Categoria: Nera

  • L’appassionata arringa del legale di Venditti
    Contro giustizia-show e doping giudiziario

    Se oggi accettiamo di continuare ad anteporre lo show al sistema giustizia non facciamo altro che avvalorare la tesi per cui la giustizia sia subordinata ai media e all’audience. Non è possibile. Ieri una trasmissione ha inseguito il mio assistito dalla mattina alla sera. Poi ha presidiato per sei l’ingresso del mio ufficio. Il mio assistito ha dei diritti, non si può aggredirlo”.

    In un’appassionata conferenza stampa domenicale, Domenico Aiello, legale di Mario Venditti, si scaglia contro il martellamento mediatico su Garlasco, su Venditti, e pure su Andrea Sempio, in corso in questa Italia in cui, dice prima erano solo tutti “ct, poi tutti infettivologi o pneumologi, poi esperti di guerre internazionali, e infine adesso adesso tutti criminologi e genetisti, tutti!”.

    E chiede guardare con lucidità e comprensione umana all’intera storia di Garlasco. “Immaginate come si sente la madre della povera Chiara Poggi quello che ha dovuto subire a quasi vent’anni dalla morte della figlia”.

    E qui fa un ragionamento che non riguarda solo i media, ma la sua stessa professione. Su Garlasco, ricorda, da anni sono andati “esauriti tutti i mezzi di impugnazione ordinari straordinari, nazionali, europei: tutti legittimi, perché la difesa di un condannato per omicidio ha diritto a esperire ogni mezzo di impugnazione per dimostrare un errore. Ma l’errore – lamenta – nel nostro ordinamento si dimostra con le regole in aula, non sui media. Altrimenti passa il messaggio che la giustizia viene costruita nei talk show. Ma la giustizia non sarà mai opinione, non si esercita a maggioranza, attraverso la simpatia o l’antipatia dei personaggi, delle comparsate. Dobbiamo restituire centralità, dignità, decoro, a quello che facciamo”. Di chi parla Aiello?

    Eccovi indizio. “Noi avvocati abbiamo anche l’obbligo di disincentivare le azioni temerarie. Inutile proseguire con tentativi destinati ad affondare davanti a un giudicato della Cassazione e una sequela di ordinanze che rigettano una richiesta di revisione. Tutti tentativi più che legittimi – afferma – ma non devono essere motivati non dal doping dell’eco mediatica che generano”.

    Conclusione: “Bisogna abbandonare, come in una sorta di eutanasia giuridica, questa ostinazione del cercare una verità diversa da quella stabilita dalla cassazione. Fare i conti con realtà”.
    Se fossi Andrea Sempio io uno squillo ad Aiello per sondarlo lo farei.

  • Se il peso della prova è 73 tera

    Quanto pesa la prova nel processo? E quanto costa? Dati e denari, quando sono troppi diventano un problema. A Ivrea, dove si istruisce il processo sulla strage ferroviaria di Brandizzo (5 lavoratori morti, investiti da un treno in corsa), gli allegati pesano 73 terabyte, e per metterli a disposizione delle parti, la procura dovrà sborsare diverse migliaia di euro, dopo aver superato lungaggini e questioni tecniche inedite.

    Il problema è che al di là dei documenti ‘cartacei’, incluse le relazioni di pg e quelle dei consulenti, è stata depositata una mole di materiale video e audio. Talmente pesante, (73 tera, appunto) da rendere materialmente complicatissima la copia, tanto più in un ufficio non abituato a gestire inchieste così ampie e profonde. A fine luglio gli indagati hanno ricevuto la notifica di chiusura indagini, ma ancora non sono riusciti a vedere nulla di quegli allegati. Tanto che in piena estate la procura di Ivrea ha affidato a un consulente informativo il compito di risolvere il problema.

    Risposta: offriamo due opzioni. O trasferiamo materialmente gli allegati, al costo di 54mila euro per i soli supporti, con “almeno 225 giorni” di attesa per le 15 copie richieste dalle parti. Oppure (scenario 2) carichiamo tutto su un cloud, per una spesa una tantum di 1500 euro iva esclusa per il ‘databox’, 2250 euro per il “servizio di storage”, 810 di prestazioni professionali, e poi 2000 euro al mese per la connettività sicura e il mantenimento del servizio.

    Il tutto con garanzia di caricare tutto sul cloud in 25 giorni lavorativi. Insomma va via un altro mese. Si arriva a fine ottobre. A tre mesi dalla chiusura indagini. A risolvere tutto sarà una preziosa nuvola.

  • Il divieto di andare in pasticceria per la ragazza arrestata nel corteo per Gaza

     

    Può un bignè alla crema essere pericoloso? Siamo sulla linea del surreale dove spesso le leggi e la giustizia galleggiano. La Questura di Milano ha inflitto un Daspo urbano a una ragazza arrestata, e scarcerata dopo la direttissima, per resistenza a pubblico ufficiale nel  corteo in solidarietà alla popolazione di Gaza del 22 settembre scorso a Milano.

    Tra le prescrizioni ce n’è una molto curiosa. Non potrà frequentare per due anni né “stazionare” vicino a ristoranti, bar, pizzerie, gelaterie, pasticcerie e locali presenti in più zone di Milano e per un anno non potrà accedere, né avvicinarsi alla stazione Centrale, né ai treni né alla metro, e alle aree limitrofe. “Un provvedimento solo punitivo che non alcuna attinenza coi fatti contestati” dice Mirko Mazzali, il legale della ventunenne.

    L’unico precedente per la giovane frequentarice del centro sociale Lambretta è per il reato di invasione dell’ex cinema Splendor. Non esattamente una professionista del crimine, insomma

    Ora, il diktat di non gustarsi un pasticcino al tavolo non è un’invenzione della Questura ma una possibilità offerta dalle norme che disciplinano il Daspo e che individuano anche le pasticcerie e gelaterie come luoghi di aggregazione e quindi potenzialmente scenari di turbolenze.

    A memoria non ricordiamo manifestazioni che si infiammano da una scintilla sprigionata da un babà con o senza capocchia.

    (manuela d’alessandro)

  • A Cesare quel che è di Cesare, il 41bis è antifascista

    Il fascismo non c’entra. Bisogna dare a Cesare quello che è di Cesare. Il 41bis sul quale anche la “mitica” Corte europea dei diritti dell’uomo ha messo l’imprimatur al pari del predecessore articolo 90 è tutto della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista. Che ora un governo di destra di ex fascisti molto forcaiolo lo condivida in pieno è solo una conseguenza automatica.

    L’articolo 90 nacque in piena emergenza “antiterrorismo” per annientare l’identità politica dei detenuti nelle carceri speciali, il circuito dei camosci. Il 41bis rappresenta la prosecuzione del 90 nel paese dell’emergenza infinita. Nato come “antimafia” è stato subito applicato anche ai prigionieri politici. Oggi affligge oltre a Cospito quattro ex militanti delle Brigate Rosse organizzazione che ha cessato di esistere oltre 20 anni fa.

    Il 41bis ha una chiaro marchio “de sinistra” considerando per esempio lo striscione che apriva il corteo in ricordo di Falcone e Borsellino a Palermo. C’era scritto: “Giù le mani dal 41bis”. La mafia dell’antimafia dì sciasciana memoria che fa il paio con il terrorismo dell’antiterrorismo.  Il problema di questo antifascismo che nella sua storia vanta gli incontri segreti tra Almirante e Berlinguer durante i 55 giorni di Moro ovviamente ”per difendere la democrazia”.
    A Cospito il carcere duro fu applicato per decisione di Marta Cartabia ministro di un governo col Pd dentro e una fama ingiustificata di “garantista“,

    Il ministro Nordio si prepara tra pochi mesi a prorogare la tortura ai danni di Cospito dopo aver respinto tutte le richieste di revoca presentate dai legali dell’anarchico. E lo farà con il consenso di tutte le forze politiche. I fascisti insieme agli antifascisti. Nel paese della Costituzione più bella  del mondo, quella usata come carta igienica  mezzo secolo fa dal regime Dc Pci e sostituita con una Carta adeguata alle leggi dell’emergenza. Dove il 41bis ci sta benissimo.

    (frank cimini)

  • Dal Beccaria alla comunità per un corteo secondo i pm

    Hanno già trascorso due notti al carcere Beccaria per aver partecipato al corteo in solidarietà per Gaza in attesa dell’interrogatorio di convalida davanti al gip De Simone domani alle 12. Accusati di resistenza aggravata e danneggiamenti un ragazzo e una ragazza di 17 anni studenti del liceo Carducci ora rischiano di essere rinchiusi in una comunità per minori. È questa la richiesta dei mitici pm di Milano per contrastare una sovversione che nei fatti non c’è

    I due ragazzi erano stati fermati verso le ore 12 di lunedì davanti alla stazione e centrale di Milano in pratica prima che iniziassero gli scontri dei manifestanti con le forze di polizia. E subito trasferiti al Beccaria in attesa della convalida con la decisione che arriverà al più presto solo due giorni dopo. Il difensore Angelo Guido Guella chiede la scarcerazione. Del resto le due ragazze maggiorenni fermate con le stesse accuse erano state scarcerate il giorno dopo con la misura dell’obbligo di firma quotidiano in un commissariato. Ai minorenni invece è andata già peggio perché intanto hanno fatto una notte in prigione in più. Essere minorenni in questa ennesima storia di repressione senza sovversione appare addirittura come una aggravante. E in più c’è il rischio stando alla procura di andare in una comunita. Che tipo di comunita’? E soprattutto a fare che cosa? Magari a disintossicarsi dalla voglia di scendere in piazza per protestare?

    Domani davanti al gip sarà sentito il quinto arrestato un uomo di 37 anni che risponde anche di lesioni ai danni di un rappresentante delle forze dell’ordine. Reato diventato più grave con l’entrata in vigore del decreto sicurezza, l’ultimo simbolo giuridico dell’infinita emergenza italiana.
    (frank cimini

     

     

     

     

     

  • Lo Stato fa la faccia feroce manette a gogo’ per minori

    Lo Stato fa subito la faccia feroce a meno di 24 ore dalla manifestazione in solidarietà con il popolo palestinese. Scattano cinque arresti per reati come la resistenza aggravata nel corso di una manifestazione per i quali le manette non sono certamente obbligatorie.

    Due ragazze arrestate hanno avuto la convalida del provvedimento nel processo per direttissima e ora l’obbligo di firma giornaliero. Un terzo arrestato sta in attesa della decisione del giudice preliminare. Ha 37 anni è accusato anche di lesioni e avendo l’aggravante di aver commesso il reato ai danni di un rappresentante delle forze dell’ordine per cui il suo comportamento rientra in quelli previsti dalle aggravanti del decreto sicurezza.  Altri due essendo minorenni dipendono da quello che deciderà il tribunale dei minori. L’arresto di minori a causa di un corteo non può non suonare come particolarmente afflittivo.
    Dalle indagini della Digos erano inizialmente emersi i nomi di otto persone tra cui le cinque arrestate. Ma ovviamente prosegue il lavoro di visione dei filmati al fine di identificarne altri. Le accuse di danneggiamenti aggravati non sono state ancora contestate formalmente pur facendo parte dell’inchiesta generale. Gli inquirenti attendono appunto l’analisi dei filmati degli scontri per attribuire le precise responsabilità sui danni causati.
    La visione dei video viene considerata importante per identificare i partecipanti alla “guerriglia urbana” che si stima fossero diverse centinaia. Insomma la prospettiva è quella di andare verso un maxi processo.
    La sicurezza era stata rafforzata intorno al Tribunale mentre erano in corso i processi per direttissima a completare il quadro del clima di emergenza intorno a questo ultimo atto in ordine di tempo di una repressione senza sovversione. Gli arresti di ieri mattina a cui seguiranno altri nei prossimi giorni hanno chiaramente una funzione di deterrenza verso la partecipazione ai cortei sia per la solidarietà internazionale che per le questioni di politica interna. In modo che si capiscano le vere ragioni del decreto sicurezza e del perché abbia sostituito velocemente il disegno di legge. Il tutto per regolare lo scontro sociale.
    (ftank cimini
  • Corruzione urbanistica, pm passo più lungo della gamba

    “Da pm e gip motivazioni svilenti” “Non può bastare dare o accettare incarichi per dimostrare la corruzione” “Congetture” “Mancano i gravi indizi”. Sono alcune delle definizioni utilizzate  dai giudici del Riesame nel motivare perché erano state annullate le ordinanze di custodia cautelare a carico di Alessandro Scandurra (domiciliari) e Andrea Bezziccheri (carcere) due delle persone indagate nell’indagine sull’urbanistica.

    Nei prossimi giorni saranno depositate le motivazioni relative ad altre posizioni dove in alcuni casi restano in piedi misure meno afflittive ma le ordinanze di cui si è venuti a conoscenza oggi segnano l’intera inchiesta con rilevazioni molto critiche. Non ci sono prove del patto corruttivo. Al massimo si potrebbe parlare di abuso d’ufficio reato nel  frattempo abolito.

    Insomma i pm a fronte degli abusi edilizi dimostratida grattacieli eretti  ristrutturando cortili avevano scelto di fare il passo più lungo della gamba, ingolositi dalla possibilità di contestare la corruzione e procedere con misure cautelari. In parole povere forti degli elementi in loro possesso sugli abusi hanno cercato di stravincere e di dare una forza mediatica all’inchiesra che comunque fa discutere di problemi gravi che esistono. La questione è che almeno secondo due decisioni del Riesame n9n c’è il reato più grave  e non esistevano ragioni per privare della  libertà imprenditori e architetti. Dal l’urbanistica emergono importanti questioni politiche che tocca in primo luogo alla politica risolvere. Questo al di là della sussistenza o meno di fatti di corruzione

    (frank cimin)

     

  • Il QR sulla porta, l’ultima frontiera per prendere appuntamento col magistrato

    Uno dei problemi che più incidono sulla salute mentale degli avvocati, oggetto di frustrazioni e lamentele, sono le ore di attese davanti alle porte dei pubblici ministeri per essere ricevuti e ottenere un colloquio.

    Se un tempo, ricordano i veterani, c’erano rapporti di confidenza e confronto assidui tra legali e magistrati, adesso è diventato  più difficile avere la possibilità di un confronto che una sentenza di assoluzione. Qui ci piace ricordare l’affabile all’epoca (primi anni 2000) procuratore Corrado Carnevali che, una volta alla settimana, riceveva un uomo che gli raccontava del suo amore platonico per una nota cantante. Con pazienza, simpatia e rispetto ascoltava una persona che manifestava evidentemente delle fragilità.

    Ed ecco che arriva, inaspettata, epifanica, una soluzione che ha le fattezze bianche e nere di un QR code, il codice a barre che apre ad altre dimensioni. Sulla porta di una magistrata al quarto piano, è apparso un foglio di carta con un ‘languido’ invito: “Scan me” e a fianco la spiegazione. “Fotografando con il cellulare l’immagine a fianco sarà possibile accedere alla pagina per gli appuntamenti. La disponibilità sarà comunicata mensilmente”.

    Proviamo a cliccare il link ed ecco spalancarsi un mondo di appuntamenti con addirittura due alternative: “(Telefonico) Appuntamento 15 minuti” con indicazione del numero da comporre e (In presenza) Appuntamento 15 minuti presso la Procura”. Sotto appare il calendario da compulsare per selezionare date e orari disponibili. Con quale frequenza, non tocca a noi scoprirlo.  (manuela d’alessandro)

  • Un pomeriggio d’agosto nel tribunale, caccia al pm di turno nel deserto

    Bella la giustizia a Milano, ad agosto. Ci vado sempre in vacanza.

    Ieratica come i grattacieli in costruzione che svettano lucidi e snelli dalle finestre ai piani alti del palazzo, l’emblema del dèmone di questa città inseguito dalla Procura.

    Tutto azzurro oggi, vista panoramica che nemmeno in costiera e in più la pace dei sensi. What else?

    Cinque del pomeriggio: l’ora delle rese dei conti. Non qui, non ora.

    “Andiamo dal pubblico di ministero di turno a vedere se succede qualcosa a Milano” si motivano due cronisti habitué del tribunale che cercano sul sito della Camera Penale e annotano il nome del pubblico ministero a cui spettano gli affari urgenti di giornata.

     

    Non sia mai, in fondo il Watergate nacque da un’incursione di Bob Woodward e Carl Bernstein alla direttissime.Ma torniamo ai duri marmi del palazzo. Il pm è un nome mai sentito, sarà appena arrivato.

    Parte una caccia che di piano in piano si fa sempre più allucinata. L’umidità  amazzonica aiuta a trasecolare. Consultiamo i fogli con l’elenco dei nomi e dei numeri delle stanze. Il pm D. non è indicato.

    Transitiamo a fianco di cumuli di sedie e vecchi condizionatori accatastati.

    Tutto inanimato, se non fosse che le persone che si occupano delle pulizie stanno bagnando il pavimento potremmo essere nel deserto.

    Disturbiamo uno di loro per chiedere se sappiano dove stia il nostro magistrato. Negativo.  Chiediamo a  a un uomo che cammina nei paraggi, potrebbe essere un  cancelliere. Elegante.“Sa dove si trova D.?”. Il cenno negativo del capo è la risposta.

    Troviamo un pubblico ministero al lavoro dopo avere bussato invano in altre stanze. Chiacchiere di rito e la domanda: “Sa dov’è la stanza di D.?”. Risponde che forse l’ha visto in una riunione ma non sa dove sia. Saliamo, inerpicandoci negli strettti ‘vicoli’ della Direzione distrettuale antimafia. Passiano accanto a una fotocopiatrice che ha un sussulto e ce lo abbiamo pure noi, naufraghi straniti in mezzo a un mare di calda ovatta.

    Ecco una persona, un dipendente di un ufficio. “Dov’è D.?”.  Risponde, un po’ accigliato. “Dovete chiedere in centrale penale ma alle 17 di venerdì dubito che troviate qualcuno…”.

    Riscendiamo al quarto. C’è vita in un ufficio, due impiegati della giustizia si danno da fare dietro a malloppi di fascicoli. “Cercavamo D., siamo due giornalisti”. “Sì, vi conosco. Perché lo cercate?”. “Per sapere se durante il turno ci siano stati dei fatti rilevanti…”.

    Prende il telefono e chiama D. Rasserenati dalla sua esistenza, ascoltiamo la telefonata dalla quale il nostro gentilissimo interlocutore apprende dal magistrato che no, non ci sono notizie. Ma, per curiosità, insistiamo con una tigna effettivamente degna di miglior causa, dove ha la stanza il pm D.?. Lui sorride, quasi intenerito. Dai, ci siamo, pensiamo: ora ce lo dirà! E invece: “Ve lo dico lunedì”.

    Buon week end, giustizia.

    (Manuela D’Alessandro)

  • ‘Morire di Stato’, il libro che racconta le storie di di 365 “vittime dell’Italia Repubblicana”

    Gianpaolo Demartis, Elton Bani. Sono i due uomini che hanno perso la vita per strada a un giorno di distanza,  dopo essere stati colpiti dai dardi dei taser usati dai carabinieri. Si allunga, con loro, l’interminabile elenco dei morti di Stato. Ma quante sono le persone cadute durante un corteo, in una caserma, in operazioni di servizio di forze di polizia? Come si chiamavano? Che storie e che responsabilità stanno dietro decine di croci piantate nei nostri cimiteri?   Il collettivo Cronache ribelli prova a rispondere. Cerca di rompere quello che definisce il  «tabù della violenza di Stato». E va oltre una manciata di nomi e cognomi non ancora evaporati dalla memoria collettiva, Giuseppe Pinelli,  Luca Rossi, Roberto Franceschi, Giannino Zibecchi, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Carlo Giuliani.

    Lo strumento è il libro Morire di Stato, che ricostruisce e condivide le storie  sbagliate e le brevi esistenze di «365 vittime dell’Italia repubblicana»,  una al giorno, una parte di quelle contate tra il 1946 e il 2024.

    Enrico  Costantini, Giuseppe Grossetti e Adolfo Scurti aprono la pubblicazione. Restarono a terra, a Roma, durante gli scontri scoppiati il 9 ottobre 1946 al termine di una manifestazione operaia. Chiude l’elenco parziale Ramy Elgaml, il ragazzo in sella allo scooter in fuga  guidato da un amico, braccato dai carabinieri e finito contro un palo al Corvetto di Milano, il 24 novembre 2024. Tra loro, a decine, disoccupati, lavoratori, migranti, studenti, disoccupati, contestatori, malati psichiatrici e qualche donna (Giorgiana Masi, al esempio), tifosi (come Gabriele Sandri), un militare (il parà Emanuele Scieri), i “soliti sospetti”. Spacciatori, anche. E poi rapinatori, pregiudicati, detenuti, minorenni.

    Molti nomi, scorrendo l’indice, non dicono nulla prima della lettura delle schede cui i numeri di pagina rimandano, corredate da citazioni delle fonti. Altri evocano volti, indagini azzoppate, familiari in lotta per avere giustizia, aspettative deluse, polemiche.

