Categoria: Pubblica Amministrazione

  • Indovinello: in quale città il segretario M.S. organizzerà la protesta pro – pm?

     

     

    Corso di Comunicazione politica, modulo avanzato. Crediti formativi universitari, 12.
    Esercitazione:
    Caso 1.
    Un presidente di Regione in carica (soggetto R. M.), esponente del partito L, è imputato in un processo giunto alla sua fase dibattimentale per un reato che prevede l’applicazione, in caso di condanna, della ‘legge Severino’. Un suo coimputato ha patteggiato, un altro è stato condannato con rito abbreviato. Nel corso del dibattimento, il politico si candida come capolista in un capoluogo di provincia della stessa Regione. In ragione di ciò, chiede al Tribunale di sospendere il processo a suo carico per la durata della campagna elettorale.
    Caso 2.
    Nella stessa Regione, un sindaco di capoluogo (soggetto U), esponente del partito D (Democratico) viene attinto da ordinanza di custodia cautelare per un reato di pubblica amministrazione. Nell’ipotesi accusatoria, avrebbe  truccato una gara d’appalto nella città di Lodi al fine di perseguire illecitamente il principio politico “la città ai suoi cittadini”.
    Quesiti:
    A) Indichi il candidato, e argomenti, in quale città, il segretario (soggetto M. S.) del partito L  dovrà organizzare, nella prima domenica utile, una manifestazione di protesta contro le ruberie degli amministratori locali, a sostegno al lavoro della magistratura.
    B) Indichi altresì, su una scala da 1 a 10, l’aggressività linguistica da utilizzare.
    C) Indichi infine quale sia la risposta più efficace per respingere le domande dei cronisti che chiederanno conto al soggetto M.S. del processo a carico del soggetto R. M., esponente del partito L.
    La risposta corretta a questo link:

    Lodi–Salvini–Renzi-faccia.html

  • L’impiegata comunale di Lodi, “Io, in panico di fronte al sindaco che truccava il bando”

     

    La scena che racconta con toni drammatici è questa: lei entra nell’ufficio del sindaco di Lodi Simone Uggetti (Pd) e si trova di fronte Cristiano Marini, legale rappresentante della principale società interessata all’aggiudicazione del bando per la gestione delle piscine scoperte. I due stanno correggendo la bozza che lei aveva trasmesso giorni prima a Uggetti. Lei, se le sue dichiarazioni dovessero essere confermate dai giudici, è la funzionaria che avrebbe sventato l’ennesino caso di malaffare concepito in un’amministrazione comunale. Whistleblower, la gola profonda si diceva un tempo.

    E’ il 29 febbraio ed ecco quello che sarebbe successo nel palazzo del Broletto: “La scena che mi si presenta mi è subito chiara. Questa volta l’incontro non sarà come al solito a due, ma a tre. Il terzo interlocutore mi viene presentato come l’avvocato Marini, consigliere di Astem e di Sporting Lodi. Vorrei andarmene, ma non trovo il coraggio. Vedo sulla scrivania le copie del mio bando riguardante l’offerta economica e il sindaco mi invita a spiegare meglio quanto ho scritto, riesco solo a chiedere che Marini esca dall’ufficio. Capisco che la mia reazione ha infastidito il sindaco  e questo atteggiamento mi mette in una condizione di vulnerabilità ancora più forte. Cerco di reggere alle insistenze del sindaco che mi chiede un cambiamento dopo l’altro alternando dinieghi a rassegnate accettazioni. (…) Fingo di essere disposta a rimettere ancora in discussione tutto, per paura della reazione, sapendo ormai dentro di me che quel bando non l’avrei mai più firmato perché veniva totalmente snaturato nel suo equilibrio, perché chissà da quante mani era già passato quel procedimento di cui dovevo essere l’unica responsabile. (…). Il sindaco mi spiega che la società di mia sorella, la Sportime, potrebbe collaborare con Sporting Lodi. Capisco il tentativo di coinvolgimento della società di mia sorella per farmi sentire parte della partita.  Quel bando da me non verrà mai più firmato e, come insegnatoci nei recenti corsi dell’anti – corruzione, decide di andare a segnalare quanto accaduto…”.

    Il bando verrà aggiudicato “con la modifica dei criteri di assegnazione dei punteggi” predisposti dalla funzionaria alla società di Marini, arrestato con Uggetti per turbata libertà degli incanti. A firmarlo sarà il dirigente indicato nel piano anti – corruzione comunale al quale si era rivolta, ricevendone rassicurazioni, la denunciante.  (manuela d’alessandro)

  • La verità, 30 anni dopo: il ‘nuovo’ codice ha fallito

    Alla fine del 1989 veniva introdotto in Italia il “nuovo” Codice di Procedura penale che, dopo lunga gestazione e il contributo di alcuni tra i maggiori giuristi del tempo, mandava definitivamente in cantina quello “glorioso” del 1930. Si disse, con certa enfasi, che il “nuovo” processo, costruito secondo il modello accusatorio di matrice anglosassone e non più inquisitorio, vetusto retaggio del vecchio regime, sarebbe stato più “garantista”. Bizzarro neologismo posto che, riferendosi al rispetto delle garanzie di legge dell’imputato, sembrerebbe accreditare l’esistenza di qualcuno che altrettanto legittimamente non lo fa.

    Il nuovo processo penale prevedeva alcuni capisaldi destinati, sulla carta, a rivoluzionare quello precedente. Una fase inziale di ricerca della prova da parte dell’accusa dalla durata massima di sei mesi e sotto il rigido controllo dell’Autorità Giudiziaria sulle indagini di Polizia prima di dare accesso alla difesa. Una seconda fase di preventiva verifica, da parte di un Giudice terzo, della effettiva necessità o meno di celebrare un processo sulla base del materiale raccolto da entrambe le parti. Una terza fase di verifica dell’effettiva fondatezza dell’accusa da parte di un Tribunale del tutto ignaro di quanto in precedenza avvenuto, previa l’acquisizione orale delle prove presentate a dibattimento dalle parti in contraddittorio in condizione di assoluta parità.

    I due successivi gradi di impugnazione invece non differivano troppo dal rito abrogato, il primo restava una rivalutazione di merito di quanto acquisito in primo grado ed il secondo un controllo di legittimità sulla sentenza ricorsa. A latere del “modello” base furono introdotte alcune significative “novità”, le tre principali erano: 1) la previsione di riti alternativi “snellenti” che introducevano incentivi in punto di pena (ma non solo) per l’imputato che rinunciava al pubblico dibattimento, 2) la rivisitazione del regime cautelare previgente per circoscrivere allo stretto necessario la limitazione della libertà di un cittadino non ancora condannato e 3) l’abolizione della vecchia formula assolutoria per “insufficienza di prove” secondo il principio che la responsabilità penale dell’imputato deve essere provata dall’accusa “al di là di ogni ragionevole dubbio” dovendo lo stesso, in caso contrario, essere assolto. La “ratio” alla base della scelta del legislatore era quella di ridurre il numero dei processi penali ai soli casi veramente meritevoli di un compiuto accertamento dibattimentale e non solo per velocizzare i tempi della giustizia ma anche per non sottoporre a lunghi, costosi e logoranti processi cittadini che magari dopo anni di sofferenze risultavano innocenti.

    A distanza di quasi 30 anni possiamo dire che di quell’idea inziale è rimasto ben poco. Le indagini “segrete” del PM si protraggono ben oltre il limite di legge, essendosi nel tempo trasformata, la prevista facoltà di chiedere al Giudice una proroga, da eccezione a regola, e l’abuso della “delega di PG” da parte dei PM ha fatto sì che le indagini si risolvano molto spesso in accertamenti di Polizia Giudiziaria cui il PM mette solo il proprio finale avallo. Nei procedimenti costruiti per lo più sull’esito di intercettazioni, di cui viene fatto largo uso e per un numero sempre maggiore di reati, l’iniziale brogliaccio di PG che ricostruisce il contenuto di mesi di ascolto finisce con l’essere il fulcro del “file” sul quale viene formulata dal PM la richiesta di provvedimenti cautelari al GIP che a sua volta li trafonde nell’Ordinanza applicativa che molto spesso diventa a sua volta il tessuto motivazionale di una Sentenza in sede di Giudizio abbreviato di altro GIP poi confermata dalla Corte d’Appello e ratificata dalla Corte di Cassazione. (altro…)

  • Dall’assoluzione alla condanna per corruzione, le motivazioni della sentenza d’appello Finmeccanica

    Due settimane fa la Corte d’Appello di Milano ha detto che i vertici di Finmeccanica, gigantesca macchina di denaro e potere, hanno corrotto i funzionari pubblici indiani con una tangente da 51 milioni di euro per la fornitura di 12 elicotteri al governo di New Dehli.  Oggi vengono rese note le motivazioni della sentenza  che fanno a pezzi la ricostruzione definita “carente e lacunosa” del Tribunale di Busto Arsizio dal quale era arrivata l’assoluzione dal reato di corruzione per Giuseppe Orsi e Bruno Spagnolini, ex numeri uno di Finmeccanica e della controllata Agusta Westland. Qui leggete tutta un’altra storia rispetto al primo grado in cui i leader di una delle più importanti società italiane avrebbero “avallato” una potente corruzione attraverso intermediari e giri di fatture false così da meritarsi le condanne a 4 anni e mezzo (Orsi) e 4 anni (Spagnolini) di carcere. (m.d’a.)

    Sentenza appello Finmeccanica

  • I lettori lo criticano, il giudice s’arrabbia e chiede rispetto su Facebook

     

    Sopra, la notizia del ‘Piccolo’ di Trieste postata su Facebook dell’assoluzione di 18 su 22 consiglieri regionali del Friuli Venezia Giulia accusati di aver dilapidato soldi pubblici in una delle tante inchieste sparse in Italia sulle ‘spese pazze’. Sotto, la sequela di commenti inviperiti di molti lettori che non se ne fanno una ragione. “L’ennesima sentenza di un paese senza né capo né coda”. “Allora i soldi per i cittadini si possono spendere per i fatti propri, che regole ha la giustizia?” “Il più pulito ha la rogna”. All’ennesima critica, il gup di Trieste Giorgio Nicoli si ribella e gli viene voglia di spiegarla. “Non nel merito – premette – che poi ci sarà una breve motivazione”, però si lascia andare a una quarantina di righe in cui, con tono un po’ piccato, chiede rispetto.

    Il pm  aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati per peculato a pene comprese tra un anno e otto mesi e due anni e tre mesi, ma il giudice si è limitato a rinviare a giudizio solo un indagato, ad accogliere le richieste di patteggiamento di altri due e a rimandare davanti al gup la posizione di un quarto. “Ho fatto il pm per 8 anni – spiega ai lettori del social network – il pm ha il ruolo di mettere in luce le tesi che possono confermare l’accusa e la difesa deve far valere in tutti i modi la tesi dell’innocenza e il giudice è solo davanti alla scelta di cui si deve assumere la responsabilità”. Par di capire che per il gup i giornalisti debbano assumersi invece la responsabilità di rimandare una visione distorta della giustizia: “In oltre 25 anni che mi occupo con ruoli diversi di giudizi penali non ho mai visto un caso  in cui il resoconto della stampa sia corrispondente a quello in cui si è chiamati a decidere in un processo”. Sarà, ma il puntuale resoconto del ‘Piccolo’ da’ conto soltanto di chi è stato rinviato a giudizio e chi no, nulla più. Sembra invece che il giudice, ferito nell’orgoglio, si sia difeso attaccando, col classico riflesso pavloviano di qualsiasi mortale criticato su Facebook. (manuela d’alessandro)

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  • Greco avanti, ma Nobili non è molto lontano: gara apertissima per la Procura

    E’ apertissima la gara per la Procura di Milano dopo che oggi la quinta commissione del Csm ha proposto i nomi dei candidati alla successione di Bruti Liberati: il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco ha ottenuto tre voti (due da consiglieri di Area, uno da Sel); una preferenza, del togato di Mi, è andata al pm milanese Alberto Nobili e un’altra, quella della consigliera laica del Pdl, a Giovanni Melillo, capo di gabinetto del Ministro Orlando. Si è astenuto il togato di Unicost e proprio da questa non scelta bisogna partire per provare a immaginare quello che accadrà nel plenum.

    Unicost sembra più che mai decisiva, i cinque voti a sua disposizione possono cambiare l’esito della partita. Cosa ha voluto comunicare con la sua astensione il togato Massimo Forciniti? A quanto apprendiamo, la corrente è spaccata: da una parte Luca Palamara insisterebbe per Greco, scelta non gradita ad altri che invece punterebbero su Nobili.

    Greco è il candidato di Area, che ha un pacchetto di 7 voti tra i togati ed è corrente alla quale sarebbe vicino anche Melillo che oggi però è stata proposto dall’incertissima, fino all’ultimo, laica di centrodestra Elisabetta Casellati. Pare che il suo voto sia stato ispirato dal Presidente della Cassazione Giovanni Canzio al quale risulterebbe indigesta la nomina del capo del pool economico milanese. L’obbiettivo: sparigliare le carte, non far andare Greco contro Nobili allo scontro finale perché in un ‘uno contro uno’ avrebbe prevalso con molta facilità il primo.

    Nobili conta sui tre voti di Magistratura Indipendente e, oltre che sperare di ottenere le preferenze di Unicost, deve cercare consensi tra i laici. Stando a quanto riportato dal Sole24ore, la battuta che sta circolando in queste ore a Palazzo dei Marescialli è: “Davigo alla testa dell’Anm e Greco della Procura di Milano è troppo. Mani Pulite non può prendersi tutto”. Tuttavia, il procuratore aggiunto è molto gradito da Matteo Renzi e, almeno fino al voto della Casellato, sembrava godere anche delle simpatie di Silvio Berlusconi.  Area propone Greco ma, se la situazione dovesse pendere a favore di Nobili, a un certo punto potrebbe cambiare cavallo, buttandosi su Melillo. Finora il capo di gabinetto è stato considerato troppo ‘politico’, dimenticando che negli ultimi anni, con la gestione di Bruti,  la Procura di Milano è stata di fatto guidata da Quirinale e Palazzo Chigi. (manuela d’alessandro)

  • Perdere la libertà per un sorriso su Fb, la killer dell’ombrello punita dalla giustizia morale

    L’avvocato Nino Marazzita conferma lo scoop del ‘Corriere’ al telefono: “Sì, è andata proprio così. Le hanno tolto la semilibertà solo perché ha pubblicato una foto in costume al mare sul profilo Facebook”. Nessun divieto specifico del giudice della Sorveglianza a utilizzare i social o ad allontanarsi dal luogo di residenza. E allora, cos’è passato nella testa del giudice che ha revocato a Doina Matei  la misura alternativa al carcere conquistata con la buona condotta dopo otto anni, la metà della pena per avere ucciso una ragazza colpendola con la punta dell’ombrello nella metropolitana di Roma?

    Forse per la rumena di 21 anni era previsto il divieto a sorridere finché non finisce di scontare la condanna per omicidio preterintenzionale.  Ma questa è una prescrizione che può essere scritta solo nel codice della giustizia a furor di popolo, non in quello di uno stato di diritto.

    Immaginiamo il magistrato sfogliare due giorni fa ‘Il Messaggero’, autore della pubblicazione delle foto di Doina Matei, che aveva deciso di sfuttare un permesso godendosi il primo mare al Lido di Venezia. Ce lo figuriamo travolto dall’indignazione che scorre sui social, al bar. E oppresso dalla sua stessa indignazione di uomo per quella felicità che rinasce e seppellisce ancora una volta il dolore di una famiglia.

