Categoria: Nera

  • Volantini alla Santa Messa e lo zampirone terrorista

    La nuova inchiesta della procura Bologna, reduce da diversi insuccessi sugli anarchici, comprende tra l’altro un lancio di volantini il 27 novembre dell’anno scorso nella parrocchia del Sacro Cuore di Gesù in occasione della Santa Messa in solidarietà con Alfredo Cospito.

    Un paio di settimane prima nel parcheggio della M.A.R.R. Spa viene contestato il posizionamento di quattro ordigni incendiari artigianali mediante l’innesco costituito da uno zampirone e il tutto recita l’accusa veniva reso vano da circostanze contingenti non dipendenti da chi agiva sempre nell’ambito della campagna in chiave antimilitarista in solidarietà con Cospito allora impegnato in un lungo sciopero della fame contro l’articolo 41bis del regolamento carcerario.

    L’azione di sabotaggio si legge nel provvedimento della procura che contesta l’associazione sovversiva a fini di terrorismo seppure non concretizzata veniva rivendicata mediante la pubblicazione di un comunicato “intriso di invettive formulate in chiave anticarceraria e in appoggio al già menzionato militante del “Nucleo Olga – FAI/FRI pubblicata sul sito di controinformazione ‘il rovescio.info’”.

    Le 6 persone indagate rispondono di aver organizzato una associazione di stampo anarco-insurrezionalista “strutturata in modo non gerarchico e spontaneista che agisce secondo il patto di mutuo appoggio e attraverso la solidarietà rivoluzionaria in ambito nazionale e internazionale con l’accordo sulla scelta dell’azione diretta compiuta con l’uso di ogni mezzo, benzina, materiali incendiari”.

    C’e’ anche la storia di chi saliva in un cantiere in cima a una gru di proprietà della Iba Spa “fissando alla struttura portante della predetta macchina la scritta “Il 41bis uccide – Alfredo Libero – Tutti liberi – Morte allo Stato”. Poi veniva costituito un cordone di sicurezza lungo il perimetro del cantiere, accendendo alcuni fumogeni e innalzando striscioni per impedire le eventuali operazioni di videoripresa e individuazione dei rei”.

    La procura di Bologna aveva già messo sotto inchiesta le manifestazioni di solidarietà con i detenuti nel bel mezzo dell’emergenza Covid. Gli arrestati venivano liberati nel giro di poco tempo dal Tribunale del Riesame. L’indagine era coordinate dal sostituto procuratore Stefano Dambruoso che da pm a Milano era finito sulla copertina di Time come cacciatore di fondamentalisti islamici.

    Adesso, e non poteva essere diversament, è il turno della manifestazioni a favore di Alfredo Cospito equiparate ad azioni di eversione dell’ordine democrstico. Insomma c’è sempre una pista anarchica da perseguire. Restando a questa nuova inchiesta l’appuntamento è per i 5 luglio al fine di eseguire accertamenti irripetibili sul materiale repertato e se ne occupa il Ris di Parma. Gli indagati sono stati invitati a nominare legali e consulenti di fiducia.

    ((frank cimini)

  • Insulti ai gay e allo Sci club Lgbt
    Chiuse indagini per omofobo social

    A 24 ore dal pride di Milano, la procura dà una piccola ma significativa bacchettata agli omofobi sbracati da social. Il pm Mauro Clerici notifica una chiusura indagini per diffamazione a carico di un gentiluomo che, il 28 aprile scorso, venuto a sapere dell’esistenza dello “Sci club Lgbtqia+“, si prendeva la briga di far conoscere il proprio pensiero in merito, “comunicando con più persone” e “offendendo la reputazione dell’associazione”. Su Twitter.
    Vorrebbe insultarli usando il termine “froci”, ma nel suo tweet non ci riesce, dalla sua penna elettronica esce solo un buffo ma non meno antipatico “forci”. così: “I forci sono così, bisogna rassegnarsi, stanno riuscendo a sessualizzare e a trasformare un un putt***** per s***are pure il club dello scig milano, non si riesce ad andare oltre, no ddlzan“. Gli asterischi sono nostri – siamo famosi per il nostro pudore – i refusi e gli spazi saltati sono invece originali.
    Quelli dell’associazione non hanno lasciato correre e hanno presentato denuncia. Ora l’indagato ha tempo per presentare memorie o farsi interrogare, cercando di fare in modo che il suo 415bis sfoci in una richiesta di archiviazione invece che in una di rinvio a giudizio. E chissà, magari in quella sede vorrà spiegarsi meglio, oppure chiedere scusa.

  • Fame di case? Pista anarchica tutti condannati

    C’è fame di case a Milano come in tutte le grandi città dove abbondano invece gli appartamenti sfitti e per studenti lavoratori famiglie non c’è niente da fare. Per chi occupa stabili va malissimo. Oggi sono stati condannati al temine di un processo con rito abbreviato a otto mesi pena sospesa una trentina  di anarchici che nell’ottobre del 2020 avevano occupato uno stabile in via dei Mille. Disabitato e in disuso da tempo.

    I protagonisti sono gli anarchici del Corvetto così definiti nella relazione con cui la Digos li aveva denunciati alla magistratura.

    “È opportuno sottolineare come esiste un modus operandi che caratterizza le modalità con cui avvengono le occupazioni e la difesa degli spazi delle aree e degli edifici da parte di questo collettivo anarchico – è la prosa della polizia nella denuncia – una chiara dimostrazione dell’esistenza di un gruppo omogeneo e ben organizzato che mutuando ideologicamente dal passato alcune delle battaglie del movimento anarchico sceglie modalità di lotta politica e sociale che passano attraverso il rifiuto di qualsiasi forma di controllo sociale delle regole e delle leggi in generale esprimendo un dissensò che si manifesta spesso in uno scontro aperto con le istituzioni”.

    La Digos parlava anche di “blitz occupativo a ridosso dei weekend è chiamata solidaristica a sostegno delle occupazioni attraverso la rete internet utilizzando il profilo Facebook Galipettes Occupato”.

    (frank cimini)

  • Corriere della Sera condannato diffamò giovane anarchico

    Il “Corriere della Sera” è stato condannato per aver diffamato l’anarchico Marco Re Cecconi in occasione del suo arresto in Francia. Il giornalista Andrera Galli dovrà pagare una multa di 1.800 euro, il direttore Luciano Fontana per omesso controllo di 2.000 euro. Entrambi, in solido,  dovranno risarcire la parte offesa con 20.000 euro.

    ”Gli avvenimenti ricostruiti dal giornalista non corrispondono a quanto realmente accaduto e vengono illustrati con modalità espositive prive di obiettività – scrive il giudice nel motivare la sentenza -. Re Cecconi viene definito quale devastatore del Primo Maggio, pregiudicato soggetto noto alle Forze dell’Ordine per un passato di furti, occupazioni, ed è probabile che dall’Italia l’abbiano foraggiato con i soldi, che contava sulla storica ospitalità concessa dalla Francia a fuggiaschi italiani di ogni sorta di crimine, balordi che ancora oggi dopo anche aver ucciso vivono la‘ in pace è serenità “.

    ”Si denota dalle espressioni terminologiche usate dal giornalista l’uso di un tono sproporzionalmente sdegnato, il riferimento a insinuazioni nonché a sollecitazioni emotive, espedienti che compromettono la leale chiarezza a cui l’informazione deve essere improntata – continua il giudice -; emerge che la persona offesa ha partecipato alla manifestazione del Primo Maggio 2015 contro l’Expo. Al momento della pubblicazione dell’articolo la persona offesa non poteva essere definita né devastatrice n tantomeno pregiudicata e nota per i reati indicati dal giornalista in quanto Re Cecconi è stato giudicato con sentenza del gip di Milano solo nel 2021 e tra l’altro risultando poi assolto dai reati di devastazione e incendio “.

    Quanto ai riferimenti all’ ospitalità ricevuta dalla Francia e al fatto che sia stato foraggiato con i soldi sono solo “insinuazioni”, è la posizione del giudice. La richiesta di rettifica dell’articolo fu ignorata dal “Corriere”, anche se la pubblicazione non fa venir meno la diffamazione. Il giudice scrive di non ritenere possibile la concessione delle circostanze attenuanti generiche. La Procur di Milano aveva chiesto l’archiviazione.

    (frank cimini)

  • Difesa Cospito: visionare in aula filmato dell’attentato

    Visionare in aula nel contraddittorio tra le parti e non solo in camera di consiglio il filmato dell’attentato alla scuola carabinieri di Fossano in modo da rendersi conto della scarsa entità dei danni. È questa la richiesta che l’avvocato Flavio Rossi Albertini farà in aula davanti alla corte di assise di appello di Torino dove riprenderà il processo a carico di Alfredo Cospito e Anna Beniamino dopo l’interruzione in attesa che la Corte Costituzionale decidesse sulla possibilità di concedere le attenuanti.

    Il procuratore generale di Torino Piero Saluzzo aveva chiesto per Cospito l’ergastolo dopo che la Cassazione aveva aggravato l’imputazione contestando l’attentato alla sicurezza dello Stato.

    ”Il filmato assume valore dirimente in ottica difensiva ai fini della quantificazione della pena – scrivono nell’istanza gli avvocati Flavio Rossi Albertini, Gian,una Vitale e Caterina Calia – in modo da tenere conto dell’effettiva entità e delle specifiche esigenze dei singoli casi. Si pone come naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali tanto di ordine generale, principio di uguaglianza, quanti attinenti direttamente alla materia penale”.

    ”La necessità che l’elemento obiettivo del fatto, ovvero la gravità che lo stesso ha integrato per la sicurezza dello Stato va mostrato in aula anziché visionato in camera di consiglio. Questo appare irrinunciabile anche e soprattutto in ossequio al principio di pubblicità dell’udienza e della funzione che tale garanzia e’ diretta ad assolvere” continuano i legali.

    La pubblicità della procedura tutela le persone sottoposte a giudizio tutelandole da una giustizia segreta che si sottragga al pubblico. La pubblicità interessa la cittadinanza affinché sia consapevole delle modalità con cui viene esercitata l’azione penale soprattutto nei confronti di coloro che vengono tacciati di essere nemici dell’assetto costituito del Paese, è il ragionamento della difesa.Affinché l’atteggiamento sanzionatorio statale venga praticato in coerenza con l’assetto normativo.

    (frank cimini)

  • Steccanella: le manette a senso unico dei magistrati

     

    In questi giorni infuria la polemica per la netta presa di posizione dell’ANM contro l’annunciata riforma del Ministro Nordio che vorrebbe abolire il reato di abuso d’ufficio. Abolizione discutibile e più che legittimo che una delle categorie di addetti ai lavori ne segnali le criticità, in questo sbaglia Nordio a parlare di “interferenza”, perché in una democrazia chiunque è nel pieno di diritto di criticare qualsiasi provvedimento legislativo che non condivide, e ci mancherebbe altro che uno dei tre poteri, indipendenti, che ne contrassegnano la di lei vita, dovesse zittirsi supino ai voleri dell’altro.

    Però, detto questo, il dato che colpisce è che, come accaduto in precedenza quando si è parlato di prescrizione, ergastolo, 41 bis, introduzione di leggi sempre più punitive con nomi talvolta anche grotteschi (femminicidio, omicidio stradale, reati ostativi, spazzacorrotti, trojan et similia) gli strali corporativi degli applicatori della legge si elevano sempre a senso unico nel tutti uniti verso la galera per tutti, manco fosse la riesumazione moderna del siparietto comico di quel tale Giorgio Bracardi, che per qualche annetto proprio su quello slogan ci campò travestendosi da duce (ma erano altri tempi, allora si rideva, oggi si applaudirebbe).

    Durante il tragico ministero che non so quanto in “buonafede” introdusse le peggiori nefandezze, non una voce si elevò al cielo da parte di costoro per segnalare la pericolosa deriva giustizialista (temine che rappresenta l’ossimoro della Giustizia con la G maiuscola) che si stava sempre più assecondando, in nome della difesa delle vittime di cui di base, in realtà, non gliene è mai fregato niente a nessuno.

    Ora, sul punto assai delicato, proprio perchè attiene ai rapporti istituzionali che dovrebbero intercorrere tra i tre diversi poteri dello Stato, credo che sia venuto il momento da parte di costoro di fare chiarezza una volta per tutte, perché non c’è nulla come l’ipocrisia a generare alla lunga sfiducia e perdita di autorevolezza nei confronti dei cittadini.

    In Italia ci sono ancora oggi – oppure mancano ancora, il che è la stessa cosa – leggi fondamentali che diano finalmente attuazione “pratica” alla nostra bella costituzione, tipo il fine pena mai, il diritto di scegliere il proprio fine vita, il riconoscimento di figli incolpevoli di coppie che ricorrono a procedure da anni pienamente applicate in altri paesi, il diritto di campare in condizioni economiche decenti per sostenere le sempre più spregiudicate speculazioni della cinica economia global, e potrei andare avanti per ore.

    Gentili signori, operatori primari del diritto, perché in tutti questi casi non dite nulla riparandovi comodamente dietro il principio secondo cui “il testo della norma ce lo impone”, che tutto assolve e in primis la coscienza, mentre ogni qual volta si propone di ridurre il numero spropositato (non lo dico io, ma i numeri) di processi e galere vi elevate a tutori della questione morale?

    Qualche tempo fa lessi che un PM, deluso dalla decisione di un GIP di non mettere in galera chi aveva portato in udienza in manette, disse pubblicamente che “non avrebbe più preso un caffè con la collega”.

    La domanda è: credete davvero che il vostro delicatissimo mestiere consista nel prendere il caffè solo con chi ingabbia e non con chi libera?

    Siete sicuri, domando sommessamente, di avere scelto il mestiere più giusto?

    Lo chiedo perché mia madre e la gran parte delle persone che frequento, pensano sempre che ogni condanna sia troppo lieve, che ogni assoluzione sia ingiusta e che bisognerebbe riempire le patrie galere con tutti quelli che per un motivo o per l’altro non ci piacciono, ma loro, per fortuna, hanno scelto di fare un altro lavoro.

    Davvero pensate che il vostro compito sia quello di mettere in galera più gente possibile?
    avvocato Davide Steccanella

     

     

     

     

     

  • “La repubblica giudiziaria ben prima di Mani Pulite”

    Vale la pena di leggere le quasi 300 pagine del saggio “La repubblica giudiziaria – Una storia della magistratura italiana” frutto del lavoro di Ermes Antonucci soprattutto per un motivo spiegato nella controcopertina: “Molui credono che la preminenza della magistratura sulla politica sia stata innescata dal terremoto provocato da Mani pulite, ma solo un ingenuo puo’ pensare che questa rottura sia avvenuta all’improvviso”.

    ”Lo strapotere della magistratura è il risultato del sommarsi di tensioni tra diverse ‘ faglie’ istituzionali“ si spiega. Chi scrive queste poche righe per invogliare a leggere il libro di Antonucci aggiunge che tutto comincia con la madre di tutte le emergenze, quella rubricata con l’etichetta di terrorismo ma che fu in realtà un tentativo di rivoluzione fallito.

    Decina di migliaia di persone passate per le carceri rappresentarono un problema politico che la politica non volle affrontare direttamente delegando la questione della sovversione interna alla magistratura che ne approfittò per aumentare il proprio potere e per andare a riscuotere il credito acquisito nel 1992.

    Le leggi premiali utilizzate per risolvere il problema furono pretese e ottenute dalla magistratura sempre storicamente interessata alle scorciatoie come poi andrà in epoca successiva con l’utilizzo smodato delle intercettazioni fino al trojan che continua a fare danni irriparabili ai diritti dei cittadini.

    Con le leggi premiali non vale più quello che un imputato ha fatto ma ciò che pensa delle sue azioni e soprattutto se fa l’autocritica agli altri. La catena di Sant’Antonio delle chiamate di correo finirà per fare anni agli stessi politici in occasione della falsa rivoluzione di Mani pulite. Quando la politica si suicida abolendo l’immunita’ parlamentare sotto la forma dell’autorizzazione a procedere.

    E per quella scelta la politica non ha mai voluto fare i conti fino in fondo salvo lamentarsi che la magistratura ha un potere eccessivo che esercita tuttora. Con la differenza che in passato lo faceva soprattutto svolgendo indagini e ora quando le conviene lo fa evitando di compiere gli accertamenti che sarebbero doverosi secondo il codice. Basta ricordare il caso di Expo quando l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi ringrazio’ la procura di Milano per avere dimostrato responsabilità istituzionale.

    E a questo proposito basta riportare il passaggio in cui nel libro si ricorda “il lungo percorso culturale, politico e ideologico di una istituzione divisa fra la fedeltà a valori comuni e visioni della giustizia contrastanti. In una accurata ricostruzione storica che svela luci e ombre di un ‘ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere’, la parabola di un sistema controversi, tra interessi personali e rappresentanza delle istanze collettive”.

    (frank cimini)

  • Gip: indagini sugli anni ‘70 siano per l’eternità

    Le indagini sulla lotta armata siano per l’eternita’. È questo il messaggio contenuto nell’ordinanza emessa dal gip torinese Anna Mascolo che accogliendo la richiesta della procura ha riaperto le indagini su un fatto di quasi 50 anni fa, la sparatoria di Cascina Spiotta, in relazione all’omicidio del brigadiere D’Alfonso di cui risponde l’ex brigatista Lauro Azzolini, nonostante questi fosse stato già prosciolto nel 1987 dal giudice istruttore di Alessandria.

    Ci sarebbe stato tra l’altro un problema di competenda territoriale, ma il gip lo ha bypassato spiegando che essendoci di mezzo la finalità di terrorismo la competenza si radica nel capoluogo del distretto. La norma specifica però è del 2001 e i fatti risalgono al 5 giugno del 1975. Quando c’e’ di mezzo la parolina magica terrorismo evidentemente salta qualsiasi regola e non è possibile obiettare nulla.

    La sentenza del 1987 inoltre non era stata allegata agli atti perché introvabile causa alluvione ma il giudice passa sopra anche su questa circostanza affermando che non vi è dubbio vi sia stata.

    Il gip afferma che era già previsto all’epoca l’istituto della revoca della sentenza di proscioglimento emesso dal giudice istruttore nel caso siano soravvenuti nel frattempo nuovi elementi di prova.

    Secondo il difensore Davide Steccanella emerge al massino che Azzolini potrebbe aver toccato il dattiloscritto documento riferito ai fatti del 5 giugno e sequestrato in occasione dell’arresto di Renato Curcio il 19 gennaio del 1976. “Circostanza del tutto neutra posto che quel documento in cui si riferivano i dettagli del fatto in cui era morta una fondatrice delle Brigate Rosse venne ovviamente esaminato da moltissimi militanti dell’organizzazione e persino oggetto di una pubblicità,un’azione su un giornale clandestino. Per cui sarebbe impossibile che non vi comparissero altre impronte oltre a quelle di Azzolini per cui è da escludersi che il documento una volta redatto e consegnato a Curcio sia stato immediadatamebte chiuso in una cassaforte come un talismano da preservare visto che era stato redatto proprio per informare tutti gli altri membri dell’organizzazione che non erano presenti di come erano andate le cose quel drammatico giorno alla Spiotta” si legge nella memoria della difesa.

    Del resto la stessa procura è consapevole dell’inconsistenza di tale elenco probatorio ai fini di una condanna considerando che l’accusa chiede la riapertura delle indagini e non il rinvio a giudizio.

    ”Se io raccontassi all’estero che un giudice in Italia può revocare una sentenza di assoluzione per fatti di 50 anni fa di cui non dispone materialmente mi prenderebbero per matto” dice Davide Steccanella.

    Anna Mascolo è un giudice giovanissimo. Evidentemente non aveva genio non se la sentiva di opporsi alla richiesta della procura piu forcaiola e arrogante del paese e ha fatto copia e incolla con l’istanza dei pm. Ci troviamo in un teatro dell’assurdo. Le indagini prorogate dopo decenni per sei mesi con ogni probabilità porteranno a niente ma servono ad agitare un fantasma del passato nell’ambito dell’infinita emergenza italiana dove magistratura politica e giornaloni sono uniti nella lotta (frank cimini)

     

  • 41bis, Tribunale speciale a Roma e tutti zitti o quasi

    Dalla caduta del fascismo in poi in Italia non c’erano stati tribunali speciali. Neanche durante la madre di tutte le emergenze per risolvere la questione della sovversione interna perché allora c’era stato un uso speciale dei tribunali ordinari poi proseguito con la lotta alla mafia e la farsa di Mani pulite. Ma dall’anno di grazia 2009 a Roma c’è il Tribunale di Sorveglianza che ha la competenza esclusiva a decidere sui reclami contro l’applicazione del 41bis del regolamento penitenziario il carcere duro provenienti da tutto il paese.

    Tutto questo nel silenzio generale o quasi a eccezione dell’Unione delle Camere Penali che già nel 2008, un anno prima della riforma controriforma sulla questione avevano avvertito sui pericoli a livello di diritti.

    Anche nel novembre del 2017 le Camere Penali denunciavano “l’anomalia” parlando di prassi distorte che vanno oltre le reali necessità. “Si pensa così di rispondere all’esigenza di evitare pronunciamenti giurisprudenziali eterogenei da parte di diversi tribunali. In pratica la negazione della giurisdizione dove invece l’eventuale contrasto tra decisioni è il sale del diritto”.

    In pratica viene negato il rispetto del principio costituzionale  diritto al giudice naturale. Il quadro diventa sempre più grave ricordando che sottoposti adesso al 41bis ci sono 750 detenuti il doppio rispetto al periodo delle stragi mafiose. Di carcere duro si è parlato molto in questi ultimi tempi a causa del lunghissimo sciopero della fame delL’anarchico Alfredo Cospito che ha rischiato la vita per sottoporre all’attenzione  generale una questione che non riguardava e non riguarda solo lui. Ma sul punto si sono visti in giro ben pochi garantisti i soliti quattro gatti oltre alle manifestazioni ai cortei e ai presidi dei movimenti anarchici. Nessuno ha messo in discussione il 41bis e l’anomala esclusiva competenza della sorveglianza di Roma che sul punto ha da tempo pieni poteri. Si tratta a livello istituzionale di una vera e propria sfiducia nei tribunali di sorveglianza di un intero paese. Ma la magistratura e le associazioni di categoria tacciono mentre sono pronte da anni a denunciare tentativi di delegittimazione della giurisdizione a ogni piè sospinto.

