Categoria: Nera

  • Mattarella per Ilaria? Per ora contro Meloni poi si vedrà

    La telefonata del Presidente della Repubblica all’ingegner Roberto Salis per esprimergli solidarietà almeno al momento può tranquillamente essere rubricata come una iniziative contro la premier Giorgia Meloni nell’ambito della disputa sul premierato. Se la telefonata può portare beneficio alla situazione di Ilaria Salis lo scopriremo soltanto in seguito ma appare più che lecito nutrire dei dubbi considerando i ristrettì quasi inesistenti margini di azione di cui dispone formalmente il Capo dello Stato che del resto non ha mancato di accennarvi.
    Tutto ciò va considerato insieme al niente o quasi che il governo ha fatto pur essendo a conoscenza del caso ben prima che ne parlassero i giornali e intervenissero le telecamere del Tg3.
    La sensazione è che all’interno del potere tra le cosiddette istituzioni e i loro personaggi vi sia un regolamento di conti anche sulla pelle di una ragazza detenuta in violazione del diritto e dei suoi diritti.
    Non è la prima volta che accade e sicuramente non sarà neanche l’ultima. Anche perché giusto di recente era accaduto per il caso di Alfredo Cospito. Una guerra tra i partiti sulla pelle di un anarchico detenuto e torturato al 41bis dove il sottosegretario Andrea Del Mastro aveva spifferato dettagli riservati al collega di partito Giovanni Donzelli per mettere in difficoltà una delegazione di parlamentari del Pd in visita al carcere di Sassari Bancali.
    Del Mastro è finito sotto processo per violazione del segreto d’ufficio e gli esponenti del Pd hanno chiesto di costituirsi parte civile. Il Tribunale deciderà domani sulla richiesta di costituzione. Dei destini degli anarchici agli uomini del potere storicamente interessa sempre poco. Questo emerge dai casi di Ilaria Salis e Alfredo Cospito. Intanto la pista anarchica è eterna con inchieste disseminate in diverse procure basate sul niente o quasi e dove a operare sono soprattutto magistrati collegati alla “sinistra” a caccia di fantasmi e uffici Digos disoccupati per mancanza di materia prima in un’epoca di repressione senza sovversione.
    (frank cimini)

  • Morto avvocato Piscopo un pezzo della storia anni ‘70

    Stamattina è morto l’avvocato Francesco Piscopo, un pezzo della storia degli anni ‘70, un fiero oppositore dei processi e delle leggi di emergenza. Aveva difeso molti arrestati e imputati insieme ad altri colleghi. Chi scrive queste poche righe ricorda della sua figura il senso dell’umorismo e dell’ironia.
    Parafrasando le requisitorie e le ordinanze dei magistrati diceva in occasione degli avvocati arrestati come “complici dei terroristi” che “se l’avvocato non viene pagato dai clienti è perché fa parte della banda. E se prende la parcella? “Sono soldi frutto di rapine e attività illecite quindi se ne deduce che è colpevole, l’avvocato c’entra sempre”.
    E ancora: “È quando sembra le prove non vi siano che in realtà ci sono. Se ci sono se ne può discutere”.
    Francesco Piscopo raccontava degli interrogatori di Toni Negri davanti al pm Pietro Calogero. “Gli davo gran calci sotto il tavolo per costringerlo a stare zitto. Perché lui tendeva a rispondere quando il magistrato tendeva a impostare una sorta di conversazione diceva lui perche’ voleva capire”.
    Piscopo interrompeva il pm: “Scusi dottore se dobbiamo conversare tolga le manette al professore e andiamo al ristorante”. Piscopo intanto continuava a dare calci “perché Negri era convinto di convincere il magistrato che lui non c’entrava. Impresa impossibile. Non aveva davanti un magistrato ma un avversario politico. E lo sapeva benissimo ma era portato a rimuovere perché presumeva molto da se stesso”.
    (frank cimini)

  • Cospito, Cassazione: la tortura del 41bis deve continuare

    La tortura deve continuare. La corte di Cassazione ha rigettato perché inammissibile il ricorso per la revoca del 41bis presentato dagli avvocati di Alfredo Cospito, l’anarchico detenuto nel carcere di Sassari Bancali dove sta scontando la condanna a 23 anni di reclusione per i pacchi bomba di Fossano davanti alla scuola dei carabinieri che non provocarono morti e nemmeno feriti.

    La Cassazione ha condannato Cospito a una multa di 3000 euro a favore della cassa delle ammende come è prassi nei casi di ricorsi rigettati.

    In pratica è stata confermata la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma, unico giudice in tutto il paese a decidere sull’articolo 41bis, dove a livello di motivazione si diceva che Cospito è ancora più pericoloso perché il lunghissimo sciopero della fame per protestare contro il carcere duro ne ha aumentato il carisma soprattutto nella considerazione degli anarchici e di chi lo sostiene all’esterno della prigione.

    Il Tribunale di Sorveglianza non aveva tenuto in alcuna considerazione il parere della direzione nazionale antimafia e antiterrorismo che aveva sostenuto la scelta di revocare l’articolo 41bis a favore dell’alta sorveglianza il regime appena un gradino sotto mantenendo la censura sulla posta.

    Insomma almeno per il momento non sembrano esserci vie di uscita. Al di là del fatto che la difesa aspetta la fissazione dell’udienza davanti alla Cedu, la corte europea dei diritti dell’uomo, ma si tratta in ogni caso di un percorso dai tempi non certamente brevi.

    Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari esulta per la decisione della Cassazione dicendo: “Benissimo, Cospito deve rimanere in carcere a scontare la sua pena al 41bis. Niente sconti o premi per i nemici dello Stato”

    Replica l’avvocato Flavio Rossi Albertini: “Lèggendo il commento del sottosegretario sorge il fondato sospetto che la vicenda Cospito sia statata profondamente influenzata dalla politica”. E su questo non sembrano esserci dubbi dal momento che in riferimento al processo al sottosegretario Andrea Del Mastro per violazione del segreto d’ufficio in merito alla carcerazione e di Cospito i partiti con il Pd che chiede di essere parte civile regolano i loro conti sulla pelle di un anarchico torturato.

    In questa vicenda il vero irriducibile appare lo Stato sempre pronto a perpetuare l’emergenza in un quadro di repressione senza sovversione. Una sorta di ultimo giapponese che ha evocato gli anni di piombo persino per un ragazzino che ha mimato la pistola P38 in Senato in direzione di Giorgia Meloni.

    (frank cimini)

  • L’Ungheria grida come Bracardi: “In galera!!!”

    Per i giudici ungheresi la soluzione è una sola, la galera. Lo hanno scritto in risposta alla corte di appello di Milano che chiedeva se fosse possibile sostituire il mandato di arresto europeo per L’anarchico Gabriele Marchesi con gli arresti domiciliari in Italia. Ma il discorso vale ovviamente anche per Ilaria Salis. Infatti i giudici magiari scrivono che Marchesi e Salis fanno parte della stessa “organizzazione criminale”.
    Da Budapest insistono sul pericolo di fuga, dicono che Marchesi agli arresti domiciliari scapperebbe anche se sta a casa da mesi e non è scappato. Non c’è peggior sordo di chi buon vuol sentire.
    Dice l’avvocato Eugenio Losco: “Si continua ad insistere in termini del tutto astratti sul rischio di fuga e l’impossibilità di applicare una misura diversa dal carcere. Sono considerazioni che non tengono in alcun conto il fatto che Gabriele Marchesi abbia rispettato gli arresti domiciliari cui è sottoposto da oltre tre mesi essendo già pienamente consapevole delle contestazioni ungheresi e del rischio di una pena fino a 24 anni. Proprio per questo la Corte di Appello di Miliano aveva chiesto alle autorità ungheresi perché le esigenze cautelari non potessero essere soddisfatte continuando ad applicare gli arresti domiciliari in Italia conformemente alla decisione quadro 829/2009. Incomprensibile poi come si possa affermare che non sia noto il suo domicilio in Italia visto che è stato trovato e tuttora si trova agli arresti domiciliari proprio nel luogo indicato nel mandato di arresto ungherese”.
    Se questa è la situazione non sembra avere probabilità di successo la richiesta di arresti domiciliari in Ungheria che sarà presentata in udienza il prossimo 28 marzo per Ilaria Salis. Il 28 marzo è anche la data della prossima udienza per Gabriele Marchesi. La corte deve decidere se estradarlo o meno e dovrà valutare la risposta arrivata da Budapest che in pratica è la replica del famoso grido di Bracardi “in galera in galera!!”che però aveva almeno il pregio di far ridere.
    Con un eventuale no all’estradizione di Marchesi la magistratura ungherese si sfogherebbe ulteriormente su Ilaria Salis e i rapporti con l’Italia si irrigidirebbero in maniera significativa. Anche se il molto presunto lavorio diplomatico dell’Italia con il governo di Orban non pare destinato a modificare in meglio la situazione. Al massimo a sto punto le toglierebbero il guinzaglio e le catene ai piedi in aula lasciando solo le manette.
    Intanto c’è un altro anarchico italiano coinvolto negli stessi fatti del 23 febbraio dell’anno scorso a Budapest che rischia di essere estradato. Era stato fermato in Finlandia dove i giudici non hanno ancora deciso cosa fare.
    (frank cimini)

  • Yaeesh non estradabile a tenerlo dentro ci pensiamo noi

    La corte di appello dell’Aquila dice che non vi sono le condizioni per estradare Anan Yaeesh in Israele perché rischierebbe di essere sottoposto a trattamenti disumani crudeli e degradanti ma il vero motivo per cui il giovane attivista palestinese non viene consegnato a Telaviv è quello dell’indagine che lo riguarda centrata sugli stessi fatti per i quali era stata chiesta l’estradizione.

    Parliamo dell’operazione che ha portato in carcere con la firma del gip aquilano Anan Yaeesh e altri due palestinesi con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale, quella che nel corso di un presidio di solidarietà è stata definita “una bolla mediatica”. Insomma non potevano consegnarlo perché rischiava di essere torturato e lo hanno arrestato.

    Il rischio della tortura e della violazioni dei diritti umani la corte di appello lo ammette dando credibilità alle relazioni depositate dall’avvocato Flavio Rossi Albertini che provengono da organizzazioni non governative ritenute affidabili sul piano internazionale quali Amnesty Internationale Humans Right Watch “che ben possono essere utilizzate ai fini della verifica della condizione ostativa all’estradizione.

    In queste relazioni, ricorda la corte di appello, si fa riferimento a condizioni di detenzione penose per i cittadini palestinesi, caratterizzate sovraffollamento, violenze fisiche, condizioni di scarsa igiene e di mancata assistenza sanitaria u,teriorme te peggiorate in concomitanza con il conflitto in corso”.
    In buona sostanza non potendo per ragioni di immagine della democratura italiana spedirlo in Israele “ci pensiamo noi a tenerlo in vinculi. In questo modo la procura di Telaviv sarà soddisfatta del comportamento della sua sezione distaccata a L’Aquila,
    frank cimini

  • L’Aquila sezione distaccata della procura di Telaviv

    Evidentemente gli apparati antiterrorismo italiani e israeliani non erano sicuri dell’estradizione di Anan Yaeesh di cui si discuterà in relazione alla custodia in carcere in udienza domani alla corte di appello dell’Aquila. E quindi al mandato di arresto emesso da Telaviv del quale è stata chiesta la revoca da parte dell’avvocato Flavio Rossi Albertini se n’è aggiunto un altro firmato dal gip del capoluogo abruzzese con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale che riguarda anche altri due palestinesi.
    I tre avrebbero fatto operazioni di proselitismo e sarebbero stati pronti a compiere attentati anche suicidari. Questo riportano le agenzie di stampa e i siti online dei giornali insieme a dichiarazioni di politici entusiasti del blitz a cominciare dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
    Pare di capire che l’estradizione di un cittadino palestinese verso Israele che è un paese in guerra sarebbe complicata. Di qui la decisione di arrrestsrlo per decisione della magistratura italiana. In questo modo c’è la sicurezza di tenerlo in galera e di non doverlo liberare in caso di un rigetto della richiesta di consegnarlo a Israele.
    Le indagini il condizionale è più che mai d’obbligoavrebbero accertato la costituzione di una struttura operativa militare denominata “Gruppo di risposta rapida – Brugate Tulkarem articolazione delle Brigate dei Martiti di Al – Aqsa che si propone il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo anche contro uno stato estero.
    Per gli avvocati della difesa ci sarebbe il rischio concreto ed effettivo che Yaeesh venga sottoposto a trattamenti inumani e degradanti contesa la tortura.
    (frank cimini)

  • È ai domiciliari ma per seguire udienza va in galera

    Premetto che in quasi mezzo secolo di cronaca giudiziaria non avevo mai visto e sentito una cosa del genere. Siamo al Tribunale Massa al processo contro un gruppo di anarchici accusati di istigazione a delinquere, apologia di reato aggravate da finalità terroristiche offese all’onorevole e al prestigio del presidente della Repubblica. Il processo è stato chiamato “scripta scelera” in relazione alla rivista “Bez Motivny” chiusa ormai da tempo per mancanza di fondi
    L’imputato Luigi Palli sta agli arresti domiciliari a Faenza ma non viene autorizzato a essere presente in aula di persona. Se vuole seguire udienza deve presentarsi al carcere della Dozza a Bologna e farlo per videoconferenza.
    Pare che non si riescadavvero a scacciare il convitato di pietra dell’associazione terroristica da questoprcesso. Il motivo sarebbe “l’esplosiva” (aggettivo utilizzato dal giudice) situazione derivante dalla presenza di quell’imputato e del pubblico in aula.
    Palli non c’è. Ma poi quando l’udienza inizia effettivamente nel pomeriggio il giudice monocratico si rimangia la decisione precedente cambia idea e dispone la presenza dell’imputato Palli per la prossima udienza, purché, aggiunge non gli arrivino poi note di polizia negative. Cioè il giudice tratta gli imputati e gli avvocati oltre che il pubblico come scolaretti. “Dovete fare i bravi, se no, sono guai”.
    In aula sono presenti la procura antiterrorismo di Genova e l’avvocato dello Stato per il risarcimento danni al presidente della Repubblica. Insomna un classico processo emergenziale nell’anno di grazia 2024.
    (frank cimini)€

  • La spia Rovelli: do ut des con il commissario Calabresi

    “Conoscevo Calabresi perché era vicedirigente della Digos e seguiva gli anarchici. Per aprire un locale servivano i permessi, diciamo che fu una sorta di scambio. Tu mi dai delle informazi9ni, io ti faccio avere le licenze”. Enrico Rovelli ex manager di rockstar e organizzatore di eventi musicali festeggia i suoi 80 anni con una compiacente (eufemismo) intervista al Corriere della Sera.
    Rovelli afferma di essere ancora anarchico anche se in pratica smentito dalle sue stesse parole con cui ricostruisce il ruolo che ebbe ai tempi della strage di piazza Fontana e della morte per defenestramento di Pino Pinelli.
    “Di notizie importanti non ne ho mai date, se lo avessi fatto non sarei qui a raccontarlo – spiega in un colloquio col giornalista per dire e non dire – nell’area anarchica milanese eravamo in due a tenere i rapporti con Calabresi, io e Pino Pinelli. Pino aveva un rapporto speciale con Calabresi, ogni Natale si regalavano un libro”.
    Gabriele Fuga avvocato anarchico autore insieme a Enrico Maltini di “La finestra è ancora aperta” sulla morte di Pinelli tiene a precisare: “È gravemente offensivo per Pinelli e la sua famiglia l’accostamento quasi in ‘simbiosi’ che fa con Pino in merito alla fondazione del circolo del Ponte della Ghisolfa e rapporti con Calabresi. Lui Rovelli dava informazi9ni e Pino… libri”.
    Poi Gabriele Fuga aggiunge: “Si sono dimenticati Rovelli e soprattutto il suo intervistatore di Anna Bolena (nome d’arte di Rovelli n.d.r.) che era al servizio di Federico Umberto D’Amato, responsabile dell’ufficio affari riservati”.
    D’Amato, noto anche per una rubrica culinaria sul settimanale L’Espresso, fu uno dei personaggi chiave nella storia della strategia della tensione. Anna Bolena era il nome in codice nei rapporti con i servizi segreti che ebbero un ruolo importante sul quale la magistratura non indagò nel nascondere la verità sulla fine di Pinelli. Via Fatebenefratelli sede della questura vide un via vai di 007 arrivati da Roma subito dopo che Pinelli volo’ dal quarto piano.
    Le parole di Rovelli sono significative del modo in cui Luigi Calabresi faceva il commissario, scambiava permessi quantomeno in violazione dei doveri di ufficio in cambio di informazioni sugli anarchici che Rovelli adesso a 80 anni punta a ridimensionare ma sulle quali non sapremo mai la verità.
    È una intervista da leggere soprattutto per chi santifica Calabresi che quella notte famosa era il più alto in grado a contatto con l’interrogatorio dell’anarchico e l’ufficio dove si svolgeva era il suo. È da lì secondo la testimonianza di Lello Valitutti in questura anche lui perché fermato Calabresi non si mosse. Anche se il dettaglio non è importante. Il ruolo recitato per nascondere la verità appare fuori discussione. Al di là della sentenza creativa sul malore attivo con cui la magistratura se ne lavava le mani.
    (frank cimini)

  • Fuori dall’aula del processo su Erba, cronisti messi davanti a uno schermo nei sotterranei

    Per carità, nessuna censura ma una storia significativa su come vengano percepiti i media nei palazzi di giustizia di questi tempi. Processo di revisione sulla strage di Erba, tribunale di Brescia. Per decisione dei vertici, i giornalisti non possono entrare nell’aula della corte d’appello dove si celebra ma vengono distribuiti in due sale: una per cronisti e operatori con telecamera che potranno scaricare le immagini che la troupe di ‘Un giorno in Pretura’ metterà a disposizione, l’altra per la carta stampata che ormai solo stampata non è da un bel po’ visto che chi scrive i pezzi per il giorno dopo è chiamato anche ad aggiornare i siti in tempo reale.

    In entrambe il processo va in onda su degli schermi. Al piano interrato in cui vengono dirottati carta stampata e web, non ci sono finestre. Il segnale internet, già fievole ai piani alti, praticamente svanisce o, nei momenti di grazia, funziona a intermittenza. Risultato: lavorare per i giornalisti delle agenzie e per tutti gli altri che scrivono sul web diventa molto difficile. Ci si aggira come ridicoli rabdomanti con in mano i dispositivi per captarlo tra imprecazioni e la sensazione che stia accadendo qualcosa di surreale. Un piano più in su va in scena il processo ‘reale’ a Olindo e Rosa alla presenza di una quarantina di cittadini che vi hanno avuto comodamente e giustamente accesso.

    Com’è potuto accadere che non siano potuti entrare anche i rappresentanti dei media? La spiegazione che viene fornita dai severissimi controllori, carabinieri e personale del palazzo, è che l’aula è troppo piccola per  farci stare tutti. Non pare, a occhio, ma se lo dicono loro…All’obiezione che si sarebbe potuto dividere il pubblico tra cittadini e giornalisti, facendo alternare  i cronisti, delle diverse testate, la risposta di uno dei più solerti ‘guardiani’ dell’organizzazione con tesserino del Ministero della Giustizia è: “La prossima volta magari la porta la chiudiamo proprio e non entrate manco in sala stampa”.

    Certo, si può ribattere, un giornalista avrebbe potuto entrare come cittadino godendo quindi di un posto al sole. Ma chi entrava in aula con questa modalità non avrebbe potuto utilizzare “qualsiasi mezzo idoneo a effettuare riprese audiovisive, televisive e fotografiche pena l’espulsione dal palazzo”. Quindi nemmeno  un telefonino. E vabbé, si dirà: ci sono la carta e la penna e il vecchio block notes, quelli usati dal bravissimo illustratore giudiziario Andrea Spinelli che infatti siede tra le prime file (la rivincita della matita!). Solo che poi gli appunti in qualche modo dovresti spedirli alla tua testata, la forza del pensiero non basta.

    Laggiù, nei sotterranei, l’immagine di Olindo e Rosa non si è mai vista perché i due hanno scelto di non farsi riprendere. “Cosa vi interessava vederli? Tanto hanno chiesto di non essere ripresi” si stupisce una funzionaria del tribunale ribattendo alle proteste di alcuni cronisti agitati. Lezione dei tempi: solo quello che finisce in uno schermo ha un senso, il resto non conta. Dostoevskij non era in aula ma una lettura dei ‘Fratelli Karamazov’ potrebbe illuminare sul potere magico e la vividezza della parola scritta applicata a un processo.