    Ex baby prostituta, Doina Matei aveva chiesto scusa ai genitori di Vanessa Russo, uccisa da un ombrello dopo una lite in metropolitana:”Ho invocato il perdono, non ho avuto risposta. Tocca a me ora piegarmi a quel silenzio”. In quel silenzio non doveva sorridere, ecco la sua colpa estrema. (manuela d’alessandro)

    *In serata, il Ministro Orlando ha spiegato che la concessione della semilibertà era condizionata a un utilizzo limitato del telefono cellulare ed è stata revocata perché l’accesso a Fb consente “di intrattenere rapporti con un numero illimitato di soggetti”. Ribatte l’avvocato Marazzita: “La mia assistita è stata ligia alle prescrizioni che, peraltro, non contemplavano alcun divieto esplicito per i social. Si è limitata a qualche foto postata durante un permesso premio di tre ore. Ne discuteremo in aula e sono certo che la spunteremo”.

    *Il 5 maggio il Tribunale di Venezia ha riammesso Doina Matei alla semilibertà stabilendo da questo momento il divieto dell’utilizzo dei social network.

  • Di Martino e le carriere frenate dei pm che indagarono su Di Pietro

    Per protestare contro le correnti, i veti e i controveti dentro la magistratura va in pensione il  pm Roberto Di Martino che rappresenta l’accusa al processo per la presunta frode sportiva del ct Antonio Conte. Ma i “guai” di Di Martino che si è visto rigettare dal Csm sia la richiesta di fare il capo della procura di Bergamo sia quella di diventare avvocato generale dello Stato a Brescia non derivano dal pallone. Bisogna tornare indietro di una ventina di anni quando a Brescia Di Martino indagò su Di Pietro per corruzione in atti giudiziari, il famoso caso di Chicchi Pacini Battaglia, l’uomo entrato e uscito come una meteora da Mani pulite, per ricordare le parole dell’avvocato Giuliano Spazzali nel teleprocesso a Cusani.

    A coordinare l’indagine sul magistrato simbolo della falsa rivoluzione di Mani pulite c’erano con Di Martino, Fabio Salamone, Francesco Piantoni e Silvio Bonfigli. Salamone si era candidato per la procura di Bergamo. Il Csm ha detto di no. Piantoni aveva chiesto di diventare procuratore aggiunto e non ce l’ha fatta. Bonfigli, confinato in procura generale a Brescia dopo anni di “esilio” in organismi internazionali, per sua fortuna non aveva chiesto nulla. E si è risparmiato un niet, perché quell’inchiesta che vedeva il buio dove tutti vedevano la luce con la notte che era scura davvero pesa ancora. Chi tocca i fili muore. Non si poteva mettere in discussione Mani pulite e infatti gli ineffabili gip  bresciani si adeguarono alla ragion di Stato, esemplificata da un comunicato dell’Anm che ai tempi per la prima volta nella sua storia difese l’indagato e non i pm. Ovviamente fu anche l’ultima.

    La magistratura non perdona chi canta fuori dal coro. Di Pietro viveva a scrocco degli inquisiti del suo ufficio tra prestiti a babbo morto, telefonini, Mercedes e appartamenti, ma fu prosciolto. La categoria così difese sé stessa, la sua immagine.

    Una sorta di legge dell’omertà, che sta nel dna del Csm, come dimostra la recente soluzione della guerra interna alla procura di Milano, dove ha pagato solo l’anello debole Afredo Robledo trasferito a Torino, mentre non ha pagato dazio il capo Bruti Liberati che “dimenticò” per 6 mesi in un cassetto il fascicolo Sea e che dal 16 novembre è tranquillamente in pensione.

    Tra meno di un anno ci sarà il 25esimo compleanno di Mani pulite. L’unica celebrazione seria sarebbe quella di mettere al quarto piano del palazzo di giustizia di Milano una targa con le parole intercettate di Pacini Battaglia: “Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato”. Parole che furono considerate millanterie dai giudici. In un paese in cui si celebrano processi per molto meno, e a ripetizione persino per un pelo di quella lana. Infatti siamo già praticamente al Ruby quater. Quasi come il caso Moro, insomma.  (frank cimini)

     

  • Così Tarfusser voleva cambiare la Procura di Milano, ma il Csm lo ha escluso

    “Prenderò di petto personalismi, invidie e gelosie”: questo era il programma che Cuno Tarfusser, già procuratore della Repubblica di Bolzano e oggi in servizio al tribunale internazionale dell’Aja, aveva sottoposto al Consiglio superiore della magistratura per sostenere la propria candidatura alla guida della Procura della Repubblica di Milano. Tarfusser non sembra destinato a entrare nel cerchio ristretto dei papabili: tanto che, come scrive oggi il Corriere della Sera, il Csm non lo ha nemmeno invitato alle audizioni che si sono tenute la settimana scorsa per dare modo agli aspiranti di illustrare il proprio programma. *
    Dalla lettura del programma di Tarfusser si intuiscono le ragioni che lo hanno tagliato fuori dalla corsa a raccogliere l’eredità di Edmondo Bruti Liberati. Innanzitutto la stringatezza del documento, considerata in ambienti del Csm eccessiva, ai limiti della povertà espositiva e di contenuti. Ma anche, forse, la presa di posizione assai esplicita sulle recenti vicissitudini della Procura milanese che Tarfusser indica senza eufemismi e a cui promette di porre fine in modo che è stato considerato un po’ brusco.
    Nel documento, dopo una serie di considerazioni piuttosto generiche sulla complessità organizzativa di un ufficio come la Procura di Milano e di auto-attestazioni sulla propria capacità di gestirlo al meglio, Tarfusser (su carta intestata del tribunale dell’Aja) scrive: “se sono indiscutibili le qualità professionali delle donne e degli uomini che rappresentano la magistratura requirente milanese, altrettanto innegabili sono le questioni e le problematiche, diciamo così, interpersonali e interdisciplinari. Considero assolutamente prioritario, quindi, per il nuovo Procuratore della Repubblica affrontare di petto questo problema. In una Procura della Repubblica deve esistere una vivace dialettica, un continuo e aperto scambio di idee e di informazioni, ma non ci può essere posto per personalismi, invidie, gelosie”. E annuncia che se diventerà il Procuratore sarà un capo “decisionista”, all’insegna del motto  “ubi comoda ibi incomoda”. Tradotto: visto che poi le rogne sono mie, è giusto che sia io a decidere. Anche questo, probabilmente, non ha aiutato la sua corsa verso la Procura milanese. (orsola golgi)

    * In serata è arrivata la notizia che il Consiglio ha cercato di porre rimedio alla gaffe invitando in extremis il collega altoatesino a presentarsi in piazza Indipendenza tra martedì e mercoledì prossimo.

    Il programma di Tarfusser

     

  • In 2 anni quadruplicate le domande degli aspiranti rifugiati, Tribunale in crisi

    Ci sono cifre che erompono dal Bilancio di Responsabilità Sociale del Tribunale di Milano presentato oggi nell’aula magna del Palazzo di Giustizia.  Riguardano il numero di stranieri che chiedono la qualifica di rifugiato. Un pezzetto del loro percorso di dolore e speranza passa dai giudici civili, competenti a valutare i ricorsi contro il diniego di concedere lo status da parte della comissione territoriale della Prefettura. Il lavoro di quest’ultima, si legge nel documento, “è aumentato in maniera esponenziale negli ultimi anni con conseguente immediato riflesso sul numero dei ricorsi proposti a seguito dei provvedimenti di diniego: 636 i ricorsi iscritti nel 2014, 1679 nel 2015 (fino a  tutto settembre 2015 sono stati 715, nei mesi di ottobre e dicembre i ricorsi sono aumentati a 964), con ulteriore tendenza all’aumento nel 2016 (in gennaio e febbraio il numero dei ricorsi è stato di 807, con una proiezione per il 2016 di oltre 4000 ricorsi)”. Nel giro di 2 anni, si sono più che quadruplicati. La spiegazione sembra facile: le istanze si impennano in concomitanza con la crisi siriana  e la chiusura delle frontiere da parte dei paesi del’Est Europa.

    Una situazione definita “critica” a livello giurisizionale nel Bilancio anche se sono arrivati dei rinforzi per far fronte all’emergenza e “dare una risposta alla domanda di protezione in tempi ragionevoli”: l’applicazione alla sezione prima civile, competente per tale materia, di ulteriori 9 giudici ordinari e 6 onorari e l’applicazione di un giudice extragiudiziale, a fronte dei 3 richiesti dalla Presidenza del Tribunale, per i prossimi 18 mesi”. Basterà?

    (manuela d’alessandro)

  • Il pm Gobbis stravince la gara dei voti per il consiglio giudiziario, voglia di nuovo in Procura?

    Alessandro Gobbis di Magistratura Indipendente, unico a sfondare il muro dei cento voti, stravince a sorpresa la gara delle preferenze nelle elezioni al consiglio giudiziario del distretto milanese. Assieme a lui, scelto da 136 votanti, entrano nel ‘piccolo Csm’ locale, i pm Donata Costa di Area (96), Alessandra Cerreti di Unicost (95) ed Eugenio Fusco, sempre di Area (86). A sopresa perché era il pm con meno anzianità di servizio in gara, per questo anche candidato al ruolo clou di segretario destinato di solito al più giovane eletto, e si è dedicato all’avventura politica solo negli ultimi mesi. Voglia di novità in una Procura monopolizzata per tradizione da Md cui apparteneva il procuratore uscente, Edmondo Bruti Libeati, e che vorrebbe piazzare anche il nuovo, Francesco Greco? Tra i grandi sconfitti, il pm del pool reati economici Adriano Scudieri, figura molto attiva in Md.

    Certo, a dar conto dei commenti nei corridoi della Procura, nessuno accreditava un simile exploit di preferenze al magistrato 48enne di origini venete, ex carabiniere dal carattere esuberante, titolare anche dell’indagine sull’attacco informatico ad Hacking Team. Magistratura Indipendente, considerata corrente di destra, si aggiudica anche la gara delle preferenze tra i giudici, conquistando le prime tre posizioni col pavese Andrea Balba, Anna Introini (presidente del Tribunale di Como) e Nicola Di Leo (giudice del lavoro a Milano).

    Tra le liste, resta il predominio di Area, in lieve flessione Unicost, mentre lievita  Magistatura indipendente nonostante la scissione della deludente, con solo un centianio di voti, Autonomia e Indipendenza,  creata dall’ex Mani Pulite Piercamillo Davigo. Martedì dovrebbe insediarsi il nuovo consiglio giudiziario che raccoglie l’eredità di quello diventato protagonista a Milano negli ultimi anni con interventi decisivi nella ‘guerra’ in Procura tra Bruti Liberati e Alfredo Robledo. (manuela d’alessandro)

  • Detenuto si ferisce con una lametta in aula, tre domande

     

    I fatti. Il ragazzo, cinese, classe 1989, ascolta la sentenza di condanna in appello a 6 anni nella gabbia riservata ai detenuti, ha una crisi di nervi, si taglia con una lametta da barba collo e polsi. Esce un po’ di sangue. Intervengono gli agenti della polizia penitenziaria per calmarlo e chiamano un’ambulanza. Viene portato in codice giallo all’ospedale Fatebenefratelli dove lo ricoverano. Nulla di grave, ma neanche proprio un graffietto.

    E le domande.

    1) Come ha fatto l’imputato a uscire dal carcere e portare con sé una lametta da barba in Tribunale? “E’ un ragazzo che ha dei problemi – spiega il suo avvocato Mauro Straini – ha solo 25 anni e 5 li ha trascorsi in carcere  per reati di droga. E’ un piccolo spacciatore, il suo ruolo nelle indagini è stato sovradimensionato. L’idea di farsi altri anni in prigione lo ha fatto crollare”.

    2) Perché non si è atteso l’arrivo dei soccorsi nell’aula della quinta sezione d’appello e si è trasportato subito il detenuto nelle camere di sicurezza del Palazzo di Giustizia, rischiando di aggravare (in teoria) le sue condizioni?

    3) Dal momento in cui l’ambulanza è arrivata, poco prima delle 12, a quando il giovane cinese è stato messo sulla lettiga sono trascorsi più di dieci minuti perché i soccoritori non riuscivano a trovare le camere di sicurezza, infilate in un cunicolo del cortile dopo un percorso da giramento di testa. “Dove sono le camere si sicurezza?”, hanno chiesto a chiunque incontravano gli uomini e donne in tuta arancione, smarriti.  Nessuno degli addetti ai lavori  è stato in grado o ha avuto la pazienza di indicarglielo. Lo hanno fatto dei giornalisti, che erano lì perché incuriositi dalla loro presenza.  Si ripropone il problema di come orientarsi in Tribunale. In teoria, i famosi fondi Expo per la giustizia, quelli impiegati per esempio nei monitor spenti da due anni che adornano tutto il Tribunale, sarebbero dovuti servire anche per la segnaletica. (manuela d’alessandro)

  • Expo, dopo i pm sabbia anche da Palazzo Marino

    Salta almeno per ora (ma il no rischia fortemente di essere definitivo) la commissione di inchiesta su Expo a Palazzo Marino. La caccia al franco tiratore ritenuto il responsabile dell’inguacchio lascia il tempo che trova. Non si può scoperchiare la pentola, non si vuole andare a vedere cosa c’è dentro. Il no politico arriva dopo la moratoria delle indagini decisa dalla procura tra inchieste interrotte, sospese, non fatte e archiviazioni con motivazioni tragicomiche.

    Insomma Expo non si tocca. Il messaggio è questo. Non si conoscono ancora i conti a oltre quattro mesi dalla fine dell’evento. Peppino Sala, il candidato a sindaco dei poteri forti tra i quali la procura di Milano, continua a fare spallucce e risponde che lui di bilanci parla solo con chi capisce di bilanci. Si tratta di una manifestazione di arroganza e prepotenza da parte di chi si sente con le spalle coperte. E la mancanza di verità getta ulteriori ombre sull’amministrazione Pisapia che cinque anni fa tante speranze aveva suscitato. Era il vento che doveva cambiare e non è cambiato.

    Expo si conferma come una grande abbuffata dove hanno mangiato in tanti e nell’elenco c’è pure la magistratura se si considera la vicenda mai chiarita dei fondi dell’esposizione per la giustizia con lavori affidati senza gare pubbliche a ditte amiche. Anche in questo caso resta senza risposta la domanda relativa a chi controlla i controllori. Nessuno in realtà.

