi nel Paese con la Borsa più vivace in Europa, il Lussemburgo”. Una realtà economica che, “in controtendenza con l’industria italiana”, scoppia di salute e non scappa nel Granducato per beffare il fisco ma per crescere quando “i  tempi sono maturi”. (altro…)

  • Rognoni da’ 894mila euro all’avv. Ripamonti e poi lo nomina suo legale

    Oggi Antonio Rognoni, ormai ex  dg di Infrastrutture Lombarde,  è rimasto muto durante l’interrogatorio di garanzia giustificandosi col fatto che non ha ancora nominato un avvocato di fiducia dopo la revoca dei precedenti. Le carte dell’inchiesta che tocca anche l’Expo ci svelano l’identità del suo precedente legale e soprattutto la ragione per cui non può più difenderlo. E’ l’ex Presidente della Camera Penale Daniele Ripamonti che non ci fa una gran bella figura  negli atti dell’indagine in cui si ipotizza una gigatesca rete di affari e favori.  Il suo nome – si legge in un’informativa della Guardia di Finanza di Milano –  spunta nella lista dei consulenti di Ilspa in possesso di uno degli arrestati, Pier Paolo Perez, capo dell’ufficio gare della società operativa ‘Infrastrutture Lombarde società per azioni’,  al cento per cento di proprietà del Pirellone.  (altro…)

  • Cronache dalla trincea di Procuropoli
    amici e avversari si contano

    Toc toc. “Chi è?”, chiede Alfredo Robledo dal suo ufficio. “Amici!”, rispondono i due pubblici ministeri che bussano scambiandosi un sorriso. E la porta si apre. A Palazzo di Giustizia, in questi giorni, va in scena la ‘conta’ di chi sta con chi. Basta mettersi tranquilli un paio d’ore (l’esperimento è stato effettuato da chi scrive stamattina) in un punto qualsiasi del corridoio al quarto piano per godersi frammenti dello sceneggiato ‘Procuropoli’ che vede contrapposti il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati e l’aggiunto del dipartimento reati contro la pubblica amministrazione Alfredo Robledo.  Poco prima in mattinata Bruti era entrato nell’ufficio di Ilda Boccassini, una delle ‘nemiche’ individuate da Robledo nel’esposto al Csm. Visita ricambiata poco più tardi nell’ufficio del capo dalla ‘rossa’, accompagnata dall’altro obiettivo della lettera – denuncia, il capo del pool reati societari Francesco Greco, che sta a Robledo come il gatto al topo o viceversa. E alcuni pm, quando parlano tra loro, sembrano Cassano e Balotelli nelle immagini televisive in Parma – Milan di domenica scorsa, quando si confidavano con le mani davanti alla bocca chissà cosa.  Alle quattro del pomeriggo in ‘ Procuropoli’ irrompe l’ospite Paolo Ielo, pm ora di stanza a Roma in visita agli amici milanesi. Viene accolto da baci e abbracci bipartisan, e davanti a lui all’improvviso si manifesta l’indicibile. Bruti Liberati bussa alla porta di Robledo! E qui finisce la puntata perché sono in corso degli arresti nell’ambito di un’indagine coordinata da Robledo che coinvolge gli ex vertici di Infrastrutture Lombarda. Bruti convoca una conferenza stampa. Titoli di coda, per ora. (manuela d’alessandro e roger ferrari)

  • Lo Stato commemora Guido Galli ma lascia impuniti gli assassini

    Il 19 marzo del 1980 il Giudice Guido Galli viene assassinato vicino all’aula 208 della Università Statale di Milano da un commando di Prima Linea composto da Sergio Segio, Maurice Bignami, Franco Albesano e Michele Viscardi. Guido Galli aveva “ereditato” l’indagine sui documenti trovati nel 1978 nella base milanese di Via Negroli di Corrado Alunni, un ex brigatista che era passato all’area milanese della Autonomia cui era collegata Prima Linea, indagine che l’anno prima era costata la vita al Giudice Emilio Alessandrini, assassinato il 29 gennaio e sempre a Milano, da un commando composto da Sergio Segio e Marco Donat Cattin. Evidente dunque la vera ragione di questo barbaro omicidio che nulla aveva a che vedere con quanto “rivendicato” in quel successivo delirante comunicato sulla “magistratura riformista” che giustamente la famiglia Galli dirà poi pubblicamente “di non avere capito”. Lo Stato e la Magistratura ogni anno ne commemorano la sua figura da tutti, amici e colleghi, ricordata come quella di un insigne giurista nonché persona umanamente splendida, ma cosa fecero con quelle persone di quel commando “quello” Stato e “quella” Magistratura dopo quel tragico 19 marzo 1980 ? (altro…)

