Categoria: Pubblica Amministrazione

  • Il nuovo Palazzo della giustizia milanese: non prende il telefono e le luci sono sempre accese

     

     

    Entri nell’ufficio di un giudice e lo trovi che sventola il telefonino alla finestra. “Che succede?”. “Succede che il telefonino qui non prende, o prende quando ne ha voglia. Per cercare la rete provo a metterlo fuori”. Via San Barnaba, benvenuti nella nuova casa della giustizia milanese. Dodicimila metri quadri su quattro piani, realizzata a spese e su progetto del Comune: qui sono sbarcate per intero da qualche giorno le sezioni della giustizia civile che si occupano di famiglia e lavoro, sia per il tribunale che per la corte d’appello. Tutto bello, tutto lucido, con un’aria vagamente da aeroporto elegante (non una Malpensa, eh).

    Eppure, girando negli uffici dei magistrati, si vedono mugugni che mal si addicono a chi ha messo da poco piede in una casa nuova di zecca.

    “Non sente che freddo? Ho la punta del naso gelata che manco in un rifugio…Sto venendo in ufficio con la sciarpa di lana”, si lamenta un altro magistrato. Il fatto è che l’aria condizionata , dio solo sa quanto benedetta in questi giorni demoniaci, qui è a temperature polari e, soprattutto, non si può spegnere. Vi piaccia o meno, quello è il clima che vi dovete sorbire.

    Poi c’è la questione delle luci. Sempre accese, dalla mattina alla sera, non c’è un interruttore per spegnerle. Solo a sera cala il buio. Che, in giornate estive, non è proprio il massimo, né a livello estetico né energetico.

    Siamo nel corridoio, guardiamo il cellulare. Prende a singhiozzo, per lunghi tratti non è possibile telefonare, mandare messaggi, usare internet. Com’è stato possibile non accorgersene prima di aprire gli uffici? I lavori sono cominciati nel 2009 e si sono conclusi con qualche anno di ritardo (la fine era prevista nel 2011).

    “La verità è che non è stato neanche fatto un collaudo prima di farci entrare”, protesta un  giudice che si accorda con una collega per spedire quanto prima una lettera di protesta a chi ha trascurato questi letali dettagli.  (manuela d’alessandro)

    Nella foto la sala server del nuovo edificio cui parlammo  qui

  • E’ morto l’ex procuratore Manlio Minale, per lui “il diritto e i fatti sopra ogni cosa”

    E’ morto stamattina Manlio Minale, ex procuratore generale ed ex procuratore della Repubblica di Milano. Avrebbe compiuto 75 anni ad agosto quando sarebbe dovuto andare in pensione. A maggio aveva anticipato l’addio alla magistratura con una lettera ai colleghi in cui spiegava di dover lasciare l’adorata toga un po’ prima del tempo per motivi di salute.

    Nato a Tripoli, in Libia, nel 1940, era entrato in magistratura nel 1965. Nel 1980 l’arrivo a Milano dove aveva presieduto la corte d’assise che condannò Adriano Sofri per l’omicidio Calabresi. Sempre a Milano è stato coordinatore del pool Antimafia e poi presidente del Tribunale di Sorveglianza. Nel 2003 aveva preso il posto di Gerardo D’Ambrosio alla guida  della procura, incarico ricoperto sino al 2010 quando è diventato procuratore generale.

    Lo ricordiamo col suo ultimo discorso pronunciato il 25 gennaio 2014, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario.

    Minale contro i giudici che non ricostruiscono i fatti

     

     

  • NoTav, non è terrorismo. Cassazione riboccia teorema Caselli

    Per la seconda volta la Cassazione boccia il teorema Caselli. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dei pm di Torino che chiedevano fosse riconosciuta la finalità di terrorismo per 3 militanti NoTav in relazione ai fatti del cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013. In precedenza la Cassazione aveva bocciato istanza analoga della procura torinese per altri 4 imputati.

    I pm Rinaudo e Padalino dovranno farsene una ragione. E dovrà farsela l’ex procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli nel frattempo andato in pensione. I tre imputati erano stati condannati a 2 anni e 10 mesi per l’azione, ma come per altri 4 militanti Notav era stata esclusa l’accusa più grave. Finora le decisioni dei giudici, compresi quelli della corte d’assise di Torino, hanno sempre escluso la sussistenza del teorema elaborato da Caselli, un vero e proprio professionista dell’emergenza, pronto ad agitare un fantasma del passato per regolare lo scontro sociale e politico di oggi.

    Il 14 maggio del 2013 durante la manifestazione era stato distrutto un compressore. Da lì partiva la crociata dei pm, fiancheggiata dai giornaloni, direttamente o indirettamente controllati dalle banche molto interessate al treno dell’alta velocità e poco propense a valutare la devastazione del territorio provocata dall’opera, i cui appalti sembrano gli unici onesti e trasparenti in un paese in cui le inchieste giudiziarie nascono per molto meno. E’ la ragion di stato. (frank cimini)

    No tav, condanne dimezzate rispetto a pm

    giudici, dai notav nessuna minaccia allo stato

  • Bruti: Vado in pensione. Cassazione: ok Robledo a Torino

    Nel giorno in cui la Cassazione, sezioni civili, dà l’ok al trasferimento a Torino dell’ex aggiunto Alfredo Robledo a causa degli sms scambiati con l’avvocato della Lega Nord Domenico Aiello, il capo della procura di Milano Edmondo Bruti Liberati annuncia che andrà in pensione il 16 novembre, rinunciando a prorogare l’incarico.

    Bruti e Robledo. I protagonisti dello scontro più forte mai avvenuto dentro una procura importante, dove è emerso chiaro come non mai il collegamento tra giustizia e politica. E basta leggere gli atti del contenzioso per rendersene conto. Nemmeno l’imputato eccellente per antonomasia con tutti i suoi potenti mezzi era riuscito a mettere in così grande difficoltà l’immagine e non solo quella della magistratura italiana.

    Dunque per la Cassazione era urgente il trasferimento a Torino di Robledo, al di là di quello che sarà il procedimento nel merito che in verità non è nemmeno stato avviato. Al pari quello a carico di Bruti che a questo punto non ci sarà. La ciliegina sulla torta l’aveva messa pochi giorni fa il consiglio giudiziario milanese rinviando al 22 settembre il parere sulla decisione della conferma dell’incarico di Bruti come procuratore capo. Tomo tomo cacchio cacchio Bruti va via senza rischiare di pagare dazio per aver “dimenticato” per 6 mesi nel cassetto un fascicolo. Non si trattava di un incidente stradale, ma della gara d’asta per la Sea, una delle più importanti aziende italiane, dove era lambita la giunta di centrosinistra del capoluogo lombardo.

    Ha pagato alla fine solo l’anello più debole, Robledo, schiacciato dal ruolo gerarchico di Bruti che come fondatore di Md era per l’organizzazione orizzontale contro i vertici. E che nella guerra interna ha avuto il sostegno importante di Giorgio Napolitano dal Quirinale il quale spesso ha fatto riferimento proprio ai poteri di cui dispongono i capi degli uffici inquirenti. Si chiude, si fa per dire, così una bruttissima pagina della storia della magistratura. Indipendenza? Autonomia? E da chi? Da questa vicenda è emerso che i politici con tutte le loro gravissime colpe non sono certo i peggiori nell’ex patria del diritto. Da tempo ormai è tutto al rovescio (frank cimini)

  • Bruti-Robledo, l’omertà nel dna di csm e consiglio locale

    L’ultima notizia sta nell’ennesimo rinvio. Da parte del consiglio giudiziario, il Csm locale, al 22 settembre per esprimere il parere sulla conferma di Edmondo Bruti Liberati come capo della procura di Milano. Parere da inviare al Csm, che nonostante l’annuncio del pg della Cassazione al momento della richiesta di trasferimento dell’aggiunto Alfredo Robledo a Torino, non ha compiuto un atto che sia uno del procedimento disciplinare a carico di Bruti. E nemmeno in relazione all’iter del procedimento a carico di Robledo, la vicenda del quale sembra in pratica chiusa con la misura cautelare con destinazione Torino.

    Tutto ciò accade dopo che i pm di Brescia, nel chiedere l’archiviazione dell’abuso d’ufficio a carico di Bruti, avevano “rimproverato” il capo della procura per valutazioni squisitamente politiche in riferimento sia al fascicolo Sea dimenticato per 6 mesi un cassetto e assegnato a Robledo solo quando ormai era impossibile fare indagini sia all’archiviazione del primo esposto dei radicali per le firme false del partito di Formigoni.

    Insomma, stiamo parlando di comportamenti omertosi, perché da Brescia era chiara l’indicazione della valutazione disciplinare in sede di archiviazione penale. Ci sono dei magistrati che accusano un loro autorevole collega di aver agito in base alla politica e non accade nulla. E’ ridicolo sciacquarsi la bocca con i nomi di Falcone e Borsellino a ogni occasione per poi silenziare oltre limite una storia scabrosa dove finora ha pagato solo uno dei due protagonisti, quello che ricopriva il ruolo meno importante dal punto di vista gerarchico.

    E come se non bastasse Bruti potrebbe chiedere la proroga dell’incarico in deroga alla norma che fissa il pensionamento a 70 anni. Con i tempi delle decisioni di Csm e consiglio locale evidentemente se lo può permettere. Ma non c’è bisogno di un eccessivo spirito critico per concludere che l’indipendenza della magistratura è ormai una barzelletta. Senza dimenticare la moratoria delle indagini su Expo a evento in corso che manda tanti saluti pure all’esercizio obbligatorio dell’azione penale, altro principio buono per essere sbandierato in convegni e comunicati. Al pari dei nomi dei magistrati uccisi dalla mafia (frank cimini)

    ps a ottobre il consiglio giudiziario, dopo innumerevoli rinvii, ha pronunciato il ‘non luogo a provvedere’ sul parere per la conferma di Bruti Liberati. La decisione è stata motivata col fatto che il procuratore ha annunciato di andare in pensione il 16 novembre e il parere sarebbe ormai superfluo.

  • Dal barbiere alle braghette, Formigoni – Crozza show in aula

    Dichiarazioni spontanee rese dall’ex Governatore lombardo nel processo Maugeri in cui risponde di associazione a delinquere e corruzione. “E’ Maurizio Crozza o Roberto Formigoni?”.

    Io e il parrucchiere

    “Quando ero presidente, non riuscivo neanche a pagare il caffè al bar e neppure il parrucchiere che mi diceva ‘lei basta che venga qui e mi fa pubblicità’. Infatti in Regione tutti avevano preso il gusto di andare dove andava Formigoni.

    A casa in braghette

    “Presidente, mi permetta di dire con orgoglio che il mio impegno per la Regione era pienissimo. Uscivo di casa alle otto del mattino e tornavo alle dieci – undici alla sera. I primi tempi mi divertivo a lavorare anche alla domenica. Quando ero a casa, guardavo la televisione in braghette, ascoltavo la musica che tanto mi piace, mi rilassavo”.

    Milioni di milioni

    “Era più che naturale che milioni di persone potessero dire di avermi conosciuto e incontrato” (a proposito della data incerta in cui incontrò Pierangelo Daccò).

    Stessa spiaggia, nuova fiamma  

    “La Procura dice che avevo l’uso ‘esclusivo’ della barca di Daccò. Per dimostrare che non era così basterebbe guardare le riviste di gossip che tutti gli anni mi attribuivano una fiamma diversa pubblicando le mie foto in barca. E chi erano? Il primo anno una figlia di Daccò, il secondo una fanciulla più o meno avvenente e poi altre”.

    La crema di bellezza

    “Preciso che quella non era una crema di bellezza ma serviva per curare un’irritazione cutanea molto profonda al volto e allora siccome a Milano non si trovava l’avevo fatto arrivare da fuori”. (A proposito di un’intercettazione in cui Formigoni chiede al suo segretario: “Allora è possibile recuperarla da Chenot? Tieni presente che eventualmente lì possiamo madare l’autista. Ne ho bisogno entro lunedì al massimo”).

    Non vivevo d’aria

    “Si è insinuato che io viva d’aria. Io versavo alla mia casa dove risiedo coi memores domini dai 50mila ai 70mila euro all’anno. Era un versamento unico che serviva per l’affitto, la manutenzione, per pagare la colf”.

     Un antipasto qua, un prosciutto là

    “La Procura parla di cene da settemila euro spesi da Daccò nell’interesse di Formigoni. In realtà, Daccò organizzava le cene nell’interesse di Daccò. La mia segretaria mi diceva ‘C’è una cena da Daccò’ e se potevo passavo. Avevo tre quattro inviti a cena la sera, magari mangiavo un antipasto da una parte e il prosciutto dall’altra”.

    Alle cene andavo perché si mangiava bene

    “Alle cene c’era gente che trovava comodo parlarmi invece di fare la fila in Regione. Io a quelle cene, da Sadler o in altri ristoranti, andavo solo perché si mangiava bene”.

    Silenzio ai Caraibi

    “Cinque giorni dopo la delibera sono andato ai Caraibi con Daccò e con lui non è stata detta neanche una parola su quella delibera. Un conto sono i rapporti personali anche di amicizia e solidarietà, un conto è la funzione  di amministrazione pubblico”.

    Voi date i numeri    

    “La Procura ha calcolato le utilità che avrei ricevuto. Erano 8 milioni, poi all’inizio del processo sono diventati 49 milioni, infine 61. Vorrei capire la cifra esatta che mi viene contestata. (…) Quelle che la Procura chiama utilità per me sono scambi tra persone che sono amici. L’accusa sostiene che avrei cominciato a percepirle dieci anni dopo aver cominciato a favorire la Maugeri e cominciato la mia attività delinquenziale. Per la Procura Formigoni è così abile a manipolare le coscienze degli assessori che si espone al rischio di delinquere per dieci anni senza vantaggi, ma Presidente, come lei sa la politica è instabile e se uno deve avere dei vantaggi li vuole subito, poi magari non ti rieleggono”.

    Scontrini tra amici

    “Daccò non mi ha mai presentato il conto, entrambi godevamo della compagnia tra amici. Ma tra amici ci si sambiano scontrini e ricevute? Ecco la chiave del rapporto tra me e Daccò: siamo diventati amici e ci siamo comportati da amici, nessuno calcolava il valore di quello che uno dava all’altro. Un rapporto di amicizia è la tipica cosa in cui non ci sono calcoli, è gratuita”.

    Motoscafino

    “Tra l’altro anche Simone ha il suo motoscafino” (parlando degli yacht di Daccò, Formigoni ricorda che anche l’ex assessore lombardo Antonio Simone aveva la sua piccola imbarcazione).

    (manuela d’alessandro)

     

  • Processi rinviati per caldo, Flegetonte manda in tilt il Tribunale

    Processo rinviato per caldo. Nella camera di fuoco della quarta sezione penale del Tribunale di Milano, sprovvista di aria condizionata, il giudice Monica Amicone spiega agli avvocati che si sventagliano con ogni mezzo a disposizione l’impossibilità di celebrare l’udienza del processo Tronchetti vs De Benedetti (il-vuoto-di-memoria-di-de-benedetti-al-processo-contro-tronchetti).

    Era già stata costretta a rinviare l’udienza precedente a quella del processo in cui il presidente di Pirelli è imputato per diffamazione perché per 4 volte si era verificato un black out dovuto ai condizionatori sparati a mille nel Tribunale che avevano fatto saltare l’impianto elettrico.