    I conti di Expo sembrano destinati a pagarli, insieme ai contribuenti, quelli che il primo maggio andarono in piazza a protestare e che saranno processati per devastazione, reato ereditato dal codice fascista e che prevede condanne fino a 15 anni di reclusione. Nonostante un capo di imputazione che fa acqua da diverse parti come ha evidenziato la corte d’appello di Atene nel rimettere in libertà e rigettare la domanda di estradizione per cinque anarchici greci. Due pesi due misure nell’ex culla del diritto. Dove il diritto viene strumentalizzato al fine di allargare la foribice tra chi ha di più e chi ha di meno. Con tanti saluti a chi soprattutto a sinistra continua a vedere ingiustamente nel diritto uno strumento di trasformazione della società. Con tanti saluti all’esercizio obbligatorio dell’azione penale in realtà un simulacro per coprire nefandezze e alla necessità della politica e della pubblica amministrazione di dotarsi di anticorpi. Sono meri argomenti per convegni perchè la vita di tutti i giorni dei comuni mortali dice ben altro (frank cimini)

  • In esclusiva l’audio della telefonata Berlusconi – Mantovani: lavoro – sesso – segretarie

    Raccomandazioni, posti di lavoro da trovare a fratelli, compagni, ex mogli. E poi nomine per i vertici Aler da spartire in quote prestabilite tra Forza Italia, Lega, Ncd, Lista Maroni. Tra i criteri per sostenere un candidato “l’essere un bell’uomo”. E poi un’inedita battuta (sesso-lavoro-segretarie) in tipico stile di Arcore. “Non mettete quella famosa clausola che dice che la segretaria deve fare l’amore ameno una volta alla settimana”.

    Berlusconi Mantovani (file .wav)

    C’è tutto questo nella breve telefonata del 22 dicembre 2013 – pubblicata in esclusiva da Giustiziami – tra Silvio Berlusconi e Mario Mantovani. La conversazione è intercettata dalla Guardia di Finanza di Milano nel corso delle indagini che hanno portato l’ex senatore ed ex assessore regionale prima in carcere e poi ai domiciliari con accuse di corruzione, turbativa d’asta e altro. Nell’inchiesta condotta dal pm Giovanni Polizzi è indagato anche l’ex assessore regionale leghista Massimo Garavaglia, con l’accusa di aver dato il suo contributo a quella che gli inquirenti ritengono una turbativa d’asta: una gara per il servizio trasporto dializzati i cui effetti vengono vanificati, stando alle accuse, grazie all’intervento della catena Garavaglia-Di Capua-Scivoletto, ovvero l’assessore all’economia, il suo braccio destro e il direttore della Asl1 di Milano. Viene così favorita una onlus, la Croce Azzurra Ticino, facendo arrabbiare chi quella gara se la era regolarmente aggiudicata. Garavaglia, indagato per questo unico episodio, ha presentato una memoria difensiva. L’8 marzo, davanti al gup Gennaro Mastrangelo, inizierà l’udienza preliminare per 15 imputati, tra cui i due politici Mantovani e Garavaglia.

    Berlusconi, intercettato indirettamente mentre parla con il fedelissimo Mantovani, non è indagato. Tra gli episodi citati nella conversazione che pubblichiamo, uno merita una spiegazione. E’ quello che riguarda Alan Rizzi, capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale a Milano. Il quale, a dicembre 2013, decide di passare a Ncd, ‘tradendo’ l’ex Cavaliere. Pochi giorni dopo, però, fa marcia indietro. Con una mossa imprevista e apparentemente inspiegabile. Che cosa ci sia dietro, lo chiariscono le parole di Silvio Berlusconi.

  • Il giudice legge la sentenza con un lumicino

    Giustizia al lumicino per Diamante e Matteo Marzotto, eredi del noto marchio della moda, condannati a dieci mesi di carcere dal Tribunale di Milano per evasione fiscale. La luce se ne va, ma basta un lumino per consentire al giudice della seconda sezione penale di legggere la sentenza. (m.d’a.)

  • L’ordinanza sulla sanità lombarda, solo per chi non soffre di mal di denti

    Leggete questa ordinanza solo se non soffrite di mal di denti. In caso contrario, dopo avere scoperto con quali criteri e con quali materiali il vostro sorriso viene curato in tantissimi ospedali lombardi, splancherete le vostre bocche tremando di paura. tra gli arrestati, il consigliere regionale della Lega Fabio Rizzi.

    ordinanza Rizzi – sanità

  • Due processi, tre versioni sulle spese della Lega: a casa Bossi non si parla

     

    A casa Bossi si parla poco. Non si spiegherebbe altrimenti come sia possibile che in due processi distinti, ma con lo stesso tema, le versioni di papà Umberto e dei figli risultino così diverse. Il punto è quello delle spese personali per false lauree in Albania, multe e altro che sarebbero state sostenute coi soldi del partito. Accusa per la quale Riccardo Bossi, il figlio maggiore di Umberto, ha scelto di essere processato col rito abbreviato, mentre il senatur e Renzo ‘Trota’ Bossi sono a giudizio con rito ordinario.

    Oggi il pm Paolo Filippini ha chiesto la condanna a un anno di carcere per Riccardo, che avrebbe dilapidato  per scopi privati 160mila euro del Carroccio. “Ma lui non sapeva di prendere denaro del movimento politico – ha affermato nell’arringa l’avvocato Agostino Maiello –  Li chiedeva al segretario Francesco Belsito (ndr il tesoriere, anch’egli a processo) e alle segretarie perché non riusciva a parlare  col senatore. Un po’ perché Umberto era sempre impegnato, un po’ perché con lui aveva rapporti complicati. Come tutti i primogeniti, dopo la separazione ha preso le parti della mamma  e col papà parlava solo di fatti di natura economica. E comunque le spese che lo riguardano erano autorizzate dal padre. Riccardo non è complice di quanto emerso in questa indagine. Ha solo chiesto aiuto in un momento di difficoltà economica, ma non sapeva che il padre quei soldi li prendeva dal partito”. Per il primogenito pilota di rally, quindi, papà sapeva di foraggiarlo tramite i segretari del partito. Ma è lo stesso padre, tramite l’avvocato Matteo Brigandì che lo difende dall’accusa di truffa, a smentirlo: “Bossi non si è mai occupato di soldi ma solo di politica. Non sa neppure quanto costa un chilo di pane”. A confermarlo, sempre in questo processo, è stata anche l’ex contabile della Lega, Nadia Dagrada: “Bossi doveve essere messo al corrente delle spese di famiglia perché ne era all’oscuro e dissi a Belsito che dovevamo parlargliene”. Poi, c’è la terza versione, quella del giovane Renzo, che invece nega di avere mai prelevato euro dalle casse di via Bellerio e precisa di essersi pagato di tasca propria multe e cartelle esattoriali. E la laurea a Tirana? “Di quella non sapevo proprio nulla”.  (manuela d’alessandro)

     

     

     

     

  • Benedetto dai giudici Mr Expo verso Palazzo Marino

    Benedetto dai giudici, tra indagini sospese o mai fatte, un’archiviazione con motivazione tragicomica senza nemmeno interrogare l’indagato (appalto a Eataly), Mister Expo, al secolo Giuseppe Sala veleggia verso Palazzo Marino dove si accomoderà a giugno praticamente da candidato bipartisan, ammesso e non concesso che esistano differenze tra centrodestra e centrosinistra.

    E’ questo il risultato delle “primarie più belle del mondo” (la surreale definizione arrivata dal sindaco uscente). I conti di Expo ancora non li conosciamo, ma giornaloni, giornalini e tg in coro continuano a proclamare successo e vittoria, del resto foraggiati dai fondi dell’esposizione universale e non è certo l’unico conflitto di interessi di una vicenda terrificante.

    Sala favorì Eataly di Farinetti ma non c’è prova che ne avesse l’intenzione, hanno sentenziato in corso di Porta Vittoria aggiungendo pure che c’era fretta di realizzare l’opera e mancava del tutto il tempo per indire la gara pubblica. Concetti come si può vedere altamente giuridici. Ma le toghe che così hanno deciso lo hanno fatto per autoassolversi. Anche per i fondi Expo della giustizia i vertici del palazzo che fu simbolo della falsa rivoluzione di Mani pulite non fecero gare pubbliche affidando i lavori ad aziende già  sicure interlocutrici nel passato della pubblica amministrazione. “Aziende amiche” insomma. Amiche di chi? Expo è stata una grande abbuffata dove hanno mangiato in tanti. Si attovagliò quanto meno a livello di scambi di potere anche qualche magistrato? A vedere recenti percorsi professionali parrebbe proprio di sì, ma saperlo sarebbe bello e nello stesso tempo è impossibile.

    Siamo alle prese con un potere incontrollato e incontrollabile. Il Csm, confermando di avere l’omertà nel Dna, ha rifiutato di aprire una pratica sulla presunta moratoria. Con i comuni mortali si fanno processi per molto meno, soprattutto a Milano poi persino per un pelo di quella lana… Beppe Sala invece favorì Eataly, una sorta di unico ristoratore adeguato alla bisogna, a sua (dello stesso mister Expo) insaputa.

    Moratoria infinita ma solo su appalti e affini. Il conto di Expo rischiano fortemente di pagarlo in modo spropositato i militanti antagonisti che il primo maggio lanciarono pietre contro le vetrine delle banche, altre beneficiarie della grande abbuffata. Il 6 aprile inizierà il processo a quattro imputati per devastazione, reato ereditato dal codice fascista e che prevede la reclusione fino a 15 anni. Conterà poco probabilmente che la corte d’appello di Atene rigettando cinque estradizioni ha scritto che le pene previste sono eccessive e che l’accusa fa acqua da diverse parti essendo poco precisa nei confronti dei singoli. Si tratta di indagati che non fanno parte del cosiddetto “sistema paese” il quale, magistratura in testa, ha salvato la patria di Expo e scelto il nuovo inquilino di palazzo Marino (frank cimini)

  • Apple e Google, la “campagna” del pm Greco per diventare capo

    Andare sui giornaloni e sui giornalini mentre il Csm sta per decidere chi sarà il nuovo procuratore capo di Milano aiuta, soprattutto se si parla e si scrive delle esterovestizioni di due colossi come Apple e Google. Apple che accetta di versare all’Agenzia delle Entrate 318 milioni di euro davanti a una contestazione originaria di 880 milioni. A Google ne vengono contestati 227, notificati in queste ore, e poi si “patteggerà” la somma. Sotto la supervisione decisamente anomala della procura alla quale spetterebbe solo di istruire il processo penale. Ma così è e tutto va bene madama la marchesa. A capo del pool reati societari c’è il procuratore aggiunto Francesco Greco, un magistrato già molto mediatico di per sè e in pole position per succedere a Edmondo Bruti Liberati in pensione dal 16 novembre scorso.

    Uno scoop dietro l’altro per influire sulla scelta del cosiddetto organo di autogoverno dei magistrati. Del resto la carica di capo dei pm di Milano tocca a Magistratura Democratica (che aveva rinunciato a battagliare per la presidenza del Tribunale) in una spartizione tutta politica che dura da sempre e che dovrebbe far ridere se si pensa ai proclami quotidiani di indipendenza e autonomia della magistratura. Ma diciamo che ormai, purtroppo, ci abbiamo fatto il callo.

    In ballo c’è il vertice della procura più importante d’Italia anche se la fama (sia chiaro solo per chi ci aveva creduto allora) non è quella dei tempi di Mani pulite, soprattutto se si pensa alla lesione di immagine (eufemismo) verificatasi con lo scontro interno tra Bruti e Robledo, e al fascicolo Sea dimenticato per sei mesi, riemerso solo quando non si potevano più fare indagini.

    Greco era nel cerchio magico di Bruti e la sua designazione assicurerebbe continuità. Greco da procuratore aggiunto nel suo curriculum vanta si fa per dire anche di aver chiesto una dozzina di archiviazioni in procedimenti per evasione fiscale a carico di imprenditori comuni mortali. Tutte respinte dal gip con intervento della procura generale che avocava e otteneva la citazione diretta a giudizio e successivamente pure diverse condanne. Della vicenda si è letto solo su questo blog, sul Giornale e sul Fatto Quotidiano.

    Giornaloni e giornalini evidentemente avevano altro da fare: tirare la volata a Francesco Greco. Che la legge è uguale per tutti, nelle aule e sui media, lo vadano a raccontare altrove (frank cimini)

  • Nel totoprocuratore spunta il nome dell’outsider Jimmy Amato

    E adesso, nel totonomina che impazza, salta fuori anche l’idea di nominare un outsider: Giuseppe Amato detto Jimmy, oggi procuratore della Repubblica a Trento. Molto giovane, e sicuramente meno esperto degli altri contendenti, ma proprio per questo idoneo a portare la cosa fuori dall’impasse in cui rischia di finire.

    La sostanza è che mai, nella storia recente della Procura di Milano, la nomina di un capo era stata così incerta. La scelta del successore di Edmondo Bruti Liberati, che ormai da oltre un mese se n’è andato in pensione lasciando la guida provvisoria dell’ufficio al più anziano dei suoi vice, Piero Forno, si sta rivelando un rompicapo in cui si accavallano manovre di corrente, equilibri politici, e anche ragionamenti più sensati sul rapporto tra le diverse esigenze in campo: deve prevalere l’esigenza di continuità, o è venuto il momento di segnare una rottura con un passato fatto di momenti luminosi ma anche di ombre e veleni?

    Francesco Saverio Borrelli, Gerardo D’Ambrosio e Manlio Minale approdarono alla guida della Procura in modo quasi scontato: erano, ognuno a suo tempo, il più esperto e autorevole degli aggiunti, e si trovarono sostanzialmente senza rivali per la carica di procuratore. Anche Bruti era procuratore aggiunto, e l’investitura bipartisan che andava da Magistratura democratica a Forza Italia gli consentì di battere in scioltezza l’unico concorrente, Ferdinando Pomarici, che pure era assai più esperto di lui. Ma ora? Due degli aspiranti, Francesco Greco e Ilda Boccassini, sono attualmente procuratori aggiunti. Ma stavolta questa carica più che un vantaggio può rivelarsi un handicap, se prevalesse la linea del rinnovamento. D’altronde entrambi sono stati assai vicini a Bruti nei mesi cupi dello scontro con Alfredo Robledo, e se il Csm decidesse di girare pagina non sarebbero i candidati ideali.

    Già, ma cosa deciderà il Csm? Gli equilibri romani sono mutevoli per definizione, e in questo caso mutano ancora più rapidamente. Il fatto stesso che nelle ultime ore sia saltato fuori il nome di Amato (figlio di Nicolò, magistrato, già capo del dipartimento carceri, poi avvocato difensore di Bettino Craxi) che finora era stato considerato un candidato senza chance, testimonia la confusione che regna. Lo stato dell’arte può essere riassunto così: all’interno del comitato di presidenza del Csm, il vicepresidente Giovanni Legnini spinge per Francesco Greco; il neopresidente della Cassazione, Giovanni Canzio, vorrebbe una nomina da fuori, possibilmente Giovanni Melillo, oggi capo di gabinetto del ministro Orlando; il procuratore generale Pasquale Ciccolo per ora non si esprime. Ma quando la pratica approderà alla commissione incarichi direttivi e poi al plenum, i giochi si faranno ancora più complessi. Magistratura democratica e buona parte dei consiglieri ‘laici’ sia di centrosinistra che di centrodestra sono intenzionati a votare Greco, mentre i moderati di Unicost e alcuni laici voterebbero (per ora) Alberto Nobili, fino a pochi mesi fa anche lui procuratore aggiunto. A fare pendere la bilancia sarebbe a quel punto la linea che prenderanno i giudici conservatori di Magistratura Indipendente, il cui leader Claudio Galoppi è stato in questi mesi una delle voci più influenti del Csm. Magistratura Indipendente non ha un suo candidato, quindi ha le mani libere nel puntare su altri nomi.