    Manuela D’Alessandro

     

  • L’antiterrorismo militante processa le Br 50 anni dopo

    In questo paese esiste una struttura di antiterrorismo militante di cui fanno sicuramente parte i pm di Torino che hanno chiuso le indagini sui fatti del 5 giugno 1975 a Casina Spiotta nell’Alessandrino quando venne uccisa Mara Cagol durante la liberazione dell’imprenditore Vallsrino Gancia.
    La procura vuole processare Renato Curcio, Mario Moretti, Lauro Azzolini e Pierluigi Zuffada per l’omicidio del brigadiere Giovanni d’Alfonso. Per la procura avrebbero avuto ruoli diversi, tra il sequestro dell’imprenditore e il conflitto a fuoco. Azzolini risponde per l’omicidio D’Alfonso. Moretti e Curcio avrebbero avuto un ruolo di concorso nell’organizzazione del sequestro di Gancia. Le impronte di Zuffada oltre a quelle di Azzolini sarebbero state trovate nella relazione in cui si spiegavano le fasi del blitz. Giusto per le famose impronte era stato condannato, l’unico. Massimo Maraschi.
    L’indagine era stata riaperta dopo un esposto presentato dagli eredi di D’Alfonso. In precedenza era stata archiviata. Questa sentenza venne revocata nonostante pm e gip non avessero potuto leggerla perché una alluvione l’aveva portata via. E in questo modo arriviamo adesso alla chiusura dell’indagine nuova che prelude alla richiesta di processo.
    Ovviamente nel corso degli anni mai si è tentato di accertare se Mara Cagol fosse stata “finita” con un colpo di grazia mentre era a terra inerme.
    La giustizia su quegli anni va in una sola direzione. Del resto la storia la raccontano i vincitori e i vinti non hanno diritto di parola. Si tratta della famosa memoria condivisa, appunto la verità raccontata da chi prevalse con i “pentiti”, le leggi speciali, la tortura a conclusione di un durissimo scontro sociale e politico sfociato in una guerra civile a bassa intensità e nemmeno troppo bassa.
    L’avvocato Davide Steccanella difensore di Azzolini e Zuffada si limita a commentare: “Voglio sapere se in Italia è possibile revocare una sentenza di proscioglimento senza averla letta. È questa l’eccezione che riproporrò nel corso del procedimento dopo che la Cassazione l’aveva definita intempestiva”.
    Curcio interrogato mesi fa come indagato aveva chiesto di essere illuminato sulla morte di sua moglie Mara. Il magistrato promise che si sarebbero messi in moto. Parole al vento.
    (frank cimini)

  • Cospito in Cassazione contro tribunale e ministro Nordio

    Il prossimo 19 marzo la Cassazione dovrà decidere sul ricorso di Alfredo Cospito per ottenere la revoca del 41bis impugnando la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma che lo aveva confermato e la scelta del ministro Carlo Nordio di non rispondere all’istanza della difesa
    Nel ricorso l’avvocato Flavio Rossi Albertini evidenzia che in una vicenda caratterizzata da un profondo ostruzionismo governativo di natura politica attribuire la decisione al ministro che fa parte del governo crea il rischio molto concreto che la scelta sia influenzata da considerazioni che esulano dall’aspetto giuridico in relazione in particolare alla capacità del detenuto di orientare le condotte criminali dei sodali all’esterno.
    Il legale avverte il rischio che vengano strumentalizzate a fini politici vicende individuali che dovrebbero essere oggetto di valutazioni strettamente giuridiche sulla sussistenza dei presupposti applicativi del regime differenziato.
    Nel ricorso si ricorda che il Tribunale di Sorveglianza non aveva tenuto in considerazione il parere contrario alla proroga del 41bis da parte della Direzione nazionale antiterrorismo a favore di scegliere il regime di alta sorveglianza mantenendo la censura sulla posta.
    La pericolosità di Cospito sarebbe diminuita secondo l’organo che si occupa di fronteggiare il fenomeno. Una tesi sposata dalla difesa ma che a ottobre scorso davanti al Tribunale di Sorveglianza era stata rigettata.
    Cospito sarebbe compatibile con un circuito di detenzione ordinario senza i rigori del 41bis. Purtroppo da parte dei giudici chiamati a decidere c’è la convinzione espressamente esplicitata che con il lungo sciopero della fame dell’anno scorso Cospito avrebbe aumentato il suo carisma e di conseguenza la sua pericolosità.
    (frank cimini)

  • Torino, processo su una canzone per Alfredo Cospito

    “Perché registravano e diffondevano anche attraverso il canale You Tube una canzone dal titolo Genova era in fiore nel corso della quale facevano apologia dell’attentato terroristico commesso in danno di Roberto Adinolfiamministratore di Ansaldo Nucleare per il quale Cospito Alfredo e Gai Nicola sono stati condannati in via definitiva”. C’è anche questo nel capo di imputazione a conclusione delle indagini condotte dal pm Paolo Scafi su una serie di manifestazioni in solidarietà con Cospito.
    C’è pure un volantino distribuito durante la celebrazione della messa nella chiesa Gran Madre di Dio. “Portiamo la nostra solidarietà a chi è rinchiuso e a chi lotta dentro e fuori le carceri, libertà per tutti e tutte contro la tortura”.
    Imbrattamenti, lesioni personali nel corso di una manifestazione, apologia di reato e istigazione a delinquere contestati a 17 indagati. Sotto accusa c’è non solo a Torino ma anche in altre città la solidarietà per Alfredo Cospito protagonista di un lunghissimo sciopero della fame tuttora ristretto in regime di 41bis nel carcere di Sassari Bancali. Lo sciopero della fame secondo gli inquirenti e il Tribunale di Sorvegkianza di Roma, unica autorità a decidere in Italia sui reclami contro il 41bis ha reso l’anarchico ancora più pericoloso perché ha aumentato il suo carisma.
    E a pagarne le conseguenze sono gli anarchici e gli antagonisti che protestano contro il carcere duro. Il volantino di solidarietà e il tentativo di esibire uno striscione fermato da un fedele durante la messa diventano prova di sovversione. Lo stesso discorso vale per l’imbrattamebto dei muri dell’immobile della sede Rai e dell’opera in ferro denominata “Sinfonia”, tirando palloncini colorati e secchi di vernice.
    Per tutto questo sarà celebrato un processo perché Digos e investigatori antiterrorismo in divisa e in toga sono da tempo disoccupati per mancanza di una materia prima adeguata. Insomma Cospito, nemico pubblico numero uno, con annessi e connessi è una formidabile occasione di lavoro per chi evidentemente rimpiange di non esserci stato negli anni 70 a reprimere un fenomeno storico.
    (frank cimini)

  • Salis, governo per un anno complice ora vanta “meriti”

    I giudici ungheresi hanno anticipato dal 24 maggio al 28 marzo la ripresa del processo a Ilaria Salis che intanto ha comunicato all’ambasciatore italiano il miglioramento delle condizioni di detenzione. Esumta il ministro degli Esteri Antonio Tajani, mentre quello della giustizia Carlo Nordio accusa i familiari della ragazza e gli avvocati di aver perso un anno di tempo avendo deciso solo ora di presentare l’istanza di arresti domiciliari a Budapest.

    Insomma il governo di Roma dopo aver fatto nulla per un anno, a conoscenza per forza di cose dall’ambasciata che Ilaria Salis veniva trascinata in tribunale incatenata a mani e piedi, col guinzaglio adesso si prende tutti i meriti di una situazione che starebbe per evolvere in positivo.

    Il condizionale è più che mai d’obbligo perché di concreto non c’è stato ancora niente. E la strada per chiedere i domiciliari a Budapest resta tutta in salita: bisogna versare una cauzione di 51 mila euro, trovare una casa in città che risponda a determinate esigenze di sicurezza.

    Tajani sottolinea che il miglioramento delle condizioni della reclusa “è stato ottenuto lavorando con discrezione e senza polemiche. Abbiamo sollecitato un processo equo e rapido tutelando i diritti della detenuta”.

    Debora Serracchiani del Pd polemizza con il ministro della Giustizia: “Il conferenziere Nordio non solo è rimasto muto e fermo per un anno ma adesso oltre al danno aggiunge le beffe attribuendo la responsabilità della detenzione di Ilaria Salis ai suoi familiari. Spero che ne sia consapevole altrimenti saremmo di fronte a un caso di cinismo senza precedenti. Siamo al paradosso anche con i vanti di Tajani ma questa è l’Italia della premier Meloni”.

    Intanto bisognerà vedere gli sviluppi del caso di Gabriele Marchesi e aspettare la risposta dei giudici di Budapest ai colleghi di Milano che hanno chiesto se è possibile sostituire il mandato di cattura europeo con gli arresti domiciliari in Italia. Difficilmente accetteranno tale eventualità per non creare contraddizioni con il caso Salis. Insomma almeno per adesso c’è poco da essere ottimisti.
    (frank cimini)

  • Pm contro pm. Non c’è pace in procura a Milano

    Non c’è pace per la procura di Milano dove va in scena l’ennesima puntata della saga “pm contro pm”. Il sostituto procuratore Rosaria Stagnaro ha chiesto di lasciare l’indagine sul caso di Alessia Pifferi la mamma che lasciò morire di fame di sete la sua bambina a causa delle presunte gravi scorrettezze subite dal collega Francesco De Tommasi che a sua insaputa aveva messo sotto intercettazione le psicologhe del carcere di San Vittore indagate per falso e favoreggiamento. Indagata anche l’avvocato Alessia Pontenani difensore di Pifferi. Avrebbero tutte favorito una perizia psichiatrica “addomesticata”, ma su questo ci sono un sacco di polemiche.

    Tocca al procuratore capo Marcello Viola decidere sulla richiesta presentata dal pm Stagnaro in una vicenda intricata destinata a lasciare il segno come già accaduto nel recente passato. Il problema è che i pm litigano tra loro, se ne dicono di tutti i colori per poi restare tutti insieme appassionatamente nello stesso ufficio.
    E’ accaduto per Paolo Storari e Fabio De Pasquale nell’ambito del processo Eni-Nigeria che si erano confrontati duramente anche nell’aula del Tribunale di Brescia dove il procuratore aggiunto è sotto processo per non aver messo a disposizione delle difese una serie di atti importanti.

    Storari aveva lamentato l’immediata mancata iscrizione tra gli indagati dell’avvocato Piero Amara e delle persone chiamate in causa in relazione alla famosa loggia Ungheria. De Pasquale avrebbe tergiversato per “tutelare” Amara considerato il testimone chiave dell’accusa nel caso Eni poi finito con l’assoluzione di tutti gli imputati.

    Storari e De Pasquale fanno ancora parte della stessa procura. Il Consiglio Superiore della Magistratura non è mai intervenuto con l’alibi dei processi penali in corso.

    In questi anni di guerre interne alla procura l’unico a essere stato fatto fuori in quattro e quattr’otto fu il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ma lì c’era da salvare la patria, vale a dire Expo 2015. Robledo voleva indagare, l’allora capo della procura Edmondo Bruti Liberati avrebbe fermato gli accertamenti dopo i primi arresti.

    Matteo Renzi da presidente del consiglio ringraziò due volte la procura di Milano “per il senso di responsabilità istituzionale dimostrato”. Furono parole molto significative su quanto accaduto. Fondi e appalti assegnati senza gare pubbliche scegliendo “aziende in rapporti di consuetudine con la pubblica amministrazione”. Una indagine aperta in relazione alle presunte omissioni fece il giro d’Italia delle procure per poi essere archiviata a Trento senza iscrivere tra gli indagati alcun magistrato.

    Via il dente via il dolore. Robledo fu trasferito a fare il giudice a Torino. Allora il Csm ritenne di intervenire. Nella vicenda ebbe il suo peso il presidente Giorgio Napolitano che ricordò come prioritarie le prerogative dei capi delle procure. Da allora per evitare contrasti il Csm quando deve nominare i procuratori aggiunti rinuncia ai suoi poteri delegando di fatto la scelta ai capi degli uffici inquirenti. E vissero tutti felici e contenti.
    (frank cimini)

  • Trojan, il gip di Napoli l’ha fatta fuori dal vaso

    Elogio del trojan. Mai più senza trojan. È questo il messaggio che arriva dal giudice per le indagini preliminari di Napoli Antonio Baldassarre che ha firmato l’ordinanza con arresti in carcere e altre misure cautelari in relazione agli appalti e alle tangenti di Pozzuoli.

    ”Il filo conduttore degli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria è stato rappresentato dalle intercettazioni telefoniche, ambientali e mediante inoculazione di captatore informatico sui telefoni cellulari di alcuni indagati. A scanso di polemica che talvolta accompagna tale tipo di indagini è bene specificare sin da subito alcuni profili – argomenta il giudice – il primo è che nel caso di specie tale scelta investigativa si è rivelata fin da subito essenziale in relazione alla tipologia di reati in questione. È evidente e di comune esperienza che le indagini di tipo tecnico costituiscono l’unico strumento realmente efficace per accertare i reati a concorso necessario e comunque basata su una inevitabile condivisione dei propositi criminalità parte di tutti i protagonisti coinvolti che procedono nella medesima direzione”.

    Il giudice insomma mette le mani avanti. Il trojan viene descritto come insostituibile. Questo nonostante diversi magistrati oltre a politici di diverso schieramento abbiano a più riprese ammesso l’eccessiva invasivita’ di tale strumento che finisce per abbracciare l’intera vita quotidiana dei soggetti coinvolti al di là degli accertamenti in corso.

    ”Gli unici soggetti che sono a conoscenza delle attività delittuose commesse e in corso sono proprio quegli stessi che dei reati si giovano e ne percepisco i i profitti – continua il gip – Gli accordi che conducono a tali fattispecie sono per loro definizione riservati se non segreti, raramente vi sono testimoni disinteressati presenti ai fatti. Le vittime dei reati si rendono conto solo con ritardo ma raramente sono in grado di offrire elementi di conoscenza specifica sull’accaduto. Quindi è giocoforza necessario vincere la mutua e indissolubile riservatezza dei concorrenti nei reati. Per farlo è necessario proprio accedere alle loro conversazioni ai discorsi alle pianificazioni e al contenuto degli incontri riservati organizzati per poter acquisire quegli elementi che altrimenti non avrebbero modo di venire all’esterno”.

    Insomma si tratta di un’ordinanza che irrompe nel dibattito politico sulla giustizia soprattutto a livello di intercettazioni orientandolo fortemente. Nel caso specifico il giudice delle indagini preliminari arriva addirittura ad affermare che vi possa essere una interpretazione alternativa delle conversazioni. Questo lo si vedrà in seguito. Ma l’ordinanza a resta singolarmente esplicita in termini di politiche giudiziarie. Sia consentito affermare che almeno un po’ il giudice l’ha fatta fuori dal vaso.
    (frank cimini)

  • A Report la mafia a tre teste che in realtà non esiste

    A Milano ci sarebbe una mafia a tre teste con la santa alleanza tra Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta utilizzando il capoluogo lombardo e zone limitrofe come una sorta di “laboratorio”. Era la tesi della procura che il giudice delle indagini preliminari Tommaso Pena nel novembre scorso aveva bocciato rigettando 140 richieste di misure cautelari su 154 (una sorta di record probabilmente non solo italiano) per associazione mafiosa.

    Se questa prospettazione ritenuta infondata abbiamo visto l’altro ieri sera su RaiTre nella trasmissione Report un’intera puntata come se invece fosse tutto vero. La decisione del gip è stata ricordata solo con un brevissimo accenno di poche parole per dedicare tutto lo spazio alla “straordinaria scoperta fatta dai carabinieri e dalla procura”.

    Sigfrido Ranucci non ha avuto neanche la bontà di ricordare che la procura di Milano pur avendo presentato ricorso al Tribunale del Riesame contro la decisione del gip Perna ha limitato l’impugnazione alla posizione di 70 indagati la metà di quanti voleva sanzionare origine. Insomma anche da parte dell’organo dell’accusa c’è stata l’ammissione di un flop quantomeno parziale. In attesa dell’appuntamento del Riesame che non è stato ancora fissato.

    Report si comporta come se il network criminale fosse stato ritenuto consolidato. Nel ricorso la procura accusava il gip di aver fatto “copia e incolla” con il parere di un avvocato espresso in tutt’atra circostanza fuori dall’inchiesta. Il gip avrebbe ignorato e smentito “le più eterogenee evidenze investigative processuali dell’ultimo ventennio”.
    I giornali solitamente a sostegno della procura operavano un massacro mediatico del giudice. Doveva intervenire il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia con un comunicato per sottolineare che il controllo del gip lunghi dall’essere classificato come una patologia evidenzia il principio dell’autonomia della valutazione giurisprudenziale”.

    Ma di tutto questo nella puntata di Report non si parla. E in questa vicenda è stato del tutto assente il Csm sempre pronto ad aprire pratiche a tutela quando i magistrati vengono criticati dai politici. Ma quando ricevono attacchi dai colleghi e dai giornali va tutto bene.

    Report insomma si ripete. Non ha mai preso atto che la storia della trattativa Stato-mafia era del tutto infondata secondo la Cassazione non perdendo occasione di riproporla. Come del resto non tiene conto degli esiti processuali del caso Moro di e si esclude che le Brigate Rosse fossero state eterodirette e avessero avuto complici occulti.
    (frank cimini)

  • Il giudice “un po’ confuso” tifa Borrelli e Toni Negri

    Come minimo deve avere un po’ di confusione in testa Marcello Degni il giudice della corte dei Conti che sui social critica l’opposizione per non aver costretto il governo di centrodestra all’esercizio provvisorio e che ora rischia sanzioni da parte dei colleghi.

    Nelle sue esternazioni da un lato evoca Francesco Saverio Borrelli che alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario nel gennaio del 2002 pronunciò il famoso triplice “resistere” con riferimento al governo Berlusconi e dall’altro lato posta elogiando la prima pagina del Manifesto in morte di Toni Negri “maestro attivo”. Poi cita il filosofo padovano sul “comunismo come manifestazione gioiosa collettiva etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà dei confini e della politica”.

    Per Degni Toni Negri è un intellettuale raffinatissimo. La contraddizione nell’elogiare sia Borrelli sia Negri. Il carceriere e il carcerato si potrebbe osservare, ricordando per esempio che Borrelli da giudice condannava per terrorismo senza prove “perché non poteva non sapere considerando la sua statura intellettuale” l’avvocato comunista Sergio Spazzali.

    Il comportamento del giudice Degni ricorda l’indicazione di voto che diede Rossana Rossanda alle elezioni del 1984, “Toni Negri alla Camera e Pci al Senato”. In quel caso la contraddizione era ancora più evidente perché eravamo nel pieno delle polemiche sul caso “7 aprile” con il pm Piero Calogero che aveva preparato i testimoni nei locali della federazione padovana del partito comunista italiano.

    Ancora Degni dice che quando passa in via Fatebenefratelli pensa sempre a Pinelli voltato dalla finestra, alla ballata che recita “Calabresi e Guida assassini che un compagno avete ammazzato quella lotta non avete fermato la vendetta più dura sarà”.

    Impossibile non domandarsi se questo giudice più che maggiorenne e vaccinato ormai alla soglia della pensione si renda conto della confusione che fa sulla storia politica del paese nel tentare di mantenere insieme i suoi miti.

    Con le sue esternazioni di oggi è ancora di più con quelle passate che riemergono riesce a togliere dall’imbarazzo (eufemismo al massimo grado) il governo per il “botto” di Capodanno nel biellese. Insomma il giudice Marcello Degni avrebbe bisogno di riflettere, di studiare, di informarsi e soprattutto di pensare a quello che dice perché non se la può certo cavare spiegando che quanto afferma sui social sarebbero pensieri personali i quali non c’entrano con l’attività di giudice. La toppa è peggio del buco.
    (frank cimini)

  • Moro, le bufale senza fine. Domenica su Report

    “Aldo Moro non può essere stato ucciso in via Montalcini e poi portato in via Caetani”. Questo dice Ilaria Moroni, direttrice dell’archivio Flamigni, nella puntata di Report che andrà in onda domenica prossima 7 gennaio di cui è stato anticipato il contenuto in un trailer che riguarda la presentazione del libro scritto dall’ex ministro Vincenzo Scotti e dall’economista Romano Benini sulla politica di Aldo Moro.

    ”Sorvegliata speciale” è il titolo. “Le reti di collegamento della Prima Repubblica” il sottotitolo del pomo che racconta l’avversione degli Stati Uniti e soprattutto di Henry Kissinger per la politica di Moro. Scotti spiega che il segretario di Stato americano era nettamente contrario a che Moro assumesse responsabilità specialmente in relazione a Israele e Medio Oriente. Cose trite e ritrite sulle quali si discute da ormai mezzo secolo ma che servono per riproporre tutta la dietrologia possibile e immaginabile sulla strage di Via Fani e sul caso Moro.

    Le perizie che dimostrerebbero che Moro non fu ucciso in via Montalcini di cui parla Ilaria Moroni non esistono, non hanno nulla da spartire con gli atti di ben cinque processi. Ma la dietrologia non finisce mai, le bufale continuano.