    “Mi scuso, ma non ci sono le condizioni per andare avanti – dice il magistrato prima di far suonare la campanella anticipata – è già stato un miracolo arrrivare sin qui con la registrazione”.  Oggi era in programma la requisitoria del pm Mauro Clerici, assente, ma il processo è saltato non perché il magistrato (sostituito da un altro) non c’era ma per i danni provocati da Flegetonte. Che, oltre a essere il nome dell’anticiclone colpevole dei bollori di questo spicchio d’estate, viene descritto nella mitologia anche come una divinità che aiuta Minosse nel giudizio delle anime. Oggi non ne aveva proprio voglia.  (manuela d’alessandro)

  • Aula bunker di Opera incompiuta da 19 anni, indaga la Corte dei Conti

     

    E infine è arrivata la Corte dei Conti a indagare sull’aula bunker del carcere di Opera in costruzione da 19 anni e non ancora ultimata. In questa storia di giganteschi ritardi anche la magistratura contabile, nel suo piccolo, ha tentennato prima di aprire un fascicolo per appurare se la collettività abbia subito danni.

    Mesi fa la Procura Generale aveva presentato un esposto alla Corte dei Conti che ora ipotizza il reato di ‘danno erariale da opera incompiuta’.  Forse non è ancora troppo tardi per spiegare come diversi milioni di euro siano stati investiti in un cantiere senza fine per realizzare un mostro di cemento  attaccato a una delle carceri più grandi in Italia. Soldi e risorse inghiottiti in un progetto più volte cambiato in corso destinato a ospitare maxi processi molto meno frequenti rispetto al remoto 1996, anno in cui la struttura  venne concepita.  La Procura Generale aveva inviato un dossier anche alla Procura che, almeno stando a quanto a noi noto, sembra non avere ancora avviato accertamenti. Del resto, se reati vi fossero, sarebbero con ogni probabilità già prscritti.

    Un nostro sopralluogo a marzo aveva svelato un cantiere fatiscente, il cui aspetto più desolante erano le gabbie in cui i detenuti dovrebbero attendere le udienze, in violazione se non della Convenzione di Ginevra almeno della dignità: sotto il livello del suolo, in una bolgia oscura senza finestre. Erano ancora indietro anche i lavori per le stanze che dovrebbero ospitare di notte i magistrati durante le camere di consiglio, loculi, alcuni dei quali senza finestre e bagno, dove difficilmente le toghe vorranno riposare per meditare sulle sentenze.

    Il Provveditore regionale alle opere pubbliche, Pietro Baratono, ci aveva assicurato che  a luglio l’opera sarebbe stata consegnata alla giustizia milanese. Vigileremo. (manuela d’alessandro)

    19-anni-e-milioni-di-euro-dopo-laula-bunker-di-opera-non-e-finita-e-fa-ruggine

     

     

     

  • Il rischio che il sexy gate travolga Roberto Maroni prima della Severino

    Spente le fanfare per Expo e gli squilli elettorali per le regionali, la Procura fa partire all’indirizzo di Roberto Maroni un provvedimento che potrebbe trasformarsi nell’epigrafe della sua presidenza alla Regione Lombardia.

    Il pm Eugenio Fusco gli notifica l’avviso di chiusura delle indagini con le accuse  di induzione indebita e turbata libertà del contraente in cui riassume due episodi di ‘raccomandazione’ illecita: l’incarico a Eupolis, società controllata dalla Regione, assegnato a Mara Carluccio, sua collaboratrice quando era al Viminale; e il viaggio a Tokyo promesso a un’altra ‘fedelissima’, Maria Grazia Paturzo, alla quale aveva nel frattempo garantito un posto a Expo.  Se dovesse essere condannato per induzione indebita, reato nella lista nera della legge Severino, il governatore potrebbe finire gambe all’aria.

    C’è un rischio per lui ancor più prossimo e bruciante. Sebbene il pm abbia espunto le intercettazioni più morbose,  la stampa potrebbe squadernare nei prossimi giorni un sexy gate al Pirellone entrando in possesso delle carte depositate con la fine dell’inchiesta.  Per adesso, nell’avviso di chiusura delle indagini il pm si limite a scrivere che Maroni e Paturzo sono “legati da una relazione affettiva”. E fa capire che il presidente avrebbe esercitato pressioni sui vertici di Expo per offrire a Paturzo un biglietto in business e un soggiorno in un albergo di lusso a Tokyo (costo circa 6mila euro) proprio in omaggio alla liason.

    Slanci sentimentali che, qualora venissero resi pubblici, oscurerebbero due presenze imbarazzanti nell’inchiesta: Domenico Aiello, il difensore di Maroni da lui nominato nel cda di Expo, società a sua volta indagata nell’inchiesta per le accuse al dg Christian Malangone (Aiello entra nel cda); e Andrea Gibelli, il segretario regionale appena nominato a capo delle Ferrovie Nord Milano sempre da Maroni (Gibelli a Fnm), e pure tra i destinatari dell’avviso di chiusura dell’inchiesta. Serafica, in ogni caso, la reazione del presidente: “Era ora, finalmente dopo un anno di indagini si chiude, se per una sciocchezza come questa ci vuole un anno, poveri noi. Sono tranquillissimo, non ha mai fatto pressioni in vita mia per nessuno, per i miei figli, amici o parenti”. (manuela d’alessandro)

    Avviso di conclusione delle indagini Maroni

  • Pm Brescia: Bruti violò obblighi ma non c’è prova che fosse consapevole

    Domani il consiglio giudiziario valuterà se confermare Edmondo Bruti Liberati nell’incarico di capo della Procura. Alla vigilia della decisione, Alfredo Robledo porta all’attenzione del consiglio un documento che, a suo avviso, impedirebbe il rinnovo della carica di quello che è stato il suo ‘nemico pubblico’ in una lunga contesa finita davanti al Csm.  La ‘carta’ gettata sul banco da Robledo arriva da Brescia ed è la richiesta della Procura locale di archiviare un’indagine in cui Bruti è indagato per omissione in atti d’ufficio.  (altro…)

  • Tutti a celebrare Falcone…ma lui voleva carriere separate

    “Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pm che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento dove egli rappresenta una parte in causa. E nel dibattimento non deve avere nessun gradi di parentela con il giudice e non deve essere come accade oggi una specie di paragiudice. Avendo formazione e carriere unificate con destinazione e ruoli intercambiabili, giudici e pm in realtà sono indistinguibili gli uni dagli altri”. Queste parole il 3 ottobre del 1991 le disse a Repubblica non Licio Gelli ma Giovanni Falcone, che adesso tutti ricordano e celebrano da morto, dopo in moltissimi casi averlo attaccato da vivo.

    Falcone era anche favorevole all’abolizione dell’esercizio obbligatorio dell’azione penale, un qualcosa che in pratica non esiste ma che serve a coprire le peggiori nefandezze dei magistrati inquirenti come dimostrano alcuni episodi anche recentissimi a cominciare dalla querelle Bruti-Robledo dove il capo dell’ufficio non subisce nemmeno un procedimento disciplinare dopo aver in pratica insabbiato un’inchiesta importante “dimenticando” il relativo fascicolo per sei mesi in un cassetto della procura.

    Sempre Falcone aveva molti dubbi sull’efficacia del reato previsto dall’articolo 416 bis, l’associazione di stampo mafioso. Sono tutte circostanze importantissime sulle quali chi lo celebra oggi fa finta di niente. E’ l’antimafia delle parole. Il merito di tale disastro giuridico e culturale è tutto della “sinistra” più forcaiola e reazionaria del mondo. Vide giusto su tutta la linea Sciascia quando parlò di “professionisti dell’antimafia”. Ancora oggi si celebra un Falcone diverso da quello che era. Una truffa politica e culturale che continua nel tempo.

    Va anche detto però che siccome nessuno è perfetto, pure Falcone ebbe dei limiti non da poco. Per esempio quando affermò che le dichiarazioni dei “pentiti” non vanno necessariamente riscontrate “perché c’è il libero convincimento del giudice”. Ma qui parliamo di un gap che va al di là di Falcone perché riguarda il dna della Repubblica italiana. Mai è stata avviata una seria riflessione su una legislazione premiale che fu l’inizio della fine dello stato di diritto e che fa danni ancora oggi, con la nuova norma anticorruzione che prevede sconti per chi collabora. “Non bisogna favorire la delazione nemmeno tra scellerati”, era la posizione perfino di Alfredo Rocco, il ministro di Mussolini. Da decenni noi andiamo nella direzione opposta.

    Al di là di tutto, Giovanni Falcone rispetto ai suoi eredi di ieri e di oggi era un autentico gigante, un esempio di equilibrio. Se pensiamo che a rivendicare l’eredità del giudice ucciso dalla mafia a Capaci ci sono stati personaggi come Antonio Ingroia che si inventò il reato di “trattativa”, come Ilda Boccassini che fece apparire funzionanti microspie inceppate. E’ la giustizia, bellezza, e noi, pare, non possiamo farci niente. (frank cimini)

  • ‘Spese pazze’, le motivazioni della condanna ai consiglieri regionali

    Un piatto di gnocchi, gli slip, le aragoste. Miserie e nobiltà di una vita, “spese compulsive” per il giudice di Milano Fabrizio D’Arcangelo che così le definisce nelle motivazioni alla sentenza di condanna col rito abbreviato a carico di tre ex politici del Pirellone – Carlo Spreafico (Pd), Alberto Bonetti Baroggi (eletto nelle file del Pdl) e Angelo Costanzo (Pd)  – a pene fino a 2 anni. Il procedimento è quello sulla presunta ‘rimborsopoli’ lombarda tra il 2008 e il 2012 nell’ambito del quale il gup ha anche rinviato a giudizio 56 persone, tra cui Renzo ‘Trota’ Bossi e Nicole Minetti.

    Spese spesso prive “dell’ indicazione dei dati del cliente” e delle “occasioni di rappresentanza” che giustificavano quegli esborsi. Più che per i libri o per altre attività ludiche, annota il giudice, i soldi pubblici finivano in “pranzi, cene o rinfreschi”. Nelle motivazioni della sentenza, il gup evidenzia come “le finalita’ sociali (di raccordo con la societa’ civile)” potevano consentire che venissero rimborsate ai consiglieri anche le spese per “iniziative di segno strettamente politico-partitico”, oltre che quelle relative al gruppo consiliare, ma era certamente necessaria una “adeguata documentazione”. Invece qui le ‘pezze d’appoggio’ non ci sarebbero state o comunque non erano in grado di attestare che l’”evento conviviale fosse attinente all’attività istituzionale” .

    (m. d’a.)

    qui il documento integrale: Sentenza

     

  • Il caso del magistrato ubriaco in bici fa giurisprudenza

    Fa giurisprudenza la sentenza di condanna inflitta dalla Corte di Cassazione a un magistrato milanese sorpreso a guidare ubriaco la sua bicicletta. La Suprema Corte ha confermato a febbraio la pena a due mesi e venti giorni di arresto e a un’ammenda di 800 euro per il ciclista togato, verdetto che da giorni viene commentato sui principali siti specializzati in diritto.

    Il reato di guida in stato di ebbrezza – questo è il cuore della pronuncia – può essere commesso anche sulle due ruote.  Per la Corte “ciò che conta è l’effettiva idoneità del mezzo ad interferire con il regolare e sicuro andamento della circolazione stradale, con la conseguente creazione di un obiettivo e concreto pericolo per la sicurezza e l’integrità del pubblico degli utenti della strada”.  Fermato e sottoposto all’etilometro che aveva accertato un tasso alcolemico pari a 1,97 grammi per litro, il magistrato ha provato in tutti i modi a convincere i colleghi ad annullare le precedenti condanne che gli erano state inflitte a Brescia nei primi due gradi di giudizio. Implacabili gli ‘ermellini’: non solo hanno confermato le sentenze,  ma si sono rivelati molto severi nel distruggere tutti i motivi d’appello, a cominciare dalla “pretesa inapplicabilità della disciplina penalistica della guida in stato di ebbrezza alla conduzione di veicoli non motorizzati (e segnatamente della bicicletta)”. L’imputato aveva sostenuto inoltre di essere montato in sella alla bici “spinto dalla “necessità di sottrarsi al pericolo di una danno grave alla persona” perché aveva fretta di tornare a casa per curare una fastidiosa “cefalea a grappolo”. Un argomento definito dalla Cassazione “congetturale”. Respinta, infine, la richiesta del ricorrente di riconoscere la tenuità del fatto. Non si può dire che al povero magistrato, cui va la nostra umana simpatia, sia stato riservato un trattamento di favore. Magistrato mangia magistrato, a volte. (manuela d’alessandro)

     

  • Le pulci invadono la cancelleria, chiusi gli uffici

    Festa grande a Palazzo per le pulci che amano la carta ma non disdegnano di punzecchiare gli umani. Il banchetto è stato consumato negli uffici della Cancelleria centrale penale della Procura, al terzo piano. I ghiotti parassiti hanno fatto incetta di fascicoli di carta e pelle dei malcapitati cancellieri che, da qualche giorno, lamentavano un irresistibile pizzicore. Oggi è arrivata la sentenza dei tecnici delle disinfestazioni: “Pulci”. I tecnici della Asl sono già intervenuti per bonificare le stanze della cancelleria, per il momento ancora inutilizzabili. (manuela d’alessandro)

  • L’”irritazione” della Procura per Bruti – Robledo, cosa voleva dire de Bortoli?

    A pratica ormai quasi chiusa, con il procuratore aggiunto Alfredo Robledo spedito dal Csm a fare il giudice (ma la Cassazione dovrà valutare la legittimità del provvedimento), un interessante dettaglio sulla guerra interna che ha scosso a lungo la magistratura milanese emerge nell’editoriale con cui Ferruccio de Bortoli lo scorso 30 aprile ha preso commiato dai lettori del Corriere della Sera, dopo averlo diretto per dodici anni.

    Nel suo lungo articolo di saluto, de Bortoli rivendica con legittimo orgoglio di avere tenuto dritta la barra dell’indipendenza del quotidiano di via Solferino sfidando anche le pressioni dei poteri forti. E qui, a sorpresa, tra i poteri scontentati dalla sua direzione, il giornalista inserisce anche quello della magistratura.Il Corriere “non ha fatto sconti al potere, nelle sue varie forme, nemmeno a quello giudiziario”, scrive de Bortoli.

    A cosa si riferisce? Il concetto viene reso più esplicito poche righe più sotto: dopo avere ricordato che  ad “alcuni miei – ormai ex – azionisti sono risultate indigeste talune cronache finanziarie e giudiziarie. A Torino come a Milano. Se ne sono fatti una ragione”, (e qui sembra chiaro l’accenno ai problemi giudiziari di Marco Tronchetti Provera), de Bortoli aggiunge: “Alla Procura di Milano si sono irritati, e non poco, per come abbiamo trattato il caso Bruti-Robledo? Ancora pazienza”.
    Il dettaglio viene riferito da de Bortoli, come è nel suo stile, senza enfasi. Ma è difficile non coglierne la portata. Se de Bortoli dice che la Procura di Milano era “irritata” per le cronache (prevalentemente a firma di Luigi Ferrarella) sul caso Bruti-Robledo, significa che in qualche modo i vertici della Procura hanno fatto conoscere il loro sentimento ai vertici del ‘Corriere’. Può essere avvenuto in molti modi diversi – da una telefonata diretta a de Bortoli, una manifestazione di insofferenza verso Ferrarella, a un messaggio fatto arrivare di rimbalzo – ma poco cambia. Se un potere come quello giudiziario manda a dire a un organo di stampa (peraltro stampato a Milano, e quindi soggetto alla giurisdizione della procura milanese) di essere irritato, non può sfuggire il carico di un simile messaggio. Non occorre essere americani per ricordarsi che tra i doveri della stampa c’è quello di essere il cane da guardia del potere. Di tutti i poteri.