    Una soluzione di compromesso poteva essere il procuratore di Novara, Francesco Saluzzo, che pure aveva fatto domanda: ma è stato appena nominato alla guida della procura di Torino. Senza appoggi, allo stato, le autocandidature di Ilda Boccassini e di Nicola Gratteri, oggi procuratore aggiunto a Reggio Calabria. Insomma, un caos dagli esiti imprevedibili, in cui di una sola cosa non si parla: quale debba essere il ruolo della Procura in una città complessa come Milano, dove si parla molto di sicurezza, e assai poco di poteri forti. (orsola golgi)

  • Moratorie, Expo è la Fiat del terzo millennio

    Expo è la Fiat del terzo millennio. La moratoria sulle indagini relative all’esposizione non è certo una novità. Tutto vecchio. Accadde già nel corso della finta rivoluzione di Mani pulite con la Fiat. Correva l’anno 1993. Una riunione nell’ufficio dell’allora capo della procura Borrelli con gli avvocati della multinazionale, in testa Giandomenico Pisapia, il padre del sindaco di Milano, e zac. Via tutto. Nonostante Cesarone Romiti avesse presentato un elenco di tangenti pagate molto lacunoso (eufemismo). C’era un pericolo di inquinamento probatorio enorme. Non solo Romiti non finì a San Vittore (sempre bene quando non si usano le manette ma deve valere sempre e per tutti). Finirono le indagini, gli accertamenti, le perquisizioni, gli interrogatori, le iscrizioni nel registro degli indagati.

    E la Fiat non fu l’unico colosso a essere miracolato. Il discorso fu lo stesso per la Cir di Carlo De Benedetti, per Mediobanca che fece un solo boccone di Montedison. Memorabili le parole dell’avvocato Giuliano Spazzali durante il teleprocesso a Sergio Cusani: “Se il dottor Di Pietro decidesse di andarsi a fare un giro dalle parte di via Filodrammatici io lo accompegnerei volentieri”. Tonino da Montenero di Bisaccia se ne guardò bene. Last but not least, la deposizione dell’allora ad dell’Eni, Franco Bernabè. “L’abbiamo finita con la pratica delle società off-shore?” fu la domanda del pm che sognava Mani pulite nel mondo. “La stiamo finendo” fu la risposta che confessava un reato in flagranza. Ma accadde nulla. (altro…)

  • Maroni vuole illuminare la regione per il family day, ha invitato anche la Paturzo?

     

    Leggiamo su repubblica.it che “su idea del governatore Roberto Maroni la Regione pensa di inviare il gonfalone con la rosa camuna al Family Day organizzato sabato 30 a Roma e di illuminare lo stesso giorno il Pirellone con la scritta Family Day”.

    Il Pirellone quel giorno arrossirà imbarazzato fino alla cima dei suoi 127 metri se il concetto di famiglia ‘tradizionale’ caro al leghista è quello che emerge dalla lettura delle carte del processo in cui è imputato per turbata libertà del contraente e induzione indebita.  Sposato con Emilia Macchi che l’ha accompagnato all’ultima apertura della stagione scaligera, Maroni avrebbe fatto pressioni sui vertici di Expo per far ottenere un soggiorno di lusso in Giappone alla collaboratrice Maria Grazia Paturzo alla quale “era legato da una relazione affettiva”. A confermare la liason, secondo il pm Eugenio Fusco, intercettazioni e sms dai quali si evincerebbe anche la gelosia della portavoce Isabella Votino indignata con Maroni per averle messo tra i piedi Paturzo: “Farmela trovare a lavorare qui non mi sembra corretto, potevi trovarle un’altra sistemazione”.  Nelle motivazioni alla sentenza di condanna a 4 mesi per il direttore generale di Expo Christian Malangone, sempre  nell’ambito della stessa indagine, il giudice scrive che Maroni avrebbe “strumentalizzato la sua qualità di presidente della regione Lombardia per ottenere uno scopo del tutto personale” quale “la compagnia della Paturzo nel viaggio all’estero a spese del privato”, una “partecipazione legata esclusivamente al piacere personale del presidente”. Questo concetto di famiglia ‘tradizionale’ sembra avvicinarsi molto a quello sbandierato da alcuni partecipanti al Family Day del 2007, come Silvio Berlusconi e Pierferdinando Casini, di cui sono noti divorzi e irrequietudini.   (Manuela D’Alessandro)

     

  • I giudici milanesi che hanno firmato l’appello per la stepchild adoption

    Tra i ‘milanesi’ ci sono il presidente di sezione Elena Riva Crugnola, i giudici Olindo Canali, Maria Luisa Padova, Caterina Interlandi, Francesca Fiecconi  e Alessandra Dal Moro, la preside della facoltà di Giurisprudenza della Statale, Nerina Boschiero, l’ex procuratore Edmondo Bruti Liberati, il giudice in pensione Nicoletta Gandus, diversi professori universitari e avvocati. Assieme ad altri trecento giuristi hanno firmato un appello per includere la stepchild adoption nella legge sulle unioni civili che verrà dicussa a fine mese in Senato, uno dei temi più dibattuti anche nella maggioranza tra chi è favorevole o contrario all’adozione del figlio, naturale o adottivo, del partner. (altro…)

  • Contabile dei Mangano a giudice: “Fammi vedere il mio cammello’”, ma lui dice no

    “Signor giudice, mi faccia uscire all’alba per vedere il mio cammello. Senza di me, non mangia”. Se c’è una classifica delle istanze buffe a un magistrato, questa merita un posto d’onore. Rocco Cristodaro, ritenuto dalla Procura di Milano il contabile di Cinzia Mangano, figlia dell’ex stalliere di Arcore Vittorio, lo ha chiesto al giudice Fabio Roia che ne ha disposto la sorveglianza speciale con obbligo di dimora a Palazzo Pignano, un piccolo comune del cremasco. Tra le imposizioni, anche quella di non uscire di casa prima delle 7 e dopo le 21, un diktat apparso insostenibile a Cristodaro il quale, attraverso il suo legale, ha fatto pervenire un’accorata istanza a Roia, pregandolo di farlo uscire di casa alle 5 e mezza per andare a sfamare l’adorato amico con la gobba. Il cammello vive a pochi metri da casa Cristodaro, nella ‘fazenda’ di famiglia che ospita varie bestie e anche matrimoni. Secco il no del giudice: il cammello può mangiare benissimo più tardi o comunque a quell’ora non c’è bisogno che lo imbocchi il suo padrone. A Rocco Cristodano e a suo fratello Domenico sono stati confiscati dalla sezione prevenzione del Tribunale beni per più di sei milioni di euro, tra cui  gli immobili dell’attività agricola, per un’intensa attività criminale portata avanti dagli anni ’90, compresa la creazione di un sistema di cooperative per sfuggire agli obblighi fiscali. (manuela d’alessandro)

  • Le centinaia di fascicoli abbandonati al settimo piano del Tribunale

    I colori della legge: rosa, verde, azzurro, giallo. Non si può dire che questa fotografia scattata al settimo piano del Tribunale di Milano rimandi l’immagine di una giustizia grigia.  E neppure di una giustizia chiusa in se stessa; chiunque può passare, sfogliare, portare via. Pezzi di antiquariato giudiziario o fascicoli freschi. Se avete la passione degli archivi passate di qua, nel fine settimana, a  farvi un bagno di colore. (manuela d’alessandro)

  • Cassazione, censura al giudice milanese che ha irriso l’avvocato

     

    Avviso ai giudici: prendere in giro un avvocato non si può, anche se ha torto. A fare sfoggio di eccessiva ironia era stato il magistrato milanese Benedetto Simi De Burgis incappato qualche tempo fa in una sanzione disciplinare del Csm per avere tenuto un “tono irridente e allusivo” nei confronti di una curatrice nell’ambito di una procedura di sostegno. La suprema corte ha depositato ora una sentenza con la quale conferma la censura inflitta dal Csm, che è una “dichiarazione formale di biasimo” a carico di Simi De Burgis per avere violato il “i doveri di correttezza, imparzialità ed equilibrio, ponendo in essere abitualmente provvedimenti lesivi della sua immagine, gravemente scorretti nei confronti di parti, difensori, personale amministrativo, colleghi e ausiliari” (legge 109 del 2006 sugli illeciti disciplinari dei magistrati).

    Il magistrato si era preso gioco per iscritto di una curatrice ironizzando sulla sua esosa richiesta di liquidazione rispetto all’entità del patrimonio da lei amministrato e su altre strategie procedurali del legale.  Con la sentenza, gli ermellini smontano le tesi difensive del magistrato anche in relazione ad altre incolpazioni, tra cui cui avere fornito a una delle parti di un procedimento di interdizione suggerimenti in virtù di “un rapporto di conoscenza personale” e avere revocato a una professionista la nomina di curatrice di un minore a seguito dell’accusa, poi rivelatasi “infondata, di avere trattenuto illecitamente somme di proprietà dell’assistito”.  De Burgis nel ricorso ha scritto  che l’avvocatessa redarguita “aveva specifici motivi di astio nei suoi confronti” ma per le sezioni unite i sei capi di incolpazione costituiscono nell’insieme”comportamenti abitualmente e gravemente scorretti”. E, in ogni caso, anche se il legale aveva torto, come rivendicato da De Burgis, per la suprema corte poco conta: non doveva permettersi di sbeffeggiarla.  (manuela d’alessandro)

    Sentenza Cassazione su Simi De Burgis

  • NoTav, non fu terrorismo. Teorema Caselli ko anche in appello

    Finisce al tappeto anche in appello il teorema Caselli che aveva addebitato a 4 militanti NoTav di aver agito con finalità di terrorismo nell’azione contro il cantiere di Chiomonte la notte tra il 13 e il 14 maggio del 2013. La corte d’assise d’appello ha confermato la sentenza che in primo grado aveva assolto gli imputati dall’accusa più grave, condannandoli per i reati fine, tra cui il lancio di molotov contro mezzi militari, a 3 anni e 6 mesi di reclusione.

    Già la Cassazione in due occasioni aveva escluso la finalità di terrorismo, adesso è arrivato pure il verdetto d’appello. Il procuratore generale di Torino Marcello Maddalena stamattina aveva replicato alle arringhe dei difensori sollecitando i giudici a condannare gli imputati a 9 anni e mezzo. “Spetta a voi l’ultimo giudizio di merito” erano le parole del pg alle quali rispondeva l’avvocato Giuseppe Pelazza: “E’ come se avesse detto dopo di voi il diluvio, ma non c’è il diluvio, c’è il sole”.

    Maddalena sempre al fine di convincere la corte d’assise d’appello, soprattutto i giudici popolari, citava la storia dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, morto dilaniato da un ordigno che stava collocnado su un traliccio di Segrate il 15 marzo del 1972. “Il Pg sembra avere un legame quasi coatto con gli anni ’70” controreplicava sul punto Pelazza.

    Insomma l’accusa non è riuscita a sfondare dopo aver giocato tutte le carte possibili e immaginabili. Ha ottenuto, va ricordato, che la finalità di terrorismo è servita a far trascorrere a questi e altri imputati  più di un anno di detenzione in regime di alta sorveglianza, una sorta di 41bis di fatto, l’articolo del regolamento carcerario erede dell’articolo 90 dei cosiddetti “anni di piombo”.

    La posta in gioco andava al di là del singolo processo. Caselli, ex pg dopo essere stato già una volta a capo della procura con scambio di ruoli con Maddalena in una sorta di facciamo quello che ci pare senza che il Csm dicesse nulla, intendeva bollare come “terrorismo” qualsiasi azione di resistenza non passiva. Anche a costo di trattare il danneggiamento di un compressore bruciacchiato come il rapimento Moro. Caselli, ora in pensiome, non c e l’ha fatta, nonostante l’aiuto del pg tra pochi giorni pure lui in quiescenza arrivato personalmente in aula a perorare la causa dell’emergenza infinita diventata prassi normale di governo.

    Insieme a Maddalena escono sonoramente sconfitti i Caselli boys, i pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, coordinatori dell’inchiesta e rappresentanti dell’accusa in corte d’assise. Il primo, destrorso vicino ai Fratelli d’Italia, il secondo ex militante della federazione giovanile comunista, insieme appassionatamente in una sorta di arco costituzionale della repressione.

    Sicuramente l’accusa ricorrerà ancora in Cassazione. Lor signori non demordono. E invece tanto furore investigativo potrebbero dedicarlo agli appalti dell’alta velocità che sembrano gli unici onesti e trasparenti in un’Italia ad alto tasso di corruzione. Purtroppo il Tav, come del resto Expo, fa parte del “sistema paese”. E allora non si indaga, con calorosi saluti all’obbligatorietà dell’azione penale e all’indipendenza della magistratura, principi da strombazzare nei convegni e nei comunicati stampa. Insomma, il vero terribile problema era il compressore (frank cimini)

  • Banche, prezzemolino Cantone…demagogia da 4 soldi

    Non si chiama Wolf ma risolve problemi, secondo Matteo Renzi da palazzo Chigi che ormai Raffaele Cantone lo ficca dappertutto. L’ultimo in ordine di tempo compito assegnato all’ex pm anticamorra (minacciato, finì al massimario della Cassazione ma lì si annoiava perchè non c’erano telecamere microfoni e taccuini) è quello di decidere chi dei truffati dalle banche deve essere risarcito. Che cosa c’entri l’attuale responsabile dell’autorità anticorruzione con il caso delle obbligazioni tossiche che le banche avrebbero rifilato ai clienti in cambio dei mutui non è dato sapere.

    La stessa fattibilità dell’incarico è a rischio, tanto che si parla di un decreto ad hoc. Siamo è vero da decenni nella repubblica penale per cui si ricorre in continuazione a magistrati ed ex magistrati, siamo nel paese in cui più di vent’anni fa il capo dei signori del quarto piano esternò in caso di bisogno la disponilbilità a governare il paese se fosse stato chiamato dal Quirinale “per una missione di complemento” insieme ai cuoi colleghi.

    Allora eravamo all’alba della falsa rivoluzione di Mani pulite, ma adesso l’impressione è quella di aver oltrepassato pure il populismo penale per stare ampiamente nella demagogia da quattro soldi approfittando di indifferenza, rassegnazione, ignoranza e stupidità che in giro fanno sempre più proseliti.

    Expo sulla quale Cantone ha “vigilato” è finita. Corruzione debellata? E’ quantomeno azzardato dirlo, se si considera che l’ex magistrato anticamorra è stato complice della moratoria delle indagini sugli appalti decisa dalla procura di Milano in adesione al “sistema paese” per non far saltare l’esposizione. E pure per un altro motivo. A violare il principio e la norma delle gare pubbliche sui fondi Expo destinati alla giustizia erano stati i vertici del palazzo di corso di porta Vittoria. Sull’affaire è sceso un silenzio tombale. Indiscrezioni e boatos riferiscono di accertamenti in corso, di persone che sarebbero state sentite anche di recente. Ma questi approfondimenti spetterebbero alla procura di Brescia perchè l’articolo 11 è molto preciso nei casi in cui siano coinvolti anche solo per mera ipotesi toghe che operano nello stesso distretto giudiziario. Lor signori in toga se ne fregano.