    C’è un filo comune, un collante dichiarato. La scelta di raccogliere in un solo volume casi così differenti, e spesso consegnati all’oblio, nasce da una volontà precisa. «Respingere con forza l’idea che esistano vittime di serie a e vittime di serie b, che si possano distinguere i morti tra chi merita giustizia e chi no, la divisione tra chi è degno di pietà e chi è ritenuto colpevole della propria fine».  Così nel libro vengono dettagliate «storie che è sempre più importante portare a galla e diffondere», perché «viviamo in un Paese dove ciclicamente la repressione torna a essere la risposta dello Stato al dissenso, alla marginalità, alla mancanza di servizi, alla crisi economica, alla malattia mentale, alle scelte di vita non conformi».  La controprova più recente sarebbe il decreto sicurezza, la conferma è che la conta dei morti è proseguita dopo la pubblicazione del volume.

    Le analisi degli autori sono nette e a tratti urticanti, le argomentazioni destinate a far discutere e a innescare reazioni di segno opposto. «Per noi – rimarcano – nessun crimine giustifica la pena capitale.  Non solo. Nessuno dei comportamenti assunti dai protagonisti dell’almanacco in un contesto autenticamente democratico, dovrebbe avere come conseguenza la morte». E, ancora, riferendosi a chi viene associato in negativo a tutte queste vite a perdere: «Non si tratta  solo di condannare l’operato dei rappresentanti dello Stato, le azione di singoli individui. Il problema è più profondo. Il problema sta nelle leggi che autorizzano l’uso sproporzionato della forza, nelle prassi che trasformano l’intervento sanitario in operazioni di polizia, nei regolamenti e nelle legislazioni che tollerano la detenzione arbitraria, la tortura psicologica, l’umiliazione sistematica».

    Morire di Stato, pagine 182, 17,00 euro, in vendita anche on line

    Lorenza Pleuteri, giornalista indipendente, collaboratrice di Osservatoriodiritti.it

  • Dalle scopate del Cav a quelle del figlio di La Russa

    I colleghi della giudiziaria da un bel po’ lamentano di avere poco da scrivere. Un importante pm chiosa: “Qui ormai ci sono solo reati sessuali, il tempo dei colletti bianchi è finito”. Volendo fare un battuta che suona anche come osservazione critica si può dire che nel tempio che fu di Mani pulite i pm sono passati dalle scopate di Silvio Berlusconi a quelle del figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa.

    O meglio al revenge porn di Leonardo Apache La Russa perché l’accusa di violenza sessuale dovrebbe essere archivista secondo la procura. La richiesta sembra ben argomentata e con ogni probabilità sarà accolta in autunno dal giudice per le indagini preliminari. Ma l’inchiesta su Apache resta un segno dei tempi magri a livello cronachistico. Insomma Milano e il suo palazzacciò non sono più caput mundi.

    In verità non manca qualche inchiesta importante. Ma per esempio quella sugli abusi edilizi, con grattacieli che nascono dalla ristrutturazione di cortili non è ben vista (eufemismo) dagli editori dei giornali che sono pur sempre dei padroni e da quasi tutti i partiti. La maggior parte della politica è a favore della famosa legge “salva Milano” nel frattempo arenata in Senato e che in parole povere sarebbe un vero e proprio colpo di spugna, una sorta di insabbiamento.

    Per cui se ne parla il meno possibile degli abusi e dei danni ai diritti dei cittadini ai quali viene sottratto spazio e aria in nome della necessità di favorire lo  sviluppo. Va detto che questa inchiesta quando la procura era in mano a Magistratura Democratica  non sarebbe stata possibile. Gli abusi edilizi in grande stile c’erano già ma non si poteva disturbare la giunta di centrosinistra. La moratoria delle indagini su Expo sta lì a dimostrarlo.
    Milano ha perso per ora il primato del circo mediatico giudiziario. In pole position c’è la procura di Pavia con l’indagine bis su Garlasco che monopolizza l’attenzione generale tra prime pagine di giornali e tg passando per i talk show dove personaggi improbabili ne raccontano di tutti i colori. E parliamo di un’indagine dove almeno per adesso non è emerso nulla che possa portare a chiedere la celebrazione di un nuovo processo. In compenso però ci sono un sacco di laureati in Garlascologia una facoltà destinata forse a trovare una soluzione al problema della disoccupazione intellettuale.

    (frank cimini)

  • Più armi nel Pil meno welfare indagini su anarchici a gogo

    In poche ore arrestato a Roma Massimiliano Mori che gestiva due blog di idee e pratiche anarchiche compresa la pubblicazione di motivazioni di attentati per lo più dimostrativi per una accusa di istigazione a delinquere che in casi del genere non regge alla prova dei dibattimenti. La procura di Bologna ordina 15 perquisizioni in riferimento a fatti dell’aprile 2023. Due auto della polizia incendiate a Rimini, associazione sovversiva finalizzata al terrorismo. Il periodo incriminato è quello delle manifestazioni di solidarietà per Alfredo Cospito. Il pm che firma i provvedimenti è Stefano Dambruoso ex star del contrasto al fondamentalismo islamico che lo fece balzare sulla copertina di Time come il cacciatore numero al mondo di Bin Laden.

    Da tempo Dambruoso si è specializzato sul fronte anarchico con risultati  molto scarsi, inchieste flop che manco arrivano in aula. Della campagna di solidarietà con Cospito faceva parte anche il corteo dell’11 febbraio 2023 che nei giorni scorsi ha portato a Milano a condanne fino a 4 anni e 7 mesi. Dopo una requisitoria show in cui i pm accusvano i manifestanti di essere vestiti “in modo aggressivo”.

    Il contesto di queste notizie giudiziarie è quello in cui il governo italiano aderisce a Trump firmando la promessa di spendere per acquisto di armi il 5 per cento del Pil. Togliendo soldi a welfare e servizi nonostante la Sora Meloni affermi che non sarà cosi. Non è difficile ipotizzare in questa situazione un incremento almeno piccolo del conflitto sociale. Sul punto è stata già affidata la delega al decreto sicurezza. Piu galera per chi protesta nelle piazze. E per chi lo farà da già carcerato. Tutto si tiene.

    Chi comanda sembra avere nostalgia degli anni ‘70. L’infinita emergenza italiana dopo mezzo secolo non conosce limiti. Neppure in un quadro di repressione senza sovversione come quello attuale. Diciamo che siamo a inchieste giudiziarie “esplorative”, a intimidazioni e avvertimenti. Quel poco che si muove o ha intenzione di farlo sarà ucciso nella culla. E si parla esplicitamente  di modificare la già flebile normativa sulla tortura perché la polizia deve poter lavorare senza lacci e laccinoli. Senza dover sopportare iscrizioni del registro degli indagati. Mentre i sindacati di polizia premono affinché sia creato il reato di “terrorismo di piazza”. Affinché quello di Stato possa dispiegarsi liberamente.

    (frank cimini)

  • Quando Leonardo Apache La Russa
    fece l’Indiano coi cronisti di Garlasco

    Facendo slalom tra microfoni, taccuini e giornalisti spiaggiati nella calura insopportabile della Questura in attesa della rivelazione che li liberi finalmente dallo stato di patologica confusione svelando loro quel che ormai non capiscono più – chi ha ucciso Chiara Poggi – un giovane in pantaloni comodi e maniche di camicia arrotolate usa il tono del cazzeggio avvicinando a turno i cronisti con – ritiene forse – le difese più abbassate.
    “Ma venite sempre qui?” Eh, talvolta. “Per esempio, siete venuti anche per la storia del figlio di La Russa?”. Mah, chi fa la nera o la giudiziaria di quella storia si sarà pure occupato. Ma come mai chiedi a noi, bel fioeu di zona 1 con gli occhi blu? “No, sai…è che è un mio amico“. Ah. “E non ho ancora capito com’è andata veramente quella storia”. Aaah. Parla della nota indagine su una presunta violenza sessuale e del relativo presunto caso di revenge porn. Beh, sul revenge porn – fanno notare i giornalisti – hanno chiuso le indagini sì certo c’è la questione dell’elemento soggettivo, si vedrà in tribunale come andrà a finire, il fatto in sé però è abbastanza pacifico. La violenza, invece, boh. “Ah hanno chiuso le indagini, vuol dire che archiviano?”. No, significa che tendenzialmente chiederanno il processo. Anzi, lo hanno già fatto. “Lo hanno già fatto?”. Sì. Invece per la presunta violenza è stata chiesta l’archiviazione, anche se poi la parte offesa si è opposta. “Davvero?”.
    Davvero. Davanti a tanta sollecitudine e a quegli occhi glaciali, le illuminate menti dei cronisti vengono trafitte da un sospetto. Fusse che fusse che l’amico del figlio di La Russa è un po’ il figlio di La Russa stesso? Google photos prontamente fornisce loro le risposte che un tempo, quando il mestiere era una cosa per persone serie, avrebbero cercato dentro se stessi. Capello lunghetto, la barba rada, incolta…non c’è bisogno di Dna o di un incidente probatorio. Scusa Leonardo, sei proprio sicuro di non aver capito bene quella storia? Leonardo Apache La Russa smette di fare l’indiano. Colto in flagrante, esce dalla finzione con un sorriso luminoso: “Ma come avete fatto a scoprirmi?”.
    Davanti alla questura passa anche Francesco Chiesa Soprani, quello degli audio di una che col delitto di Garlasco non c’entra niente, anche se ai programmi televisivi piace tanto parlarne. Francesco che ci fai qui? “Passavo, ciao”. Ma perché sei entrato in questura, prima? “Niente, andavo a chiedere un’informazione”.
    Venite a trovarci davanti in via Fatebenefratelli la prossima volta. Ci annoiamo. Magari rimediate una intervista.

  • Tutti alla facoltà di Garlascologia lauree a gogo’

    Garlasco non è solo un’arma di distrazione di massa, ma una telenovela con almeno una nuova puntata tutti i giorni. Oggi il Ris dei carabinieri si è insediato nella villetta dove fu uccisa Chiara Poggi, ispezione, sopralluogo per operare una ricostruzione in 3D per fare concorrenza al famoso plastico di Vespa formato Cogne.

    La famiglia della ragaza uccisa 18 anni fa osserva che si tratta degli stessi accertamenti già fatti nell’indagine su Alberto Stasi condannato in via definitiva a 16 anni di ruclusione. I genitori di Chiara lamentano inoltre che l’ordinanza relativa all’ispezione era statale data prima ai media e poi a loro. Anche qui niente di nuovo sotto il sole. Era già accaduto per la famosa impronta 33 consegnata prima al Tg1 e poi alla difesa di Sempio. Il Tg1 è tra quelli che ci sguazza di più in questa vicenda avendo un filo pressoché diretto con chi fa le indagini.

    Il carattere mediatico di questa inchiesta bis su Garlasco è fin troppo chiaro. Che si riesca a tornare in aula con elementi che sufficienti e utili a celebrare  un nuovo processo appare allo stato improbabile. Intanto si sta celebrando una gigantesca udienza giorno per giorno dove le persone coinvolte sono molto meno garantite che in Tribunale dove il diritto è già incerto.

    E si alimenta la curiosità del pubblico che ha portato il sindaco a chiudere un po’ di strade per garantire la riservatezza e la  privacy dei residenti. La Garlascologia potrebbe essere la materia di una nuova facoltà universitaria per distribuire lauree a gogo’.  Si intravede un possibile sbocco per la disoccupazione intellettuale

    (frank cimini)

  • ll rischio che dopo Garlasco si apra la stagione degli eterni processi

    “Se la riconducibilità ad Andrea Sempio dell’impronta sulla parete di casa Poggi viene veicolata come un risultato scientifico, quello precedente sulla stessa impronta cos’era?”.

    Marzio Capra è il genetista che affianca la famiglia della ragazza uccisa e ha lavorato in tutti i più importanti casi di cronaca degli ultimi due decenni.

    E’ lui a scagliare la domanda giusta, dritta, urtante, che aiuta a comprendere quanto la nuova indagine su Garlasco potrebbe sgretolare le già flebili certezze sulla giustizia. Le risposte logiche sono soltanto due ed entrambe a loro modo angoscianti. “Se passa il concetto che si mette in dubbio una perizia sul dna fatta nel contraddittorio, quella sulle unghie di Chiara Poggi, e poi che delle impronte dichiarate inutili diventano utili e vengono attribuite a una persona, allora possiamo mettere in discussione tutti i casi di omicidio.Oppure, ed è l’alternativa, devi pensare che ci sia stata una grave imperizia dei consulenti, quelli di allora o quelli di ora”.

    Allarghiamo la visuale lasciando per un attimo il caso singolo: il paradosso è che sarebbe meglio che venissero indagati gli esperti per falsa perizia (un reato che esiste davvero, è previsto dall’articolo 373 del codice). Si rassicurerebbe così il cittadino che potrebbe essere stata scoperta una stortura nel meccanismo, un ramo marcio del sistema. Perché se invece dovesse passare il concetto che un risultato scientifico raggiunto con tutte le procedure previste dalla legge può essere annichilito molti  anni dopo, allora mettiamoci comodi.

    Si aprirebbe un’era di revisione di decine di processi a cominciare, suggerisce Capra, da quello finito con la condanna di Bossetti per Yara. “Se passa l’idea che le ultime analisi sono le più affidabili e valgono di più, è la fine: dovremmo ricominciare tutto daccapo” dice ancora il genetista .

    Tutti in poltrona risucchiati da un’eterna serie Netflix. Noi comodi a discettare ma poi ci sono gli Stasi, i Sempio, le famiglie delle vittime. Il dolore, la gogna, la paura.

    Qui abbiamo sempre pensato che Stasi andasse assolto perché la sua colpevolezza è sempre stata un passo indietro oltre il ragionevole dubbio ma il rischio ora è che Sempio diventi un secondo Stasi. (manuela d’alessandro)

     

  • E’ arrivata la ‘Crime Prevention Week’, ci credete?

    Come ci si veste alla ‘Crime Prevention Week?’. Si beve e si mangia?

    La Polizia di Stato lancia un’”operazione di controllo straordinario finalizzata alla prevenzione dei reati in ambito ferroviario” che arriva subito dopo la chiusura della ‘week’ più affollata e internazionale, quella del fuori salone del mobile. Ora, qui il tema non sono naturalmente i controlli che rientrano nelle normali attività delle forze di polizia quanto l’utilizzo di una formula che evoca le ormai decine di week cittadine (libri, piano, moda, musei, arte, food, pet, beauty, montagna, greeen) accomunando attività di svago ad ambiti istituzionali e che va nella direzione, come osserva la presidente uscente della Camera Penale di Milano, l’avvocata Valentina Alberta, della “narrazione di Gotham City”.

    Il 9 aprile il questore di Milano, Bruno Megale, già investigatore sul campo di grande valore, ha dichiarato che nell’ultimo anno i “reati sono in importante diminuzione fatta eccezione per le rapine in esercizi pubblici” e le statistiche dicono che nell’ultimo decennio i crimini sono in calo (-21mila).

    Spiega ancora Megale:“C’è stata una grande attenzione per i reati di strada che maggiormente creano allarme e la priorità è dare risposte a questo tipo di fenomeno. Ci sono altri reati più gravi ma che non sono avvertiti in modo così allarmante”.

    Dunque, il tema è quello della percezione più che della statistica. Ecco quindi che viene diffusa la notizia che, durante la ‘Crime Prevention Week”, sono state  arrestate o denunciate alcune persone per spaccio e furto di uno zaino e di un telefonino in zona stazione Centrale.

    Normalissime attività che le forze di polizia eseguono ogni giorno, non certo  solo durante la ‘Crime Prevention Week”, definizione che, a questo punto, mortifica anche il quotidiano impegno degli agenti facendolo passare per eccezionale. (manuela d’alessandro)

  • Concorso in omicidio per lo Stato che non trovò posto nella Rems a Livrieri

    Concorso in omicidio. Lo Stato dovrebbe farsi carico di una parte dei  25 anni che dovrà scontare Domenico Livrieri per avere ucciso la sua vicina di casa Marta Di Nardo.

    Ci si può girare attorno dicendo ‘sì, ma poi, chissà come sarebbe andata, forse non l’avrebbe uccisa’, ma è certo che il dovere dello Stato era  quello trovargli posto  in una Rems dove, secondo un giudice che lo aveva ritenuto seminfermo prima del delitto, avrebbe dovuto essere curato e sorvegliato perché ritenuto socialmente pericoloso.

    Invece nell’ottobre del 2023, libero e sofferente, quest’uomo che ha assistito con  sguardo buio alla condanna nell’aula della Corte d’Assise di Milano, ha ucciso per poi farne a  pezzi il corpo di Marta Di Nardo, nascondendo quel che restava della povera donna di 60 anni in una botola sopra la porta della sua cucina in un palazzo popolare in via Pietro Da Cortona.  A coronare tutto di “assurdo”, questo è l’aggettivo speso dal legale dell’imputato, Diego Soddu, per qualificare la vicenda, ci sono due altri fatti.

    Uno: la perizia psichiatrica disposta dai giudici durante il processo ha effettivamente certificato come seminfermo di mente l’imputato, condizione che gli ha consentito di ottenere un’attenuante.Due, ed è qui che il cortocircuito appare in tutta la sua enormità, i giudici hanno disposto il ricovero in una Rems per 5 anni a pena espiata. Un amarissimo ritorno al punto di partenza.

    Domenico Livrieri e Marta Di Nardo si erano incontrati sul pianerottolo dove condividevano i loro tormenti. Se lo Stato e la Regione, da cui dipendono le Rems che sono di competenza della sanità, avessero fatto quello che gli spettava, probabilmente le due anime perse non si sarebbero trovate in quelle scale per perdersi ancora di più.

    “Il ricovero nella Rems era rimasto ineseguito per mancanza di disponibilità nonostante i ripetuti solleciti dei pm alle autorità di competenza” dopo che un giudice lo aveva disposto. Questa è l’altra sentenza di condanna per l’omicidio di Marta Di Nardo.

    (manuela d’alessandro)

  • I pm si innamorano di processi che non sono roba loro

    Quando i magistrati si innamorano a tal punto dei loro processi fino a diventarne militanti e a trannerli in sede anche se non sono roba loro. A volte però i nodi vengono al pettine. Il pettine nel caso specifico lo aveva in mano il gup di Firenze Anna Liguori che davanti alla richieste dei pm di mandare a giudizio Marcello Dell’Utri accusato di violazione della normativa antimafia e di trasferimento di valori per non aver rispettato la legge Rognoni La Torre ha deciso che Firenze non c’entra trasferendo il processo per competenza territoriale a Milano.

    Il gup ha accolto l’istanza dei difensori Francesco Centinze e Filippo Dinacci secondo i quali il procedimento “è da svolgersi a Milano luogo di residenza del nostro assistito e dovevsarebbero avvenute le condotte contestate dalla procura. Questo procedimento è radicato a Firenze solo per la contestazione di aggravanti delle stragi”.

    Per i legali della difesa il processo non ha alcuna attinenza con l’inchiesta ancora aperta della  Dda di Firenze sui mandanti esterni delle stragi di mafia in cui era indagato con  Dell’Utri anche Silvio Berlusconi poi deceduto,

    La procura di Firenze voleva tenere tutto insieme ipotizzando che l’ex manager di PublItalia avrebbe ricevuto 42 milioni di euro come quantum per garantire l’’impunità di Silvio Berlusconi. Dell’Utri e la moglie Miranda Ratti avrebbero eluso le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione perché l’ex senatore come condannato per concorso esterno in associazione mafiosa aveva il dovere di comunicare le variazioni del proprio patrimonio in relazione e ai soldi ricevuti dal Cavaliere.

    Insomma fino ad oggi, a Firenze soldi e tempo buttati, dopo anni di indagini. Non si può non ricordare il caso del processo  Sme trasferito da Milano a Perugia dalla Cassazione del 2006. Erano passati ben 11 anni dall’inizio della vicenda. E a Perugia scattò la prescrizione per Cesare Previti, Attiio Pacifico, Renato Squillante tutti condannati in primo e secondo grado. Berlusconi era stato prosciolto in precedenza per intervenuta prescrizione.
    Adesso che il caso dei soldi da Berlusconi a Dell’Utri sarà trattato a Milano ricominciando ovviamente da zero bisognerà vedere cosa succederà nell’inchiesta sui presunti mandanti delle stragi, già archiviata due volte in passato dalle procure siciliane. Si tratta di diversi tronconi di indagine dove compare anche il generale del Ros Mario Mori che secondo l’accusa pur avendone l’obbligo giuridico non avrebbe impedito gli eventi stragisti. In occasione degli auguri natalizi ai cronisti il capo della procura di Firenze aveva promesso la chiusura dell’indagine entro la fine del 2025.
    (frank cimini)

  • Pm indagano su vendita stadio Meazza a Milan e Inter

    Come si duceva ai tempi del gran maestro di giudiziaria Annibale Carenzo   “La procura ha accesso un faro”. Il farò questa volta è sulla vendita svendita dello stadio Meazza a Milan e Inter. Un fascicolo conoscitivo a modello 45 senza indagati e senza ipotesi reato ma al fine di verificare se ci sono danni per le casse pubbliche.

    Il Comune è tenuto a non regalare beni pubblici a soggetti privati. Finora si è parlato di 124 milioni per acquistare l’area, 72,98 mi,ioni per lo stadio,  meno 80 milioni che potrebbero essere a carico del Comune per lo smaltimento delle macerie e la bonifica. Quindi 116,98 milioni in tutto per un’area di 280 mila metri quadri. Cioè 417,79 euro al metro quadro.