    Sarebbe interessante, a questo punto, capire cosa sia accaduto più precisamente. Le raccolte del ‘Corriere’ di questo ultimo anno sono lì a raccontare come in effetti il quotidiano di via Solferino abbia trattato la vicenda senza sconti per nessuno, raccontando meriti e colpe di entrambi i contendenti e dei loro supporter. Quando e come la Procura ha fatto sapere alla direzione del quotidiano di essere “irritata”? Potrebbe raccontarlo sicuramente Ferruccio de Bortoli, ma – interpellato sul punto – l’ormai ex direttore del ‘Corriere’ si trincera dietro un cortesissimo “no comment”. Nessuna risposta dai vertici della Procura: “Andate a chiederlo a de Bortoli”. Comunque sia andata la cosa, l’impressione è che lo scontro Bruti-Robledo sia stata non solo una brutta pagina della vita interna della magistratura ma anche dei rapporti tra informazione e giustizia. (orsola golgi)

  • Il sito del Tribunale creato coi soldi di Expo che nei week end si ‘spegne’

    Conoscete siti che offrono informazioni di interessi pubblico che si ‘spengono’ nel week end? Noi sì, quello del Tribunale di Milano.

    Per diverse settimane abbiamo monitorato al sabato e alla domenica la ‘voce’ sul web del Tribunale e ci siamo accorti che intorno alle 21 della sera di sabato e domenica, e sino alla mattina successiva, è impossibile navigare. Funzionano invece benissimo i siti della Procura e della Corte d’Appello di Milano: il primo è stato creato gratis, con risorse interne all’ufficio, il secondo da astegiudiziarie.com. Oltre che i siti dei Tribunali di Roma e Napoli, tanto per citarne due del rango di quello milanese.

    Il sito del Tribunale è un ‘figlio d’ Expo’.  E’ costato 265.295mila euro che fanno parte di quella marea d’oro elargita in nome dell’Esposizione Universale alla giustizia milanese. Soldi assegnati, senza gara, alla Camera di Commercio Nella determinazione dirigenziale datata 23 maggio 2013 col timbro di Palazzo  Marino si precisava che la scelta era caduta su questo ente, oltre che per rapporti di collaborazione precedenti col Tribunale, anche perché “in grado di garantire la massima segretezza e riservatezza, soprattutto in ordine alle notizie di cui verrà a conoscenza necessarie al fine di realizzare quanto richiesto”.

    In un documento su carta intestata della Camera di Commercio, di cui Giustiziami è venuto in possesso, c’è una spiegazione al black out del fine settimana: “è stato previsto lo spegnimento del sito del Tribunale dalle 21 alle 8 circa dei week end e dei giorni festivi, orari in cui più facilmente  possono verificarsi attacchi”.  Non si poteva proprio spendere meglio quei soldi? In fondo al sabato e alla domenica il sito della Cia funziona. (manuela d’alessandro)

     

     

     

  • Video arresto di Bossetti, una vergogna per pm e media

    Le immagini dell’arresto di Massimo Bossetti, indagato per l’omicidio di Yara Gambirasio, erano nell’esclusiva disponibilità della procura di Bergamo e della polizia giudiziaria. Sono finite in tv e sui siti on-line in concomitanza con l’udienza preliminare in cui il gup ha deciso il rinvio a giudizio del muratore per il prossimo 3 luglio in corte d’assise. A protestare sono esclusivamente i penalisti in un comunicato in cui si scrive di “massimo degrado dell’informazione giudiziaria”. Parole giuste e sacrosante, che però hanno il torto di prendersela solo con chi pubblica, solo con una parte del circo mediatico giudiziario.

    C’è un problema enorme, emerso non solo in questo caso, per chi le informazioni e le immagini le passa ai giornalisti al fine di celebrare i processi sui media prima che nelle aule. L’accusa, pm e carabinieri, bara, per influenzare i giudici e la cosiddetta opinione pubblica in merito alla sorte di un uomo detenuto in attesa di giudizio e per la Costituzione innocente fino al giorno della sentenza definitiva. Quelle immagini, video e sonoro risalenti al 16 giugno 2014 nel cantiere in cui Bossetti lavorava, in un paese civile dovrebbero restare nel cassetto anche dopo l’eventuale condanna in Cassazione dell’imputato. Nessuna pena è comprensiva di gogna mediatica. Abbiamo assistito invece a una prova di inciviltà a livello giuridico, politico e umano da parte di chi indagando dovrebbe tutelare i diritti delle persone. Ci sarebbe materia per accertare quanto è accaduto sia da parte del Csm a livello disciplinare, sia da parte della procura di Venezia competente sulle vicende dei magistrati in servizio a Bergamo. Ci sarebbe materia per un comunicato da parte dell’Anm che per molto meno non esita a inondare le redazioni delle sue prese di posizione anche quando non avrebbe titolo alcuno e farebbe bene a tacere.

    La credibilità della giustizia italiana è molto bassa anche per fatti come questo. Ma non succederà nulla. Bossetti, colpevole o innocente che sia, non è nessuno e la sua immagine viene “elargita” in pasto a un’opinione pubblica già molto forcaiola e reazionaria, soprattutto per i comportamenti di magistrati, media e politica (frank cimini)

  • Pm Perrotti a capo dell’anticorruzione senza delega su Expo

    Da oggi Giulia Perrotti è il nuovo capo del pool anticorruzione alla procura di Milano ma non avrà la delega a coordinare le indagini su Expo. Così ha deciso il capo Edmondo Bruti Liberati che continua a tenere per sè la delega come aveva fatto dal momento in cui l’aveva tolta all’allora aggiunto Alfredo Robledo, poi trasferito a Torino dal Csm al culmine della guerra interna all’ufficio.

    Bruti quando aveva dimezzato in pratica l’incarico di Robledo cercò tra i suoi aggiunti qualcuno disponibile a prendere la delega relativa agli appalti dell’Esposizione, ma non trovò nessuno. Adesso che c’è formalmente un magistrato a ereditare l’attività che fu di Robledo, il capo dell’ufficio non cambia registro e il fatto è quantomeno anomalo in una grande procura. E appare addirittura grave considerando quello che era accaduto fino ad oggi nelle indagini su Expo. C’è chi maliziosamente fa osservare che tenendo presente la moratoria in atto dal punto di vista investigativo sulla materia il procuratore può benissimo trattenere la delega “perché tanto non c’è niente da fare”. (frank cimini)

    p.s. nella foto il cambio della targa dell’ufficio che fu di Alfredo Robledo.

  • La moratoria sulle indagini della Procura di Milano per Expo (e non solo)

    “Magari adesso il porto delle nebbie siamo noi”, dice un pm critico con la gestione della procura da parte del capo Edmondo Bruti Liberati, evocando la storica definizione che tanto tempo fa era stata utilizzata per gli inquirenti romani. “Moratoria per Expo” è la spiegazione che ormai da mesi gira per il quarto piano e sulla quale concordano anche diversi avvocati preoccupati innanzitutto per la mancanza di parcelle dai ‘colletti bianchi’.

    Expo ora è una sorta di patria da salvare. Non si può disturbare il manovratore, anche a costo di vedere accertamenti sul Padiglione Italia spuntare dall’inchiesta di Firenze. Ahi, Firenze, proprio l’autorità giudiziaria da dove approdò a Milano quella turbativa d’asta targata Sea poi “dimenticata” per 6 mesi in un cassetto e assegnata all’allora aggiunto Robledo quando la gara si era conclusa e le bocce tirate. (Sea, l’indagine mancata)

    L’indagine su Roberto Maroni sulle assunzioni e sui 6 mila euro di un viaggio a Tokio di una consulente che il governatore avrebbe preteso fossero sborsati proprio da Expo è chiusa da tempo, ma per la formalizzazione si è deciso di aspettare. Diciamo per non interferire con il taglio del nastro del prossimo primo maggio. Per le tangenti pagate lo stop è arrivato con i patteggiamenti di Gianstefano Frigerio e Primo Greganti figure della Prima Repubblica. Non è mai decollata un’indagine sul maxi appalto della Piastra, centro nevralgico dell’Esposizione. C’è anche chi maliziosamente afferma che se ne parlerà dopo il 31 ottobre, per non danneggiare il cosiddetto ‘sistema paese’ che a Parigi con Letizia Moratti e Romano Prodi sconfisse la terribile armata di Smirne.

    Ci sarebbe anche un’indagine sull’amianto alla Scala, pure questa pronta per essere chiusa con il deposito degli atti. Ma si aspetta. L’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale è un optional in realtà. Tempo al tempo. Prevalgono criteri di convenienza e di opportunità. Cioè la politica, da parte di una categoria che per il resto non perde occasione per rivendicare indipendenza e autonomia persino quando sul tavolo della discussione c’è il periodo feriale.

    E’ uno stringersi intorno a Expo che, pochi giorni fa, il sindaco Pisapia in tv ha precisato di aver solo ereditato. Ma quando si è in ballo bisogna ballare. E qui o si fa Expo o si muore. Intanto è morto di lavoro un operaio albanese. Il Corriere della Sera spara bordate contro i bamboccioni che avrebbero rifiutato stipendi da 1500 euro al mese. Poi si scopre che erano 500 euro per lavorare da mattina a sera, alle dipendenze di Manpower, azienda che qualche rapporto con via Solferino ce l’ha. Senza dimenticare i soldi che i mezzi di informazione, in testa la Rai, prendono da Expo e i fondi per la giustizia in relazione all’evento almeno fino a pochi mesi fa assegnati senza gare e con criteri poco chiari dai vertici del palazzo ( Appalti giustizia). Il presidente del Tribunale andato in pensione, Livia Pomdoro, è diventata ambasciatrice Expo. Tutti tengono famiglia, il paese intero è una famiglia le cui sorti dipendono dal buon esito dell’evento. Nella certezza ovviamente che in caso di “rosso” il deficit sarà ripianato dallo Stato con i soldi dei contribuenti. Il pezzo da pagare per aver sbaragliato Smirne. E meno male che non si trattava di New York. (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • Aiello entra nel cda di Expo mentre difende Maroni per le nomine nella società

    Domenico Aiello è il nuovo consigliere di amministrazione di Expo. Una nomina inopportuna perché il legale difende Roberto Maroni in un’indagine in cui il Governatore è accusato anche di avere garantito in modo illegittimo un contratto di collaborazione a una sua ‘fedelissima’ nella stessa società. Aiello è anche il legale intercettato in quelle telefonate che sono costate ad Alfredo Robledo, allora procuratore aggiunto che si occupava di Expo,  la toga di pm e il trasferimento da Milano a Torino (Robledo – Aiello).

    Ora diventa consigliere di amministrazione indicato come dal Pirellone al posto di Fabio Marazzi. Siederà nel cuore decisionale della società assieme ai 4 rappresentanti degli altri soci: Giuseppe Sala, Diana Bracco, Alessandra Dal Verme e Michele Saponara.

    Roberto Maroni sceglie quindi di affidare  un incarico così importante,a  nove giorni dall’avvio dell’Esposizione Universale, al legale che lo difende nell’inchiesta coordinata dal pm Eugenio Fusco in cui il Governatore è accusato di pressioni indebite per far ottenere contratti con Eupolis ed Expo a due sue ex collaboratrici. Come avvocato della Lega, inoltre, Aiello  aveva manifestato una certa contrarietà nei mesi scorsi rispetto alla decisione di Matteo Salvini di non far costituire il Carroccio parte civile nel procedimento sui presunti rimborsi illegittimi che coinvolge anche la famiglia Bossi.  Una nomina di fiducia, non c’è che dire che per il Movimento 5 Stelle “ha un secondo fine da parte di Maroni dato che non ci sono apparenti motivi di merito”. (manuela d’alessandro)

     

     

     

     

  • La sala stampa del Palazzo di Giustizia sta per chiudere

    “La sala stampa del Palazzo di Giustizia chiuderà a settembre”. L’annuncio, questa volta apparso implacabile rispetto ad altri analoghi negli anni passati, è stato dato sabato scorso dal Presidente del Gruppo Cronisti di Milano, Rosi Brandi, durante la cerimonia del ‘Premio Vergani’.

    Le testate giornalistiche non riescono a pagare l’esorbitante canone d’affitto di 14mila euro all’anno per la malmessa stanza di circa venti metri quadri che ospita i giornalisti da più di  due decenni. “Alcune aziende editoriali,  Poligrafici, Mediaset, La7, Il Fatto Quotidiano, nonostante le ripetute sollecitazioni”, si legge in una nota del Gruppo Cronisti, non versano la loro quota. Proprietaria dello spazio è l’Agenzia del Demanio (Ministero dell’Economia) che stipulò a suo tempo un contratto col Gruppo e  l’ha data in gestione al Comune di Milano. La cifra a carico dei giornalisti è salita nell’ultimo anno a causa dei continui lavori di manutenzione di tutto il Palazzo, e adesso la gestione della sala stampa pesa come un ‘rosso’ non più sostenibile sui bilanci del Gruppo. “Le aziende in difetto – spiega Rosi Brandi – verranno di nuovo sollecitate, ma se non si decideranno a dare il loro contributo la chiusura sarà inevitabile”.

    Una soluzione potrebbe essere l’abbassamento dell’affitto da parte del Demanio, altrimenti non resterebbe che cercare una nuova ‘casa’ all’interno del Palazzo per i cronisti. Nei mesi scorsi, era stata ventilata dalla Procura la possibilità di concedere gratis ai giornalisti uno spazio, ipotesi non gradita da alcuni per ragioni di opportunità. (manuela d’alessandro)

  • Sicurezza? Ecco come abbiamo violato la sala server del Tribunale

     

     

    Pochi giorni prima della sparatoria, siamo entrati nella sala server del Tribunale che si trova nella palazzina di via Pace, la nuova ‘casa’ della giustizia milanese che sta sorgendo accanto al Palazzo. La foto che pubblichiamo documenta quanto sia stato facile violare la stanza dove è in costruzione quello che è destinato a diventare il ‘cervello’  informatico non solo della giustizia meneghina ma anche di quella italiana, insieme alle sale server di Roma e Napoli.