    E Renzi che in due occasioni, agosto e novembre, in relazione al “successo” di Expo ha ringraziato Bruti Liberati “per la sensibilità istituzionale” (cosa se non la moratoria?), ci rifila Cantone come colui chiamato a soddisfare la sete di giustizia dei risparmiatori (o investitori?). Dopo averci regalato Peppino Sala (beneficiato dalla moratoria) come candidato sindaco del centrosinistra, non sappiamo se con trattino o senza trattino, ma senza dubbio anche della procura di Milano (frank cimini)

  • Mai più infermi in Tribunale, Milano lancia la ‘tutela via pc’

    Milano lancia, prima in Italia, la ‘tutela’ via pc. Con una piccola telecamera applicata al computer, i magistrati potranno decidere nel loro ufficio se a una persona debba essere affiancato o meno un amministratore di sostegno, senza aver bisogno di convocarla in aula.  Sono più di un centinaio all’anno a Milano le udienze in cui a chiedere la tutela sono i familiari di anziani, disabili fisici e psichici, malati terminali, non più in grado di badare a se stessi e ai loro interessi. La legge prevede che un giudice controlli la fondatezza della richiesta ponendo in aula alcune semplici domande al beneficiario per valutare le sue reali condizioni. “Questo significa portare in Tribunale con un’ambulanza un malato, in sedia a rotelle o su una lettiga, provocando gravi disagi fisici e psicologici  a lui e ai suoi familiari”, spiega Ilaria Mazzei, giudice del settore ‘Tutele’ e tra gli ideatori del nuovo sistema che partirà con l’anno nuovo. “Per evitare queste situazioni disagevoli e accellerare i tempi, abbiamo pensato di collegarci attraverso una telecamera installata sui nostri pc con gli istituti in cui si trova la persona che deve essere sentita. Al suo fianco ci sarà il direttore del centro che lo ospita o un suo delegato in grado di confermare che chi è in collegamento sia il richiedente tutela”. A quel punto, il giudice potrà rendersi conto se si trova di fronte a un soggetto che necessita della presenza di un amministratore di sotegno, quasi sempre un familiare oppure un avvocato. Solo ormai in casi rarissmi  i giudici dichiarano interdetta una persona bisognosa di un ‘angelo custode’ , cercando di evitare una ‘sentenza’ che sbriciola, almeno a livello formale, la dignità di una persona. (manuela d’alessandro)

  • Visioni e sogni dei detenuti in mostra nel Palazzo di Giustizia

    Salvatore (commosso sul finale). “Io non sapevo dipingere, poi me l’hanno insegnato. Ora è l’unico passatempo che ho. Di più non sono capace di dirvi”. Nella sua cella Salvatore ha raccolto sei rose gialle e rosse e le ha piantate tra spicchi di blu. Ora profumano di gioia nell’atrio del terzo piano del palazzo di giustizia che ospita la mostra ‘Sogni di segni, segni di sogni’, dove prendono forma incanti e visioni dei detenuti del carcere di San Vittore e delle mamme dell’Icam. Per tre ore alla settimana hanno frequentato laboratori di pittura promossi dall’Anm milanese in collaborazione con la direttrice del penitenziario, Gloria Manzelli, e col centro provinciale istruzione adulti (C.P.I.A.). “In queste opere non vengono raffigurati momenti di detenzione”, spiega il magistrato della sorveglianza Gaetano Brusa, “ma c’è il frutto della libertà e della fantasia degli autori”. Ci sono spose con abiti lunghissimi e stellati, feste, squali, ritratti, santi, e tante eruzioni astratte di colore da interpretare, o anche no. A noi è piaciuto molto il labirinto fantastico in bianco e nero immaginato da Lbida Abdelhadi nel dipinto ‘Sii presente in ogni momento della vita’. (manuela d’alessandro)

    ‘Sogni di segni, segni di sogni’ , dal 3 dicembre al 31 gennaio nel Palazzo di Giustizia di Milano. Ingresso libero.  Le opere esposte possono essere acquistate inviando una mail all’indirizzo anm.milano@outlook.it

  • NoTav, da Cassazione nuova batosta per il teorema Caselli

    E due. La Cassazione per la seconda volta boccia il teorema Caselli e afferma che nell’azione contro il cantiere di Chiomonte di cui rispondono 3 militanti NoTav non è ravvisabile la finalità di terrorismo. La norma prevede che chi agisce deve volere un danno grave per un paese o una organizzazione internazionale, ribadisce la Suprema Corte, spiegando inoltre che le bottiglie molotov furono lanciate solo contro i mezzi di cantiere e non contro le persone che stavano lavorando.

    Le censure della procura alla motivazione del tribunale del riesame che avveva annullato l’ordinanza del gip “rasentano l’inammissibilità” scrivono i giudici della prima sezione penale della Cassazione. La Suprema Corte conferma quanto deciso dal Tribunale al quale i pm addebitavano una lettura frammentaria degli elementi di prova e l’illogicità della motivazione.

    Insomma i pm torinesi se ne dovranno fare una ragione, anche se appaiono chiaramente intenzionati in tutt’altra direzione. Dal momento che il procuratore generale Marcello Maddalena, alla vigilia della pensione è presente come rappresentante d’accusa al processo d’appello contro i 3 militanti NoTav che riprenderà il prossimo 11 dicembre.

    In pensione da un po’ è invece l’ideatore del teorema, l’ex procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli, un professionista dell’emergenza fin dagli anni ’70 che ha cercato invano di trasformare un compressoricidio in una sorta di rapimento Moro. Nell’azione che risale alla notte tra il 13 e il 14 maggio del 2013 fu danneggiato infatti un compressore. Ma da quell’episodio partì non solo un’inchiesta con arresti e detenzione in regime di alta sorveglianza protrattasi per altri 4 militanti NoTav anche quando l’aggravante della finalità di terrorismo era caduta ma una campagna mediatica martellante sul pericolo della sovversione nell’alta velocità.

    Del resto quando alla prima udienza del processo ai tre, poi assolti dall’accusa di terrorismo e condannati a 3 anni e 6 mesi per i reati fine, il presidente della corte comunicò che la Ue, citata dai pm tra le parti offese, comunicava di non volersi costituire parte civile, la notizia non apparve su nessun giornale. I grandi quotidiani di questo paese sono controllati direttamente o indirettamente dalle banche, molto interessate (eufemismo) alle opere dell’alta velocità. E quindi un po’ tutti i poteri hanno dato il loro contributo al cosiddetto “sistema paese” al fine di realizzare la Torino Lione devastatrice del territorio e che costa una montagna spropositata di soldi. E al sistema paese ha dato il suo ok anche la magistratura se si considera che gli appalti del Tav sembrano gli unici onesti e trasparenti in un mare di corruzione (frank cimini)

  • Il cartello del giudice civile, se volete disturbarmi dovete essere simpatici

     

    Il giudice civile Enrica Alessandra Manfredini non ne può più di gente convinta che il suo sia l’ufficio informazioni della nuova palazzina della giustizia in via Pace. Ma ha deciso di sublimare l’insofferenza in un ‘gioco’ aperto ai seccatori di passaggio, invitati a dare sfogo alle più estreme fantasie per disturbarla. Partecipate numerosi! (m.d’a.)

  • 48 anni senza un giorno di assenza e con passione, va in in pensione Laura Bertolé Viale

    Quarantotto anni e mezzo senza un giorno di malattia.

    “Ecco, tutto quello che dovevo fare l’ho fatto”.  Laura Bertolé Viale sposta alcuni fogli sull’immenso tavolo del suo ufficio elegante, quasi li accarezza. C’è una firma importante, l’ultima della sua vita giudiziaria, con la quale toglie l’indagine, per assegnarla a quello che ancora per oggi è il suo ufficio, a un pubblico ministero che non ha indagato a fondo su un delitto. Negli ultimi cinque anni da avvocato generale dello stato, come mai nessun suo predecessore, ha esercitato il potere – dovere di avocazione, anche inimicandosi magistrati di peso a cui biasimava scarso ardore investigativo. E’ stata la prima a mettere il naso tra i rovi burocratici e reali dove è in costruzione da 20 anni l’aula bunker del carcere di Opera, ottenendo che la corte dei conti aprisse un’indagine. E una dei pochi ad accorgersi che il sistema di affidamento dei fondi Expo alla giustizia milanese era oscuro e non rispettoso della legge, tanto da decidere di starne fuori mentre attorno a lei c’era la corsa alla fetta più sostanziosa.

    “Sono entrata in magistratura nel maggio del 1968, tredici anni al tribunale civile e  poi ho seguito da giudice penale e da pubblico ministero tutti i terrorismi: rosso, nero e islamico”.  Ha sostenuto l’accusa nei processi d’appello per le stragi di piazza Fontana e della Questura di Milano, giudice estesore della prima condanna in appello perAdriano Sofri, si è occupata dell’omicidio Calabresi. E’ stata anche rappresentante dell’accusa in diversi processi a Silvio Berlusconi (All Iberian, Mills, diritti tv, nastro Unipol).

    “Ho fatto tutto, vado in pensione contenta”. Magistrato con la porta sempre aperta a tutti, mancherà molto a una giustizia che non ama guardare allo specchio le sue deformità. (manuela d’alessandro)

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  • In Anm baruffa via mail sul comunicato di ringraziamento a Bruti Liberati

    “L’Anm, certa di interpretare il sentimento di tutti i soci saluta affettuosamente nel giorno del suo congedo Edmondo Bruti Liberati e lo ringrazia per il contributo prezioso che ha sempre offerto per l’attività dell’associazione nella quale ha rivestito con saggezza e spirito di unità il ruolo di segretario generale e presidente in anni difficili”. E’ il comunicato dell’associazione nazionale magistrati che ha dato il via alla baruffa interna sulle mailing.list.

    “Grazie di queste espressioni – gongola l’ex procuratore –  Sono così belle che rischio uno sdoppiamento della personalità: mi chiedo se sono proprio io, la persona alla tastiera, quella di cui parlate…”.

    “Prima di parlare a nome di tutti chi rappresenta un’associazione dovrebbe informarsi sul vero sentimento dei propri soci e sulle persone che intende incensare”, è una delle note critiche dove si ricorda che la personalità del procuratore di Milano “è stata molto divisiva al suo interno”.

    “Per interpretare correttamente il sentimento dei soci sarebbe bastato leggere questa mailing-list nei diversi mesi dello scontro nella procura di Milano… Non mi pare di ricordare un encomiabile spirito di unità” si legge ancora.

    C’è chi ricorda le parole di Bruti Liberati al collega Alfredo Robledo nel corso del contenzioso poi finito con il trasferimento dell’aggiunto a Torino. Bruti “apostrofò” il suo aggiunto affermando che la nomina dello stesso era stata determinata dalla “incontinenza” di qualche consigliere del Csm.

    C’è poi chi in modo secco si dissocia dal comunicato dell’Anm “concernente il pensionamento di Bruti che non ha la mia stima nè sul piano personale nè su quello professionale e che diventò capo di una procura delicata in base alla nota profezia dell’allora consigliere del Csm Celestina Tinelli intercettata in una ‘scomoda’ telefonata”.

    Altri colleghi manifestano fastidio “per l’effluvio di mail celebrative”. “Il fatto è che l’improvvida moda  dei cosiddetti bilanci sociali degli uffici giudiziari non contempla l’ipotesi del loro mancato gradimento verso il pubblico” è il contenuto di un’altra mail critica verso quella che fu una delle innovazioni di Bruti al vertice della procura di Milano.

    “Un gruppo di persone tenta di coprire in un giubilo retorico una storia complessa e molto rilevante, il tutto in poche mail e senza spargimento di sangue, così da non innescare l’ennesimo coro di ‘je suì Edmondo Bruti Liberati’. Direi un eccellente risultato per la democrazia” è lo scritto di un magistrato che invita un collega: “E accattati un vocabolario”.

    E ancora: “Perchè l’Anm fa simili comunicati di commiato per taluni colleghi e tace del tutto per altri”. C’è chi da là colpa alla “ossessione del partito unico che impazza nel paese e che ci deve vedere per forza arruolati”.

    Insomma i vertici dell’Anm danno la sensazione di aver prevaricato almeno una parte degli iscritti i quali non stanno zitti e lo fanno notare. Chissà se questa baruffa via mail influirà in qualche modo sul Csm che dovrà nominare il successore di Bruti. Continuità o discontinuità? Interno all’ufficio o esterno? I 90 e passa pm intanto aspettano di sapere se e cosa cambierà, dopo aver vissuto l’asprezza di uno scontro interno che ha lasciato non pochi strascici anche se Bruti nell’intervista d’addio aveva detto: “Ufficio tranbquillo da quando non c’è più quella persona. Il problema non ero io”. (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • Matteo Renzi vuole mettere le mani sulla Procura di Milano?

    Matteo Renzi vuole mettere le mani sulla Procura di Milano?

    Scorrendo la rosa ufficializzzata oggi dei 10 candidati (qui la lista) alla successione di Edmondo Bruti Liberati, brilla tra i nomi favoriti per i bookmakers quello di Giovanni Melillo, capo di gabinetto del Ministro Andrea Orlando. “Se dovesse arrivare lui, significherebbe il commissariamento della Procura”, teorizza un pubblico ministero, e non è il solo al quarto piano del Palazzo di Giustizia a dirsi spaventato da questa eventualità.

    All’apparenza Melillo potrebbe essere il ‘procuratore straniero’ mai visto a Milano (dove da sempre vince la soluzione interna), il gran pacificatore che viene da fuori per redimere gli spiriti bollenti di una Procura distrutta dallo scontro fratricida Bruti – Robledo. In realtà Melillo in quella stagione disgraziata ci è entrato quando, a luglio 2015, il Ministro della Giustizia promosse un’azione disciplinare contro Alfredo Robledo al quale veniva contestato di aver pagato 1 milione a tre custodi per far conservare  non sul Fondo Unico della Giustizia (FUG) ma sulla banca Bcc di Carate Brianza i 90 milioni sequestrati a 3 banche estere per truffa sui derivati al Comune di Milano. Colpì il fatto che l’esercizio del potere disciplinare sul magistrato venne esercitato dopo che alla fine del 2014 la Procura Generale della Cassazione aveva già archiviato gli stessi addebiti disciplinari a carico di Robledo.

    In ogni caso, un uomo del Governo proprio ‘terzo’ è difficile immaginarlo.  Se Giovanni Melillo ha proposto la sua candidatura al Csm deve averlo fatto col consenso del Guardasigilli, al quale sembra piacere molto l’idea di porre un suo fedelissimo in cima a una Procura per tradizione riottosa alla politica (fatta salva l’ultima parte dell’epoca Bruti).

    Lui o il procuratore di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, altro nome ‘benedetto’ dai bookmakers,  potrebbero zittire le ambizioni del trio milanese di pretendenti: Alberto Nobili, Francesco Greco e Ilda Boccassini. Tra loro, il più in corsa appare Greco, il quale, nonostante sia stato consulente del governo Renzi e abbia una notevole capacità relazionale a tutti i livelli, potrebbe non essere considerato abbastanza prono ai desideri della politica. A Nobili spetta il primato di più amato dai colleghi pm milanesi: magistrato capace e  uomo saggio, viene indicato da molti come l’uomo ideale per ricompattare la Procura. Gli manca l’appeal politico, e non pare poco in un mare, come quello del Csm, attraversato da implacabili correnti.  (manuela d’alessandro)

  • Un logo per Bruti, Expo sponsor della procura o viceversa?

    C’è il coloratissimo logo ufficiale di Expo sulla pagina 8 della relazione sul bilancio della responsabilità sociale preparata da Edmondo Bruti Liberati. Siamo nell’aula magna del palazzo di giustizia per l’ultimo atto della carriera in toga del procuratore capo che dal 16 novembre andrà in pensione. In pratica è una sorta di “messa cantata” e a officiare il rito ci sono il ministro Andrea Orlando, il rettore del politecnico Giovanni Azzone, il sindaco Giuliano Pisapia, il presidente dell’ordine degli avvocati Remo Danovi.