    E per la fondazione Flamigni, dal nome dell’ex senatore Sergio Flamigni che fu l’antesignano dei misteri inesistenti, le bufale sul caso Moro si sono rivelate da sempre un affare a causa della consistente mole di finanziamenti pubblici dal ministero della Cultura.

    40 mila euro il 9 gennaio del 2019, 38 mila euro il 15 aprile, 2000 euro il 15 ottobre. Vanno aggiunti 40 mila euro il 20 maggio dall’istituto centrale per gli archivi, 3491 euro il 7 agosto dall’Agenzia delle Entrate. Dal ministero 49.157 euro il 22 giugno, 8300 euro il 29 dicembre. Poi ancora altri soldi successivamente.

    Per carità tutto regolare, tutto secondo la legge. Il primo febbraio del 2021 l’archivio viene trasferito presso lo spazio Memo per gentile concessione della Regione Lazio con visita e complimenti del governatore Zingaretti.

    Dietrologia e complottismo vengono incoraggiati. Ogni 16 marzo ogni 9 maggio a dire che bisogna cercare la verità è per primo il Presidente della Repubblica e del Csm a discapito dei processi dive sono state escluse responsabilità diverse da quelle delle Brigate Rosse.

    Si tratta di esiti processuali ignorati dalle commissioni parlamentari e dalla procura di Roma che continuano la caccia alle streghe. Tra gli intervistati da Report c’è l’ex procuratore generale Luigi Ciampoli che si vanta di aver indagato lo psichiatra Steve Pieczenik inviato in Italia dal dipartimento di Stato Usa . L’accusa era di concorso nell’omicidio Moro. Non si sa che fine abbia fatto. Adesso c’è il pm Eugenio Albamonte a continuare la caccia e non ha ancora deciso cosa fare dell’inchiesta chiusa da tempo sul ricercatore indipendente Paolo Persichetti, che il gip aveva definito “indagine senza reato e chissà mai se ci sarà”.

    La sensazione è che questa dietrologia, nel paese dove la Cassazione ha appena accusato il centro sociale Askatasuna di “pensare alla lotta armata”, serva non tanto per il passato quanto per governare oggi agitando un fantasma che con la realtà attuale c’entra zero.
    (frank cimini)

  • Alcolici e vetro di Capodanno Beppe Sala sindaco sceriffo

    Ormai in nome della sicurezza, in omaggio a “law and order” si può vietare tutto o quasi, persino quello che si può comprare e consumare in determinate occasioni. L’ultimo giorno dell’anno in vista della notte di San Silvestro è l’esempio per fotografare una filosofia di governo e non ci sono differenza tra il livello nazionale e quello locale.

    A Milano sarà in vigore dalle ore 18 di domani 31 dicembre fino alle otto 8 di lunedì primo gennaio il divieto di di vendere distribuire o somministrare, anche gratuitamente, bevande in bottiglie e contenitori di vetro e lattine anche per asporto e bevande superalcoliche.

    L’ordinanza sindacale, firmata dal primo cittadino Giuseppe Sala, si rivolge a esercizi di vicinato, supermercati, attività commerciali, artigiani, pubblici esercizi, distributori automatici, commercio ambulante o con posto fisso e street food, presenti nell’are delimitata dalla circolazione del filobus 90/91 quindi ben oltre il,centro storico.

    La mescita o la vendita delle bevande ‘alla spina’ sarà consentita solo in contenitori di carta o di plastica, mentre la consumazione in vetro sarà autorizzata solo per il servizio al tavolo all’interno dei locali.

    Abbiamo riportato nel dettaglio l’ordinanza sindacale emessa da un politico che a parole si dice da sempre molto attento ai diritti che qui vengono letteralmente violati nel timore di rosse a bottigliate favorite da eccessivo ingerimento di alcolici.

    E quindi via ai divieti che comunque potranno essere aggirati facilmente dai “malintenzionati” prove dei a rifornirsi anche nei supermercati prima delle fatidiche ore 18 o pure dopo fuori dalla citata “area delimitata”.

    Non è la prima volta che accade. Ricordo che durante i mondiali di calcio di Italia 90 si arrivò al punto di vietare di ristoranti che la bottiglia di vino restasse sul tavolo durante il pranzo o la cena. Era l’oste o il cameriere a riempire i bicchieri volta per volta occultando la bottiglia alla vista e alla disponibilità dei clienti fino al prossimo giro di mescita.

    Insomma ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. I cittadini vengono trattati peggio che da sudditi. In modo aprioristico come persone non in grado di controllarsi. Ovviamente a colpi di divieti. Il sindaco di Caserta Carlo Marino anche lui del Pd ha dimostrato di non essere da meno. Stessa ordinanza.
    (frank cimini)

  • Cospito, giudici sbloccano lettera in inglese nessun rischio

    I giudici del Tribunale di Torino hanno accolto il reclamo di Alfredo Cospito contro la decisione della corte di assise di appello che aveva bloccato una lettera in inglese con un disegno a penna raffigurante diverse persone che parlavano tra loro.
    “Pur emergendo che il redattore della lettera appartiene a ambienti anarchici – scrivono i giudici- traspare che questi si limita a informarsi delle condizioni di salute di Cospito augurandosi che siano buone, a deprecare che sia stato sottoposto al regime del 41bis e a manifestargli solidarietà per il lungo sciopero della fame che aveva intrapreso”.
    “Non constano elementi concreti che la missiva e il disegno possano contenere messaggi criptici suscettibili di pregiudicare le indagini di incentivare la commissione di reati o di mettere a repentaglio la sicurezza e l’ordine dell’istituto penitenziario”.
    Alfredo Cospito è detenuto nel carcere di Sassari Bancali ed è in attesa che venga fissata l’udienza al Tribunale di Roma per discutere il ricorso contro l’applicazione del 41bis.

  • “Idea” della Cassazione: Askatasuna uguale lotta armata

    La Cassazione interpreta, diciamo così, il pensiero dei militanti del centro sociale torinese Askatasuna e confermando le misure cautelari decise prima dal gip poi dal Riesame in un processo per associazione per delinquere e scontri con le forze dell’ordine dice che alcuni imputati “coltivano propositi di lotta armata”.

    Nemmeno i pm erano arrivati a tanto, la Cassazione si. I magistrati dell’accusa avevano parlato di iniziative violente ma mai di azioni o attentati diretti contro singole personalità dello Stato o istituzioni. Si trattava di decidere sul ricorso di due imputati contro la misura dell’obbligo cautelare di presentazione alla polizia giudiziaria.

    La tesi della Suprema Corte è che un gruppo ristretto di attivisti stia portando avanti “un piano criminoso” con attacchi ai cantieri dell’alta velocità, lanci di petardi, artifici pirotecnici a mo’ di armi. La Cassazione parla di lotta armata. “Secondo quanto emerso da intercettazioni e dalla di disamina degli atti letti in chiave cronologica detta finalità si identifica nello lotta armata mediante la preordinata provocazione di contrasti con le forze dell’ordine”.

    Dice Claudio Novaro uno degli avvocati difensori: “In tutto il processo non si parla di lotta armata, non si capisce come la Cassazione sia potuta arrivare a tale argomento. La Cassazione è giudice di legittimità e non di merito. Io avevo proposto 130 pagine di motivazione criticando le scelta del Tribunale sulle misure cautelari. La Cassazione sul punto non dice niente e se ne viene fuori con una invenzione di sana pianta su un argomento non al centro del processo”.

    Il processo che riprenderà a settembre riguarda 26 attivisti alcuni dei quali rispondono di associazione per delinquere. La motivazione della Cassazione sulle misure cautelari, nel caso due e nemmeno relative alla custodia in carcere, alzando il tiro in modo quantomeno spropositato tende chiaramente a influenzare i giudici del processo in corso a condizionarne quella che sarà la decisione finale.

    A parlare di terrorismo in relazione alle lotte dei NoTav ricordiamo ci aveva già provato la procura di Torino (teorema Caselli) in relazione al compressore bruciacchiato del cantiere di Chiomonte riportando brucianti sconfitte sia a livello di misure cautelari sia a livello di sentenza di merito soprattutto in Cassazione.
    Adesso invece è la Cassazione a voler vedere a tutti i costi propositi di lotta armata senza fare alcun riferimento a pezze di appoggio per una accusa così pesante. Insomma pare siano proprio gli ermellini ad avere nostalgia degli anni ‘70 a cercare di creare un clima che rispetto alla realtà attuale dello scontro sociale sembra assurdo e irreale.
    (frank cimini)

  • Cospito, anarchici a processo per un giornaletto a Massa

    Le mobilitazioni in solidarietà con Alfredo Cospito nel corso del lunghissimo sciopero della fame portano alla celebrazione dell’ennesimo processo che inizierà il prossimo 9 gennaio davanti al Tribunale di Massa con rito immediato. I reati contestati dalla procura di Genova sono quelli di istigazione a delinquere è offesa all’onorevole e al prestigio del presidente della Repubblica.
    4 imputati sono agli arresti domiciliari in 5 hanno l’obbligo di dimora e uno è libero. L’inchiesta è quella denominata Scripta Scelera e ruota intorno alla rivista Bezmotivny, accusata in un altro troncone di indagine per stampa clandestina nonostante fosse stata in bacheca sulla pubblica via. Il quadro dell’indagine è abbastanza pasticciato con il processo che viene celebrato mentre si è ancora in attesa dell’udienza in Cassazione sulle misure cautelari.
    Sotto accusa c’è una storia di solidarietà di internazionalismo di lotta di classe. Il prossimo 9 gennaio davanti al Tribunale ci sarà un presidio contro la censura e un comunicato che indice la mobilitazione afferma che non basteranno le acrobazie tecniche di un magistrato in cerca di autore a far sì che un percorso politico venga giudicato e liquidato alla chetichella.
    Nel recente passato la procura di Roma aveva avuto l’idea di procedere con il rito immediato nell’operazione Byalistock senza avere grande fortuna.
    Bezmotivny ricorda la storia di altri giornali e riviste dell’area antagonista finiti a processo. Chi ha i capelli e la barba bianca ha memoria della rivista dell’autonomia operaia “Metropoli” finita nei guai ormai quasi mezzo secolo fa per un fumetto sul caso Moro.
    Scripta Scelera è una delle tante inchieste aperte sugli anarchici negli ultimi anni dove viene contestata anche l’associazione sovversiva con finalità di terrorismo quasi sempre caduta anche prima di arrivare in aula. Evidentemente la pista anarchica è eterna e ha ripreso vigore come si diceva all’inizio per reprimere la solidarietà a Alfredo Cospito detenuto nel carcere di Sassari Bancali col regime del 41bis che g,i nega anche il diritto di accedere alla biblioteca centrale della prigione.
    (frank cimini)

  • Non c’è bavaglio ma il più pulito ha la rogna

    Non c’è bavaglio nel divieto di pubblicazione delle ordinanze cautelari prima del processo pubblico in un paese dove ve gli indagati vengono sputtanati prima del pubblico dibattimento spesso utilizzando fatti e dati irrilevanti dal punto di vista penale. Perché le procure con la complicità di buona parte dei gip che fanno copia e incolla tendono a celebrare i processi sui giornali e nei telegiornali al fine di rafforzare le loro tesi che a volte non trovano riscontro. Ma anche in quei casi il danno è fatto e non c’è assoluzione che tenga.
    Con le ordinanze cautelari a disposizione i giornali agiscono in genere senza il minimo spirito critico. I testi delle intercettazioni diventano una sorta di Vangelo. Spesso nel fango finiscono anche persone non indagate. La formula per coinvolgerle è la solita: “spunta Tizio, spunta Caio”. E non c’è difesa della propria immagine e onorabilità.
    Nessuno può essere sputtanato prima del processo e questo vale per tutti dai colletti bianchi fino si poveri cristi.
    Premesso e detto ciò va valutato il pulpito da cui arriva la predica che ha portato all’approvazione del divieto in questione. L’input viene da un governo dove un sottosegretario ha spiattellato a un deputato del suo partito per giunta coinquilino informazioni riservate sulle condizioni di detenzione di un anarchico ritenuto da politici magistrati e giornalisti il pericolo pubblico numero uno.
    Quelle informazioni rubricate come riservate furono utilizzate dal deputato nel regolamento di conti tra i partiti sempre sulla pelle dell’ansrchico torturato in regime di 41 bis.
    Il sottosegretario è finito sotto processo ma qui non interessa se sarà assolto o condannato. Emerge che il più pulito ha la rogna e questo vale sia per chi ha approvato il divieto sia per chi grida contro il bavaglio nel nome di una pretesa libertà di stampa che serve per aggredite gli avversari politici e non per informare i cittadini.
    (frank cimini)

  • Cospito, solo libri da biblioteca 41bis da quella centrale no

    Alfredo Cospito detenuto in regime di 41bis nel carcere di Sassari Bancali l’unica cosa che può fare per passare il tempo è leggere che tra l’altro resta la sua passione da sempre. Ma può diciamo rifornirsi solo dalla biblioteca destinata ai reclusi del 41bis. Nella giornata di ieri racconta l’avvocato Maria Teresa Pintus che assiste l’anarchico insieme a Flavio Rossi Albertini è stata celebrata un’udienza davanti al Tribunale di Sorveglianza
    L’oggetto del contendere era la possibilità di accedere all’elenco dei libri contenuti nella biblioteca centrale del carcere perché in quella del 41bis sono veramente un numero limitato.L’avvocato ha chiesto anche di poter utilizzare i libri contenuti nella biblioteca del comune di Sassari.
    Il pm ha chiesto ai giudici di rigettare il reclamo perché non si tratta di un diritto e perché i libri non possono entrare da altre vie. La richiesta ovviamente faceva riferimento alla possibilità di ricevere i libri attraverso gli agenti penitenziari. Ma il magistrato non ha voluto sentire ragioni.
    Adesso il Tribunale di Sorveglianza a ha cinque giorni di tempo per decidere ma si tratta di un termine assolutamente non perentorio. Insomma la tortura continua. I libri evidentemente nella logica dei burocrati del carcere sono un pericoloso veicolo di messaggi, soprattutto quelli della biblioteca centrale della prigione per non parlare di quella del Comune di Sassari.
    Per il resto Alfredo è in attesa della fissazione dell’udienza sulla revoca del 41bis chiesta dagli avvocati dopo la mancata risposta del ministro Nordio. Se ne occuperà il Tribunale di Sorveglianxa di Roma l’unico in tutta Italia dove si discutono i reclami contro l’applicazione del carcere duro.

  • Perché è impossibile trovare un’etica nei casi di cronaca (compresa la storia di Giulia)

    Che dovessimo studiare semiotica, teorie della comunicazione di massa, analisi dei media per fare i giornalisti ci sembrava in certi lunghi pomeriggi passati in via Sant’Agnese, a Milano, un po’ una perdita di tempo. Volevamo stare in redazione, scendere nell’aula del seminterrato e parlare di pezzi, interviste, foto, realtà. Poi c’era un professore che veniva dal centro San Fedele, padre Luigi Bini, un gesuita svizzero che a volte ci sembrava un marziano con le sue lezioni di etica della comunicazione.

    Passati circa venticinque anni mi viene spesso da pensare a quei colleghi della scuola di giornalismo dell’Università Cattolica, se anche a loro, guardando i Tg, leggendo i giornali, scrivendo articoli o commissionando pezzi, capiti di ritrovare qualcosa di già detto e previsto dalle analisi e le dinamiche che studiavamo in quegli anni. A me capita. Quando vedo le notizie da prima pagina, e scelgo la parola vedere apposta, mi prefiguro già la puntata successiva, come una serie di una piattaforma con tutti i passaggi e le variabili. Così prevedibili sono la realtà e l’umana natura? La risposta è no.

    Visto il luogo in cui uscirà questa sequenza di frasi, in uno spazio digitale, stilisticamente addomesticato alla brevità e alla perentorietà anche, non posso permettermi troppe divagazioni e andrò subito al punto.

    Perché quando vediamo i protagonisti di questi fatti da prima pagina ci aspettiamo invece qualcosa di nuovo, sorprendente e definitivo che porti a una svolta, un insegnamento, un’esemplarità? 

    E’ per quella cosa che dice il Censis, cioè il sonnambulismo dell’ipertrofia emotiva? Cioè l’essere sollecitati talmente tanto da un diluvio di emozioni, dolore, rabbia, indignazione, da non sentire più niente e allo stesso tempo rimanere sempre nell’attesa di un risveglio? Che qualcosa finalmente accada e ci spieghi cosa è successo prima o cosa ci siamo persi?

    Si. Questo «sì» vale però come effetto, non come causa. Prima c’è un altro meccanismo che agisce, il diventare appena si entra nel setting della notizia, sia come lettore e attore, un altro essere, finzionale, un personaggio della stessa rappresentazione mediatica.

    Entri persona reale con il tuo vissuto, il tuo passato, esci mutato e mutante, a seconda dell’inclinazione che riesci a prendere sotto il peso inerziale dell’immaginario mediatico.

    Diventi una persona simbolica, una maschera, come il personaggio della relazione sociale pensato  a Chicago da Goffman che faceva partire questo meccanismo molto prima, dalla vita quotidiana stessa. Figuriamoci per chi ascende agli onori o discende nei disonori della cronaca. Se si guarda bene è già un ruolo. Il padre, la madre, il giudice, il medico, la vittima, il soccorritore, il corrotto, il freak, il protagonista, l’aiutante, l’antagonista e la principessa. Uso queste ultime quattro figure per mostrare a cosa sto pensando, a Propp e alla sua morfologia della fiaba. C’è una morfologia della notizia che non sfugge a una simile forma, non c’è niente da fare, è l’inerzia dell’immaginario, una sorta di peso gravitazionale del nostro accadere, un recinto che ci chiude ma che ci protegge anche da realtà non classificabili che possono sempre accadere, evocate come un ignoto temibile dietro l’angolo.

    Una volta reificato, il personaggio-maschera può parlare alla massa uniformata del mondo delle correnti social che acchiappano visualizzazioni, A questo punto tutto quello che si intravvedeva di personale e unico si traduce in un linguaggio base, da paniere Istat del parlato italiano. Le parole diventano hashtag perché solo così funzionano, aggregate a flussi tematici. I discorsi ampi e articolati si frantumano in pochi secondi di reel, ripetuti senza dover cliccare la funzione restart, basta poi un gesto di un pollice per passare a un altro flusso.

    Entri subito, se non fosse per quella cosa che giudichiamo noiosa dei cookies, nella macchina economica di questo sistema, fino a determinare in una scala dimensionale le pubblicità che valgono di più se porti la pagina a moltiplicare le visualizzazioni, le home page più cliccate, fino ad alimentare le aspettative dell’audience tv e richiamare gli ingaggi delle società di produzione, gli uffici di comunicazione che dettano le scalette.

    Tutto questo apparato non si vede, riesce a non disturbare la trasparenza del media. Non fa vedere l’artefatto, sembra tutto vero e autorevole come quella frase che si diceva nel periodo dell’Archeotv «l’ha detto la televisione» o ai tempi della radio, l’antenata di tutto questo sistema come ci spiegava il professore Giorgio Simonelli con il suo piglio gentile ad equilibrare qualche conclusione apocalittica.

    E al famoso lettore, cioè a chi digita, legge, guarda, allettato da una grande notizia, dove la realtà da mostrare sembrava tanta e vivida con tante cose da svelare, con protagonisti ricchi di valori e/ o disvalori, dove si assicura una mobilitazione di pensieri tali da richiamare la spiegazione importante del pensatore onnisciente che deve però parlare poco, giusto per abbozzare un senso,  al famoso lettore, dicevamo, ora non sembra abbastanza.

    Manca l’insegnamento, un’etica definitiva, un ecco adesso ci siamo, ricordiamocelo, fissiamolo per sempre come un mai più del nostro comportamento. Mai più tragedie, mai più guerre, mai più incidenti, mai più. Seguono la delusione e poi l’accusa. La storia non regge la missione iniziale, c’è qualcosa della materia bruta che non riesce ad entrare nel making of e annulla le aspettative. C’è disorientamento, come l’effetto di un neon sparato negli occhi, che cancella le sfumature, i rilievi, le profondità. Sempre nella nostra scuola della Cattolica, Alberto Negri, professore di Semiotica del testo audiovisivo, parlava proprio di neon-tv per descrivere l’abbaglio che sembra mostrare le cose in modo più vivido ma in realtà le cancella per sovraesposizione.

    E che facciamo?  Qualcuno comincia a ribellarsi e a parlare dell’assenza di un contesto comune di valori che ci possa tutelare da questi abbagli e dalle false speranze, «ai miei tempi», «eccetera eccetera», fino a pensare che è meglio starsene rintanati nelle nostre piccole comunità, aver voglia di spegnere tutto come soluzione (tentazione a cui in realtà io cedo volentieri, ndr). Anche questo un già visto e previsto. Uscire da questa che i massmediologi chiamano infosfera non è però possibile. Cercare di prenderne le distanze si, almeno per vedere come funziona (riprendere in mano gli appunti di Padre Bini, nel mio caso) o provare a vederci da fuori, come faceva Lorenz con le oche.