  • Gli applausi di alcuni pm a Robledo, “qui non c’è democrazia”

    Nell’intimità dei singoli uffici, numerosi pubblici ministeri applaudono l’esposto al Csm con cui il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ha denunciato irregolarità nell’assegnazione delle inchieste da parte del procuratore della Repubblica Edmondo Bruti Liberati. “Ha fatto bene! Finalmente qualcuno lo ha detto. Anche se ci sarebbe da dire che anche l’assegnazione dei fascicoli all’interno degli stessi dipartimenti in alcuni casi avviene in violazione della regola dell’automatismo”, dice  un magistrato. E un altro: “Sono tutti d’accordo che non ci sia niente di democratico in questa procura. Che questo sia stato portato all’attenzione dell’opinione pubblica è solo una buona cosa”. E a un carabiniere che si chiede se da parte di Bruti Liberati ci possa essere un rallentamento delle inchieste in vista di Expo, lo stesso pm risponde: “Fa troppo il politico e poco il magistrato”.
    Qualcuno comunque contesta almeno i modi scelti da Robledo: “Per me è stata un’iniziativa fuori luogo. Ne potevano parlare prima tra procuratori aggiunti, con eventuali sollecitazioni al rispetto di alcuni principi, visto che l’ufficio ha in ogni caso delle connotazioni gerarchiche”. E tra il personale amministrativo c’è chi afferma: “La verità è che bisognerebbe togliere dalla facciata del palazzo di giustizia il richiamo a Falcone e Borsellino. Fuori c’è chi associa i magistrati a queste due personalità che invece nulla hanno a che fare con questa procura”. Chi nella vicenda coglie un richiamo alla recente requisitoria al processo sulla “clinica degli orrori”, in cui il pm Tiziana Siciliano ha parlato di “megalomania” per descrivere il principale imputato, il chirurgo toracico Pier Paolo Brega Massone, e l’ormai scomparso Francesco Pipitone, l’ex socio unico della Santa Rita : “Si parlava di megalomanie che si sono tragicamente incontrate? Qui si sono scontrate…”. (entrenews)

  • Ecco l’esposto al Csm di Robledo contro Bruti Liberati

    Ed eccoci alla resa dei conti. Dopo mesi di sussurri e grida nei corridoi del Palazzo è arrivata la ‘dichiarazione di guerra’ del procuratore aggiunto Alfredo Robledo contro il procuratore Edmondo Bruti Liberati e il capo del pool reati economici Francesco Greco.  Giustiziami è in grado di mostrarvi l’esposto mandato al Csm, al Consiglio Giudiziario e alla Procura Generale firmato da Robledo.   Lo trovate nella sezione Documenti o cliccando a questo link:
    https://giustiziami.prlb.eu/wp-content/uploads/2014/03/CSM4.pdf

  • La lunga commozione del pm Pradella al processo S. Rita

    Anche i pm si commuovono. E se si spezza la voce a una ‘dura’ che fa questo mestiere da 28 anni, alcuni dei quali trascorsi sotto scorta, e che ha indagato su piazza Fontana e vari terrorismi, forse è giusto spiegare perché. Grazia Pradella ha chiesto, crediamo per la prima volta in Italia, di condannare all’ergastolo due medici per avere ucciso i loro pazienti non per sbaglio ma per rincorrere potere e denaro. Sono Pier Paolo Brega Massone e Fabio Presicci, i due chirurghi dal bisturi disinvolto che operavano alla casa di cura Santa Rita, meglio nota come ‘clinica negli orrori’ (copyright non giornalistico, ma di un intercettato).

    Pradella ha pregato i giudici della Corte d’Assise di perdonare la sua commozione e, verso la fine del suo intervento, quando ormai aveva sviscerato per sette ore decine di cartelle cliniche, si è lasciata andare a una lunga ‘appendice personale’ che di rado capita di sentire in un’aula di giustizia. (altro…)

  • Madre arrestata per triplice infanticidio
    intanto Alfano promette: inseguiremo l’assassino

    E’ evidente, ahinoi. Il ministro dell’Interno Alfano non ci legge. Avvisatelo! Angelino, leggi giustiziami.prlb.eu che ti dà le dritte giuste.