    “Sensibilità istitituzionale è rapidità delle indagini per consentire ad altre articolazioni della società di intervenire per assicurare la prosecuzione delle opere in condizioni di ripristinata legalità”. Con queste parole Bruti risponde ai giornalisti che gli chiedono a cosa si riferisse Renzi il quale prima in agosto e poi ieri aveva “ringraziato” la procura di Milano per la sensibilità istituzionale dimostrata in relazione a Expo.

    “Sensibilità istituzionale significa che la procura ha rispettato la legge” è invece l’ineffabile spiegazione del guardasigilli. Come dire che un panettiere ha fatto il pane. Quelle parole del presidente del consiglio, dette nel bel mezzo dell’evento e poi ribadite a distanza di 3 mesi  dopo la chiusura formale dell’esposizione, rappresentano una pietra miliare di una vicenda di cui si parlerà ancora a lungo.

    Quel logo sulla relazione del procuratore può essere un incrocio tra un lapsus freudiano e un bollino di garanzia sul fatto che tra le ragioni del “successo” di Expo 2015 c’è stata la moratoria sulle indagini al fine di non disturbatore il manovratore (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • Assolto Mannino, requiem per la trattativa stato – mafia

    C’è un giudice a Palermo provincia di Berlino? Sembra proprio di sì. L’ex ministro Calogero Mannino è stato assolto al termine di un processo con rito abbreviato dall’accusa di minaccia a organismo politico amministrativo o giudiziario dello stato, il reato con il quale il dottor Antonio Ingroia, “il Tonino del terzo millennio” aveva inteso fotografare la presunta trattativa Stato-mafia. La vicenda è al centro di un altro processo con rito ordinario che dura da oltre due anni con diversi imputati (Riina, Dell’Utri, Mori, Obinnu) costato fin qui un sacco di soldi e che sembra destinato a fare la stessa fine del rito abbrevviato con Mannino. Ma intanto l’iter prosegue. (altro…)

  • Il giudice Saguto chiede di venire a Milano dove voleva piazzare il figlio chef

    A Milano, coi favori dell’amico avvocato, sognava di trovare un posto al sole per il figliolo chef. E nella “capitale morale”, mentre attorno a lei divampava l’inchiesta di Caltanissetta e decideva di lasciare l’amara Palermo, piantava la bandierina dei suoi desideri. Tra la fine di settembre e i primi di ottobre, il magistrato antimafia Silvana Saguto ha compilato due domande per diventare presidente di sezione o magistrato della corte d’appello a Milano mostrando una salda sicurezza nella sua innocenza.

    Il curriculum brillerebbe se non fosse che, nelle prossime ore, il Csm potrebbe sospendere dalle funzioni e dallo stipendio l’ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Induzione, corruzione e abuso d’ufficio: la Procura di Caltanissetta le contesta di avere affidato all’avvocato Cappella Seminara gli incarichi più redditizzi in cambio di favori, oltre che di aver fatto per tre anni la spesa in un supermercato sequestrato, pagando di tanto in tanto, e avere usato la scorta per comprare frutta, verdura e filo interdentale. In un’intercettazione agli atti, Saguto chiede all’avvocato Seminara, amministratore dei più grossi patrimoni mafiosi a Palermo, di cercare un ristorante milanese dove far lavorare il figlio cuoco.

    “A Palermo non ci torno più – aveva dichiarato il magistrato dopo che il Csm ha accolto la sua richiesta di trasferimento –  Non ci lavorerò mai più, né mai più mi occuperò di misure di prevenzione… Forse abbiamo dato troppo fastidio e hanno voluto fermarci. Non so quanto i colleghi di Caltanissetta e i finanzieri se ne siano resi conto”.(manuela d’alessandro)

  • In arrivo il nuovo ‘super registro dei reati’ a Milano, rischio paralisi

    Fate in fretta se avete nel cassetto una denuncia contro ignoti da presentare alla Procura di Milano (ogni giorno ne arrivano un migliaio). Se lo farete adesso è molto probabile che prima di un anno quel foglio non si muova dalla scrivania su cui è stato posato. Ma se la presenterete dopo il 10 novembre passerà molto più di anno perché quella denuncia cominci la sua ‘strada giudiziaria’ verso un processo o un’archiviazione.

    Miracoli al contrario della rivoluzione informatica che sta per travolgere la giustizia milanese: tra 2 settimane spira il buon vecchio Re.ge., il registro informatico delle notizie di reato, quello su cui ogni avvocato, sospettato o cronista vorrebbe allungare le mani, lo ‘scrigno’ dei segreti del Palazzo. Al suo posto ecco il Sicp (Sistema Informativo Cognizione Penale), che minaccia di ibernare le attività della  giustizia milanese. Di per sé, l’innovazione è promettente. Il nuovo ‘registro’ sarà molto più ricco di contenuti: non solo notizie di reato, ma anche quelle sulle misure cautelari e su tutti i passaggi clou dei procedimenti penali. Inoltre, mentre il Re.ge è consultabile solo dai pm, il Sicp sarà a disposizione  di tutti gli altri uffici, dal Tribunale alla Corte d’Appello alla Procura Generale.

    E allora, perché la sua introduzione è accolta con sgomento dagli addetti ai lavori? Intanto, perché l’informatica senza l’uomo è perduta. A Milano, non a caso l’ultima città assieme a Roma in Italia ad affidarsi al nuovo sistema, per ogni ufficio di pubblico ministero ci sono 0, 80 dipendenti. Calcolando che tutto il carico del ‘sistemone’ graverà sulla Procura, da cui poi partirà il flusso delle informazioni per gli altri uffici, è intuibile il disagio. Aggiungiamoci che per aprire una nuova maschera bisogna aver compilato quelle precedenti altrimenti non si va avanti, con un notevole dispendio di tempo. A dirlo è anche il Csm in una delibera del 17 ottobre nella quale candidamente ammette: “ormai è chiaro che alcuni sistemi informatici, come il Sicp, rallentano e non velocizzano le attività ed assicurano un ritorno su altre dimensioni come quello della qualità”. Nella relazione inaugurale dell’anno giudiziario 2015 a Torino, si legge che il Sicp “è lento e farraginoso perché lo scaricamento di qualsiasi evento richiede molti più passaggi di prima e il personale non è stato formato”. Simili problemi sono emersi in molti altri distretti italiani e ora vanno immaginati in una realtà sofisticata come quella milanese, dove il problema più grave sono  i ritardi nelle iscrizioni delle denunce contro ignoti.

    Il Sicp, infine, fa molto affidamento, nelle intenzioni, sulla consolle del magistrato, una sorta di ‘scrivania informatica’ che dovrebbe essere messa a disposizione delle toghe. Peccato che a Milano le consolle, in teoria finanziate coi famosi fondi Expo per la giustizia, non siano ancora a disposizione delle toghe. (manuela d’alessandro)

     

  • Cantone: “Milano capitale morale”. E un grazie alla moratoria no?

    Il ritorno di Milano a “capitale morale”. Lo certifica Raffaele Cantone, il numero uno dell’autorithy anticorruzione in una delle tante esternazioni che caratterizzano il suo attuale incarico e che con ogni probabilità si riveleranno utili per il prossimo, quando l’ex pm anticamorra deciderà cosa fare da grande.

    Invece, “Roma non ha gli anticorpi” in vista del Giubileo, aggiunge Cantone. E gli anticorpi di Milano? Ne vogliamo parlare? Era stato meno vago Matteo Renzi ad agosto scorso quando nel decantare il successo di Expo aveva detto un bel grazie a Bruti Liberati “per la sensibilità istituzionale”. Era riferito chiaramente alla moratoria sulle indagini decisa dalla procura ben prima che Expo venisse ufficialmente inaugurata.

    Insomma, un bel regalo per non rovinare l’evento che il sistema paese aveva conquistato sbaragliando in quel di Parigi la terribile armata di Smirne. Con il 70 per cento dei lavori di Expo affidati con trattativa privata “perché siamo in grave ritardo”, senza gare pubbliche, il gioco di sponda degli inquirenti era indispensabile.

    Del resto per gli stessi fondi Expo destinati alla giustizia i vertici del Tribunale non avevano fatto ricorso a gare pubbliche. Inutile a questo punto chiedersi chi controlla i controllori. Per molto meno si fanno indagini sui comuni mortali che spesso “per scambi di potere”, senza nemmeno un passaggio di quattrini, finiscono in carcere, perché i signori che vigilano sulla legalità (ma solo su quella degli altri) sono inflessibili. Come si suol dire “non guardano in faccia a nessuno”. (altro…)

  • Le nozze gay annullate dal giudice che tifa “sentinelle in piedi” su twitter

     

    Il giudice estensore della sentenza del consiglio di stato che ha annullato la trascrizione delle nozze gay a Roma, dopo essere state celebrate all’estero, si chiama Carlo Deodato e su twitter aveva rilanciato articoli a favore delle iniziative di “sentinelle in piedi”.

    “La nuova resistenza si chiama difesa della famiglia” è il titolo dell’articolo ritwittato. Poi aveva rilanciato un tweet: “Questa è sì la volta buona per mandare a casa Renzi e per altro governo che non sfasci il paese con riforme dannose”. Il tweet era stato indirizzato a Enrico Letta, l’ex premier, da “Cristina judex”.

    Con tale attività di propaganda in corso il giudice Carlo Deodato avrebbe dovuto astenersi. Invece non lo ha fatto ed è addirittura estensore del verdetto che ha annullato la trascrizione delle nozze gay. Twitter è un luogo pubblico. Il giudice avrebbe dovuto comprendere di essere portatore di un conflitto di interessi spaventoso. Le sue idee sul matrimonio gay, come su qualsiasi altro argomento sono ovviamente legittime, ma nel momento in cui le esterna in modo così clamoroso, il giudice perde quelle caratteristiche di imparzialità, terzietà e indipendenza che sono indispensabili per chi è chiamato come professione a emettere sentenze in nome del popolo e della repubblica italiana.

    Questa vicenda, come altre, dovrebbe far riflettere l’Anm e il Csm che non perdono occasione in convegni, congressi e comunicati stampa per gridare che i magistrati sono indipendenti e autonomi. Se non possono astenersi dai processi, che almeno si astengano da twitter. (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • Agente provocatore e pentiti, le idee dell’ex pm di Mani pulite

    Ci vuole un agente provocatore che vada in giro a offrire soldi a un pubblico ufficiale e farlo arrestare se accetta. E impunità totale per il corrotto o corruttore che per primo collabora con l’accusa. Sono le idee dell’ex pm di Mani pulite ora giudice in Cassazione Piercamillo Davigo, espresse in occasione del congresso nazionale della casta togata, l’Anm, a Bari.  E’ grave che un giudice che dovrebbe essere terzo ( ma non in graduatoria) faccia proposte del genere. Le sue parole sono l’ennesima dimostrazione della necessità di separare le carriere, un progetto destinato a restare inattuato in un paese in cui i pm spadroneggiano al Csm e tengono per le palle un’intera classe politica che da parte sua fa di tutto per essere sempre più impresentabile.

    Con agenti provocatori e pentiti, chi indaga avrebbe la possibilità di lavorare ancora meno rispetto ad oggi. Ovviamente contano zero i danni irreparabili che la legislazione premiale ha fatto allo stato di diritto, varata da un parlamento che delegò interamente ai magistrati la risoluzione della questione relativa alla sovversione interna degli anni ’70 e ’80. Ai magistrati va bene, anzi di lusso, così, considerando che quello fu l’inizio della fine perché accadde che proprio in virtù del credito acquisito poi nel 1992 le toghe andarono all’incasso e dissero: “Adesso comandiamo noi”.

    Con la proposta di impunità totale i magistrati ci provarono già nel 1994, nel pieno della falsa rivoluzione, ma non ce la fecero. Ora ci riprovano perché lor signori in toga non demordono. L’obiettivo è di accrescere ulteriormente il potere che hanno, allargando la repubblica penale a dismisura. Insomma Mani pulite, quasi un quarto di secolo dopo, continua a fare danni.

    “Ci vogliono delegittimare” ha gridato anche lui da Bari il numero uno dell’Anm, Sabelli, che evidentemente non ha la bontà di leggersi gli atti della guerra interna alla procura di Milano, perché scoprirebbe che i magistrati si delegittimano da soli perché emerge chiaro che fanno valutazioni politiche. E’ il “rimprovero” che i pm di Brescia hanno messo nero su bianco a proposito di Bruti Liberati, pur assolvendolo dall’accusa di abuso d’ufficio. Ma non è successo nulla. L’omertoso Csm ha taciuto, così l’Anm. Siamo nel paese in cui il capo del governo, parlando del “successo” di Expo ha ringraziato la procura milanese “per la sensibilità istituzionale”. Cioè per la moratoria delle indagini sull’evento, assurto a patria da salvare. Ma di abolire l’ipocrisia dell’obbligatorietà dell’azione penale non si può parlare.  Chi controlla i controllori? Nessuno. (frank cimini)

  • Le sei Maserati di Stato su cui nessuno del Tribunale vuole salire

    Una volta (non tanto tempo fa!) i politici avrebbero probabilmente fatto a gara per farsele assegnare. Ma oggi, in tempi in cui l’antipatia e perfino l’odio verso la Casta si sono fatti palpabili, l’idea di farsi vedere in giro a bordo di una Maserati di Stato viene schivata come la peste. Deputati, senatori, magistrati, giornalisti di grido, insomma tutta la categoria dei ‘soggetti a rischio’ a cui è stata assegnata una scorta, preferiscono veicoli più sommessi. Così le sei Maserati assegnate ai carabinieri che effettuano il servizio giacciono spesso inutilizzate nel cortile del palazzo di giustizia.
    A chi sia venuta la bizzarra idea di comprare delle supercar da adibire ad autoblu, è un mistero che si perde nei meandri dell’alta burocrazia statale. La leggenda vuole che ognuna, compresa di blindatura, sia costata più di centomila euro. Gli enormi costi di gestione hanno fatto sì che venissero inserite nel parco macchine che il governo ha deciso di privatizzare, cioè di vendere all’asta, ma ovviamente sono rimaste invendute. Così da Roma sono approdate a Milano. E lì si sono fermate.
    Basta fare un giro nel cortile che le ospita per vedere come le Maserati spicchino nel panorama non confortante dei veicoli di Stato. L’aspetto più desolante lo hanno alcuni Ducato con le insegne di polizia e carabinieri, veicoli che dimostrano quindici o vent’anni di vita e sulla cui efficienza si potrebbe nutrire qualche dubbio. Poi molte Alfa, una quantità di Punto, alcune Lancia: tutte mediamente polverose e segnate dal tempo. Sotto una tettoia c’è un Audi, si dice sia stata sequestrata anni fa, doveva essere riconvertita ad uso dello Stato, come prevede la legge, ma evidentemente se ne sono dimenticati perché è coperta da una specie di sabbia. E poi loro, le Maserati ritargate con targa civile, troppo belle per essere usate. (orsola golgi)

  • Mantovani, sui 13 mesi di ritardo nell’arresto il gip si autoassolve

    Con un’ordinanza di cinque pagine il gip Stefania Pepe decide di far restare in carcere l’ex assessore alla salute ed ex vicepresidente della Lombardia Mario Mantovani, ma non dedica nemmeno mezza riga a quella che era stata l’obiezione più forte della difesa: richiesta di arresto datata settembre 2014 accolta a ottobre 2015 dal giudice delle indagini preliminari.