    Un’etologia prima dell’etica, e sarebbe già tanto.

    Giusi Di Lauro

  • Dalla Scala a Askatasuna è tempo di polizia musicale

    Dalla Scala al centro sociale Askatasuna di Torino sta vivendo il suo momento magico una sorta di polizia musicale. Dopo la brillante operazione del 7 dicembre con l’identificazione del loggionista da parte della Digos questa mattina è scattata l’operazione della Questura di Torino, che ha coinvolto il centro sociale occupato Askatasuna di corso Regina Margherita 47. A quanto si apprende scrie l’agenzia Ansa sotto la dettatura dei poliziotti l’intervento è stato eseguito, insieme ai vigili del fuoco, all’Asl e agli ispettori Spresal in base al decreto di ispezione firmato dal procuratore aggiunto Vincenzo Pacileo. Questo fa seguito alle iniziative di spettacolo che, senza autorizzazione, Askatasuna svolgeva all’interno dell’edificio occupato alla fine negli anni Novanta. Inoltre durante le serate venivano somministrate bevande e alimenti alle centinaia di persone che pagavano per assistere agli spettacoli. Sono state riscontrate dicono diverse irregolarità agli impianti elettrici, alle uscite di sicurezza, l’utilizzo di caldaie a legna, a pellet e a gas. Ci sono state anche modifiche strutturali all’immobile di proprietà del Comune e rilevate pessime condizioni igienico sanitario, con grave rischio, secondo gli inquirenti, per l’incolumità non solo dei clienti, ma degli stessi organizzatori degli eventi e per chi tutt’ora dorme all’interno di Askatasuna una decina di persone, che oggi sono state denunciate dalla Digos anche per occupazione abusiva dell’edificio.
    Erano già stati sequestrati gli impianti per le serate musicali. Insomma la repressione senza sovversione si occupa di musica perché la Digos non ha niente di meglio da fare. A Milano era stata mandata dal questore a identificare formalmente un loggionista frequentatore della Scala da oltre 40 anni di cui avevano già le generalità. Il questore e il ministro dell’Interno avrebbero dovuto mettere nel conto in anticipo che ne sarebbero nate roventi polemiche. Ma i ciucci presuntuosi o non ci hanno pensato oppure hanno voluto dimostrare che lo stato ce l’ha duro. Giovedì scorso a Milano e oggi a Torino in Askatasuna il centro sociale da cui sono letteralmente ossessionati soprattutto a causa del contributo alla lotta contro il treno dell’alta velocità.
    (frank cimini)

  • 12 dicembre bomba fascista depistaggio antifascista

    Il libro “strage di stato” fu il simbolo della campagna di controiformazione sull’attentato di piazza Fontana che conteneva un giudizio prettamente politico che ha trovato ampio riscontro nella realtà al di là di quello che sostengono statolatri in servizio permanente effettivo sia di vecchia data sia di più recente investitura da parte dei media.

    Ovvio non ci sono prove formali per affermare che uomini dello Stato ordinarono il collocamento della bomba alla sede della Banca nazionale dell’Agricoltura. Furono i fascisti ad agire anche se Freda e Ventura essendo stati già assolti in precedenza non fu possibile processarli ancora per lo stesso fatto e con la stessa imputazione.

    Ma iniziò da subito con la manovra repressiva contro gli anarchici un depistaggio di Stato che dura tuttora e di cui sono responsabili apparati investigativi, di intelligence e forze politiche legate a quello che da sempre viene solennemente e pomposamente definito “lo Stato democratico nato dalla Resistenza antifascista”.

    Per esempio non è stata valutata fino in fondo la presenza in questura a Milano di dirigenti dei servizi segreti arrivati immediatamente da Roma a coordinare le indagini di cui parlano diffusamente l’avvocato Gabriele Fuga e Enrico Malatini nel libro dal titolo “La finestra e’ ancora aperta” dedicato alla morte dell’anarchico Pino Pinelli.

    Quando furono desecretate molte carte negli anni 90 ed emersero quelle presenze dei servizi fino ad allora sconosciute la magistratura non fece il diavolo a quattro per approfondire. Lo Stato non può processare se stesso e si trattava, si tratta del famoso “stato democratico”, anche se a seconda guerra mondiale finita non aveva subito la necessaria defascistizzazione perché gli uomini del ventennio furono utili alla guerra contro i comunisti.

    E ancora. Dal momento che era in corso negli anni 70 uno scontro sociale durissimo sfociato in guerra civile a bassa intensità (ma neanche troppo bassa in verità) ai partiti al governo e all’opposizione tutti insieme affratellati diciamo che non sembrò il caso di andare a vedere che cosa era veramente accaduto a piazza Fontana e dintorni.

    E fu in quel clima in quel contesto politico che si mise la pietra tombale sul caso di Pino Pinelli. Da un lato non potevano più dire che era stato suicidio ma dall’altro non potevano “infangare” le cosiddette forze dell’ordine di uno stato democratico di aver defenestrato un fermato dopo averlo trattenuto per un tempo superiore ai termini fissati dalla legge.

    E così saltò fuori ”il malore attivo” per salvare capra e cavoli firmato da un giudice legato al Pci, Gerardo D’Ambrosio. Si era da due anni in pieno compromesso storico proposto da Berlinguer dopo il golpe cileno. E da lì partirono a livello mediatico una serie di panzane con il commissario Calabresi e Pinelli messi sullo stesso piano, “due brave persone”. Calabresi era il più alto in grado al momento dei fatti, la stanza era la sua. Come minimo sapeva che cosa era accaduto al di là della sua presenza fisica o meno nei metri quadrati dell’interrogatorio. Si guardò bene il poliziotto che alcuni vorrebbero addirittura santo dal raccontare degli 007 venuti dalla capitale. Insomma “il santo” agiva da copertura.

    51 anni dopo rispunta il generale Maletti riparato in Sudafrica a dire di aver saputo che Pinelli veniva interrogato sul davanzale della finestra. Uno dei cinque sbirri dell’interrogatorio Vito Panessa intervistato dice: “Pinelli se l’era cercata”.

    La bomba fascista fu l’inizio di questa storia senza fine, il resto lo dobbiamo ai disastri dell’antifascismo, al di là dei comunicati di quel carrozzone burocratico e inutile denominato Anpi e dell’operazione mediatica di una ragazzetta assurta a storica perché porta (e porta male) il cognome del padre che si ingegna a dire che no non fu una strage di Stato. Lo Stato in quanto tale non può che essere innocente, la religione di lor signori (frank cimini)

  • Su Battisti e Cospito il terrorismo dell’antiterrorismo

    Questa mattina il quotidiano Repubblica ha dedicato una intera paginata per cercare di bloccare l’iter di una richiesta di permesso inoltrata da Cesare Battisti sulla base del fatto che il giudice di sorveglianza di Ferrara ha riconosciuto all’ex esponente dei Pac 540 giorni di detenzione scontati in più. Il dato sommato alle detenzioni già subite tra Francia, Brasile e Italia cumula una reclusione di 10 anni che permette di accedere ad alcuni benefici tra i quali la possibilità di chiedere un permesso premio.
    La richiesta sarà valutata prossimamente e sarà il giudice a decidere la lunghezza e le modalità del permesso. L’articolo del quotidiano fondato da Scalfari ovviamente fa riferimento al fatto che l’eventuale concessione del permesso sarebbe una beffa per i parenti delle vittime.
    Va ricordato che Battisti nel percorso di giustizia riparativa (un modello per molti versi oscurantista e reazionario) che ha intrapreso ha chiesto di incontrare i familiari delle vittime anche se questa circostanza non è indispensabile per accedere ai benefici.
    Dal carcere di Massa dove Battisti di recente è stato trasferito in modo che i parenti residenti a Grosseto possano fargli visita sono state fatte uscire le informazioni che Repubblica utilizza per “scandalizzare” la pubblica opinione nella prospettiva che Battisti condannato all’ergastolo per fatti di lotta armata avvenuti oltre 40 anni fa possa trascorrere qualche ora, perché di questo si tratta, fuori dalla prigione, nell’ambito del principio di risocializzazione per i detenuti.
    Con ogni probabilità nel carcere di Massa c’è qualcuno che cerca di fare carriera e si vende le notizie.
    In questo allarmismo generale in materia di terrorismo vanno ricordate le parole usate dal ministero della Giustizia per motivare sulle informazioni comunicate al sottosegretario Andrea Del Mastro in merito alla detenzione dell’anarchico Alfredo Cospito. I funzionari del Dap spiegavano che quelle informazioni era state rubricate “a divulgazione limitata” in relazione a conseguenze di ordine pubblico. Addirittura era stato esplicitato il pericolo di attacchi alle strutture del ministero nell’ambito delle manifestazioni a favore di Cospito. Queste manifestazioni con la partecipazione di qualche centinaio di persone avevano portato a qualche scontro con le forze di polizia e alla rottura di qualche vetrina. Ipotizzare altri fatti molto più gravi e indubbiamente lontanissimi dalla realtà odierna, una repressione senza sovversione, è da irresponsabili e da persone in mala fede che mistificano anche al fine di sentirsi più importanti.
    (frank cimini)

  • Del Mastro a giudizio, conti regolati dentro il potere

    Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Del Mastro è stato rinviato a giudizio per violazione del segreto d’ufficio in relazione a quanto aveva spifferato al collega di partito Giovanni Donzelli sulla detenzione dell’anarchico Alfredo Cospito. Al di là dell’esito processuale che vedrà in aula Del Mastro il prossimo 12 marzo va ricordato che questa è una storia di un regolamento di conti all’interno del potere sulla pelle di un anarchico detenuto e torturato con l’applicazione dell’articolo 41bis.
    Il discorso riguarda anche le polemiche sul rinvio a giudizio con la discussione sulle eventuali dimissioni di Del Mastro. Alfredo Cospito con la sua battaglia contro il 41bis combattuta anche con un lunghissimo sciopero della fame durato sei mesi non c’entra assolutamente niente con le beghe di lor signori.
    La procura di Roma aveva ribadito la richiesta di prosciogliere del Mastro per mancanza dell’evento sogttivo del reato. Il gup ha deciso diversamente sposando in pratica la stessa linea del gip che aveva imposto l’imputazione coatta.
    Intanto il difensore di Cospito l’avvocato Flavio Rossi Albertini ha depositato il ricorso per Cassazione contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma che aveva confermato il 41bis. Secondo il legale la sentenza del Tribunale non era motivata soprattutto perché i giudici non si erano confrontati con il parere della direzione nazionale antimafia e antiterrorismo che aveva chiesto di far uscire Cospito dal 41bis,disponendo la detenzione in regime di alta sorveglianza, appena un gradino inferiore.
    Per la Dna la pericolosità di Cospito era regredita e non sussistevano più le ragioni del carcere più duro. Il Tribunale invece decideva diversamente arrivando addirittura ad affermare che con lo sciopero della fame l’anarchico aveva accresciuto il suo carisma diventando ancora più pericoloso. Perché evidentemente la lista anarchica è eterna.
    ((frank cimini)

  • Anarchica rischia prendere 11 anni in Ungheria per lesioni

    Una militante anarchica milanese rischia di prendere 11 anni di reclusione, questo il patteggiamento prospettato dalla procura, in relazione a lesioni provocate a esponenti di estrema destra nel corso di una contromanifestazione organizzata a Budapest. Ilaria Salis è detenuta dal febbraio scorso e solo in agosto ha potuto incontrare i genitori.
    Le lesioni provocate agli avversari politici erano guarite in sette giorni senza che vi fosse denuncia dalle parti offese dal reato. Per gli stessi fatti l’Ungheria ha chiesto la consegna tramite mandato di cattura europeo di un altro anarchico Gabriele Marchesi che ha appena ottenuto gli arresti domiciliari dalla corte di Appello di Milano su parere conforme della procura generale dopo un periodo trascorso nel carcere di San Vittore.
    Marchesi non ha prestato il consenso al trasferimento in Ungheria. La difesa rappresentata dagli avvocati Eugenio Losco e Mauro Traini, eccepisce l’insufficiente descrizione dei fatti in relazione ai quali è stato chiesto il consenso. La ricostruzione dell’accusa sarebbe priva della indicazione della condotta personale dell’indagato.
    Stando galle accuse delle autorità ungheresi solo per caso le vittime delle aggressione non sarebbero state in pericolo di vita. Gli aggrediti avrebbero riportato lividi sulle teste e sulle gambe. L’aggressione sarebbe avvenuta usando un’asta telescopica, un martello di gomma e spruzzando gas lacrimogeni. Il processo a Budapest inizierà l’anno prossimo. Il 5 dicembre a Milano i giudici decideranno sulla consegna all’Ungheria di Gabriele Marchesi. Considerando l’assenza di querela di parte in Italia il fatto non sarebbe neppure perseguibile. Per cui la corte d’Appello dovrebbe negare il trasferimento di Marchesi a Budapest. E la concessione dei domiciliari già avvenuta va in questa direzione ma il condizionale è d’obbligo.
    (frank cimini)

  • Sette morti da spiegare – indagati vigili, carabinieri e metronotte

    Rachid, Soufiane, Haxhi, Simone, Giovanni, Taissir, Marinela.  Sono sette (sempre che non ci siano stati altri casi, non resi noti) le persone morte quest’anno durante operazioni di servizio (canoniche e non) di forze di polizia pubbliche e private (escludendo omicidi volontari in contesti familiari o di coppia e tragedie in carcere.) Cinque decessi sono o sembrano legati a interventi dei carabinieri (con il supporto della polizia municipale in una vicenda), uno rimanda all’azione dei vigili urbani, uno a guardie giurate.

    Marinela Murati, Vigevano

    L’ultima vittima si chiamava Marinela Murati, aveva 39 anni, una vita complicata e problematiche psichiatriche La mattina del 3 novembre la donna entra nella chiesa della Madonna Pellegrina di Vigevano (nella stessa provincia  dove il 20 luglio 2021 il l’assessore leghista Massimo Adriatici ha ucciso Youns El Boussetaoui, mandato a processo “solo” per eccesso colposo di legittima difesa). Urla, invoca Allah, si inginocchia sul tappeto destinato a un feretro, disturba i fedeli radunati in attesa del funerale. Il parroco non riesce a calmarla e chiama il 112. Accorrono due agenti della polizia municipale. Marinela, diranno, prova a prendere e rovesciare una statua mariana. I vigili la placcano, la ammanettano e la immobilizzano, atterrata a pancia in giù. Un agente, scrive la Stampa, le blocca la testa, asseritamente per impedirle di picchiarla contro il pavimento. L’altro le tiene ferme le gambe. Marinela si sente male, perde conoscenza e muore. I vigili vengono indagati per omicidio colposo, a loro tutela, anche, in attesa dei risultati dell’autopsia. Nel frattempo restano in servizio.

    Rachid Nachat, Castelveccana

    Il primo nome dell’elenco è quello di Rachid Nachat, 33 anni, spirato il 10 febbraio in fondo a un canalone nel bosco dello spaccio di Castelveccana (Varese).  E stato ucciso, è da capire se per legittima difesa o deliberatamente, da un sottufficiale dei carabinieri in giro con un fucile fuori ordinanza e con due colleghi in borghese, travestiti da cacciatori, a detta loro impegnati in un controllo antidroga. Lo sparatore è il maresciallo capo Mauro Salvadori, comandante del nucleo Radiomobile di Luino, sospeso dal servizio e indagato per ora per omicidio volontario, ipotesi di reato che potrebbe essere modificata o decadere. Sostiene che lo straniero lo teneva sotto tiro con una pistola. Lui prima esplode due colpi con l’arma di servizio, puntando a terra, Poi la Beretta si inceppa e allora usa il fucile a pompa personale che ha con sé, un calibro 12 non di ordinanza, caricato a palle di gomma.  Non si sarebbe accorto di aver colpito l’immigrato e alla schiena. Pensa che sia scappato via. Lo cerca senza trovarlo e rientra in caserma, come se nulla fosse successo. La storiaccia viene fuori a posteriori, dopo la telefonata anonima che segnala un corpo nel bosco e la ricostruzione della perlustrazione tra gli alberi, una “caccia all’uomo”, secondo Marco Romagnoli, uno dei legali del fratello della vittima.

    Soufiane Boubagura, Fara Vicentino

    Il 24 aprile 2023 a Fara Vicentino (Vicenza) perde la vita Soufiane Boubagura, 28 anni. Cammina scalzo per strada, grida frasi senza senso, inneggia ad Allah, si appende a un camion. Qualcuno avvisa i carabinieri, arriva una gazzella con due militari. Il capo pattuglia usa il taser per provare a neutralizzare lo straniero. Ma la pistola elettrica, dirà poi il comandante della polizia locale, Giovanni Serpellini, “non ha funzionato”.  C’è una colluttazione. L’immigrato riesce a sfilare la pistola d’ordinanza all’altro carabiniere e spara, centrando uno dei due vigli urbani spuntati nel frattempo. Spara anche il capo pattuglia dell’Arma, uccidendo l’uomo prima che possa esplodere altri colpi. La procura indaga il militare (il vicebrigadiere Stefano Marzari) e l’istruttore della polizia locale ferito (Alex Frusti), finito in ospedale in condizioni critiche. Si ipotizza l’eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi. La morte estingue i reati addebitabili all’immigrato.

    Haxhi Collaku, Padova

    Il 14 luglio 2023, a Padova, quattro proiettili sparati da un carabiniere fulminano Haxhi Collaku, ex professore di matematica, stalker della moglie, con un ammonimento del questore. Quel pomeriggio va sotto casa della compagna assediata, la bordo di un furgone. La figlia si preoccupa e attiva i carabinieri. L’uomo scende dal veicolo, si lascia controllare e indentificare. Poi sale, accende il motore e preme sull’acceleratore per lanciare il veicolo contro la pattuglia. Smonta dal furgone, con un coltello in pugno, e si avvicina al militare che ha travolto, con gravi lesioni a una gamba. Il collega gli spara e lo ferisce, lasciandogli pochi minuti di vita. Il comandante dei carabinieri di Padova, Gaetano La Rocca, dichiarerà: «Secondo i primi accertamenti, le procedure adottate dai nostri militari sono state impeccabili e completamente aderenti ai documenti d’azione». Il carabiniere che ha utilizzato la pistola, Vittorio Stabile, è indagato dalla procura per eccesso colposo di legittima difesa.

    Simone Di Gregorio, San Giovanni Teatino

    A San Giovani Teatino (Chieti), domenica 13 agosto 2023, c’è un uomo che corre nei pressi della ferrovia, nudo, agitato. Si chiama Simone Di Gregorio, ha 35 anni. Anche qui arriva una pattuglia di carabinieri. Per fermarlo i militari usano il taser, a distanza. Uno dei due dardi sembra non vada a bersaglio o l’uomo comunque non si placa. Viene visto prendere a testate una macchina in sosta. Poi è fermato e caricato su una ambulanza. Gli è somministrato un calmante, non è dato sapere da un medico o un barelliere. All’ospedale di Chieti ci entra morto. I rappresentanti delle associazioni Uniarma e Fsp, prima ancora del deposito dei risultati dell’autopsia, sulla base delle prime indiscrezioni escludono che il decesso sia legato all’utilizzo del taser, corretto o improprio che sia stato. Dovrebbe esserci una inchiesta per omicidio colposo. Non è dato sapere se la pistola elettrica sia stata sequestrata e periziata.

    Giovanni Sala, Milano

    Due vigilantes dell’Italpol, Enrico Scatigno e Dario Vincenzo Carbonaro, sono indagati per la morte di Giovanni “Gianni” Sala di 34 anni e sarebbero state sospesi dal servizio. L’ipotesi di reato è omicidio colposo. Succede tutto nella notte tra il 19 e il 20 agosto. Le telecamere di sorveglianza riprendono la scena, un crudo video rilanciato da Repubblica. Pantaloncini neri, petto nudo, scarpe da ginnastica, l’uomo fa avanti e indietro davanti alla sede Sky di Milano. Sembra alterato. Prova più volte a entrare ed è cacciato via. Torna. Viene atterrato due volte, picchia la testa contro il marciapiede. Un vigilante gli mette un ginocchio sulla schiena, gli si siede sopra e lo immobilizza. Passano sette minuti, il “fermato” smette di respirare. Il collega prova fargli un massaggio cardiaco, ma non serve a niente. E solo a questo punto, troppo tardi, vengono chiamati i soccorritori del 118,- L’autopsia documenta che Giovanni Sala è morto per arresto cardiocircolatorio e non riscontra fatture evidenti o lesioni a livello toracico. “Ciò non vuol dire – rimarca l’avvocato dei familiari, Giuseppe Geraci – che Gianni non sia morto per problemi di soffocamento. Sono state trovate raccolte di sangue, ematomi, sia sotto il collo sia sul viso, alla guancia destra. Questo è indice di una attività pressoria o contusiva”.