    (frank cimini)

  • La pm Adriana Blasco irriducibile con la toga addosso

    Nun ce vonno sta… La magistratura di Milano, cioè la pm Adriana Blasco, in base a un diverso calcolo della prescrizione spiegato con una dichiarazione di pericolosità sociale a 40 anni dai fatti ha emesso un nuovo ordine di carcerazione per Luigi Bergamin uno degli ex militanti nell’elenco delle estradizioni respinte dalla Cassazione di Parig lo scorso 28 marzo. Gli irriducibili in toga.

    Dice l’avvocato difensore Giovanni Ceola:
    “Penso sia una mossa prodromica a un mandato di arresto europeo per la misura di sicurezza. Ma la misura di sicurezza si sconta dopo la pena. La pena non è scontabile. E i presupposti per una estradizione sono già stati giudicati dalla corte di istruzione di Parigi. Poi esiste , per emettere un MAE un principio di proporzionalità , legato a quello di ragionevolezza. E noi paghiamo lo stipendio alle irriducibili in toga?”.

    Staremo a vedere come va a finire. La sensazione è che la magistratura e la politica italiana sbatteranno la testa contro il muro. Neanche la Cassazione francese li ha convinti ad arrendersi. Siamo davanti a una determinazione e a una ferocia degne di una causa migliore. Agitano un fantasma del passato per rafforzare il potere che hanno oggi. Uniti nella lotta una volta tanto magistrati e politici come accade per il caso di Alfredo Cospito. Anche adesso in tempi di repressione senza sovversione.

    (frank cimini)

  • Negata a Cospito visita di un secondo medico di fiducia

    “Ci impediscono il diritto alla salute, secondo loro un solo medico deve provvedere alle necessità di cure di un detenuto al 140 esimo giorno di digiuno” dice l’avvocato Flavio Rossi Albertini commenta di la decisione del Ministero di negare la visita di un secondo medico di fiducia, la dottoressa Giovanna Barbara Cicardi.
    Secondo il Ministero con le visite del dottor Andrea Crosignani il diritto alla salute di Cospito sarebbe già soddisfatto. Tenuto conto che il detenuto è sottoposto al regime del 41bis per recidere i collegamenti con il mondo anarchico non si ritirne di dover ammettere un ulteriore sanitario al fine di non pregiudicare la ratio del provvedimento è la spiegazione.

    Ma non è finita. Racconta ancora l’avvocato: “Dentro il reparto 41 bis del San Paolo oggi c’era il direttore di opera, il direttore sanitario del San Paolo e il garante nazionale dei detenuti.

    Alfredo riferisce che gli hanno fatto dichiarazioni sibilline e che lo vogliono spaventare avvisandolo che il cuore può cedere all’improvviso lasciandolo “mezzo scemo sulla sedia a rotelle con il lecca lecca in bocca”.
    Lui non sa quanto vogliono spaventarlo e quanto di vero ci sia.
    Teme l’alimentazione forzata.
    Grande censura sui telegrammi, 4 in due giorni”. Il legale aggiunge di escludere che sia stato il garante dei detenuti a cercare di intimorire e terrorizzare Alfredo Cospito. Ma insomma la tortura continua.

    (frank cimini)

     

  • Steccanella: Covid pm Bergamo e il panpenalismo

     

    Due anni fa denunciavo in apertura del mio libro “La giustizia degli uomini” (Mimesis, 2020) il sempre più crescente fenomeno tutto italiano del “Panpenalismo”, in cui, dopo avere fornito i dati del numero esorbitante di avvocati e processi, introducendo il capitolo “PANPENALISMO E GIUSTIZIALISMO TV” con una citazione di Popper “Noi siamo cercatori di verità ma non siamo suoi possessori” di Karl Raimund Popper, scrivevo:
    “Quest’ultimo dato è lievitato negli ultimi anni a causa del fenomeno noto come ‘panpenalismo’, ovvero l’irresistibile propensione a introdurre, indipendentemente da qualunque fenomenologia criminale e da qualunque osservazione degli effetti che le pene producono concretamente, nuove figure di reato al fine di soddisfare un sempre più diffuso ‘giustizialismo’. Si tratta di un giustizialismo di tipo popolare, accompagnato da un’accentuata tendenza a celebrare i processi in TV o sui social ben prima che nelle aule di tribunale, producendo inevitabilmente un tifo da stadio. Ma il risultato peggiore è la perdita di autorevolezza del processo penale agli occhi dei cittadini, poichè le sentenze emesse ‘in nome del popolo italiano’ vengono in verità percepite, da chi avrebbe auspicato un esito diverso, come sentenze emesse ‘in nome di una parte sola’. L’aumento a dismisura di avvocati, magistrati e processi ha indebolito il prestigio di queste figure e la loro efficacia presso l’opinione pubblica, facendo parallelamente aumentare il numero di coloro che si sentono ormai in grado di commentare processi, pur non avendo mai messo piede in un tribunale”.
    Nel capitolo successivo, denunciavo il conseguente giustizialismo forcaiolo (vd. recenti scene dopo la sentenza sulla tragedai di Rigopiano e quanto capitato al GIP di Verbania che “osò” bocciare la prima ricostruzione aborracciata della locale Procura):
    “il diritto di questi tempi sembri non piacere più. Piace piuttosto la legalità intesa nel suo senso peggiore, quella che fa esultare per una gabbia che si chiude e indignare per una che si apre, al punto che si sono coniati sciocchi neologismi come ‘garantista’ per definire un giudice impegnato semplicemente ad assicurare il rispetto della legge”.

    (avvocato Davide Steccanella)

  • Ruby, Cav assolto bocciato l’imbroglio dei pm

    Non è un cavillo quello che ha portato all’assoluzione di Silvio Berlusconi e di tutti gli altri inputati nel processo Rubyter. Si tratta di rispetto delle regole. È un vecchio trucco quello delle procure di sentire persone come testi e non come indagati al fine di costringerle a dire la verità. Le dichirazioni rese da chi è informato sui fatti però poi non si possono utilizzare nel processo dove i diretti interessati diventano imputati.

    Tutto qui. Il Tribunale lo aveva già chiarito con l’ordinanza emessa due anni fa e lo ha ribadito oggi assolvendo l’ex premier insieme alle ragazze che frequentavano la villa di Arcore dall’accusa di falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari.

    Cosi va in fumo il processo per un pelo di quella lana dopo che il Cav era stato assolto in appello nel primo  dibattimento dove rispondeva di concussione e prostituzione minorile. Solo nel Ruby bis c’erano state due condann. Per Emilio Fede e Nicole Minetti. Un bottino davvero magro per una saga ultradecennale imbastita guardando dal buco della serratura.

    L’intera vicenda però non va esaminata solo sotto l’aspetto penale. In un paese normale un premier che telefona in questura per perorare la sorte di una minorenne fermata per furto sparisce dalla scena pubblica e non c’è bisogno di fare alcun processo. Purtroppo viviamo da mezzo secolo nella repubblica penale dove i magistrati e i giudici hanno superpoteri che gli sono stati affidati dalla politica dai tempi della madre di tutte le emergenz. E così tutto finisce in un’aula di Tribunale perché il paese intero è privo di anticorpi creando tra l’altro una opinione pubblica sempre più forcaiola.

    Per una volta la procura che come dicono a Napoli “terzea” le carte esce sconfitt. E parlare di cavilli serve davvero a poco. La toppa è peggio del buco.

    (frank cimini)

  • Steccanella a Cospito: da te una lezione mirabile

    La lezione di Alfredo Cospito!!! (lettera aperta a chi ancora combatte per la libertà)

    “Caro Alfredo, non ti conosco, ma mi piacerebbe farti sapere che la tua straordinaria lezione è arrivata anche a me.
    ‘Non lo faccio per uscire io, ma perché il 41 bis venga abolito per tutti, perché impedisce la manifestazione del pensiero’, hai detto ieri (o forse oggi), dopo che il Ministero, improvvisamente trovatosi a dover gestire pubblicamente un “problema” del quale fino a quel momento se era, come tutti, ampiamente sbattuto, ha disposto il tuo trasferimento in un nuovo carcere per “calmare le acque”.
    Con il tuo sacrificio, spinto fino alle estreme conseguenze, hai sollevato un gigantesco vaso di Pandora sull’ipocrisia regnante nel nostro Paese verso la drammatica e perdurante vergogna del suo sistema penitenziario, medievale e degno solo di un’epoca storica forcaiola e ignorante, dove le persone ormai magnano e basta, e non pensano più.
    Tu, solo e murato vivo, sei riuscito a creare, da quell’orrendo buco sordo e senza luce, questo pandemonio istituzionale, e ormai non c’è giorno che la tua fotografia non faccia bella mostra sui giornali, quella di un uomo che fino all’altro ieri nessuno manco sapeva chi fosse, a parte i suoi compagni.
    Ti hanno paragonato a Bobby Sands o ad altri eroi che hanno nobilitato con la loro vita il dopoguerra del “secolo breve”, quello in cui di fronte alle ingiustizie ci si mobilitava in massa e non si guardava Sanremo con la passerella di un contendente in una guerra che non si combatte ma dove si mandano armi, tra una canzone di Giorgia e un commento di Fazio.
    Ma loro erano in tanti, e Tu invece sei solo, non hai compagni reclusi con te in quell’inferno e neppure dietro i combattenti dell’IRA o altri sostegni, se non quanti scrivono, più sui social che sui muri per vero, “Alfredo libero”.
    Un po’ pochino per crepare, direbbe chiunque, ma a tutti quei chiunque, tra i quali ovviamente mi ci metto io per primo, ormai ti sei contrapposto tu!
    E finchè ci sarà anche solo uno disposto, ancora negli orrendi anni Duemila, a sacrificare la propria vita per un’idea, tutti gli altri rimarranno dall’altra parte della barricata, quella degli indifferenti, quella dei colpevoli di non avere reagito.
    Spero umanamente che non debba essere come sempre la Storia a dover dire chi stava dalla parte giusta, e che quasi mai coincide con la pigra maggioranza degli sdegnati democratici.
    Quelli che si imbrodano ogni giorno della Costituzione ma stanno lasciando morire un uomo che combatte per la libertà, e come diceva qualcuno, se non stai da una parte o dall’altra della barricata, “sei la barricata”.
    Grazie per averci ricordato a tutti che si può anche non essere come tutti noi, e adesso saranno cazzi nostri con le nostre coscienze, ammesso che molti di noi ne abbiano ancora una, ma come immagino potresti dire tu da quell’inferno se te lo consentissero: “peggio per voi!”.
    La tua Lezione mirabile è che anche al giorno d’oggi di un uomo si possono prendere tutto, anche il corpo, ma non la mente di chi ne ha conservata…una!
    (avvocato Davide Steccanella)

  • La vita di Cospito vale meno degli imbrattamenti

    La vita di Alfredo Cospito vale meno degli imbrattamenti sui muri del consolato italiano di Barcellona, meno di un’auto incendiata all’ambasciata di Berlino, meno di un ripetitore di telefonia sulle colline di Torino, meno del tentato incendio del citofono di un imprenditore umbro nella cui azienda erano morti quattro opera. Era inevitabile che accadesse questo.

    Politici al potere ma anche dell’opposizione si dicono indignati per le azioni violente. La procura di Roma che sembra non avere nulla di meglio da fare come al solito apre un’indagine con la solita competenza territoriale di fatto inventata ma utile per avere titoli sui siti dei giornaloni sempre pronti a ospitare manifestazioni di celodurismo allo stato puro.

    Alfredo Cospito peggiora di giorno in giorno, in sciopero della fame dal 20 ottobre, 42 chili fa. Sta morendo ma lo stato democratico e antifascista nato dal CLN ha già fatto capire se non proprio esplicitamente detto che è in grado di fottersene.. La repubblica penale fondata sul 41 bis è capacissima di reggere la notizia relativa al suo cadavere. Del resto hanno utilizzato il reato di strage politica contro la sicurezza dello Stato per due pacchi o meglio petardi senza morti e feriti mentre la stessa accusa non venne contestata neppure per gli attentati dove morirono Falcone e Borsellino due giudici da un lato celebrati come eroi e dall’altro presi in giro insieme ai loro familiari.

    Insomna non se ne esce. Un ex famosissimo ex magistrato bercia che lo stato non può farsi ricattare. Certo dopo aver usato e continuare a usare il 41bis per dire “o ti penti e collabori o ti arrendi oppure sei murato vivo”. È la democrazia del mondo libero. La vita che Alfredo Cospito sta mettendo a forte rischio pe tutelare i suoi diritti e quelli di altri 800 “ospiti” del carcere duro non vale niente. Zero.

    (frank cimini)

  • Deputati Pd vanno da Cospito, il problema è solo politico

    Mancano interventi concreti e incisivi che servirebbero a risolvere la situazione, ma la politica comincia a occuparsi direttamente del caso di Alfredo Cospito l’anarchico in sciopero della fame per protesta contro il 41 bis nel carcere di Sassari Bancali. Ieri una delegazione di parlamentari del Partito Democratico tra i quali l’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando ha raggiunto la prigione sarda intrattenendosi sia con il recluso sia con i medici.
    Dice Walter Verini senatore del Pd: “Al momento non è apparentemente in grave pericolo, ma siccome ha rinunciato al cibo da molto tempo ci sono livelli del sangue che stanno diminuendo e che potrebbero creare in ogni momento scompensi a organi vitali. La situazione è sotto controllo ma non è certo rassicurante anche se come dice lui stesso non risultano pericoli imminenti”.
    Debora Serracchiani capogruppo alla Camera dei deputati sostiene fosse importante venite a verificare le condizioni di salute di questa persona ascoltare le sue ragioni come facciamo sempre visitando le prigioni. Serracchiani fa riferimento all’articolo 27 della Costituzione soprattutto nella parte in cui dice che l’esecuzione della pena non può essere contraria a principi di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato. “Pensiamo che l’articolo 27 vada applicato fino in fondo” conclude la deputata impegnandosi a prendere tutte le iniziative necessarie per migliorare la vita di chi vive o lavora in carcere.
    Silvio Lai deputato sardo spiega che Cospito “è sempre più fragile, non è in una situazione di salute stabile. C’è una cura medica attentissima, un quadro sotto controllo da parte dei medici del carcere e da quello di fiducia indicato dal suo avvocato. Lui rimarca le ragioni della protesta ritiene irragionevole che gli venga applicato questo regime ma serviva incontrarlo per rendersi conto delle condizioni in cui sta scontando la pena che è stata applicata è sottoposta alla Cassazione. Ora attendiamo quello che succederà”. Ieri Cospito è stato visitato anche dal medico di fiducia Arcangela Melia. Preoccupano soprattutto i valori del potassio che incidono direttamente sul cuore.
    L’aspetto importante della visita dei parlamentari è che potrebbe nonostante tutte le difficoltà aiutare a far comprendere che il problema è prettamente politico. Non solo per Cospito ma per i quasi 800 detenuti sottoposti all’articolo 41bis del regolamento penitenziario in maniera che spesso va oltre la ratio della norma. È diventato strumento per ottenere confessioni e chiamate di correo dai “mafiosi” e rese da parte dei “terroristi”.
    Intanto sono diventare 4103 le firme dei giuristi e degli intellettuali a sostegno di Cospito nell’appello lanciato da “Volere la luna”.
    Una manifestazione di protesta contro il 41bis c’è stata ieri davanti al tribunale dell’Aquila in occasione dell’udienza con imputati 31 attivisti che avevano protestato il 24 novembre 2017 “contro la tortura e l’accanimento vessatorio” nei confronti di Nadia Lioce condannata per gli omicidi D’Antona e Biagi. All’udienza di ieri si è arrivati per l’opposizione al decreto penale di condanna per le proteste di ormai sei anni fa.
    (frank cimini)
  • Cospito, botta e risposta tra corte d’assise e questore

    Nel giorno in cui escono le motivazioni con cui la corte d’assise di appello di Torino rivolgendosi alla Corte Costituzionale sostiene che l’ergastolo a Alfredo Cospito per un’azione che non ha fatto morti e feriti non si può dare il Questore di Torino in conferenza stampa dice  di non escludere il passaggio degli anarchici in clandestinita’.

    “È una realtà e un segmento che guardiamo con attenzione perché non escludiamo il passaggio dalla soluzione pubblica della manifestazione alla soluzione clandestina da parte di singoli soggetti”. Così il questore Vincenzo Ciarambino, nella conferenza stampa di inizio anno, interpellato sulle manifestazione anarchiche in solidarietà ad Alfredo Cospito, che si sono svolte anche a Torino, dove è in corso il processo d’Appello per gli attentati a Fossano. “C’è attenzione più che allarme – spiega il questore – perché la componente anarchica qua a Torino ha fatto registrare azioni imprevedibili, scarsamente prevedibili o di difficile prevedibilità. Come ad esempio l’attento alla scuola allievi carabinieri di Fossano di cui si è reso responsabile Cospito o gli attentati alla Crocetta con la classica tecnica del doppio scoppio per attirare e per poi far male. Anche nel recente passato sono stati inviati pacchi bomba da Genova mandate a figure istituzionali dell’amministrazione penitenziaria”. “Continua la nostra attenzione – aggiunge Ciarambino – gli anarchici adesso stanno manifestando in strada e stanno cercando di pubblicizzare quella che loro ritengono essere la sofferenza di Cospito, che è attualmente sottoposto al 41 bis” “Sono frange che non escludiamo possano passare dall’attività di manifestazione in strada all’attività clandestina con alcuni elementi cani sciolti che possano portare a termine attentati contro istituzioni che ritengono responsabili di questa vicenda. Facciamo attenzione a questi eventi e cerchiamo di intercettare ogni segnale e pericolo possibile”,

    La corte d’assise di appello invece trasmettendo gli atti del processo di Torino per i pacchi esplosivi di Fossano sostiene la tesi della lieve entità dei danni spiegando che il trattamento sanzionatorio sollecitato dal procurate generale il massimo della pena sarebbe incostituzionale. Insomma il questore mette le mani avanti cercando di influenzare sia la Consulla che dovrà decidere sulla concessione delle attenuanti evitando l’ergastolo sia la Cassazione chiamata a esaminare il ricorso dell’avvocato Flavio Rossi Albertini contro l’applicazione del carcere duro previsto dall’articolo 41 bis del regolamento penitenziario. Le parole del questore ipotizzando il passaggio in clandestinita’ degli anarchici che manifestano solidarietà a Cospito hanno un signicato chiaramevte intimidatorio che non viene colto ovviamente dai giornali e dai politici di tutti i partiti (frank cimini)

  • Vietata manifestazione per Cospito storia di democratura

    La Questura di Milano dice no alla manifestazione di solidarietà per Alfredo Cospito attaccandosi al mancato preavviso da parte dei movimenti anarchici che in un’assemblea avevano deciso di scendere in piazza. Da un punto di vista meramente formale il divieto ci sta ma si tratta di una pessima scelta politica dal momento che si rischia (eufemismo) di aumentare la tensione intorno al caso dell’anarvhico in sciopero della fame dal 20 ottobre scorso.

    Giuseppe Petronzi il questore ha vietato la manifestazione annunciata per domani alle
    18 in piazza Duomo in solidarieta’ ad Alfredo Cospito,
    l’anarchico in carcere a Sassari in regime di 41 bis.
    La decisione della manifestazione era stata presa durante una
    assemblea di anarchici e antagonisti e l’invito a partecipare
    era arrivato da realta’ come il Galipettes occupato, i cui
    militanti erano saliti su una gru del cantiere del teatro alla
    Scala per srotolare striscioni contro il carcere duro lo scorso
    novembre.
    “La Questura di Milano – spiegano da via Fatebenefratelli –
    ha notificato il divieto di manifestare nei modi e tempi
    annunciati ieri in rete dall’area anarchica che, senza
    presentare preavviso alcuno al Questore, ha indetto una
    manifestazione per domani 29 dicembre alle ore 18 in piazza
    Duomo”. Contro la manifestazione si era espresso anche Riccardo
    De Corato, parlamentare di Fratelli d’Italia che aveva chiesto al Comune di intervenire per  lo sgombero dell’occupazione.