    Mantovani è accusato tra l’altro di concussione e corruzione aggravata. Il contesto, al di là ogni considerazione, non è bello (eufemismo) per l’indagato che allo stesso tempo era assessore alla salute e imprenditore nel settore delle cliniche per anziani. Ma qui non si discute del merito. E’ un problema di esigenze cautelari e soprattutto della loro attualità. Tutti comprendono che c’è differenza tra il settembre del 2014 quando l’allora procuratore aggiunto Alfredo Robledo inoltrò la richiesta al settimo piano e l’ottobre 2015 quando la misura è stata eseguita.

    Se allora si poteva senz’altro parlare di attualità, adesso è molto più difficile. E va ricordato che in un’altra inchiesta, un altro gip ha disposto arresti per tangenti poche settimane fa decidendo su una richiesta dei pm datata addirittura 2013. C’è qualcosa che non funziona come dovrebbe, ma a quanto pare tutti quelli che dovrebbero intervenire quantomeno per capire cosa accade fanno finta di niente, dal Csm al ministro con poteri ispettivi.

    Impossibile sapere perchél gip abbia scelto di non fornire spiegazioni all’obiezione della difesa sul punto. Magari il giudice si sarà sentito leggermente imbarazzato dal momento che non poteva che essere consapevole dell’anomalia: un anno e un mese per decidere sugli arresti di Mantovani e dei suoi coindagati. Il silenzio sul punto non risolve di certo, anzi finisce per aggravare la situazione. Insomma, dopo il conflitto di interessi di Mantovani c’è pure il conflitto di interessi del gip che si autoassolve. Per l’amministrazione della giustizia non è una vicenda di cui andare fieri (eufemismo 2). (frank cimini)

  • Fondi Expo, per il Tar più di 6 mln sono stati assegnati in modo “illegittimo” al Tribunale

    Quella che potete leggere qui  è la sentenza  con la quale il Tar della Lombardia ha dichiarato illegittimi  e annullato appalti per 6,4 milioni di euro destinati alla giustizia milanese in nome di Expo. Il Tribunale di Milano ha siglato una convenzione scorretta con la Camera di Commercio per informatizzare gli uffici giudiziari in occasione dell’Esposizione Universale. In buona o mala fede? A stabilirlo dovrebbe essere un’inchiesta penale o quantomeno ci si attenderebbe un’ispezione ministeriale per capire la natura del gigantesco abbaglio.  Dal 2010 a oggi milioni di euro sono stati spesi con appalti senza gara  o con gare dichiarate illegittime, come Giustiziami e poi Il Fatto Quotidiano avevano anticipato nei mesi scorsi. Di una parte di questi appalti si occupa il Tar in una sentenza che meriterebbe le prime pagine dei giornali se questi non fossero finanziati da Expo.

    Nel 2014 il Tribunale, allora presieduto da Livia Pomodoro, e la Camera di Commercio firmano una convenzione in base alla quale la seconda s’impegna a realizzare alcuni lavori pagati col ‘tesoro’ di Expo: la manutenzione e gestione del sito del Tribunale di Milano, la gestione della pubblicità legale delle aste giudiziarie su siti e quotidiani; il servizio informativosu fallimenti e concordati e il supporto al processo civile telematico. Tutto procede, finché una società, la Aste On Line snc, fa ricorso al Tar lamentando una lesione della concorrenza.

    Il Tar  le da’ piena ragione affermando che “la convenzione determina un’illegittima restrizione della concorrenza attualmente esistente nel settore, tendendo all’individuazione di un operatore particolare a cui demandare l’effettuazione della pubblicità in via preferenziale”. Crollata la convenzione, sono nulle tutte le gare sue ‘figlie’ che ora vanno rifatte.

    (manuela d’alessandro)

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  • Dirsi addio nella “stanza al buio” del nuovo palazzo della giustizia milanese

    Una stanza può contenere il cielo quando c’è l’amore. Ma se il sentimento se ne va, in quella stanza crolla il buio.

    Piccole verità del cuore nella nuova palazzina milanese della giustizia, dove da adesso dovranno passare tutti i milanesi che si amarono e poi un giorno strapparono gli anelli.

    Per aiutare moltitudini di ex sposi radiosi a elaborare la fine, gli si è messa a disposizione una vasta stanza al buio nella quale iscrivere a ruolo le cause di separazione e divorzio. Quel passaggio brutale imposto dalla legge prima di far calare il sipario. “L’impianto di illuminazione non è mai stato attivato”, leggiamo sul cartello appeso all’ingresso della stanza degli addii. Non sia mai che a qualcuno  venga da rimpiangere la luce dell’amore. Nel caso, c’è un indirizzo a cui sporgere reclamo. (manuela d’alessandro)

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  • L’arresto di Mantovani chiesto oltre un anno fa da Robledo

    L’arresto di Mario Mantovani vicepresidente della Regione Lombardia ed ex assessore alla sanità era stato chiesto poco più di un anno fa dall’allora procuratore aggiunto Alfredo Robledo, capo del dipartimento anticorruzione poi trasferito a Torino dal Csm a causa del contenzioso con il capo dell’ufficio Edmondo Bruti Liberati.

    La richiesta di arresto era firmata da Robledo e dal pm Giovanni Polizzi, poi rimasto a coordinare le indagini. I magistrati dell’accusa sollecitarono in via informale una decisione del gip Pepe che tardava ad arrivare facendo riferimento ai gravissimi fatti di concussione e corruzione aggravata contestati. Dopo il trasferimento di Robledo la procura inoltrò al gip anche una integrazione alla richiesta di custodia cautelare in carcere, successivamente accolta dal gip e eseguita oggi. A distanza di un anno e più. Del resto in relazione a un’altra inchiesta, quella sui funzionari del Comune trovati in possesso tra l’altro di lingotti d’oro, la richiesta di arresto era stata inoltrata nel 2013.  Il giudice delle indagini preliminari Ferraro ha dunque impiegato due anni per decidere. Sembra a causa di enormi carichi di lavoro. (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • L’omicidio del codice di procedura penale che ‘compie’ 25 anni

    Sono passati più di 25 anni dalla introduzione in Italia di quel “nuovo” codice di procedura che nel finale del 1989 avrebbe dovuto, si disse, eliminare il vigente “rito inquisitorio” a favore del più anglosassone “rito accusatorio”. In questi anni la gran parte dei principi cardine che avevano ispirato quella trasformazione procedurale sono morti e sepolti con il risultato che l’odierno processo penale risulta meno garantista, per usare un termine tanto abusato quanto osceno, di quello dei nostri padri, rivelandosi soprattutto per l’imputato innocente una trappola esiziale.

    Si volle separare la prima fase segreta delle indagini, monopolio della accusa, da quella successiva dell’accertamento in contesa paritaria davanti al Giudice “terzo” ed estraneo alla prima fase, ma il dibattimento si è da anni trasformato nel luogo ove l’accusa fa direttamente confluire, e senza passare dal via, gli esiti della prima fase e se dimentica di farlo, provvede direttamente il Giudice “terzo” ricorrendo a quei poteri di integrazione istruttoria che, previsti come straordinari, sono diventati la regola sulla base del principio dell’accertamento della verità.

    Il ricorso alle intercettazioni, previsto come eccezionale ha finito con il costituire l’ossatura portante di gran parte delle indagini a prescindere dalla tipologia di reato perseguita e la prematura, quando smodata, divulgazione sui media sede primaria dei popolari giudizi al punto che si invocano resistenze al bavaglio anche per quelle che di penale rilevanza non avrebbero un bel nulla. Alcuni processi di criminalità organizzata finiscono direttamente in Cassazione con sentenze motivate sul “copia e incolla” dell’originario “file” delle intercettazioni della Polizia giudiziaria che le trascrive per il Pm che sulla base di quelle chiede al GIP la misura cautelare che sulla base di quelle la applica e che diventano in sede di giudizio abbreviato assunto motivazionale di colpevolezza, confermato dalla Corte d Appello ed insindacabile in sede di legittimità.

    Si volle limitare il ricorso alla carcerazione preventiva ma l’applicazione giurisprudenziale fece diventare anche il mero silenzio dell’incolpato duplice segnale di inquinamento probatorio e di pervicacia delinquenziale, sul presupposto che chi non recide il legame con il malaffare rendendosi inaffidabile delatore rimane “intraneo” allo stesso ed introducendo persino quel “giudicato cautelare” dei pure previsti controlli incidentali, che, in assenza di impossibili attivazioni da parte di chi si trova recluso, impedirebbe al Giudice della carcerazione ogni futura rivalutazione fino a scadenza massima.

    Quanto ai tanti riti alternativi al processo oggi abbiamo un giudizio abbreviato che, nato per invogliare l’incolpato con uno sconto di pena ad accettare un esito sulla base delle sole carte del PM, da un lato commina ergastoli in una unica udienza monocratica a porte chiuse con la stessa legittimazione di una Corte d’Assise impegnata in un lungo processo dibattimentale, e dall’altro legittima, come nel caso Garlasco, supplementi istruttori persino alla Corte di Appello bis nei confronti di chi è già stato più volte assolto. Il giudizio immediato, nato per consentire al PM di saltare la udienza filtro in caso di evidenze probatorie raccolte nei primi 3 mesi di indagine, viene oggi utilizzato da un lato per processare l’imputato in manette saltando i previsti termini di fase oppure per processare, caso Ruby, un colpevole così poco “evidente” da risultare poi assolto, mentre il patteggiamento, nato per definire con sanzioni non esecutive una rinuncia al processo, oggi costituisce marchio di accertata colpevolezza ed “allargato” titolo per rapide detenzioni definitive di entità tutt’altro che modesta. La stessa udienza preliminare, nata per essere un giudizio sulla indagine, oltre a rivelarsi del tutto inutile, è oggi la sede dove spesse volte il PM integra le proprie prove oltre la scadenza prorogabile, ragion per cui trova la sua essenza solo come momento primo e finale per definire alternativamente la vicenda. (altro…)

  • No agli animali nel Palazzo, caccia al geco del Procuratore

    Divieto di ingresso agli animali in Tribunale: ma alcune specie continueranno a frequentare inevitabilmente gli austeri corridoi. Piccioni, rondini, topi, pidocchi, il piccolo zoo metropolitano che da sempre vegeta a palazzo di giustizia. A questa fauna nei giorni scorsi si è aggiunto, anche se per poche ore, un geco. Il piccolo rettile è stato introdotto del tutto involontariamente a Palazzo nientemeno che dal procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, che – avvicinandosi il momento dell’addio all’ufficio, fissato per il 16 novembre – ha ordinato di tasca sua tre grandi piante da lasciare nel corrodio davanti alla sua stanza. Ma insieme alle piante dal vivaio è arrivato il minuscolo geco, che è balzato fuori dal vaso e ha iniziato ad aggirarsi sui marmi piacentiniani. E’ partita la caccia al geco, con l’obiettivo di portare in salvo l’animale. La caccia capitanata dal Procuratore ha avuto momenti quasi comici, ma alla fine il geco è stato catturato e chiuso in una bottiglia. Poche ore dopo pare sia stato liberato nel giardino di casa Bruti, confidando che l’inverno milanese non sia troppo inclemente. (orsola golgi)

  • Giustizia folle, 300mila euro “per non aver educato il figlio”

    Due genitori milanesi sono stati condannati a risarcire 300 mila euro con sentenza della Cassazione “per non aver educato il figlio” che quando aveva 12 anni urtò con la sua bici quella di una donna finita nel Naviglio e morta dopo un anno e mezzo di agonia.

    “Culpa in educando” è la formula giuridica. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Il ragazzo che ha 26 anni è tuttora in terapia psicologica, i genitori intanto hanno venduto la casa di Milano e vivono in affitto nell’hinterland. Non hanno i soldi per pagare. La mamma ha un lavoro part-time nel settore delle pulizie, il padre è impiegato in una ditta di soccorso stradale. Entrambi chiedono che un giudice rilegga le carte. Il ragazzo, che il giorno della tragedia era affidato all’oratorio, non è mai stato ascoltato nel corso della causa.

    E’ la vicenda di una giustizia che sembra ignorare cosa sia la vita quotidiana, con le toghe che hanno la presunzione di decidere in che modo si educa un bambino di 12 anni. Chi ha un minimo di spirito critico è consapevole che alcuni giudici ne fanno anche di peggio, ma il caso lascia particolarmente sbigottiti. I genitori riferiscono di essersi appellati a varie autorità “ma sono spariti tutti”. Resterebbe solo la corte europea di diritti dell’uomo, organismo che ha diverse volte in passato condannato la nostra giustizia per le ragioni più diverse. L’imputato eccellente per antonomasia, da quando si occupa di lor signori in toga per ragioni molto poco nobili, i fatti suoi e basta, propose che dei giudici fosse verificata la capacità psichica una volta l’anno. A questo punto sarebbe meglio stare sui 6 mesi. Sia per noi sia per loro. (frank cimini)

  • Lasciateli a casa, da oggi è “vietato l’ingresso degli animali nel Palazzo”

    Chissà se a loro piaceva girovagare per la ‘savana’ di cemento del Tribunale, annusare i fascioli polverosi, incrociare strani uomini in toga. Da oggi, è “vietato agli animali l’accesso ai Palazzi di Giustizia del Distretto di Milano”. Il provvedimento è firmato dalll’avvocato generale Laura Bertolé Viale e timbrato da Edmondo Bruti Liberati il quale, non molto tempo fa, si aggirava per la Procura in compagnia della moglie e di un simpatico barboncino color panna. Nell’”importante direttiva” di cui si invita “la più scrupolosa osservanza”, si fa cenno a “recenti spiacevoli accadimenti verificatisi nel tentativo di accesso al Palazzo di Giustizia con animali da compagnia al seguito”. “Fatti salvi i cani guida per non vedenti e da accompagnamento per persone disabili”, per tutti gli altri, come indicato da diversi cartelli appesi ai varchi, il Palazzo diventa proibito. Tutto “al fine di poter garantire il regolare e sereno svolgimento dell’attività d’ufficio”. Se è anche colpa nostra (non-dite-piu-che-ad-agosto-non-ce-un-cane-nel-palazzo-di-giustizia) perché segnalammo la presenza di un dolce cagnetto ad agosto, chiediamo scusa agli amici degli animali. (manuela d’alessandro)

  • La decisione del giudice arriva ai legali 5 anni dopo con la posta elettronica

    Col formidabile acceleratore della Pec – fulmineo acronimo che sta per Posta Elettronica Certificata e rimanda a un mondo ideale di giustizia senza carta –  viene recapitato oggi in uno studio legale milanese l’avviso che il dieci novembre 2010 il Tribunale di Milano (in funzione di giudice del Riesame) si è pronunciato respingendo l’istanza di scarcerazione di un detenuto per reati fiscali.