    Umilmente, per il bene degli investigatori di cui è il capo dicastero ma soprattutto per il suo bene, avevamo già provato a dargli un piccolo consiglio che potremmo sintetizzare così: non commentare, non annunciare, evita i proclami, se le indagini in corso, altrimenti rischi di fare un pasticcio (leggi qui e qui). In questo caso, pasticci da fare non ce n’erano più, ma la figuraccia, quella sì, c’è stata, e si sarebbe potuta evitare.

    A Lecco una madre uccide tre figlie piccole, “una tragedia immane” avranno a dire i telegiornali, e in effetti lo è. Una storia orrenda e dolorosa. Succede tutto di mattina presto, la donna uccide le figlie piccolissime, a coltellate, poi si presenta da un vicino sporca di sangue. I carabinieri arrivano immediatamente, com’è logico. La signora viene portata in ospedale perché si è ferita tentando il suicidio dopo il delitto. E lì confesserà davanti agli investigatori e a una giovane sostituto procuratore. Già di primo mattino, le indicazioni ai giornalisti sono chiare: la pista è quella lì, “sarebbe stata” la madre, il perché è tutto da capire ma non c’è altra direzione seria in cui indagare. Certo, il padre delle bambine, anche lui albanese, in un primo momento non si trova. Ma non vive insieme a loro. E infatti si trova in Albania. Cosa che viene presto verificata. Intanto la donna è piantonata in ospedale, i carabinieri aspettano solo che la confessione arrivi. (altro…)

  • Tutte le spese
    minuto per minuto

    Sappiamo che le state cercando. Un po’ per voyerismo (birichini! ma nessuno qui vi farà la morale, anzi: la vicenda è quanto mai pubblica, e avete diritto di conoscere tutto nel dettaglio), un po’ perché con questa roba ci lavorate (lo sappiamo, molti di voi sono avvocati!).
    Ecco qua tutte le spese, minuto per minuto, con tutte le cifre. Quelle fatte con denaro pubblico da 64 rappresentanti delle istituzioni, e poi rimborsate. Per lo più si tratta di ex consiglieri di Regione Lombardia ma ci sono anche una decina di ex assessori. Se si tratti o meno di rimborsi leciti, non saremo certo noi a giudicarlo. La Guardia di Finanza e i pm Robledo, Filippini e D’Alessio ritengono di no. I legali degli indagati sosterranno il contrario, com’è normale. Se ne può tranquillamente discutere. Vero è che per un’altro bell’elenco di rimborsi la Procura, un paio di mesi fa, ha chiesto l’archiviazione, ritenendoli non penalmente rilevanti quando non pienamente legittimi. Insomma, un primo filtro l’ha già usato l’accusa.

    Non troverete solamente i ‘soliti’ Renzo Bossi o Nicole Minetti, e magari vi sorprenderà sapere che nell’elenco ci sono anche diversi consiglieri dell’opposizione. Agli indignati di professione, consigliamo di andare a guardare subito la cifra totalizzata dai singoli indagati. Avrete sorprese. Ma non perdiamo tempo, e non perdetelo neppure voi: con questo link avete una settimana per scaricare il file che contiene l’avviso di conclusione delle indagini.

    chiusura indagini

    Buona lettura. (giustiziami.prlb.eu)

  • Pm Esposito indagato, sullo sfondo c’è il caso Ruby?

    Strana storia quella che coinvolge Ferdinando Esposito, il pm milanese figlio di Antonio, uno dei giudici della Cassazione che nell’agosto 2013 ha confermato la condanna a 4 anni per la vicenda Mediaset a Silvio Berlusconi.

    Un avvocato, Michele Morenghi, lo accusa di essersi  fatto prestare da lui migliaia di euro e avergliene chiesti altri con insistenza per pagare l’affitto e afferma di averlo accompagnato ad Arcore il 22 maggio 2013. Le carte dell’inchiesta non le conosciamo ma tra le ipotesi che possiamo azzardare è che la Procura sospetti che Esposito si spacciasse come una sorta di ‘talpa’ al Cavaliere e a Minetti, di cui era amico tanto da finire nei guai per una cena con lei, per l’inchiesta Ruby. Stando a quanto scrive oggi il Corriere della Sera, il giovane Esposito sarebbe accusato di concussione per le pretese economiche avanzate nei confronti del legale ma anche di millantato credito, accusa che potrebbe essere spiegata proprio con l’idea ‘talpa’. Morenghi il 10 febbraio scorso è stato anche sentito come testimone da Bruti e da Boccassini che poi hanno spedito le carte a Brescia, competente per i presunti reati dei magistrati. (altro…)

  • “La cella liscia”, un e – book racconta la tortura nelle nostre carceri

    “La chiamano “liscia” perché è una cella completamente vuota, senza mobili, senza branda, senza tubi, maniglie o qualsiasi altro oggetto che possa essere utilizzato come appiglio. Fisico e mentale. E’ stretta, buia, ha un odore nauseante e più che a una camera di sicurezza assomiglia a una segreta medievale. Perché – appunto – esattamente di tortura si tratta”. 