    Insomma c’è il comportamento di istituzioni ottuse che decidono per un divieto senza senso. Intanto Cospito sempre più determinato a digiunare domani riceverà per un’altra visita il medico di fiducia Angelica Melia nel carcere di Sassari Bancali. Nel paese dell’emergenza infinita il divieto di manifestare è un classico e dietro la scelta del Questore c’è solo veramente la politica insieme ai mezzi dì informazione, un quadro unito e compatto tipico delle democrature (frank cimini)

  • “Cospito non si è dissociato” per i giudici il 41bis è ok

    “A fronte di un profilo elevatissimo di pericolosità sociale non risulta alcun segno di ravvedimento o di dissociazione del detenuto il quale anzi dimostra di non aver effettuato alcun percorso di revisione critica”. Questo scrivono i giudici del Tribunale di Sorveglianxa di Roma per motivare il rigetto della richiesta dei legali di Alfredo Cospito di revocare l’applicazione del carcere duro prevista dall’articolo 41 bis del regolamento penitenziario.
    Lo status derivante dalla condizione di detenuto ordinario anche in alta sicurezza secondo i giudici non consentirebbe di contrastare adeguatamente l’elevato rischio di comportamenti orientati all’esercizio del suo ruolo apicale nell’ambito dell’associazione di appartenenza la Federazione Anarchica Informale.
    A carico di Cospito c’è anche la “proposta di un nuovo manifesto anarchico”. Il linguaggio e i toni usati dai giudici farebbero pensare a un periodo di morti ammazzati per le strade tutti i giorni che non risulta essere assolutamente quello che stiamo vivendo.
    “Nonostante tutto Alfredo Cospito dimostra forza tenacia e determinazione” dice l’avvocato difensore Flavio Rossi Albertini che ieri lo ha incontrato nel carcere di Sassari Bancali dove il detenuto è in sciopero della fame da oltre due mesi. “E continuerà a digiunare, è determinatissimo in questo” aggiunge l’avvocato che sta già preparando il ricorso in Cassazione contro la decisione del Tribunale.
    Secondo Rossi Albertini le condizioni di salute del suo assistito sono già al limite, “ma – ripeto – Cospito non ha intenzione di recedere”. Insomma mette seriamente a rischio la propria vita per difendere i suoi diritti e quelli di altri detenuti sottoposti alla tortura del 41bis.
    (frank cimini)
  • Steccanella, stop su Facebook per commento su 41bis

    Per essermi limitato (come molti altri) a pubblicare qualche giorno fa il testo di una dichiarazione depositata da un imputato al 41 bis nel corso di un’udienza pubblica di un processo che lo riguardava, FB mi ha bloccato le attività di condivisioni e permangono limiti al mio account. Poichè, a torto o a ragione (opto più per la prima…) non sono un sovversivo clandestino che attenta alla democrazia, ma solo uno sfigato 60enne incensurato che lavora, paga le tasse, ha adempiuto al servizio di leva e persino regolarizzato in Comune la propria unione civile, ritengo inaccettabile che in un Paese che si autoproclama civile possa accadermi questo, e non è la prima volta (visto che qualche annetto fa mi sono anche sentito definire “il grande vecchio del terrorismo internazionale” dalla Digos, sic!!!). Ma in realtà la cosa mi stupisce fino a un certo punto, perchè contrariamente a quello che pensano le tante anime belle che sento quotidianamente sproloquiare sui paesi altrui, in Italia non viviamo affatto in una democrazia, al punto che la censura del 41 bis te la applicano anche senza sbatterti in galera.
    Avvocato Davide Steccanella

  • Continuano torture di Alfredo Cospito, ok dei giudici

    Alfredo Cospito continuerà a essere torturato nel carcere di Sassari Bancali. Lo ha deciso il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettando il reclamo contro l’applicazione dell’articolo 41bis del regolamento penitenziario presentato dall’avvocato Flavio Rossi Albertini e discusso nell’udienza del primo dicembre scorso. Cospito, considerato l’ideologo della Federazione Anarchica Informale, continua lo sciopero della fame contro il carcere duro iniziato oltre due mesi fa. Il commento del difensore: “Avranno un martire. Tra 100 anni i posteri si ricorderanno di Cospito e non dei suoi persecutori”
    La decisione era nell’aria, considerando il clima non certo quello meteorologico, creato intorno alla vicenda dalla politica e dai giornali che avevano chiamato in causa Cospito per l’attentato incendiario avvenuto in Grecia ai danni di Susanna Schlein, viceambasciatrice e sorella di Elly candidata alla segreteria del Pd. Cospito aveva implicitamente replicato di non essere a capo di tutte le cose anarchiche che accadono nel mondo.
    Era Cospito nell’aula della Corte d’Assise di Appello di Torino chiamata decidere sulla richiesta di ergastolo formulata dalla procura generale in relazione ai pacchi esplosivi di Fossano contro ì carabinieri. Azione che non provocava morti e nemmeno feriti. Tanto che i giudici decidevano di mandare gli atti alla Corte Costituzionale che nei prossimi mesi ma non certo a breve dovrà decidere sulla concessione o meno delle attenuanti per la lieve entità dei danni provocati.
    Era apparso un piccolo passo in avanti in relazione e alla posizione di Cospito che sta già scontando la condanna per il ferimento del manager dell’Ansaldo Roberto Adinolfi. Ma il Tribunale di Sorveglianza di Roma, unica autorità giudiziaria alla quale spetta di decidere sul 41bis, non ha evidentemente inteso sentire ragioni. Per altri quattro anni, a meno che la decisione non venga modificata in sede di ricorso, Cospito starà con la posta bloccata sia in entrata sia in uscita e con solo due ore di aria al giorno in un cubicolo da dove non si vedono il sole o le nuvole e con socialità praticamente inesistente.
    “A questo punto qualsiasi conseguenza in questa vicenda è addebitare esclusivamente allo Stato” rilanciano i siti anarchici. Il difensore Flavio Rossi Albertini prepara il ricorso che a questo punto non sembra avere molte speranze di essere accolto. Cospito ha deciso di mettere a rischio la vita per affermare i suoi diritti di detenuto, la possibilità di scrivere dalla cella articoli e Interventi da pubblicare sulle riviste dell’area anarchica.
    (frank cimini)
  • Qatargate Indagini fatte da servizi segreti euroemergenza

    Diciamo, tanto per usare un eufemismo, che non sembra molto tranquillizzante la circostanza emersa nelle ultime ore da Bruxelles relativa a indagini fatte dai servizi segreti. Nei paesi dove le indagini le fanno i ”servizi”, lo dimostra la storia, parlare di democrazia è difficile se non impossibile.
    La lotta alla corruzione spetta in primo luogo alla politica. La magistratura indaga per portare i presunti responsabili davanti ai Tribunali dove si fanno i processi nel rispetto delle regole per stabilire chi ha violato la legge e chi invece no. Ma le indagini fatte dai servizi sono inquinate perché è praticamente impossibile controllare se eseguite con mezzi leciti o illeciti.

    Ricordiamo tutti quello che è accaduto in Italia con la farsa di Mani pulite, la finta rivoluzione dove comunque non risulta formalmente che vi furono accertamenti e raccolta di indizi da parte delle “barbe finte”.

    Poi c’è da dire  che questo signor Claise figura a metà trada tra un pm poliziotto e un giudice istruttore appare fin troppo muscolare. Gli piace presentarsi cone uno che ce  l’ha duro. Poi danno il loro devastante contributo i media che lo paragonano a Di Pietro incensando sia la toga belga che l’uomo simbolo di Mani pulite il quale utilizzò il codice come carta igienica.

    Insomma possiamo parlare di una sorta di euroemergenza. Cioè il paese dove l’emergenza è infinita da circa mezzo secolo tra “anni di piombo”, mafia e corruzione farebbe da modello nell’intero continente.
    (frank cimini)

     

  • Anna Beniamino forse sospende lo sciopero della fame

    Anna Beniamino sta per sospendere lo sciopero della fame nel carcere di Rebibbia a causa delle sue condizioni di salute peggiorate negli ultimi giorni. Il suo avvo sto difensore Caterina Calia l’ha consiglista in quella direzione.

    ”Effettivamente Anna ha la pressione molto bassa – racconta l’avvocato – – la massima non supera mai gli 80 e da almeno una settimana la direzione spinge per un ricovero che lei ha sempre rifiutato. Domani lei dovrebbe chiamarmi intorno all’una e mezza e comunicarmi la sua decisione sulla prosecuzione dello sciopero. Io spero domani si fermi. A lei finora non è stata paventata esplicitamente l’alimentazione forzata    ma un ricovero per monitoraggio, tuttavia è chiaro che in ospedale interverrebbero almeno con la flebo per stabilizzare la pressione. Io mi auguro comunque che lei domani mi comunichi che smette, sia perché sarebbe bruttissimo smettere se per Alfredo ci sarà un rigetto sia perché se lei sta male quella diventerebbe la notizia mentre l’attenzione deve rimanere su Alfredo”.

    Per Anna Beniamino la procura generale di Torino aveva chiesto la condanna a 27 anni di reclusione e l’ergastolo per Alfredo Cospito in relazione ai pacchi esplosi dell’attentato di Fossano. I due imputati sono in attesa della decisione della Corte Costituzionale in merito alla concessione delle attenuanti relative alla lieve entita’ dei danni (niente morti e feriti).

    Cospito come ricordava l’avvocato attende la decisione sul reclamo contro l’applicazione del carcere duro previsto dall’articolo 41 bis dopo la discussione in udienza del primo dicembre scorso. Non ci sono molte speranze a questo punto che il reclamo venga accolto. Le manifestazioni esterne di solidarietà rischiano di alimentare la tesi della pericolosità sociale e essere controproducenti come già accaduto in passato per altri detenuti politic.

    L’avvocato Calia porta l’esempio di un altro suo assistito l’ex Br Marco Mezzasalma. “A me hanno rigettato qualche giorno fa il reclamo di Marco Mezzasalma perché ci sarebbero contatti con gli anarco-insurrezionalisti dimostrati dalle manifestazioni contro il 41 bis, figuriamoci per Alfredo. Magari appena preparo il ricorso potremmo sollevare la questione del 41 bis riguardo a Marco..perché è una situazione davvero allucinante”.

    (frank cimini)

  • Cospito al medico di fiducia: continuo sciopero della fame

    Alfredo Cospito continua lo sciopero della fame iniziato oltre cinquanta giorni fa. Ha detto di essere intenzionato a proseguire con sempre maggiore determinazione alla dottoressa Melia che lo ha visitato nella tarda mattinata di oggi nel carcere di Sassari Bancali.

    Secondo il medico Cospito “sta reggendo abbastanza bene nonostante veleggi verso i due mesi di digiuno. Prende solo qualche cucchiaino di zucchero al fine di tenere sotto controllo la glicemia ed è molto pallido anche perché non usufruisce di ore d’aria”.

    Cospito, dopo la decisione dei giudici di Torino di inviare gli atti del processo per i pacchi esplosivi di Fossano alla Corte Costituzionale in merito alla concessione dell’attenuante relativa alla lieve entità del danno,  è in attesa della scelta del Tribunale di Sorveglianza di Roma sul reclamo contro il 41 bis, l’applicazione del carcere duro con blocco della corrispondenza sia in entrata sia in uscita, socialita’ pressoché azzerata.
    I giudici si erano riservati la decisione lo scorso primo dicembre. “Anche oggi come tutti i giorni dall’udienza mi sono recato in sorveglianza per chiedere se vi fossero novità – racconta l’avvocato difensore Flavio Rossi Albertini – mi è stato risposto che il sabato è permesso l’accesso solo per atti urgenti e che non essendo tale la vicenda, da più di 50 giorni 8n sciopero della fame, non potevo neppure entrare in Tribunale. Ho spiegato che ci sarebbe stata visita medica e che avrei potuto eventualmente comunicare l’esito ma neppure questo argomento ha modificato l’atteggiamento del cancelliere di turno”.

    (frank cimini)

  • Nordio: solo annotazione non trascritte coccole e miao

    “Va immediatamente posto in risalto che la conversazione menzionata nell’atto di sindacato ispettivo oggetto di captazione elettronica in data 7 agosto 2020 è riportata nella brogliaccio come ‘D.L. Parla col gatto’ non risulta essere stata trascritta ne’ tantomeno citata dalla procura di Torino tra gli  atti di indagine perché considerata irrilevante”. Questo afferma il ministro della Giustizia Carlo Nordio rispondendo all’interrogaazione del deputato Roberto Giachetti dopo la pubblicazione dell’articolo su Il Riformista su questo povero blog e sulla ripresa di Dagospia in merito all’intercettazione nella camera da letto di Dana Lauriola portavoce del movimento NoTav intenta a coccolare il gatto Tigro, 17 anni portati benissimo dopo tutto quello che era stato costretto a passare compresa la carcerazione della padrona condannata a 2 anni di carcere senza sospensione condizionale della pena per aver parlato con un megafono durante una manifestazione in autostrada.

    Dana Lauriola è indagata per associazione per delinquere nell’inchiesta sul centro sociale Askatasuna, un procedimento penale dove è autorizzato l’uso di “siffatto mezzo di ricerca della prova” precisa il ministro che definisce “corretta la condotta di menzione e generica sintesi nel brogliaccio ad opera della polizia giudiziaria. La sintetica indicazione non contiene di certo espressioni lesive della reputazione dell’indagata, riportando in sostanza ciò che si è verificato o riferisce dati personali definiti sensibili dalla legge”.

    Secondo Nordio “non appare censurabile la condotta della procura di Torino neanche sotto il profilo dell’omessa vigilanza dell’attività della polizia giudiziaria. Appare evidente allo stato l’assenza di ogni anomalia e irregolarità nell’operato della procura”. Sono queste le parole del ministro all’esito del lavoro degli ispettori.

    Insomma non sono state trascritte le coccole di Dana e i miao del micio. Non si capisce comunque l’utilità dell’annotazione tecnica per le indagini e nemmeno la sua citazione tra gli atti dell’inchiesta che comunque c’è stata perchè pin caso contrario non ne avremmo saputo niente.

    ”La vicenda non fa più nemmeno sorridere” è il commento di Dana Lauriola che comunque nei giorni scorsi era intervenuta sui social rivolgendosi a Nordio: ”Caro ministro io ho avuto tre cimici in casa cucina camera da letto e salotto tutto i telefoni controllati e le mail per anni. Hanno reso pubbliche le mie conversazioni con Tigro, quelle con g,i avvocati, il tutto per una battaglil politica contro il movimento NoTav e le realtà antagoniste. 3 anni di intercettazioni per avere nessuna prova e sole supercazzole che in sede di processo per associazione per delinquere diventano oggetto di prova di chissà quali funeste intenzioni. Nessun reato a me ascritto, ma sono accusata di sognare la rivoluzione dei popoli e essere una militante NoTav”.

    (frank cimini)

  • 1969-2021 50 canti collettivi, storie di ingiustizia e altro

    “Se per qualcuno il destino dell’umanità è dimenticare per noi ricordare è indiscutibile necessità“. Questo il programma prettamente politico dell’opera firmata da Filippo Kalomenidis e dal CollettIvo Eutopia raccontando le 50 storie di donne e uomini in rivolta “condannati a morte e alla morte oltre la morte”.

    50 storie che formano la storia di chi ha perso in un tempo in cui i vincitori rivendicano il diritto di essere loro soli a raccontare. È la favola della storia condivisa con cui ci ammorbano da sempre. In poco più di 200 pagine gli autori contrastano chi ha vinto spiegando che comunque un’altra verità esiste anche per ipotizzare un futuro diverso una speranza di pace e uguaglianza.

    ”Canti da dire ogni volta che ci sorprendiamo incapaci di pensare l’impensabile da tramandare per riconnettere il passato e futuro reinnestando la benjaminiana promessa di redenzione” scrive nella prefazione Silvia De Bernardinis, ricercatrice specializzata negli anni ‘70, quelli con cui il cosiddetto sistema paese rifiuta di fare i conti.

    Il primo dei 50, lo indichiamo anche perché siamo nei giorni dell’ennesimo anniversario senza verità e senza giustizia, è Giuseppe Pinelli scaraventato da una finestra dell’ufficio politico della questura di Milano dove si trovava in stato di fermo illegale da oltre 48 ore. Parleranno gli uomini delle istituzioni di suicidio morte accidentale malore attivo. Per il giudice Gerardo D’Ambrosio “appare verosimile l’ipotesi di precipitazione per improvvisa alterazione del centro di equilibrio”. Pinelli alto un metro e 67, la finestra è posta a 97 centimetri da terra. Dati che rendono fantasiosa l’ipotesi. Pinelli ha subito la sevizia della deprivazione del sono e del cibo e con ogni probabilità i poliziotti stavano praticando su di lii la tortura della sospensione dall’alto. Volevano fargli confessare un eccidio non commesso. La moglie Licia e le figlie Silvia e Claudia non hanno mai ricevuto risposte sull’assassinio di Giuseppe.

    Elena Pacinelli, 19 anni, uccisa nel 1977 da un gruppo di fascisti che sparava all’impazzata contro giovani fermi a chiacchierare davanti alla Casa Rossa di Monte Mario. Per Elena non ci sono targhe, murales, una giornata che ricordi questa ragazza caduta nella guerra dello Stato e della manovalanza nera contro la generazione in rivolta del ‘77.

    Maria Silvia Spolato è stata la prima italiana a dichiararsi lesbica. Muore nel 2018 in una casa di riposo a Bolzano a 83 anni dopo aver vagabondato per l’Italia con un carrello della spesa sempre alla ricerca di libri e giornali.

    Anna Maria Mantini mi,istante dei NAP uccisa a 22 anni da un protettile esploso in pieno volto a 50 centimetri di distanza. i tribunali avallano la tesi del colpo esploso accidentalmente. Nessun colpevole nessuna condann.

    Said Zigoni, 45 anni, si uccide buttandosi da una finestra dell’ospedale di Messina il 12 gennaio del 2005. Migrante “irregolare” secondo la legge Turco Napolitano. Dal 1998 a oggi si contano decine di deportati senza volto uccisi dai lager ora denominati Cper.

    ”Non si può continuare a vivere per anni sul ciglio del burrone dei licenziamenti”. Così scriveva Maria Baratto, un tempo in servizio alla Fiat a Pomigliano D’Arco. Il 21 maggio del 2012 a 47 anni si uccide in casa ad Acerra compendosi ripetutamente all’addome con un coltello. Dopo aver attraversato gli ultimi 6 anni tra una miserevole Cig e lo stabilimento punitivo di Nola.

    C’e’ il canto dedicato a Giorgiana Masi. ”Sono morta a 18 anni perché il PCI chiese ‘fermezza, ordine, sicurezza… Sono morta a 18 anni ma sono viva, la festa deve ancora cominciare“. Colpita a morte da uno dei tanti proiettili sparati dai poliziotti in borghese.

    Fabrizio Caruso muore colpito da un proiettile della polizia mentre difendeva le case occupate a San Basilio. “Soltanto 19 anni/ per loro non eri nessuno/ soltanto 19 anni e per loro non eri che uno come tanti, un cameriere, un garzone d’officina, un operaio, un disoccupato un emigrante” recita il testo di una canzone anonima a lui dedicata.

    Nella postfazione Barbara Balzerani ricorda Aldo Bianzino fermato perché i poliziotti trovarono nell’orto qualche pianta di marijuana. Finisce in carcere con la moglie che poi viene liberata e chiede del marito. Le viene risposto che potrà vederlo dopo l’autopsia. L’esame che dirà di lividi e lesioni interne resta solo un insignificante dettaglio. Un anno dopo morirà di cancro Roberta. Rudra oggi è un giovane uomo che ancora reclama di sapere come e perché sia morto suo padre.

    (frank cimini)

    Per tutte, per ciascuna, per tutti, per ciascuno

    Canti contro la guerra dellItalia agli ultimi

    Edizioni D.E.A. 209 pagine 20 euro

  • L’attentato di Atene? È tutta colpa di Alfredo Cospito

    Le indagini sull’incendio della macchina di Susanna Schlein, vice ambasciatore in Grecia, fatto avvenuto quindi ad Atene le fanno in Italia, politici e giornalisti, a cominciare dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la prima persona che ha indicato “la pista anarchica”.
    Ma con la creatività e la fantasia del Bel Paese si fa ancora di più dicendo che l’attentato sarebbe avvenuto ad opera di anarchici in solidarietà con Alfredo Cospito in sciopero della fame da un mese e mezzo nel carcere di Sassari Bancali per protestare contro l’applicazione dell’articolo 41bis, carcere duro: blocco della corrispondenza sia in entrata sia in uscita e solo due ore d’aria al giorno in un cubicolo da cui non si vedono le nuvole o il sole.
    Insomma lor signori non sanno niente dell’incendio di Atene ma fanno ammuina prendendosela con una persona che in pratica stanno torturando. La notizia viene gonfiata perché Susanna Schlein è la sorella di Elly da tempo sotto i riflettori dell’attenzione generale perché candidata alla segreteria del partito democratico. Per cui giornali che sulla vicenda carceraria di Alfredo Cospito non hanno scritto una riga ignorando deliberatamente anche l’udienza dì mercoledì davanti al Tribunale di Soveglianza di Roma ora hanno scoperto il caso, diciamo, perché fa comodo strumentalizzarlo nell’ambito di una caccia alle streghe che nella storia di questo paese ha già fatto danni inanerrabili. E siamo proprio nei giorni che ci avvicinano all’anniversario di piazza Fontana e del “volo” dell’anarchico Pinelli rubricato coma malore attivo da un giudice “democratico e antifascista”. Insomma è tutta colpa di Cospito Alfredo che sta rischiando la vita digiunando per tutelare i suoi diritti che restano tali anche in una prigione dello Stato nato dalla Resistenza.
    (frank cimini)
  • Cospito contro il 41bis Giudici decideranno chissà quando

    L’anarchico Alfredo Cospito è in sciopero della fame da un mese e mezzo per protestare contro l’applicazione dell’articolo 41 bis, carcere duro, con divieto di corrispondenza che viene bloccata sia in uscita sia in entrata e il diritto a solo due ore d’aria in un cunicolo dal quale si fa fatica a vedere il cielo. Ieri mattina davanti al Tribunale di Sorveglianxa di Roma, l’unica autorità abilitata a decidere in merito al 41bis sull’intero territorio nazionale (parlare di una sorta di tribunale speciale non pare proprio azzardato) il difensore Flavio Rossi Albertini ha discusso il ricorso in un’udienza durata un paio d’ore.
    Il Tribunale si è riservato di decidere e non ha termini perentori da rispettare a livello di tempi. Per cui la situazione in cui si trova Cospito, che ha già perso 24 chili digiunando, sembra destinata a peggiorare.
    Secondo l’avvocato Rossi Albertini “le limitazioni imposte a Cospito non sono strettamente correlate e con le esigenze di sicurezza perseguite e assumono natura ingiustificatamente e puramente limitativa divenendo ingiustificate deroghe all’ordinario regime carcerario con una porta puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale”.
    Per la difesa siamo oltre la ratio della norma che serve per impedire i contatti con l’esterno in modo da evitare che siano commessi altri reati. Cospito si vede bloccare la corrispondenza che era fatta di interventi politici da pubblicare sulle riviste dell’area anarchica e non certo di pizzini o strani geroglifici da decrittare. Non è accertato inoltre che la Federazione anarchica informale di cui fece parte Cospito sia tuttora operante e comunque non si tratta di una organizzazione strutturata. “È il primo caso di un anarchico al 41 bis – aggiunge il difensore – regime che nasce per combattere la mafia stragista ma che viene applicato a un anarchico”
    Ieri sia davanti al Tribunale di Sorveglianza di Roma sia a Genova ci sono stati presidi di solidarietà con Cospito organizzati dagli anarchici. E qui bisogna fare attenzione perché come ricorda l’avvocato Margherita Pelazza, esperta delle questioni relative all’articolo 41bis, in passato le manifestazioni di solidarietà fuori dalle carceri e dai palazzi di giustizia sono state considerate una sorta di “aggravante” perché dimostrerebbero la pericolosità sociale delle persone destinatarie dei provvedimenti. Gli anarchici nel capoluogo Ligue hanno esposto striscioni contro il carcere duro definito “tortura di Stato”.
    L’articolo 41bis ha preso il posto dell’articolo 90 che aveva contrassegnato il carcere duro nel corso dei cosiddetti anni di piombo. A firmare il decreto del provvedimento per Alfredo Cospito era stata Marta Cartabia ministro della Giustizia nel governo presieduto da Mario Draghi che si era sempre espressa per meno carcere e il meno afflittivo possibile. A parole.
    (frank cimini)
  • Nordio il gattaro che non risponde su Tigro “intercettato”

    Per dare forza alla promessa di riformare il codice Rocco nei giorni scorsi il ministro della giustizia Carlo Nordio aveva spiegato: “Lo giuro sui miei gatti Rufus e Romeo”.  Ma adesso nella vita dell’ex magistrato è entrato un altro micio perché il deputato Roberto Giachetti gli ha chiesto di attivare i poteri ispettivi su una vicenda che l’esponente di Italia Viva ha definito “tragicomica”.