     Taissir Sakka, Modena

    La penultima vittima, sempre in circostanze tutte da chiarire, è il trentenne tunisino Taissir Sakka. Lui e il fratello Mohamed Alì, sabato 14 ottobre 2023, bevono, disturbano, infastidiscono i clienti del al circolo Arci di Ravarino, in provincia di Modena. I gestori chiamano i carabinieri. I due vengono portati in caserma, schedati, indagati per ubriachezza molesta e rilasciati, poco prima di mezzanotte. Sembrano tranquilli, ripresi dalle telecamere di sorveglianza.  Si separano. Domenica mattina Sakka è trovato senza vita nel parcheggio del dopolavoro ferroviario e del cinema Filmustudio 76 de capoluogo emiliano, il volto tumefatto, una botta alla nuca. Poche ore dopo il fratello va in questura e denuncia che entrambi sono stati picchiati. La procura comunica di aver iscritto nel registro delle notizie di reato sei carabinieri, uno per minacce, lesioni e “morte come conseguenza di altro delitto” (senza precisare quale) e cinque “solo” per lesioni. L’autopsia non evidenzia traumi correlabili al decesso. Pe avere certezze bisognerà aspettare i risultati degli esami in corso, analisi tossicologiche e isto-patologiche. Per gli indagati per questa morte, e per tutte le altre, vale la presunzione di non colpevolezza.

    Lorenza Pleuteri, giornalista indipendente e collaboratrice di Osservatoriodiritti.it.

     

     

     

     

  • Si a Cd musicale per Cospito ma Dap ricorre. È il 41bis

    Non basta che un giudice di sorveglianza decida che Alfredo Cospito ha diritto ad avere un Cd per ascoltare musica. Il Dipartimento della amministrazione penitenziaria ha presentato ricorso e sarà adesso un collegio a fare la scelta. Insomma il 41bis con le sue durezze anche quelle più assurde non demorde. Nel ricorso si fa l’esempio dei cantanti neo melodici che esaltano la criminalità organizzata. Inoltre il personale penitenziario sarebbe gravato dai controlli da esercitare sui contenuti della musica.
    I canali Tv e radio dovrebbero essere sufficienti secondo il Dap a soddisfare le esigenze dei detenuti che intendono ascoltare musica.
    Insomma siamo al l’accanimento terapeutico esemplificato anche dalla circostanza che gli erano state bloccate un paio di magliette ricevute in regalo perché avrebbero contenuto il disegno di teschi.
    Per ascoltare musica è presumibile che L’anarchico debba aspettare alcuni mesi perché sono questi i tempi del tribunale di sorveglianza per fissare l’udienza sull’impugnazione fatta dal Dap.
    Secondo il giudice Eugenie Giovannelli va rispettato il diritto di ascoltare musica come attività culturale e ricreativa.
    Ma il Dap è lì per cercare il pelo nell’uovo con una dedizione degna di miglior causa. Ovviamente qui siamo ben oltre lo spirito e la lettera dell’articolo 41bis il cui obiettivo è quello di evitare contatti con le organizzazioni criminali di appartenenza. In realtà il carcere duro in queste modalità serve ad annientare l’identità culturale e politica delle persone come del resto succedeva negli anni 70 e 80 con l’articolo 90. La musica per stare in tema purtroppo è sempre la stessa. (frank cimini)

  • La vera storia del sequestro di 779 milioni a Airbnb

    La storia si ripete ancora una volta. La magistratura si occupa di quello di cui non si dovrebbe occupare oltre a occuparsi male e in mala fede di ciò che per dovere le spetta. Parliamo della guardia di finanza che per disposizione del gip attivato dalla procura di Milano sequestra 779 milioni di euro a Airbnb. Ormai da anni scrive il giudice ha assunto la deliberata opzione aziendale di non conformarsi al versamento della cedolare secca per non rischiare fette di mercato in favore della concorrenza. “Da qui il pericolo di aggravare le conseguenze del reato contestato – aggiunge il gip – sia per il mancato incasso del debito erariale da parte della pubblica amministrazione sia per il danno agli altri operatori”.

    Qui non si tratta di difendere l’operato di una multinazionale. E’ il modo di contrastare che suscita perplessità perché considerando la storia di queste indagini per evasione fiscale la procura si sostituisce all’Agenzia delle entrate vantando il nobile fine di recuperare soldi per l’erario che in realtà non dovrebbe rientrare tra le sue attività istituzionali. I pm hanno il compito di portare persone fisiche e giuridiche davanti ai giudici. Punto. Il resto spetterebbe ad altri e il condizionale è d’obbligo visto come vanno poi le cose.

    Sempre a Milano ai suoi tempi, pochissimo temo fa, praticamente ieri, il procuratore aggiunto Francesco Greco, ex sovversivo, fece la sua campagna elettorale per diventare capo dell’ufficio, con una serie di indagini sui cosiddetti colossi del web, dove non si arrivò mai alla celebrazione di processi. Servirono queste pratiche ad acquisire con il concorso determinante dei giornali ulteriore peso mediatico in modo da influenzare il Consiglio Superiore della Magistratura chiamato a decidere sulla nomina.

    La multinazionale di turno, come presumibilmente succederà anche per Airbnb, patteggiava con l’Agenzia delle Entrate dietro la quale si muoveva la procura versando una somma che si sarebbe rivelata non più del cinque per cento di quanto avrebbe pagato se si fosse arrivati a un regolare processo in caso di condanna.

    Tutti felici e contenti si fa per dire. In realtà la multinazionale risparmia una montagna di soldi proprio mentre la magistratura derogando dal suo ruolo si vanta di agire a favore della cittadinanza. Non è una bella storia. Ma niente di nuovo sotto il sole in un paese in cui i magistrati fanno politica aumentando il potere della lo casta, i politici fanno i giudici o illudendosi di farlo. Questa di Airbnb appare come l’ennesima favola che con il contributo dei media incapaci di spirito critico viene rifilata ai lettori e ai cittadini, in verità oppressi e ossessionati da più parti da chi millanta di fare i loro interessi.

    La sensazione è proprio che non se ne esca. Senza speranze in un paese in cui l’evasione fiscale resta altissima per responsabilità principale della politica ovviamente ma come si vede altre categorie altre autorità sembrano fare di tutto per dare il loro rilevante contributo.
    (Frank cimini)

  • Massacro mediatico di un giudice il Csm dorme

    Le cosiddette pratiche a tutela di un magistrato il Csm le apre per molto meno di quello che sta accadendo a Tommaso Perna massacrato mediaticamente dopo aver detto di no a 140 arresti chiesti dalla procura di Milano che ipotizzava una cupola a tre teste Cosa Nostra ‘Ndrangheta e camorra a fare il bello e cattivo tempo in Lombardia.
    “Così la lotta alla mafia torna indietro di 30 anni” – “Non ha capito che il modello di criminalità organizzata si è evoluto” – “Ha fatto copia incolla con il parere di un avvocato” (che c’entra niente con l’inchiesta n.d.r..). Sono i rimproveri le accuse dei colleghi della procura amplificati dai giornali, Il Fatto e Repubblica soprattutto, assetati come sempre di sangue, arresti, condanne. Altrimenti per loro non c’è giustizia.
    Il Csm in questo caso dorme e una spiegazione c’è. La pratica a tutela viene aperta quasi automaticamente se il magistrato finisce nel mirino di esponenti politici. In caso contrario succede nulla o quasi, soprattutto se si tratta di “diatribe” tra magistrati. Al Csm interessa solo se c’è di mezzo la politica. E questo conferma che siamo davanti a un organismo politico, una sporta di terza Camera. Altro che organo di autogoverno della magistratura come da sempre viene pomposamente definito dagli addetti ai lavori, utilizzando un termine sbagliato anche tecnicamente.
    Tanto per fare un esempio. Nell’ambito del caso Eni-Nigeria i pm Paolo Storari e Fabio De Pasquale se ne sono dette di tutti i colori si sono insultati a verbale e anche nell’aula del processo in corso a Brescia che vede imputato De Pasquale.
    Eppure i due magistrati continuano a stare nello stesso ufficio, la mitica procura di Milano perché il Csm brilla sul punto per la sua assenza. Si fa scudo e alibi delle vicende penali in corso.
    Per cui nulla di nuovo sotto il sole se il giudice Tommaso Perna viene lasciato in balia del circo mediatico. C’è stato solo un comunicato del presidente del Trobunale Fabio Roia per ricordare che il controllo del gip sui pm non è patologico ma fisiologico.
    Il giudice che non arresta insomma non ha diritto di essere tutelato da parte di chi sarebbe obbligato a farlo idtituzionalmente. Di recente per il giudice siciliano Iolanda Apostolico il Csm ha aperto la famosa pratica. Ma Appstolico era stata attaccata dai politici di centrodestra. Tommaso Perna di è limitato ad applicare il diritto decidendo che il reato di associazione mafiosa non c’era. I giornaloni schierati con l’arresto a tutti i costi lo stanno trattando come un incapace o un deficiente. Al Csm non frega niente. È la giustizia bellezza, è la libera stampa bellezza. E noi possiamo farci niente.
    (frank cimini)

  • Gip può copiare ma solo da pm, da altri è scandalo

    In un paese in cui praticamente da sempre molti provvedimenti dei gip sono o appaiono dei copia-incolla con le richieste dei pm adesso nel palazzo che fu teatro di Mani pulite fa scandalo che nella motivazione con cui il gip Tommaso Pena ha rigettato 140 richieste di carcere per associazione mafiosa vi sia uno stralcio di uno scritto proveniente da un blog personale dell’avvocato Salvatore Del Giudice.

    Si tratta di un parere del legale espresso in una sede del tutto estraneo all’inchiesta ma che provoca l’indignazione veramente degna di una miglior causa del pm che inserisce la circostanza tra i motivi del ricorso al Tribunale del Riesame.

    La questione veniva sottolineata con forza da un pezzo apposito dal quotidiano Repubblica che per questa vicenda di arresti respinti appare praticamente a lutto. Sulla vicenda interviene il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia per ribadire che il controllo del gip sui pm non è patologia ma fisiologia. “Il gip Tommaso Perna – scrive Roia – ha ricevuto numerose critiche e attenzione mediatica nelle ultime ore da vari organi di stampa con accuse di aver interamente copiato alcuni passaggi chiave da avvocati”.

    Roia aggiunge che c’è stato un assoluto rispetto delle regole codicistiche e di organizzazione del lavoro giudiziario. In pratica risponde a una frattura e differenza di visioni tra alcuni ufficiali dei carabinieri che hanno condotto l’indagine i quali ritenevano ci fosse un altro gip pronto a confermare l’impianto accusatorio. Il presidente del Tribunale precisa di parlare a prescindere dal merito della vicenda che sarà oggetto di ulteriori valutazioni nei gradi successivi di giudizio.

    La procura della Repubblica in un comunicato da’ atto al gip di aver riconosciuto il suo lavoro decidendo 11 arresti e il sequestro preventivo di società e beni riconducibili agli indagati per 225 milioni di euro. “Non ha ritenuto di condividere l’impianto accusatorio in relazione all’esistenza di un’unica struttura associativa. La direzione distrettuale antimafia ha già proposto appello al Riesame” conclude il procuratore Marcello Viola.

    Il Tribunale del Riesame farà la sua valutazione. Comunque va ricordato che il giudice delle indagini preliminari Tommaso Perna ha esaminato per alcuni mesi le carte a partire dal giorno delle richieste di arresto po integrate con altra documentazione allegata. I giudici del Riesame dovranno decidere in pochi giorni valutando la posizione di 140 persone. Insomma almeno al momento appare più probabile una conferma della decisione del gip che un ribaltamento.
    (frank cimini)

  • La mafia a 3 teste non c’è. Da pm buco nell’acqua

    Probabilmente si tratta del flop più clamoroso di chi indaga sulle mafie. La procura di Milano aveva chiesto 153 arresti in carcere ipotizzando una collaborazione tra Cosa Nostra, camorra e ‘Ndrangheta nel capoluogo lombardo. Il giudice delle indagini preliminari ne ha firmato solo 11 spiegando che il reato associativo non c’è e inoltre mancano le prove sulle responsabilità di un cugino di Matteo Messina Denaro le cui generalità evidentemente dovevano servire per fare titolo sui giornali e sui tg.

    L’ipotesi della procura era anche scenografica, spettacolare. I nomi di tre diverse organizzazioni nel corso di riunioni al vertice tra il marzo 2020 e il gennaio dell’anno successivo avrebbero creato un’alleanza in cui le singole componenti davano vita a un’unica associazione all’interno della quale tutto apportavano capitali, mezzi mobili e immobili risorse anche umane, reti di relazione. L’organismo sempre secondo l’accusa avrebbe trovato nell’imprenditore Gioacchino Amico, arrestato, il suo fulcro nell’area milanese, nei pressi di Busto Arsizio e a Magenta.

    Era stato ipotizzato un gruppo che nel rispetto dei rapporti con le cosche di origine avrebbe avuto una propria organizzazione, un proprio autonomo programma, di regole e ritorsioni per chi le violava. Ovviamente la procura nella richiesta di arresto scriveva di contatti con esponenti del mondo politico, istituzionale, imprenditoriale, bancario per ottenere favori, notizie riservate, erogazione di finanziamenti, il tutto per rafforzare la tentacolare organizzazione a tre teste.

    Filippo Crea, presunto s aderente alla ‘Ndrangheta, in una delle tante intercettazioni che dilagano in una ordinanza di 2050 pagine vantava “un bel pacchetto di voti perché posso portare deputati e senatori”.

    Gli indagati si muovevano in diversi settori dalla sanità alla gestione dei parcheggi. La montagna però ha partorito il topolino perché alla fine ci sono stati solo 11 arresti con le accuse a vario titolo di porto d’armi, due estorsioni aggravate dal metodo mafioso, minaccia aggravata, traffico di droga, evasione fiscale.

    Il gip Tommaso Perna spiega che una volta affermata la natura innovativa “addirittura unica nel panorama storico e geografico della nazione, sarebbe stato onere dell’organo requirente quello di individuare e tipizzare una autonoma associazione criminale che mutui il metodo mafioso da stili comportamentali usati da clan operanti in altre aree geografiche”. La procura avrebbe dovuto accertare che l’associazione fosse radicata sul territorio e avesse acquisito in particolare la forza di intimidazione richiesta per integrare il reato di associazione mafiosa. Insomma invece di chiedere gli arresti i pm avrebbero dovuto continuare a indagare. Non l’hanno fatto. Un buco nell’acqua si.
    frank cimini

  • Anche i ricchi bimbi viziati non meritano la gogna

    Nessuno merita la gogna, neanche il più feroce degli assassini e nemmeno dopo la sentenza della Cassazione. Sembrerebbe superfluo dirlo ma in questi tempi bui va precisato per stare alla strettissima attualità neanche i ricchissimi bambini viziati adorati dalle folle perché prendono a calci una palla di cuoio possono subire la sorte toccata in quel di Coverciano nel rito della nazionale a Tonali e Zaniolo.
    Gli inquirenti che da tempo conoscevano i loro nomi come scommettitori su una piattaforma digitale abusiva hanno mandato di fretta la polizia giudiziaria a raccogliere la loro versione dei fatti perché sarebbero stati presi in contropiede dalla notizia arrivata urbi et orbi da Fabrizio Corona che l’aveva addirittura preannunciata per creare suspence.
    Corona è il vero dominus di questa inchiesta. Ne decide in pratica i tempi e le mosse sulla base di informazioni che non si sa da chi arrivino. Le sue parole vengono offerte ai giornali e alle Tv dalle agenzie di stampa con lanci stellettati della massima urgenza che una volta quando questo era un mestiere serio si usavano esclusivamente per notizie boom tipo la morte del Papa.
    Adesso invece accade per avvisi di garanzia che a livello penale porteranno al massimo a un’ammenda dal momento che la scommessa illecita è considerato un reato lievissimo quasi un non reato a meno che il fatto non riguardi gli organizzatori del “giro”.
    Certo c’è in parallelo la giustizia sportiva che rischia di troncare la carriera di questi ragazzi che si trovano ogni mese un bonifico di decine anche centinaia di migliaia di euro, che si annoiano e vanno alla ricerca di dosi di adrenalina. Il pelo di quella lana di cui dispongono in grande quantità evidentemente non basta perché sanno come va a finire.
    La scommessa invece porta sorprese belle o brutte che siano. E loro “giocano” riuscendo persino a indebitarsi nonostante la gran quantità di piccioli a disposizione. Adesso sono al centro dell’attenzione generale vittime di una gogna vergognosa per chi l’ha messa in piedi e per la quale come accade in tutte le gogne non pagherà mai dazio. Colpevoli ancora prima di qualsiasi accertamento per non parlare di processi. Certo ci sono tre calciatori che hanno già ammesso le loro responsabilità. Uno Fagioli spiega di essersi autodenunciato alle autorità sportive ma lo aveva fatto dopo aver saputo dell’indagine della magistratura.
    I pm di Torino mentre indagavano sulla criminalità organizzata si imbattevano nella piattaforma illegale di scommesse con cui i calciatori erano entrati in contatto per il divieto di “giocare” normalmente a puntare soldi. Pensavano di aggirare l’ostacolo ma hanno sbattuto il muso contro il muro. E stanno pagando un prezzo spropositato molto prima che loro responsabilità vengano accertate fino in fondo.
    La storiaccia sembra solo all’inizio. Altri giocatori saranno coinvolti, la gogna continuerà per un bel po’ e bel difficilmente risanerà il mondo compreso il mondo del calcio che fa schifo da tempo immemore. E dove Fabrizio Corona non poteva che trovarsi a suo agio.
    (frank cimini)

  • Cospito, giudici: in 41 bis divieto leggere stampa locale

    Il Tribunale di Torino rigettando il reclamo della difesa ha confermato per L’anarchico Alfredo Cospito il divieto di leggere i giornali dell’area di provenienza perché questo potrebbe aiutarlo a mantenere i collegamenti con l’organizzazione di appartenenza. Secondo il collegio della terza sezione penale va evitato lo scambio di informazioni con altri soggetti facenti parte di una organizzazione terroristica. Le disposizioni stando ai giudici appaiono tutt’altro che discriminatorie verso la persona di Alfredo Cospito e non ci sarebbe alcuna violazione di articoli della Costituzione. Viene citata una sentenza della Cassazione del 2014 che giustifica il divieto causa esigenze di pubblica sicurezza.
    Se ne può tranquillamente dedurre che è in primo luogo la giurisprudenza sul punto ad essere molto poco garantista. E i giudici se ne fanno scudo per lavarsene le mani. Di ricorrere alla Corte Costituzionale mandando gli atti dei procedimenti non se ne parla proprio insomma.
    Lo stesso collegio nell’ordinanza conferma anche il divieto di corrispondenza tra detenuti ristrettì al 41 bis. I difensori Flavio Rossi Albertini e Maria Teresa Pintus hanno presentato ricorso per Cassazione spiegando che l’ordinanza tra l’altro appare senza sufficienti motivazioni. Gli avvocati ribadiscono la necessità di annullare i divieti.
    Dagli argomenti e perfino dai toni e dal linguaggio utilizzato dai giudici emerge la conferma che il 41bis è peggio molto peggio di quello che era l’articolo 90 del carcere duro nei cosiddetti anni di piombo. L’articolo 90 infatti riguardava le sezioni e gli istituti carcerari mentre adesso con il 41 bis si pratica l’accanimento sui singoli reclusi. Lasciando perdere la grande differenza tra il fenomeno di allora e la repressione senza sovversione praticata al giorno d’oggi.
    (frank cimini)

  • Anarchici, da domiciliari a carcere per colloqui “sospetti”

    Gino Vatteroni, anarchico indagato nel processo “Scripta scelera”, dagli arresti domiciliari, sino a mercoledì 4 ottobre, è direttamente passato al carcere ad alta sorveglianza di Alessandria, con il trattamento riservato ai detenuti politici pericolosi, per istigazione a delinquere aggravata, priva di fatti concreti diversi dalla redazione di scritti sulla rivista “Bezmotivny” considerata dagli inquirenti antiterrorismo una sorta di “Metropoli” del terzo millennio.

    Vatteromi è oggetto, con altri, di un’indagine della Digos della Spezia diretta dalla DDA di Genova per due anni, che i contribuenti hanno pagato per scoprire quanto tutti gli abbonati al giornale esclusivamente cartaceo, pubblicato e poi spedito con posta ordinaria e con i normali canali anche nelle carceri, potevano leggere. Questo giornale è stato chiuso spontaneamente dagli indagati per mancanza di soldi il mese prima degli arresti (8 agosto). Nessun fatto concreto, diverso dalla scrittura, contro cose o persone è attribuito agli indagati. Malgrado Procura DDA e Gip di Genova avessero ritenuto il gruppo una cellula sovversiva, il Tribunale della libertà ha stabilito che tale ipotesi di reato non era sorretta da gravi indizi di colpevolezza, negando sempre la custodia in carcere e confermando gli arresti domiciliari rinforzati (con divieto di contatti esterni) e alcuni obblighi di dimora, sugli altri reati (istigazione a delinquere aggravata, in primis) contestati. “Siamo tutti in attesa di leggere le motivazioni di tale provvedimento” dice l’avvocato George Botti.