    Stavamo cercando informazioni sullo stato di avanzamento dei lavori finanziati coi soldi Expo che scontano un ritardo ormai di anni. Ritardo non quantificabile dal cittadino perché il cartello che, per legge, dovrebbe segnalare il termine di consegna dell’opera è sbiadito per il trascorrere del tempo. Avvicinandoci all’ingresso ci siamo resi conto che varcarne la soglia non presentava alcuna difficoltà. Nessuna opposizione nell’entrare e nel vagare per la sala server i cui lavori, come testimonia l’ immagine, dovrebbero essere in dirittura d’arrivo. Con altrettanta tranquillità siamo usciti da quello che dovrebbe essere un ‘santuario’ inviolabile, al punto che l’appalto per la sua costruzione è ‘segreto’ e non si sa neppure chi si sia aggiudicato i lavori, a differenza che per tutti gli altri sotto l’egida di Expo.  Nei mesi scorsi il Presidente della Corte d’Appello Giovanni Canzio, come riportava il ‘Corriere della Sera’, aveva inviato una lettera al Comune e al Ministero della Giustizia chiedendo di chiarire le ragioni del ritardo per la “realizzazione di una sala server destinata anche al funzionamento e alla sicurezza dei dati relativi”. Ora scopriamo che c’è un ritardo anche nel garantire la sicurezza del luogo. (manuela d’alessandro)

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  • Da avvocato dico che non era il momento di sventolare la toga

    Non era quello il momento di ostentare la propria toga.
    Mi dispiace dovere intervenire su un fatto tragico come quello vissuto da molti di noi nel Tribunale di Milano quella drammatica mattina del 9 aprile, solo un doloroso e rispettoso silenzio infatti avrebbe dovuto essere a parer mio garantito all’immenso dolore privato di chi è stato direttamente coinvolto nei suoi affetti più cari da una catastrofe così “assurda”.
    Ma quanto mi è toccato di sentire e di leggere “dopo” da parte di alcuni, anche autorevoli, rappresentanti di categoria (termine orrendo), siano stati magistrati oppure “colleghi” mi ha creato non poco disagio, perché bene o male in quel Tribunale ci lavoro anche io da anni, e dentro a quel Tribunale ci lavorano molti miei amici, magistrati e “colleghi”.
    Non mi importa per niente stabilire oggi “chi dei due abbia cominciato prima”, chi sostenendo che quell’efferata strage sarebbe stata figlia di un “clima ostile” e chi vantando invece la nobiltà della propria professione, magari evocando, entrambi, antiche figure di una storia passata dove inconcepibilmente assimilare, a seconda del dichiarante, storie tra loro così diverse come quelle del giudice Alessandrini o dell’avvocato Ambrosoli.
    L’impressione per chi leggeva e sentiva, o almeno così è stato per me, è stata quella di veder trasformare una tragedia ancora “a caldo” (ammesso che in un caso del genere ci possa mai essere un “a freddo”) in una pubblica rivendica di ruolo, se non addirittura di “eroismi” di categoria.
    Quanto sono soli e incompresi i magistrati e quanto sono nobili e fondamentali gli avvocati ed ecco perché rischiano la vita tutti i giorni in Tribunali privi di difesa, insomma, un morto per uno e pari e patta di pubblico memento sulle opposte ribalte del lutto e pace fatta, dopo gli inziali attriti, tra le due fazioni.
    Il dizionario suggerirebbe per tutto questo il verbo “strumentalizzare”, io non mi permetto di volere leggere cosa passava nella testa di chi subito dopo esternò. Forse la violenta emozione  per un fatto di tale eccezionalità ha giocato qualche brutto tiro a chi è stato indotto a dovere per forza dire a tutti i costi qualcosa di significativo, ma sta di fatto che come avvocato mi sono sentito un po’ in imbarazzo verso tutti quelli che pure lavorano ogni giorno in altre arti e mestieri. Poteva accadere ovunque e a chiunque.
    Una moglie straziata piangeva appena fuori dal Palazzo il marito freddato a pochi mesi dalla pensione ed il giorno dopo una madre dentro quel palazzo il proprio giovane figlio ad una pubblica commemorazione sentita e commossa di centinaia di partecipanti silenti e attoniti.
    Sono morte due persone, anzi per la verità tre, vi sono stati anche feriti, e una ulteriore famiglia, quella del “killer” (come si legge sui media), sta vivendo il peggiore degli incubi.
    Non era quello, a mio parere, il momento migliore per ostentare al mondo la propria toga, ma in Italia, si sa, le morti, soprattutto quando sono eclatanti, raramente inducono i più a commenti all’altezza della tragicità dell’evento.
    Davide Steccanella

  • I lavoratori ai vertici del Palazzo, “avete visto un film diverso sul dopo sparatoria”

    Cosa è successo a Palazzo di Giustizia negli istanti successivi alla sparatoria? All’assemblea convocata stamattina dai lavoratori nella ‘Sala Valente’ di fronte all’edificio del Piacentini abbiamo ascoltato due versioni. Una, rassicurante, è stata espressa dal procuratore Edmondo Bruti Liberati e dal Presidente della Corte d’Appello Giovanni Canzio, i quali hanno sottolineato come non si sia vista “nessuna scena di caos o panico”. “Non c’erano direzioni sicure in cui evacuare – ha spiegato Canzio – e i dipendenti hanno seguito l’indicazione di stare chiusi negli uffici. Il loro comportamento è stato un esempio di sobrietà e adeguatezza di fronte a un evento così tragico. “Per circa mezz’ora – è il racconto di Bruti – non sapevamo se Giardiello fosse nel Palazzo ma non c’è stato nessun panico. Quando è arrivata la notizia del suo arresto, il controllo del Palazzo era già stato quasi completato”.

    Molto diversa l’interpretazione data da diversi lavoratori che hanno preso la parola dopo Bruti e Canzio, che, nel frattempo, avevano lasciato la sala. “Io ho visto tutto un altro film – ha detto un esponente dell’Uilpa – Ero al piano terra dove c’era il caos totale. E’ vero, non ho visto persone che si strappavano i capelli, ma girava gente armata senza pettorina nè distintivo. Solo il buon senso ci ha suggerito di stare negli uffici”. “Il personale non è formato al piano di evecuazione – ha affermato un altro dipendente – ciascuno di noi, in casi come questo, dovrebbe sapere dove andare, per esempio si dovrebbe sapere come portare fuori un collega che ha delle disabilità. I corsi sull’evecuazione li fanno ai bambini di prima elementare, non è possibile che qui ci si affidi al passaparola o a una e – mail”. Su quanto accaduto, abbiamo raccolto anche la testimonianza di un militare che lavora ‘in borghese’ al Palazzo: “All’inizio non c’era nessun coordinamento, abbiamo preso le pistole ci siamo divisi tra noi le zone del Tribunale dove cercare Giardiello. Solo dopo molto tempo sono arrivati dei superiori che ci hanno dato indicazioni su come muoverci”. (manuela d’alessandro)

  • Nuovo scontro, pm contro Bruti su nomine anti terrorismo

    Non è finita, e che potesse davvero finire ci ha creduto solo il Csm quando ha cacciato Alfredo Robledo da Milano.

    Questa volta all’ombra dei marmi del Piacentini ci si accalora sulla nomina da parte di Edmondo Bruti Liberati del pm Enrico Pavone al quarto dipartimento che si occupa di terrorismo e reati informatici. E non è così importante capire chi ha ragione e chi ha torto, ciò che conta è la sensazione di una Procura ancora livida di tensioni.

    Ma veniamo alla nuova polveriera. Dopo l’addio all’esperta in eversione Grazia Pradella, migrata a Imperia, si era aperto un concorso interno per scegliere un sostituto.  In fila per conquistare un posto erano in sette ma alla fine il capo ha scelto il 18 marzo scorso Pavone. A tre degli ‘sconfitti’, Francesco Cajani, Paola Pirotta e Alessandro Gobbis, non è piaciuta la modalità con cui Bruti ha selezionato il pm, a loro dire senza motivare la scelta tant’è che nel provvedimento di nomina non risulta traccia formale della loro bocciatura. I tre hanno investito delle loro perplessità il Consiglio giudiziario che nei prossimi giorni convocheràMaurizio Romanelli, capo del pool, per ascoltare la sua versione e  dovrà anche pronunciarsi sulla possibile irregolarità della nomina di Pavone, il quale non avrebbe trascorso, come prevede il Csm, due anni in un dipartimento prima di passare a un altro.

    Vi chiederete: ma perché quei tre volevano prendere il posto di Grazia Pradella quando già stanno nel quarto dipartimento? Perché ritengono di essere stati emarginati in questi mesi dalle inchieste di terrorismo e ‘costretti’ a occuparsi per lo più di reati informatici. E perché erano emarginati? Forse, azzardiamo, in quanto considerati ‘roblediani’ ? Che fosse o meno così – Bruti rivendica la correttezza della sua scelta (“Sono state rispettate le regole, le domande erano inammissibili ed era giusto assegnargli meno fascicoli di terrorismo “) –  rieccoci al punto di partenza. Il Csm, che da mesi tergiversa sull’incompatibilità ambientale di Bruti, come ha potuto credere di risolvere una frattura così profonda in Procura solo cacciando Robledo? (manuela d’alessandro)

  • Addio all’avvocato Guiso, difese Curcio e Craxi

    Se ne va a 82 anni l’avvocato Giannino Guiso, un protagonista dei processi politici nel nostro paese, una sorta di Verges* italiano. Dai giorni drammatici del sequestro Moro quando per conto del Psi come avvocato di Renato Curcio cercò di intavolare una trattativa per salvare la vita dell’esponente democristiano fino a Mani pulite dove come legale di Craxi, insieme a Enzo Lo Giudice anche lui scomparso di recente, si scontrò duramente con il pool della procura di Milano.

    “Un giorno la storia giudicherà chi ha cercato di giudicare Craxi” furono le sue parole dopo la morte del leader socialista. Guiso tentò nelle aule giudiziarie ma anche fuori di far emergere che Craxi era il caprio espiatorio in relazione a un fenomeno come il finanziamento illecito dei partiti ben noto a un’intera classe politica ma che per decenni quasi tutti avevano finto di ignorare.

    Guiso attraversò in pratica quelle che furono insieme alla mafia le principali “emergenze” della storia italiana e che fanno sentire ancora oggi il loro peso su una amministrazione della giustizia incapace, nonostante i tanti progetti di riforma, di risolvere i suoi problemi.

    Anche in tempi recenti aveva ribadito la sua convinzione, Moro poteva essere salvato, se la politica avesse fatto in pieno il suo mestiere senza delegare interamente alla magistratura la risoluzione del problema della sovversione interna. A Guiso era chiaro che dalla madre di tutte le emergenze in poi si era ristretto il diritto di difesa e i codici erano stati strumentalizzati dai magistrati per aumentare il loro potere a scapito dei politici.

    L’avvocato sardo diceva di apprezzare in particolare il Craxi di Sigonella che si scontrò con gli americani per difendere la sovranità del paese. Guiso se ne va mentre i problemi che aveva segnalato in tutta la sua vita professionale sono lontani dall’essere risolti. Criticava aspramente i magistrati ma anche la politica che si era consegnata mani e piedi alle toghe. Spiegava sempre che il diritto non può essere uno strumento di trasformazione della società. Predicava per molti versi nel deserto, ma lo ha fatto con grande generosità, con discorsi che andavano al di là della posizione del cliente di turno patrocinato al momento. Guiso aveva una visione complessiva e per questo perse la sua battaglia per salvare la vita prima di Moro e poi di Craxi (frank cimini)

    *Jacques Verges, l”avvocato del diavolo francese che difese terroristi di destra e di sinistra

     

  • Sky1992, mancano i congiuntivi massacrati dall’Eroe e tanto altro

    L’attore che impersona l’Eroe di Mani pulite parla un italiano molto corretto, troppo, ripensando ai congiuntivi massacrati allora e pure adesso da Tonino da Montenero di Bisaccia. E manca tanto altro, tantissimo, considerando che si ha la pretesa da parte di Sky di raccontare a chi allora non c’era cosa accadde nel mitico 1992.

    Sembra che la storia del mondo inizi con l’arresto di Mario Chiesa. Bisognava spiegare innanzitutto che la corruzione c’era pure prima del 1992 e che gli uffici giudiziari, compresa la procura di Milano che poi per anni avrà in mano le sorti del paese e per certi versi ce l’ha ancora purtroppo, facevano finta di non vederla.

    Perché non era ancora scattata l’ora x, il momento propizio. Che poi arriva. Accade, al di là dei riferimenti alla caduta del muro di Berlino, quando le toghe si rendono conto che la politica si è indebolita, che ha meno consenso tra la “gggente”. A quel punto scatta l’aggressione, perché i magistrati hanno da andare all’incasso, riscuotere il credito acquisito anni prima quando i politici delegarono completamente la risoluzione del problema relativo alla sovversione interna, il cosiddetto “terrorismo”.

    E’ la storia dell’infinita emergenza italiana diventata prassi di governo dagli “anni di piombo” passando per i professionisti dell’antimafia fino a Mani pulite e oltre. Con il codice di procedura penale usato come carta igienica, la carcerazione preventiva finalizzata ad acquisire prove.

    E speriamo che dalle prossime puntate emerga il ruolo dei giornali che erano di proprietà di imprenditori non certo editori puri che erano sotto schiaffo da parte del pool per le loro attività e che appoggiarono l’inchiesta in cambio dell’impunità. Un do ut des perfetto. Speriamo. L’inizio della fiction non promette nulla di buono. Anzi (frank cimini)

  • Da Milano a Brescia a occuparsi di colleghi appena lasciati, Csm: ok

    Da Milano a Brescia a occuparsi di indagini che vedono i colleghi appena lasciati come indagati o parti offese, ma per il Csm è tutto ok. Accade questo. In sede di commissione il Csm ha proposto come procuratore aggiunto a Brescia il pm milanese Carlo Nocerino. Nella città della leonessa c’è già un altro aggiunto Sandro Raimondi, anche lui proveniente da Milano, incaricato di trattare i fascicoli in cui sono coinvolti magistrati in servizio nel distretto di Milano. E con ogni probabilità sarà affiancato da Nocerino. Ovviamente qui non è in discussione l’onestà personale di Raimondi e Nocerino. Il problema è che l’organo di autogoverno della magistratura avrebbe dovuto tenere presenti ragioni di opportunità e di trasparenza.

    E’ giusto che un magistrato si trovi a dover decidere la sorte di colleghi che certamente conosce e con cui ha lavorato fino a pochissimo tempo prima? Non sarebbe stato meglio evitare soprattutto di mettere in imbarazzo un magistrato che va a lavorare proprio nella sede titolare dei cosiddetti “articoli 11”? Non mancavano di certo altre candidature altrettanto autorevoli per il posto da aggiunto a Brescia che sarà lasciato libero da Fabio Salamone che scade per la regola dell’ultradecennalità. E’ il caso di Roberto Di Martino, attuale capo della procura di Cremona, coordinatore delle indagini sul calcio scommesse, e di Francesco Piantoni, pm a Brescia da molti anni.

    Carlo Nocerino è un magistrato di grande esperienza che nel recente passato si è occupato dei casi Enipower e Parmalat quando era nel dipartimento relativo ai reati societari e prima ancora delle indagini sull’omicidio di Maurizio Gucci. E’ a Milano da moltissimi anni. Il Csm accogliendo la sua domanda di fare l’aggiunto a Brescia, nel caso l’ok della commissione dovesse essere confermato dal plenum, potrebbe metterlo in una situazione di non serenità, di imbarazzo. Evidentemente avranno pesato altre valutazioni, senza rispettare il principio che un magistrato, anche e forse soprattutto quando deve giudicare il comportamento di colleghi, non solo deve essere ma apparire indipendente, nel senso di non essere condizionato da rapporti di conoscenza, amicizia frequentazione. (frank cimini)

  • 19 anni e milioni di euro dopo, l’aula bunker di Opera non è finita e fa ruggine

     

    Quando iniziarono a progettarla, Michael Johnson bruciava ogni record alle Olimpiadi di Atlanta e Antonio Di Pietro decideva di entrare in politica. Correva l’anno 1996. A Milano, sull’onda lunga di ‘Tangentopoli’, si pensava in grande con la costruzione di un’aula bunker vicino al carcere di Opera dove celebrare i maxi processi. Diciannove anni, molti appalti, molti milioni in lire e in euro dopo, quel progetto è diventato un osceno prefabbricato in calcestruzzo a cui si sta cercando con molta fatica di ridare una dignità. La Procura Generale e la Corte d’Appello di Milano hanno presentato un esposto alla Corte dei Conti e uno alla Procura della Repubblica per capire cosa sia successo.