    Nordio non ha ancora risposto all’ interrogazione parlamentare relativa all’annorazione della Digos poi allegata dai pm di Torino agli atti dell’inchiesta su Askatasuna in cui si leggeva che l’indagata Dana Lauriola nell’agosto del 2020 parlava in camera da letto con il suo gatto.

    Ben difficilmente (eufemismo) le parole della donna potranno risultare di qualche interesse investigativo per cui l’onorevole Giachetti sollecita il ministro a intervenire sugli uffici giudiziari del capoluogo piemontese per conoscere le ragionI della presenza tra gli atti della “intercettazione” relativa a Tigro e alla sua padrona.

    Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Ma in realtà non c’è da stare allegri per nessun motivo nel constatare il modo con cui si fanno le indagini. Parliamo di una inchiesta per associazione sovversiva accusa poi modificata dal Riesame in associazione per delinquere. Il ricorso dei difensori degli indagati del centro sociale Askatasuna sarà discusso in Cassazione il prossimo 24 novembre.

    Per manacanza in questi tempi di materia prima, la sovversione, gli uffici Digos dell’intero paese sono abbastanza disoccupati. È chiaro che dovendo giustificare la loro esistenza e soprattutto i costi di strutture spropositate rispetto alla bisogna i poliziotti si aggrappino a tutto. Il resto lo hanno fatto i magistrati allegando al fascicolo di indagine le coccole fatte dalla signora Lauriola e i miao di Tigro che nei suoi 17 anni di vita ne aveva già viste di tutti i colori. Dana infatti era finita in carcere a scontare una condanna a due anni di reclusione senza sospensione condizionale della pena per aver parlato con un megafono durante una manifestazione in autostrada. Oggi però avrà gioito anche Tigro perché la sua padrona si è laureata. In attesa dell’udienza in Cassazione e di un eventuale chiarimento in merito all’”ascolto” registrato da agenti che evidentemente hanno poco da fare (frank cimini)

  • Giachetti: intercettata indaga con gatto Nordio si attivi

    “L’intercettazione di un dialogo tra una indagata e il suo gatto, che viene inserita negli atti di un’inchiesta da parte della Procura di Torino, è una vicenda tragicomica che oltrepassa tutti i possibili confini della logica e del buonsenso.” Così in una nota Roberto GIACHETTI, deputato di Azione – Italia viva, sul caso che ha come protagonista Dana Lauriola, raccontato in un articolo a firma di Frank Cimini sul quotidiano Il Riformista lo scorso 7 novembre.
    “La donna, che in passato aveva trascorso due anni in carcere per aver utilizzato un megafono durante una manifestazione avvenuta in autostrada, è stata coinvolta nell’operazione Sovrano, condotta nei confronti del centro sociale Askatasuna, ed è stata intercettata dalla Digos di Torino nella sua stanza da letto mentre ‘conversava’ con il suo gatto Tigro. L’intercettazione, della durata di un minuto e quattordici secondi, risulta allegata dalla Procura di Torino agli atti dell’inchiesta come documentazione utile ai fini del processo. Ho presentato su questa assurda vicenda un’interrogazione – conclude GIACHETTI – chiedendo al ministro se non ritenga di procedere, nell’ambito delle sue competenze, ad attivare i propri poteri ispettivi in relazione alle eventuali irregolarità, anomalie e/o omissioni da parte degli uffici giudiziari della Procura di Torino”. (Public Policy)
    @PPolicy_News
    RED
    161531 nov 2022

  • De Maria ex Br solidale con sciopero fame di Cospito

    Nicola De Maria detenuti ex militante delle Brigate Rosse colonna Walter Alasia attraverso il suo avvocato Giuseppe Pelazza comunuca di aver prolungato l’ora d’aria iL 9 novembre scorso in solidarietà con Alfredo Cospito l’anarchici in sciopero della fame contro il 41bis nel carcere di Bancali Sassari.

    “Crisi guerra repressione contro lavoratori disoccupati studenti. In questo contesto – afferma De Maria – si è ultimamente estesa l’applicazione del regime carcerario del 41bis contro i prigionieri rivoluzionari mirando all’annientamento della loro identità  e integrita’ psicofisica”.

    Questa mattina su due quotidiani nazionali Repubblica e Stampa sono stati pubblicati gli articoli di Luigi Manconi e Massimo Cacciari critici sull’applicazione del carcere duro per Cospito il quale ha la posta bloccata sia in entrata sia in uscita e solo un’ora d’aria in una sorta di cubicolo.

    (frank cimini)

  • Le case occupate del Giambellino e la giustizia di classe

    Organizzavano l’occupazione di case sfitte di Aler per darle a famiglie bisognose in una metropoli dove c’è fame di abitazioni. Non prendevano soldi, non c’era fine di lucro come riconosciuto nel corso delle indagini dagli stessi pm. Ma nove militanti del comitato Giambellino-Lorenteggio sono stati condannati per associazione per delinquere finalizzata all’occupazione abusiva. Le pene, più alte di quelle richieste dall’accusa, vanno da un anno e 7 mesi a 5 anni e 5 mesi. Il Tribunale ha deciso che dovranno anche risarcire Aler. Soprannominato “Robin Hood” quello contro il comitato era un processo simbolo sull’emergenza abitativa.
    “In una città così escludente e spietata come Milano aiutavano povera gente a sopravvivere, offrendo solidarietà senza chiedere nulla e sono stati trattati e un’organizzazione criminale” dice l’avvocato Mauro Straini.
    “La sentenza dimostra che alcuni valori costituzionali sono per alcuni giudici caduti in disuso. A cominciare dal diritto all’abitazione. Per il Tribunale chi si è attivato per adempiere al dovere di trovare una casa è meritevole di essere inserito in una associazione per delinquere – spiega Giuseppe Pelazza altro legale della difesa – È ciò a fonte della violenza delle istituzioni che hanno azzerato i fondi per l’edilizia pubblica omettendo le indispensabili manutenzioni dei pochi stabili di edilizia popolare facendo così aumentare il numero dei senza casa e di chi viene costretto a vivere in situazioni di pesante degrado”.
    Pelazza aggiunge che siamo costretti e sembra paradossale a rimpiangere Giorgio La Pira che da sindaco di Firenze andava personalmente a requisire gli appartamenti sfitti per assegnarli a chi casa non aveva. La sentenza bastona chi cerca di tutelare i diritti dei più deboli, secondo il legale. “E prima o poi non potrà non succedere qualcosa che rimetta le cose a posto”.
    Il comitato del Giambellino aveva creato uno sportello di aiuto per le persone in difficoltà, racconta l’avvocato Eugenio Losco – organizzando attività ricreative, doposcuola, ambulatorio popolare, tutte attività lecite. “Lo scopo era questo e non quello di commettere reati. In particolare trovo fantasioso – aggiunge Losco – che si possa costituire una associazione per delinquere per commettere il reato di resistenza. Un reato dettato da ragioni estemporanee che mal si concilia con una ideazione a tavolino. Le resistenze peraltro non sono state dimostrate. Un conto è opporsi con violenza e minacce alla polizia un conto è partecipare la propria solidarietà e anche protestare l’illegittimità politica degli sfratti. Da condannare sono le istituzioni totalmente assenti. È solo un bene che siano nati questi comitati che portano aiuto a chi ha bisogno”. Insomma una volta si parlava di giustizia di classe e visto quello che accade lo si può ancora fare senza essere sospettati di delirare.
    (frank cimini)
  • Il gatto intercettato dalla Digos… va in Parlamento

    Interrogazione del ministro da parte del deputato Roberto Giachetti che chiede di attivare l’ispettorato

    GIACHETTI. — Al Ministro della Giustizia— Per sapere – premesso che:

    in un articolo a firma di Frank Cimini pubblicato il 7 ottobre 2022 sul quotidiano “Il Riformista” e ripreso da altri siti di informazione online, nello specifico il portale www.dagospia.t e giustiziami.prlb.eu , si riporta la vicenda che vede protagonista Dana Lauriola, alla quale è stato contestato il reato di associazione sovversiva (poi modificato dal Riesame in associazione per delinquere) e per il quale la difesa ha presentato ricorso in Cassazione che sarà discusso nell’udienza fissata per il 24 novembre 2022;
    Dana Lauriola era stata condannata in passato a due anni di reclusione, senza sospensione della pena e quindi scontati in carcere, per aver utilizzato un megafono durante una manifestazione avvenuta in autostrada;
    nell’articolo citato si racconta dell’utilizzo di un’intercettazione ambientale dell’indagata, disposta dalla Digos di Torino nell’ambito dell’operazione denominata “Sovrano” sul centro sociale Askatasuna, e avvenuta nella camera da letto di Dana Lauriola il 7 agosto 2020, per il tempo complessivo di un minuto e 14 secondi, durante la quale l’intercettata “conversava” con il suo gatto di nome Tigro;
    la stessa Dana Lauriola racconta l’episodio in un post pubblicato sul suo profilo personale facebook e intitolato “Intercettazioni nella mia camera da letto”;
    dallo stesso articolo risulta che tale intercettazione sia stata allegata dalla Procura competente agli atti dell’inchiesta come documentazione utile ai fini del processo;
    a parere dell’interrogante una tale vicenda, che ha del tragicomico, oltrepasserebbe tutti i possibili confini della logica e del buonsenso anche in relazione ad un abuso del metodo delle intercettazioni:-

    se il Ministro, a fronte dei fatti esposti in premessa, non ritenga di procedere, nell’ambito delle sue competenze, ad attivare i propri poteri ispettivi in relazione alle eventuali irregolarità, anomalie e/o omissioni da parte degli uffici giudiziari della procura di Torino.

  • Il Grande Vecchio del terzo millennio è un gatto

    Alle ore 16,38 del 7 agosto 2020 in camera da letto per un minuto e 14 secondi Dana Lauriola parla con il gatto. A scriverlo è la Digos di Torino in una annotazione allegata agli atti dell’inchiesta sul centro sociale Askatasuna dove si contesta il reato di associazione sovversiva che poi il Riesame ha modificato in associazione per delinquere. Le difese degli indagati hanno presentato ricorso in Cassazione che sarà discusso nell’udienza del prossimo 24 novembre.
    Dana Lauriola, già condannata a due anni di reclusione senza sospensione della pena (infatti è stata in galera) per aver usato il megafono durante una manifestazione in autostrada scrive su Facebook: “Intercettazioni nella mia camera da letto. La sintesi in fondo di questo audio ci restituisce la pericolosità del soggetto coinvolto. Se non facesse piangere farebbe molto ridere. Comunque, scherzi a parte, si tratta di una volazione così forte della propria intimità, è un qualcosa che non dovrebbe essere permesso. Ma a Torino, si sa, tutto è possibile”. A Torino va ricordato il bruciacchiamento di un compressore era stato trattato con riferimenti espliciti nero su bianco al pari del caso Moro. Accusa di terrorismo azzerata da Riesame e Cassazione. Ma intanto gli indagati si perdevano la scabbia in carcere.
    L’operazione era stata denominata dalla molto solerte Digos col termine “Sovrano”, alludendo a Giorgio Rossetto, uno dei leader del movimento contro il treno dell’alta velocità. “Ma secondo noi – chiosa un legale della difesa – il vero Sovrano è il gatto di Dana”.
    Il gatto di Dana si chiama Tigro. Non si riesce a capire quali spunti investigativi abbia tratto la polizia dalla “conversazione” tra Dana Lauriola e il micio. E si fatica a comprendere quali motivi abbiano indotto la procura ad allegare agli atti dell’inchiesta l’annotazione della Digos. Bisognerebbe anche chiedere al Consiglio Superiore della magistratura se abbia qualcosa da dire sul comportamento dei magistrati che non depone sicuramente a favore del loro equilibrio mentale. Probabilmente più che andare in Cassazione il prossimo 24 novembre bisognerebbe rivolgersi a una medico, ma uno di quelli molto bravi, per dirimere la questione.
    Al di là dei sorrisi amari che derivano da questa vicenda a dir poco allucinante andrebbe affrontato un problema concreto del quale sia la politica sia i mezzi di informazione non si vogliono occupare. Il fatto è che abbiamo in questo paese apparati antisovversione assolutamente spropositati e che costano un sacco di soldi (quanto pare impossibile sapere) rispetto alla bisogna. La ragione è essenzialmente la mancanza di materia prima. Tanto è vero che la stragrande maggioranza di questo tipo di indagine è da tempo di tipo preventivo. Con scarsi risultati perché dopo la galera gratis di molti indagati soprattutto anarchici poi fioccano le assoluzioni come recentemente a Roma per il caso Balystrok. Ma arrivare a intercettare un gatto appare francamente al di là del bene e del male.
    (frank cimini)
  • Legali: come limitare danni di pessima legge anti rave

    Se davvero l’obiettivo della nuova norma incriminatrice di cui all’art. 434 bis
    c.p. non è quello di impedire l’occupazione di scuole e università, di criminalizzare le lotte sindacali, di evitare manifestazioni di dissenso nella
    più grande crisi economica di sempre; se davvero l’obiettivo non è quello di intercettare le telefonate di tutti i cittadini che possano anche solo
    ipoteticamente essere collegati con situazioni di questo tipo; se davvero l’obiettivo del primo atto normativo urgente del Governo è quello, piccolo
    piccolo, di impedire i rave party per tutelare la salute dei partecipanti, ci permettiamo di suggerire come modificare la disposizione in sede di
    conversione per renderla idonea allo scopo.
    All’art 633 c.p. è aggiunto il seguente comma:
    “Se il fatto è commesso da più di 50 persone e l’invasione è realizzata per
    effettuare un evento musicale senza le previste autorizzazioni, la pena per i promotori o gli organizzatori è della reclusione da tre a sei anni e la multa
    da euro 1.000 a euro 10.000 quando ne derivi un pericolo per l’ordine
    pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”.
    Così riscritta la disposizione sarebbe effettivamente applicabile solo ai rave illegali (“eventi musicali” in luogo di “raduni”), in presenza di effettiva e non
    solo potenziale messa in pericolo dell’ordine pubblico o della incolumità pubblica o della salute pubblica (“quando ne derivi un pericolo” in luogo di
    “quando può derivare un pericolo”). E solo nei confronti degli organizzatori.
    Resterebbe una norma espressione della peggiore politica criminale, ma
    almeno non si presterebbe a forzature antidemocratiche e incostituzionali.
    avv. Eugenio Losco avv. Mauro Straini

  • Avvocati: sempre più difficile difendere i meno abbienti

    Sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale le nuove tabelle per la determinazione degli onorari.
    Le tariffe, ferme al 2014, sono state aggiornate tenendo conto dell’aumento del costo della vita. Peccato che si sia tenuto conto di quello desunto dall’indice ISTAT 2021 e non di quello attuale. Ne è risultato un aumento ridicolo di alcune decine di euro. Difficile pensare che il Consiglio dei Ministri non sia consapevole che in questi ultimi mesi il costo della vita è aumentato più che negli ultimi dieci anni: le nuove tariffe sono obsolete ancor prima di entrare in vigore. Bisognerà aspettare altri 10 anni per un adeguamento che è già urgenza? Era impensabile un meccanismo di adeguamento automatico?
    Due.
    Si conferma la disparità tra le tariffe in materia civile e amministrativa rispetto a quelle penali. Esempio. Un giudizio civile ordinario relativo ad una causa del valore di 300 mila euro in primo grado può portare alla liquidazione di un onorario di oltre 22 mila euro, quasi 24 mila in un procedimento amministrativo. Prendiamo invece il caso di un reato punito con la pena dell’ergastolo in cui è in ballo la vita stessa dell’imputato. Quanto spetta al difensore per difenderlo davanti alla Corte di Assise? 7.327 euro, al massimo: quanto l’onorario corrispondente ad una causa civile del valore di 30 mila euro. E’ questo il valore della vita umana? Oppure le tariffe penali sono più basse perché nei casi di gratuito patrocinio (e difese di ufficio degli insolventi) gli onorari devono essere liquidati dallo Stato? Se l’obiettivo è quello di fare economia risparmiando sull’effettività della difesa, l’avvocatura dovrebbe denunciarlo.
    Terzo.
    Come è intuibile spesso i processi per le imputazioni più gravi sono anche i più delicati. Non è raro che il dibattimento si protragga per numerose udienze e che si ascoltino decine di testimoni e si affrontino questioni tecniche estremamente complesse. Opportunamente in questi casi nel testo precedente la riforma era prevista la possibilità di aumentare gli onorari dell’ottanta per cento. La riforma ha ora introdotto un novità peggiorativa. Il nuovo decreto ministeriale l’ha ridotta al 50 per cento.
    Per compensare questa drastica riduzione, il Consiglio Nazionale Forense aveva proposto al Governo di determinare la misura degli onorari in considerazioni delle ore effettive di durata delle udienze. Ma il Consiglio dei Ministri, che pure nel resto ha fatto

    sue tutte le osservazioni dell’avvocatura, si è “dimenticato” di questa disposizione. E nessuno (neppure l’avvocatura stessa) sembra essersene accorto.
    Ovviamente l’avvocato può concordare con l’imputato un compenso superiore a quello previsto nella tariffa, ma, appunto, il cliente deve essere economicamente in grado di farlo. Potrà eventualmente beneficiare del gratuito patrocinio, ma in questo caso i compensi per i difensori sono ulteriormente ridotti, di un terzo.
    Risultato: con la nuova tariffa i compensi per l’avvocato si sono ridotti e difendere adeguatamente i meno abbienti sarà sempre più difficile.
    avv. Eugenio Losco avv. Mauro Straini
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  • Processo Byalistock, anarchici assolti da accusa terrorismo

    Già la Cassazione in sede di misura cautelare aveva ridicolizzato l’indagine perchè si era aggrappata alla potenzialità sovversiva della musica hip-ho, ma adesso c’è una sentenza che assolve gli anarchici dall’accusa di terrorismo. La corte d’Assise di Roma ha detto alla richiesta della procura di condannare gli imputati del processo Byalistock a sette anni per partecipazione ad associazione sovversiva. Ci sono alcune condanne per imbrattamento danneggiamento seguito da incendio e altri reati satellit.

    La sentenza era stata emessa lo scorso 29 settembre ma nessun giornale ne aveva dato notizia perché soprattutto nei processi in cui c’è di mezzo il terrorismo e la sempre verde pista anarchica le assoluzioni non fanno clamore mediatico ma costituiscono esclusivamente una sorta di antipatico contrattempo.

    La Cassazione aveva già smontato l’inchiesta spiegando che non basta la mera adesione ideologica ma c’è bisogno di azioni e contributi concreti per sostenere l’accusa di terrorismo. La Suprema Corte rimproverava i giudici per  aver sopravvalutato l’accensui e di alcuni fumogeni durante un sito in davanti al carcere di Rebibbia in solidarietà con i detenuti alle prese con l’emergenza Covid.

    Dalle motivazioni in sede di annullamento delle misure cautelari emergeva che i pm e i giudici territoriali praticano una sorta di emergenza infinita che mette fortemente a rischio il diritto al dissenso.

    Tra le persone assolte l’anarchica Francesca Cerrone arrestata all’estero e poi estradata che era stata indicata dai giornali scritti sotto dettatura della procura come una sorta di pericolo pubblico numero uno..

    Non bisogna dimenticare che nella relazione dei servizi l’anno scorso l’operazione Byalistock al pari della bolognese Ritrovo pure quella miseramente fallita era stata presentata come successo investigativo nonostante fossero già intervenuti gli annullamenti degli arresti da parte della Cassazione.

    Tra 90 giorni la corte d’Assise depositera’ le motivazioni con cui spiegherà l’ennesimo flop delle procure nella caccia agli avversari politici (frank cimini)

  • La moratoria Expo non vale per chi manifestò contro

    La moratoria delle indagini su Expo ideata e praticata dalla mitica procura gestione Bruti Liberati e Greco per salvare “l’evento” con politici e persino giudici che “mangiarono” non vale per chi protestò in piazza. Anni dopo la giustizia presenta il conto a Andrea Casieri condannato complessivamente a 4 anni e 9 mesi per manifestazioni di piazza arrestato in Francia e in attesa dell’udienza per l’estradizione.

    Una condanna a 9 mesi per gli incidenti del primo Maggio 2015 e un’altra a 4 anni per una manifestazione dell’Onda ottobre 2009 dove Casieri lancio un fumogeno. Una pena record e senza la concessione delle attenuanti generiche. Una volta avremmo parlato e scritto di “giustizia di classe”. Ma tocca farlo ancora. Lo stato si vendica di chi manifesta contro un evento cattedrale del lavoro precario e gratuito, con appalti assegnati senza gare pubbliche anche per decisione degli stessi magistrati nel capitolo spinoso di Expo giustizia. Dove un fascicolo di indagine in verità venne pure aperto ma solo per fare il giro d’Italia dei palazzacci prima di essere archiviato a Trento senza neanche fare le iscrizioni al registro degli indagati perché cane non mangia cane.

    Due pedi e due misure come è nella tradizione del tempio di Mani pulite dove si indaga solo se conviene e se risulta opportuno. Per poi usare la clava del processo penale al fine di regolare lo scontro sociale e politico dalla parte del padrone.