    Martedì 3 a Vatteroni è stata aggravata la misura e mercoledì 4, dagli arresti domiciliari con braccialetto, è stato collocato in carcere a Massa: gli sono state contestate delle violazioni alle prescrizioni cioè dei colloqui non permessi. Avrebbe parlato con due persone ritenute “sospette” per fatti accaduti ormai molti anni fa, violando le prescrizioni relative al provvedimento restrittivo. Poi da Massa alla casa di reclusione di Alessandria.
    L’incensuratezza di questo cinquantaseienne e la ritenuta, da un collegio di tre magistrati, insussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il associazione sovversiva finalizzata al terrorismo evidentemente poco conta innanzi al fatto che Gino Vatteroni da una vita si professa dichiaratamente ed apertamente anarchico. Ad avviso di Procura e DAP del Ministero, l’esistenza di un’aggravante al reato di istigazione basta per l’alta sicurezza in carcere.
    Il difensore farà appello al Tribunale del Riesame contro l’aggravamento della misura cautelare deciso da un gip che ha fatto copia e incolla con la richiesta della procura. Entrambi evidentemente “avvelenati” per essere stati smentiti dal Riesame che aveva cancellato il reato più grave. La rivista così tanto pericolosa per la sicurezza dello Stato e per l’ordine pubblico stava anche in bacheca in una pubblica via di Carrara, città da secoli sospetta perché centrale nell’attività anarchica. Insomma altra aggravante.
    ( frank cimini)

  • Morto Pacini Battaglia tacendo salvò la magistratura

    Non era un magistrato ma la magistratura dovrebbe fargli un monumento da collocare davanti alla sede del Csm o dell’Anm. Con il suo silenzio salvò l’immagine e l’onore della magistratura e anche un paio di governi del centrosinistra. Intercettato dal Gico della guardia di finanza in una inchiesta di La Spezia aveva detto: “Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato” e ancora: “ Si pagò per uscire da Mani Pulite”.
    A Brescia dove l’indagine fu trasferita l’ineffabile giudice decise che Pacini “aveva millantato”. Si trattava di salvare l’uomo simbolo di Mani Pulite e con lui l’immagine e l’onore di una intera categoria. Prevalse la ragion di Stato dopo che l’Associaziobe Nazionale Magistrati in un comunicato per la prima volta si schierò con l’indagato e non con i pm che indagava su di lui. Fu ovviamente anche l’ultima. Non sarebbe accaduto mai più.
    Pierfrancesco Pacini Battaglia come spiegò nel teleprocesso Cusani l’avvocato Giuliano Spazzali “caro dottor Di Pietro entrò e uscì come una meteora dalle sue inchieste”.
    Pacini fu il regista dell’inchiesta sui fondi neri dell’Eni. Arrestato e subito rimesso in libertà il 18 marzo del 1993 perché decise di “collaborare” con il mitico pool che considerò lui “l’Eni buono”. Al pari di Franco Bernabe’ al quale sempre al teleprocesso Cusani Di Pietro chiese: “Ma all’Eni l’abbiamo finita con la pratica delle società offshore o no?”. Il testimone rispose: “La stiamo finendo”. Cioè confessò in diretta televisiva la commissione di un reato il falso in bilancio. Non fu indagato. Era la giustizia due pesi due misure. Dove Sergio Cusani senza incarichi operativi e firme sui bilanci venne condannato a una pena doppia degli amministratori della Montedison.
    Fu una grande farsa con la scusa di ribaltare l’Italia come un calzino.
    (frank cimini)

  • Cassazione cartoline anonime e anarchiche non pericolose

    Due cartoline provenienti da autori non ben identificati e con saluti anarchici non sono da considerare pericolose per la sicurezza dello Stato e vanno consegnate al destinatario. Che poi è sempre lui, Alfredo Cospito detenuto nel carcere di Sassari Bancali in regime di 41bis. Lo ha stabilito la Cassazione rigettando il ricorso del procuratore generale della città sarda contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza.
    “L’ordinanza impugnata aveva dato conto del fatto che le cartoline indirizzate a Cospito benché prive dell’indicazione del mittente alla luce del loro contenuto non evidenziavano profili di pericolosità per la sicurezza interna e esterna escludendo che in tal senso potesse assumere la provenienza della stessa da soggetti aderenti alla medesima ideologia anarchica del destinatario – scrivono i giudici della Suprema Corte – Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale si è conformato all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui ai fini del giudizio di pericolosità della corrispondenza il trattamento deve essere motivato in relazione alle specifiche situazioni indicate dagli articoli di legge”.
    Secondo la Cassazione l’interpretazione contenuta nel ricorso si scontra inevitabilmente con i principi costituzionali in tema di libertà e segretezza della corrispondenza. Il carattere anonimo della corrispondenza indirizzata al detenuto ristretto in regime di 41bis non è indice di pericolosità. Non si può prescindere dal contenuto della corrispondenza affermano i giudici della Cassazione. Il procuratore generale insomma ha fatto un buco nell’acqua. Sembra assurdo che si debbano celebrare delle udienze per decidere la consegna di semplici cartoline con “saluti anarchici”. Ormai siamo oltre lo spirito e la lettera dello stesso articolo 41bis del regolamento carcerario. Si tratta di vessazioni vere e proprie che nulla hanno da spartire con la necessità di impedire contatti e legami con organizzazioni esterne. Però è questa è la vera tragedia per consegnare due cartoline siamo arrivati fino in Cassazione.
    (frank cimini)

  • Morto Petrilli vittima dell’antiterrorismo e non risarcito

    È morto Giulio Petrilli protagonista di una incredibile vicenda giudiziaria relativa alla storia degli anni ‘70 e del “terrorismo”, quindi non la sola, ma molto significativa. Arrestato nel 1980 con l’accusa di aver partecipato a Prima Linea, il pm Armando Spataro chiese per lui 11 anni di reclusione, fu condannato a 8 anni. In appello arrivò l’assoluzione poi confermata dalla Cassazione.
    Ma dentro questa vicenda resta “esemplare” la motivazione con cui i giudici rifiutarono il risarcimento per ingiusta detenzione. L’errore contenuto nella sentenza di primo grado era stato indotto dalle sue “pessime frequentazioni”. Furono parole pesantissime che portarono Petrilli a combattere fino al termine dei suoi giorni per un’amnistia e nella battaglia contro il 41bis, figlio del famigerato articolo 90 che lui aveva provato sulla sua pelle.

    Ma andiamo con ordine. Lasciamo la parola allo stesso Petrilli in uno scritto del primo dicembre del 2014. “Ho letto che il nuovo procuratore di Torino è l’ex pm di Milano Armando Spataro  Famoso magistrato di cui si parla sempre in positivo, ma nessuno sa che ha commesso anche gravi errori giudiziari. Lo dico avendolo vissuto sulla mia pelle. Spataro emise un mandato di cattura nei miei confronti il 23 dicembre 1980 dove mi accusò di partecipazione a banda armata con funzioni organizzative, Prima Linea – racconta Petrilli – In primo grado Spataro chiese 11 anni di carcere. La corte di assise mi condannò a 8 anni. Dopo 5 anni e 8 mesi la corte di Appello mi assolse e poi la Cassazione confermò”.

    Petrilli scontò ingiustamente sei anni di carcere. “E non mi hanno risarcito perché secondo i giudici preposti a stabilire se dovevo avere il risarcimento io avevo avuto cattive frequentazioni. I magistrati come Spataro che commettono errori clamorosi vengono promossi, le persone che subiscono gravi errori giudiziari manco vengono risarcite – conclude – È giustizia o sopraffazione? Avevo fatto anche a luglio richiesta al capo del governo chiedendo danni per dieci milioni di euro per sei anni di ingiusta detenzione. Chiedevo la responsabilità civile del magistrato, non ho avuto risposta”.

    ”Giulio Petrilli ci ha lasciato prematuramente a causa di una embolia polmonare. Ricoverato d’urgenza non ce l’ha fatta – dice Paolo Persichetti – corpo possente da vero rugbista lo ricordiamo per la sua incredibile umanità per la generosità debordante. Nel 1984 era stato anche picchiato duramente dalla polizia penitenziaria dopo una fermata all’aria di protesta fatta con i suoi compagni per denunciare le condizioni di detenzione. Si è battuto fino all’ultimo contro il 41bis”

    La vicenda del mancato e negato risarcimento aveva acceso dentro di lui un fuoco inesauribile, ricorda ancora Persichetti secondo il quale soltanto un terzo delle richieste di ristoro per il carcere ingiusto vengono accolte.

    Infatti non basta la sentenza di assoluzione e non basta nemmeno che la giustizia abbia riconosciuto l’illegittimita’ della misura cautelare. Chi è stato in carcere ingiustamente deve dimostrare di non aver tenuto un comportamento tale da aver tratto in inganno i magistrati con atteggiamenti omissivi o perché non si è avvalso delle funzioni difensive che restano un diritto fondamentale dell’imputato anche sotto il profilo delle frequentazioni.

    In sostanza le sentenze di assoluzione valgono fino a un certo punto perché poi vengono sottoposte a un nuovo processo dove la personalità di chi è stato assolto viene giudicata a livello morale. Insomma una sorta di quarto grado di giudizio per resuscitare la colpa con tanti saluti all’assoluzione fino all’inversione dell’onore della prova.

    Chi viene assolto per reati avvenuti in posti dove c’è la criminalità organizzata diventa responsabile del fatto di frequentare contesti pieni di pregiudicati. Chi viene assolto da accuse di eversione, se ha frequentato luoghi di conflitto recepito culture antagoniste e irregolari secondo la norma politico morale dominante viene ritenuto responsabile di una sorta di concorso ambientale. In questo modo si arriva alla teologia giudiziaria. È una giustizia che sta nell’alto dei cieli che processa dopo il processo penale la presunta doppiezza o ambiguità dell’imputato assolto.
    E’ il meccanismo che ha stritolato Giulio Petrilli in un’epoca in cui il populismo penale dilaga sempre di più e continua a colpire ormai mezzo secolo di distanza quel periodo degli anni ‘70 con il quale la politica cominciare dalla sinistra rifiuta di fare i conti.

    (frank cimini)

  • Khaled nuovo Zaki ma il governo italiano se ne frega

    Khaled El Qaisi, cittadino italo-palestinese,  ricercatore universitario si trova da 28 giorni in carcere in Israele senza che siano state formulate accuse a suo carico. La detenzione è già stata prorogata tre volte e la prossima udienza è fissata per il primo ottobre all’esito della quale entro 48 al massimo 72 ore dovrebbe esserci una decisione delle autorita’ sui motivi del provvedimento del 31 agosto.

    In una c9nferenza stampa alla Camera dei deputati il difensore Flavio Rossi Albertini, l’onorevole Laura Boldrini, Riccardo Noury di Amnesty International e Francesca Albanese ricercatrice speciale Onu hanno denunvisto la violazione del diritto e delle convenzioni internazionali.

    Francesca AnteNucci moglie di Khaled ha ricostruito le fasi dell’arresto al confine con la Giordania quando lei e il piccolo Kamal sono rimasti senza telefono e senza soldi. Khaled in questi giorni è stato interrogato più volte senza difensore dalla polizia e dai servizi segreti. “Evidentemente non avendo elementi sui quali imbastire un’accusa formale puntano a ricavarlì da questi interrogatori che in qualsiasi paese sarebbero illegali” ha detto l’avvocato Albertini.

    Laura Boldrini ha ricordato la posizione espressa dal ministro degli Esteri Antonio Tajani secondo il quale “non si può interferire in una vicenda giudiziaria”. “E invece si deve in un caso del genere” ha aggiunto la parlamentare.

    In Israele ci sono 967 palestinesi detenuti senza accuse formali. La reclusione è prorogabile di sei mesi in sei mesi per anni, ha spiegato ancora l’avvocato.

    I giornali italiani hanno detto praticamente niente, “come se valesse da noi il divieto che c’è in Israele a riferire di vicende simili”.

    Alla conferenza stampa non era presente nessun telegiornale. L’unico grande quotidiano era il Corriere della Sera. Il governo se ne frega. L’onorevole Giovanni Donzelli di Fdi ha fatto sapere che Israele ha diritto di difendersi dai terroristi. Per Zaki che non era cittadino italiano si mobilitarono in tanti a sinistra e pure a destra. Per Khaled cittadino del nostro paese nulla. “Ma è italo-palestinese – conclude l’avvocato – e in Israele quello che c’è scritto prima del trattino conta zero”.

    (frank cimini)

     

  • Cospito, reclamo contro divieto di leggere stampa locale

    Il 3 ottobre sarà discusso davanti al Tribunale di Torino il provvedimento con cui la corte di assise di appello il primo agosto aveva prorogato la limitazione di acquistare giornali dall’area di provenienza per Alfredo Cospito attualmente recluso nel carcere di Sassari Bancali in regime di 41 bis.

    Nel reclamo gli avvocati Flavio Rossi Albertini e Maria Teresa Pintus ricordano che in ItaLia la stampa non può essere soggetta a autorizzazioni o censure e di fatto se ne impedisce la divulgazione vietando al destinatario del provvedimento di attingere alle notizie pubblicate liberamente dai giornali del luogo geografico di origine.

    I legali affermano che vengono violati diritti tutelati dalla Costituzione. Cospito è imputato in diversi processi che si svolgono presso le sedi giudiziarie dei luighi di origine. Si tratta di poter reperire informazioni che potrebbero essere utili alla sua difesa.

    La mancanza di informazioni impedisce inoltre di poter reagire contro alcuni reati come per esempio la diffamazione. In questo modo il diretto interessato non può  chiedere la rettifica o la smentita di una notizia.

    Il decreto di inibizione a leggere la stampa locale, aggiungono gli avvocati, non individua un pericolo in concreto bensì in astratto che attraverso la lettura il detenuto possa comunicare con l’esterno. Esiste contraddizione nel sostenere che il detenuto in regime speciale riesce a mandare ordini all’esterno attraverso la lettura dei giornali locali e contestualmente si sostiene che l’applicazione del 41bis sarebbe dettata dalla necessità di impedire i contatti con l’esterno. Delle due l’una. O il 41bis impedisce i contatti con l’esterno o ciò che si vuole ottenere è ben altro.

    Gli avvocati dì Cospito presenteranno anche un altro reclamo relativo a una questione non solo meno importante ma che dovrebbe essere rubricata come scempiaggine dal momento che la direzione del carcere di Sassari ha bloccato due magliene mandate dalla sorella perché raffigurerebbero dei teschi. In realtà si tratta di una maglietra dei Goonies e di un mostriciattolo di Dungeons e Dragons. Insomma siamo alle comiche. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Ma purtroppo bisognerà fare un’udienza anche su questo perché la pista anarchica è eterna. In un’epoca di repressione senza sovversione.

    (frank cimini)

  • In contatto con Amara anche il pg Saluzzo (caso Cospito)

    Tra i magistrati interessati a incarichi direttivi che contattavano Piero Amara c’era anche il procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo. Questo tra l’altro scrive il giudice per le indagini preliminari di Perugia Angela Avila che a distanza di un anno dalla richiesta conforme della procura retta da RaffaeleCantone ha archiviato l’indagine sulla loggia Ungheria nata dalle dichiarazioni rese a Milano da Piero Amara protagonista del caso Eni-Nigeria poi finito con l’assoluzione di tutti gli imputati e una  clamorosa spaccatura tra i pm del capoluogo lombardo.

    ”È stata accertata una rete di relazioni e rapporti di altissimo livello di Amara con persone operanti nelle istituzioni pubbliche. Aveva rapporti con magistrati, era entrato a far parte del comitato scientifico dell’Ocpo ed era considerato capace di intervenire nelle nomine per i vertici degli uffici giudiziari tanto è vero che veniva contattato dagli stessi magistrati interessati a ricoprire incarichi direttivi. Tra tutti Lucia Lotti, Carlo Maria Capristo, Francesco Saluzzo – scrive il gip – Amara aveva incontri con Luca Palamara per discutere di nomine e incarichi e riusciva ad avere notizie riguardo a procedimenti ancora in fase di indagine e quindi secretati, aveva rapporti con politici di primo piano come Luca Lotti, Saverio Romano, Denis Verdini”.

    Il procuratiore generale di Torino Francesco Saluzzo di recente era stato alla ribalta della cronaca per aver chiesto senza successo la condanna all’ergastolo dell’anarchico Alfredo Cospito per la vicenda dei pacchi bomba di Fossano. Anche Saluzzo magistrato considerato inflessibile cercava appoggi esterni alla categoria  quando si trattava di ottenere incarichi. Insomma nessuno è perfetto.
    E niente di penalmente rilevante in questa storia della loggia Ungheria.

    ”Tuttavia in nessuno degli episodi specufici riportati nella stessa prospettazio e del dichiarante e al di là dei riscontri esterni traspare nemmeno indirettamente un ruolo o comunque un’attività di un gruppo di persone sovrastante con vincolo di stabilità e programma criminoso comune – sono le parole del giudice – vedendo invece protagonisti anche esterni all’associazione, in ogni caso rendendo evidenti interessi personali e professionali di Piero Amara e delle singole persone a lui legate e che a lui si rivolgono”.

    Per il gip si tratta di una serie di iniziative individuali non attratte nell’orbita dell’attività di una ‘associazione’, ma agevolate dalla rete di relazioni e inflenze che Piero Amara è riuscito a tessere nell’arco degli anni. Non emerge invece una azione programmata di condizionamento e interferenze di decisioni pubbliche.

    Per il gip “la mancanza di struttura organizzativa escluce anche che si possa qualificare il diverso reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazion. Restano i singoli episodi narrati da Amara che escluso il vincolo associativo meritano di per se’ una autonoma valutazione da parte dell’autorità giudiziaria competente per la verifica della sussistenza di eventuali ipotesi criminose. In relazione a questo conclude il gip il pm ha dato atto nella sua richiesta di aver già effettuato le relative iscrizioni.

    La montagna sembra aver partorito il topolino. Intanto sta per iniziare a Milano l’udienza preliminare in cui Amara risponde di calunnia ai danni delle persone chiamate in causa in relazione alla loggia Ungheria.

    (frank cimini)

     

  • I giudici restituiscono a Cospito le foto dei parenti

    ”È del tutto ragionevole ritenere che le 29 fotografie di cui si discute siano le stesse che Alfredo Cospito poteva tenere già nel carcere di Milano”. È uno dei passaggi delle motivazioni con cui i giudici di Torino hanno deciso che siano restituite al detenuto anarchico le immagini di genitori e parenti oltre alle cartoline e a varia corrispondenza.

    I giudici hanno accolto il reclamo presentato dal difensore Flavio Rossi Albertini. I giudici spiegano che non conta niente il fatto che le immagini possano riguardare persone sconosciute. “La consegna delle foto non pregiudica nulla. Si tratta di foto risalenti a decenni fa come si apprezza dall’abbigliamento delle persone in contesti domestici e familiari. Non appaiono celare messaggi critici e non mettono a repentaglio l’impostazione del regime penitenziario del 41bis”.

    Nell’udienza di due giorni fa il pm della procura di Torino Paolo Scafi aveva affermato che le foto avrebbero potuto contenere messaggi criptici. Si tratta dello stesso pm che era stato applicato nel processo di appello per i pacchi bomba di Fossano e dello stesso pm che nei giorni scorsi aveva chiesto pene superiori a un anno di reclusione per una dozzina di studenti responsabili di aver occupato aulette universitarie. Scafi negava anche la sospensione condizionale della pena perché gli imputati non si erano pentiti.

    Cospito è attualmente detenuto nel carcere di Sassari dove le foto erano state “bloccate” nonostante avessero avuto nella prigione di Opera in precedenza il visto favorevole della censura. Cospito protagonista di un lungo sciopero della fame attende che  l’udienza del prossimo 19 ottobre per discutere la revoca del 41bis dopo che l’apposita istanza mandata al ministro Nordio non aveva ricevuto risposta.

    (frank cimini)

  • Cospito, ecco perché il Dap blocca le foto dei parenti

    “Le fotografie raffigurano soggetti sconosciuti a questa direzione”. Lo scrive il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria distaccamento di Sassari per spiegare i motivi che impediscono al detenuto Alfredo Cospito la disponibilità delle foto dei genitori defunti e di altri familiari.