    Un gioiello tra i fontanili

    Opera è un comune appena fuori Milano, famoso per il suo carcere, uno dei più vasti in Italia e quello col maggior numero di detenuti con l’arcigno regime del 41 bis. Il progetto elaborato dal Provveditorato lombardo alle Opere Pubbliche prevedeva di affiancare alla prigione, costruita negli anni ottanta, un edificio con un interrato riservato alle celle e due piani in grado di contenere due aule bunker e le camere di consiglio con bagni annessi.

    L’area destinata all’iniziativa è la verde campagna attorno al centro abitato dove scorrono ameni fontanili, un dettaglio che, come vedremo, non verrà tenuto in giusto conto nel piano originario. La grandeur iniziale porta ad immaginare anche un parcheggio e una strada lunga circa 300 metri che consentano ad avvocati, magistrati, forze dell’ordine e pubblico di raggiungere il bunker. Il costo dell’intervento, compresi gli oneri di esproprio e urbanizzazione (marciapiedi, linea telefonica, reti di collegamento fognario), viene valutato in 12 miliardi e 644milioni di lire. Si parte a rilento con la prima pietra posata solo nel 1999 e si va avanti peggio. Sorgono problemi di varia natura con le imprese che si sono aggiudicate i lavori e nel 2002 viene stipulato un nuovo contratto di appalto. La Commissione di manutenzione della Corte d’Appello di Milano e il Provveditorato ritoccano il progetto, eliminando una delle due aule bunker previste per fare spazio a una zona archivio. Nel 2006  la direzione dei lavori comunica che entro un paio di mesi sarebbero stato completato il primo lotto ma esige un altro finanziamento di 5 milioni e mezzo di euro. L’epilogo dei lavori viene spostato all’inizio del 2010.

    Scende la pioggia nel bunker    

    Il Ministero della Giustizia sborsa la somma richiesta mettendola a a disposizione del Provveditorato che, a luglio 2011, annuncia un ulteriore ritardo nel completamento dell’opera. C’è un intoppo non da poco. I locali sottoterra si allagano a causa dell’innalzamento della falda freatica e una perizia accerta che i lavori non potranno essere completati prima del giugno 2012. Troppo ottimismo. Una delle due imprese impegnate nel cantiere va in liquidazione volontaria e le bizze della falda provocano infiltrazioni d’acqua dal tetto. Caos. Una seconda perizia dimostra che l’impermeabilizzazione del tetto eseguita a suo tempo non è più idonea. A novembre 2013 la società che sta portando avanti i lavori, una ditta veneta, stila un elenco delle opere ancora da realizzare e rassicura la Corte d’Appello che non ci sarà bisogno di nuovi finanziamenti. Previsione smentita perché sei mesi dopo sembra emergere la necessità di denaro fresco. Finalmente qualcuno nel Palazzo di Giustizia decide di interessarsi della vicenda. Nella primavera del 2014, alcuni magistrati effettuano un sopralluogo del cantiere. L’esito è drammatico: il cantiere appare abbandonato e le opere portate a termine sono in stato di degrado.

    La promessa del Provveditore

    “Io sono arrivato nell’aprile del 2012, questa cosa era già qua”. Pietro Baratono, responsabile delle Opere Pubbliche in Lombardia, ha l’aria sconfortata di chi si è  trovato sulla scrivania un dossier tremendo, ormai compromesso da troppi pasticci. “Questo appalto  – spiega – è nato male, ‘diviso‘ in due, con gare all’inizio solo per le strutture dell’opera e poi con altre gare per il resto. Quindi, senza una visione unitaria. Sicuramente ci sono delle responsabilità anche nostre, ma le diverse esigenze dell’ente usuario che si sono manifestate nel tempo non hanno aiutato”. A un certo punto i magistrati, sottolinea Baratono, “hanno chiesto anche di aggiungere gli alloggi per dormire in vista di possibili camere di consiglio che durino più giorni”. Ricapitolando: il progetto attuale prevede le celle nel seminterrato e ai due piani un’aula bunker, un archivio, due camere di consiglio con annesse otto stanzette per i magistrati qualora le riunioni per le sentenze dovessero protrarsi. “Ora i lavori dopo un periodo di sospensione per effettuare le perizie sono ripresi – garantisce Baratono – e per luglio 2015 ho promesso al Presidente della Corte d’Appello Canzio che sarà tutto pronto”.

    Un cantiere desolato   

    Lunedì mattina di inizio febbraio, sono le nove e mezzo. L’abbaiare furioso dei cani nel recinto del carcere accoglie il nostro avvicinamento al cantiere dell’aula bunker. Per arrivarci camminiamo per qualche minuto nell’erba resa fangosa dalle piogge degli ultimi giorni. Della strada vagheggiata nel progetto iniziale che dovrebbe permettere un facile accesso all’aula non c’è traccia. Ecco la nostra opera: la conosciamo che è già maggiorenne da un pezzo. Una colata cupa e senza grazia di calcestruzzo, il colore che ci si immagina per il più sordido dei luoghi di dolore. Non si vede nessun operaio al lavoro, né ci sono segni del passaggio recente di qualcuno. Cumuli di rifiuti, un tavolo arrugginito, due taniche per terra, solo una betoniera azzurra ravviva il paesaggio di per sé già non allegro ma intristito ancor più dalla costruzione che affianca il carcere.

    Visita al labirinto

    Proviamo a contattare telefonicamente e via mail l’impresa che segue i lavori da un paio d’anni, senza ricevere risposte. Torniamo al cantiere una radiosa mattina di marzo. Oggi si lavora. Ci intrufoliamo in quello che appare un enorme labirinto con scarsa logica nella divisione degli spazi, dove si sono affastellati gli interventi confusi di chi ci ha messo le mani in questi anni. La ditta che ci sta lavorando, grazie a un affidamento diretto, è animata da buoni propositi ma più di tanto non può fare (“Dieci anni fa un lavoro così non l’avrebbe preso nessuno, ma ora con la crisi…”, confessa una persona presente sul cantiere). L’aula destinata ai processi, il cuore del progetto, sembra quasi finita. C’è una stranezza, però. Il pubblico e i cronisti potranno assistere alle udienze da una specie di acquario sopraelevato con un separè di vetro che non renderà agevole capire cosa succede di sotto. Il grande archivio con tetto fatiscente è ancora vuoto, a breve dovrebbe partire la selezione tra le imprese che vorranno arredarlo. Sconvolgente la visione delle celle nella stanza sottoterra. I detenuti in attesa di giudizio saranno ammassati in pochi metri quadri, in una bolgia oscura  dentro gabbie arrugginite dal tempo a cui non basterà una mano di vernice bianca per tornare nuove, se non nell’apparenza. I quadri elettrici sono vecchi, ma ci viene assicurato che funzionano. L’umidità ha aggredito i muri, chissà cosa ne penserà l’Asl che dovrà valutare le condizioni igienico sanitarie. Quelle umane, se dovesse esaminarle la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, costerebbero all’Italia l’ennesima sentenza di condanna. Ai piani alti, ai quali si accede con una scala tortuosa, c’è ancora molto da fare per rendere presentabili le stanze per i giudici. Un signore ci spiega che dovrebbe anche essere costruito un parcheggio con un centinaio (!)  di posti auto, mentre il progetto della strada pedonale per dare un acceso autonomo al bunker è stato eliminato perché non è stata espropriata l’area dove ricavarla. Quindi per entrare non resta che passeggiare tra i campi oppure passare dal carcere.

    Serve davvero quest’opera? 

    Quando Michael Johnson era l’uomo più veloce del mondo, a Milano si celebravano molti maxi processi, oggi quasi nessuno; gli archivi erano pieni di carta, adesso si cerca di digitalizzare qualsiasi cosa.  L’Italia era un paese ancora florido, con tanti soldi da mettere a disposizione della giustizia. Oggi è  utile finire quest’opera? Sull’archivio a Palazzo c’è chi dice che servirebbe, chi no. Di certo i costi di manutenzione per celle, aula bunker, alloggi per i giudici sarebbero esorbitanti e forse non sostenibili coi pochi denari assicurati alla giustizia. Si potrebbe ripensare alla funzione di questo edificio, utilizzandolo solo come archivio o per attività meno dispendiose. L’inchiesta della Procura di Milano non potrà portare a nulla perché eventuali reati sarebbero già prescritti, resta invece aperta aperta la possibilità per la Corte dei Conti di valutare i danni alla collettività e gli eventuali responsabili. In ogni caso, il giorno che tutto sarà finito qualcuno dovrà scusarsi per questi 19, incredibili anni. (manuela d’alessandro)

     

  • Giornalisti, contenti che l’Inpgi non è parte civile contro chi vi avrebbe truffato?

    Cari giornalisti, siete contenti che l’ente che custodisce le vostre pensioni non cerchi di rimettere in cassa quasi otto milioni rubati agli iscritti attraverso una presunta truffa?

    Questo sta accadendo nel processo milanese a Giorgio e Luca Magnoni, padre e figlio, accusati  di avere raggirato, attraverso la fallita holding Sopaf di cui erano amministratori,  gli enti previdenziali di medici, ragionieri e, appunto, giornalisti.  Nell’udienza di oggi hanno chiesto di costituirsi parti civili l’Enpam (Ente Nazionale dei Medici) e la cassa previdenziale dei ragionieri, nessuna istanza invece è arrivata dall’Inpgi.

    Come mai? Facciamo un’ipotesi. Forse perché il Presidente dell’Inpgi Andrea Camporese è tra gli indagati in un rivolo di questa indagine? Nel novembre 2014, Camporese aveva ricevuto un invito a comparire firmato dal pm Gaetano Ruta che gli contesta il reato di truffa aggravata. Per la Procura, avrebbe aiutato la Sopaf a incassare 76 milioni di euro acquistando dalla holding  le quote del fondo Fip (Fondo Immobili Pubblici) a un prezzo superiore rispetto a quello reale.

    Sempre stando alla ricostruzione della Procura, Camporese sarebbe stato avvertito da persone interne all’Inpgi dei rischi dell’operazione, ma avrebbe agevolato la Sopaf “con artifici e raggiri” consistiti nel rappresentare falsamente all’organo amministrativo dell’Ente che che la finanziaria fosse titolare delle quote di Fip. Camporese ha sempre respinto le accuse (“Mi auguro si accerti la correttezza del mio operato”) e gli auguriamo di essere assolto. Nel frattempo, però, è umiliante per chi rappresenta che l’Inpgi non si costituisca parte civile. (manuela d’alessandro)

  • Burocrazia giudiziaria: “Caro avvocato, qual è il rapporto di parentela tra moglie e marito?”

    “Caro Dipartimento di amministrazione penitenziaria, mi darebbe informazioni sul marito della mia assistita, per il procedimento di divorzio? Lo chiede il giudice”.
    “Caro avvocato, qual è il grado di parentela tra la sua assistita e il marito?”
    “Caro Dap, credevo fosse sufficiente scrivere che si tratta del marito della mia assistita per spiegare che è il marito della mia assistita”.
    “Caro avvocato, ecco le sue informazioni”.
    E’ successo davvero, anche se in termini un pochino più formali. Equivoci. Del resto è anche attraverso equivoci, perdite di tempo, burocrazia, che si snoda il rapporto tra professionisti e personale della pubblica amministrazione. L’avvocato Massimo Schirò chiede di sapere se il marito della sua cliente, romeno, 38 anni, sia in carcere. Non lo si trova da nessuna parte. Non in Romania, dove è formalmente residente, non in Italia, nonostante proprio a Milano si sia sposato, senza però mai prendervi residenza o anche solo domicilio.

    Quel che si sa, dalle autorità romene, è che nel 2006 è sparito dal suo Paese. Ma bisognerà pur notificargli l’atto del ricorso di divorzio. Il giudice suggerisce al legale di provare con il Dap. Ecco che parte la prima Pec (Posta Elettronica Certificata) con cui il legale chiede informazioni, allegando l’atto di nomina. Il dipartimento risponde a stretto giro: 24 ore dopo. Ma pretende che la domanda venga riformulata: “Preso atto della richiesta acclusa alla presente, considerato che non è stata allegata la prevista istanza formale su carta intestata dello studio e debitamente firmata, si restituisce al mittente per i conseguenti adempimenti. Ciò a significare che le istanze dovranno pervenire a questo ufficio complete  di richiesta di accesso agli atti e in allegato, la prevista documentazione a supporto (anche se precedentemente da Lei già inviata)”. Simpatia. Ma si sa, la forma è sostanza.
    E’ giovedì, il legale si adegua ci riprova nel giro di due ore, con tutti i documenti richiesti. Il Dap risponde il lunedì successivo: “Serve un documento dalla quale si evince il grado di parentela tra il suo assistito e la persona per la quale chiede informazioni. Distinti saluti”. Il professionista che non si perde d’animo, è quello che davanti al funzionario che sbaglia mantiene la calma, usa la pazienza come principio guida del suo agire. “Avendo allegato un ricorso per scioglimento del matrimonio mi sembrava evidente che il rapporto tra il signor XY e la signora ZX fosse il coniugio……”. Così, con sei puntini.
    Dieci minuti arriva la maledetta informazione. Il marito, quasi ex, non è nelle patrie galere.

  • Palazzo Marino, il falso ideologico e la Repubblica penale

    Questa è una piccola storia che dimostra la facilità con cui in Italia si finisce sotto processo penale per poi essere assolti con spreco di denaro sia da parte dello Stato sia da parte del cittadino chiamato a difendersi.

    Scriviamo e parliamo dell’accusa di falso ideologico contestato a un architetto che aveva per un restauro in centro presentato una Dia (denuncia di inizio attività), poi si era informato presso l’ufficio piccole opere del Comune di  Milano sull’esito della pratica, ritirando l’incartamento prima dei 30 giorni e ripresentando il tutto come una richiesta di concessione.

    Il funzionario del comune riteneva che il falso si fosse consumato comunque segnalando la notizia di reato alla procura. Il dirigente dello sportello unico emetteva un provvedimento di diffida a sospendere le opere, “ovviamente mai iniziate”, precisa l’avvocato difensore Giulia Gavagnin. Il 6 ottobre scorso c’è stata l’assoluzione “per insussistenza del fatto”. In aula uno dei funzionari di Palazzo Marino affermava che sarebbe stato scorretto informarsi sull’esito della presentazione di una pratica e che sarebbe stato parimenti scorretto ripresentare una diversa Dia anche se la precedente era stata ritirata. (altro…)

  • La prescrizione salva una mamma russa dalle disumane carceri di Mosca

    Chi è Ekateryna Tyurina? Una truffatrice che ha falsificato le carte per una proprietà che vale 30 milioni di euro nel cuore di Mosca oppure una giovane madre perseguitata dallo Stato russo, bramoso di mettere le mani sul suo ‘tesoro’? Nel dubbio, la Cassazione blocca il via libera all’estradizione n Russia concesso dalla Corte d’Appello di Trieste lo scorso 11 novembre. E lo fa usando lo ‘scudo’ della prescrizione che consentirà alla donna di restare in Italia.