    Paga il conto di Expo Andrea Casieri che con ogni probabilità sarà estradato e dovrà attendere di scendere come pena scontata sotto i quattro anni per poter accedere all’affidamento ai servizi sociali. Una storia di democratura (frank cimini)

  • Destra sotto sbornia contro i diritti di Cesare Battisti

     

    Il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria accoglie la richiesta di Cesare Battisti di essere declassificato. Da detenuto ad alta sorveglianza a detenuto comune. Suscitando la reazione di Fratelli d’Italia che attacca: “Decisione inaccettabile, soccorso al terrorismo rosso”.
    “Per giudicare questi provvedimenti bisogna conoscere le norme e le leggi. Dire che non è accettabile vuol dire ammettere di non conoscere” ha replicato il garante regionale delle persone sottoposte a misure interdettive o limitative della libertà in Emilia Romagna, Roberto Cavalieri che aggiunge: “Questa persona ha seguito l’iter normativo in modo corretto, l’amministrazione penitenziaria ha riconosciuto quello che non poteva non riconoscergli. Declassificazione non significa che l’amministrazione penitenziaria cancella i reati terroristici, ma è una questione gestionale e logistica. Non incide sul tipo di condanna che ha avuto. Vuol dire che diventa un detenuto comune”.
    “Ultimo soccorso al terrorismo rosso, una aberrazione dopo anni di latitanza, appena assaggiato il regime carcerario italiano il criminale terrorista ottiene la declassificazione a detenuto comune, una vergogna” sono le parole di Andrea Del Mastro Dellevedove responsabile giustizia di Fratelli d’Italia secondo il quale “ancora più una vergogna che il Dap stia prendendo questa decisione gravissima e scellerata a pochi giorni dal cambio del governo. L’impunita’ del terrorismo rosso non è certamente la politica che il governo di centrodestra intende mettere in campo”.
    Il problema era stato sollevato dalla parlamentare del Pm Enza Bruno Bossio che in una interrogazione aveva ricordato che era stato escluso il regime di cosiddetto ergastolo ostativo e che i reati commessi da Battisti risalgono a oltre quarant’anni addietro.
    “Sono allibito dalle polemiche – dice l’avvocato difensore Davide Steccanella – Battisti continua a scontare l’ergastolo. Non c’è alcun problema di pena o di vittime, è stata emendata una declassificazione di regime carcerario che non aveva ragione di essere”.
    Steccanella ricorda che l’ultimo reato il suo assistito lo aveva commesso nel 1979. “O vogliamo dire che ha bisogno della sorveglianza speciale perché dalla cella non riprenda la lotta armata?” polemizza il legale.
    La stessa procura di Milano nei mesi scorsi aveva depositato il parere favorevole alla declassificazione della condizione di detenuto per Cesare Battisti.
    Fratelli d’Italia si trova evidentemente sotto sbornia elettorale fino al punto di scambiare una declassificazione per una sorta di scarcerazione. In realtà essendo i fatti reato di Battisti così lontani nel tempo l’ex esponente dei Pac avrebbe potuto beneficiare della condizione di detenuto comune praticamente dal giorno del rientro in Italia. I difensori avevano subito posto il problema spiegando che bisognava amministrare la giustizia applicando la legge senza la necessità di procedere a vendette. Battisti ebbe difficoltà anche a veder riconosciuto il diritto a farsi da mangiare in cella il riso bianco per ragioni di salute. Insomma il
    clima politico non lo permetteva. Basta ricordare che ben due ministri ripresero Battisti in manette con i loro smartphone diffondendo poi le immagini. Garbo istituzionale diciamo.
    (frank cimini)
  • SiCobas, ai pm e al gup lezione di diritto dal Riesame

    Non distinguono tra un’associazione sindacale e un’associazione per delinquere come non era mai accaduto nemmeno in momenti di enormi tensioni sociali tipo un cinquantennio fa. È “l’addebito” dei giudici del Riesame di Bologna ai pm di Piacenza e al gup che aveva accolto la richiesta di arrestare i sindacalisti di SiCobas e Usb per associazione per delinquere. Sono state depositate le motivazioni del verdetto con cui lo scorso 3 agosto erano tornati in liberta’ gli indagati.

    Il rischio secondo il Riesane è quello della criminalizzazione in se dell’associazione sindacale per giunta in un settore delicato come quello della logistica dove le condizioni di lavoro sono molato difficili.  Il picchettaggio le occupazioni degli stabilimenti industriali il blocco delle merci non c’entrano nulla  con la contestazione del reato previsto dall’articolo 416 del codice.

    Il Riesame ha smantellato l’impianto accusatorio della procura convalidato dal gip che aveva fatto copia e incolla rispetto alla richiesta di arresto sia pure optando per i domiciliari al posto del carcere.

    La magistratura era intervenuta pesantemente nel conflitto sociale scegliendo di tutelare datori di lavoro senza scrupoli che aumentano lo sfruttamento dei lavoratori con il sistema dei subappalti.

    Una operazione politica travestita da indagine giudiziaria per bloccare le iniziative di lavoratori in lotta per la difesa dei loro diritti.

    I giudici ridicolizzano l’accusa ai sincadacalidti di essersi addirittura arricchiti perché  i numerosi accertamenti patrimoniali hanno portato a un nulla di fatto. Nessun pagamento in nero Messina fattura falsa come del resto ammesso poi dagli stessi pm. Insomma l’associazione per delinquere ipotizzata e esibita a fine luglio in una conferenza stampa è caduta e si è fatta pure molto male.

    (frank cimini)

  • Associazione per delinquere cade… e si fa pure male

    “L’associazione per delinquere è caduta e si è fatta pure male” dice l’avvocato Marina Prosperi. Il tribunale del Riesame di Bologna ha annullato l’ordinanza che aveva portato agli arresti domiciliari sei sindacalisti di SICobas e Usb. Restano gli obblighi di firma per un paio di indagati, ma per la procura di Piacenza e per il gip che aveva fatto un copia e incolla si tratta di una sconfitta su tutta la linea.
    “Abbiamo sostenuto fin dalla notifica del provvedimento la totale insussistenza a carico di tutti gli indagati del reato associativo – commenta l’avvocato Eugenio Losco – Come può sussistere una associazione criminale che abbia finalità tipiche di qualsiasi associazione sindacale, cioè la tutela dei diritti dei lavoratori, dei propri iscritti, l’aumentare il consenso e il numero dei tesserati?”.
    “L’ipotesi associativa non aveva nessun tipo di fondatezza sotto il profilo dei gravi indizi di colpevolezza – aggiunge Marina Prosperi – i giudici che sono stati due giorni in camera di consiglio leggendo migliaia di pagine non potevano arrivare a nessun altra conclusione. Ovvio che con una indagine così complessa e durata cinque anni probabilmente per alcuni capi di imputazione abbiano ritenuto necessaria la misura delle firme, perché evidentemente ci sono degli equilibri giudiziari da mantenere”.
    Per l’avvocato Claudio Novaro “gli indagati hanno fatto il loro mestiere di sindacalisti”.
    Le motivazioni del provvedimento saranno depositate tra un mese e mezzo. È scontato il ricorso in Cassazione da parte della procura che equiparando i picchetti dei lavoratori a una attività criminale sta giocando una partita il cui significato va al di là della vicenda specifica. Una partita dal sapore politico perché con le conseguenze della crisi economica previste per l’autunno di cui ha parlato Draghi ieri si vogliono mettere dei paletti al conflitto sociale restringendo ulteriormente i diritti ricorrendo all’utilizzo del codice penale.
    Il Riesame sembra aver sbarrato la strada all’ipotesi della procura che era stata fatta propria dal gip sia pure disponendo gli arresti domiciliari e non il carcere come avevano chiesto i pm. Le difese in sede di udienza del riesame avevano parlato di “una storia del conflitto sociale vista dal buco della serratura con cui si cerca di veicolare l’idea che dietro ogni rivendicazione non c’è l’agire collettivo dei lavoratori nel caso della logistica ma solo un programma delinquenziale”.
    La procura non aveva portato elementi indiziari a supporto della sua tesi. Aveva convinto il gip evidentemente “poco terzo”. Non è bastato per il Riesame. Se ne riparlerà in Cassazione. Nel frattempo continuerà la mobilitazione  dei lavoratori della logistica uno dei pochi settori che da anni sfugge alla pace sociale a causa di condizioni di lavori inaccettabili.
    (frank cimini)
  • Steccanella: 2 agosto, perché le sentenze non convincono

     

    L’Italia è uno strano Paese dove può accadere che nei confronti delle sentenze passate in giudicato sui due fatti più significativi del decennio dei ’70 (Moro e strage di Bologna) vi sia diffuso scetticismo su quella/e che ci hanno azzeccato (il primo fatto) e non su quella/e (il secondo fatto) che invece non convince/ono per nulla.

     

    La sentenza “base” definitiva su Bologna (cui verranno aggiunti man mano nuovi concorrenti: Ciavardini, Cavallini e Bellini, con decisioni successive), è quella della Cassazione a Sezioni Unite del 23 novembre 1995 (relatore Marvulli) che ha condannato Mambro e Fioravanti.

    Sentenza resa al termine di un percorso processuale a dir poco tortuoso visto che il processo di primo grado si era concluso con la condanna 11 luglio 1988, riformata dalla Corte di Appello con assoluzione 18 luglio 1990, ma il 12 febbraio 1992 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione annullarono e la nuova Corte di Appello, con Sentenza 16 maggio 1994, condannò gli imputati e sarà quest’ultima a diventare definitiva con Sentenza della Cassazione 23 novembre 1995. Successivamente il terzo complice, Luigi Ciavardini, minorenne all’epoca dei fatti, venne assolto in primo grado con Sentenza 30 gennaio 2000, ma la Cassazione annullò anche quell’assoluzione con Sentenza 17 dicembre 2003 rinviando all’Appello bis che con Sentenza 13 dicembre 2004 condannò Ciavardini e sarà quest’ultima a diventare definitiva con la Sentenza della Cassazione 11 aprile 2007.

    Già questo iter altalenante di decisioni opposte da parte di diverse Corti di Assise, sulla cui “ragionevolezza” non è dato di dubitare, pare incrinare quel principio cardine di assenza di dubbio alcuno per pervenire a condanna che sorregge l’art. 533 del codice di rito.

     

    In ogni caso, leggendola in modo “tecnico” da avvocato, la motivazione della condanna 1995 dei due NAR fa acqua da tutte le parti.

    Cominciamo col dire che: 1) manca totalmente l’individuazione di un movente attribuibile ai due, 2) la bomba si pone in totale contrasto con l’intera storia militare (accertata) precedente dei NAR e con quella successiva, dalla fondazione risalente al finale del 1979, fino all’arresto degli ultimi militanti nel finale del 1983 (con Fioravanti e Mambro detenuti da tempo), e 3) si tratterebbe dell’unica azione dei NAR non nota neppure al principale pentito (tra i tanti) di quell’organizzazione (Cristiano Fioravanti), il quale, pur avendo raccontato ogni frammento della sua militanza nel gruppo armato del fratello, su questa vicenda ha sempre smentito vi sia stato alcun coinvolgimento.

    Tre elementi di partenza, se ne converrà, non di poco momento a fronte della più tragica strage della storia italica, cui si è aggiunto, quarto elemento, l’assenza di qualsivoglia contatto accertato tra i NAR e l’ultimo condannato in ordine di tempo, il neofascista Bellini.

    Venendo più nel dettaglio alla sentenza Marvulli, si legge testuale che la condanna poggia su 4 prove: 1) le dichiarazioni di Massimo Sparti; 2) il movente dell’omicidio di Francesco Mangiameli; 3) l’annullamento di un appuntamento a Venezia il giorno prima da parte di Luigi Ciavardini; 4) la scarsa attendibilità dell’alibi offerto dagli imputati.

    1) (Sparti). Trattasi di discutibile “pentito” e accertato menzognero (ebbe a denunciare con falsa documentazione medica di dottori compiacenti un cancro inesistente per uscire di galera) che l’11 aprile 1981 ha dichiarato agli inquirenti di avere incontrato F. e M. il 4 agosto a Roma per procurare loro due documenti falsi e di avere udito in quell’occasione F. commentare la strage di due giorni prima con la frase “hai visto che botto!”. Tutti i familiari dello Sparti, persino il figlio, lo hanno successivamente smentito al processo, affermando che quel giorno Sparti si trovava con loro in villeggiatura in altra località di campagna, fatto confermato dalla circostanza che Cristiano F. appena uscito di galera in quei giorni si recherà in quel luogo da lui, e i due imputati, pur confermando la richiesta di documenti falsi (ma non già per loro, bensì per altri militanti NAR), hanno dichiarato che l’episodio si sarebbe verificato in diversa data e con diverso nominativo, così costringendo lo Sparti a successivamente rettificare, in data 5 maggio 1982, sia la data che il nominativo originariamente indicato, non più Mario Ginesi, bensì tale Fausto De Vecchi.

    2) (Mangiameli). Il militante NAR fu ucciso il 9 settembre 1980 per evitare, hanno detto F. e M, che costui potesse rivelare il progetto NAR di uccidere Piersanti Mattarella di cui aveva saputo in occasione di un loro incontro in Sicilia nel luglio del 1980. Secondo l’accusa invece in quanto a conoscenza del loro coinvolgimento nella strage di Bologna perché l’omicidio Mattarella risaliva al 6 gennaio e quindi a prima dell’incontro del luglio. Ragionamento viziato perché F. ha parlato di un “progetto” che ben poteva essere stato riferito dopo, senza contare che nessuna sentenza ne ha attribuito la paternità a F.

    3) (Ciavardini). Il minorenne NAR si limitò a disdire il giorno prima del 2 agosto un appuntamento che aveva a Venezia con la propria fidanzata, ma poiché Ciavardini ne ha attribuito la ragione alla necessità di procurarsi un documento falso e siccome il 3 agosto ebbe ad esibirne uno in occasione di un incidente stradale (ben lontano da Bologna), l’accusa deduce che avendo già un falso documento il giorno 3, la ragione del rinvio del giorno 2 dovesse per forza essere quella di trovarsi a Bologna il giorno della strage. Sul punto si osserva che è ben poco credibile che il progetto di compiere una strage di quella portata fosse stato reso noto a uno dei tre complici incaricati di compierlo dagli altri due solo il giorno prima, al punto che costui fino alla telefonata del 1° agosto era ancora convinto che il 2 sarebbe stato a Venezia con la ragazza.

    4) (alibi) quanto all’alibi per il giorno 2 gli imputati hanno dichiarato sin dall’inizio di trovarsi quel giorno entrambi nel veneto ospiti di Cavallini il quale ha confermato l’alibi, a sua volta confermato anche dalla di lui fidanzata, Flavia Sbrojavacca, e dalla madre di quest’ultima (Maria Teresa Brunelli), entrambe certe di avere incontrato il 2 agosto gli imputati in veneto. Ma siccome Fioravanti (in isolamento in galera da mesi) aveva ricordato Treviso, mentre la Mambro (idem come sopra) Padova, per l’accusa i due erano a Bologna.

     

    A sostegno della condanna si è speso l’ex magistrato Giuliano Turone nel libro Italia Occulta (chiarelettere)

    Prima di affrontare la disamina degli indizi, ritenuti da Turonecomprovanti la penale responsabilità degli imputati, occorre sottolineare come l’autore glissi su alcuni fatti certi:

    1) anche in questa vicenda, come in tutte le stragi impunite di quegli anni, intervenne un ennesimo caso di depistaggio, accertato con sentenza definitiva del 1995 di condanna per calunnia di Gelli, Pazienza, Musumeci e Belmonte a seguito del ritrovamento sul treno del 13 gennaio 1981 di false prenotazioni aeree di Fioravanti e di armi di provenienza della “galassia nera”.

    2) Il fatto che ai tempi sia miseramente franata miseramente, con l’assoluzione di tutti gli altri, l’iniziale ipotesi di un grande piano eversivo delle destre estreme riunite sotto l’egida di servizi deviati e piduisti vari, e che tutti i nominativi dei coimputati originariamente accusati di concorso con i tre condannati non risultano avere mai avuto a che fare con la storia dei NAR, i quali anzi, proprio in esplicitato dissenso con costoro, ebbero a dare inizio alla loro ben diversa storia per unanime racconto di chi c’era all’inizio e di chi si è aggregato dopo. E questo vale tanto per i soliti noti dei tanti italici misteri (vd. Gelli e servizi deviati), quanto per vari i dirigenti di Ordine Nuovo prima e Terza Posizione poi, nemici giurati sia prima che dopo la strage del 2 agosto, dei NAR.

    3) Il fatto che il fratello Cristiano, che ha condiviso sin dall’inizio la storia di Valerio, seppur distaccandosene a un certo punto prima di riprenderla fino alla sua cattura (successiva a quella di Valerio e precedente a quella della Mambro), si è subito pentito rivelando ogni misfatto del fratello e dei NAR, anche quelli saputi de relato, ma non ha mai detto di avere neppure lontanamente immaginato che il fratello c’entrasse in alcun modo con il delitto più grave ed eclatante oltre che del tutto anomalo per l’organizzazione armata di cui egli a pieno titolo faceva parte. Né prima né dopo (il suo arresto è a metà del 1981), e questo “dettaglio” sempre il Cristiano, non l’avrebbe appreso neppure da quello che era una sorta di suo padre adottivo (Massimo Sparti) che sarebbe stato invece l’unico, secondo la sentenza di condanna, ad averlo saputo, trattandosi anche dell’unico teste di accusa.

    4) Nessun militante o anche solo contiguo ai NAR ha mai riferito, neppure a distanza di anni, di avere saputo alcunché su Bologna, e neppure uno dei tanti pentiti che grazie a tale rivelazione avrebbe potuto conquistare sensibili benefici in termine di pena, eccettuato appunto lo Sparti.

    A tali premesse va aggiunto l’ulteriore dato secondo il quale, a fronte di ripetuti ergastoli comminati per una serie di omicidi confessati dai due imputati, l’aggiunta della condanna in oggetto non ha comportato (e ben si sapeva che non lo avrebbe comportato!) nessun concreto effetto dal punto di vista giudiziario a carico di costoro, per cui trattasi di condanna “a costo zero”, perfettamente adatta a venire incontro alla comprensibile esigenza collettiva di non mandare impunita l’ennesima strage italiana, la più sanguinaria e successiva di soli due mesi alla tragedia di Ustica.

     

    E ora veniamo ai singoli elementi valorizzati nel libro, seguendo l’ordine di esposizione e indicando la pagina.

    • Presilio/Rinani (pag. 285)

    La prima dichiarazione di Presilio al Magistrato di sorveglianza di Padova risale, si legge, al 10 luglio 1980 ed è un de relato di un detenuto (di cui non rivela il nome) che gli avrebbe parlato di un progetto omicidiario di un giudice di Treviso, tale Sriz, che sarebbe stato preceduto da un altro grave delitto compiuto “dalla medesima organizzazione” che avrebbe “riempito le pagine dei giornali”. Qualche giorno dopo la strage dirà che trattavasi di un tale Rinani, legato al noto gruppo veneto di Freda, Ventura e Fachini e solo il 13 novembre aggiungerà che le frasi del Rinani risalivano al giugno-luglio e che costui era furioso perché non otteneva la libertà pur essendosi costituito e infine, in altra e ultima dichiarazione, specificherà meglio che il Rinani solo in un secondo incontro in carcere gli avrebbe parlato anche del fatto grosso “di cui rideranno insieme”.

    Ora, aldilà di queste dichiarazioni generiche (qualsiasi omicidio finisce sui giornali, non necessariamente una strage in stazione, anche quello di un giudice di Treviso, per dire) e mai confermate dal Rinani, resta il fatto che la medesima organizzazione significherebbe che a giugno del 1980 Fioravanti avesse programmato anche (e soprattutto) l’omicidio del giudice Sriz di Treviso, che era l’argomento centrale del Rinani, e che al contempo tutti gli altri membri di quella medesima organizzazione indicata dal Rinani, che operava proprio nel veneto (Fachini) e quindi più interessata alle sorti del Giudice Sriz rispetto ai NAR che con quel giudice non c’entravano nulla, non avessero invece in mente niente, visto che dopo essere stati a diverso titolo e in diverso momento incriminati, tutti gli altri coimputati di Fioravanti e Mambro sono stati tutti assolti, come riporta la nota 3. Il primo indizio pertanto mostra talmente poco pregio che neppure la sentenza di condanna lo valorizza.

    • Massimo Sparti (287)

    Sparti invece è il caposaldo dell’accusa, perché come anticipato è l’unico di tutta la galassia nera che circondava gli imputati (pentiti e non pentiti) che avrebbe saputo a Roma da Fioravanti in persona due giorni dopo l’attentato che la bomba l’avrebbero messa lui e la sua donna, persona della quale fino a quel momento Sparti ignorava l’esistenza, e che, proprio in quella occasione, aveva deciso di presentargli.

    Su questo indizio (cardine), per prima cosa va detto che così come non vi è alcuna prova che i due imputati fossero a Bologna il 2 agosto, non vi è neppure la prova che Sparti fosse a Roma il 4 agosto.

    Tutti i suoi familiari, infatti, quel giorno lo hanno posizionato in campagna dove erano tutti riuniti per le abituali vacanze di agosto, dando anche una ben precisa ragione, ossia che il negozio che gestiva in città era chiuso per ferie, e non si vede che motivo avessero di mentire tutti costoro, accusando il congiunto, per salvare i due imputati, con cui non risulta fossero in particolari rapporti.

    Ed è proprio nella casa di campagna (e non a Roma) che lo raggiungerà, appena uscito di galera, il figlioccio Cristiano il quale, successivamente pentitosi quasi insieme a Sparti, nulla dirà di avere saputo in merito al fatto che l’amico si fosse appena incontrato a Roma con suo fratello e la Mambro.

    Turone riprende la sentenza laddove ricostruisce gli spostamenti degli imputati che vengono localizzati con certezza l’1° agosto ancora in Veneto (vd. più avanti l’indizio relativo alla telefonata alla fidanzata di Ciavardini) e il 3 sera a Roma per ammissione di entrambi presso Soderini e così pure la notte del 4 mentre la notte del 5 si sarebbero trasferiti dopo la rapina in piazza Agrippa (vd. più avanti) all’Hotel Cicerone dove peraltro Fioravanti risulta registrato con il documento falso che aveva in uso (vd. più avanti).

    Ma dove avrebbero passato la notte del 2 agosto, dopo avere posizionato al mattino la bomba alla Stazione di Bologna, Fioravanti, Mambro e Ciavardini? La Sentenza non lo dice, né dice con quale mezzo i tre imputati si sarebbero allontanati dalla Stazione. Hanno proseguito subito per Roma o sono ritornati in Veneto, visto che il minorenne Ciavardini risulta fermato senza i due per un controllo il giorno 3 ben lontano da Bologna? E sarebbero tornati in Veneto dopo la bomba per poi ripartire il successivo giorno 3? Ma che senso avrebbe, se avevano, come dice Sparti, un’urgenza impellente di trovare un documento falso per la Mambro, tanto il fare un inutile avanti e indietro Bologna/Veneto/Roma per la sola notte del 2 quanto il proseguire per Roma lo stesso giorno 2 ed attendere fino al giorno 4 per andare a chiedere il documento falso allo Sparti? Né la Sentenza, nè il libro di Turone lo spiegano e si passa direttamente al 4.

    La frase (attribuita a Fioravanti de relato) “hai visto che botto?” di per sè non avrebbe alcuna valenza accusatoria giacché appare più plausibile come cinico commento ad un fatto accaduto in un tipo come Valerio Fioravanti rispetto ad una “eccentrica” modalità di confessione di avere commesso una strage di tale portata.

    La frase infatti trova senso accusatorio solo se si aggiungono quelle ulteriori frasi (sempre attribuite de relato dallo Sparti) sul suo travestimento da tirolese (turista tedesco non vuol dire niente) e sulla Mambro che dopo la strage si sarebbe fatta tingere i capelli per timore di essere stata riconosciuta, non comprendendosi peraltro perché non lo avesse fatto prima di recarsi a Bologna o non si fosse travisata anche lei come il Fioravanti, ma tant’è.