    Sulla valutazione del Meazza aleggia un altro dubbio visto che poi l’impianto genera 25 milioni di ricavi. Era stato applicato un deprezzamento dovuto alla vetustà dell’impianto ma anche alla considerazione che gli spazi commerciabili interni non sarebbero incrementabili. Ciò deriva da una dichiarazione di M-I Stadio, la società partecipata da Milan e Inter che lo gestisce. Dunque dagli stessi acquirenti, oppure per loro tramite dal Comune di Milano. Ma va considerato che il progetto di ristrutturazione di Arco Associati presentato nel 2024 aveva dimostrato la possibilità di raddoppiarli.

    Il fascicolo sul Meazza non arriva in un momento tranquillo per la giunta di centrosinistra considerando l’inchiesta sull’ urbanistica, i venti cantieri bloccati, la costruzione di grattacieli di venti piani attraverso la ristrutturazione formale di cortili. Insomma la storia della legge Salva Milano che per ora pare bloccata. Ma ormai siamo pure in una situazione assurda in cui la destra manifesta davanti a palazzo Marino chiedendo le dimissioni del sindaco Beppe Sala e nello stesso tempo l’approvazione della Salva Milano. Il sindaco in seconda battuta dice che comunque ci vuole una legge. Nel paese delle 2000 leggi e regolamenti.

    I comitati dei cittadini chiedono al Comune di costituirsi parte civile nei processi per gli abusi edilizi che sono già iniziati. Nessuno però finora ha chiesto la creazione di una commissione e interna amministrativa per capire intorno agli abusi edilizi o presunti tali che cosa fosse accaduto. Se i funzionari indagati e ora sotto processo avessero ricevuto direttive politiche.

    Insomma nel caos urbanistico mancava solo l’inchiesta sulla vendita di San Siro.

    (frank cimini)

  • Le manette che non servono ogni giorno, basta fare finta di non vedere

     

    Quasi tutti i giorni al terzo piano del palazzo di giustizia,  scelto come punto di osservazione perché c’è la sala stampa, si vedono incedere a passo lento nel corridoio persone trascinate in manette con un sottile cavo di acciaio dagli agenti penitenziari. Sono in apparenza tranquille, non esprimono quasi mai manifestazioni di rabbia e che, insomma, non parrebbero rientrare nei casi descritti nella legge 492 del 1992 introdotta nel 1992 approvata in piena tangentopoli per il ribrezzo provocato dalle immagini del politico Ezio Carra portato in giro per il tribunale con gli schiavettoni ai polsi.

    La norma introdusse il principio generale che “salvo in particolari circostanze come la pericolosità del soggetto e il pericolo di fuga, non è ammesso l’uso della manette nella traduzione del recluso. In tutti gli altri casi l’uso delle manette ai polsi o di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica è vietato”.

    E’ veramente difficile, proprio a una neutra osservazione dello stato delle cose (la foto pubblicata è di pochi giorni fa), immaginare che ogni santo giorno calpesti i marmi un detenuto così irrequieto e pericoloso (i processi a imputati di elevato profilo criminale non sono certo quotidiani) da costringere alla violazione di un principio generale.

    Il regolamento penitenziario peraltro prevede che “nella traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni pubblicità”.

    Invece ogni giorno c’è la possibilità di guardare negli occhi, a volte no perché sono fissi a terra, persone in attesa di entrare in un’aula di giustizia legate a un cavo e con le manette che per fortuna, a differenza di  quanto avvenne con Ilaria Salis in Ungheria, gli vengono tolte durante i processi.

    Il tema non è quello degli agenti che si limitano a eseguire degli ordini o forse solo a seguire delle prassi (la pericolosità andrebbe valutata dal direttore del carcere o dalla magistratura).

    Vorremo invece aprire una riflessione se sia possibile evitare che persone vengano ammanettate senza una necessità reale e contro una legge di civiltà che fa propri i diritti di libertà e di dignità.

    Quelli per cui vale la pena non far finta di non vedere. (manuela d’alessandro)

  • Giambellino assolto per sempre dopo azzeramento da pm

    È definitiva l’assoluzione dall’accusa di associazione per delinquere dei mitanti del comitato Giambellino Lorenteggio. La procura generale non ha depositato il ricorso in Cassazione contro la sentenza della corte di appello ammettendo di non avere gli elementi a supporto per  farlo. Si tratta di una conclusione per certi versi clamorosa dopo che nel corso delle indagini preliminari erano state emesse misure cautelari che sconvolgevano la vita di ragazzi i quali studiavano e lavoravano.

    In realtà ai rappresentanti dell’accusa non interessava arrivare prioritariamente alle condanne ma bloccare la lotta per la casa in una metropoli che ha fame di case, piena di abitazione sfitte e dove i costruttori con la scusa di ristrutturare cortili e la complicita del Comune erigono grattacieli di venti piani e quando vengono messi sotto inchiesta per abusi edizi sperano nella cosidetta legge Salva Milano.

    Come avevano sottolineato gli avvocati difensori il comitato non esiste più al pari della mensa popolare della scuola di calcio e di teatro. Questa è una bruttissima storia di utilizzo del processo penale nello scontro sociale e politico, dove all’opera non si sono visti interventi di garantisti ma solo accuse di “delinquenti” totalmente inventate.

    La corte di appello ribaltando le condanne emesse in primo grado lo aveva scritto chiaro: “L’associazione per delinquere non sussiste”. I militanti del collettivo occupavano case fatiscenti alla manutenzione delle quali l’Aler ente l’ regionale regionale non provvedeva.

    La finalità dell’indagine era terrorizzare chi lotta contro le disuguaglianze sociali metterlo in condizione di non nuocere. “Finalità di terrorismo“ si potrebbe dire mutuando le logiche di lor signori. Costi quel che costi. Ma proprio di costi sembra impossibile parlare. Quanto è costata questa indagine tra anni di ordinamenti intercettazioni addirittura elicotteri nei giorni degli arresti? Non lo sapremo mai. Vige una sorta di segreto di Stato. L’ennesima storia di democratura.

    (frank cimini)

     

  • Per quale Costituzione scioperano i magistrati?

    Lo sciopero dei magistrati è una anomalia tutta italiana, ma purtroppo ce ne dobbiamo fare una ragione anche al fine di evitare di sentire la solita cantilena dell’attacco all’indipendenza e all’autonomia di una categoria incontrollata e incontrollabile che non paga mai per i suoi errori e nemmeno per i suoi orrori.

    Ma veniamo al motivo dell’astensione dal lavoro.”In difesa della Costituzione” dicono dopo averla sbandierata e squadernata alle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario per poi uscire dalle aule nel momento in cui parlava un rappresentante del ministero. Comportamenti e atteggiamenti  da asilo Mariuccia da parte di funzionari dello Stato super pagati.

    La domanda è una sola. Per quale Costituzione scioperano? Per quella targata 1948 e poi buttata nel cesso circa mezzo secolo fa  dal regime Dc-Pci e dai governi di unità nazionale? O scioperano in nome della Costituzione materiale adeguata alle leggi di emergenza pretese e ottenute dalle procure, approvate da un Parlamento di vigliacchi che aveva interamente delegato ai magistrati la questione della sovversione interna?

    Parliamo delle leggi premiali che consentirono ai responsabili dei crimini più efferati di uscire dal carcere “puniti“ non per quello che avevano commesso ma per ciò che pensavano di quanto  avevano fatto? Le leggi della madre di tutte le emergenze restarono in vigore anche nelle emergenze successive, mafia e Mani pulite. Non ci furono tribunali speciali come nel ventennio ma uso speciale dei tribunali ordinari. Cioè il peggio del peggio., Perché avessero creato i tribunali speciali poi avrebbero dovuto a un certo punto abolirli.

    Invece stanno ancora lì. Tanto è vero che siamo alla repressione senza sovversione. In corte di assise 50 anni dopo per accertare con carte false e.violazioni delle regole processuali chi uccise il carabiniere ma non Mara Cagol finita con un colpo di grazia il 5 giugno del 1975. 50 anni fa.

    E stiamo con il carcere duro del 41bis applicato a oltre 700 detenuti un numero superiore a quello del periodo delle stragi di mafia. Dove sta la Costituzi9ne del 1948? Non c’è più da tempo immemore. Ma serve all’Anm la cupola della magistratura per prendere in giro un paese intero in nome della “legalità“ che non è mai il diritto di chi è senza diritti. Chi è senza diritti non ha alternative al conflitto sociale oggi in verità molto debole ma per quel poco che c’è viene represso da magistrati e politici uniti nella lotta. Su questo non litigano. Come quando usarono la Costituzione come carta igienica per contrastare un tentativo di rivoluzione il più serio nel cuore dell’Occidente.

    (frank cimini)

  • I servizi segreti querelano ma non sono “deviati”

    I servizi segreti hanno querelato i quotidiani Foglio e Unità che avevano raccontato la storia del funzionario Giovanni Caravelli volato a Tripoli per informare i libici sulle carte in possesso della Cpi per incriminare altri 86 torturatori. In modo che stessero lontani dall’Italia dove verrebbero arrestati.

    E non si tratta di servizi segreti “deviati“ che non esistono. Anzi non sono mai esistiti.

    È sempre la solita storia su ogni argomento: dire servizi deviati fa credere che ci siano servizi buoni, dire capitalismo aggressivo o predatore o turbo fa credere che ci sia un capitalismo non aggressivo o non predatore.

    Il termine deviati fu inventato dal Pci negli anni ‘70 per accreditarei come forza di governo dentro uno Stato “indelebilmente segnato dalle lotte operaie e popolari”. Era la teoria della “classe operaia che si fa stato”.

    Insomma raccontavano la favola del loro stato che era democratico mentre ce ne sarebbe stato un altro  cattivo e “deviato” dalle funzioni istituzionali.

    Ma gli uomini dei servizi segreti arrivati da Roma per indirizzare e inquinare le indagini sulla bomba di piazza Fontana e coprire i responsabili dell’assassinio di Pinelli erano funzionari dello Stato democratico nato dalla Resistenza antifascista.

    Come adesso negli accordi con i torturatoti l’unico avviati dal ministro Minniti governo Gentiloni centro sinistra. E adesso un governo di destra prosegue l’opera. Del resto era stato così per le prime leggi sul lavoro flessibile e sull’istituzione dei Cpr luoghi di tortura ai danni di persone private della libertà senza aver commesso reati.
    (frank cimini)

     

  • Se un processo penale ti salva dalla rovina

    Per il giudice penale, il fatto non sussisteva. L’incendio di fine 2018 a Sorico, nel comasco, che aveva incenerito quasi 700 ettari di bosco del monte Berlinghera, impegnando canadair e pompieri per giorni, non fu colpa loro.

    Il giudice civile, invece, si guarda bene da cercare di stabilire se siano responsabili o no del disastro. Ma incenerisce la multa che avrebbe rovinato la loro vita. Oltre otto milioni. Per l’esattezza: 8.125.739 euro e 80 centesimi. Così, forse di mancia. Se sono salvi, quei due ragazzi, lo devono al principio del ne bis in idem, che forse non conoscevano neppure. Non si processa due volte, in sede penale e amministrativa, lo stesso fatto. A meno che le due sanzioni non prevedano un meccanismo compensativo tra le stesse. Solo che nello specifico, tra la violazione del codice penale e quella di una legge regionale lombarda, la 31/2008 che punisce chi distrugge boschi con un incendio, non c’è collegamento sanzionatorio.

    In sede penale, il pm aveva chiesto un anno e otto mesi di condanna per i due giovani, D.B e A.M, che avevano acceso il barbecue davanti alla baita dei nonni del primo. Tirava vento forte. Alcune tizzoni e faville avevano superato la recinzione e innescato fiamme nel prato. Gli investigatori avevano fatto i conti al millimetro: 684,0986 ettari distrutti. Secondo le difese (avv. Ivana Anomali e Giuseppe Fadda) l’area boschiva era però frequentata anche da altre persone estranee a quella comitiva di amici. E altri roghi indipendenti si erano sviluppati nella stessa zona. Sentenza a maggio 2024. Un 530 cpp che, attraverso la cortina di fumo e fiamme, aveva fatto intravedere la luce ai due imputati.

    Solo in seguito, a fine ottobre, è arrivata la sentenza civile. Le motivazioni tacciono sul merito. La questione è un’altra. Per il giudice di Como Paolo Bertollini c’entrano la sentenza Grande Stevens vs Ue, la A&B vs Norvegia, la giurisprudenza sul principio del ne bis in idem, appunto. Chissà come sarebbe finita senza il processo penale.

    Unica postilla. Una multa, quella sì, va pagata. Per aver acceso un barbecue in un luogo a meno di 100 metri dal bosco, cosa pacifica. Fanno 118,78 euro. Decisamente meglio che un mutuo per le prossime 15 generazioni. 

  • Steccanella ricorda la giudice in bicicletta

    Quando per parecchi anni ho abitato vicino a lei, in zona Pagano, mi capitava spesso di vedere una signora bionda, molto elegante, che pedalava in bicicletta verso la nostra comune destinazione giornaliera, il Tribunale di Milano, io diretto in motorino verso il mio ufficio e lei verso il suo all’interno del Palazzo, io avvocato e lei magistrato. Tribunale di Milano dal quale non mi pare si sia mai mossa nel corso della sua lunga esperienza professionale, in gran parte da giudicante, anche se non mancò di rivestire la funzione di PM negli anni in cui in quel luogo succedevano tante cose, non tutte belle, ma almeno succedevano, come tante altre cose che succedevano nella nostra città.

    Non eravamo amici, ci si dava del Lei, ma non è mai mancato, credo, l’apprezzamento reciproco, fermi restando i rispettivi e diversi ruoli, come sarebbe bello sempre accadesse in qualsiasi luogo di lavoro e non di culto, fino a quando, raggiunta la pensione, non l’ho più incontrata.
    Che fosse anche un bravo magistrato non devo dirlo io e mi interessa poco, come poco rileva un episodio di parecchi anni fa che creò tra di noi un certo malumore da parte sua, quando la mia proverbiale intemperanza mi portò a criticare pubblicamente la sua gestione di un processo di appello e un giornalista riprese la notizia per scrivere un articolo che nulla c’entrava con quel fatto, ma poi la cosa rientrò, e tutto si risolse in breve tempo, come ancora mi viene da dire, sarebbe bene succedesse sempre.
    Ho di Lei il ricordo di due momenti in cui, in qualche modo portò un po’ di luce in quel luogo spesso cupo e sordo quale è quello dove ogni giorno si determina il destino di esseri umani, coi suoi modi garbati e la dolcezza che aveva nello sguardo e nel timbro di voce, gentile, femminile ma autorevolmente apprezzato.
    La prima volta risale a più di 40 anni fa, quando misi per la prima volta piede in Tribunale come carabiniere ausiliario addetto alla scorta dei detenuti che prelevavamo da quel vero e proprio inferno di San Vittore per condurli a giudizio. In quella situazione orrenda di prigionieri in gabbia e gente distratta, lei presiedeva uno dei tanti collegi e mi colpì la sua diversità umana da tutto il resto, quell’aula “sorda e grigia” non le modificava i tratti, anche qui come dovrebbe sempre succedere.
    La seconda accadde tantissimi anni dopo, non molto tempo fa, quando me la trovai a decidere le sorti di un mio assistito che i media avevano trasformato in un mostro e nei confronti del quale trovavo insormontabili difficoltà ad ottenere il rispetto dei minimali diritti che il mio mestiere mi impone di perseguire.
    Non era tenuta a farlo perché oggetto della udienza era altro, eppure volle ugualmente inserire nel provvedimento finale un inciso che stabiliva che nei confronti del mio assistito non si poteva applicare l’osceno regime di detenzione speciale meglio noto come il famigerato 41 bis e fu solo grazie a quell’inciso che con immensa fatica e molti mesi di attesa riuscii ad ottenere una declassificazione del detenuto, rivelatasi a tal punto giusta da scatenare le ire del noto Delmastro, quello che prova “intima gioia” a togliere il respiro ai carcerati.
    Lei non era così, Lei era una bella persona, prima ancora che un bravo magistrato.
    Un saluto speciale a Giovanna Ichino, la bella signora in biciletta, da un avvocato del Foro di Milano.
    (avvocato Davide Steccanella)

  • Giudici: perché il Giambellino non era una “associazione”

    “C’era la continuazione tra più fatti di occupazioni abusive di immobili ma va esclusa l’esistenza di una associazione per delinquere” Lo scrivono in 113 pagine i giudici della corte di appello di Milano per spiegare perché il 6 dicembre scorso avevano assolto  dal reato più grave i giovani del Comitato  Giambellino Lorenteggio che in primo grado erano stati condannati dopo essere stati agli arresti domiciliari e subito altre misure cautelari.

    ”Lo scopo del comitato era quello di occupare case popolari vuote e assegnarle ai richiedenti cercando poi di rendere definitiva l’occupazione contro le iniziative della polizia in particolare monitorando eventuali movimenti degli agenti” aggiungono i giudici secondo i quali si trattava di una ipotesi scolastica della associazione per delinquere che è cosa ben diversa dalla associazione per delinquere finalizzata alla esecuzione di un vasto programma criminoso per la commissione di un numero indeterminato e non preventuvato di reati.
    Il Comitato agiva a livello di quartiere non aveva la pretesa di estendere le sue attivita’  fuori dai limiti territoriali ove se fosse presentata l’occasione.

    La procura di Milano da questa vicenda esce seccamente  sconfitta. Ma purtroppo questo accade dopo la chiusura delle scuole di teatro e di calcio e pure della mensa popolare. Insomma i pm hanno distrutto il Giambellino azzerando la lotta per la casa e contro le disuguaglianze sociali. Uno dei pm apparteneva a Md e questo dimostra che quando c’è da praticare la repressione senza che vi sia sovversione Magistratura Democratica non è seconda alle correnti centriste e di destra.

    (frank cimini)

  • Assolto per vizio di mente è in carcere non si trova Rems

    Assolto per vizio di mente su richiesta conforme del pm da una serie di comportamenti violenti, tra cui la rapina, sta ancora in carcere perché non si trova una residenza dove collocarlo. L’assoluzione è del 12 dicembre. Il giorno 23 dicembre il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha rivolto un appello a varie autorità affinché si trovi una Rems in ambito regionale lombardo.

    Il protagonista di questa terribile vicenda è un uomo di 50 anni che tra l’altro aveva minacciato di morte anche sua madre, al fine di ottenere soldi per comprare sostanze stupefacenti.

    Il periodo trascorso in carcere non solo non gli ha giocato ma ha prodotto un aggravamento delle sue condizioni psichiche, scrive in sede di motivazione il giudice che lo ha assolto. Secondo il giudice l’uomo, difeso dall’avvocato Federica Liparoti, deve essere trasferito in una struttura dove sia curato e seguito. Altre misure non sono possibili.

    La persona di cui stiamo parlando, secondo il giudice, non risulta consapevole della malattia, come emerge dalle perizie alle quali era stato sottoposto.

    Il problema è che a tre settimane dalla condanna sta ancora in carcere perché il sistema non è stato in grado di individuare una struttura adeguata.

    (frank cimini)

  • Da Nordio per Cospito ultima carognata su farina e lievito

    Evidentemente Carlo Nordio, il “liberale e garantista” ministro della Giustizia non ha di meglio da fare in questi giorni. Insieme al Dap ha impugnato in Cassazione l’ordinanza con cui il Tribunale di Sorveglianza di Sassari, ribaltando la decisione della direzione della prigione e del magistrato monocratico, aveva autorizzato Alfredo Cospito ad acquistare farina e lievito.

    Il Tribunale aveva sottolineato che il divieto di acquistare farina e lievito “cozza contro la linea di indirizzo posta dalla Corte Costituzionale che con specifico riferimento alla materia ‘alimentare’  aveva spiegato che anche chi si ritrova ristretto secondo le modalità dell’articolo 41bis deve conservare la possibilità di accedere a piccoli gesti di normalità quotidiana, tanto più preziosi in quanto costituenti gli ultimi residui in cui puo’ espandersi la sia libertà individuale”.

    Insomma per la Consulta  il divieto relativo all’uso di farina e lievito va contro lo spirito e la lettera dell’articolo del regolamento penitenziario del carcere duro. In pratica siamo al di là del bene e del male.

    I giudici scrivevano anche: “Del resto non si ha notizia di detenuti che abbiano appiccato il fuoco alle suppellettili della camera utilizzando farina. Lo fanno invece purtroppo frequentemente, con gli accendini e i fornelli a gas di cui dispongono”.

    E ancora si legge nell’ordinanza poi impugnata: “I detenuti comuni e del reparto 41bis possono acquistare olio di oliva e di semi, prodotti che sono notoriamente altamente infiammabili… Questo a riprova che il divieto relativo alla farina basato sulla sola possibilità che i detenuti possano realizzare congegni esplosivi o incendiari non ha serio fondamento ed è dunque irragionevole“.

    Secondo la direzione del carcere il Dap e il Ministero della Giustizia non ci sarebbe stata lesione di alcun diritto e il ricorso del detenuto aveva a oggetto una mera lamemtela su aspetti attinenti alla regolamentazione dettata dall’amministrazione. “È inspiegabile infine che il Tribunale metta in discussione che le ragioni poste a fondamento del diniego siano qualificabili come ragioni di sicurezza… Con la farina può essere prodotta colla utilizzabile per occultare oggetti non consentiti. Anche sostanze come il lievito possono diventare facilmente infiammabili o addirittura esplosive” si legge nel ricorso.