    Nel reclamo contro il divieto sul quale i giudici del Tribunale di Torino si sono riservati di decidere  l’avvocato difensore Flavio Rossi Albertini osserva che le fotografie riportano tutte sul retro il visto di censura della casa di reclusione di Opera dove Cospito era ristretto sottoposto al regime del 41 bis.

    ”La motivazione contenuta nel provvedimento di trattenimento temporaneo inoltre è destituita di ogni fondamento – scrive il legale – perché i soggetti riprodotti nelle immagini sono persone già censite dall’istituto ovvero immortalano fratelli di Cospito già regolarmente autorizzati ad effettuare i colloqui visivi mensili con il congiunto”.

    L’avvocato chiede di annullare il trattenimento che riguarda le foto dei genitori defunti già oggetto del procedimento davanti ai giudici di Torino e altre 27 immagini delle quali la difesa ha appreso solo successivamente fossero state nloccate.

    Il legale sostiene che siamo davanti a divieti che finiscono per violare diritti di rango costituzionali attinenti alla sfera privata e personalissima dell’individuo.

    ”Non si comprende in che modo le fotografie possano essere ritenute pericolose” conclude il legale.

    Nell’udienza di ieri a Torino il pm Paolo Scafi ha sostenuto che le foto potrebbero contenere messaggi criptici. Si tratta dello stesso magistrato che nei giorni scorsi per l’occupazione di due aulente universitarie ha chiesto pene superiori a un anno di reclusione per una dozzina di studenti universitari insistendo affinché fosse negata la sospensione condizionale perché benché incensurati non avevano dimostrato pentimento.

    (frank cimini)

  • Giustiziami compie 10 anni! La nostra storia, i nostri grazie

    Il 15 settembre 2013 Giustiziami pubblicava il suo primo articolo. Per ragioni di vita e di lavoro degli autori, è diminuita la frequenza dei post ma questo blog è sempre vivo, palpitante e pronto ad accogliere chiunque voglia scrivere di giustizia da punti di vista insoliti.

    La sua longevità e l’amore dei lettori dimostrano quanti ed enormi spazi ci siano per raccontare in modo diverso quello che accade nelle procure, nei tribunali, nelle carceri, in qualsiasi luogo in cui ci sia un’ombra da provare a schiarire. Diverso significa con linguaggio schietto e una speciale attenzione alle persone e ai temi che vengono trascurati dalle cronache giudiziarie perché sono poco appetibili per il grande pubblico o perché  normalmente si è molto più attenti a dare voce al più forte (le Procure) o alla fonte che conviene  ‘alllisciare’ per avere notizie (qui siamo a Giustiziami ed è un mondo con regole a parte!).  Una curiosità: a ispirarne la nascita fu proprio un giudice durante una strampalata chiacchierata al settimo piano.

    Alcuni articoli ci hanno privato del saluto di magistrati e avvocati, uno addirittura ha fatto così arrabbiare l’ente pensionistico dei giornalisti (!) che ci ha chiesto una valanga di soldi, salvo poi perdere la causa. E’ stata l’unica querela presa in più di duemila articoli. Di questo siamo grati a chi, pur essendo stato criticato in modo pungente, ha capito che dietro questo blog c’è solo un gruppo di matti che non ci ha mai guadagnato un centesimo e lo mantiene in vita per divertimento e perché c’è bisogno di un spazio libero anche per chi viene censurato e qui trova un ‘riparo’, anche in forma anonima, com’è successo più volte.

    Il nostro grazie, in ordine sparso, a chi in diversi modi ha viaggiato con noi in questi dieci anni: Cristina Manara, Igor Greganti, Davide Steccanellla, Mauro Straini, Eugenio Losco, Jari Pilati, Lorenza Pleuteri, Jacopo Barigazzi, Jacopo Tondelli, Lorenzo Dilena, Luca (Orsola) Fazzo, Mirko Mazzali, Maurizio Maule, i nostri cari Cristina Bassetto ed Emilio Randacio. E a chi, colleghi e lettori, continua a mostrarci stima e affetto. Viva Giustiziami!

    Manuela D’Alessandro e Frank Cimini

     

  • Csm, l’autoassegnazione del Mottarone da parte della giudice fu un atto generoso

    Violare le regole si può, anche per i magistrati, se è per agevolare il buon funzionamento della giustizia. L’autoassegnazione da parte della giudice Donatella Banci Buonamici del procedimento sull’incidente della funivia del Mottarone che provocò 14 morti “non era regolare” ma “fu un atto di generosa disponibilità farsi carico di un procedimento particolarmente complesso e delicato”. Così  la sezione disciplinare del Csm ha motivato l’assoluzione dell’ ex presidente dell’ufficio gip del tribunale di Verbania, che era accusata dalla Procura Generale della Cassazione di avere violato “i criteri assegnati dalle tabelle” per avere deciso di attribuirsi il fascicolo in un momento di grande difficoltà del suo ufficio.

    Sarebbe toccato alla collega Annalisa Palomba che stava sostituendo una collega impegnata a smaltire un grosso arretrato ma a sua volta era occupata anche in un dibattimento penale e c’era il rischio che non avrebbe finito in tempo per decidere la convalida dei fermi di alcuni indagati del 26 maggio 2021 nell’ambito dell’inchiesta sulla caduta della funivia. Nella decisione viene spiegato che il comportamento della giudice, difesa dall’avvocato Davide Steccanella, rispose “chiaramente a esigenze di buon funzionamento dell’ufficio giudiziario” e l’autoassegnazione “non poteva certamente, benché non regolare, essere percepita come condotta pregiudizievole dell’immagine del magistrato né del rapporto interno tra i magistrati dell’ufficio risultando in questa specifica prospettiva, a fronte delle difficoltà complessive dell’ufficio, un atto di generosa disponibilità”.  L’assegnazione “doverosa” a Palomba, spiega il Csm, “avrebbe con molte probabilità creato ulteriori gravi difficoltà all’ufficio”.

    Il resto della storia è che il presidente del tribunale di Verbania, Luigi Montefusco, tolse il fascicolo a Buonamici, che non aveva convalidato i fermi creando molte polemiche.

  • Non c’è terrorismo ma pm insiste comunque per la galera

    Nonostante il Tribunale del Riesame abbia annullato l’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo la procura di Genova insiste affinché le 9 misure cautelari tra arresti domiciliari e obblighi di dimora siano trasformate in carcerazione a carico degli anarchici che rispondono di pubblicazione clandestina (la rivista Bezmotivny che sta in bacheca sulla pubblica via e viene spedita per abbonamento postale) e istigazione a delinquere per aver inneggiato ad Alfredo Cospito.

    All’udienza di stamattina il pm non si è presentato in aula davanti al Riesame facendo riferimento alla memoria già presentata al collegio che aveva escluso il reato associativo e che è stata nuovamente depositata.

    Gli avvocati delle difese hanno discusso ribadendo la necessità di rigettare la richiesta della procura. Secondo il pm gli indagati dovrebbero finire in carcere per la responsabilità di aver scritto su una rivista ormai praticamente chiusa a causa di ristrettezze economiche e per aver manifestato solidarietà a Cospito. Per la procura gli indagati sono “inaffidabili” in quanto “refrattari alle regole imposte dall’autorita’”. Le difese fanno riferimento alla violazione e della libertà di pensiero. Il Tribunale del Riesame si è riservato di decidere sulle misure cautelari e lo farà nei prossimi giorni.

    Intanto nel carcere di Sassari Bancali Alfredo Cospito è stato sospeso per una settimana dalle attività ricreative e sportive perché nel corso del colloquio con la sorella Claudia lo scorso 8 agosto parlando della vicenda delle foto dei genitori che non può tenere in cella aveva detto: “le foto me le hanno sbloccate da Torino dal signor Salutto (in realtà il procuratore generale Saluzzo n.d.r.) quella testa di c…. ma il carcere si sarà opposto”.

    L’avvocato Flavio Rossi Albertini ha presentato reclamo spiegando che la diffamazione ipotizzata non è ravvisabile giuridicamente richiedendo la stessa la comunicazione con due persone e che la frase pronunciata da Alfredo Cospito si risolverebbe al massimo in una ingiuria oggi depenalizzata.

    Secondo il legale la sanzione è al di l fuori del principio di legalità “ovvero di tassatività e tipicità delle infrazioni disciplinari non essendo rinvenibile alcuna previsione normativa che sanzioni il comportamento tenuto dal proprio assistito”.

    Il 14 settembre ci sarà a Torino l’udienza per discutere sulla possibilità di tenere in cella le foto dei genitori. Il 19 ottobre a Roma invece si parlerà della richiesta di revoca del 41bis davanti al Tribunale di Sorvegliana.

    (frank cimini)

    flexible-and-youthful-joints
    healthy-nails-and-beautiful-feet
    weight-loss-2023
    Unlocking Your Weight Loss Journey: Discover the Power of LeanBiome
    LeanBiome – Your Ultimate Journey to a Healthier You
    unlocking-secret-to-flexible
    unlocking-your-weight-loss-journey
    java-burn-and-coffee-dynamic-duo
    optimal-joint-health
    joint-health-for-a-pain-free-life
    Flexible-and-Youthful-Joints-Joint
    Metanail: Unveiling the Secret to Healthy Nails and Beautiful Feet
    your-weight-loss-journey-discover2023
    weight-loss-leanbiome-your-ultimate
    Your-Weight-Loss-Journey-Discover-the-Power-of-LeanBiome
    Flexible-and-Youthful-Joints
    Power-of-Hearing-Support
    Power-of-Java-Burn
    Understanding-Hearing-Problems
    secret-to-flexible-and-youthful-joints
    approach-to-healthy-weight-loss-in-2023
    effortless-weight-loss-exipure
    smoothies-for-rapid-weight-loss
    mastering-blood-sugar-diet-and-weight-loss
    try-this-12-week-yoga-burn-challenge
    tea-burn-secret-for-effortless-transformation

  • Riesame Genova annulla accusa di terrorismo

    A Genova non c’è nessuna associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. Lo ha deciso il Tribunale del Riesame bocciando la tesi della procura. Restano 4 anarchici agli arresti domiciliari e altri 5 con obbligo di dimora con le accuse di pubblicazione clandestina della rivista Bezmotivny e offesa all’onore e al prestigio del presidente della Repubbluca. Insomma la logica dei giudici è stata quella di un colpo al cerchio e uno alla botte perché non se la sono sentita di cancellare la tesi dei pm su tutta la linea.
    Dice l’avvocato Fabio Sommovigo uno dei difensori: “Dovremo attendere le motivazioni per avere un quadro davvero preciso della decisione. Dal dispositivo però già emerge con chiarezza che il Tribunale del riesame di Genova ha escluso la sussistenza dell’associazione terroristica ipotizzata dal pm e dal gip. È stata quindi accolta sul punto la prospettazione difensiva e eliminata dalla vicenda cautelare quella che appariva, sinceramente, un’interpretazione errata e abnorme.
    Resta, invece, confermata la decisione di mantenere l’applicazione di gravi misure cautelari connesse esclusivamente alla realizzazione di un periodico che, peraltro, prima dell’ordinanza cautelare, aveva già cessato le proprie pubblicazioni. Ciò preoccupa.
    Occorrerà leggere attentamente le ragioni di tale scelta, anche al fine di valutare possibili impugnazioni.
    Il legale conclude: “sono stati annullati anche annullati anche i sequestri per difetto di motivazione”.
    Insomma la montagna ha partorito il topolino. Siamo sempre nell’ambito di una repressione senza sovversione e su questo adesso c’è pure il timbro dei giudici del Riesame. Il quindicinale che ora non esce più per mancanza di soldi era tanto clandestino da stare in bacheca sulla pubblica via a Carrara.
    Tra un mese e mezzo il Riesame depositerà le motivazioni della sua decisione. Intanto hanno chiuso un giornale di opposizione con tanti saluti alla libertà di stampa (frank cimini)

  • Giurisprudenza creativa, pm: anarchici sono inaffidabili

    “Non emergono dagli atti di indagine elementi seri e concreti che consentano di fare affidamento su una cooperazione da parte degli indagati. Anzi tale concorso di volontà non solo non è ipotizzabile ma può ragionevolmente escludersi. Si tratta di soggetti refrattari al rispetto delle regole imposte dall’autorita’”. Questo scrive il pm di Genova Federico Monotti nel ricorso contro la decisione del gip di decidere “solo” per arresti domiciliari e obblighi di dimora in relazione alla posizione degli anarchici accusati di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo per la pubblicazione della rivista Bezmotivny definita dai magistrati “clandestina” pur stando in bacheca sulla pubblica via di Carrara.
    Siamo in presenza di una giurisprudenza sempre più creativa che arriva a affermare che gli indagati devono cooperare con l’indagine altrimenti non risultano affidabili. Per cui per loro ci può essere solo la custodia cautelare in carcere. Il ricorso del pm sarà discusso davanti al Tribunale del Riesame il 6 settembre mentre quello dei difensori che chiedono di annullare tutte le misure cautelari sarà esaminato domani mattina lunedì.
    Agli atti è stata allegata una relazione della Digos sull’ultimo numero della rivista che è praticamente stata chiusa con l’esecuzione delle misure cautelari. La polizia racconta le difficoltà economiche del quindicinale emergenti dallo scambio di mail tra gli indagati per concludere: “Malgrado le difficoltà appare di tutta evidenza la ferma volontà del gruppo editoriale a proseguire nella stampa del quindicinale anarchico clandestino proseguendo nella loro idea apologetica associativa istigatoria ed esaltando sia la parte ideologica sia l’azione diretta”.
    Hanno paura lor signori insomma di un quindicinale chiuso per mancanza di soldi perché tra l’altro non tornerebbero indietro i soldi delle vendite delle copie mandate a diversi centri sociali. Mezzo secolo fa più o meno il potere costituito scatenò la repressione per un fumetto pubblicato dalla rivista Metropoli. Ma almeno il potere di allora aveva l’attenuante cosiddetta che c’era di mezzo Moro e oltre ai morti per le strade. Qui nel terzo millennio siamo alla repressione senza sovversione. Del tutto preventiva. (frank cimini)

  • Il Viminale lancia la campagna sulle sextortion ma le denunce web sono bloccate

    Giornali, agenzie e testate multimediali stanno dando spazio e risalto all’allerta lanciata dai siti del ministero dell’Interno e dalla Polizia postale e delle comunicazioni. Sono in aumento le sextortion, le estorsioni sessuali, con una escalation estiva, più di cento casi noti solo nella prima metà di agosto e un numero oscuro imponderabile.

    Cosa sono le sextortion

    «Si tratta di un fenomeno con un enorme potenziale di pericolosità, perché agisce sulla fragilità delle persone, in particolare adulti e minori di genere maschile. Tutto inizia – viene spiegato da Viminale e investigatori specializzati – con qualche messaggio scambiato con profili social di ragazze e ragazzi gentili e avvenenti, apprezzamenti e like per le foto pubblicate. Si passa poi alle video chat e le richieste si fanno man mano più spinte. Dopo aver ottenuto scatti e video intimi cominciano le richieste di denaro, accompagnate dalla minaccia che, in caso di mancato pagamento, il materiale verrà mandato a tutti i contatti, gli amici e i parenti. Le vittime, intrappolate tra la vergogna e la paura che le immagini possano essere viste da conoscenti e familiari, tendono a tenersi tutto per sé, a non confidarsi con nessuno e a dare soldi, fin quando possono».

    I consigli su cosa fare

    Seguono consigli di base. Mai cedere ai ricatti. Non essere in imbarazzo per aver condiviso contenuti spinti. Non cancellare i messaggi scambiati con i ricattatori. Fare una segnalazione sul portale www.commissariatodips.it, lo sportello per la sicurezza sul web creato e gestito dalla stessa Polizia postale. Denunciare “subito”, cioè prontamente, immediatamente, senza indugio. Stesso discorso per il revenge porn, la diffusione di immagini e filmati osé, destinati a rimanere privati e messi in circolo per vendetta, rivalsa, dispetto.
    Anni fa era stata introdotta la possibilità di compilare e inviare telematicamente le denunce per i reati telematici (e non solo), da formalizzare presentandosi poi di persona all’ufficio territoriale di riferimento. Peccato però che questa opzione da mesi non sia più attiva e nessuno lo dica agli utenti. Anzi. Nella home page del commissariato online c’è scritto, tuttora: «La Polizia di Stato, per venire incontro alle vostre esigenze e consentirvi il disbrigo di determinate pratiche in maniera più agevole e veloce, ha realizzato il servizio di “Denuncia via web di reati telematici”, un progetto che realizza un nuovo rapporto di collaborazione, perché sarete voi ad iniziare il lavoro». Ma quando si clicca sulla finestrella, per procedere in tempo reale a compilazione e inoltro, esce un avviso: «Il servizio “denuncia vi@ web” è momentaneamente sospeso poiché è in atto una reingegnerizzazione dell’infrastruttura».

    La polizia postale conferma il blocco

    Confermano dalla sede centrale della Polpostale: «Questo servizio, che è del ministero dell’Interno, è fermo da circa un anno. A breve tornerà disponibile, implementato e migliorato. Il nostro personale è a disposizione nelle sedi territoriali e in rete. Online è possibile mandarci segnalazioni attraverso il portale e via Facebook. Le leggiamo tutte, raccogliamo ogni richiesta di aiuto, rispondiamo. Il problema di fondo, per le sextortion, è che i ricattati si vergognano, sono terrorizzati, stanno zitti. Pagano, pensando che una volta sia sufficiente. Non è così. Le richieste di soldi non si fermano. Il timore è ci sia un numero elevato di crimini di cui non veniamo messi a conoscenza. Per questo abbiamo lanciato una allerta e chiediamo alle vittime di farsi avanti, senza timori».

    Le fasce ristrette degli uffici postali

    Le denunce formali possono essere presentate all’ufficio della Polpostale più vicino, andandoci. Nelle pagine del commissariato online si trova l’elenco degli sportelli distribuiti in tutta Italia. Ma accanto agli indirizzi non sono riportati gli orari di apertura al pubblico. Bisogna cercali in rete oppure telefonare (però a Pescara nessuno risponde e a Napoli e Genova i numeri telefonici sembrano fuori sevizio). Si scopre così che gli investigatori specializzati nel contrasto ai reati telematici sono raggiungibili in fasce orarie ristrette, a fronte di crimini no stop e vittime fragili. A Potenza chi subisce un sexy ricatto, e vuole denunciare, viene ricevuto solo di martedì e dalle 9 alle 12. A Catanzaro si hanno a disposizione tre ore nelle mattinate di lunedì, mercoledì e venerdì, a Forlì di martedì e giovedì. Anche a Bologna le denunce sono raccolte non oltre le 13 e nei primi cinque giorni della settimana. A Roma si aggiungono finestre pomeridiane quotidiane e il sabato mattina. Nemmeno sugli orari precisi ci sono certezze. A Milano la mano destra non sa quello che fa la mano sinistra. Alla Polpostale dicono di ricevere le denunce rigorosamente su appuntamento, dalle 9 alle 17.00, dal lunedì al venerdì, e per le prenotazioni va chiamato un numero specifico (che online non si trova e che dal centralino non passano). Il portale della questura del capoluogo lombardo indica invece la fascia oraria 8.30 – 12.30, riportando l’interno telefonico sbagliato. E specifica, come se il servizio non fosse stato disattivato: «Solo per le denunce online l’apertura è dal lunedì al venerdì con orario 9.00-13.00 e 15.00-17.00».

    Un esperimento da utenti

    Travestirsi da utente porta a risposte diverse. A Bologna il centralinista della Polpostale sostiene che «il sistema delle denunce via web ha sempre funzionato malissimo e quindi è stato tolto e non è detto che venga riattivato». A Catanzaro l’invito, per poter denunciare subito, come consigliato dai siti istituzionali, è quello di rivolgersi alla questura o a un commissariato tradizionale oppure ai carabinieri. «Se gli orari non sono compatibili e si ha fretta, non è obbligatorio venire da noi. Dove si presenta denuncia è indifferente – affermano anche alla sede di Milano – Le notizie dei reati telematici vengono trasmesse alla procura ed è poi la procura a decidere a chi assegnare gli accertamenti». Il Garante della privacy, oltre a raccoglie segnalazioni online, per prevenire la diffusione di materiali privati indica come referente la Polpostale e non una qualsiasi forza di polizia.
    Replicano dalla stessa Polizia postale, rettificando le informazioni che si hanno per telefono. «Nessuna persona viene mandata via, se si presenta nelle nostre sedi per reati gravi o situazioni pesanti. Ci sono vicende che non possono aspettare. Abbiamo operatori preparati, sensibili, attenti». Manca invece un dirigente centrale stabilizzato. La Polizia postale e delle comunicazioni da un anno e mezzo è comandata da un reggente.  (lorenza pleuteri)

  • Una mattina d’agosto nella bolgia delle ‘direttissime’ di Milano

    C’è una giustizia velocissima che non si ferma mai, nemmeno d’estate. In tribunale a Milano è la stagione in cui i pavimenti in marmo brillano nella pace della ‘controra’ del potere giudiziario, calpestati da rari avventurosi. Tranne che al piano terra. Dentro alle aule delle ‘direttissime’, spesso accostate da chi ci lavora a bolge dantesche, ferve il rito delle convalide degli arresti della notte. E’ qui che passa la piccola criminalità e da qui bisogna partire per capire come le carceri si riempiano a dismisura.