    Tyurina, 38 anni, era stata arrestata dall’Interpol ad agosto mentre era n vacanza a Lignano Sabbiadoro coi tre figli; a dicembre anche suo marito era stato fermato a Praga. L’accusa per lei è quella di avere truffato i soci di minoranza in relazione alla proprietà sulla quale sorge un centro commerciale nel centro storico della capitale.  In realtà, secondo l’avvocato Pasquale Pantano, la donna ha già vinto tutte le cause civili intentate dai soci di minoranza  e l’inchiesta penale sarebbe solo una “manovra” per sottrarle i suoi beni. Il marito invece è finito in carcere per essere il presunto mandante dell’omicidio di un avvocato moscovita, avvenuto 20 anni fa, solo sulla base delle dichiarazioni di una signora che, guarda caso, è una delle socie di minoranza della proprietà contesa. Nel ricorso alla Cassazione, oltre a sottolineare il pericolo che Tyurina potesse essere sottoposta a “trattamenti disumani” nelle carcere patrie, Pantano aveva contestato  ai giudici triestini di non avere calcolato che il reato a lei contestato è prescritto per la legge italiana. Gli ‘ermellini’ hanno ritenuto sbagliati i calcoli fatti dai magistrati di Trieste, annullato senza rinvio la loro sentenza e revocato l’ordinanza di custodia cautelare.  Ekateryina, la cui storia è stata accostata al suo legale a quella della Shalabayeva (“c’è sempre un marito ricco, al di là delle ragioni politiche”),  deve ringraziare la vituperata prescrizione italiana che, sulla base dei rapporti di estradizione tra Russia e Italia, si è rivelata decisiva. Evitandole forse i pestaggi e le violenze subiti dai suoi avvocati russi durante le agghiaccianti perquisizioni notturne a cui li ha sottoposti la polizia moscovita. (manuela d’alessandro)

  • Domanda semplice e non innocente: il Csm su Bruti deciderà mai?

    La domandina è semplice e vorrebbe tanto essere innocente ma non si può. Il Csm, sia pure in via cautelare ha deciso su Robledo trasferendolo a Torino, accelerando improvvisamente dopo aver tergiversato per 10 mesi sull’intera querelle con il suo capo Bruti Liberati facendo emergere sms, magari inopportuni e poco eleganti con l’avvocato leghista, che erano a disposizione da un anno e mezzo. Ma su Bruti Liberati che per “colpevole dimenticanza” (parole sue) lasciò nel cassetto il fascicolo sulla Sea che lambiva l’allora neonata giunta di centrosinistra (ottobre 2011) l’organo di “autogoverno” dei magistrati quando pensa di decidere?

    Il Pg della Cassazione Ciani, ora in pensione, dopo aver proposto il trasferimento di Robledo poi ottenuto, aveva emesso un comunicato ufficiale per dire: “Per il resto l’istruttoria prosegue….”. Il resto dov’è? E’ andato in pensione con Ciani?

    Non si conoscono i tempi del procedimento disciplinare su Bruti che tra pochi mesi (31 dicembre) andrà in pensione. E nemmeno quelli del procedimento di merito relativo a Robledo. E’, nel caso dell’ormai ex procuratore aggiunto, come mettere in galera un indagato e non fissare la data del processo. Il Csm aspetta che le sezioni civili della Cassazione decidano, è questione di mesi, sul ricorso contro il trasferimento?

    E per quanto riguarda Bruti si aspetta cosa? Che arrivi il momento della pensione? O un fascicolo nel cassetto per sei mesi (ottobre 2011 marzo 2012) è ritenuto da lor signori giudici dei giudici meno grave delle informazioni che l’avvocato Aiello afferma di aver appreso dai giornalisti e su Internet? Quindi bisogna pensare che l’intero affaire non è da ascrivere solo a due pesi due misure ma perfino a una tempistica diversa che rischia fortemente di sfociare nel mai?

    Insomma, il Csm non vuole fare chiarezza su una vicenda che, per chi vuol capire, ha danneggiato l’immagine, e non solo quella, della magistratura, in misura di molto superiore all’attività dell’imputato più eccellente di tutti. Bruti si sa ha un potere che val molto al di là della sua persona e della sua corrente (Md), il capo dello Stato uscente Napolitano fece fuoco e fiamme per proteggerlo. Era stato designato a capo della procura di Milano quasi all’unanimità e ovvio su input di re Giorgio. Da politico consumato ha garantito un po’ tutte le parti. Adesso ha pure deciso di tenere per sé l’interim del dipartimento anticorruzione, fatto anomalo in una grande, nel senso di grossa, procura. I boatos riferiscono che le inchieste su Expo riprenderanno dopo il 31 ottobre. A palazzo dei Marescialli, cacciato chi aveva gridato che il re è nudo, tutto va bene. Piccolo particolare: Il re di vestiti addosso non ne aveva. Nel frattempo la menano un giorno sì e l’altro pure che sono indipendenti. Persino quando dicono loro che dovrebbero essere in ufficio il primo settembre e non a metà mese, come tutti i comuni mortali. Gridano anche che hanno la produttività più alta d’Europa. Il Csm vada a verificare quanti magistrati, non solo a Milano, stanno in ufficio di pomeriggio. Con calma, anche dopo il 31 dicembre. Non c’è fretta (frank cimini)

  • Procuratore smentisce il Corriere…. come l’uomo che morde il cane

    Non era mai accaduto. E’ successo oggi. Il procuratore della Repubblica di Milano ha smentito il Corriere della Sera in relazione a un accordo raggiunto dal colosso Google con agenzia delle entrate, gdf e pm attraverso il pagamento di 320 milioni di euro per risolvere un contenzioso fiscale.

    Edmondo Bruti Liberati, senza nemmeno citare il quotidiano o generiche notizie di stampa, ha emesso un comunicato ufficiale in cui afferma: “E’ stato intrapreso il contraddittorio con rappresentanti del gruppo Google…. allo stato non sono state raggiunte intese con la società che si è riservata di fornire dati che consentano di quantificare la redditività in Italia”.

    Cioè, dice Bruti, l’accordo non è stato perfezionato. Su Corriere.it Luigi Ferrarella, l’autore dell’articolo, precisa che l’accordo raggiunto la settimana scorsa dopo una riunione in procura prevede che la settimana prossima la compagnia americana presenti l’istanza di adesioneall’agenzia delle Entrate sulla base della fotografia scattata dal processo di constatazione della gdf.

    Anche Google aveva smentito, ma che lo faccia la compagnia interessata al contenzioso fa parte del gioco, è quasi scontato. Che il procuratore di Milano prenda, si diceva una volta carta e penna ora sostituite dal computer, per controbattere quella che al massimo appare come una inesattezza sui tempi della formalizzazione nero su bianco di un accordo già intervenuto è sicuramente singolare.

    Il capo della procura di Milano che smentisce o meglio cerca di smentire il Corriere è un po’ come l’uomo che morde il cane. Insomma è una notizia, che va al di là di un pur importante contenzioso fiscale. Anche il circuito mediatico giudiziario di cui parlano spesso i critici, in realtà non moltissimi, della repubblica penale nata nel 1992 ma con ogni probabilità pure molto prima, conosce i suoi intoppi.

    Tornando a Google, la settimana prossima l’accordo sarà formalizzato esattamente nei termini di cui ha scritto il quotidiano di via Solferino. Ma allora sarà una notizia vecchia. La novità, vera e unica, è il procuratore di Milano che si imbarca nella smentita (tentata) del Corriere (frank cimini)

     

  • L’ultimo giorno di Livia Pomodoro dopo 22 anni di Presidenza

    Per 22 anni Presidente, prima del Tribunale per i Minorenni (1993 – 2007), poi di quello dei ‘grandi’, Livia Pomodoro si alza oggi da una delle sedie più importanti della giustizia milanese. Ad aprile svestirà anche la toga e andrà in pensione non appena soffiate le 75 candeline. In una lettera inviata agli avvocati, Pomodoro riferendosi al suo mandato parla di “cammino non scontato, non facile, pieno di problemi ma anche di successi e di cambiamenti che sono diventati punto di riferimento nazionale su come si può gestire con efficacia la Giustizia in Italia”. Commenta un legale: “Ha fatto molto soprattutto per il civile, poco per il penale anche se le aule per i processi sono state ben sistemate”.

    Funambolica l’idea di chiamare  i corridoi del pianterreno, luogo di bolge e dolore vero, coi nomi di donne presi dalla cultura classica. Ha speso molte energie per velocizzare la giustizia con l’introduzione del Processo Civile Telematico, lanciando Milano come capofila. Ci è riuscita in parte: si va avanti con successi e  intoppi, ma le va riconosciuto il merito di avere visto lungo e, in generale, di non avere mai interpretato il suo ruolo come quello di un’asettica giurista fuori dal mondo.

    Molte perplessità restano sull’utilizzo dei fondi Expo destinati al Palazzo. I monitor che costellano il Tribunale sono sempre più un oggetto misterioso, non funzionano o fanno pubblicità alle ragioni dell’Anm, e le gare per l’assegnazione dei soldi sono apparse opache non solo a noi ma anche ad alcuni magistrati. Pomodoro è stata nominata Ambasciatrice We di Expo, cioè selezionata, leggiamo sul sito ufficiale dell’Evento, tra le “figure di spicco che diffondono e testimoniano l’importanza di fare rete, in un unico grande WE”. Presiederà inoltre il ‘Centro Internazionale di Documentazione e Studio sulle politiche pubbliche in materia di Alimentazione’ nato da un protocollo firmato tra Camera di Commercio, Expo2015, Comune di Milano e Regione Lombardia. Per la sua successione dieci magistrati hanno presentato domanda al Csm. Favorita è l’attuale Presidente del Tribunale dell’impresa, Marina Tavassi, buone quotazioni anche per l’attuale Presidente dei gip Claudio Castelli e l’attuale ‘vicario’ del Tribunale Roberto Bichi. Decideranno i giochi di corrente.

    Un’altra Pomodoro sarà difficile, magistrato ‘scenico’ non solo per la sua passione per il teatro (ne dirige uno e si è esibita con parrucca colorata), ma anche per come ha interpretato la sua Presidenza. Poco magistrato anche per come ha reagito alle critiche, non con ostilità, ma sempre con un saluto e un sorriso. (manuela d’alessandro)

  • I ‘tappabuchi’ della giustizia
    Chiamati per 8 giorni al mese

    Da lavoratori socialmente utili – e sempre più esperti di cose di Tribunale – a ‘tappabuchi’ a chiamata da otto giorni al mese.

    Mentre Tribunale e Procura denunciano la cronica carenza di personale, solo in minima parte alleviata dagli arrivi di personale annunciati dieci giorni fa dal ministro della Giustizia Orlando, ci sono lavoratori che il palazzo lo vedono dieci-quindici giorni al mese. Non perché non abbiano voglia di faticare – anzi, fanno parte di un programma che serve proprio a integrare il reddito di chi il lavoro l’ha perso incolpevolmente, con una spesa minima per la pubblica amministrazione e beneficio massimo per la macchina della Giustizia – ma semplicemente perché vengono chiamati al in Tribunale per poche ore. Volonterosi tappabuchi.

    Sono i 140 lavoratori socialmente utili (Lsu) dell’accordo tra Provincia di Milano e Tribunale. Gente in cassa integrazione o mobilità. L’ultima infornata è di venerdì scorso, quando un’email succinta dalla segreteria dell’ufficio Personale annuncia: “Si comunica che il personale assegnato alle rispettive cancellerie, presterà attività lavorativa dal dal 16-17 febbraio al 28 febbraio per un totale di 50 ore lavorative: dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle ore 14. Cordiali saluti”. Dieci giorni, dieci. Part-time. Cinquanta ore in tutto. L’equivalente di otto giornate intere. (altro…)

  • Non toccate la prescrizione, baluardo della libertà e del diritto

    Nulla di sorprendente, in epoca di “giustizialismo” sfrenato e di populismi demaogici d’accatto (urlare in TV che “i ladri devono andare in galera” e che “gli stupratori meritano che si butti via la chiave” se non il taglio del pene, è opera tanto banale quanto assai pagante in termini di facile consenso), che l’ultima grande crociata dei tifosi delle Procure e degli “erotizzati dalle manette” sia l’assalto alla diligenza della prescrizione, fatta ormai mediaticamente passare come il grande salvacondotto delle tante nefandezze nostrane. E così non passa giorno che qualche tribuno, anche autorevole, non accompagni alla applaudita invettiva di rito anche accorate richieste di eliminazione per “evitare che i delinquenti continuino a farla franca grazie ai cavilli legali di qualche avvocato” e ovviamente, e giustificatamente, di fronte a siffatto tam tam, i non addetti se la bevono, ed ingrossano vieppiù le fila della messa cantata.

    Forse non tutti sanno che… titolava anni fa una fortunata rubrica di “La settimana enigmistica” e allora forse sarà bene spiegare a chi non lo sa in cosa realmente consista questa causa di estinzione prevista dal nostro Codice Penale (si badi non di procedura, il che significa che è norma sostanziale, e non di rito) del 1930, all’art. 157. Il principio, di vetusta e onusta tradizione di qualsiasi civiltà giuridica che si rispetti, stabilisce che per mantenere sulla micidiale graticola di un processo penale (solo chi ci è passato può capire quale pena sia essere imputati e doversi difendere in termini di tempi, costi, sofferenze, perdite di relazioni sociali o di opportunità lavorative, irreparabile lesione della reputazione) lo Stato dispone di un tempo predeterminato, oltre al quale non può andare. Il che significa semplicemente che allo Stato non è concesso di procrastinare all’infinito la notevole potestà autoritativa di cui dispone, ossia quella di dichiarare se un cittadino ha davvero commesso o meno il reato che un bel giorno ha deciso di contestargli e stabilire l’entità della punizione effettiva che ciò gli comporterà in termini di privazione della libertà personale. Fin qui, mi immagino, nessuno, neppure tra i più aficionados alla parola condanna troverà nulla da obiettare. Il punto, viene detto, è che quel tempo entro il quale lo Stato deve decidere della vita dei cittadini è troppo breve, mentre i processi sono troppo lunghi e quindi, di fatto, l’attuale prescrizione garantirebbe una inaccettabile quanto diffusa impunità. (altro…)

  • L’ordinanza con cui il Csm caccia Robledo e gli toglie la funzione di pm

    In dieci pagine la sezione disciplinare del Csm getta Alfredo Robledo nell’inferno riservato, prima di lui, a pochi altri. Tra questi al pm Ferdinando Esposito curiosamente pure spedito da Milano a Torino dopo essere stato spogliato come Robledo della funzione di pm.  Sorte analoga subirono i magistrati della Procura di Catanzaro e quelli di Salerno nell’ambito di una guerra con al centro l’indagine ‘Why not’. Andò ancora peggio a un altro pm di passaggio a Milano, Edi Pinatto, che venne rimosso dall’ordinamento giudiziario perché, quando era giudice a Gela, ci mise otto anni per scrivere le motivazioni di una sentenza con cui erano stati condannati sette componenti del clan Madonia.  Oltre alla decisione del Csm trovate anche la difesa di Robledo. (m.d’a.)

    ORD. 16.15 ROBLEDO proc. n. 7.15 R.G.C

    Udienza cautelare(1) memoria di Alfredo Robledo

  • “Giustiziato” Robledo, i due pesi due misure del Csm

    Alfredo Robledo lascia il posto di aggiunto alla procura di Milano per andare a fare il giudice a Torino. Trasferito. Lo ha deciso il Csm che ha valutato gli sms scambiati da Robledo con l’avvocato della Lega Nord Domenico Aiello quando questi era indagato a Reggio Calabria e venne intercettato. Quei messaggi che al massimo saranno stati inopportuni e ineleganti alla fine pesano molto di più rispetto a cose più gravi. Questa è la forma che è vero che è sostanza ma a volte conta più della sostanza. A quasi un anno dall’esposto presentato da Robledo contro il capo della procura Bruti Liberati il Csm di fatto decide solo su Robledo.

    Due pesi e due misure. Come se il fascicolo sulla Sea “dimenticato” da Bruti in cassaforte e finito sul tavolo di Robledo con sei mesi di ritardo fosse aria fritta, un nonnulla. Il pg della Cassazione Gianfranco Ciani ad un certo punto si svegliò dal torpore, quello della giustizia interna alla magistratura, per dire che Robledo doveva andare via da Milano. “L”istruttoria per il resto prosegue”, aggiunse qualche giorno dopo, ma del resto non si è saputo più niente.