    La richiesta di Nordio alla Cassazione è quella di annullare l’ordinanza senza rinvio o in subordine di rimandare le carte al Tribunale per un nuovo esame.

    Si tratta dell’ultima in ordine di tempo carognata ai danni dell’anarchico Alfredo Cospito che sta pagando ancora sulla sua pelle il lunghissimo sciopero della fame contro la tortura del 41bis che affligge circa 700 detenuti. Il digiugno di Cospito in realtà è stato considerato a scopo di terrorismo nell’infinita  emergenza italiana sfociata in questi giorni nelle cosiddette “zone rosse Capodanno”.

    (frank cimini)

  • Calamucci parla al procuratore capo
    Secretato l’interrogatorio dell’hacker Sam

    E’ uno dei capi dei presunti ‘spioni’ di Equalize. L’interfaccia dell’ex superpoliziotto Carmine Gallo. Nunzio Samuele Calamucci, 45 anni, detto Sam, l’hacker, deve avere un sacco di cose da dire, e piuttosto importanti, se per interrogarlo, a pochi giorni dal Natale, dopo un primo incontro, questa volta ci si è messo in prima persona il procuratore capo di Milano Marcello Viola. Interrogatorio secretato, ça va sans dire. Spera naturalmente che la procura rinunci all’appello presentato al Riesame per ottenere il carcere (il gip ha concesso ‘solo’ i domiciliari). Qualcuno trema?

  • Per andare in Dna lotta tra pm a chi ce l’ha più duro

    Per un posto alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo c’è una lotta senza esclusione di colpi tra magistrati. Il pm di Genova Federico Manotti lo scorso 9 dicembre ha scritto una nota urgente al Csm chiedendo che la pratica ritorni in commissione prima di approdare alla decisione finale del plenum perché la sua candidatura era stata valutata meno significativa rispetto a quella di altri colleghi.

    Manotti lamenta che la terza commissione non ha tenuto conto che lui si occupa si terrorismo sia interno sia esterno da circa 10 anni e che aveva fatto esperienze anche in materia di criminalità organizzata. Manotti aggiunge che i candidati Giovanni Munfo’, Antonella Fratello e Maurizio Giordano “non hanno alcuna esperienza in materia di terrorismo”.

    Manotti aggiunge che Eugenio Albamonte invece ”a eccezione di due applicazioni non ha fatto parte della direzione distrettuale antimafia”. Il pm genovese chiede che sia riconosciuto pure a lui co e ad altri candidati un punteggio pari a 6 “consentendomi di rientrare tra i soggetti proposti”.

    Federico Manotti attualmente rappresenta  l’accusa nel processo per associazione sovversiva alla rivista Bezmotivny accusata di essere clandestina nonostante venisse spedita per posta e si trovasse in bacheca nella piazza di Massa Carrara, prima di essere chiusa per mancan di soldi.
    Eugenio Albamonte pm a Roma e esponente della corrente di Area è  il candidato in pole-position. È noto per aver indagato sui misteri inesistenti del caso Mor ovviamente sen a a risultati e soprattutto per perseguire e perseguitare da cinque anni il ricercatore
    storico Paolo Persichetti. Albamonte ha impiegato un lustro per prendere atto che non vi era nulla di penalmente rilevante passando anche attraverso un perquisizione avvenuta l’8 giugno del 2021 che aveva portato tra l’altro al brillante risultato di sequestrare le carte mediche del figlio diversamente abile di Persichetti.

    Sulla richiesta di archiviazione deciderà il gip Valerio Savio. Intanto possiamo registrare che la lotta per il posto in Dna tra candidati esperti o presunti tali è tra pm “garantisti”. Forse sarebbe meglio augurarsi che la scelta cada su quelli meno esperti. Magari farebbero meno danni.

    ((frank cimini)

  • “Mi sento in colpa per la strage di piazza della Loggia”. Il verbale esclusivo della superteste

    Aula del tribunale dei Minori di Brescia, 20 settembre 2024.

    Le porte sono chiuse al pubblico e ai media perché si sta processando un signore di 67 anni che mezzo secolo fa ne aveva 16, si chiama Marco Toffaloni ed è imputato perché viene ritenuto uno dei due ragazzi che infilarono in un cestino la bomba della strage neofascista di piazza della Loggia.

    ‘Giustiziami’ è entrato in possesso del verbale dell’udienza in cui cinque decenni dopo, per la prima volta, la supertestimone della nuova indagine, della quale non faremo il nome su richiesta della nostra fonte, snocciola parole accorate e importanti rispondendo alla pm Cathy Bressanelli, alla difesa e alla Corte. E si batte una mano sul petto. “Mi sento in colpa di essere stata troppo ingenua, mi sento in colpa…Ma mi sento in colpa per tutto a dire la verità, anche per la strage, anche perché se avessi parlato prima forse, diciamo, la parte civile (i familiari delle vittime, ndr) non avrebbe sofferto tutti questi anni. Però è anche vero che io ho salvato la mia pelle, sono riuscita a vivere in questi anni e ho fatto tante cose e soprattutto ho una bella famiglia e, di anno in anno, per salvaguardare tutto questo ho preferito agire così, cioé stare…Nascondere in pratica. Però io allora, per quanto mi possa sentire in colpa, diciamo che non avevo proprio capito fino a che punto Silvio avesse  questa sua….Chiamiamola missione, non so come definirla perché era tanto giovane anche lui. Certo il fatto che è successo dopo è ancora più grave della sua morte…Ma io non potevo farci nulla, non lo sapevo. Io pensavo veramente ancora al Blue Note, ancora una vendetta, chi lo sa, magari una vendetta su che cosa”.

    Batticuore

    Bisogna allora tornare a quei tempi di amore e morte quando la ragazza si invaghì di Silvio Ferrarri, neofascista ma anche informatore clandestino e infedele delle forze dell’ordine, un personaggio che traccia una linea nella storia perché, sei giorni prima dell’attentato, saltò in aria a bordo della sua Vespa in piazza Mercato trasportando dell’esplosivo. Venne in contatto anche con ‘Tomaten’, così veniva chiamato l’imputato per il rossore che infiammava le sue guance, e cominciò a frequentare gli ambienti di destra estrema nei quali maturò l’idea della strage del 28 maggio 1974 quando venti persone caddero per l’esplosione sull’asfalto viola per la pioggia mischiata al sangue e un centinaio rimasero ferite consegnando i loro nomi alla memoria di una delle più tremende pagine del Novecento italiano.

    Sono pochi mesi di batticuore, “tra la fine del 1973 e l’inizio del 1974”.

    “Ha cominciato a piacermi, io a lui e ci siamo messi insieme. Silvio Ferrari mi portava in un appartamento di via Aleardi a Brescia dove noi ci incontravamo per flirtare e lì ho capito la sua passione per la politica. Il mio approccio con questo appartamento era solo per amoreggiare. Silvio aveva una grande macchina fotografica e lì sviluppava delle fotografie. Erano foto di persone che poi nel tempo ho visto personalmente, quindi militari e civili e poi di addestramenti, montagne…Nei mesi che precedono la morte di Silvio in quest’appartamentino c’era un andare e venire di persone. Silvio dava a queste persone delle buste chiuse e riceveva altrettante buste. Armi? Solo una volta ho visto una pistola sotto il materasso. Ho capito chi erano quelle persone, dopo la strage, quando sono stata perquisita e interrogata”.

    Di quei giorni evoca anche una discussione in auto tra Toffalon e Ferrari. “Eravamo su una Bmw, qualche settimana prima della morte di Silvio. Di quella discussione mi è rimasto impreso che Silvio non voleva più fare quello che Toffaloni voleva che facesse. Io credo che questa storia ruotasse attorno al Blue Note. Non vorrei parlare di attentato perché questa parola non lo so….forse mi dà fastidio e mi ricordo che si doveva fare assolutamente di sabato perché oltre a colpire Bruschi si doveva colpire anche un funzionario della Questura che andava sempre al sabato in questo locale.  Non lo so come mi sono comportata, ero lì e basta. Solo quando io ho rimosso in questi anni e ho cominciato a pensarci esce fuori questo profilo di me, mi dispiace ma allora non capivo”. Il riferimento è a un attentato, poi sventato, in un locale bresciano che Ferrari si sarebbe rifiutato di fare. La superteste racconta anche di essere andata con Ferrari a Palazzo Carli, sede della Nato, e  in una caserma dei carabinieri a Parona, un po’ decentrata, vicino a un fiume. Poi, sempre legato alle riunioni di Parona, svela che a un certo punto Ferrari discusse col generale dei carabinieri Francesco Delfino “che raccomandò a Silvio che dopo l’estate doveva andare a Milano, continuare a lavorare per loro e allora gli avrebbero trovato un lavoro diciamo di copertura e avrebbe dovuto far lì delle cose per loro, poi sarebbe tornato. Ma questa opportunità gliel’avrebbe data solo se faceva questa cosa al Blue Note”.

    “Tieni, sono le foto della salvezza”

    Prima di andare a Milano, ecco un altro passaggio cocente della testimonianza. “Silvio mi consegnò dellle fotografie. Erano quelle che stampava delle riunioni di Parona e dei partecipanti. Io ho sempre detto che non le ho guardate ma invece una sbirciata gliel’ho data. Me le diede prima di morire, ho un ricordo di un Silvio molto diffidente nei confronti dei suoi amici. Il pacco lo nascosi in pizzeria sotto le guide telefoniche. Lui mi disse ‘tienile perché sono la nostra salvezza’. Ho capito cosa voleva dire quando le ho viste cioé che Delfino non avrebbe più potuto fare niente perché in quelle foto c’era anche lui”.

    Il suo  è il sinistro affresco di quello che, nonostante si stiano svolgendo ancora due processi perché la verità è incompleta, è ormai chiarissimo: in quella strage, come in altre italiane, molte figure istituzionali, fecero ballare i fili neri dell’eversione. La testimone li riconosce quasi tutti, quando gli vengono mostrate le immagini in aula. Toffaloni, in particolare, era “quel bel ragazzo” che andava allle riunioni a Verona. “Io e Silvio ci andavano durante la settimana, sempre al pomeriggio, per tornare poi tipo alle sette di sera. Era sempre inverno, era sempre freddo”.

    Tra la morte di Silvio e la strage c’è stato un altro incontro in pizzeria coi veronesi di Ordine Nuovo. “C’erano Nando Ferrari,Toffaloni, Zorzi e Siliotti. Succede che praticamente hanno mangiato, io servivo e ho raccolto queste…Questa frasi per cui mi rendo conto che vuole fare una vendetta nei confronti della morte di Silvio e sento Zorzi, che è quello più caldo del gruppo, che dice che questa cosa la vuole fare, la vuole fare lui”.

    “Dicono di cosa si tratterà, di dove avverrà?”No, io ho sempre pensato che volessero ritentare, forse allora ho pensato che non aveva fatto una cosa Silvio e la facevano loro, però sempre con riferimento al Blue Note”. “Quindi in quell’occasione loro non dicono nulla che faccia pensare a Piazza….?”. “No, però lo dissi a Sandrini che era un carabiniere del Nucleo Delfino, poi l’ho rivisto dopo e lui mi disse di non parlare mai dei carabinieri se no avrei avuto dei casini”. La pm Bressanelli vuole sapere come sia affiorato il desiderio di esporsi così tanti anni dopo e fa domande sul colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo, la cui credibilità è stata messa in dubbio da  Donatella Di Rosa, ‘Lady Golpe’, che l’ha denunciato per stalking.

    Un carabiniere “sano di mente” 

    “Non gli ho mai detto una cosa che non fosse vera. Ho dovuto piano piano fidarmi di lui e forse anche lui di me, ho avuto bisogno di capire se mi trovavo di fronte a un carabiniere sano di mente…c’è voluto molto tempo”. “Perché tanti verbali si interrompono?”insiste il magistrato. “Perché c’erano dei momenti che proprio non avevo….ero proprio stanca di rivangare certe cose e siccome volevo essere molto precisa con lui avevo bisogno di riflettere, quindi lui mi lasciava andare e poi ritornava. Non mi ha mai suggerito niente, non ho mai capito dove volesse arrivare”. “Perché in passato ha reso dichiarazioni diverse?”. “Ogni volta o c’era l’avvocato che mi diceva di non parlare o c’era la famiglia che mi diceva di non parlare. Io ho fatti vari tentativi ma poi ero bloccata dalle circostanze. Questa volta sono andata sola dal Colonnello e ho fatto quello che volevo. Ho temuto per la mia vita quando sono diventata grande, quando mi sono resa conto che era stato molto pericoloso quello che era successo”. (manuela d’alessandro)

     

     

     

     

     

     

     

  • Il dossier Schiavi della vendetta 41bis come pena di morte

    Ha per titolo “Schiavi della vendetta” a cura della associazione “Yaraiha”. Si tratta di “un viaggio infernale tra 41bis, ergastolo e tortura psicologica”.

    Luna Casarotti l’autrice scrive di tortura di Stato e spiega: “Il regime del 41bis caratterizzato da severe misure di isolamento si traduce i un costante preoccupante esempio di abuso di potere all’interno del sistema penitenziario, disumanizzando i detenuti e riducendoli a meri strumenti da controllare. Questa  modalità di detenzione concepita per raccogliere informazioni e mantenere il predominio sui prigionieri considerati pericolosi, infligge una tortura silenziosa con effetti devastanti sia sul piano psicologico che fisico”.

    Tra le conseguenze gravi vi sono disturbi mentali che colpiscono gli individui più vulnerabili. Un esempio di questo deterioramento è rappresentato dalla sindrome di Ganzer un raro disturbo psichico che si manifesta con risposte a semplici a domande che vengono definite approssimative. I detenuti che ne soffrono hanno amnesie dissociative aggravate dallo stress esterno. Ricercatori americani hanno documentato che l’isolamento prolungato può portare a depressione, ansia, istinti suicidari.

    Nelle celle del 41bis le finestre sono spesso oscurate o protette da reti e plexiglas privando i reclusi dell’opportunità di vedere l’esterno e di orientarsi nel tempo. La percezione di sorveglianxa costante amplifica l’angoscia e il senso di oppressione rendendo ogni giorno una lotta contro forze invisibili.

    Il 41bis tende a spogliare le persone di ogni identità e senso di appartenenza. In questo è il degno erede dell’articolo 90 ideato e applicato ai tempi dell’emergenza antiterrorismo. Il 41bis serve non solo per punire ma anche per estorcere informazioni. Tendenzialmente è una fabbbrica di “pentiti”. I diritti sono sacrificati in un ambiente in nome di obiettivi politici e di sicurezza. La Corte Costituzionale del 2019 aveva sancito l’illegittimita di parte della normativa sull’ergastolo ostativo diove si negava l’accesso ai benefici in assenza di “collaborazione” con la giustizia.

    In questo contesto anche il divieto di possedere foto di familiari come accaduto a Alfredo Cospito può apparire una misura minore eppure assume un significato simbolico di controllo e privazione emotiva. Infatti i magistrati accogliendo il ricorso del difensore Flavio Rossi Albertini ordinarono la restituzione delle immagini perché non c’erano rischi di violazione del regime detentivo in assenza di messaggi criptati.

    L’ergastolo può essere considerato col 41bis una pena di morte mascherata. Per chi crede nella possibilità di recupero del reo il 41bis rappresenta una delle pagine più oscure del nostro diritto penale.
    ((frank cimini)

  • Vero scopo indagine stop a lotta per la casa. Raggiunto

    Quando ai primi giorni di gennaio saranno depositate le motivazioni della sentenza con  cui la corte di appello ieri ha assolto i militanti del comitato Giambellino -Lorenteggio dall’accusa di associazione per delinquere la procura generale sicuramente impugnerà la sentenza in Cassazione. Un po’ diciamo per dovere d’ufficio, un po’ come dicono a Napoli per sfottere la mazzarella a San Giuseppe. Ma in realta ai rappresentanti dell’accusa che avevano chiesto la conferma delle durissime condanne decise in primo grado non frega quasi niente degli sviluppi processuali.

    Il vero scopo dell’indagine era fermare la lotta per la casa arrestando ai domiciliari nove attivisti procedendo con altre misure cautelari mettendo nel mirino 75 persone. L’obiettivo infatti e purtroppo è stato raggiunto. Come hanno sottolineato gli avvocati difensori a commento del verdetto il comitato non esiste più al pari della mensa popolare, della scuola di calcio e di teatro.
    Con l’uso violento dello strumento penale sono stati distrutti anche servizi creati per i cittadini dagli attivisti oltre ad avere sconvolto la vita di persone impegnate in attività di studio e di lavoro. La finalità dell’indagine era terrorizzare chi lotta contro le disuguaglianze sociali, metterlo in condizione di non nuocere. “Finalità di terrorismo” si potrebbe dire nuruando le logiche di lor signori.

    Costi quel che costi. Ma proprio di costi è impossibile parlare. Quanto è costata questa indagine tra anni di pedinamenti intercettazioni addirittura elicotteri che volavano nei giorni degli arresti? Non lo sapremo mai. Vige una sorta di segreto di Stato, soprattutto a livello delle spese relative alla polizia di prevenzione. Questa del Giambellino è l’ennesima storia di democratura che ci tocca registrare.

    L’attivita’ del comitato poneva problemi, soprattutto quello della fame di case, che la politica non aveva la possibilità e soprattutto la voglia di affrontare. Si trattava di rimettere in discussione troppe cose a partire dai modelli di sviluppo per finire a interessi materiali, i piccioli di chi comanda. Per cui se ne occupano magistratura e polizia per regolare lo scontro sociale e politico come accade quantomeno dagli anni ‘70.

    Il tutto ovviamente cin la complicità dei giornali che al momento degli arresti si scatenarono con le prime pagine ovvio “a difesa della legalita’ e della democrazia”, pubblicando anche notizie di “colore” in gran parte pure false. Per le assoluzioni spazio quasi zero invece. Sui cartacei di Corriere e Repubblica oggi zero righe anche in cronaca di Milano. Fa eccezione un pezzo tutto sommato accettabile del Giornale mentre Libero arriva a definire addirittura criminogena la sentenza di assoluzione perché autorizzerebbe occupazioni a raffica. Insomma per usare parole gentili, con un linguaggio di fini allusioni, un paese di merda.

    (frank cimini)

  • Caso Moro conferma i peggiori pm sono promossi

    Il pm Eugenio Albamonte sta per passare dalla procura di Roma alla direzione nazionale antimafia. In parole povere promosso. Nella migliore delle ipotesi che non sembra fatto quella più probabile Albamonte ha impiegato oltre cinque anni dal 2019 a oggi per realizzare che non c’erano comportamenti penali rilevanti da addebitare al ricercatore storico Paolo Persichetti indagato cambiando piu volte l’ipotesi di reato. Alla fine nessun risultato. Eppure era stato un gip a dire che non c’erano ipotesi di reato “e forse mai ce ne saranno”.

    L’asscszione sovversiva a fini di terrorismo era caduta nel giro di pochi mesi. Il favoreggiamento, la violazione di segreto in relazione a carte della commissione Moro2 che sarebbero state pubblicate dopo 48 ore  apparivano da subito destinati a subire uguale sorte.

    Eppure l’8 giugno del 2021 Persichetti subiva una lunga perquisizione dove venivano sequestrate pure le carte mediche del figlio diversamente abil. Il quasto generale è quello della caccia ai ministeri inesistenti del caso Moro, a presunti complici sfughiti a decenni di indagini, a mandanti rimasti nell’ombra perché la teoria del Grande Vecchio non ha mai smesso di affascinare toghe sbirri politici e varia umanita’. Questo nonostante cinque processi e varie code abbiano detto che dietro le Br c’erano solo le Br. O meglio le lotte so viali ma questo non si può dire perché in pratica è una sorta di reato.

    Albamonte non era e non è in buona fede. È stato uno strumento volontario ( si è prestato) all’attività della polizia di prevenzione che non indaga sui reati ma sulle intenzioni che attribuisce al malcapitato di turno. E ovviamente nel caso in cui non emergano riscontri succede niente. La polizia di prevenzione è una potenza assoluta, incontrollata e incontrollabile. Come e forse più della magistratura.

    A Paolo Persichetti hanno impedito e continuano a impedire di svolgere il suo lavoro la ricerca storica. Hanno impedito di fatto la pubblicazione del secondo volume sulla storia delle Br “Dalle fabbriche alla campagna di primavera” scritto il primo con Elisa Santalena e Marco Clementi. Albamonte ha aspettato che scattasse la prescrizione per depositare una richiesta di archiviazione sulla quale decidera il gip. Decisione scontata. Albamonte se ne va alla Dna. E la polizia di prevenzione continuerà il suo sporco lavoro.

    (frank cimini)

  • Ombre Rosse scatta prescrizione per Raffaele Ventura

    Raffaele Ventura era uno dei rifugiati politicici a Parigi per i quali l’Italia aveva chiesto l’estradizione che era stata negata dalla magistratura francese. Adesso per Raffaele Ventura condannato in origine a 27 anni di reclusione per fatti di lotta armata fra i quali l’omicidio del poliziotto Antonino Custra arriva la dichiarazione di estinzione della pena residua, 14 anni, decisa il 30 ottobre scorso dalla corte di appello di Milano. In data di oggi la procura generale che non ha presentato ricorso in Cassazione ha deciso la revioca del mandato di arresto europeo.