    Sta di fatto che nessuno dei tanti testimoni presenti a Bologna il 2 agosto ha visto un tizio vestito da tirolese, nessuno riconoscerà mai né Mambro né Fioravanti ai tanti processi o nelle tante apparizioni televisive, e che le prove fatte sul capello della Mambro hanno escluso che la stessa fosse mai ricorsa a tinteggiatura.

    Che Sparti fosse in particolare confidenza con Valerio tanto da riferirgli (e solo a lui e neppure al fratello!) un fatto di tale eclatanza non è certo comprovato dal fatto che tempo addietro avesse fatto una rapina con lui, visto che in quegli anni è stato accertato che Valerio le faceva con tutti, mentre risulta invece che Sparti in particolare confidenza lo fosse molto con il fratello Cristiano che però non ha mai saputo nulla di Bologna né da lui né dal fratello con il quale pure, il Cristiano, era in massima confidenza.

    Per cui la cosa che colpisce in siffatto terzetto, è che l’unico soggetto che era in vera confidenza con entrambi (Cristiano) viene lasciato fuori dagli altri due che invece non lo erano troppo tra di loro, e proprio sul delitto di gran lunga più rilevante della pur sanguinosa e folle storia dei NAR.

    Nella nota 5 si riporta la sentenza dove cita il discorso che Sparti avrebbe fatto in precedenza con Fioravanti sull’omicidio Amato per irrobustire il grado di confidenza tra i due, ma si legge che Sparti avrebbe parlato con Fioravanti di Alibrandi, ed è stato accertato che il giudice Amato fu ucciso da Cavallini mentre Ciavardini attendeva in moto, e non già da Alibrandi che non era c’era, il che, unito al fatto che Sparti sapeva che Alibrandi faceva parte dei primi NAR con Cristiano, mentre non conosceva né Cavallini né Ciavardini(subentrati in un secondo momento), fa ritenere che Fioravanti in realtà non gliene avesse affatto parlato.

    Quanto al fatto che l’emersione dell’omicidio Amato sia intervenuta solo a seguito della confessione di Cristiano, risulta che Cristiano e Sparti abbiano confessato praticamente in semi contemporanea, e peraltro il fatto che il giudice Amato fosse stato ucciso dai NAR non era circostanza difficile da capire sin dallo stesso giorno del fatto per chiunque, visto che come noto era l’unico magistrato che in quel momento stava indagando su di loro.

    Vanno infine ricordate le plurime menzogne di Sparti, ivi compreso un certificato medico falso attestante un inesistente tumore per uscire di prigione e morire nel proprio letto più di 20 anni dopo.

    Ma se la chiamata di reità di Sparti appare già poco verosimile intrinsecamente parlando, la stessa diviene ancor più fragile nel momento in cui se ne sono ricercati i necessari riscontri.

    • Il falso documento per la Mambro (290)

    La storia del documento falso è più complessa di quanto riportato nel libro perché passa attraverso una serie di aggiustamenti di dichiarazioni volta a volta smentite che vengono elencate nel libro Storia Nera scritto per Cairo dal giornalista del Manifesto Andrea Colombo che in quanto ex dirigente di Potere Operaio non può essere tacciato di particolare bonomia “politica” verso gli imputati.

    Dapprima (o dopo) Sparti dice che i falsi erano per due persone diverse, poi (o prima) che non aveva fatto caso per chi fossero, poi (o prima) dice che era un falso per la sola Mambro perché era strasicuro che fosse per una donna, ma quando il primo falsario da lui indicato nell’aprile del 1981, Mario Ginesi, lo smentisce in toto e poiché i due imputati, pur confermando la richiesta di documenti falsi, ma non già per loro bensì per altri militanti NAR, hanno attestato che il fatto si sarebbe verificato in diversa data e con diverso nominativo, allora lo Sparti deve rettificare, in successiva data 5 maggio 1982, sia la data che il nominativo originariamente indicato, non più Mario Ginesi, bensì quel Fausto De Vecchi che si cita nel libro, il quale però, prima smentisce in modo categorico che fosse per una donna e solo alla fine (e quindi molto tempo dopo il fatto, quando solitamente si dice nelle sentenze che i ricordi sarebbero meno “freschi”) nel confronto citato resta sul più generico “non escludo”, fino ad arrivare al nome di Carlostella.

    E’evidente che se cade la tesi del documento falso da procurare con urgenza quello stesso giorno 4 alla Mambro cade tutto, perché allora non si capirebbe perché Valerio avesse portato all’incontro anche la Mambro che Sparti non aveva mai visto con il rischio che questi la denunciasse, e che proprio in quel momento con la Mambro presente abbia deciso di confessare a uno come Sparti un fatto del genere attribuendolo anche alla propria compagna.

    Ma è sulla base di quanto accertato essere successo dopo quel fantomatico incontro del 4 a Roma che la storia raccontata di Sparti finisce nell’assurdo.

    Se come dice lui è riuscito a procurare il documento solo al mattino del 5 consegnandolo a Fioravanti alle 10 del mattino, ciò significa che “a cavallo” di quella consegna urgente di falso per la Mambro i due si sarebbero imbarcati quello stesso giorno 5 nell’impresa di compiere una rapina in piena Roma (questa si che è accertata) con tutti i rischi che questo avrebbe comportato anche per una Mambro che se colta in flagranza di una rapina di quel falso documento non avrebbe saputo che farsene.

    Ma poi, in quella urgenza descritta da Sparti cosa fa Fioravanti? Fa un salto alle 10 del mattino da Sparti tra una rapina e l’altra? E alla sera dopo la rapina cosa fanno i due? Vanno a dormire all’Hotel Cicerone e qui va riportato un dato importante che il libro di Turone non riporta e che si legge invece in quello di Colombo.

    La sera del 5 dopo la rapina è vero che la Mambro si “infratta” al Cicerone nella stanza prenotata da Fioravanti, ma si “infratta” appunto, perché mentre Fioravanti si registra regolarmente con il suo documento, la Mambro decide inspiegabilmente invece di non usare quello asseritamenteappena consegnatole da Sparti e fatto fare di tutta urgenza.

    Infatti, quello di Fioravanti risulta mentre quello della Mambro no.

    La sentenza dice che non si sono trovati i registri dell’hotel di quella sera del 5 agosto, ma non è vero perché poi qualcuno invece li trova, come si legge appunto nel libro di Colombo, e tutti i nominativi femminili registrati quella notte sono riferibili a donne rintracciate e quindi nessuna di loro era la Mambro.

    Quindi secondo l’accusa i due avrebbero farebbero un “casino d’inferno” con Sparti per avere il documento la sera stessa del 4 e poi, invece di starsene nascosti nell’attesa, il giorno dopo prima vanno a fare una rapina con tutti i rischi del caso e quando finalmente la Mambro ottiene l’agognato falso da Sparti che fa: Lo usa? No, si infratta in albergo senza documenti, mentre Fioravanti usa il suo falso che aveva già senza ricorrere a nessuno Sparti.

    Ora, fermo restando che di documenti falsi certamente una clandestina pluriomicida come la Mambro certamente ne abbisognasse tanto il giorno 4 quanto qualsiasi altro giorno dell’anno e non necessariamente per sfuggire al riconoscimento di Bologna, sostenere sulla base di quanto sopra che le dichiarazioni di Sparti avrebbero trovato un riscontro tale da eliminare qualsiasi ragionevole dubbio, pare affermazione ardita.

    • La telefonata di Ciavardini (291)

    Questa è la prova che ha determinato la condanna in concorso dell’allora minorenne Ciavardini, ma anche l’ulteriore elemento che, a detta della sentenza e di Turone, avrebbe confermato la verità della dichiarazione di Sparti.

    Anche se in realtà quella telefonata dell’1° agosto non è mai stata accertata documentalmente, facciamo finta che valgano le dichiarazioni concordi di Ciavardini e del padre della di lui fidanzata e che ci sia effettivamente stata nei termini riferiti.

    Quel che è non convince è il valore accusatorio dato alla stessa, visto che si trattava di una disdetta di un incontro programmato per il giorno dopo a Venezia con la fidanzata e alcuni amici.

    Ora, se l’appuntamento (organizzato ovviamente giorni prima) viene disdetto all’improvviso da Ciavardini solo l’1 sera, ciò significherebbe, se avesse ragione l’accusa ad imputarla alla partecipazione diretta dell’imputato alla collocazione della bomba del mattino dopo a Bologna, che Ciavardini avrebbe saputo di dover partecipare alla più sanguinosa strage del Novecento italiano solo qualche ora prima di doverla fare.

    Ma fino alla sera dell’1° agosto Ciavardini dove stava? Nel Veneto, e questo è certo, con Fioravanti e la Mambro e perché mai costoro non gli avrebbero detto nulla fino a poche ore prima? A meno di non ritenere che Fioravanti, Mambro e Ciavardini abbiano deciso e organizzato la più sanguinosa strage italiana nelle poche ore della sera prima.

    Eppure, le ragioni di sicurezza per cui Fioravanti impose a Ciavardini di rimandare quell’incontro a Venezia sono state ben spiegate dal primo e confermate anche dal successivo comportamento del secondo, visto che solo qualche giorno dopo Ciavardini trasgredisce “gli ordini” di Fioravanti (che non è più in Veneto con lui) recandosi il 6 agosto a Roma dalla fidanzata.

    Ritenere, come si legge nel libro, che Fioravanti volesse uccidere Ciavardini perché coinvolto direttamente nella strage fa a pugni con altri due elementi valorizzati dall’accusa: l’averlo detto senza ragione a uno come Sparti e l’avere invece ucciso Mangiameli (vd. oltre) perché lo sapeva, perché delle due è l’una: se Valerio intendeva uccidere tutti i testimoni pericolosi di Bologna avrebbe ucciso subito Ciavardini (teste diretto) senza pensarci due volte e si sarebbe ben guardato di dirlo a Sparti, altrimenti la minaccia a Ciavardini, peraltro riferita de relato solo dal fratello Cristiano, aveva ragioni diverse e infatti poi non se ne fece nulla tanto che Ciavardinirimarrà a militare nei NAR con la Mambro anche dopo l’arresto di Fioravanti.

    Neppure la telefonata di Ciavardini pare dunque fornire adeguata conferma alla responsabilità degli imputati.

    • La discrasia sugli alibi Padova/Treviso (293)

    Entrambi hanno detto in due momenti diversi (essendo arrestati a distanza di un anno e mezzo l’uno dall’altra) di essere stati in Veneto il giorno 2 agosto, anche se non coincide la città, Fioravanti arrestato nel febbraio 81 ha detto Treviso e la Mambro arrestata un anno e mezzo dopo, Padova, ed è storicamente provato (e la sentenza non lo mette in dubbio) che in quel periodo i due o erano quasi sempre in Veneto a casa di Cavallini a Treviso, quando non erano a Roma (ma solo di passaggio) o a Taranto nella casa trovata da Mauro Addis (ex componente della banda Vallanzasca) per il perenne progetto dell’evasione di Concutelli che era la ragione per la quale nel luglio i due erano stati anche a Palermo da Mangiameli.

    Ora, che due fuggiaschi clandestini in perenne rischio cattura non si facessero vedere da pletore di persone la mattina del 2 agosto e che quindi non sia facile per loro provare ex post dove fossero sarebbe anche comprensibile, senonché la moglie di Cavallini (Flavia Sbrojavacca), e la madre di quest’ultima (Maria Teresa Brunelli), hanno entrambe dichiarate di essere certe di avere incontrato il 2 agosto a Treviso entrambi gli imputati, ma le due testimoni non sono state credute a fronte di una prova che fossero invece a Bologna che non c’è e che neppure il de relato Sparti riesce a dare.

    Sul fatto che i due fossero a Treviso il giorno 2 agosto interverrà, come si legge nel libro di Colombo, un ulteriore testimone, Carlo Digillo, che dichiarerà al giudice Salvini, nel corso di un’ennesima inchiesta su Piazza Fontana, di avere effettivamente dato per il 2 agosto 1980 al Cavallini quell’appuntamento che il Cavallini aveva indicato come “zio Otto” a Fioravanti, Mambro e Ciavardini che si erano ivi recati con lui, ma Digillo, colpito nel 1995 da Ictus e quindi da successiva demenza senile, morirà qualche tempo dopo e la sua testimonianza svanirà.

    Ma soprattutto, se i due/tre fossero stati davvero colpevoli di Bologna avrebbero almeno dovuto concordare la medesima versione sulla città dove erano quel mattino ben prima di essere arrestati e non certo, come si legge a pag. 294 del libro solo anni dopo “nel corso di un colloquio nella fase conclusiva del processo” (SIC!).

    Cosa costava ai due, che in quei mesi vivevano in simbiosi fino all’arresto di Valerio del febbraio 1981, mettersi d’accordo su una sola parola da dire in caso di incolpazione: Padova o Treviso? Eppure, si legge a pag. 295 che “se fossero innocenti e avendo temuto subito di poter finire tra gli indiziati, avrebbero conservato una memoria granitica di ciò che avevano fatto a ridosso dell’attentato”.

    Si consideri che da quel 2 agosto 1980 ne accadranno di cose a quei due fino ai rispettivi arresti e che la Mambro due anni dopo in detenzione isolata e ferita abbia potuto confondere Padova con Treviso non pare così peregrina come ipotesi da potere essere esclusa con radicale certezza e trasformarsi in prova, quale alibi smentito, di accertata colpevolezza.

    • La rapina del 5 agosto a Roma (295)

    La tesi difensiva degli imputati sarebbe smentita secondo la Corte dal fatto che la telefonata di rivendicazione al quotidiano Vita non parla di NAR, ma entrambi hanno ben spiegato che la registrazione inizia con il nomignolo successivo Nucleo Zeppelin riferito a un amico, Elio Di Scala, un giovane simpatizzante del Nar in quel momento detenuto nel carcere minorile di Casal di Marmo, cui volevano rendere onore citandolo nella rivendicazione, e che quindi la parola iniziale “Qui NAR” prima di Nucleo Zeppelin non è rimasta impresa nel supporto sonoro agli atti. Sta di fatto che la rapina in piazza Menenio Agrippa c’è stata e che l’hanno certamente compiuta nel pomeriggio del 5 gli imputati, insieme a Vale, Soderini, Mariani e Belsito, e la sentenza non offre una motivazione diversa e più plausibile ma si limita a ritenere non provata la motivazione degli imputati che quindi avrebbero inscenato una rischiosa rapina con la Mambro secondo la Corte già ossessionata per il fatto Bologna per usare la sigla Zeppelin. In ogni caso quella rapina non prova che tre giorni prima i due fossero alla stazione di Bologna a collocare una bomba.

    • L’omicidio Mangiameli (296)

    Le ragioni dell’omicidio di Mangiameli le hanno puntualmente elencate Fioravanti e Mambro e direi lo stesso Cristiano che del coinvolgimento del fratello su Bologna come detto non ha mai saputo niente, eppure è stato proprio lui a caricare a Roma Mangiameli sull’auto della trappola ed è stato sempre lui quello che ha iniziato a sparare a Mangiameli.

    Fioravanti era arrivato a Mangiameli (come risulta pacificamente da tutti gli atti) un anno prima e solo per un motivo specifico ossia l’aggancio con Concutelli che si era messo in testa di voler fare evadere, ma non ne condivideva affatto la “posizione” da intellettuale che mandava allo sbaraglio i ragazzi e proprio a causa di Mangiameli erano falliti tutti i vari tentativi di fare evadere Concutelli nel corso dell’anno (una volta non si presenta a un appuntamento, un’altra non si fa trovare quando i due scendono a Palermo e gli fa consegnare un biglietto dal portiere con tanto di scritta Giusva che lo rende subito identificabile, un’altra fa saltare con scuse varie l’evasione del 30 aprile 1980 da San Vittore che invece verrà realizzata da altri 13), inoltre parla in modo razzista di Giorgio Vale ormai entrato nelle grazie di Fioravanti e infine viene fuori l’episodio che si è rubato i soldi per la casa di Taranto affittata proprio per l’evasione di Concutelli perché Mauro Addis che la gestiva gli dice di pagare perché Mangiameli non gli ha versato nulla.

    Infine, l’articolo intervista di Amos Spiazzi pubblicata da L’Espresso il 18 agosto, non è così specifica sul fatto che Mangiameli sarebbe un delatore, ma puntava più sul fatto che quel tale “Ciccio” di Palermo secondo lo Spiazzi coordinerebbe un gruppo eversivo a largo raggio, né è così’ vero che dopo quell’articolo Mangiameli temesse di essere ucciso da Fioravanti, si sposta con la famiglia in Umbria (cacciando Ciavardini che in quel momento stava ospitando) perché è stato identificato nell’intervista di Spiazzi e teme di essere arrestato visto che in quel mese di agosto erano all’ordine del giorno le retate contro tutti i “neri” noti agli inquirenti, tanto è vero che invece sale tranquillo in macchina a Roma con Roberto Vale, che sa essere in contatto con Fioravanti e soprattutto con Cristiano che tutti i “neri” di Roma (ma non solo) sapevano essere il fratello minore di Valerio.

    Lo stesso Fioravanti ha detto che non era intenzionato per forza ad ucciderlo e che fu la sua sprezzante riposta “se vuoi i soldi te li ridò” da lui ritenuta oltremodo offensiva a farlo arrabbiare più di ogni cosa.

    E’ vero che poi il cadavere fu nascosto perché a quel punto Fioravanti intendeva regolare i conti anche con gli altri due leader di Terza Posizione, Fiore e Adinolfi, ma proprio questo conferma che il motivo non era il fatto che anche costoro fossero al corrente della sua responsabilità per la strage di Bologna.

    Secondo Turone (pag. 297) rileverebbe anche il fatto che quelli di Terza posizione associno, nel volantino del 12 settembre in ricordo del camerata Mangiameli, la morte di quest’ultimo con la strage di Bologna, ma nel volantino si citano anche piazza Fontana, Brescia e Peteano. In ogni caso quel volantino potrebbe anche significare che quelli di TP sapevano qualcosa che i Nar che con loro nulla hanno mai avuto a che vedere non sapevano e tuttora non sanno, e che quindi certe assoluzioni di certi comprovati bombaroli eversori (cosa che i NAR non erano) abbiano potuto essere un po’ frettolose, ma transeat.

    L’omicidio Mangiameli peraltro è trattato nel dettaglio da altra sentenza passata in giudicato in cui il movente strage di Bologna non compare in nessuna riga, quindi una delle due sentenze “in nome del popolo italiano” evidentemente non fa testo. Quale?

    • Il depistaggio del 13 gennaio 1981

    Qui sinceramente il ragionamento dell’accusa si fa ancora più involuto. Posto che è stato accertato che quel depistaggio è stato commesso e che tra gli elementi artatamente inseriti alcuni facevano risalire la responsabilità di Bologna proprio al Fioravanti, cosa che di fatto avvenne, si sostiene che invece fu fatto da chi voleva proteggerli per indurre gli inquirenti a ricercare i responsabili in altre strutture eversive di destra. Aldilà del ragionamento, evidentemente affrontabile anche in modo diametralmente opposto, non si comprende quale sarebbe stato il ruolo attivo dei due imputati, una volta assolti tutti gli altri asseriti complici. Senza contare che l’unico che avrebbe potuto ben chiarire una parte di quanto fatto trovare con quel depistaggio era Roberto Vale rimasto sempre in contatto con quelli di Terza Posizione, il quale tuttavia troverà la morte in occasione dell’irruzione da parte delle forze dell’ordine nell’appartamento in cui si era rifugiato da solo.

     

    Conclusioni

    Finita la disamina degli elencati indizi, va infine ricordato ad abundantiam che nessun elemento collega i due condannati all’ordigno, non si sa dove lo avrebbero preso e da chi e in nessuno dei tanti ritrovamenti di basi e armamentario NAR si sono trovate tracce analoghe a quell’arma micidiale che sarebbe quindi stata usata per la prima e unica volta e solo quel giorno, facendo sempre tutto da soli Mambro, Fioravanti e un minorenne da poco ingaggiato senza dirlo a nessuno e infine coinvolgendo pure il Bellini con cui mai avevano avuto rapporti.

    E perché mai resta un mistero, temo come i nomi di quelli che quella bomba ce la misero davvero e questo, credo che sia soprattutto per le vittime, la cosa più grave.
    (avvocato davide steccanella)

  • Per i SiCobas pm inventa il “proselitismo autoalimentato”

    “Una volta ottenuto e consolidato il potere di ricattare la parte datoriale minacciando continui dannosissimi blocchi al fine di consolidare la propria presenza all’interno del magazzino con le stesse modalita’ iniziavano a favorire i propri lavoratori affinché ottenessero di svolgere le mansioni più gradite a scapito degli altri in una logica di proselitismo autoalimentato”. È anche questa la “prosa” usata dai pm di Piacenza nella richiesta inoltrata al gip per ottenere l’arresto dei sindacalisti del SICobas eseguiti poi nei giorni scorsi.

    Intanto va registrato che la richiesta risale al primo dicembre dell’anno scorso. Il gip ha impiegato quindi sette mesi e mezzo per firmare i provvedimenti con tanti saluti al principio dell’attualità delle esigenze cautelari.

    La colpa dei sindacalisti indagati per associazione per delinquere è quella, scrive sempre la procura, di aver raggiunto una forza evidente e monopolizzante all’interno dello stabilimento. “Cominciavano a imporsi la proprietà anche per le scelte a questa riservata come appunto l’organizzazione del lavoro ovvero le assunzioni di singoli lavoratori” scrive ancora la procura trasformando una vertenza sindacale, un conflitto sociale con le sue dinamiche e le sue asprezze in un problema penale, chiedendo la reclusione in carcere per poi ottenere dal giudice l’ok agli arresti domiciliari.

    ”Alimentavano situazioni di conflitto prendendo a pretesto ogni normale e banale problematica di lavoro risolvibile tramite fisiologici rapporti datore/lavoratori, avviando attivita’ di picchettaggio illegale all’interno degli stabilimenti impedendo ai mezzi di entrare e uscire, istigando a forme di lotta illecite, compreso il rallentamento pretestuoso e strumentale dell’attività lavorativa o l’uso dell’astensione per malattia anche in assenza di problematiche sanitarie” sono le parole degli inquirenti. Che cosa possa entrarci una situazione così descritta con il reato di associazione per delinquere è spiegabile solo con la volontà politica di reprimere il conflitto sociale.