    Robledo paga per il fatto di aver gridato che il re è nudo. Gli sms con Aiello, vecchi di un anno e mezzo, sono stati tirati fuori al momento opportuno quando servivano per risolvere una situazione che all’immagine della magistratura ha fatto molto male. Quei messaggi servivano per punire l’anello debole della catena, dal momento che Bruti Liberati notoriamente ha un potere che va molto al di là del suo nome e della sua corrente, Md. E infatti non è un mistero che sia stato sostenuto in tutti i modi dal capo dello Stato uscente Giorgio Napolitano che fu tra i suoi grandi elettori.

    La pezza è peggio del buco, ma in un certo senso regge. Garantisce il diritto dei magistrati, della categoria e soprattutto dei suoi vertici a fare politica, a compiere scelte politiche in violazione di principi come indipendenza e autonomia, obbligatorietà dell’azione penale buoni da sempre solo per essere sbandierati nelle dichiarazioni pubbliche e nei comunicati stampa.

    Della sabbia sulla Sea, dei criteri di assegnazione delle indagini (Ruby e non solo) in pratica non si parlerà più. Il Csm con i suoi due pesi due misure ha fatto giustizia, ha garantito riproduzione di potere. In realtà per chi vuol capire questa storia dimostra che i magistrati sono persino peggio dei politici perchè avrebbero dei doveri in più di essere credibili, di apparire indipendenti, ma alla fine della fiera a lor signori in toga frega niente.(frank cimini)

  • Se Kabobo nella sentenza diventa un danno per Expo

    Expo è una creatura fragile e anche un omicidio del 2013 può nuocere gravemente alla sua salute. Non un omicidio qualunque, certo: Adam Kabobo, ghanese, massacrò a colpi di piccone tre passanti in una tetra alba milanese di gennaio, la personificazione del terribile ‘uomo nero’ negli incubi dei bambini.

    Ora, nelle motivazioni alla sua condanna a 20 anni di carcere, i giudici della Corte d’Appello riconoscono al Comune di Milano un risarcimento per il danno d’immagine che avrebbe subito dall’eccidio. “La diffusione della notizia – si legge nel documento – ha prodotto comprensibile e intenso allarme nella cittadinanza con conseguente danno per l’Amministrazione comunale, sia con riferimento all’azzeramento degli effetti auspicati in conseguenza della costosa attività  di promozione dell’immagine della città, anche all’estero, sia sotto il profilo della verificata inefficienza dell’attivita’ di lotta alla violenza predisposta dal Comune a tutela degli abitanti della zona, teatro degli omicidi”.

    I legali di Kabobo, nel sostenere contro il verdetto di primo grado che Palazzo Marino non aveva subito alcun danno d’immagine, avevano fatto fatto cenno nel ricorso in appello alla “visibilità internazionale di Milano, sede dell’Expo 2015”. Solo che secondo loro tutori dell’ordine e della sicurezza sarebbero la Questura e il Prefetto, non tanto Palazzo Marino.

    Per i giudici però il  “grande clamore mediatico sui giornali e sulle reti televisive, anche straniere, dell’omicidio di 3 cittadini milanesi colpiti a picconate in piena città” ha danneggiato proprio il Comune, impegnato a promuovere l’immagine della città in vista dell’Esposizione Universale. (manuela d’alessandro)


     

  • Sugli schermi ‘pubblici’ comprati coi soldi Expo la propaganda di Anm contro Renzi

     

    L’Associazione Nazionale Magistrati, a cui aderisce circa il 90 per cento delle toghe (non tutte!), utilizza ormai da diversi giorni gli schermi acquistati coi soldi Expo e collocati in diversi punti del Palazzo di Giustizia di Milano, per fare propaganda contro il Governo. (quel-monitor-di-expo-al-passo-carraio-dove-non-serve-a-nessuno)

    Nella foto si vede uno dei monitor al piano terra raffigurare una vignetta che ironizza sulla responsabiità civile dei magistrati voluta dal governo Renzi.

    Perché parliamo di propaganda?  L’Anm è una sorta di sindacato dei magistrati che, in quanto tale, tutela gli interessi dei suoi iscritti nelle forme che ritiene più opportune. Ha acquistato pagine di giornale per difendersi da quella che ritiene una riforma ingiusta e delegittimante, ha organizzato il giorno dell’apertuta dell’anno giudizario una conferenza stampa del suo leader Rodolfo Sabelli per spiegare all’opinione pubblica le sue ragioni. Fin qui, nulla da ridire.

    Quello che non ci piace è che l’associazione esponga le proprie, sindacabili ragioni attraverso gli schermi comprati coi soldi pubblici di Expo e che dovrebbero servire per dare informazioni utili alla collettività in transito per il Tribunale tutti i giorni. Decine di persone che vorrebbero sapere dove si trova un’aula, non perché ai magistrati non vada giù la riforma della giustizia. (manuela d’alessandro)

     

     

     

     

     

     

  • C’è un solo magistrato arrabbiato all’anno giudiziario 2015

    C’è un solo magistrato davvero arrabbiato all’inaugurazione dell’anno giudiziario milanese 2015. Intorno a lei, l’impegno è massimo a glissare su Bruti – Robledo. Toghe a festa, complimenti reciproci, ma che brava la Procura, che record il Tribunale, che performance a Milano. Poi tocca all’Avvocato Generale Laura Bertolé Viale, una che parla semplice e diretto e non dedica metà del discorso a ringraziare qualcuno.

    Va giù come una macina sul Governo Renzi.

    Cos’è la ‘salva Berlusconi’? “Una legge irragionevole e discriminatoria che avrebbe come effetto principale  quello di creare una sotanziale differenza di trattamento tra i contribuenti di minori e quelli di maggiori dimensioni“. E la riforma sulla corruzione? Una cosa piccola piccola, che si limita ad umentare la reclusione da 6 a 10 anni invece che da 4 a 8 anni  solo per un tipo di corruzione, quella per “atto contrario ai doveri d’ufficio”. Fuori restano “la concussione, la corruzione in atti giudiziari, l’induzione indebita, la corruzione specifica”. “Che fine hanno fatto – domanda – la previsione tanto pubblicizzata e di indubbia utilità di riduzione della pena per chi collabora alla scoperta del reato e la riparazione pecuniaria a favore della pubblica amministrazione pari alla somma illlecitamente corrisposta?”.

    Ed ecco l’autoriciclaggio. “Trionfalmente approdato nel nostro sistema da circa 23 giorni – ironizza – è stato preceduto da un vero e proprio battage pubblicitario  ma un piccolo comma del nuovo articolo vanifica tutti i primi tre là dove dichiara ‘non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale. Non vedo nessuna ragionevolezza in questa non punibilità dell’utilizzatore finale”.

    Tutto il pacchetto di riforma del codice penale viene definito “ben misera cosa rispetto ai progetti” ed esclude il reato di falso in bilancio che, così com’è, “non tutela l’informazione societaria”. “Nel 2014 – ironizza Bertolé – ci sono state solo 5 sentenze di condanna per questo reato e temo non sia perché c’è più onestà…”.

    Infine, la prescrizione. Il disegno di legge presentato alle Camere è un “ben misero condensato” in cui “non una parola è detta sulla durata della prescrizione”.  Bertolé puntella il suo discorso con le parole “cittadini” e “uguaglianza” e poco si richiama alle rivendicazioni della magistratura.  Per questo, al di là delle considerazioni nel merito delle sue critiche, il suo è l’intervento di migliore auspicio per l’anno giudiziario che viene.

    (manuela d’alessandro)

  • Pg Ciani: Da lite Bruti-Robledo nessun danno a procura
    Forleo: dimostri che legge è uguale per tutti

    La querelle Bruti- Robledo non ha provocato problemi alla procura. “Le liti interne non hanno inciso sul contrasto alla criminalità e alla corruzione”. Questo dice il pg della Cassazione Gianfranco Ciani che evidentemente ha scelto la strada della satira, dopo aver chiesto l’allontanamento di Alfredo Robledo da Milano senza approfondire l’attività di Bruti che, comunque, aveva ammesso di aver lasciato “per deplorevole dimenticanza” il fascicolo sulla Sea nel cassetto.

    Per il pg della Cassazione dunque non è successo nulla. Al massimo sarà colpa “dell’attenzione dei messa media e dell’opinione pubblica che nell’ultimo anno si è concentrata sulle problematiche interne ad alcuni uffci giudiziari requirenti”.

    Per farsi un’ida basta leggere quanto scrive sul suo profilo Facebook il giudice Clementina Forleo rivolgendosi a Ciani: “Dimostri di essere stato nominato in base alla meritocrazia…dimostri che la legge è uguale per tutti…abbia il coraggio di inchiodare alle sue reiterate violazioni di legge il capo della procura di Milano…. senza se e senza ma”.

    Da un anno in procura a Milano le inchieste sono ferme. Lo dicono i pm, anche quelli non schierati con Robledo. Lo hanno anche messo per iscritto quelli del pool anticorruzione.

    Bruti Liberati ha l’interim di questo dipartimento da tempo, dopo che aveva cercato un aggiunto disposto a ricoprire l’incarico dal quale era stato esautorato Robledo. Nessuno però aveva accettato. Bruti coordina l’area omogenea. In pratica è un signor “ghe pensi mi”. (altro…)

  • Ecco l’atto di accusa del pg della Cassazione contro Alfredo Robledo

    Ecco l’atto d’accusa firmato dal pg della Cassazione Gianfranco Ciani contro Alfredo Robledo. Il titolare dell’azione disciplinare chiede che il Csm trasferisca lontano da Milano il procuratore aggiunto e che gli tolga le funzioni di pm. Le accuse ruotano attorno a un presunto “scambio di favori” con l’avvocato della Lega Nord Domenico Aiello che avrebbe ricevuto dal magistrato notizie riservate nell’inchiesta sugli indebiti rimborsi dei consiglieri regionali lombardi. In queste ore, Robledo sta scrivendo la memoria difensiva che presenterà alla sezione disciplinare del Csm nell’udienza del 5 febbraio. (m.d’a.)

    Atto incolpazione Robledo

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  • Dopo 10 mesi per il pg solo Robledo è out…E Bruti?

    A 10 mesi dall’esposto presentato da Alfredo Robledo contro il capo dell’ufficio inquirente Edmondo Bruti Liberati il pg della Cassazione Ciani si sveglia e decide il da farsi solo sul procuratore aggiunto un tempo a capo del dipartimento anticorruzione poi spostato d’imperio alle esecuzioni penali.

    Per il pg della Cassazione Robledo deve essere trasferito da Milano e perdere le funzioni di pm a causa di uno scambio di favori con l’avvocato della Lega Nord Aiello che emergerebbe da intercettazioni di sms nell’ambito di una vicenda già archiviata dalla procura di Brescia a dicembre in relazione all’aspetto penale.

    Robledo avrebbe fornito informazioni all’avvocato nell’inchiesta sul Carroccio avendo in cambio altre informazioni sul comportamento della Lega nella vicenda dell’ex sindaco di Milano Albertini in causa con il vice di Bruti. In particolare, secondo il pg Robledo avrebbe suggerito ad Aiello un’istanza con cui ottenere copia di una consulenza non ancora nota agli indagati. E nell’indagine sui rimborsi ai consiglieri regionali, avrebbe violato il dovere di riservatezza rivelando al legale gli indizi a carico degli indagati.

    Giustizia disciplinare rapida solo per Robledo dunque e a quasi un anno dall’inizio della querelle, che non solo ha leso l’immagine della procura di Milano dove un tempo operò il “mitico” pool, ma che ha finito per scoperchiare gli altarini dei rapporti tra magistratura e politica.

    Un fatto incontrovertibile c’è: un fascicolo sulla Sea che lambiva l’allora neonata giunta di centrosinistra restò per sei mesi in un cassetto prima di essere affidato a Robledo, ma ormai monco perché non si poteva più intercettare gli indagati. “Mia colpevole dimenticanza” ammise Bruti, che però almeno per il momento se la cava alla grande, nonostante il suo grande protettore Giorgio Napolitano non sia più al Quirinale.

    Politicamente comunque Bruti è sempre stato più forte di Robledo, avendo un potere che va anche al di là della sua persona. Ma i due pesi e due misure adottati dal pg suscitano interrogativi sempre più inquietanti. In un paese normale, che non è questo, a 15 giorni dall’esposto entrambi i contendenti sarebbero stati trasferiti, quantomeno per incompatibilità ambientale che può esserci anche senza colpe specifiche. Così invece vince la politica, chi ce l’ha più duro nel vantare rapporti con quelli che contano. L’indipendenza e l’autonomia della magistratura di cui Csm, Anm e toghe varie blaterano tutti i giorni sui media sarebbero un’altra cosa. (frank cimini)

     

  • Nozze gay, la Procura: “Pisapia non sei indagato”
    E lui: “Ma gli ignoti chi sono?”

    Sono indagato, ma no che non sei indagato, e com’è che non mi avete indagato? Per anticipare la stampa, da buon conoscitore del sistema mediatico, Giuliano Pisapia fa uno scatto in avanti e sabato, durante un convegno del Pd, annuncia che la Procura di Milano lo accusa di omissione in atti d’ufficio per avere trascritto i matrimonio gay contratti all’estero.

    Solo che lo sprint del sindaco avvocato è fin troppo bruciante, sicchè stamattina, con un certo imbarazzo, il procuratore Edmondo Bruti Liberati e il pm Letizia Mannella lo riportano ai blocchi di partenza comunicando ai giornalisti che vero, c’è un’inchiesta a carico di ignoti nata dall’esposto di un’associazione di cittadini, ma Pisapia non risulta indagato. E fanno anche capire che questa indagine finirà con una richiesta di archiviazione, senza nessun fuoco d’artificio.

    La Procura giustamente non ha nessuna voglia di ipotizzare una responsabilità penale per il sindaco che non obbedì a ottobre alla richiesta del Prefetto Francesco Paolo Tronca di cancellare le trascrizioni delle nozze ‘arcobaleno’.  Da vecchio uomo di legge, il sindaco oggi c’è quasi rimasto male: ma come, si è chiesto, aprite un’inchiesta sulle trascrizioni dei matrimoni, e la lasciate a carico di ignoti quando tutto il mondo sa che le ho fatte io? “Quegli ignoti sono noti – così  il sindaco rivendica il suo diritto a essere indagato – le trascrizioni le ho fatte io perché le ritenevo legittime. Era giusto che mi assumessi le responsabilità di quello che ho fatto e non so se cercassero ignoti tra soggetti che, invece, ignoti non lo erano”.  (manuela d’alessandro)

     

     

     

  • Camera Penale contro Anm, aprire il Tribunale è solo propaganda

    Aprire le porte del Tribunale ai cittadini diffondendo numeri che dovrebbero esaltare l’efficienza della magistratura è “propaganda nemica della Giustizia” basata su “dati incompleti e parziali”.

    In un acre  comunicato dal titolo ‘Questa casa non ha padroni’, la Camera Penale di Milano attacca l’iniziativa dell’Anm che oggi, nell’ambito della ‘Giornata per la Giustizia’, fa entrare chi vuole nel Palazzo progettato dal Piacentini per mostrare come funziona la giurisdizione.