    Ventura, 75 anni a Parigi dal 1981. è libero di tornare in Italia. La corte di appello  aveva applicato la norma secondo cui la pena si estingue col decorso di un tempo pari al doppio della pena inflitta e, in ogni caso, non superiore a trenta e non inferiore a dieci anni.

    L’operazione Ombre Rosse  era stata decisa dal ministro Marta Cartabia e ispirata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella quando il giorno del rientro di Cesare Battisti aveva dichiarsto: “E adesso gli altri“.  Ma la sezione istruttoria della corte di appello di Parigi negava la consegna dei rifugiati per il motivo che tutti erano stati condannati in contumacia, condizione non ammessa dalla legge francese. Tutti a eccezione di Giorgio Pietrostefan, delitto Calabtesi. Ma in questo caso avevano osato il troppo tempo trascorso (mezzo secolo dal 1972) e le condizioni di salute dell’ex dirigente di Lotta Continua.

    Insomma a Parigi adesso c’è un rifugiato politico in meno. Se ne farà una ragione l’Italia che non solo con questo governo continua a cercare di artigliare in giro per il mondo persone per fatti di 50 anni da.

    (frank cimini)

     

  • Spiati, pm ne voleva 13 in carcere. Gip: manco uno

    Al di là delle serenate d’amore di giornali e tg l’inchiesta sugli spiati si rivela un flop. La procura di Milano aveva chiesto 13 arresti in carcere e 3 ai domicilieri.  Ha ottenuto 4 ai domiciliari e due misure cautelari minori.

    Il gip ha ridimensionato il tutto a una storia ordinaria di spionaggio industriale. Dalla procura una richiesta scritta in 1172 pagine. Tutta scena. Sembrava in pericolo la democrazia. Emerge invece che si è trattato di un gruppo di truffatori capaci di vendere a prezzi alti ai loro clienti informazioni che spesso erano già di pubblico dominio.

    Il ministro della Giystizia Carlo Nordio che evidentemente non ha nulla di meglio da fare ha parlato di gap tra la tecnologia dei “criminali” e lo Stato. Il problema invece sta nell’assenza totale di anticorpi da parte della pubblica amministrazione. Un problema già emerso evidente almeno ai tempi di Mani pulite ma da allora sempre insabbiato.

    Insabbiato dalla politica. E quando la politica fa finta di niente risulta poi impossibile che l’intervento dei magistrati possa risolvere qualcosa. infatti anche in questo caso la montagna rischia di partorire il classico topolino.

    Il ricorso della procura al Riesame già annunciato pare la classica pezza peggio del buco. Negli organi di informazione non c’è senso critico fanno copia e incolla con le ordinanze di custodia anche quando sono un flop. Lo spettacolo va avanti in questo modo da anni. E diciamo il mondo peggiora. Chi controlla chi non si capisce. Ma tutto va bene madama la marchesa.

    (frank cimini)

     

  • Brigate Rosse trojan usato su ignoti che invece sono noti

    Ti piazzano addosso il captatore trojan ti intercettano un per mesi confrontando le tue parole con quanto repertato 50 anni fa e quando i tuoi difensori eccepiscono l’assenza del decreto autorizzativo da parte del gip il gup rigetta l’eccezione e ti spiega che il decreto non era necessario perché al momento l’inchiesta era contro ignoti. Diventata contro noti solo dopo aver ascoltato le conversazioni intercettate. Insomma ti metto addosso il mezzo più invasivo possibile e non si può dire che ti sospetto. Sei ignoto.
    Stiamo parlando dell’inchiesta sulla sparatoria di Cascina Spiotta il 5 giugno del 1975 quando morirono il carabiniere Giovanni D’Alfonso e Mara Cagol. Ovviamente l’indagine si occupa solo dell’omicidio del carabiniere e non del colpo di grazia con cui fu finita Mara Cagol mentre era per terra arresa e disarmata.
    Il gup Ombretta Vanini ha deciso che non c’erano irregolarità e violazioni dei diritti apprestandosi il prossimo 30 ottobre a rinviare a giudizio per concorso in omicidio Renato Curcio, Mario Moretti, Pierluigi Zuffada e Lauro Azzolini.
    Il captatore trojan insomma veniva usato per ragioni di assoluta urgenza. Su un fatto badate bene avvenuto mezzo secolo fa. In una indagine riaperta annullando una precedente sentenza di proscioglimento per Azzolini del 1987 senza leggerla perché le carte erano scomparse nel 1994 durante l’alluvione di Alessandria.
    A far riaprire l’indagine era stato l’esposto presentato dagli eredi del carabiniere. In aula in udienza preliminare sono stati letti articoli di stampa e anche alcune frasi dei libri di Curcio e Moretti per dimostrare che erano stati dirigenti delle Br. Un fatto notorio già all’epoca dei fatti e della prima inchiesta poi “alluvionata”. Ma allora Curcio e Moretti non erano stati chiamati in causa. Vengono tirati in ballo adesso per spettacolarizzare e mediatizzare l’indagine e consumare una vendetta politica contro un intero periodo storico quello degli anni ‘70.
    Ovviamente davanti a questi veri e propri strafalcioni giuridici non si sente la voce di nemmeno uno dei tabti garantisti che affollano un paese disgraziato. Tutti garantisti solo per gli amici e il proprio clan.
    Quando si tratta di quella storia, un conflitto sociale durissimo sfociato in una guerra civile a bassa intensità ma neanche troppo bassa le garanzie non esistono. Infine ultima considerazione. Con quello che hanno speso per i captatori trojan non si può permettere cha la procura di Torino una delle più forcaiole d’Italia venga smentita.
    Per cui si andrà in corte d’Assise per assistere ai vincitori che processano i vinti. Norimberga due.
    (frank cimini)

  • DePasquale condannato da giudice che assolse Di Pietro

    Sono passati molti anni ormai e le storie sono molto diverse, ma per chi conosce la vera storia di Mani pulite non quella raccontata dalle gazzette della Repubblica delle procure è impossibile non reagire con un sorriso amaro.
    Fabio De Pasquale è stato condannato per non aver depositato prove a favore degli imputati del processo Eni-Nigeria. Rifiuto di atti d’ufficio. Le motivazioni tra 45 giorni e i gradi successivi di giudizio chiariranno le sue responsabilità.
    Il presidente del Tribunale che lo ha condannato è Roberto Spanò colui che da giudice delle indagini preliminari alla fine degli anni ‘90 decide che non c’era neanche bisogno del vaglio dibattimentale. Antonio Di Pietro uomo simbolo della magistratura di allora era puro come un giglio di campo.
    Davanti alla richiesta di processarlo l’Associazione Nazionale Magistrati fece un comunicato con cui per la prima volta nella sua storia si schierò con l’indagato. Ovviamente fu anche l’ultima.
    Di Pietro che viveva a scrocco degli indagati del suo ufficio tra Mercedes telefonini con bolletta pagata prestiti a babbo morto restituiti dentro scatole di scarpe non si poteva toccare.
    Non era processabile per evitare che venisse fuori la farsa della rivoluzione politico giudiziaria, la presunta lotta alla corruzione che c’era anche prima del 1992 ma che le procure in testa Milano facevano finta di non vedere.
    De Pasquale si era scontrato con Di Pietro perché questi interveniva sui suoi fascicoli. Un indagato di De Pasquale latitante si consegnò a Di Pietro. De Pasquale ebbe la notizia dalla telefonata di una giornalista. Il capo della procura San Francesco Saverio Borrelli si schierò dalla parte di Tonino da Montenero di Bisaccia. Di Pietro aveva il paese nelle sue mani. Poveri noi, detto ancora oggi per allora. (frank cimini)

  • “Le interviste tv non possono essere prove” dicono i giudici della strage di Erba

     

    Senza entrare nel merito del romanzo giudiziario ormai liso della strage di Erba che ancora non è arrivato all’ultima pagina perché la difesa farà ricorso contro il ‘no’ alla revisione, le motivazioni alla sentenza che mette un’altra anta davanti alla porta già chiusa dalla Cassazione firmate dai giudici della Corte d’Appello di Brescia dicono qualcosa di molto interessante a proposito di uno strumento sempre più utilizzato  per riaprire partite quasi impossibili.

    Parliamo delle interviste televisive, qui in particolare quelle andate in onda nel programma tv ‘Le Iene’ ma i giudici Antonio Minervini, Paolo Mainardi, Ilaria Sanesi sembrano andare dal particolare all’universale.

    I magistrati spiegano che non possono valere come “prova nuova” in grado di riaprire un processo perché, “diversamente dal testimone escusso in giudizio, il soggetto intervistato non ha l’obbligo, penalmente sanzionato, di dire la verità e non assume alcun impegno in tal senso. Al contrario, è sicuramente condizionato dal mezzo e dalla pubblicità che esso garantisce e tende generalmente a compiacere l’intervistatore e a porsi in una luce favorevole, abbandonandosi a supposizioni ed esprimendo opinioni personali che non sarebbero ammesse in sede processuale”.

    Le “nuove prove” in grado di scalfire una sentenza definitiva, insistono, “devono avere un elevato grado di affidabilità ed essere idonee a ribaltare l’affermazione di penale responsabilità contenuta nella sentenza di cui s’invoca la revoca. La diversa valutazione tecnico-scientifica di elementi fattuali già noti, inoltre, può costituire prova nuova solo se fondata su nuove acquisizioni scientifiche, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili e sempre che si tratti di applicazioni tecniche accreditate e condivise all’interno della comunità scientifica di riferimento. Poiché una parte delle prove di cui la difesa chiede oggi l’acquisizione sono rappresentate da interviste rese a testate giornalistiche e televisive, a queste preliminari considerazioni sulla nozione di prova nuova, deve aggiungersi che la natura di documento dei supporti cartacei e audiovisivi di tali interviste non vale, ad avviso della Corte, a conferire loro il rango di prova ammissibile in sede processuale. Nessun presidio, al di là della deontologia dell’intervistatore, è previsto a tutela della genuinità e libertà delle sue risposte e della correttezza delle domande, che ben possono essere, in un’ottica di mero giornalismo investigativo, suggestive, insinuanti e insidiose. L’argomento vale per tutte le interviste proposte dalle difese nell’istanza di revisione e nelle successive memorie, a maggior ragione per quelle a soggetti che hanno deposto nel dibattimento di primo grado, la cui testimonianza non può essere falsificata da risposte incerte o apparentemente in contrasto con quanto dichiarato nella sede processuale deputata, offerte a distanza di quasi vent’anni dai fatti e dalla testimonianza resa in primo grado, fuori da un’aula di giustizia, in contesti privi della sacralità propria del processo, senza obbligo di verità”.

    Se è vero che spesso le interviste sono effetti speciali a scopo audience e clic o per fomentare fazioni e che la maggior parte delle volte il loro contributo all’accertamento della verità giudiziaria sia nullo, accade che talvolta proprio un’intervista risolva perfino un omicidio, come accaduto nel caso di un cronista di ‘Pomeriggio 5’ che, qualche giorno fa, ha raccolto la confessione di un uomo che ha raccontato di avere strangolato la madre con tanto di chiamata in diretta alle forze di polizia per farsi arrestare.

    In altre occasioni, se non proprio prove, e del resto non dovrebbe essere quella l’ambizione di un cronista, alcune interviste hanno offerto stimoli o svegliato magistrati impigriti. (manuela d’alessandro)

    Le motivazioni alla sentenza che boccia la revisione

     

     

  • Sulle Br i pm intercettano senza l’ok del gip

    Pur di arrivare a celebrare il processo alle Brigate Rosse per i fatti del 5 giugno 1975 alla Cascina Spiotta morte di Mara Cagol e del carabiniere Giovanni D’Alfonso i pm di Torino continuano a combinarne di tutti i colori in violazione della procedura. L’imputato Lauro Azzolini è stato intercettato tramite il captatote trojan senza che esista agli atti un decreto specifico di autorizzazione da parte del gip.
    Il decreto era necessario perché si parla di un imputato già prosciolto con le indagini a suo carico riaperte con un revoca della sentenza di proscioglimento che non si trova perché scomparsa durante una alluvione. Verdetto revocato senza neanche essere letto.
    La conversazione tra Azzolini e la moglie veniva in modo illegittimo utilizzata nell’interrogatorio di Luigi Bialetti sentito come testimone con l’obbligo di dire la verità nonostante in precedenza fosse stato indagato per falsa testimonianza.
    Il difensore di Azzolini l’avvocato Davide Steccanella chiede l’espulsione degli atti illegittimi e non utilizzabili dal voluminoso fascicolo processuale. Vediamo cosa deciderà il gup nell’udienza che inizia dopodomani 26 settembre a Torino. Con Azzolini sono imputati Renato Curcio Mario Moretti e Pierluigi Zuffada.
    Nessun accertamento è stato fatto per stabilire le modalità con cui fu uccisa Mara Cagol mentre era a terra disarmata ormai arresa.
    Ogni sforzo è stato concentrato per individuare il brigatista scappato dopo lo scontro a fuoco che la procura di Torino ritiene di aver individuato in Lauro Azzolini. Questo succede nonostante il Ris dei carabinieri non abbia trovato impronte attribuibili a Azzolini sulla porta della cascina e sul furgone utilizzato dai brigatisti.
    Stiamo parlando di una indagine densa di irregolarità atti illegittimi e forzature della procedura ai fini di processare la storia. Nel caso gli inquirenti fossero in buona fede ci sarebbe da chiedere come abbiano fatto a laurearsi e a superare il concorso da magistrati. È più semplice pensare invece a militanti del loro processo che con ogni probabilità fossero stati al posto dei loro predecessori mezzo secolo fa sarebbero riusciti a fare anche di peggio. E questo è tutto dire.
    (frank cimini)

  • Tutti per Youssef “che ormai canta nel vento” ma ci indica i nostri errori

     

    L’applauso che di solito scioglie il minuto di silenzio nelle commemorazioni questa volta non c’è. Sono molti quelli che prendono il microfono in bilico con la commozione per ricordare e provare a dare un senso alla morte di Youssef Mokhata Loka Barsom, bruciato vivo chiuso in un bagno della sua cella di San Vittore. Più di duecento nella sala del Municipio 1, tanti avvocati,  due magistrati, educatori, tanti che battono i tribunali e le corsie dolorose del carcere e che però sentono che questa volta si è oltrepassata una frontiera nella storia di un ragazzo di 18 anni che per due volte i giudici minorili avevano assolto per un vizio totale di mente.

    ‘Non mi ascoltate’ sussurra Youssef chino con le mani sulla fronte, appoggiato a una sbarra che arde nella vignetta sulla locandina. E invece stavolta sì, e ci sono anche tanti ragazzi della sua età.

    Lella Costa recita la ‘Preghiera di gennaio’ di Fabrizio De André. “Ascolta la sua voce che ormai canta nel vento ma ti potrà indicare gli errori di noi tutti che vuoi e puoi salvare”.  Antonio Casella, volontario nel carcere milanese da decenni, parla di un “orrore da proclamare a tutta voce per quanto è stato disumano” e del “volto sfigurato della pena” .

    L’avvocata Antonella Calcaterra legge una lettera della scrittrice Daria Bignardi che racconta di avere ricevuto una foto di Youssef da Cecco Bellosi che gestisce la cooperativa ‘Il Gabbiano’, dove quel ragazzo è stato amato.

     “Mi ha detto che gli piaceva tantissimo farsi i selfie e che si faceva volere un gran bene. Spesso si ama chi è più complicato, soprattutto se è giovanissimo. I ragazzini fanno un sacco di sciocchezze ma hanno bisogno di aiuto, non di essere chiusi in prigione”. “E’ da quattro mesi che le celle di San Vittore bruciano con dentro le persone e non sempre ne escono incolumi, in particolare nel sesto reparto – considera l’ex cappellano del carcere, don Roberto Mozzi -. E’ irragionevole pensare di rispondere a un malato con la pena e non con la cura. Il fuoco fa male ed è pericoloso ma San Vittore, così com’è, ancora di più”.
    Arriva un messaggio vocale di Fabio Fazio: “Chi ha 18 anni con una diagnosi di malattia mentale non può stare in carcere, è intollerabile ed è una sconfitta per tutti noi che siamo fuori, separati dalle mura che non ci fanno vedere”. E poi la riflessione di Monsignor Antonio Delpini che reclama “un’attenzione più corale e duratura perché la notizia racconta una storia inquietante”.
    Invita a non “attribuire sbrigativamente colpe e inadempienze alle persone che lavorano in carcere in un sistema che è unanimemente riconosciuto insostenibile. Si dovrebbe evitare che una vita valga così poco”.
    Valeria Verdolini di Antigone sottolinea che sono tante, troppe le “notizie terribili” che arrivano dalle carceri milanesi, alludendo anche alla presunte violenze degli agenti penitenziari al Beccaria, “ma non ci si abitua mai a quella sofferenza e a quel dolore”. “Bisogna battersi contro l’assuefazione – è il pensiero della presidente della Camera Penale milanese Valentina Alberta -. Durante una delle tre visite di quest’anno, abbiamo trovato un ragazzo che era in punizione perché aveva tirato delle uova contro un agente. Ho trovato disumano che fosse lì e che non sia stato invece ascoltato”.
    La parlamentare europea di Avs Ilaria Salis spiega che “è stata una notizia che mi ha gelato il sangue ma non un fulmine a ciel sereno per quello che ho visto a San Vittore quando l’ho visitato”.  
    Poi, c’era chi lo conosceva, Youssef. La sua tutrice legale volontaria che fa un appello perché più persone si dedichino a esercitare il ruolo di accompagnare i minori che giungono in Italia e attraversano muri burocratici e umani. La sua avvocatessa Monica Bonessa: “E’ stata una morte evitabile ma non è vero che non è stato visto. Abbiamo alacremente lavorato coi servizi sociali e le comunità minorili che sono piene di ragazzi con un disagio psichiatrico ma ci sono dei ‘buchi’ nel sistema. Il modo migliore per commemorarlo è mettere a terra le soluzioni”.
    Un giovane dell’associazione ‘Sbarre di zucchero’ legge un ricordo di chi lo conosceva: “Mi aveva conquistato il tuo sorriso, la tua anima semplice. L’ultima volta che l’ho visto mi ha detto che avevo il cuore buono. Lui ce l’aveva”.
    Scorrono un video in cui col sorriso solare dei 18 anni gira un mestolo in una pentola colma di cibo. Si sentono le parole in arabo e italiano e la musica dolce  di ‘Bayna’, la canzone di Ghali, qui  per un ragazzo che era arrivato su un barcone, superando rotte tumultuose, prima di perdersi in Italia.
    “Non c’è figlio che non sbaglia no/Tu sogni l’America io l’Italia/La nuova Italia”. (manuela d’alessandro)
  • La violazione del principio di uguaglianza nel dl sicurezza sulla difesa dei militari

    E’ prevista per martedì 17 settembre l’ultima parte della discussione alla Camera dei Deputati del disegno di legge n. 1660, l’ennesimo Pacchetto Sicurezza, ultimo parto dell’ideologia securitaria del Governo.

    L’asse portante del provvedimento è costituito dal forte aggravamento della reazione sanzionatoria per fatti tipicamente commessi in occasione di manifestazioni pubbliche, frutto dell’insofferenza del Governo per ogni forma di conflitto sociale e, in genere, di dissenso.

    Niente di buono, ma neanche di nuovo. Poi, scorrendo gli emendamenti apportati dalle Commissioni, ci si imbatte in una vera e propria perla: gli articoli 22, tutela legale per il personale delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e 23, tutela legale del personale delle Forze armate, articoli che saranno oggetto di votazione proprio martedì.

    L’ipotesi è quella in cui un operante di polizia o dell’esercito finisca indagato o processato perché accusato di aver commesso un reato “per fatti inerenti al servizio” (tanto per capire, “fatti inerenti al servizio” furono i pestaggi della Diaz, le torture di Bolzaneto o, più recentemente, quelle di Santa Maria Capua a Vetere).

    Se il testo di queste due disposizioni fosse approvato, sarebbe estesa a dismisura l’operatività di un istituto poco noto in materia di assistenza legale degli appartenenti alle forze dell’ordine: l’anticipazione del pagamento delle spese di difesa da parte dello Stato. Questo significa che, a prescindere da ogni valutazione sulle condizioni di reddito e sulla gravità della contestazione, per difendersi potranno scegliersi un avvocato e farselo pagare dall’amministrazione di appartenenza, cioè dai contribuenti.

    Un vero e proprio privilegio, negato ai comuni cittadini, che, quando hanno la sfortuna di affrontare un processo penale come imputati, il difensore devono pagarselo.

    L’unica eccezione a questa regola è prevista dalla Costituzione, che assicura ai non abbienti (cioè coloro che guadagnano meno di 1000 euro al mese) i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. Ma i poveri sono trattati con molta meno generosità.

    Primo, non possono scegliere un avvocato qualsiasi, ma solo uno di quelli iscritti nell’apposito albo. Secondo, le spese non sono anticipate, ma liquidate dal giudice alla fine di ogni fase. Infine, e soprattutto, la misura del compenso riconosciuto al difensore dei non abbienti non può superare la metà della tariffa professionale, ridotta ulteriormente di un terzo: per esperienza, non più di 5.000 euro per tutti i gradi del giudizio.