    “Ora potremmo fare ricorso in Cassazione contro questa decisione”, ironizza uno dei difensori. Per fortuna, la giustizia degli uomini va più veloce di quella divina e anche di quella digitale. Così, G.B., arrestato e portato a San Vittore nel 2010, ha patteggiato nel dicembre 2010 tre anni e quattro mesi di carcere e poi gli sono stati concessi i domiciliari. Ha fatto in tempo anche a operarsi al cuore (quando era ancora in carcere) e a fare chissà quante altre cose mentre la Pec percorreva il suo onirico viaggio dalla cancelleria del Tribunale allo studio legale. (manuela d’alessandro)

  • Cadono lastre dal soffitto del nuovo Tribunale. Un avvocato, “salva per un soffio”

    “Camminavo al piano terra quando ho sentito un boato, come un colpo di pistola”. Sono le nove di lunedì mattina e l’avvocato Annalisa Premuroso sta percorrendo il corridoio della nuova palazzina del Tribunale di Milano. “Un collega, mentre ancora non mi rendevo conto di cosa fosse successo – racconta –  mi avverte che è caduto a terra un pannello che si è staccato dal soffitto, che mi ha sfiorata alle spalle e non mi ha preso per un niente…”.

    Se il giudice imprigionato nel bagno con la maniglia rotta aveva strappato un sorriso (qui), quanto accaduto all’avvocato Premuroso fa paura, ancor più perché la settimana scorsa era piombato dal soffitto un altro tassello. “E in quel caso non si era neppure chiuso il corridoio, come sarebbe stato logico fare. Stiamo aspettando il morto? – si chiede il legale – La lastra era molto pesante, di cemento e intonaco, se mi avesse colpito mi sarei fatta molto male”.

    Oggi, invitata da un giudice, l’avvocato ha presentato una denuncia alla commissione logistica del Tribunale allegando le immagini del crollo.

    Maniglie che si rompono, cellulari che non prendono, luci al neon definite “insostenibili” da chi ci lavora e adesso parte del soffitto che viene giù. Bella è bella, la nuova palazzina destinata ai processi di lavoro e famiglia, lo dicono tutti. Ma sembra la bellezza di una donna troppo truccata per nascondere imperfezioni pericolose.

    Manuela D’Alessandro

     

  • Il giudice imprigionato in bagno spacca la porta e i carabinieri lo verbalizzano

    Eccoci nella nuova, scintillante palazzina della giustizia milanese, quella riservata ai giudici civili e del lavoro da poco inaugurata. Il giudice entra in bagno per fare la pipì e, chiudendo la porta dietro di sé, resta con la maniglia in mano. Che fa? “La pipì anzitutto e poi non mi faccio travolgere dal panico, prendo a manate la porta e urlo di venirmi ad aprire”. Non può telefonare perché i cellulari nella nuova, scintillante palazzina non prendono (l’avevamo raccontato qui). Allora si mette comodo e pensa: ‘Prima o poi a qualcuno scapperà la pipì’. Invece i suoi colleghi (il bagno è di servizio) se ne stanno tutti beati dietro alle scrivanie.

    Passa mezz’ora e la pazienza si fiacca. Il giudice prende il mozzicone di maniglia e colpisce la porta che scopre essere di pastafrolla. Con due calcioni apre un bello squarcio nel ‘tamburato’.

    “Stai calmo, ora ti salviamo!”, gli urlano dall’aldilà sentendo i rumori delle pedate. Dallo squarcio intravvede due carabinieri. Aprono quel che resta della porta. Neppure un secondo per rigustare la libertà che il brigadiere gli chiede i documenti e verbalizza le generalità.  “Potevate almeno chiedermi come stavo…”, butta lì il magistrato. “Signore, noi facciamo il nostro lavoro…”, risponde il militare che di fronte alla porta rotta forse vola con la fantasia e pensa a un’ipotesi di danneggiamento aggravato dall’uso di una maniglia contundente. (manuela d’alessandro)

    ps. qualche giorno prima una collega del giudice imprigionato aveva segnalato all’ufficio manutenzione che la maniglia era rotta.

  • Pm Milano, un capo da fuori. Se non ora quando? Mai…

     

    Se non ora quando? Mai, pare. Stando ai boatos dal Csm e da chi sa nemmeno stavolta la procura di Milano appare destinata a vedere un “papa straniero”, un magistrato non proveniente dal suo interno. I favoriti sono Francesco Greco, Alberto Nobili e Ilda Boccassini, tutti procuratori aggiunti in corso di porta Vittoria. Uno dei tre prenderà il posto di Bruti Liberati in pensione dal prossimo 16 novembre. Insomma nemmeno lo tsunami del durissimo contenzioso tra Bruti e Robledo porterà a ribaltare un quadro esistente da decenni.

    Troppo rischioso sarebbe affidare l’ufficio a qualcuno fuori dai giochi. Il Csm non vuole scherzi. Del resto il cosiddetto autogoverno dei magistrati aveva atteso l’annuncio del pensionamento di Bruti per avviare un disciplinare che non si farà mai. A carico dell’ex capo. Lo subirà invece Robledo, già trasferito a Torino per lesa maestà.

    Non conta nulla il fascicolo sulla Sea dimenticato per 6 mesi in un cassetto e affidato a Robledo solo quando la gara d’asta si era già consumata. Con la regìa nemmeno tanto occulta di Napolitano si era stabilito che la ragione stava dalla parte della gerarchia e basta. Magistratura Democratica, che di recente aveva rinunciato a battagliare per la presidenza del Tribunale, pretende con forza di continuare a gestire la procura, le indagini e pure le non indagini. Perché ci sono da gestire le conseguenze della moratoria investigativa investigativa su Expo, che come contropartita aveva avuto un grazie “per la sensibilità istituzionale” a Bruti dal presidente del consiglio dei ministri.

    In questa storia ci sono tanti saluti per i principi strombazzati a ogni occasione in convegni e comunicati, l’esercizio obbligatorio dell’azione penale, la legge è uguale per tutti, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Belle parole utili a coprire le peggiori nefandezze, per far vincere l’appartenenza, la politica nel senso deteriore del termine. Garantiscono il Csm e il consiglio giudiziario che hanno dimostrato di avere l’omertà nel loro Dna. Salvo poi farsi belli evocando Falcone e Borsellino. Abbiano almeno il pudore di lasciare in pace i morti questi signori vincitori di concorso che fanno scelte politiche senza doverne rispondere ad alcuno. Riescono a fare peggio dei politici e questa è un’impresa (frank cimini)

  • Fare una denuncia alla polizia nel cuore della città di Expo

    Via fatebenefratelli, siamo in uno dei quartieri più eleganti di Milano, a due passi da via dei giardini per intenderci, la casella viola più pregiata del monopoli. Nel bel palazzo neoclassico della questura c’è, appena dopo l’ingresso, una sala d’attesa di pochi metri quadri che ospita chiunque, cittadino o meno, desideri parlare con un poliziotto. Sono solo tre gli agenti che raccolgono le denunce. Tempo d’attesa, non meno di un’ora e mezza.

    Uno di loro si affaccia e scruta la platea accalcata.  Ne approfittano due ragazzi francesi. “Do you speak French?”, chiedono ambiziosi. “No”. “Do you speak english?”. “No, non parlo niente”, ribatte l’agente, che poi, rivolto a tutti, esorta “Vedete voi come organizzarvi con la coda”. Siamo in Polizia, mica dal salumiere, qui i bigliettini non sono previsti. Devi occupare il posto in modo marziale, o quelli dietro di te ti fanno secco. Una signora di origini slave regala un po’ di cabaret agli astanti e poi s’informa con un altro agente sul dormitorio in cui  trascorrere la notte. “Signora, in via Ortles non c’è posto, deve rivolgersi al commissariato più vicino a casa”. Una senzatetto avrà certo un commissariato vicino a casa.

    Un signore  vorrebbe portare il suo bambino a fare la pipì nel wc della sala d’attesa.  La porta non si apre, nonostante gli sforzi di tutti, poliziotti compresi. Alla fine i due vengono invitati ad andare al bar di fronte alla questura. La coppia di francesi riprova a chiedere informazioni. La risposta è in italiano e il ragazzo, che non avrà più di 20 anni, adesso è seccato: “I don’t understand italiano”, poi, in inglese, conciona sui nostri usi con quel tono irritato che sanno avere i francesi per concludere con un lapidario “I never saw that”. (manuela d’alessandro)

  • Non dite più che ad agosto non c’è un cane nel Palazzo di Giustizia

    Non si dica che ad agosto a Palazzo di Giustizia non c’è un cane. Ed è pure un cane felice di starci. Il bassotto scorazza con naturalezza sul ‘prato’ di marmo grigio e si prende coccole e carezze degli sparuti frequentatori della Procura estiva che incontrano la premurosa padrona. (manuela d’alessandro – foto per gentile concessione di franco vanni)

     

  • Martina e figlio ancora in ospedale perché non sanno dove mandarli

    Martina Levato e il suo bambino stanno bene. Sono così in salute che avrebbero potuto lasciare sin da oggi la clinica Mangiagalli. Non vengono dimessi, fanno sapere dall’ospedale con più fiocchi azzurri e rosa di Milano, solo perché non si sa dove mandarli.

    Il provvedimento del Tribunale dei Minori col quale è stato revocato il ‘divieto di abbraccio’ tra madre e figlio col trascorrere delle ore appare sempre più una decisione monca. La Mangiagalli è diventata una sorta di ‘stato cuscinetto’ di cui i due sono cittadini onorari mentre il mondo attorno si azzanna su cosa sia il loro bene e male e i magistrati cercano un’alchimia per fare meno danni possibili.

    Se è normale che opinione pubblica, psichiatri ed editorialisti  si azzuffino sui dilemmi etici e giuridici sollevati dal caso, lo è molto meno che nelle ultime settimane  la giustizia non sia stata capace di garantire  una risposta veloce e univoca alla domanda sul futuro di Martina e del neonato.

    Pochi giorni prima del parto, il Tribunale del Riesame indicava nell’Icam, la struttura che accoglie madri detenuti con figli piccoli, la soluzione in attesa di una decisione definitiva dei giudici minorili. Poi l’ordine del pm dei minori Annamaria Fiorillo a impedire qualsiasi contatto tra Martina e il bimbo considerata l’assoluta “inadeguatezza” della ragazza nelle vesti di madre. Infine, ieri i giudici hanno demolito la scelta del pm concedendo la possibilità di un incontro al giorno, ma senza allattamento diretto. E’ apparso subito chiaro che quel provvedimento avrebbe avuto un senso solo per poche ore, il tempo delle dimissioni dalla clinica.

    Un tempo che ora viene dilatato, fino a quando non si sa. Restano le vecchie mura della Mangiagalli, lembo di terra neutrale, a proteggere una piccola vita abbandonata su una ruota medioevale dalle tremende indecisioni dei grandi. (manuela d’alessandro)

  • Expo, Renzi ringrazia Bruti per la moratoria sulle indagini

    “L’Expo non doveva esserci ma si è fatto grazie a Cantone e Sala, grazie ad un lavoro istituzionale eccezionale, grazie al prefetto e alla procura di Milano che ringrazio per aver gestito la vicenda con sensibilità istituzionale”. Il presidente del consiglio Matteo Renzi manda dal Giappone attraverso i giornalisti al seguito un pubblico ringraziamento al capo della procura di Milano Edmondo Bruti Liberati. Il riferimento è alla moratoria sulle indagini con l’evento in corso di cui avevamo scritto su “Giustiziami” senza essere smentiti. Quindi tanti saluti al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale e il premier ha dimostrato di apprezzare. Del resto non poteva essere diversamente. Il problema non è quanto dice il presidente del consiglio dei ministri ma quello che ha fatto il capo dei pm.

    Bruti nel contenzioso interno con Alfredo Robledo aveva tolto al suo aggiunto il coordinamento delle indagini su Expo che poi sono state fermate. Insomma hanno fatto la fine dell’inchiesta sulla gara d’asta per la Sea rimasta per sei mesi “dimenticata” in un cassetto, prima di essere affidata con gravissimo ritardo a Robldo quando chi era indagato aveva ormai saputo di esserlo e quindi non poteva più essere intercettato.

    Insabbiare, non indagare al fine di non disturbatore il manovratore è per il premier “sensibilità istituzionale”. Renzi ringrazia Bruti che ha deciso di andare in pensione, evitando in pratica il procedimento disciplinare, il 16 novembre, subito dopo la fine dell’esposizione. Tanto per essere sicuro dell’assenza di “sorprese” per l’evento, acquisito da Milano sconfiggendo le terribili armate di Smirne, con uno schieramento bipartisan dalla Moratti a Prodi, insieme appassionatamente a Parigi.

    Questa storia manda a farsi benedire la divisione e il bilanciamento dei poteri, l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale tanto gridata nei convegni e nei comunicati dell’Anm, l’indipendenza e l’autonomia della magistratura. E chi ne esce peggio sono proprio le toghe. I ringraziamenti nipponici sono la ciliegina sulla torta. Una torta avvelenata nel paese in cui i politici scimmiottano i giudici, i giudici scimmiottano i politici e i giornalisti leccano un po’ gli uni e un po’ gli altri a seconda delle convenienze (frank cimini).

  • “Pronto a luglio”. Ma dopo 19 anni il bunker di Opera resta un cantiere

     

     

    Qualcosa di nuovo c’è: una recinto verde che, in teoria, dovrebbe tenere lontani i non addetti ai lavori dal cantiere, come avverte un cartello con monito: “Limite invalicabile, sorveglianza armata”. Invece, è agevole entrare da un cancello aperto e constatare che la promessa del provveditore alle Opere Pubbliche Pietro Baratono non è stata mantenuta. “A luglio – aveva garantito – l’aula bunker di Opera sarà terminata”.

    Diciannove anni e l’ennesima estate dopo, quella che doveva essere la nuova sede dei maxi processi milanesi è ancora un cantiere e neppure troppo fervido. “Quando finirete?”. “E chi lo sa”,  risponde con aria sconsolata uno dei pochi operai che si aggirano.

    Da marzo a oggi è cambiato poco. Resta una costruzione fantasma accanto al carcere, il cui aspetto più desolante sono le gabbie dove i detenuti dovrebbero attendere le udienze, in violazione se non della Convenzione di Ginevra almeno della dignità: sotto il livello del suolo, in una bolgia oscura senza finestre. Non sembrano terminati neanche i lavori per le stanze che dovrebbero ospitare di notte i magistrati durante le camere di consiglio, loculi, alcuni dei quali senza finestre e bagno, dove difficilmente le toghe vorranno riposare per meditare sulle sentenze.

    Il progetto iniziale prevedeva due aule di udienza, poi si è deciso di ridurre a una l’aula e destinare gli altri spazi a un grande archivio. Sopra l’aula sono previsti gli alloggi dei giudici, sotto le celle per ‘ospitare’ i detenuti nelle pause dei processi. Ma negli anni è successo di tutto: i soffitti sono crollati, la ruggine ha aggredito le gabbie, la falda acquifera è salita, com’era prevedibile ma non previsto nel piano originario.

    Il cambiamento più evidente è la crescita dell’erba ad altezza d’uomo nei campi che bisogna attraversare per raggiungere l’edificio perché una strada per accedervi non c’è e mai ci sarà: i terreni non sono stati espropriati, come prevedeva il progetto iniziale.

    Qualche mese fa,  su impulso della procura generale di Milano la corte dei conti ha aperto un’indagine con l’ipotesi di reato di ‘danno erariale per opera incompiuta’, mentre la procura a cui pure è giunta una segnalazione per il momento non sembra interessata ad approfondire il dossier. (manuela d’alessandro)

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