    (frank cimini)

  • SiCobas a gip: contro di noi accuse paradossali

    Aldo Milani ha parlato del paradosso di essere accusato di associazione per delinquere, mentre Sicobas da anni contrasta le infiltrazioni della criminalità organizzata nella logistica e d è per questo esposto alle minacce, Le parole del segretario nazionale del sindacato SiCobas fanno parte delle dichiarazioni spontanee con cui i sindacalisti arrestati nei giorni scorsi hanno replicato alla procura di Piacenza nei interrogatori di garanzia davanti al  gip

    Aldi Milani, Carlo Pallavicini e Mohaned Arafat si sono avvalsi della facolta’ di non rispondere ma hanno spiegato la loro posizione respingendo gli addebiti e aggiungendo che il capo di imputazione in realtà descrive solo l’attività sindacale.

    Arafat ha fatto presente che la persona che lo accusa di averla minacciate era stata da lui  denunciata per calunnia, con video e testimonianze a supporto, denuncia oggetto di richiesta di archiviazione dopo una sola settimana.

    L’attività contestata dicono gli arrestati non è altro che condotta sindacale, che il si Cobas ha sempre svolto nell’interesse dei lavoratori, in un settore, quello della logistica, dove le condizioni di lavoro erano, prima dell’arrivo del sindaco, inaccettabili.

    Un altro degli arrestati Bruno Scagnelli ha scelto la linea del silenzio totale.

    Secondo la provura  i quattro avrebbero dato vita a un’associazione a delinquere finalizzata a piu’ delitti, tra i quali violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio e sabotaggio. I magistrati contestano al Si Cobas di avere “coagulato un notevole bacino di maestranze, per lo piu’ di origine straniera, nel settore della logistica a Piacenza, da conquistare atraverso le affiliazioni alla sigla sindacale di base e poi strumentalizzare allo scopo di ‘conquistare’ i magazzini e lucrare gli introiti derivanti dalle tessere e dalle conciliazioni, nonche’ consolidare il potere clientelare attorno alle figure degli indagati in grado di garantire assunzioni su base clientelare, stabilizzazioni, ma anche ricche buonuscite in caso di appalto”.
    Nei prossimi giorni i difensori degli arrestati Eugenio Losco Mauro Straini depositeranno il ricorso al Tribunale del Riesame per chiedere la revoca delle misure cautelari di arresti domicilisri emesse dal gip Sonia Caravelli su richiesta della procura di Piacenza.

    Il giudice delle indagini preliminari ha fatto una sorta di copia e incolla rispetto all’istanza della procura a livello di motivazioni del provvedimento. Il gip si è differenziato sulla misura cautelare perché i pm avevano chiesto la reclusione in carcere.

    (frank cimini)

     

  • Cobas agli arresti. Se la lotta di classe è un reato

    Scioperano per ottenere per i lavoratori condizioni migliori rispetto a quanto previsto dal contratto nazionale di lavoro e finiscono agli arresti domiciliari per violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, sabotaggio e interruzione di pubblico servizio. È la “sorte” che tocca al coordinatore nazionale del SI Cobas Aldo Milani e tre dirigenti del sindacato a Piacenza, Mohamed Arafat, Carlo Pallavicini e Bruno Scagnelli. Siamo nel settore della logistica dove si penalizza in ogni senso un ciclo di lotte tra il 2014 e il 2021 che ha visto protagonisti decine di migliaia di lavoratori che si sono ribellati al caporalato e a condizioni di brutale sfruttamento.

    Il problema è prettamente politico, se si pensa che pochi giorni fa il governo ha modificato l’articolo 1677 del codice civile eliminando la responsabilità in solido delle committenze per i furti di salario operati dalle cooperative delle ditte fornitrici. Il problema è quello annoso delle aziende che vincono gli appalti e poi subappaltano. In questo modo diminuiscono ulteriormente i diritti e le garanzie di chi lavora.
    I lavoratori di Piacenza già usciti dai magazzini sono in agitazione. È partito uno sciopero generale e sabato ci sarà una manifestazione nazionale.
    Le lotte contro lo sfruttamento vengono considerate estorsioni ai datori di lavoro. Il settore della logistica è quello che si è dimostrato più in fermento negli ultimi anni. Esiste una finalità politica all’escalation repressiva per impedire che i settori più combattivi della classe operaia possano conquistare consenso attorno a una più ampia maggioranza della popolazione. Il tutto mentre con la guerra in corso aumentano il costo della vita, inflazione e povertà.
    Gli operai della logistica sono tra i pochi se non gli unici a rompere una pace sociale che dura da anni. In un paese in cui quasi 700 morti per incidenti sul lavoro dall’inizio dell’anno non bastano a mobilitare i lavoratori a sensibilizzarli mentre i sindacati ufficiali se la cavano con comunicati di poche righe o con qualche ora di sciopero.
    SI Cobas e Usb reagiscono agli arresti parlando di “teorema antisindacale” che sarà smontato. Ma quello che deve preoccupare è il tentativo continuo di trasformare lo scontro sociale in problema di ordine pubblico e in processi penali. Quello che succede anche in relazione alle lotte contro il treno dell’alta velocità in val di Susa.
    Picchetti, scioperi, occupazioni di magazzini, assemblee vengono equiparati a fatti criminosi. Come se non vi fossero lo sfruttamento della manodopera per lo più straniera e ricattabile, l’utilizzo senza freno di appalti e subappalti, cooperative infiltrate dalla criminalità organizzata, diritti sindacali inesistenti e sistematicamente violati. La logistica è uno degli snodi centrali dell’economia di nuova generazione, la circolazione delle merci è un momento determinante della categoria del valore. Li la contraddizione si esprime a livello più alto.
    (frank cimini)
  • G8, da Europa si a estradizione di Vincenzo Vecchi

    Ventanni dopo. E pure oltre. Come nel rimanzo di Dumas dedicato ai tre moschettieri. La corte di giustizia europea di città del Lussemburgo chiamata in causa dalla Cassazione francese ha deciso che deve essere consegnato all’Italia Vincenzo Vecchi condannato per devastazione e saccheggio per i fatti del G8 di Genova del 2001. Vecchi residente in Francia da tempo avrebbe da scontare circa nove anni di reclusione.

    La corte ha fatto prevalere la necessità della cooperazione europea sul rispetto delle formalità giuridiche. Per i giudici del Lussemburgo il mancato rispetto della condizione relativa alla doppia incriminabilita’ non è sufficiente per evitare la consegna del militante no-global al paese richiedente. I fatti sono qualificati giuridicamente in modo diverso nei due paesi, non c’è corrispondenza dei reati ma tutto ciò non conta.

    “La corte fa una scelta assolutamente  funzionalista garantendo l’effettività del mandato di arresto europeo anche al prezzo di possibili violazioni dei diritti fondamentali delle tradizioni costituzionali nazionali e del principio di proporzionalità“ è il commento di uno dei legali di Vecchi, Amedeo Barletta..

    Insomma vince l’eurorepressione. Adesso gli atti del fascicolo processuale torneranno in Cassazuone a Parigi e poi alla corte di appello di Angers che prenderà contatti con l’Italia. Vecchi potrebbe chiedere di scontare la pena in Francia dove ci sarebbero condizioni più favorevoli. Era stato arrestato tre anni fa. Da allora è stato un susseguirsi di udienze per dirimere la questione. (frank cimini)

  • Steccanella contro l’abuso di carcere preventivo

     

    Che in Italia vi sia – e da anni – un numero inaccettabile di persone sbattute in galera prima di essere dichiarate colpevoli è un dato di fatto, e così pure che a questa deriva abbiano in larga parte contribuito i GIP nostrani con il continuo e indiscriminato ricorso a formule standard tipo “spregiudicato”, “protervia e pervicacia”, “incurante ai più elementari doveri”, “esigenze di eccezionale rilevanza”, utilizzate, senza distinzione alcuna, tanto per chi è accusato di strage quanto per chi avrebbe esibito una bolla d’accompagnamento tarocca.

    Che sul punto pertanto occorresse intervenire in modo drastico e con urgenza era una priorità da cui non potevano sottrarsi tutti quelli che hanno ancora a cuore il diritto e in specie gli addetti ai lavori (anche se non solo).

    Molto grave quindi, a mio modesto parere, che in occasione del recente referendum flop si sia così palesemente sbagliato tanto il metodo quanto, cosa ancor più grave, il merito.

    In un momento storico particolarmente segnato da una diffusa orda manettara-etico-populista, dovuta a un disagio sociale che non trova altro sollievo se non quello di vedere il potente in gattabuia, se proprio si voleva ricorrere alla volontà popolare bisognava essere chiari e mirati al punto.

    Il “problema” non era all’evidenza l’applicazione di misure cautelari tout court, ma appunto la galera indiscriminata a chiunque prima del processo, perché se si confondono le due cose facendole coincidere si precipita esattamente in quell’identica stortura culturale di chi ritiene che solo il rinchiudere un essere umano tra due sbarre d’acciaio possa tutelare la collettività da qualsivoglia rischio di recidiva.

    E così si è strutturato un quesito assurdo mirato a colpire l’art. 274 anziché il successivo 275 che era proprio quello fino ad oggi palesemente applicato in modo distorto.

    Con l’effetto che se mai fosse passato, cosa peraltro impensabile anche per un bambino di due anni, si sarebbe continuati a finire in gabbia per un ceffone in mezzo alla strada, mentre per l’accusato di avere rubato milioni di euro neppure l’obbligo di firmare una volta al mese presso la più vicina Questura.

    Una follia di inaccettabile matrice classista, perché una giustizia che esclude per principio da ogni sanzione i reati dei ricchi tale deve essere definita, che oltretutto ha dato la facile stura ai manettari di professione per snocciolare in TV i tipici slogan di immediato effetto che tanto piacciono alla gente che piace, tipo “se passa il referendum da domani il ladro che ti svaligia la casa e il molestatore di donne indifese la faranno franca!”.

    Puntando sulla guerra al lassismo invece che al cl-assismo, si è così determinata una altrettanto incoerente difesa del quesito da parte di alcune frange della sinistra antigiustizialista, insomma un vero disastro su tutta la linea.

    Ma poiché non mi piace criticare a basta e visto che ho sostenuto che la modifica avrebbe dovuto riguardare l’art. 275 (e non già l’art. 274), ecco la mia proposta per novellare il numero 3 per chi avrà voglia di leggerla.

    “Fuori dai casi di arresto in flagranza (ancorchè non convalidato per intervenuta decadenza dei termini indicati all’art. 390), la custodia cautelare in carcere (285) può essere disposta soltanto se il PM richiedente ha indicato specifici elementi intervenuti successivamente alla commissione del/i fatto/i per cui si procede attribuibili all’indagato (o a chi nello stesso procedimento è accusato di avere concorso con lui nella commissione dello/gli stesso/i), tali da rendere non eludibile con l’applicazione di diversa misura il concreto rischio di reiterazione (274, lett. c. Cpp).

    In ogni caso non può essere disposta la custodia cautelare in carcere quando risultano trascorsi 3 mesi tra la richiesta del PM e il provvedimento del giudice senza che siano statisuccessivamente acquisiti nuovi elementi dai quali dedurre la perdurante attualità dell’esigenza cautelare a suo tempo indicata dal PM richiedente”.

    Per il resto può rimanere così com’è, anche se per mio conto eliminerei anche l’obbligatorietà presuntiva per taluni reati, ma il meglio, come diceva qualcuno, è nemico del…bene.

    (avvocato Davide Steccanella)

     

  • Caso Moro, siamo passati dai misteri ai miracoli

    Nel caso Moro siamo passati dai misteri inesistenti ai miracoli che si verificano. È comparsa improvvisamente una strana figura di cui mai si era avuto sentore in passato, quella di un tecnico del suono che come secondo lavoro per arrotondare fa il vice procuratore onorario al tribunale di Roma. Si chiama Mario Pescilavora per la Pantheon Sel che fornisce servizi tecnici a Radio Radicale. In sostanza si tratta di fare le registrazioni che l’emittente commissiona.
    Pesce era stato incaricato di registrare il 12 maggio scorso il dibattito relativo alla presentazione del libro di Paolo Persichetti “La polizia della storia” sulle fake news del caso Moro e sulla vicenda del sequestro dell’archivio più pericolo del mondo.
    Pesce era stato riconosciuto e mostrava di non gradire la circostanza e nemmeno la sua presenza sul posto. Avrebbe potuto chiedere di farsi sostituire. Mario Pesci invece andava a farsi un giro per poi tornare restandosene appartato. Alla fine affermava di aver registrato ma che il microfono non aveva funzionato. Bisogna considerare che i tecnici portano sempre del materiale di scorta come un secondo microfono.
    Insomma non c’è la registrazione del dibattito con l’autore del libro, la filosofa Donatella Di Cesare, l’avvocato Francesco Romeo. Esiste invece la possibilità di una singolare coincidenza, che si sia trattato di un sabotaggio al fine di evitare la divulgazione della registrazione. Non si può non considerare il secondo lavoro del signor Pesci. Lavora in quell’ufficio giudiziario che ha messo in piedi una indagine che non sta in piedi a carico di Paolo Persichetti. Il perito del giudice infatti ha accertato che non c’erano atti riservati della commissione Moro nell’archivio del ricercatore quindi non può esserci la violazione del segreto d’ufficio.
    Raccontiamo questa ulteriore storia di democratura relativa a un caso che dopo 44 anni non sembra voler smettere di sorprendere. Ma le sorprese continuano ad andare in una sola direzione.
    Perché ci sono uffici giudiziari e commissioni parlamentari che tentano in tutti i modi di andare oltre l’esito di cinque processi secondo i quali dietro le Br c’erano solo le Br. Perché lor signori insistono “a ricercare la verità” tanto per usare le patetiche parole di Mattarella. E per raggiungere l’obiettivo fanno carte false arrivando a impedire la registrazione di un dibattito su un libro di ricerca storica indipendente (frank cimini)

  • Le bufale su Moro un affare per l’archivio Flamigni

    L’archivio Flamigni che da decenni diffonde bufale dietrologiche sul caso Moro riceve una consistente mole di finanziamenti pubblici soprattutto dal ministero della Cultura. 40 mila euro il 9 gennaio del 2019, 38 mila euro il 15 aprile, 2000 euro il 15 ottobre. Vanno aggiunti 40 mila euro il 20 maggio dall’istituto centrale per gli archivi convenzione per portale della rete degli archivi, 3491 euro il 7 agosto dall’Agenzia delle entrate.
    Altri soldi nel 2020. Dal ministero 49.157 euro il 22 giugno, 8300 euro il 29 dicembre. Dall’Agenzia delle entrate 4512 euro il 30 luglio, 4474 euro il 6 ottobre.
    Insomma si tratta di un vero e proprio affare. Per carità tutto regolare, tutto secondo la legge.
    Il primo febbraio del 2021 l’archivio della fondazione Flamigni era stato trasferito presso lo spazio Memo per gentile concessione della Regione Lazio con visita e complimenti del governatore Zingaretti. Insomma la dietrologia e il complottismo hanno molto successo in questo paese. Vengono più che incoraggiati. Del resto siamo dove siamo. Dove ogni 16 marzo ogni 9 maggio a dire che “bisogna cercare la verità” è il presidente della Repubblica e del Csm a discapito di 5 processi dove sono state escluse responsabilità diverse da quelle delle Brigate Rosse.
    Si tratta di esiti processuali ignorati dalle commissioni parlamentari di inchiesta e dalla procura di Roma che continuano la caccia alle streghe e a improbabili complici che non sarebbero stati individuati. L’ultima bufala in ordine di tempo è quella partita l’8 giugno dello scorso anno con il sequestro dell’archivio più pericoloso del mondo, le carte di Paolo Persichetti, ricercatore storico indipendente. Un’operazione di propaganda mediatica targata Magistratura Democratica alla quale appartengono sia il pm Albamonte sia il gip Savio con la sponda dell’ex presidente della commissione Fioroni dove il capo di incolpazione è cambiato cinque volte.
    Il 30 di aprile sarà depositata la perizia che verrà discussa nell’udienza del 22 maggio con estrazione della copia forense. A quasi un anno dal sequestro dell’archivio Persichetti che non riceve finanziamenti pubblici a differenza della fondazione Flamigni ma solo avvisi di garanzia. Cioè con la garanzia che la caccia ai fantasmi e il depistaggio sul caso Moro non finiranno mai. Probabilmente perché tutto serve per governare adesso (frank cimini)

  • Il Papa straniero si insedia in procura dopo Pasqua

    Si insedierà in procura a Milano dopo Pasqua il procuratore generale di Firenze Marcello Viola scelto ieri dal Consiglio Superiore della Magistratura per succedere a Francesco Greco andato in pensione a metà novembre.
    Il ministro della Giustizia Marta Cartabia aveva espletato la formalità pressoché burocratica del concerto già prima della decisione finale del plenum del Csm. Nel senso che per il ministero non ci sarebbero stati problemi per nessuno dei tre candidati usciti dalla commissione incarichi direttivi.
    Dal momento che il procuratore facente funzione Riccardo Targetti va in pensione il 15 aprile la procura di Nilano sarà retta per pochi giorni dall’aggiunto Tiziana Siciliano indicata per l’incarico dallo stesso Targetti in attesa che il nuovo procuratore prenda possesso dell’ufficio. (frank cimini)

  • I consigli dell’avvocato Gabriele Fuga dalla cella accanto

    Quando in Italia accadeva quello che accade oggi per esempio in Turchia. Arrestavano gli avvocati o licostringevano a rifugiarsi all’estero. Con l’alibi della “lotta al terrorismo” lo stato democratico nato dalla Resistenza antifascista massacrava il diritto di difesa identificando i legali con la “banda armata” di cui eranoaccusati di far parte i loro assistiti. Gabriele Fuga racconta la sua vicenda giudiziaria politica e umana nel libro che ha per titolo “La cella dell’avvocato”, circa 300 pagine, 17 euro, edito da Colubri’ cioè Renato Varani uno dei pochi editori rivoluzionari rimasti a combattere nel modo in cui è possibile farlo adesso.
    Fuga, già autore insieme al compianto Enrico Maltini di “La finestra e’ ancora aperta” (la più completa ricostruzione dell’omicidio Pinelli) ricostruisce un periodo storico, parte integrante del più serio tentativo di rivoluzione nel cuore dell’Occidente.
    Sulla base esclusiva delle dichiarazioni a verbale del “pentito” Enrico Paghera l’avvocato Fuga fu incarcerato con l’accusa di far parte di Azione Rivoluzionaria gruppo anarchico. Verrà assolto dopo
    unanon breve carcerazione preventiva e dovette fronteggiare un altro mandato di arresto spiccato a Milano in relazione all’attività di Prima Linea. Il giudice che aveva firmato il provvedimento poi revocato dopo l’assoluzione nel processo di Livorno sarà eletto parlamentare europeo nelle liste del Pci.
    Fuga racconta la vita in carcere, l’assistenza legale fornita agli altri detenuti, istanze, consigli, suggerimenti. A Livorno dopo aver litigato con i suoi legali amici tentò anche la strada dell’autodifesa, spiegando che il consiglio dell’ordine di Milano non lo aveva sospeso e che quindi lui era nel pieno delle sue funzioni. Il pm diede parere contrario dicendo rivolto ai giudici: “io non posso stare sullo stesso piano di un imputato che condannerete come terrorista”. Questo era il clima in cui si svolgevano i processi. I giudici negarono l’autodifesa, ovviamente.
    Nel libro sono evocate le storie di altri legali accusati di terrorismo. Da Sergio Spazzali a Edoardo Arnaldi il quale si uccise a Genova nel suo studio durante una perquisizione per non finire in carcere. Da Luigi Zezza che si rifugiò a Parigi lavorando nel quotidiano Liberation a Giovanni Cappelli andato pure lui all’estero.
    “Qualunque sia la vostra sentenza qualunque sia l’esito dell’ istruttoria in corso a Milano io continuerò a fare l’avvocato- aveva detto Fuga in sede di dichiarazioni spontanee a Livorno- perché come anarchico e come legale rivendico il diritto e il dovere di difendere tutti i compagni che si rivolgono a me anche quelli che vengono ritenuti ‘compagni che sbagliano’ distinzione che non mi interessa e che non mi permetterei mai fare”. (frank cimini)

  • Dopo 7 anni Mantovani assolto. Pm ormai sempre ko

    La mitica procura di Milano ormai non vince più un processo che sia uno. In appello è stato assolto tra gli altri Mario Mantovani ex parlamentare di Forza Italia ex vicepresidente della Regione Lombardia il quale era stato anche arrestato con la misura cautelare firmata dal gup a un anno di distanza dalla richiesta dei pm. Sono passati ormai sette anni, una vita.
    La seconda sezione penale d’appello oltre a confermare l’assoluzione di Garavsglis e di un altro imputato (gia’ decise dal Tribunale), ha ribaltato in toto il verdetto di primo grado per tutti gli altri (una decina gli imputati in totale) assolvendoli nel merito. Assolto, dunque, dopo essere stato arrestato quasi 7 anni fa e condannato in primo grado a 5 anni e mezzo di reclusione, l’ex numero due del Pirellone ed ex assessore alla Sanita’ Mario Mantovani, difeso dal legale Roberto Lassini. Assolto, tra gli altri, anche il contabile Antonio Pisano, difeso dall’avvocato Davide Steccanella. Per Garavaglia anche ex viceministro all’Economia, il pg Massimo Gaballo aveva chiesto una condanna a un anno e 6 mesi. Rispondeva solo di uno dei 13 capi di imputazione al centro del processo. In primo grado la Procura aveva chiesto 2 anni per Garavaglia, ma per il Tribunale mancavano “elementi adeguatamente dimostrativi per affermare” che l’ex assessore avesse dato un contributo “anche solo nella forma della agevolazione alla turbativa” e non c’erano “elementi per affermare una sua consapevolezza”. Secondo l’accusa, l’allora assessore lombardo all’Economia nel giugno 2014 avrebbe dato, assieme a Mantovani, “disposizioni” e “l’input iniziale” per “vanificare gli esiti del bando” di una gara da 11 milioni di euro.
    I difensori degli imputati osservano che la corte d’appello ha evitato un errore giudiziario. Da un po’ di tempo nei processi per reati contro la pubblica amministrazione la procura esce sempre sconfitta e questa volta divide il ko con la procura generale che aveva deciso di sostenere la tesi colpevolista.
    Insomma restiamo nel clima del presunto credo Eni-Nigeria che aveva prodotto la sentenza di assoluzione oltre alla guerra interna alla procura tra il sostituto Paolo Storari e i capi dell’ufficio inquirente con l’intera vicenda finita sul tavolo del procuratore di Brescia. Nel momento in cui si celebra (si fa per dire) il trentennale Mani pulite appare sempre più lontana e la procura completamente allo sbando. Toccherà al nuovo procuratore capo che il Csm dovrà nominare a breve riorganizzare l’ufficio e istruire i processi in modo più convincente al fine di interrompere il momento nero dell’accusa (frank cimini)