    Quanto potrà ottenere il fortunato difensore di un appartenente alle forze di polizia o all’esercito, grazie alla nuova previsione? Una cifra molto superiore, superiore perfino al massimo di quanto previsto dalla tariffa professionale: fino a 10.000 euro per ogni fase di giudizio, in tutto anche 40.000 euro di parcella (indagini, primo, secondo e terzo grado).

    Un esempio tratto da una esperienza diretta può aiutare a capire.

    Abbiamo difeso con il gratuito patrocinio una ragazza accusata di aver opposto resistenza ad un agente di polizia che cercava di identificarla. All’esito di un lungo dibattimento, l’imputata è stata assolta e l’agente denunciato alla Procura. Alla difesa sono stati liquidati 1800 euro (e si tratta di una cifra anche superiore alla media). Per la stessa attività, nel processo a carico del poliziotto che l’avrebbe ingiustamente accusata, il difensore potrebbe ottenere da parte dello Stato il pagamento di 20.000 euro (fase indagini e primo grado di giudizio).

    Insomma, una clamorosa violazione del principio di eguaglianza nel diritto di difesa.

    Avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini

  • Giustizia per la triste striscia pedonale

    C’erano delle strisce. Erano oblique, forse un po’ malinconiche, non rispettavano il canone-universale-di-bellezza-della-striscia-pedonale, per quell’andamento diagonale appena accennato, ma univano funzionalmente l’ingresso di via Freguglia al marciapiede, schivando opportunamente i parcheggi riservati, quelli gialli.

    Poi hanno aggiunto due posti, due. E la striscia ha fatto largo, raddrizzandosi non del tutto, ma un pochino. Lucida, bianca come il latte. Ora punta dritta verso via Sant’Antonio Maria Zaccaria. In mezzo alla strada.


    C’era un ingresso carraio. Quello per le auto, sempre in via Freguglia, pochi metri più in là. Il sabato pomeriggio, si entra solo da lì a palazzo, pure a piedi. Ma niente strisce bianche e niente intervalli neri. Hanno pensato di metterle. Così. Un ponte lanciato verso il mare aperto, un brivido urbanistico.


    Il giorno dopo il puzzle ha cominciato a comporsi, pur tra gli interrogativi e gli occhi sbalorditi di chi ogni 24 ore si è preso la briga di raccogliere testimonianze fotografiche dell’opera, perplesso per la discutibile creatività del Comune.


    L’ispirazione a M.C. Escher del progetto alimenta tra i residenti dubbi sulle ragioni di tale dispendio di energia e vernice per pochi posti auto, e sulla sagacia del progetto.


    Attendiamo di vedere il disegno completo, con quelle belle righine sfavillanti, per una equilibrata valutazione dell’opera. Intanto però: giustizia per la striscia pedonale.

  • Il ragazzo morto bruciato in carcere che era stato assolto per un vizio totale di mente

    “Un ragazzo che non sapeva né leggere né scrivere”, arrivato in Italia dall’Egitto con mani e piedi legati nella cucina di un barcone e morto a 18 anni carbonizzato in una cella del carcere San Vittore.

    Suicidio, incidente od omicidio colposo, reato per cui la Procura indaga il suo compagno di cella, lo stabiliranno le indagini.

    È una storia breve tanto quanto disperata quella di Joussef Barson, che sembra toccare molti punti fragili dell’accoglienza, della giustizia e della gestione del disagio mentale. Per due volte da minorenne era stato assolto per vizio totale di mente perché una perizia psichiatrica aveva certificato che non era in grado di intendere e di volere e, quindi, non poteva stare in una prigione. Per questo i giudici del Tribunale dei Minori avevano disposto l’applicazione della misura di sicurezza della comunità terapeutica ritenendolo ‘socialmente pericoloso’.

    Nello studio degli esperti datato 9 ottobre 2023 si legge che i dati clinici acquisiti “permettono di concludere per la necessità di cura di un contesto altamente protetto che assicuri condizioni di cura integrate in cui è da ritenersi essenziale un’adeguata terapia farmacologica”.

    Perché stava in carcere? Il suo attuale legale aveva chiesto al gip di acquisire la perizia psichiatrica e proprio poco prima che morisse aveva ricevuto la fissazione della data del processo immediato. Quella di prima ‘non valeva’ anche se è difficile pensare che nel giro di pochi mesi Barson avesse acquisito forza mentale e lucidità per affrontare una detenzione tanto più nell’istituto più sovraffollato d’Italia.

    Anzi, dalla narrazione dell’avvocata Monica Bonessa, che si commuove pensando a questo destino infelice, la sua esistenza da adulto era stata ancora più tragica.”Era arrivato in Italia dall’Egitto, passando per la prigione in Libia, a bordo di un barcone quando era minorenne – racconta la legale che lo ha assistito fino al compimento della maggiore età -. L’ avevano trovato legato nel bagno del barcone, punito per i suoi comportamenti respingenti verso gli altri. Ci siamo spesi tantissimo col Comune di Milano e con l’Ussm (servizi sociali per i minorenni per i minori autori di reato)del carcere Beccaria per aiutarlo nel corso degli anni. È stato in almeno cinque comunità diverse, dall’ultima è scappato quest’estate e da allora viveva in strada dove ha commesso l’ultima rapina ai danni di una signora. Faceva anche uso di stupefacenti”.

    Barson aveva difficoltà ad avere relazioni col prossimo: “Ogni volta che veniva avvicinato mostrava reazioni violente, era un ragazzo che non sapeva né leggere né scrivere, non sapeva tenere in mano nemmeno una penna. Negli ultimi mesi era stato ricoverato due volte, in una l’ospedale gli aveva fatto firmare una lettera di auto-dimissioni nonostante la sua patologia psichiatrica. Ai primi di luglio era stato accoltellato alla gola in strada e aveva provato a bussare all’ultima comunità in cui era stato dove però non erano riusciti ad accoglierlo anche per il suo stato di alterazione”.

    “È una storia tremenda con molte situazioni che potevano essere gestite in modo diverso – commenta l’avvocata. “A Milano aveva solo il fratello che non era in grado di gestirlo. Ultimamente chiedeva spesso della madre e del padre rimasti in Egitto e avevamo pensato di fare domanda per il suo rimpatrio, ma non c’è stato tempo”. (manuela d’alessandro)

  • Cospito ricorre e insiste per poter avere farina e lievito

    “Nel caso tali prodotti fossero veramente pericolosi per l’ordine e la sicurezza interna ed esterna dell’istituto nessun istituto italiano li avrebbe consentiti non solo nel regime ordinario, ma men che meno nel regime del cosiddetto carcere duro cosa che invece è prevista e possibile. Inoltre, previsto e possibile è l’acquisto di tali beni anche nel reparto del 41 bis OP della CC di Bancali – Sassari per altri reclusi ed anche per altro detenuto appartenenti ad altri gruppi di socialità che essendo in possesso di ordinanze ormai definitive sono autorizzate all’acquisto, al possesso e all’utilizzo della farina e del lievito creando così un evidente, pacifico e palese disparità di trattamento”. L’anarchico Alfredo Cospito insiste per poter disporre di farina e lievito nonostante la Cassaziibe recentemente abbia bocciato il ricorso di un altro detenuto in regime di 41bis. L’avvocato Maria Teresa Pintus ha impugnato la decisione del magistrato di sorveglianza di Sassari e resta in attesa della fissazione di un’udienza davanti al Tribunale.
    “È evidente che se i rischi paventati dall’Amministrazione, ovvero il fatto che i prodotti possano essere vietati solo ed esclusivamente perché infiammabili – allora non si capisce perché la carta, l’olio, il legno, ecc. non siano proibiti – fossero reali il
    Garante Nazionale non avrebbe mai invitato ad introdurre tali generi nel mod. 72 in quanto pericolosi – si legge nel ricorso –
    Vi è tra l’altro da chiarire che la capacità infiammatoria della farina è legata solo ed esclusivamente alla polvere creata dalla stessa al momento della sua formazione procedimento chimico che avviene esclusivamente nelle fabbriche e che proprio per tale motivo si è ovviato a livello industriale con degli accorgimenti atti ad impedire qualsiasi tipo di pericolo per i lavoratori”.
    È vero che rientra nel potere dell’amministrazione disciplinare le regole della vita detentiva che può pertanto variare da istituto a istituto, è altresì vero che le limitazioni possono essere imposte solo in virtù di motivate esigenze di sicurezza – si conclude nel ricorso – E poiché nel caso in esame le esigenze di sicurezza – se è vero che mai ce ne fossero ovvero dell’infiammabilità della farina – sono state ampiamente confutate da tecnici specializzati ne consegue che il divieto di acquisto imposto al sig. Cospito è oltrechè immotivato illegittimo e come tale deve essere eliminato”.
    (frank cimini)

  • Sharon, arriva la la “zona rossa” di Terno d’Isola

    Nella storia dell’infinita emergenza italiana arriva la “zona rossa” di Terno d’Isola in provincia di Bergamo. Non c’entrano stavolta i black block. Chiudono le strade per ragioni investigative, le indagini sull’uccisione di Sharon Verzeni. Si cerca nei tombini ora a un mese dal delitto il coltello, l’arma che secondo il quotidiano che perde più copie in Europa era stata trovata nei giorni immediatamente successivi al fatto. Era una bufala, non la sola in questa inchiesta spettacolarizzata dai media dove ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere per una ragazza ammazzata a coltellate.
    Le strade sono state chiuse per decisione dell’autorità giudiziaria, una procura fin qui assente e silente anche perché senza capo che si insedierà il 9 settembre.
    L’idea della chiusura era stata probabilmente sollecitata dai carabinieri ai quali finora l’indagine è completamente delegata. Come si suol dire in questi casi gli inquirenti brancolano nel buio e sentendosi tra l’altro ingiustamente colpevoli per non aver ancora scoperto l’assassino al fine di dimostrare che lavorano adottano iniziative clamorose che colpiscono.
    Così si arriva alla zona rossa di Terno d’Isola. Forse ci si poteva pensare prima ai tombini. I cento testimoni ascoltati finora non sono serviti. Compreso il presunto supertestimone che poi si è scoperto essere abbastanza circo e sordo. Dai coltelli sequestrati in giro e mandati al Ris di Parma non è arrivato nulla. E nemmeno dalle tracce sul corpo di Sharon. Intanto era stato preso il Dna offerto volontariamente da una quarantina di residenti. Un altro buco nell’acqua. L’assassino sicuramente non offre il Dna. I paragoni con il caso Yara sono frutto di ignoranza e superficialità. Lì c’era un dato dal quale partite l’ormai famoso Ignoto1. Qui siamo a zero.
    Però la zona rossa fa scena, molta scena. Come le convocazioni di testimoni in caserma a favore di telecamere e i sopralluoghi con il fidanzato di Sharon, Sergio Ruocco, formalmente non indagato. Solo formalmente però. In realtà pressato. Lui continua a dirsi tranquillo e a rilasciare interviste in cui formula ipotesi di cui potrebbe anche fare a neno.
    (frank cimini)

  • Autogol dei politici rafforzano magistratura

    Una delle ragioni per cui Mani pulite non è finita e sembra finire mai è la responsabilità della politica. Non c’è uno schieramento un partito che rinunci a strumentalizzare le inchieste giudiziarie quando sotto tiro ci sono gli avversi e questo aumenta ancora di più in modo spropositato il potere della magistratura. La novità degli ultimi giorni sulla quale vale la pena di soffermarsi ma non più di tanto per evitare di farsi distrarre dai problemi reali del paese è che siamo arrivati alla strumentalizzazione al tentativo di utilizzare una inchiesta che non c’è e che al 99 per cento ci sarà mai. Arianna Meloni è dirigente di un partito il primo partito del paese, le nomine le fanno i partiti che governano a volte nel consociativismo con l’opposizione per cui non si capisce perché ci dovrebbe essere una indagine giudiziaria.

    Quando governava Matteo Renzi lui e suoi procedevano alle nomine, adesso invece Arianna Meloni dovrebbe spiegare le scelte politiche. Dopo l’articolo del Giornale il centrodestra si è indignato ovviamente gridando al complotto sempre in relazione e a una indagine di cui non c’è traccia.

    Ma si è indignata pure l’Associazione nazionale magistrati dedicandosi alla sua attività preferita, “ci vogliono delegittimare”. Parliamo di una categoria che ha già dimostrato ampiamente di essere in grado di delegittimarsi da sola con una grandissima capacità di autoassolversi e autoamnistiarsi come è accaduto in relazione al caso Palamara, radiato come unico responsabile di una ottantina di nomine sottobanco nel regno del traffico di influenze che però in questo caso nessuno ha contestato formalmente.

    Si tratta del reato di cui secondo le fantasie dovrebbe rispondere Arianna Meloni, del reato che ai comuni mortali di solito viene contestato per molto meno di quanto accade al Csm. Ma queste strumentalizzazioni delle inchieste da una parte e dall’altra portano poi vantaggi a chi le fa? Non pare proprio. A Bari dove la destra aveva dato addosso al centrosinistra sul voto di scambio, altro reato evanescente al pari del traffico di influenze, hanno vinto gli avversari. Alle elezioni europee non sembra aver influito l’inchiesta di Genova sulla presunta corruzione Toti-Spinelli. E in vista delle elezioni del 27 ottobre in Liguria il centrodestra pare restare con un buon vantaggio nonostante la mobilitazione di piazza contro l’allora governatore detenuto in casa. Insomma sembra che gli elettori se ne freghino ampiamente e che chi strumentalizza la giustizia faccia un buco nell’acqua a differenza di trent’anni fa.
    (frank cimini)

  • Sharon, Dna a strascico mossa disperata delle indagini

    Che a due settimane dall’uccisione di Sharon Verzeni gli inquirenti non avessero nulla in mano lo si era capito. Adesso la conferma arriva da una sorta di mossa della disperazione, quella di prendere il Dna a tutti i residenti della via del delitto e delle strade limitrofe. Ovviamente chi fornisce il Dna lo fa su base assolutamente volontaria e ciò avviene perché le persone pensano comunque di dare un contributo a scoprire l’assassino.
    Ma si tratta di una gravissima violazione dei diritti dei cittadini intesi come collettività. Il paragone con il caso Yara non regge perché in quel caso si partiva da un Dna sia pure parziale di tipo familiare acquisito in una discoteca. A Terno invece si parte senza avere in mano nulla. Si agisce su persone la cui unica caratteristica è quella di abitare in zona.
    Innanzitutto bisogna anche semplicisticamente osservare che l’assassino il proprio Dna non lo fornisce a chi indaga. E quindi a che cosa serve l’iniziativa? È possibile fidarsi della catena di custodia di questi dati che poi dovrebbero essere distrutti? E chi garantisce sulla effettiva sorte di questi Dna?
    Il feroce delitto di cui è stata vittima Sharon Verzeni la forte impressione che ha suscitato non può giustificare in uno stato di diritto l’operazione di prendere il Dna a persone sospettabili di nulla.
    Il cittadino medio da’ la sua collaborazione senza rendersi conto della delicatezza del problema. Il cittadino medio non solo in Italia è sostanzialmente forcaiolo fino a quando non finisce direttamente o indirettamente attraverso familiari e amici nei meccanismi giudiziari.
    Diciamo che nell’inchiesta sull’uccisione di Sharon non c’è prudenza. Del resto parliamo di una procura titolare delle indagini dove il capo designato si insedierà solo a settembre. Il magistrato facente funzione di capo è in ferie. Come si è arrivati alla decisione relativa al Dna a strascico ancora prima di avere dal Ris di Parma dei carabinieri risultati poi da approfondire? Sono domande legittime. Ma va anche detto che nonostante la pressione di opinione pubblica e media chi indaga non può e non deve sentirsi colpevole di non aver scoperto l’assassino in soli quindici giorni. Nelle indagini tutto quello che poteva essere fatto è stato fatto. Non c’è stata inerzia. Anzi.
    (frank cimini)

  • Non diamoli per scontati: numeri e nomi aggiornati dei suicidi in carcere

    Si sono impiccati quasi tutti, chi col laccio dei pantaloni, chi con le lenzuola, chi con una corda. Qualcuno si è soffocato con un sacchetto di plastica, qualche altro riempiendosi i polmoni di gas o altre sostanze. A volte in cella non erano soli, c’erano dei compagni. Sono morti soprattutto di notte e d’estate.

    A volte non subito, gli agenti della penitenziaria hanno provato a rianimarli. Età media sui 40 anni, più stranieri che italiani.Reati dall’omicidio al piccolo spaccio, tanti con dipendenza dalla droga, diversi con sofferenze psichiatriche.

    Ecco gli 88 uomini e donne che si sono tolti la vita nelle carceri italiani dal primo gennaio 2024. Nel 2022 alla fine se ne erano contati 85, due anni dopo si è andati oltre. Non di tutti sono noti nomi e cognomi, della maggior parte i sindacati penitenziari, che a loro volta registrano sette suicidi di agenti in questo anno, hanno diffuso, assieme ad associazioni, garanti e legali, minimi brandelli delle loro storie.

    6 gennaio 2024: Matteo Concetti, 23 anni. Stava male da tempo, soffriva di disturbo bipolare. Era rientrato nel carcere di Ancona perché, svolgendo la pena alternativa lavorando in una pizzeria, aveva sforato sull’orario di rientro a casa. Il 5 gennaio aveva detto alla madre: “Se mi riportano in isolamento, mi ammazzo”

    8 gennaio 2024: Stefano Voltolina, 26 anni, detenuto a Padova, soffriva di depressione. Una volontaria ha affidato il suo ricordo a ‘Ristretti orizzonti’: “Era sveglio, buono, curioso. Abbiamo fallito”
    10 gennaio 2024: Alam Jahangir, 40 anni, originario del Bangladesh, si è impiccato con un pezzo di lenzuolo a Cuneo, pochi giorni dopo il suo ingresso
    12 gennaio 2024: Fabrizio Pullano, 59 anni, si è impiccato nel padiglione di alta sicurezza del carcere di Agrigento
    15 gennaio 2024: Andrea Napolitano, 33 anni. A Poggioreale per l’omicidio della moglie, soffriva di disturbi psichiatrici
    15 gennaio 2024: Mahomoud Ghoulam, 38 anni, marocchino senza fissa dimora, era entrato da poco a Poggioreale
    22 gennaio 2024: Luciano Gilardi, gli mancava un mese alla libertà ma è morto prima da detenuto a Poggioreale
    23 gennaio 2024: Antonio Giuffrida, 57 anni, era in carcere a Verona Montorio per truffa
    24 gennaio 2024: Jeton Bislimi, 34 anni, si è ucciso nel carcere di Castrogno a Teramo: musicista macedone, 34enne, aveva provato ad ammazzare sua moglie. Aveva già tentato il suicidio
    25 gennaio 2024: Ahmed Adel Elsayed, 34 anni, è stato trovato dagli agenti impiccato nel bagno della sua cella a Rossano Calabro. Gli mancava poco per il fine pena
    25 gennaio 2024: Ivano Lucera, 35 anni, si è impiccato nel carcere di Foggia. Soffriva di dipendenze
    28 gennaio 2024: Michele Scarlata, 66 anni, si è ucciso nel carcere di Imperia pochi giorni dopo esserci entrato con l’accusa di avere tentato di uccidere la compagna

     3 febbraio 2024: Alexander Sasha, ucraino di 38 anni, aveva già tentato di tagliarsi la gola prima di impiccarsi a Verona Montorio

    3 febbraio 2024:Carmine S.,  detenuto disabile di 58 anni, si è impiccato nel carcere di Carinola (Caserta).
    8 febbraio 2024: Hawaray Amiso, 28 anni, doveva scontare solo tre mesi a Genova. Invece avrebbe “manomesso la serratura del cancello della cella per ritardare l’intervento degli agenti di custodia” prima di impiccarsi
    10 febbraio 2024: Singh Parwinder, 36 anni, bracciante agricolo, si è ucciso nel bagno del carcere di Latina
    11 febbraio 2024: cittadino albanese, 46 anni, imprenditore. Si è ucciso a Terni. Gli erano state revocate da poco le misure alternative al carcere.
    13 febbraio 2024: Rocco Tammone, 64 anni, era in semlibertà. Rientrato dal lavoro, si è ucciso nel cortile del carcere di Pisa
    14 febbraio 2024: Matteo Lacorte, 49 anni, si è impiccato nel carcere di Lecce nel reparto di massima sicurezza. La Procura indaga per istigazione al suicidio
    26 febbraio 2024: cittadino marocchino, 45 anni, si è impiccato a Prato
    12 marzo 2024: Jordan Tinti, trapper, 27 anni, in carcere a Pavia per rapina aggravata dall’odio razziale. Aveva tentato il suicidio pochi mesi prima
    13 marzo 2024: Andrea Pojioca, senza fissa dimora, 31 anni, ucraino. In carcere a Poggioreale per tentata rapina
    13 marzo 2024: Patrck Guarnieri, è morto il giorno in cui compiva 20 anni per asfissia nel carcere di Teramo. Il pm indaga perché l’autopsia lascia dei dubbi che si sia trattato davvero di suicidio
    14 marzo 2024: Amin Taib, 28 anni, tossicodipendente, si è ucciso nella cella di isolamento a Parma
    21 marzo 2024: Alicia Siposova, 56 anni, slovacca, si è suicidata mentre era in corso una visita del cardinale Matteo Zuppi nel carcere di Bologna.
    24 marzo 2024: Alvaro Fabrizio Nunez Sanchez, 31 anni, attendeva come molti l’ingresso in una Rems da alcuni mesi per gravi sofferenze psichiatriche. Invece si è ucciso nel carcere di Torino
    27 marzo 2024: nigeriano, il nome non si sa, si è impiccato nel carcere di Tempio Pausania dove aspettava di essere processato per reati di droga.