    Arianna Giunti, giornalista del gruppo L’Espresso, racconta questo abisso sconosciuto dove viene rinchiuso chi sgarra, chi si oppone a un ordine o è semplicemente colpito da una crisi di nervi, nell’appassionato e documentato e-book “La cella liscia. Storie di ordinaria ingiustizia nelle carceri italiane”, edito da Informant.

    La tortura viene praticata in Italia in quasi tutte le attuali sezioni d’isolamento delle carceri che ancora dispongono di una cella liscia nella quale i detenuti sono costretti anche a fare i bisogni sul pavimento e a convivere con  gli scarafaggi. Un giorno Carlo, recluso al Mammagialla di Viterbo per reati di droga, spiega al padre durante un colloquio cos’è la cella liscia. “Al freddo, nudo, su un pavimento che puzza di pipì rancida, ogni tanto entrano degli agenti che ti portano l’acqua. Ti fanno fare dieci piegamenti e ti danno dieci sberle. Ma tu, pur di non restare solo e impazzire, aspetti  quei momenti come una cosa bella”. Trasferito poi nel carcere di Monza, alla mamma una sera dice al telefono: “Non arriverò a compiere 30 anni”. Carlo morirà pochi giorni prima del suo compleanno per circostanze che il padre, viste le oscure cartelle cliniche del penitenziario, non è mai riuscito a chiarire.

    Non c’è solo la quotidiana violazione dei diritti umani nelle mura carcerarie al centro del libro elettronico ma anche un’indagine, arricchita da storie, che fa emergere l’impossibile ritorno alla vita, e soprattutto al lavoro, fuori dalle sbarre. Chi decide di ricominciare si scontra con un ostacolo insormontabile: il certificato penale immacolato richiesto dai datori di lavoro. Marcello supera in modo brillante un colloquio per diventare promoter in una grande azienda di surgelati. Quando il direttore delle vendite gli chiede di fornirgli il certificato, si spegne il suo sorriso. Racconta una bugia (“Per me sarebbe un lavoro troppo impegnativo”) e se ne va. Nel capitolo “marchiati a fuoco” Giunti mette in fila altre storie  simili a questa, abissi umani che lacerano il cuore e ritraggono il carcere italiano come un inferno con divieto perenne di uscita.  (manuela d’alessandro)

  • I verbali inediti di Proto, “tutte le mie stupidaggini”

    “Non essendo io di famiglia ricca, non avendo contatti importanti, non avendo sostanzialmente niente, la finalità era quella di farmi conoscere, diciamo, dai grandi. E per farlo mandavo comunicazioni false al mercato”. Proto per la prima volta racconta Proto. Spogliato dalla baldanza che gli è valsa, sparandole grosse, addirittura la prima pagina del ‘Financial Times’ come fenomeno emergente della finanza italiana, Alessandro Proto si svela con sincerità nei verbali, finora inediti, consultati da Giustiziami. E ammette le sue colpe, quello che gli sono costate il carcere e una pena pattegiata a tre anni e dieci mesi per aggiotaggio e truffa. Vale la pena ascoltarlo perché la sua parabola dimostra come chiunque dotato di fantasia e spregiudicatezza possa ingannare per mesi i media e il mercato, diventando un autorevole finanziere solo grazie a mail e telefonate spedite agli indirizzi giusti.

    “Tutte le comunicazioni al mercato, come l’acquisto di azioni Tod’s o Rcs, dalla prima all’ultima parola sono frutto solo ed esclusivamente della mia stupidaggine – ammette al gip Stefania Donadeo – Quello che contava erano i miei commenti folkloristici, tipo dire ‘i poteri forti non hanno senso di esistere’. Quello che mi viene contestato è tutto giusto. Nel senso che non è mai stato acquistato da parte mia o da parte di investitori a me collegabili nessuna partecipazione da nessuna parte.(…) Se poi, giudice, vuole sapere il perché è stato fatto glielo dico. Non sapevo che fosse di così grave importanza una cosa simile. Cioè nel senso, non pensavo che delle comunicazioni fatte in quel modo avessero un impatto così importante dal punto di vista penale”. (altro…)