  • NoTav, da eredi Caselli 67 faldoni di atti per 4 fumogeni

    Per quattro fumogeni accesi durante i presidi contro il Tav la procura di Torino ha costruito un’inchiesta che ammonta a 67 faldoni di atti, fin qui utili a ottenere 13 misure cautelari ma anche la bocciatura da parte del gip dell’accusa relativa all’associazione sovversiva.
    Trattandosi degli eredi di Caselli e Maddalena che cercarono d trasformare un compressore bruciacchiato in una sorta di rapimento Moro del terzo millennio non esistono dubbi. La procura chiederà il processo anche per il reato associativo pur avendo subito per il momento uno stop significativo.
    Questa mattina c’è stata la conferenza stampa per replicare agli arresti.
    Le misure cautelari sono 13, due dei quali, Giorgio Rossetto e Umberto Raviola sono stati tradotti nel carcere delle Vallette, a Torino, e riguardano una serie di iniziative e manifestazioni che, dall’estate 2020, si sono svolte in Val Clarea, dove si trova il cantiere Tav di Chiomonte e a San Didero, dov’è situata la recinzione per quello che dovrebbe diventare il nuovo autoporto valsusino. I reati contestati sono quelli di violenza privata e resistenza aggravata a pubblico ufficiale.
    “Procura, Magistratura e Mass media hanno tentato da sempre di sporcare questa lotta con una narrazione falsa che tenta di dividere tra buoni e cattivi – afferma Nicoletta Dosio, storica No Tav – di riproporre la solita retorica legata alla distinzione tra “buoni e cattivi – all’interno del Movimento No Tav, cercando di ricostruire fantomatiche regie dietro ad ogni iniziativa o manifestazione. “Quando il potere è ingiusto la resistenza è diritto e dovere di tutti – continua Nicoletta Dosio – Non basteranno i tribunali, il carcere e le fandonie sul nostro conto per farci tornare a casa. Solidarietà dal movimento No Tav ai nostri compagni che stanno subendo queste misure cautelari”.
    Inoltre, ieri le forze dell’ordine, senza grandi risultati, hanno perquisito anche i Presidi No Tav dei Mulini e di San Didero, da tempo vissuti dal movimento, all’interno dei quali sono state realizzate numerose iniziative popolari e varie azioni di monitoraggio e disturbo dei cantieri.
    “L’operazione di ieri è stata di uno squallore universale – tuona Alberto Perino, No Tav di vecchia data – ed è la dimostrazione che il movimento No Tav è estremamente forte e fa paura a tutti. Se essere sovversivi significa opporsi a questo sistema e a questo governo inutile, che punta solo a garantirsi la pensione e che può decidere qualsiasi cosa, allora noi continueremo ad essere “sovversivi” e a resistere come facciamo da 30 anni e continueremo a farlo per altrettanti se necessario”. Facendo poi eco alla Dosio “questo perché, al di là della narrazioni tossiche dei mass media rispetto al Tav, ormai si è svelata quale è la vera utilità di questi corridoi ferroviari che ormai sono diventati corridoi di guerra e morte” ha concluso Alberto Perino.
    “La finalità è lampante – afferma Andrea Bonadonna – continuano ad essere utilizzati strumenti atti a silenziare e reprimere qualsiasi dimensione di dissenso sociale, e questo è molto grave. Ogni capo di imputazione è inserito in una cornice posta lì per tentare di delegittimare e silenziare quello che è il movimento più longevo della storia del nostro Paese, che da 30 anni si batte contro la costruzione della linea ad Alta Velocità Torino – Lione, con il solo e unico obiettivo di salvaguardare la salute del territorio, di chi lo vive e del futuro delle nuove generazioni. (frank cimini)

  • Arresti tra i NoTav per i fumogeni nei sit-in ai cantieri

    La magistratura appare sempre più in prima linea a tutela dell’affare alta velocità. 2 militanti NoTav sono finiti in carcere altri 2 ai domiciliari e in 9 sono destinatari di obbligo di firma con divieto di risiedere nei comuni della Val di Susa accusati di Resistenza aggravata a pubblico ufficiale è violenza privata in relazione a sit-in e manifestazioni sia davanti ai cantieri sia a Torino città. “Utilizzo di artifici pirotecnici” si legge nella misura cautelare. Cioè nell’Italia del governo di migliori si finisce in galera per quattro fumogeno mentre si protesta legittimamente contro un’opera che da 30 anni sta devastando un territorio un tempo tra i più incontaminati del paese.
    Il movimento NoTav in un comunicato fa osservare: “In Val di Susa abbiamo vissuto anni di pandemia in cui mentre chiedevamo risorse per affrontare la crisi sul territorio, mentre cercavamo di prenderci cura della nostra comunità e dei nostri affetti il sistema del Tav occupava intere porzioni del nostro territorio con migliaia di uomini, idranti e lacrimogeni per installare cantieri che servono solo a drenare denaro pubblico. Il nostro è un movimento con decenni di storia alle spalle, abbiamo visto passare governi, questori e prefetti. Abbiamo sempre deciso collettivamente come portare avanti la nostra resistenza, come affrontare la violenza istituzionale che nonostante la contrarietà popolare all’opera ha militarizzato senza remore un’intera valle. Non ci faremo certo intimorire da questa operazione, consapevoli che in questi tempi di guerra, crisi climatica e sociale la nostra lotta, nel nostro piccolo, è uno spiraglio per costruire una speranza per il futuro”.
    Il movimento denuncia il tentativo con questa operazione di arrivare a una divisione tra buoni e cattivi. È stato perquisito il centro sociale Askatasuna del quale politici particolarmente zelanti insistono a chiedere la chiusura.
    Il problema è politico ma come al solito viene presentato come questione primaria di ordine pubblico. Nel caso specifico magistratura e politica appaiono sempre più unite nella lotta a tutelare tra l’altro appalti e lavori sulla cui trasparenza si è sempre fatto a meno di indagare in profondità. Ogni energia investigativa è concentrata su chi si oppone all’opera forzando fino a contestare nel recente passato la finalità di terrorismo poi caduta in Cassazione dove alcuni giudici facevano notare che il troppo è troppo. La procura di Torino però non demorde: per chi accende fumogeni c’è persino la galera (frank cimini)

  • Il carcere istituzione reietta, saggio dI Valeria Verdolini

    Ci sono addirittura ex magistrati che in servizio lo usarono per acquisire fonti di prova estorcere confessioni a proclamare l’inutilità del carcere a proporre la necessità di superarlo come unica sanzione possibile.
    Quindi bisogna chiedersi come definire il carcere nel terzo millennio. Un contributo rilevante e controcorrente arriva da Valeria Verdolini, sociologa, docente all’Universita’ Bicocca. 247 pagine, 18 euro, Carrocci Editore. Il titolo è “L’istituzione reietta”.
    Per spiegare come arriva a tale definizione, Verdolini afferma che il carcere si presenta come istituzione residuale che svolge una serie di compiti non richiesti dal mandato formale ma ascrivibili a un welfare a basso costo, housing sociale per i senza fissa dimora, centro di accoglienza per i migranti, comunità terapeutica per i tossicodipenfenti, comunità psichiatrica per le fragilità, centro impiego per i disoccupati, residenza sanitaria e di lungodegenza per anziani.
    Si tratta di vulnerabilità che raramente trovano una risposta integrata fuori dalle mura del penitenziario. “Proprio perché contiene, incapacita, raccoglie e gestisce ho scelto l’aggettivo ‘reietta’ – scrive l’autrice – Reietto deriva dal latino reiectus, participio passato di reicere. Il primo significato è respingere rigettare, un’eccezione che comprende le riflessioni sul carcere come discarica sociale, come pattumiera senza speranza”.
    L’istituzione è reietta proprio perché si demanda a essa una serie di funzioni che si sono ritirate o che comunque non presentano risorse sufficienti per gestire la popolazione che ne richiede il sostegno. La funzione di discarica sociale viene assolta solo in parte perché non è risolutiva, non ingloba tutta la sofferenza sociale ne’ tantomeno la marginalità.
    Si potrebbe parlare di funzione vicaria del carcere, ennesima puntata dell’infinita emergenza italiana, iniziata almeno mezzo secolo fa con la magistratura chiamata dalla politica a risolvere la questione della sovversione interna per delega totale. E che dura fino si giorni nostri. Verdolini ricorda il doppio binario pentitismo/carcere durissimo. Un meccanismo che non disinnesca i processi di devianza ma tende ad amplificarli o ad affievolirli solo sulla base di un criterio di opportunità.
    E infatti stiamo a parlare oggi di ergastolo ostativo e delle difficoltà per arginarlo perché grandissima parte della politica e della magistratura in questo unite nella lotta fanno prevalere il bisogno di sicurezza sulla necessità di rispettare i diritti delle persone. Che restano persone portatrici di diritti anche dopo aver preso l’ergastolo e non possono essere inchiodate per sempre a reati commessi moltissimo tempo fa (frank cimini)

  • La difesa penale trap di Neima Ezza
    con un videoclip dai domiciliari

    “Sono finito sopra il tg per un video assembramento / incolpato di rapina eppure sono innocente…Questi sai cosa dicono ‘un artista ruba l’oro’ / il mio contratto di lavoro vale dieci volte il loro”.

    Forse il suo avvocato avrebbe declinato diversamente la difesa ma, si sa, quello del penalista è un lavoro difficile anche perché talvolta gli assistiti sfuggono ai suggerimenti del proprio legale. Arduo il compito di chi magari preferirebbe tenere la linea del silenzio se ha a che fare con un cliente che di parole vive e con le parole guadagna popolarità, views e denaro. Tant’è, Neima Ezza (247mila follower solo su Instagram, nome ormai affermato nella scena trap italiana) la sua difesa non solo l’ha delineata, ma l’ha anche messa in rima, o meglio in assonanze trap. E lo ha fatto dagli arresti domiciliari, producendo questa questa clip dal titolo ‘Risposta‘, annunciata con post sui social nel pomeriggio del 26 gennaio 2022. Voce off, Neima non compare mai in video, ma la voce è la sua. Tra vittimismo e accuse non proprio velate alla polizia e giornalisti, Amine Ez Zaaraoui, questo il suo vero nome, la butta in musica. Chissà se i magistrati ne apprezzeranno almeno lo sforzo artistico. Era stato arrestato per rapina in un’indagine della polizia, su richiesta del pm Leonardo Lesti e provvedimento del gip Manuela Scudieri. Ai domiciliari “con divieto di comunicare con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente, con persone diverse dai famigliari conviventi e dal difensore”.

    Due vittime di rapina lo descrivono come colui che “materialmente strappa la catenina”, indicandolo su un album di fotoriconoscimento della Questura dal titolo “Baby trap“. Quattordici facce, e quella di Neima Ezza viene riconosciuta “con assoluta certezza”.


    Ricordi che ora dovranno affrontare la prova delle ulteriori indagini, e certamente delle contestazioni del suo legale, che conta invece di avere frecce al proprio arco. L’avvocata Gaia Scovazzi ha prodotto foto e video tratte da Instagram che proverebbero che il trapper ventenne “non era sul luogo delle due rapine” che gli vengono contestate. Agli atti, fa notare la difesa, ci sono solo riconoscimenti delle vittime “non validi” perché effettuati “praticamente solo con le foto degli indagati”. Pure i dati delle celle telefoniche dimostrerebbero, per il difensore, l’innocenza del 20enne. Sottolineando la necessità di un provvedimento cautelare nei suoi confronti, la Squadra mobile della polizia argomentava anche sulla sua presunta “condizione di devianza (modo di vivere e pensare che trova riscontro anche nei testi cantati)”.


    Il giovane trapper ha provato di nuovo a cantarle a tutti. Vedremo se l’impeto artistico lo aiuterà.

  • Greco e Davigo s’erano tanto amati e pure armati

    Era assolutamente inimmaginabile fino a non molto tempo fa. Francesco Greco il procuratore di Milano andato in pensione a metà novembre rischia il processo per diffamazione ai danni di Piercamillo Davigo.
    La storia è quella dei verbali dell’avvocato Piero Amara consegnati dal pm Paolo Storari a Davigo all’epoca consigliere del Csm. C’è un passaggio della dichiarazione a verbale di Greco davanti ai pm di Brescia che Davigo non ha proprio digerito.
    “L’uscita dei verbali era nell’interesse di Davigo che non si è preoccupato assolutamente della sorte del procedimento è quando ha lasciato il Csm quei verbali li ha abbandonati. Fatto imbarazzante”.
    Secondo Greco Davigo era interessato a far uscire soprattutto le parole con cui Amara chiamava in causa il magistrato Sebastiano Ardita un tempo suo alleato con il quale aveva successivamente rotto ogni rapporto.
    La procura di Brescia ha chiuso le indagini su Greco e si appresta a chiedere il rinvio a giudizio. Recentemente Greco aveva visto archiviare l’accusa a suo carico per omissione in atti d’ufficio per la ritardata iscrizione al registro degli indagati di Amara che era stata sollecitata da Storari.
    È la storia della famosa loggia Ungheria tirata fuori da Amara sulla quale formalmente indagano diverse procure ma di cui non si è saputo più niente.
    Questo accade nel trentennale di Mani pulite. Si erano tanto amati ì componenti del mitico pool del quarto piano di corso di Porta Vittoria e pure armati per rivoltare l’Italia come un calzino, combattere come “fenomeno” quella corruzione che in realtà c’era anche prima del magico 1992. Quando la magistratura inquirente in testa giusto la procura di Milano aveva fatto finta di non vedere e non sentire perché evidentemente non era ancora ora di attaccare la politica.
    A trent’anni esatti dalla grande farsa, utilizzata dalle toghe per aumentare il loro potere, in procura a Milano si sta vivendo un tutto contro tutti, ufficializzato dal 57 pm su 64 i quali più che votare un documento contro il trasferimento di Storari si schierarono contro l’allora procuratore Francesco Greco. La maggior parte di loro si sentiva penalizzata dal modo in cui il capo aveva organizzato l’ufficio.
    Greco dovrà fronteggiare la diffamazione a carico di Davigo. Davigo e Storari il 3 febbraio si troveranno in udienza preliminare per quei verbali di Amara un tempo ritenuto il testimone della corona per vincere il processo contro i vertici dell’Eni che invece finiva in una sconfitta totale.
    Nei prossimi giorni il Csm sarà a Milano per sentire Storari che rischia il trasferimento per incompatibilità ambientale. Al pari di Fabio De Pasquale il procuratore aggiunto indagato a Brescia insieme al collega Sergio Spadaro nel frattempo approdato alla procura europea. Il prossimo 17 febbraio, anniversario dell’arresto di Mario Chiesa, ci sarà niente da celebrare anche se la procura di Milano continua a godere di ottima stampa. Il Corriere della Sera non smette di scrivere che è stata un baluardo dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura. 30 anni fa i grandi editori italiani sotto schiaffo del pool per altre loro attività appoggiarono Mani pulite il che permise loro di “farla franca” per dirla con Davigo. Insomma la riconoscenza esiste ancora in questo mondo.
    (frank cimini)

  • Steccanella racconta il tribunale compresi “gli indifendibili”

    “Alcuni imputati spesso per ragioni mediatiche sono di fatto considerati indifendibili. Ciò significa che essere il loro avvocato vuol dire non contare quasi nulla perché tutti quelli che incontri magistrati compresi ti ripetono che si è giusto assumere la loro difesa e denunciare l’eventuale lesiine dei loro diritti ma non si può fare molto pena la violenta reazione dell’opinione pubblica”. Gli indifendibili clienti dell’avvocato Steccanella sono Cesare Battisti e Renato Vallanzasca.
    A loro l’avvocato dedica un capitolo del suo ultimo lavoro “La giustizia degli uomini” edito da Mimesis 234 pagine, 18 euro.
    “Tutto ciò che riferirò è realmente accaduto perché la giustizia è amministrata da uomini per definizioni fallibili. Chi preferisce pensare che nei processi venga sempre accertata la verità farà meglio a lasciar perdere questo libro” avverte Steccanella.
    Ma torniamo agli indifendibili il capitolo più interessante a parere di chi scrive queste povere righe. “Il caso Vallanzasca è stato per ne ancora peggiore del caso Battisti perché dopo lo schiaffo subito da un magistrato di sorveglianza ho dovuto rinunciare seppure con amarezza alla sua difesa. Questo giudice scrisse che per concedere la semilibertà a un ultra settantenne dopo 47 anni di galera e responsabile negli ultimi anni soltanto di un tentato furto di mutande in un supermercato occorreva ‘un percorso graduale’ senza considerare le relazioni favorevoli degli esperti del carcere e la disponibilità ad accoglierlo di due comunità di recupero”.
    “Battisti è l’emblema del terrorista mentre Vallanzasca è semplicemente l’embkema del criminale” scrive l’avvocato Steccanella ricordando che Battisti prese parte a quella violentissima fase di lotta sociale armata che per circa 15 anni contrassegnò la storia del nostro paese.
    Dopo la consegna di Battisti da parte della Bolivia in violazione degli accordi stipulati tra Italia e Brasile Steccanella ricorda che è stato impossibile ottenere un documento capace di spiegare la pericolosità del soggetto “in modo da poter impugnarla davanti alle sedi competenti”.
    Una pericolosità che a distanza di oltre 40 anni dai fatti Steccanella definisce assurda. “Anche la semplice richiesta di ottenere cibo compatibile con il proprio stato di salute è sempre risultata difficile” ricorda il legale a proposito del riso in bianco negato a Battisti, “il solo protagonista di quel particolare periodo storico a scontare la pena in condizioni carcerarie speciali come fossimo ancora negli anni ‘70 in piena ‘emergenza terrorismo’, anni di cui peraltro sanno poco o nulla tutti quelli che si stanno occupando di lui ora”.
    (frank cimini)

  • G8, battaglia su estradizione Vecchi davanti a corte Ue

    La corte di giustizia europea del Lussemburgo deciderà entro l’estate in merito alla consegna all’Italia da parte della Francia di Vincenzo Vecchi condannato per devastazione e saccheggio in relazione ai fatti del G8 di Genova del 2001. La corte deve rispondere ai chiarimenti chiesti dalla Cassazione francese in merito alle differenze tra i codici dei due paesi.
    Oggi davanti alla terza sezione della Corte di giustizia presieduta dalla estone Küllike Jürimäe hanno partecipato alla discussione
    gli avvocati di Vincenzo Vecchi, Paul Mathonnet e Amedeo Barletta, i rappresentanti della Commissione UE e i rappresentanti del Governo francese.
    La Corte é apparsa molto attenta ponendo una serie di questioni agli avvocati intervenuti nel corso di una discussione durata oltre due ore.
    Il tema centrale riguarda l’applicazione del principio della doppia punubilitá in relazione al mandato di arresto europeo.
    La difesa di Vecchi ha sostenuto una interpretazione tesa a valorizzare la differenza sostanziale esistente tra il reato di devastazione e saccheggio previsto dalla disciplina italiana e le condotte previste dal codice penale francese, che non tutelano a dispetto della disciplina italiana l’ordine pubblico.
    Il Governo francese ha di contro difeso una interpretazione sostanzialista della decisione quadro a tutela della effettivitá dello strumento di cooperazione giudiziaria mentre la Commissione europea ha fatto emergere maggiori aperture verso una interpretazione del principio che possa valorizzare le differenze tra i sistemi giudiziari nazionali, consentendo anche la non esecuzione dei mandati di arresto o la esecuzione parziale in presenza di divergenze sostanziali tra le ipotesi penali dei diversi Stati membri.
    E’ intervenuto anche l’Avvocato generale della Corte di giustizia Rantos che ha preannunciato le proprie conclusioni scritte per il prossimo 31 marzo.
    La decisione della corte del Lussemburgo è attesa nel giro di tre o quattro mesi. Poi gli atti torneranno alla Cassazione francese dove aveva presentato ricorso la procura di Angers contro la decisione della corte locale.
    Vincenzo Vecchi vive e lavora in Francia da diversi anni. Era stato arrestato nel 2019 poi rimesso in libertà in attesa delle decisioni della giustizia francese. Sia Roma sia Parigi sollecitano la consegna del militante no-global all’Italia dove dovrebbe scontare un residuo di pena di un anno e 2 mesi. La condanna per gli scontri relativi alla manifestazione antifascista di Milano infatti era stata considerata già scontata. (frank cimini)

  • G8, Roma e Parigi pressano Corte Ue: Vecchi in Italia

    Il governo italiano e quello francese insieme alla procura di Angers pressano la corte di giustizia europea del Lussemburgo al fine di ottenere la consegna alle autorità del nostro paese di Vincenzo Vecchi condannato per devastazione e saccheggio in relazione ai fatti del G8 di Genova del 2001. Vanno in questa direzione le memorie depositate presso la corte Ue che è impegnata nell’udienza dì giovedì 20 gennaio al fine di rispondere alla Cassazione francese.
    La Cassazione d’Oltralpe si è rivolta alla Ue per avere spiegazioni in relazione all’esecuzione del mandato di arresto europeo perché il reato di devastazione e saccheggio non è riconosciuto dal codice francese. Secondo la procura di Angers e i governi dei due paesi invece la condizione della doppia incriminazione è ugualmente soddisfatta e il mandato di arresto va eseguito dal momento che sarebbe pacifico secondo la condanna che Vincenzo Vecchi alcuni dei fatti contestati li ha commessi.
    L’iter giudiziario è ancora lungo. Alla prima udienza interverranno le parti in causa. Vecchi ha come difensori Paul Mathonnet e Amedeo Barletta. Poi i giudici rivolgeranno domande ai legali. Tra alcune settimane ci sarà l’intervento dell’Avvocato generalepresso la Corte di giustizia europea che emetterà la sentenza non prima di tre o quattro mesi. Poi tutto tornerà nelle mani della Cassaziond francese.
    Per il governo italiano il rifiuto opposto dalla corte di Angers alla consegna di Vecchi “equivale a garantire all’interessato l’impunita’ per la totalità dei fatti anche se la la maggior parte di essi non è contestato che per la maggior parte di essi la consegna sarebbe stata possibile”.
    I due governi e il pm di Angers vogliono evitare la verifica delle imputazioni temendo che in questo modo salti il sistema della cooperazione giudiziaria. Si muovono in una logica repressiva con una visione di giustizia sostanziale.
    (frank cimini)