    27 marzo 2024: gli agenti lo hanno trovato appeso al cancello alle sei del mattino. Era da poco rientrato da un ricovero in ospedale, soffriva di disturbi psichici. Italiano, aveva 52 anni.

    1 aprile 2024: Massimiliano Pinna, 32 anni, si è impiccato al secondo giorno di carcere a Cagliari dove era stato portato per un furto
    7 aprile 2024: Karim Abderrahin,  37 anni, si è impiccato in cella a Vibo Valentia
    10 aprile 2024: Ahmed Fathy Ehaddad, 42 anni, egiziano, attendeva l’inizio del processo per un caso di violenza sessuale nel carcere di Pavia
    17 aprile 2024: Nazim Mordjane, 32 anni, palestinese, è morto inalando gas da un fornello da campeggio nel carcere di Como.  Nel settembre dell’anno scorso era evaso ferendo un agente di polizia
    22 aprile 2024: Yu Yang, 36 anni, si è impiccato attaccandosi alla terza branda del letto a castello a Regina Coeli

    4 maggio 2024: Giuseppe Pilade, 33 anni, pativa disturbi psichiatrici e sarebbe dovuto stare in una Rems ma, come per la maggior parte di chi ci dovrebbe stare, non c’era posto per lui e si è tolto la vita nel carcere di Siracusa

    16 maggio 2024: Santo Perez, 25 anni, si è  impiccato nella sezione media sicurezza del carcere di Parma

    23 maggio 2024: Maria Assunta Pulito, 64 anni, si è soffocata con due sacchetti di plastica annodati intorno alla testa e alla gola a Torino. Accusata di violenza sessuale assieme al marito, aveva sempre respinto le accuse

    2 giugno 2014: George Corceovei, 31 anni, ha approfittato che due detenuti uscissero dalla cella che condividevano con lui per impiccarsi a Venezia
    2 giugno 2024:Mustafà, 23 anni, si è impiccato nel carcere di Cagliari ma il suo corpo non ha ceduto subito. E’ morto due giorni dopo in ospedale
    4 giugno 2024: Mohamed Ishaq Jan, pakistano, 31 anni. Da una decina di mesi aspettava di essere processato per lesioni e rapina a Roma Regina Coeli
    11 giugno 2024: Domenico Amato, 56 anni, viene trovato impiccato alla mattina presto nel carcere di Ferrara. Con la sua morte, è stato osservato, lo Stato ha perso due volte perché era un collaboratore di giustizia e perché era nella custodia dello Stato
    13 giugno 2024: A.L.B., italiano di 38 anni, si è tolto la vita nel carcere di Ariano Irpino impiccandosi alle otto della sera
    14 giugno 2024: Alin Vasili, 46 anni, rumeno, si è impiccato nel penitenziario di Biella
    15 giugno 2024: Giuseppe Santolieri, 74 anni, condannato a 18 anni per l’omicidio della moglie, si è ucciso nel carcere di Teramo soffocandosi con una corda. Lo aveva annunciato ai compagni di prigionia: “Non posso più andare avanti”
    15 giugno 2024: un detenuto di 43 anni si è impiccato nel carcere di Sassari con un lenzuolo nel reparto ospedaliero
    21 giugno 2024: Alì, un ragazzo algerino di 20 anni, si è impiccato nel carcere di Novara. “con un cappio rudimentale”, riferisce il sindacato della penitenziaria. Era detenuto per reati di droga

    26 giugno 2024: Francesco Fiandaca di 28 anni che lavorava nella cucina ed era impegnato in diverse attività rieducative, si è impiccato nel carcere ‘Malaspina’ di Caltanissetta
    27 giugno 2024: Luca D’Auria, un ragazzo di 21 anni, già sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, si è ucciso inalando gas nel carcere di Frosinone
    27 giugno 2024: egiziano, 47 anni, era stato condannato per immigrazione clandestina. Si è impiccato con la cintura nel carcere genovese di Marassi.

     1 luglio 2024: Giuseppe Spolzino, un ragazzo di 21 anni si è impiccato nel carcere di Paola. Nel maggio del 2027, a 24 anni, avrebbe potuto ricominciare, uscendo

    2 luglio 2024: un uomo di cui non sono note le generalità si è ucciso nel carcere di Livorno a 35 anni
    4 luglio 2024: Yousef Hamga, 20 anni, egiziano, si è impiccato nella casa circondariale di Pavia
    4 luglio: nel carcere Sollicciano di Firenze si è tolto la vita il ventenne Fedi Ben Sassi. Poco prima di uccidersi, era saltata per mancanza di connessione una sua chiamata alla madre in Tunisia
    7 luglio 2024: Vincenzo Urbisaglia, accusato dell’omicidio della moglie, si è ucciso a 81 anni nel carcere di Potenza. Ai legali era stata negata pochi giorni prima la scarcerazione chiesta per il suo stato psicofisico.
    9 luglio 2024: Fabrizio Mazzaggio, 57 anni, si è impiccato nel bagno della sua cella a Varese. Aveva problemi di tossicodipendenza.

    12 luglio 2024: Fabiano Visentini, 51 anni, si è ucciso a Verona Montorio
    13 luglio 2024: un uomo di 45 si è suicida to a Monza chiudendosi la testa in un sacchetto di plastica nella cella dove stava da solo
    15 luglio 2024: Alessandro Patrizio Girardi, 37 anni, detenuto per spaccio, si è impiccato nella sua cella nella casa circondariale Santa Maria Maggiore a Venezia dove stava per reati legati alla droga
    21 luglio 2024: alla Dozza di Bologna si è tolto la vita Musta Lulzim, 48 anni, albanese. E’ stato trovato impiccato nella sua cella infuocata dall’estate.
    25 luglio 2024: Giuseppe Pietralito, 30 anni, si è ammazzato in cella a Rebibbia dopo avere manomesso la porta per ritardare i soccorsi. Aveva saputo da poco che sarebbe uscito nel 2026, 4 anni prima del previsto perché gli era stata riconosciuta la continuazione dei reati. “Ma non ho un lavoro, nessuno crederà in me” aveva detto ai suoi legali.
    27 luglio: ennesimo suicidio a Prato dove un giovane di 26 anni si è tolto la vita
    28 luglio 2024: Ismael Lebbiati, 27 anni, fine pena previsto nel 2032, si è impiccato nel carcere di Prato dove nelle ore precedenti c’era stata una rivolta.
    30 luglio 2024: Kassab Mohammad si è suicidato a 25 anni nel reparto isolamento del carcere di Rieti dov’era stato portato dopo i disordini del giorno prima.

    3 agosto 2024: un recluso marocchino, 31 anni, senza dimora, si è impiccato nel carcere di Cremona

    5 agosto: nel bagno del Tribunale di Salerno, dopo la convalida del suo arresto, si è ammazzato stringendosi un cappio al collo Luca Di Lascio, arrestato per codice rosso
    5 agosto 2024: a Biella, A.S., albanese, 55 anni, stava facendo lo sciopero della fame perché aveva chiesto di essere trasferito in un carcere più vicino ai suoi familiari. Poi, si è ucciso
    7 agosto: 35 anni, tunisino, si è tolto la vita impiccandosi con un laccio dei pantaloni nel carcere di Prato

    15 agosto 2024: 36 anni, tunisino,  avrebbe finito di scontare la pena per reati legati alla  droga nel 2025. Si è impiccato nella sua cella di isolamento nel carcere di Parma dove era stato trasferito il giorno prima

    29 agosto 2024: Saddiki aveva frequentato un corso da cuoco nel carcere di Reggio Emilia dove cucinando stava mettendo dei soldi da parte per i figli. Era altissimo, quasi due metri, si sarebbe impiccato con una maglietta alle grate della finestra

    2 settembre 2024: Salvatore Borrelli, 62 anni, ex tossicodipendente, non aveva più rapporti con la famiglia. Si è impiccato nella cella della sezione isolamento del carcere di Benevento

    5 settembre 2024: gli piaceva il profumo del pane che aveva imparato a fare nel carcere isolano di Gorgona dove lo infornava. Arrestato un anno prima per reati tributari, sembrava su una strada propizia. Invece V.G. si è tolto la vita a 56 anni, in permesso premio a casa della compagna.

    5 settembre 2024: a Vincenzo Villani, 46 anni, mancavano pochi mesi da scontare. Alle 9 e 20 del mattino si è impiccato nella sua cella al primo piano della casa circondariale di Imperia

    16 settembre 2024: John Ogais, 32 anni, si è tolto la vita nel carcere di Ariano Irpino nonostante fosse sottoposto alla sorveglianza attiva per avere aggredito quattro agenti il giorno prima

    17 settembre 2024: Salvatore Di Vivo, 50 anni, arrestato il 25 agosto per maltrattamenti in famiglia, alle 6 e 45 si è impiccato nella sua cella di Regina Coeli

    4 ottobre 2024: l’ha trovato appeso alle sbarre di una cella un agente penitenziario. Era mattina e K.S, di cui si sa che aveva 24 anni ed era marocchino, l’avevano arrestato due giorni prima e portato al ‘Del Papa’ di Vicenza con l’accusa di stalking.

    7 ottobre 2024: maghrebino, 40 anni, gli mancava anno da scontare. Si è impiccato alle otto della sera a Vigevano

    12 ottobre 2024: alle 5 e mezzo del mattino, l’alba ancora acerba fuori, hanno trovato Pasquale De Mastro, 44 anni, detenuto per droga, strangolato coi lacci delle scarpe nel suo letto a San Vittore

    22 ottobre 2024: Giuseppe Lacarpia aveva ucciso la moglie e con le sue mani ha stretto il nodo per impiccarsi nel carcere di Bari a 65 anni

    28 ottobre 2024: il suicidio di Federico Librere, 57 anni, è arrivato inatteso, nel carcere lo descrivono come un detenuto “tranquillo”. Non è tranquillo il carcere: lui è il quinto a togliersi la vita in meno di un anno alla Dogaia di Prato.

    4 novembre 2024: Vincenzo Bellafesta si stava liberando da uomo libero dalla droga ma per una sentenza di condanna dovuta a cumulo di pene per antichi furti e ricettazioni era tornato in cella a Santa Maria Capua Vetere. Di notte ha allungato un lenzuolo e se l’è stretto forte al collo.

    5 novembre 2024: gli sarebbe bastato ‘scavallare’ l’anno perché a febbraio lo aspettava la libertà. Invece T.M,. marocchino, 41 anni, ha preso una cinghia, ha chiuso dietro di sé la porta della cella nel carcere di Venezia e tutto il resto che poteva venire.

    15 novembre 2024: Ben Mahmoud Moussa, tunisino, 28 anni, prima di entrare a Marassi faceva il pizzaiolo ed era in cura per un disagio psichiatrico. Pochi giorni dopo esserci entrato si è impiccato. Non c’è stato tempo per la perizia psichiatrica chiesta dal suo legale.

    21 novembre 2024: Benito Viscovo, 28 anni, è il quarto nell’anno a suicidarsi a Poggioreale. Impiccato con un lenzuolo. L’Ordine dei medici di Napoli parla di “mortificazione della vita umana” per le condizioni dei detenuti in questo carcere decadente che scoppia di persone

    27 novembre 2024: “Occhi azzurri e il volto pulito”. La garante dei detenuti, Irma Testa, lo aveva incontrato pensieroso su una sedia, davanti alla finestra della cella a Cagliari pochi giorni prima del suicidio. Aspettava il nulla osta per andare in comunità. G.O. ha donato i suoi giovani organi, da tempo aveva lasciato scritto che avrebbe voluto finisse e iniziasse così

    28 novembre 2024: Il cuore di Luca Zampini, 46 anni, ha smesso di battere 16 giorni in più di quanto avrebbe voluto. Ha atteso in ospedale dopo essersi  impiccato nella cella di La Spezia. Avrebbe dovuto essere processato per resistenza e minaccia a pubblico ufficiale.

    6 dicembre 2024: “Aveva un sorriso triste e la morte negli occhi” ha detto il suo avvocato. Roberto Radion aveva tentato più volte di uccidersi e nemmeno l’ultima volta sembrava avercela fatta. E’ sopravvissuto per sei ore dopo essersi impiccato nel carcere di Montorio e infine ce l’ha fatta, chiudendo gli occhi a 24 anni.

    16 dicembre 2024: Qualche giorno prima uno dei suoi compagni si era dato fuoco ed era stato salvato dagli agenti di Alessandria. Sempre loro avevano tenuto in vita Luca Lunardi dopo il tentativo di impiccarsi nel reparto ‘transiti’, dove i reclusi sono di  passaggio. Il suo ultimo è stato in ospedale, dove è morto.

    17 dicembre 2024: a mezzanotte, gli agenti che avevano appena cominciato il turno lo hanno trovato appeso alla finestra della cella del carcere di Viterbo. Il suo compagno di cella dormiva. Aveva 23 anni e il suo nome non è stato comunicato.

     

    E se credete ora/che tutto sia come prima/Perché avete votato ancora/la sicurezza, la disciplina/Convinti di allontanare/ la paura di cambiare/Verremo ancora alle vostre porte/E grideremo sempre più forte/Per quanto vi crediate assolti/Siete per sempre coinvolti/Per quanto vi crediate assolti/Siete per sempre coinvolti/

    p.s. tra le fonti di questo articolo ci sono comunicati della polizia penitenziaria, Ristretti Orizzonti, agenzie di stampa, testate nazionali e locali. grazie a tutti loro per avere dato dignità a queste morti, un compito che dovrebbe appartenere a uno Stato civile.

     

  • Ilaria Salis libera ma da Ungheria carota e bastone

    L’Ungheria libera Ilaria Salis mentre si appresta a chiedere al parlamento europeo la revoca dell’ immunità acquisita con le elezioni del 9 giugno scorso. Insomma da Budapest praticano la politica del bastone e della carota.

    Ieri mattina la polizia è andata nella casa che dal 23 maggio ospita Ilaria Salis agli arresti domiciliari togliendo la caviglierà elettronica che serviva per controllarla ed evitare che non scappasse. Questa è la conseguenza della decisione del Tribunale che ha accolto l’istanza presentata dall’avvicato Giorgy Magiar subito dopo l’elezione al Parlamento di Strasburgo che però sarà proclamata ufficialmente solo il prossimo 16 luglio.

    Le autorità ungheresi hanno deciso di giocare d’anticipo liberando l’insegnante di Monza che lunedì compirà 40 anni e che festeggerà qui dopo che il padre e l’intera famiglia avevano già comprato i biglietti per raggiungerla a Budapest in occasione del compleanno.

    Ilaria infatti è completamente libera e torna. Ma la battaglia come precisano i suoi difensori italiani Eugenio Losco e Mauro Straini non è finita. Toccherà al Parlamento europeo decidere sulla richiesta ungherese di revoca della immunità. Impossibile prevedere adesso se il processo continuerà o se riprenderà soltanto alla fine del mandato.

    Ilaria Salis era stata arrestata il 23 febbraio dell’anno scorso con l’accusa di aver aggredito e picchiato un paio di partecipanti alla manifestazione “dell’onore” organizzata da gruppi neonazisti. Provocando ferite guaribili tra i 5 e gli 8 giorni ma che nel capo di imputazione diventavano “potenzialmente letali” fino a far ipotizzare una condanna a 24 anni di reclusione o a un patteggiamento a 11 anni.

    A novembre dell’anno scorso la notizia della carcerazione di Ilaria in condizioni terribili cominciava a filtrare sui giornali. Ma il caso scoppiava clamorosamente solo in occasione dell’udienza del 28 marzo scorso quando le telecamere del Tg3 riprendevano l’imputata in manette, ceppi catene e al guinzaglio delle guardie. Fino ad allora il governo italiano a conoscenza di tutto non aveva mosso un dito. Le immagini cambiarono il quadro fino alla decisione degli arresti domiciliari con la caviglierà finiti ieri mattina.

    Il padre Roberto Salis dice: “Vado a prenderla e me la porto a casa io. Sono molto contento sto cercando di organizzare il rientro il prima possibile. Ho lavorato in sordina ma non ci aspettavamo che venisse liberata già oggi. Mi ha chiamato l’avvocato Magiar per dirmi che la polizia stava andando a liberarla”.

    Secondo i dirigenti del gruppo Sinistra e Verdi “la liberazione è una sconfitta di Orban e dei leader repressivi di estrema destra. È una vittoria significativa per la giustizia”.

    L’Ungheria fa sapere che combatterà ancora per farla condannare. Aiutata evidentemente in Italia da chi tira fuori vecchie storie di occupazioni abusive di case per le quali come sottolineano gli avvocati non ci sono mai stati provvedimenti formali.
    (frank cimini)

  • Rubare gli avvocati è molto pericoloso

    Ci sono ladri cattivelli, quelli che puntano al colpo sicuro, mettendo in conto la violenza. La vecchietta indifesa per strada, il coltello per minacciare.

    Ladri che puntano alto. Il quadro al museo, l’operazione pianificata nei dettagli, il fascino criminale di Lupin.

    Poi ci sono i ladri che sfidano l’abisso, cacciandosi nei guai a tutti i costi, per inseguire il sogno di un televisore 4k, di una vacanza di lusso in Polinesia. Come lei, I., 54 anni, che tra tutti i posti in cui poteva mettersi a rubare ha deciso di puntare all’unica categoria con cui i guai sono sicuri: gli avvocati.

    Si faceva assumere come segretaria. Si presentava benissimo. Seria, sorridente.

    Con l’avvocato Francesco Molfese, studio in viale Montenero, secondo la procura ha giocato un po’ sporco, approfittando dell’età e della salute. Ad agosto 2022 gli ha preso la carta di credito, ha falsificato una delega e si è presentata in banca per effettuare tre bonifici con causali finte. Due a se stessa, uno al compagno. Totale 15.450 euro. Poi ha usato quella stessa carta per fare acquisti: Unieuro, Rinascente, Micheal Kors, Coin, profumeria Mazzolari in Galleria Vittorio Emanuele. Agosto 2021. Fanno altri 8900 euro.

    All’avvocato Alessandro Limatola sottrae due bancomat e si impossessa di 6mila euro in pochissimi giorni di prelievi seriali. Passarla liscia era davvero una missione impossibile, una sfida al destino: uno dei bancomat era collegato al conto di una Fondazione di studi economici e giuridici. Settembre 2022.

    Anche con l’avvocato Alessandro Orsenigo, operazione bancomat: mille euro.

    Nello studio dell’avvocato Lorenza Biglia, in via Lanzone, si presenta invece per un colloquio. Ma l’attesa è sfibrante, così la donna esplora lo studio e scova la borsa incustodita dell’avvocatessa Rossana Spagnolli. Intanto si intasca i 250 euro in contanti, poi col bancomat spende 48 euro in tabaccheria.

    A dicembre 2022, tre prelievi con la tessera dell’avvocato Massimo Bonacina. Fanno 1250 euro.

    Dallo studio dell’avvocato Claudio Acampora prende la carta di credito “eludendo la sorveglianza” direttamente dal cassetto della scrivania del titolare. Le marche da bollo sottratte sono un di piu. Coi prelievi arriva a 4850 euro in due giorni (gli avvocati non hanno il limite quotidiano di 500 o 1000 euro come gli umili redattori di questo blog).