     La libertà delle persone viene decisa in pochi minuti. “Giudice, ho appena iniziato a leggere il fascicolo” protesta debolmente l’avvocato Valentina Scandale, “sostituta di un collega amico in vacanza”, quando viene chiamata dal magistrato. Pochi minuti fa ha ‘afferrato’ dal tavolo del pubblico ministero le carte in cui viene ricostruito il caso di un egiziano beccato con un panetto di hashish da 70 grammi. Leggere il prima possibile l’incartamento, spiega Chiara Campanello, legale ‘specializzata’ in direttissime (“Mi piace, devi avere una grande prontezza”), è l’obbiettivo di ogni difensore d’ufficio buttato giù dal letto dalle forze dell’ordine per affiancare gli arrestati. “Stamattina sono fortunatissima, ho un po’ di minuti per sfogliarlo”. Copia a penna su un taccuino con grafia minuziosa le tappe della vicenda del suo cliente accusato di avere strappato dal collo di un’anziana una catenina. Decide in pochi secondi la strategia da suggerire al ragazzo di 27 anni, egiziano, nella gabbia. Il consiglio è di ammettere l’errore. “Non ha precedenti, ci sono margini per evitare il carcere”.

     

    una mattina agosto bolgia direttissime Tribunale Milano

     

    Parte la litania delle domande del giudice che sentiremo quasi sempre. “Da quanti anni è in Italia?” “Da quasi un anno”. “Ha una casa?”. “Ho un posto letto al Giambellino che pago 200 euro”. “Lavora?”. “In nero, come imbianchino”. “E’ regolare?”. “Ho già l’appuntamento per le impronte digitali”. E poi supplica: “E’ la prima volta che sbaglio e anche l’ultima. Chiedo perdono”. Jamal Zoughheib, l’interprete arabo che da 40 anni fa questo lavoro pagato spesso male e in ritardo, accompagna coi gesti delle mani le parole del giovane. Non lo faccio più. Ma il giudice lo spedisce in carcere anche perché, dice, c’è “un’elevata” possibilità di reiterazione del reato e poi la sua condotta di strappare la catenina “è stata di particolare violenza”. Si mette le mani in faccia e piange, gli agenti lo portano via.

    Avanti un altro. Il pubblico ministero con abito a fiori, espradillas, ventaglio e tè freddo, indossa la toga. Questione di droga. “Da dove veniva e dove era destinata?”. “Non lo so”. Ha precedenti, è tossicodipendente. Galera anche per lui: “ci sono evidenti esigenze di tutela della collettività”. Nella pausa l’interprete racconta: “Sono al servizio permanente della giustizia. Non vado in ferie da due anni. Ad agosto, poi, manco a parlarne. Ci sono un sacco di emergenze. Mi pagano spesso a distanza di mesi. E’ un lavoro bellissimo, il mio, e importante, ma non lo vuole fare nessuno. Le bollette le devi pagare subito”.

    Cambiamo aula. Una donna nigeriana di 33 anni ieri sera ha danneggiato 12 scooter elettrici a noleggio e una moto, zona Stazione Centrale. Emerge che ha un disturbo bipolare e vive in strada a Milano. “Ho la protezione internazionale perché sono omosessuale e nel mio Paese non si può esserlo”. Fa capire che vorrebbe andare in carcere per mangiare. Il rappresentante dell’accusa, Arturo Iacovacci, però non la può ‘accontentare’. Non ci sono le esigenze cautelari e così la pensa anche il giudice. Libera. Fuori dall’udienza il Vpo (vice procuratore onorario) discute con l’avvocato dell’opportunità che la donna torni in carico ai servizi sociali di Lecco, com’era prima di finire senzatetto.

    Tocca a un giovane della Sierra Leone. “Da quanto sei in Italia?”. “Dal 2016”. “Dove vivi?”. “Nel dormitorio di via Ortles”. “Perché sei lì?”. “Ho un problema di salute”. “Cos’hai da dire a tua difesa?”. Risponde che un altro ospite della struttura gli doveva restituire 200 euro e gli aveva promesso che l’avrebbe fatto. “Siccome non l’ha fatto, gli ho rubato il portafoglio. Mi vergogno”. Nel suo passato ci sono altre otto denunce per furto. Il giudice convalida. Fuori udienza, il rappresentante dell’accusa dice: “C’è tanta gente che non dovrebbe stare qui, come la ragazza bipolare che dovrebbe essere curata”.  (manuela d’alessandro)

  • Il Tribunale-paese una causa anche sul Ct del calcio

    L’Italia non è un paese ma un Tribunale. Ci sarà ma in pratica c’è già annunciata da tutti gli addetti ai lavori e ai livori una causa anche sul commissario tecnico della nazionale di calcio dopo le dimissioni di Roberto Mancini e la designazione e nomina di Luciano Spalletti. Saranno i giudici a decidere sulle violazioni vere o presunte del contratto che legava Spalletti al Napoli. Come spesso accade in questo straordinario paese l’aspetto giudiziario che dovrebbe essere il meno importante in una vicenda del genere diventerà’ quello principale.
    Ovviamente ci vorranno mesi probabilmente anni. Quando ci sarà la sentenza forse ci sarà già un altro Ct ma intanto diventeremo tutti esperti dì contrattualistica sui social e sui giornali divisi in fazioni a favore e contro e magari tutti contro tuttio. Di quello che ha prodotto questa situazione si parlerà poco e niente innanzitutto perché intanto il pallone rotolerà come sempre e buona notte ai suonatori.
    Se la nazionale non è approdata alla fase finale degli ultimi due campionati del mondo è nelle due precedenti occasioni non aveva superato il primo turno il problema da discutere sarebbe quello di un sistema calcio profondamente malato. Certo, essendo in mano a personaggi provenienti dal sottobosco della politica che di pallone sanno nulla mentre per fare un esempio gente come Gianni Rivera e Roberto Baggio non è mai stata presa in considerazione per ruoli effettivi nella catena di comando.
    Nelle scuole calcio i ragazzini sono ossessionati dalla tattica e non lasciati liberi di giocare come si gioca per strada divertendosi e divertendo. Non si è mai pensato seriamente di mettere un limite al numero di giocatori stranieri che ogni squadra può schierare in campo. Di recente Roberto Mancini si era lamentato proprio del fatto che giovani e giovanissimi a differenza dei campionati di altri paesi non sono quasi mai titolari. Ma lui Mancini quando era all’Inter giocava con almeno sette o otto stranieri.
    Per il presente e il futuro del calcio italiano non ha alcuna importanza sapere chi ha ragione tra Aurelio De Laurentis e Luciano Spalletti. Ma ci accapiglieremo proprio su questo. Intanto il calcio vero quello che conta si giocherà solo altrove. Forse anche in Arabia Saudita, ma non qui dove una volta si parlava del campionato più bello del mondo.
    (frank cimini)

  • Non manca nulla, pure il pizzo di Stato sui detenuti

    Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari annuncia che sarà costituito un fondo per le vittime dei reati da alimentare con una piccola parte degli stipendi dei detenuti che lavorano. “Credo che sia un bel segnale che chi con i propri comportamenti ha offeso la collettività violando la legge contribuisca risarcire in qualche modo chi da quel comportamento è rimasto offeso” aggiunge Ostellari dopo aver premesso che i fatti questi giorni, ovvero i tre suicidi “ci impongono una riflessione sul futuro del sistema carcerario che a mio avviso non può prescindere da due parole chiave, regole e diritti”.

    Insomna a fronte di reclusi che scelgono di togliersi la vita perché non reggono un sistema pentitenziario e condizioni di detenzione a dir poco inique a pagare il conto deve essere la popolazione carceraria che lavora. Siamo a una sorta di pizzo di Stato sugli ultimi, nella Repubblica del vittimario anche se Ostellari bontà sua ammette che il 98 per cento dei reclusi che lavorano poi una volta fuori non rientra nel circuito criminale. E di conseguenza, stando al ragionamento dell’”illuminato” sottosegretario alla Giustizia questi detenuti devono pagare un prezzo ulteriore accettando di buon grado la decurtazione del salario. Vale a dire di essere ulteriormente sfruttati. E devono dire grazie a chi li sfrutta a cominciare dalle imprese che assumendo detenuti hanno diritto a forti sgravi fiscali.

    ”Più lavoro, più attività di rieducazione, ma niente sconti per chi crea disordini e mette in pericolo l’incolumita’ del personale e del resto della popolazione detenuta” continua il ragionamento. Non conta niente invece il fatto che spesso gli agenti di polizia penitenziaria accusati di aver picchiato e torturato i reclusi nel corso delle rivolte o anche in assenza di eventi di questo tipo dopo un po’ di tempo vengono reintegrati in servizio e rimessi addirittura nella stessa struttura dove avevano operato in precedenza.
    (frank cimini)

  • Pista anarchica eterna solidarietà a Cospito è reato grave

    Per Alfredo Cospito non basta la tortura del 41bis fino al divieto di tenere in cella le foto dei genitori defunti. Cospito continua ad essere processato un po’ ovunque. Per stare agli ultimi giorni tra Perugia, Genova, Firenze e Carrara con misure cautelari destinate a chi lo ha sostenuto perché come scrive il giudice delle indagini preliminari del capoluogo ligure inneggiare a Cospito è un reato.

    Il circolo culturale anarchico “GogliardoFiaschi” di Carrara in un comunicato parla di una decina di misure che la procura di Genova aveva chiesto come custodia in carcere e che il giudice ha trasformato in quattro arresti domiciliari, cinque obblighi di dimora. In cella a La Spezia è finito solo un indagato perché viveva in una casa occupata.

    Associazione sovversiva con finalità di terrorismo, istigazione a delinquere. Tutto ruota intorno al quindicinalea Sergio “Bezmotivny” peraltro già chiuso per articoli a partire dal 2020 che avrebbero offeso l’onore e il prestigio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

    Nel dicembre scorso il circolo di Carrara aveva manifestato solidarietà a Cospito postando sul proprio profilo Facebook la foto di un intervento dell’anarchico detenuto a Sassari Bancali risalente addirittura al 1990 durante l’occupazione di un teatro cittadino.

    il nome del quindicinale, ritenuto dai magistrati stampa clandestina, richiama la vicenda degli anarchici del primo novecento in Russia contro il regime zarista. Il circolo è da tempo attivo con iniziative di tipo culturale e letterario con temi che riguardano lavoro ambientale e ecologia. Gogliardo Fiaschi era un partigiano deceduto nel 2000 che tredicenne aveva preso parte al,a Resistenza sulle Alpi Apuane nella formazione anarchica “Gino Lucetti”.

    Computer cellulari e materiale di area tra cui manifesti contro Marta Cartabia sono stati sequestrati dalla Digos. Sotto accusa addirittura “due casi di proselitismo nei confronti di minorenni”.

    Il gip nell’ordinanza dice che anche il giudizio sulla personalità degli imputati conferma il fortissimo pericolo di reiterazione dei reati e prosegue addebitando “la reattività contro qualsiasi imposizione proveniente dallo Stato identificato come il nemico principale”. Poi c’è “l’adesione convinta alla pratica anarchica fino a farne una ragione essenziale di vita”.

    Insomma dalla lettura dell’ordinanza emerge chiaramente che il problema è politico. “E’ l’ennesimo tentativo di dimostrare l’esistenza di una associazione con finalità di eversione, tutti tentativi già falliti in passato, peraltro in questo caso relativa a mere pubblicazioni e nessun atto concreto da parte degli indagati – dicono gli avvocati Fabio Sommovigo, Marta Magnanini e George Botti – Si tratta di scritti che si suppongono istigatori o apologetici e quindi di un ambito strettamente connesso all’espressione della libertà di pensiero”

    E aggiungono i i legali: “2 anni di indagini con due fascicoli aperti pedinamenti e intercettazioni dimostrano che oltre a scrivere gli indagati null’altro hanno fatto e soprattutto che non vi è stata alcuna condotta loro attribuibile concretamente offensiva per persone o cose”

    (frank cimini)

  • 41bis Pensare l’impensabile tentare l’impossibile. Un libro

    Pensare l’impensabile tentare l’impossibile” è il titolo di un lavoro di 73 pagine (10 euro Edizioni Colibrì’) a cura dell’Archivio Primo Moroni, Calusca City Lights e Csoa Cox 18 che sintetizza un dibattito avvenuto a Milano nei mesi scorsi e va oltre aggiornando il caso di Alfredo Cospito e del 41bis del quale viene messa in discussione la definizione di carcere duro perché significherebbe pensare che possa esistere un carcere leggero.

    Insomma il problema è il carcere. “Pensare l’impensabie, tentare l’impossibile” è una frase di Alfredo Cospito riferita da uno dei suoi legali Maria Teresa Pintus. “Il 41bis è una misura di pressione non una condanna come si sente dire nei talk show e pure nei telegiornali. La condanna la infligge il giudice il 41bis no – sostiene Pintus- La sottoscrizione avviene a firma del ministro della Giustizia, quindi dell’esecutivo. Se da un punto di vista tecnico è un errore da un punto di vista popolare il 41bis invece resta effettivamente una condanna di cui è molto difficile ottenere la revoca. Il 41bis diventa un marchio. L’unico giudice competente a revocarlo è nel nostro paese il Tribunale di Sorveglianza di Roma che si configura come un tribunale speciale”.

    E non è vero che il 41bis viene applicato solo a chi ha l’ergastolo ostativo. Tra i destinatari anche reclusi in attesa di giudizio.

    Charlie Bernao parla del collegamento fortissimo tra guerra è populismo penale, attività interna di repressione di punizione e di uso della tortura. “I giuristi creano a tavolino il diritto penale del nemico e contro il nemico si creano i presupposti per utilizzare la tortura che sarebbe vietata dalle convenzioni internazionali. Gli psichiatri e gli psicologi ci dicono che l’effetto dell’isolamento sulle funzioni cerebrali del prigioniero è molto simile a ciò che succede quando un uomo viene picchiato affamato o privato del sonno”.

    Insomma il 41bis è una forma aggiornata e particolarmente disumana di tortura.

    Elton Kalica parla di “carcere di annientamento” oltre che di tortura. Kalica che è stato detenuto in regime di alta sicurezza racconta che “ti contavano i calzini le mutande i pantaloni le magliette e soprattutto i libri. Al 41bis sono morti gran parte dei membri di Cosa Nostra e altri ormai in età avanzata moriranno nei prossimi anni. Poi si cercherà altra gente a mettere al 41bis o si deciderà di chiuderlo? “A mio avviso – conclude Kalica – il fatto di averlo reso permanente attesta l’intenzione di perpetuarlo. Magari mi sbaglio ma voi non contateci”.

    ”In tanti vogliono il morto ma nessuno si assume la responsabilità di vestire i danni del boia – dice Anna Beniamino coimputata di Cospito nel processo per i pacchi bomba di Fossano – in compenso sono tanti i becchìni pronti per preparare la fossa all’anarchico, un balletto sguaiato intorno a una forca. La lotta di un anarchico in sciopero della fame ha spezzato la narrazione imperante nonostante il ridicolo tentativo di dipingerlo colluso con i mafiosi”.

    L’avvocato Flavio Rossi Albertini ricorda che quando Cospito ha deciso di interrompere lo sciopero della fame ha ringraziato tutti e tutte coloro che hanno reso possibile “questa tenace quanto inusuale forma di protesta”.

    Considerazione finale inevitabile. Di questo lavoro sarebbe stato orgoglioso, e lo dimostra la partecipazione all’iniziativa dell’Archivio, il Maestro Primo Moroni che aveva dedicato molti anni della sua vita alla battaglia contro il carcere e l’articolo 90 il padre del 41bis all’inizio dell’infinita emergenza italiana. Infinita e infatti siamo ancora qui.

    (frank cimini)

  • Al 41bis più facile avere ventilatore e gamberoni che libri

    Ristretti al 41bis è più facile avere il ventilatore e i gamberoni piuttosto che un paio di libri chiesti più di un mese fa. È la considerazione che fa l’avvocato Flavio Rossi Albertini difensore delL’anarchico Alfredo Cospito detenuto nel carcere di Sassari Bancali commentando la vita quotidiana del suo assistito.
    Niente di nuovo sotto il sole per giunta visto a scacchi nelle due ore d’aria concesse dall’articolo del regolamento penitenziario relativo al carcere duro.
    Del resto se sono considerate pericolose le foto dei genitori defunti prima negate poi concesse e quindi di nuovo tolte figuriamoci i libri. Sono le “regole” della tortura legalizzata avviata nel caso di Cospito dal maggio del 2022 dalla falsa garantista Marta Cartabia e confermate dal suo successore Carlo Nordio altro liberale a parole che all’istanza di revoca del 41bis non si è degnato di rispondere delegando di fatto la decisione al Tribunale di Sorveglianza di Roma giudice unico in Italia con il compito di decidere sui reclami dei sepolti vivi. Forse accadrà in autunno quando anche il Tribunale circondariale di Torino farà la sua scelta in merito alle foto “incriminate”.
    (frank cimini)

  • Non ci sarà il processo di appello Rubyter

    Non ci sarà un processo di appello per la vicenda denominata Rubyter. E non c’entra assolutamente niente che l’imputato principale Silvio Berlusconi è passato a miglior vita il 12 giugno scorso. La procura della Repubblica di Milano dopo molte discussioni e riunioni ha deciso di non impugnare la sentenza del Tribunale che a febbraio scorso aveva assolto tutti gli imputati.

    Alla fine è passata la linea del procuratore capo Marcello Viola di non presentare alcun ricorso. Il verdetto del Tribunale viene considerato inappuntabile e inattaccabile. L’impugnazione insomma si sarebbe risolta in una perdita di tempo, di lavoro e di denaro pubblico. E va considerato anche che la procura generale della Repubblica non avrebbe sostenuto il ricorso come era accaduto nel processo per corruzione internazionale ai vertici dell’Eni.

    E’ la prima volta che un’assoluzione in un processo a carico di Berlusconi non viene impugnata.

    Nel motivare l’assoluzione i giudici della settima sezione penale del Tribunale di Milano avevano parlato di una “omissione di garanzia”. Le ragazze che frequentavano le feste e le cene nella villa di Arcore avrebbero dovuto essere indagate già all’epoca dei processi Ruby e Rubybis per gli indizi di corruzione presenti a sentire come tali quindi con l’assistenza di un avvocato e la facoltà di non rispondere.

    Il fatto che ciò non sia accaduto ha irrimediabilmente pregiudicato l’operatività di fattispecie di diritto penale sostanziale. E per queste ragioni sono cadute le accuse a carico di Silvio Berlusconi e di altri 28 imputati.

    Nel caso le ragazze fossero state imputate si sarebbe potuto discutere di contestare l’induzio e a non rendere dichiarazioni nei confronti del solo Berlusconi. Ci sarebbe questo errore di qualificazione giuridica alla base dell’esito del processo finito con l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”.

    Nel caso le ragazze fossero state sentite in modo corretto sarebbe stato possibile anche discutere dell’accusa do corruzione in atti giudiziari con riferimento a quelle che avessero consapevolmente deciso di rendere dichiarazioni sulla responsabilità altrui.

    Insomma le cosiddette “Olgettine” sarebbero dovuto essere indagate già all’epoca dei fatti non ascoltate come testimoni semplici. Per cui non si può contestare il reato di salsa testimonianza ne’ quello di corruzione in atti giudiziari.

    L’autorita’ giudiziaria deve assicurare come ha spiegato il collegio della settima penale il rispetto del caso concreto del bilanciamento tra la garanzia dell’individuo e le istanze della collettività di accertamento dei reati come nelle norme sullo statuto dei testimoni.

    Va ricordato che il processo sarebbe finito con le assoluzioni si era già capito alla fine dell’anno scorso quando i giudici del Tribunale avevano accolto l’apposita eccezione formulata dall’avvocato Federico Cecconi, il difensore di Silvio Berlusconi. In sede di requisitoria il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il sostituto Luca Gaglio comunque chiedevano la condanna degli imputati senza successo. I pm avrebbero voluto presentare ricorso contro la sentenza del Tribunale ma alla fine è stato il capo della procura a imporsi.

    Va ricordato che in questa intricata vicenda c’erano stati altri comportamenti anomali della procura retta all’epoca da Edmondo Bruti Liberati. Berlusconi venne iscritto tra gli indagati il 21 dicembre del 2010 mentre le ragazze frequentatrici di Arcore venivano pedinate dalla primavera. Insomma avevano indagato su Berlusconi da mesi senza formalizzarlo.
    (frank cimini)