    Alla fine, di un avvocato ha avuto bisogno lei. Prima il carcere, a San Vittore, poi l’immediato disposto dalla giudice Lorenza Pasquinelli, infine ieri la condanna davanti alla quarta monocratica. Il pm aveva chiesto sei anni, il giudice gliene ha dati quattro. La morale però è anche che evidentemente gli avvocati milanesi non si parlano abbastanza tra loro. E come sempre noi siamo qui per aiutare.
    (N.d.r)

  • In Cassazione Davigo gioca la carta Coppi

    In Cassazione il professor Franco Coppi considerato il più importante penalista italiano affiancherà Davide Steccanella con l’obiettivo di ribaltare la condanna di primo grado confermata in appello a un anno e tre mesi comminata a Piercamillo Davigo in relazione alla consegna al pm Paolo Storari dei verbi di Piero Amara.
    Nel ricorso alla Suprema Corte i difensori dell’ex pm di Mani Pite ed ex membro del Csm fanno osservare che il loro assistito è stato condannato per concorso nel reato con un imputato Storari assolto in via definitiva dalla stessa imputazione.
    Inoltre sempre nel ricorso si fa notare in via subordinata che la procura avrebbe al limite dovuto modificare l’accusa a Davigo contestando la norma che punisce il concorrente che trae in inganno l’altro in buona fede e quindi incolpevole. Ma si tratta all’evidenza di un fatto diverso da quello per il quale Davigo è stato condannato.
    La procura avrebbe dovuto mutare l’imputazione ma non l’ha fatto è la tesi dei difensori.
    Gli avvocati fanno osservare che a conclusione di una vicenda giudiziaria che ha interessato quattro procure con diversi imputati che ebbero a che fare con i verbali di Amara l’unico condannato è stato Davigo.
    (frank cimini)

  • Emergenza infinita processo a Curcio Moretti 50 anni dopo

    L’udienza preliminare è fissata per il prossimo 24 settembre.La procura della Repubblica di Torino chiede di processare Renato Curcio, Mario Moretti, Lauro Azzolini e Pierluigi Zuffada per l’omicidio del carabiniere Giovanni D’Alfonso in relazione alla sparatoria alla Cascina Spiotta nell’Alessandrino dove il 5 giugno del 1975 fu uccisa anche Margherita Cagol. La procura utilizza intercettazioni eseguite prima che l’indagine venisse formalmente riaperta dopo il proscioglimento di Azzolini senza che si potesse leggere e riesaminare il vecchio fascicolo perché scomparso causa alluvione.
    È la classica storia da emergenza infinita, una “malattia” dei magistrati che ne hanno fatto una ragione di vita e di conseguenza di morte per gli altri.
    Margherita Cagol venne colpita dal fuoco degli operanti nel corso del blitz che portò alla liberazione dell’imprenditore Vallarino Gancia. La donna sul prato antistante la cascina era ormai disarmata. Ma nocn è dato satpere negli atti depositati e relativi alle indagini condotte dalla procura di Alessandria se vi fu o meno una formale imputazione a carico dei militari per la morte di Margherita che fin da subito venne fatta sbrigativamente passare come giustificata dal conflitto a fuoco. L’ex carabiniere Giovanni Villani arrivato sul luogo a sparatoria avvenuta sentito l’anno scorso nell’ambito della nuova inchiesta disse che la versione ufficiale non lo aveva mai del tutto convinto.
    Anche Renato Curcio interrogato come indagato si rivolse ai pm affermando di aspettarsi indagini sulla morte della moglie. I magistrati risposero che si stavano attivando in quella direzione. Parole al vento evidentemente.
    L’avvocato Davide Steccanella difensore di Azzolini nelle sue contro deduzioni inviate al gup che dovrà decidere sul rinvio a giudizio afferma che la lettura delle carte dell’accusa “lascia piuttosto perplessi”.
    Curcio e Moretti fa notare la difesa sono chiamati in causa per il ruolo di dirigenti delle Brigate Rosse ricoperto all’epoca, un fatto storico è noto da almeno 40 anni e sulla base di un documento reperito ancora nel 1975 e pacificamente realizzato dopo il fatto di Cascina Spiotta. Zuffada è accusato per un concorso che dovrebbe essere ritenuto anomalo e pertanto prescritto. Azzolini è imputato di aver partecipato alla sparatoria ma dagli atti non emerge prova. Fu già processato e prosciolto per il medesimo fatto nel 1987. Poi c’è stata per due anni e mezzo una indagine segreta nei suoi confronti che ha rivelato, scrive Steccanella, una serie di iniziative assunte dagli inquirenti in aperto contrasto con quanto previsto dal codice di rito.
    Con una serie di eccezioni procedurali il difensore chiede la nullità dell’ordinanza di revoca del proscioglimento, la nullità del primo decreto autorizzativo delle indagini per insussistenza dei presupposti di legge e di conseguenza di tutte le proroghe successive. La richiesta di nullità riguarda anche gli accertamenti tecnici irripetibili disposti dalla procura nel settembre 2022 per mancato avviso alla parte interessata dell’inizio lavori. Oltre all’inutilizzabilita’ degli esiti del Ris. Sono inutilizzabili per la difesa tutte le intercettazioni ambientali perché mezzo di ricerca della priva introdotto con il codice del 1989 e non applicabile in un procedimento iniziato con il codice del 1930.
    (frank cimini)

  • Milano Cortina non è Expo si indaga senza moratorie pare

    Ci sarebbe anche il presunto tentativo di pilotare il televoto per la scelta del logo Milano-Cortina 2026 nell’indagine della procura di Milano in cui si ipotizzano corruzione e turbativa d’asta in merito agli appalti dei servizi di digitalizzazione per l’evento. Massimo Zuco ex dirigente della Findazione indagato con l’ex amministratore delegato Vincenzo Novari, con Luca Tomassini rappresentante di Vetrya avrebbe insistito affinché uno dei loghi relativi all’evento oggetto del televoto pubblico avesse la meglio sull’altro.

    Gli ex dirigenti sarebbero stati corrotti con denaro e altre utilità come una Smart per compiere atti contrari al dovere d’ufficio e favorire l’affidamento delle gare relative al cosiddetto ecosistema digitale di fondazione Milano.

    Dal decreto di perquisizione emerge che Luca Tomassini avrebbe sponsorizzato il manager Zuco per fargli ottenere un posto dentro la Fondazione, Almeno per il momento sembra escluso il coinvolgimento di politici che insegna la storia recente non sono indispensabili per certi “magheggi”. La differenza rispetto all’evento Expo 2015 è cge la procura indaga e non omaggia il sistema paese “per senso di responsabilità” come ebbe a dire Renzi ringraziando i pm di allora.
    Insomma i tempi cambiano. Del resto il sindaco Sala ha avuto già modo di lamentarsi per le indagini sulle violazioni urbanistiche dimostrando di non averle gradite. Lui che si tempi di Expo per l’affare Farinetti venne prosciolto senza neanche essere interrogsto. E per questo riuscì a essere candidato a sindaco vincendo la campagna elettorale per il primo mandato.
    (frank cimini)

  • Dal governo ora pure “suggerimenti” dannosi a Ilaria Salis

    Non bastava che il governo italiano a conoscenza del caso Salis fin dal giorno dell’arresto si muovesse per trovare una soluzione solo dopo le immagini del Tg3 con ceppi manette e guinzaglio. No, adesso al danno cercano di aggiungere la beffa, i ministeri della Giustizia e dell’Interno “suggerendo” all’insegnante di Monza l’iscrizione tra gli italiani residenti all’estero al fine di poter più agevolmente vedere rispettato il suo diritto di votare alle elezioni europee.
    Giustamente Roberto Salis, il padre della ragazza definisce la proposta assolutamente fuori luogo perché come conseguenza si perderebbe il diritto di poter avere gli arresti domiciliari in Italia invece che a Budapest.
    L’ingegner Salis inoltre risponde al ministro Antonio Tajani chiedendo di sapere quali sarebbero i meriti vantati per la soluzione del caso. “La decisione di presentare ricorso contro la negazione dei domiciliari è stata unicamente della famiglia, ne’ suggerita o caldeggiata da nessuna istituzione” sono le parole del padre della ragazza.
    Tajani replica di non voler rispondere alle polemiche accusando come sempre chi a suo dire avrebbe politicizzato il caso. Non c’era in realtà nulla da politicizzare in una vicenda assolutamente ed è esclusivamente politica fin dall’inizio.
    Parlando di cose concrete prima del 24 maggio, data della prossima udienza, la famiglia Salis verserà i 40mila euro della cauzione in modo che l’imputata possa essere trasferita nella casa di una privata cittadina disposta ad ospitarla. Ilaria Salis avrà’ il braccialetto elettronico in modo da poter essere controllata.
    In udienza la ragazza in carcere dal 23 febbraio dell’anno scorso non sarà più incatenata e ammanettata per ascoltare nell’occasione i testimoni dell’accusa. Si tratta dei militanti neonazisti che lei avrebbe aggredito provocando ferite guaribili tra i 5 gli 8 giorni e che nel capo di imputazione sono diventate “letali” al punto da far ipotizzare una condanna a 24 anni di reclusione, 11 anni in caso di patteggiamento.
    (frank cimini)

  • Viola confermato capo pm, la grande sconfitta di Md

    Il Consiglio di Stato ha confermato in via definitiva Marcello Viola come capo della procura di Milano rigettando il ricorso di Maurizio Romanelli ex aggiunto nel capoluogo lombardo e da poco nominato a capo dei pm di Bergamo. La decisione conforme a quella che aveva preso il Tar chiude una lunghissima vicenda di lotta tra le correnti dell’Associazione nazionale magistrati che aveva fatto registrare anche roventi polemiche.

    Il Consiglio di Stato la rilevato come correttamente il Csm avesse riconosciuto la maggiore rilevanza delle funzioni direttive svolte da Viola, considerando “di minore rilievo l’esperienza semidirettiva svolta da Romanelli presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo in ragione della sua durata di poco superiore al biennio, della sua mancata sottoposizione al vaglio della procedura quadriennale di conferma e delle modalità del suo conferimento”.
    Inoltre l’incarico semidirettivo di procuratore aggiunto pur se svolto da Romanelli nell’ufficio messo a concorso non fosse di per se idoneo a superare le esperienze dirette vantate da Viola.

    La delibera del Csm di due anni fa “va condivisa perché la stessa illustra in dettaglio le ragioni della prevalenza di Viola sotto i profili del lavoro giudiziario, organizzativo, delle esperienze di rilievo ordinamebtale e di quelle in ambito formativo”.

    Maurizio Romanelli era sostenuto dalla corrente di Magistratura Democratica, la stessa di cui avevano fatto parte i due ultimi capi della procura milanese Francesco Greco e Edmondo Bruti Liberati. C’era bisogno di una inversione di rotta anche a livello politico che portava tra l’altro a interrompere dopo decenni la prassi di un procuratore capo proveniente sempre dal palazzo di giustizia di Milano.

    Secondo il Consiglio di Stato “nessuna delle censure dell’appello te si mostra suscettibile di positivo apprezzamento, non riuscendo le stesse e inficiare la legittimità della procedura per cui è causa e del suo esito favorevole a Marcello Viola”.

    La prevalenza di Marcello Viola ex pg a Firenze è stata considerata netta. Magistratura Democratica che riteneva la procura di Milano una sorta di suo feudo è stata la grande sconfitta di una lunga tenzone. E va ricordato che i periodi legati alla direzione di Bruti Liberati prima e Greco poi erano stati caratterizzati da molte polemiche. Lo scontro tra Bruti e l’allora aggiunto Alfredo Robledo. Infine la spaccatura dell’ufficio inquirenti in relazione al caso Eni-Nigeria con le divergenze (eufemismo) tra Paolo Storari e Fabio De Pasquale sfociate poi nel processo di Brescia dove i due in aula se ne sono dette di tutti i colori.
    (frank cimini)

  • Israele “dimentica” le torture citate dai giudici italiani

    Le autorità israeliane rinunciano almeno per il momento a ottenere la consegna di Yaeesh Anan accusato di terrorismo e spiegano di farlo perché il giovane palestinese è indagato in Italia per gli stessi fatti e si trova tuttora in carcere. Nella motivazione della loro iniziativa di cui ha preso atto la corte di appello dell’Aquila non c’è il minimo accenno a un particolare fondamentale.
    I giudici italiani nel negare l’estradizione chiesta allora da Israele avevano indicato tra i motivi del rigetto le ricorrenti torture alle quali sono sottoposti i palestinesi in Israele.
    Per cui spiegava la corte di appello Anan una volta estradato avrebbe corso seri rischi per la propria incolumità.
    “Israele ha dimenticato di menzionare la circostanza ostativa delle torture praticate nelle sue carceri contro i palestinesi. La cui ricorrenza aveva indotto la corte di appello a dichiarare Anan non estradabile – dice l’avvocato Flavio Rossi Albertini – Ma si sa che l’unica democrazia in medioriente soffre di amnesia selettiva“.
    “Alla luce dell’esistenza di indagini italiane in corso le autorità israeliane desiderano – si legge nella comunicazione inviata – in questa fase di ritirare la domanda di estradizione e si riservano il diritto di ripresentarla in una fase successiva nel caso scelgano di farlo. Vorremmo ringraziare le autorità italiane per il loro impegno e assistenza in questo caso e ribadiamo la nostra disponibilità a una continua collaborazione tra i due paesi”.
    Insomma Israele fa finta di niente rispetto al fatto che un paese amico dica esplicitamente che da quelle parti in mediooriente i detenuti vengono torturati per cui non si fida di consegnare persone accusate di terrorismo.
    Va ricordato che Anan e altri due palestinesi sono stati arrestati in riferimento ai loro comportamenti sul web e sospettati di essere in procinto di compiere attentati. Ipotesi ovviamente tutta da dimostrare. Ma intanto stanno in carcere. Yaeesh Anan ha perso la libertà ma nel caso fosse stato estradato in Israele avrebbe rischiato di perdere molto di più. Questo è stato detto con il timbro di una corte di appello del nostro paese. Non è poco. Anzi.
    (frank cimini)

  • Sul 41bis di Cospito giustizia in corto circuito

    Sul 41bis di Alfredo Cospito confermato dalla Cassazione che ha respinto il ricorso del difensore la giustizia riesce ad andare in corto circuito con una motivazione che risulta il massimo della contraddittorietà. I supremi giudici da una lato citano le parole della procura nazionale antimafia e antiterrorusmo secondo cui Cospito pur da detenuto “continuava a compiere condotte apologetiche della violenza anarchica”.
    Dall’altro lato viene letteralmente bocciato il parere della stessa Dna che dava atto di una ridotta pericolosità dell’anarchico e concludeva per sostituire il regime del 41bis con quello dell’alta sorveglianza un gradino appena più sotto mantenendo la censura sulla corrispondenza.
    Secondo la Cassazione il parere della Dna “seppure particolarmente autorevole non costituisce un ‘fatto nuovo’ ma piuttosto una valutazione di carattere meramente giuridico come tale non decisiva ai fini della revoca anticipata del regime carcerario di cui si tratta”.
    Insomma la Cassazione gira e rigira la frittata affinché Alfredo Cospito sia seppellito vivo. Nemmeno le sentenze che avevano dichiarato insussistente l’associazione sovversiva nei procedimenti “Bialystock” e “Sibilla” non influiscono in alcun modo sulla “operatività della Federazione Anarchica Informale”.
    Per la Suprema Corte non c’è stata nessuna violazione di legge perché la motivazione del Tribunale di Sorveglianza di Roma non risulta mancante avendo dato risposta a tutte le argomentazioni contenute nella richiesta di revoca anticipata.
    Il ricorso viene così dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato a pagare le spese processuali e 3000 euro in favore della cassa delle ammende.
    La Cassazione spiega la sua decisione facendo riferimento al ruolo di Alfredo Cospito “descritto come figura di vertice del movimento anarchico insurreziinalista Fai-FRI “ancora attivo e pericoloso”.
    Gli eventi prospettati dalla difesa di Cospito per la Cassazione “erano già stati valutati in sede di ricorso avverso il decreto genetico del regime speciale oppure non potevano considerarsi nuovi e come tali indicativi del venir meno delle condizioni poste a fondamento di detto provvedimento prima della sua scadenza naturale”.
    La realtà è che Cospito viene considerato ancora più pericoloso dopo il lunghissimo sciopero della fame che ne avrebbe aumentato il carisma nell’ambito dei movimenti anarchici. Insomma siamo alla creazione di una sorta di nuovo reato, “il digiuno a scopo di terrorismo”. Per cui reclami e ricorsi non servono. La continuazione dell’ apologia della violenza anarchica serve a confermare il regime del 41bis tradendolo e travisandolo nello spirito e nella lettera perché il regime speciale dovrebbe (condizionale d’obbligo) servire esclusivamebte a impedire contatti con le organizzazioni esterne. L’apologia insomna è un alibi perché non sanno che pesci pigliare.
    (frank cimini)

  • Processo politico Cospito condanna confermata 23 anni

    La Cassazione ha confermato le condanne di Alfredo Cospito a 23 anni di reclusione di Anna Beniamino a 17 anni e 9 mesi come aveva sollecitato il procuratore generale Perla Lori spiegando che la sentenza della corte di assise di appello di Torino aveva ben interpretato i fatti ed era corretta. La Suprema Corte ha rigettato sia il ricorso della procura generale di Torino tendente a ottenere la celebrazione di un nuovo processo di appello per aumentare le pene ai due anarchici sia quello delle difese che avevano presentato eccezioni di incostituzionalità. Anche le difese puntavano a celebrare un altro appello per ottenere riduzioni di pena.

    Si chiude così la vicenda dei pacchi bomba di Fossano del 2006 nei pressi della scuola carabinieri che non provocarono morti e nemmeno feriti. La procura generale di Torino si era battuta per l’ergastolo a Cospito e per una condanna a 27 anni per Beniamino spiegando che solo per un caso non c’erano state vittime.

    Cospito è detenuto nel carcere di Sassari Bancali sottoposto al regime del 41bis ed era stato protagonista di un lungo sciopero della fame proprio perché protestare contro il carcere duro. Anna Beniamino reclusa a Rebibbia aveva interrotto invece il digiuno per ragioni di salute.

    Durante l’udienza in Cassazione c’era stato un presidio degli anarchici in solidarietà con Cospito e Beniamino. Su uno striscione la scritta “Fuori Alfredo dal 41bis” e su un altro “Con Alfredo Cospito per la solidarietà internazionale”. La notte precedente tre cassonetti venivano messi in mezzo alla strada in zona Tuscolano e dati alle fiamme con tentativi di appiccare il fuoco a un postamat e di sfondare la entrata di una banca. Sui muri sono state trovate scritte legate ad ambienti anarchici. Gli inquirenti seguono la pista delle proteste contro il 41bis che si svolgono spesso in coincidenza delle scadenze processuali di Cospito.

    Nei giorni scorsi a Torino erano state emesse diverse misure cautelari tra arresti domiciliari e obblighi di dimora e di firma in relazione agli incidenti del 4 marzo 2023 durante una manifestazione di solidarietà con Cospito.

    Cospito aveva di recente dal tribunale di sorveglianza ottenuto la possibilità di disporre di un Cd per ascoltare musica nel carcere di Sassari ma non ne dispone ancora perché i vertici della prigione sostengono di non riuscire a reperire un lettore di Cd. I suoi avvocati inoltre hanno presentato reclamo contro il trattenimento di alcune missive dirette all’anarchico per decisione prese a Sassari e dalla corte di asse di appello di Torino.
    Insomma alla vigilia del 25 aprile trionfa il fascismo dell’epoca moderna con la tortura del 41bis. Ora c’è pure il timbro della Cassazione.
    (frank cimini)

  • Pista anarchica eterna, arresti per corteo pro-Cospito

    La pista anarchica è eterna. A Torino sono state emesse 18 misure cautelari tra arresti domiciliari e obblighi di dimora in relazione alla manifestazione a favore di Alfredo Cospito allora impegnato in un lunghissimo sciopero della fame. Gli indagati sono 75, le accuse vanno dal danneggiamento all’istigaziine a delinquere alle lesioni aggravate a pubblico ufficiale. La manifestazione è quella del 4 marzo del 2023.

    Tra le persone raggiunte dalla misura degli arresti domiciliari c’è Pasquale Valitutti detto Lello figura storica del movimento anarchico solitamente in testa ai cortei a bordo della carrozzina sulla quale è costretto per disabilità. Valitutti è l’indagato più citato nell’ordinanza emessa dal gip Valentina Giuditta Soria che ha rigettato la misura dell’arresto in carcere chiesta dalla procura per diversi indagati.

    Pasquale Valitutti era in questura a Milano la notte tra il 14 e il 15 dicembre del 1969 accanto alla stanza del quarto piano dove veniva interrogato Giuseppe Pinelli poi volato giù in circostanze che formalmente la magistratura non ha mai chiarito. Valitutti da testimone ha sempre detto che il commissario Luigi Calabresi non si allontanò mai dalla stanza dell’interrogatorio di Pinelli, fermato e trattenuto illegalmente per tre giorni in relazione alle indagini sulla strage di Piazza Fontana.

    Secondo l’accusa nella manifestazione del 4 marzo 2023 “è stata evidenziata una organizzazione militare dell’area insurrezionalista con una precisa ripartizione di ruoli, con una copertura di un nucleo centrale che si rendeva responsabile delle azioni violente e poi con una copertura circolare che garantiva impunità”.

    L’operazione fa registrare l’esultanza del sottosegretario alla Giustizia Andrea Del Mastro perché “viene ribadito che la galassia anarchica è delinquenza. Cagionare 630mila euro di danni, manifestare con mazze e bombe carta non è libertà di pensiero ma illegalità diffusa che deve essere fermata anche con il carcere duro per l’ispiratore Cospito”.

    Del Mastro è sotto processo a Roma per violazione di segreto perché rivelò al collega deputato Giovanni Donzelli notizie e dettagli sulla detenzione di Cospito. Per Del Mastro la manifestazione fu colpa dell’anarchico al 41bis. Domani è fissata la Cassazione per i pacchi bomba di Fossano che in appello portarono alla condanna a 23 anni. Insomma Del Mastro prepara l’udienza. Secondo un avvocato difensore invece gli arresti di ieri sembrano voler impedire al maggior numero di anarchici possibile la partecipazione al corteo del primo maggio.
    Secondo l’avvocato Claudio Novaro difensore di molti indagati “A fronte della richiesta da parte dei PM di 22 arresti domiciliari, 10 custodie cautelari in carcere e 13 misure non custodiali, il Gip ha disposto tre arresti domiciliari e 15 misure non custodiali, operando un notevole filtro rispetto alle domande cautelari iniziali.
    Ciò che stupisce è che per le condotte addebitate a ciascun indagato, nessuna delle quali riguarda quei fatti materiali che la Polizia aveva definito di devastazione e saccheggio, sia rimasta inalterata tale qualificazione giuridica, che appare, obiettivamente, sproporzionata e scarsamente in sintonia con i diversi profili di responsabilità individuale indicati nell’ordinanza applicativa”.
    (frank cimini)