    “I Tribunali sono la casa della giustizia e la giustizia è di tutti”, rivendicano i legali. “Le porte del Tribunale sono per definizione aperte, è pleonastico aprirle per un solo giorno. Gli interessi dei cittadini debbono essere tutelati attraverso il corretto esercizio della funzione giurisdizionale nel pieno rispetto degli equilibri istituzionali”. I rappresentanti degli avvocati contestano in particolare i dati diffusi da Anm in questi giorni, anche, aggiungiamo noi, attraverso gli schermi acquistati coi fondi Expo che mostrano le cifre della giustizia secondo la magistratura. Alle toghe che esaltano i giudici italiani come i più efficienti in Europa e lamentano i danni derivanti dalla prescrizione, rispondono così: “Le cause di rinvio delle udienze sono per il 77 per cento attribuibili a varie disfunzioni degli uffici non addebitabili all’esercizio della funzione difensiva”; “lo Stato ha circa 400 milioni di euro di debito per la lentezza dei procedimenti”; “la grandissima parte delle prescrizioni matura nella fase delle indagini preliminari, quando la difesa non interviene in alcun modo. Il numero delle prescrizioni è in costante calo”. Anche alcuni magistrati avevano espresso perplessità per il ruolo di anfitrioni a loro richiesto in queso ‘sabato per la giustizia’.

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    (manuela d’alessandro)

  • La paura che alla ‘Giornata per la giustizia’ manchino i magistrati

    “Je suis magistrato”. Domani si celebra su iniziativa dell’Anm la ‘Giornata nazionale per la Giustizia’ con l’apertura del bel palazzo razionalista ai milanesi. Due gli obbiettivi: far vedere da vicino le stanze della giustizia e convincere i cittadini che la riforma Renzi è sbagliata (la vignetta che promuove l’iniziativa ironizza sulla responsabilità civile delle toghe mostrando un imputato che incassa una tangente).

    Quanti saranno i curiosi che vorranno sedersi per un giorno alla tavola dove si ‘cucinano’ sentenze, processi, inchieste? E i ‘cuochi’ in toga della giustizia saranno presenti per far degustare le loro specialità? Chissà.

    I promotori dell’iniziativa oggi ci hanno messo un po’ di pepe riempiendo la casella mail dei colleghi con un’accorata ‘chiamata alle armi’ che, a qualcuno, è risultata indigesta. I toni usati sono da ‘trincea’. “E’ fondamentale – scrive uno dei componenti dell’Anm locale – per la riuscita della giornata che vi sia una massiccia presenza di voi tutti (dove già vi fermate tantissimo durante l’arco della settimana, domeniche comprese) quando la cittadinanza verrà accompagnata a visitare il palazzo. Sarà importante che vi trovino pronti ad accoglierli; a far vedere le condizioni in cui voi tutti lavorate (…) l’unico modo per far comprendere a una cittadinanza che è stata continuamente bersagliata di messaggi diffamatori nei nostri confronti quale sia la realtà delle cose”. “Sappiamo bene – ammette un altro magistrato – che non tutti condividono quest’iniziativa, ma crediamo che in questo momento sia più importante dare il proprio contributo di presenza”. “Non ci stiamo all’insensibilità del governo (..). E’ importante – gli fa eco un terzo membro dell’Anm milanese –  che garantiamo tutti la nostra presenza, che è il modo più forte per parlare e fare capire che non difendiamo interessi di categoria, poichè l’unica istanza personale è quel tribunale interiore che ciascuno di noi ha dentro di sé e che, più rigoroso di tutte le corti, si chiama coscienza”. Qualche magistrato ha risposto facendo capire di non gradire l’invito con batttute ironiche riferite al sabato, altri, off the records, sottolineano che i primi a non esserci saranno i Presidenti del Tribunale e della Corte d’Appello impegnati domani in Comune a illustrare il bilancio di responsabilità sociale del Tribunale. (manuela d’alessandro)

  • Salta l’accordicchio su Bruti – Robledo, il Csm teme la figuraccia

    Al vertice del Csm ci hanno provato, ma trovare quello che Luigi Ferrarella sul Corriere definisce oggi “allineamento astrale”, un accordicchio aumma aumma con troppe variabili, diciamo noi, era davvero un’impresa. Era troppo.

    Forse oggi, con un’improvvisa presa di coscienza, qualcuno ha pensato che la figuraccia per la magistratura e le sue correnti fosse eccessiva. E allora meglio tornare indietro. Salta l’accordo sul trasferimento di Robledo a Venezia. Scrive l’Ansa: “L’ipotesi di applicare il pm milanese Alfredo Robeldo alla procura generale di Venezia, per farlo poi rientrare a Milano, quando il procuratore Edmondo Bruti Liberati sarà in pensione, è tramontata. Non ci sono i presupposti normativi e di questo ha preso atto oggi la Settima Commissione del Csm, che avrebbe dovuto avviare l’iter necessario”.

    Ragione tecnica numero uno: per la procura generale ci sono due posti a bando. Con venti domande. In queste condizioni, la norma prevede che non si  possa avviare il cosiddetto ‘interpello’ per un posto da applicato. Come poteva Robledo andare a Venezia per un solo anno? Poteva fare domanda per un posto ordinario, ma non per un ufficio a scadenza programmata.

    Secondo problema: chi, nel 2015, avrebbe coperto il ruolo da aggiunto al dipartimento anticorruzione di Milano? I pm del pool, nei giorni scorsi hanno scritto a Bruti Liberati, chiedendo una nomina per superare l’impasse e riprendere sul serio il lavoro. In queste condizioni, come assicurare a Robledo il suo vecchio posto da capo di quel dipartimento, lasciando il pool in mano a un aggiunto a sua volta ‘a tempo’?
    E le varie commissioni del Csm cosa dovevano fare, adeguarsi a un accordo informale, opaco, preso tra i protagonisti Robledo-Bruti-Legnini e limitarsi a ratificare tutto, senza aprire becco, mentre la stampa segnalava all’opinione pubblica un’anomalia che scandalizzava anche decine di magistrati milanesi?
    “Era una soluzione assurda, che tra l’altro dava per implicita la conferma di Bruti”, commenta un pm meneghino. Per non parlare, prosegue “della pazzesca, inquietante coincidenza con la fine del mandato di Napolitano”.

  • Robledo va a Venezia per tornare a Milano
    Il Csm trova l”accordicchio’

    Dieci mesi non sono bastati al Csm per decidere sulla querelle Bruti-Robledo. Alla fine, proprio nei giorni in cui Giorgio Napolitano grande protettore di Bruti Liberati lascia il Quirinale, spunta un sorta di accordicchio che porterà Robledo per circa un anno alla procura generale di Venezia come sostituto per poi tornare a Milano a capo del dipartimento anticorruzione che, nel frattempo, dovrebbe essere coperto con una nomina provvisoria. Nei giorni scorsi, alcuni pm dell’anticorruzione si sono lamentati  con Bruti che il loro lavoro è bloccato dopo l’esautorazione dell’aggiunto. (lotta-di-potere-in-procura-bruti-caccia-robledo-dallanticorruzione)

    Robledo tornerebbe quando Bruti andrà in pensione al 31 dicembre 2015 per raggiunti limiti di età, senza avvalersi degli effetti di una eventuale ulteriore proroga che potrebbe essere  decisa per l’impossibilità del Csm di rispettare gli impegni a livello di nomine dei capi degli uffici.

    Insomma, domani la prima commissione deciderà di non aprire la pratica formale di trasferimenti per incompatibilità ambientale ma aderirà alla cosiddetta “mediazione istituzionale” (insomma le istituzioni non godono di buona salute, diciamo) varata dal vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, che già di recente aveva annunciato: “Stiamo lavorando a una soluzione bonaria”.

    Dice un giudice milanese: “E’ la conferma che al Csm da tempo hanno preso i vizi peggiori della politica”. Al punto che, possiamo aggiungere, se in pratica si insabbia un’inchiesta importante comne quella sulla Sea, ammettendo di aver dimenticato il fascicolo per 6 mesi in un cassetto, si ha diritto comunque di arrivare alla pensione. Perchè al Csm ci sono i giochi e i veti delle correnti che rappresentano partiti politici e si comportano come tali e per giunta con uun Presidente della Repubblica che, smessi i panni dell’arbitro, ha giocato la partita.

    Un magistrato che dovesse dimenticare un fascicolo su Berlusconi in un cassetto verrebbe arrestato per corruzione senza neanche accertare quanto ha incassato e da chi. Una riflessione “bonaria”, diciamo. Il Csm di un paese normale avrebbe deciso in 15 giorni, trasferendo Robledo perché diventato incompatibile non per colpa sua a causa dell’esposto contro Bruti e Bruti perché se ti scordi un fascicolo che lambisce la neonata giunta milanese di centrosinistra non puoi fare il capo della procura. Il nostro non è un paese normale. Ma a sto punto basterebbe che i magistrati smettessero di menarla con la loro indipendenza e autonomia (frank cimini)

     

  • Prescrizione, non sapremo mai se qualcuno sbagliò nella bonifica di Santa Giulia

    Non sapremo mai se qualcuno ha sbagliato  nella bonifica dell’area dove è sorto il quartiere Santa Giulia, frutto di un controverso maxi progetto immobiliare che prevedeva di ripulire 1 milione e duecentomila metri quadrati un tempo occupati da Montedison.

    Il processo a carico di 11 persone, tra cui l’ex immobiliarista Luigi Zunino, accusate di irregolarità nella gestione di rifiuti, discarica non autorizzate e altri reati ambientali, corre verso la prescrizione dopo essere stato ridimensionato nella accuse più gravi al termine dell’udienza preliminare.

    Nell’udienza di stamattina, le difese hanno chiesto al giudice monocratico Giulia Turri di dichiarare prescritte le ipotesi accusatorie in base a una tesi della Cassazione che collocherebbe la consumazione del reato quando c’è stata l’ultima movimentazione di terra, nel 2008. In questo caso, trattandosi di reati che si prescrivono in 5 anni, saremmo già al requiem per un processo cominciato a settembre.  Ribatte l’accusa, rappresentata dal pm Laura Pedio, che la prescrizione andrebbe calcolata dal 20 luglio 2010, giorno in cui la Procura dispose il sequestro di tutta l’area oggetto della bonifica, e quindi il processo ‘sopravviverebbe’ fino al 20 luglio prossimo.

    Deciderà lunedì il giudice Turri ma sin d’ora è possibile immaginare la difficoltà di arrivare entro l’estate a una sentenza almeno di primo grado che, se fosse di condanna, consentirebbe perlomeno alle parti civili di ottenere dei risarcimenti.  Condanna tutt’altro che scontata dal momento che questa indagine,  esplosa con 5 arresti nel 2009, tra cui quello dell’ex ‘re delle bonifiche’, poi defunto, Giuseppe Grossi, ha  perso sulla strada  ‘pezzi’ importanti con la decisione del gup di prosciogliere gli imputati dal reato più grave di avvelenamento della falda acquifera. L’ex presidente di Risanamento Zunino e gli altri imputati, tra i quali ex dirigenti del Comune e dell’Arpa, devono difendersi  ‘solo’ in relazione a reati ambientili punibili con sanzione pecuniaria. Quando venne sequestrata l’area l’ipotesi della Procura e del gip era che vi fossero sostanze cancerogene nelle falde e rifiuti pericolosi dove doveva sorgere un asilo. Comunque vada, non sapremo mai con certezza, attraverso una sentenza definitiva, cosa è successo nei giorni in cui si schiantava il sogno del nuovo quartiere verde e chic di Milano.  (manuela d’alessandro)

  • Il ‘regalo’ di 3 finanzieri: un software gratis per 28mila pratiche della giustizia

    Nel Palazzo dove si spendono milioni di euro targati Expo per informatizzare i processi, la fantasia e la tenacia di tre giovani finanzieri creano, senza alcuna spesa di denaro pubblico, un software in grado di gestire 28mila pratiche nell’ufficio della Procura Generale di Milano.

    Il sistema ‘Prometeo’, così si chiama la neonata piattaforma informatica, è nato da un’intuizione dell’Avvocato dello Stato Laura Bertolè Viale che un anno fa convoca i suoi ragazzi e gli chiede: “Cosa possiamo fare per accelerare le pratiche nell’ufficio?”. Davide Carnevali, Luigi Cerullo e Damiano Franco come prima cosa vanno a bussare alle porte degli impiegati facendosi spiegare le loro esigenze e poi s’inventano questo programma capace di archiviare e gestire, anche sostituendo i polverosi registri cartacei con strumenti informatici, le delicate informazioni della giustizia.

    Si presenta come un normale sito web, esportabile in altre amministrazioni, ed è basato su tecnologie open source. Come Prometeo sfidò le divinità, questi tre ragazzi sembrano provocare l’dea  del pubblico che non funziona e si deve affidare a partner privati, talvolta con modalità oscure (sospesi-gli-affidamenti-diretti-expo-per-la-giustizia-milanese-il-verbale-che-svela-il-clamoroso-cambio-di-rotta), come accaduto coi fondi dell’Esposizione Universale. Dai quali, guarda caso, è stata esclusa la Procura Generale.  (manuela d’alessandro)

  • Perché gli scippatori vanno in galera e i corrotti no?
    Un’idea di riforma da chi esegue le pene

    “Volete sapere perché gli scippatori vanno in galera e i corrotti no? Semplice, basta leggere un articolo di legge e semplicissimo sarebbe cambiarlo”. Così semplice che non si fa, appunto, preferendo arrovellarsi su complicate ipotesi di riforma.

    Spiega il il sostituto procuratore generale di Milano Antonio Lamanna, magistrato di grande esperienza che diede parere  favorevole all’affidamento ai servizi sociali di Silvio Berlusconi dopo la condanna Mediaset. “Quando viene pronunciata una sentenza di condanna definitiva a pena detentiva, entrano in gioco l’articolo 656 del codice di procedura penale e l’articolo 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario. Se la pena non supera i tre anni, e ciò accade per la maggior parte dei casi, il pubblico ministero ne sopende l’esecuzione, tranne che per una serie di reati che vengono indicati in queste norme”.

    Quello che stupisce sono alcuni dei reati che costituiscono eccezione alla regola generale, per i quali cioé non si può sospendere la pena detentiva e si finisce in carcere senza ‘sconti’: scippo, contrabbando aggravato di sigarette, furto in appartamento. Tra queste fattispecie certamente la corruzione non sfigurerebbe. Invece chi prende mazzette ed è condannato a meno di tre anni (succede spesso per la concessione delle generiche o perché si viene giudicati con riti alternativi), evita il carcere. “Basterebbe aggiungere la corruzione accanto allo scippo, al contrabbando e agli altri reati, tra i quali le violenze sessuali, per essere sicuri che chi commette un reato grave come la corruzione sconti in carcere almeno parte della pena”. Una riforma facile, facile. Non giustizialismo, ma buon senso, per un reato tra i più odiosi perché spesso colpisce la fiducia nelle istituzioni e viene compiuto non da chi nasce in ambienti criminogeni ma da chi ‘sceglie’ di tradire la fiducia dei cittadini. (manuela d’alessandro)

  • Davanti a tutti in graduatoria da sostituto Pg
    Ma Robledo rischia il trasferimento da Milano

    Tra i magistrati in corsa per ottenere un posto da sostituto in Procura Generale c’è proprio colui che potrebbe dover lasciare Milano per incompatibilità ambientale. Per oggi è attesa la proposta della Prima commissione del Csm su un eventuale trasferimento di Alfredo Robledo (e di Edmondo Bruti Liberati?). E proprio oggi si scopre, dalle graduatorie interne pubblicate dal Csm, che lo stesso Robledo è primo in una lista di 26 magistrati che hanno chiesto un posto nell’ufficio guidato da Manlio Minale.

    Tra chi ha chiesto di diventare sostituto Pg non ci sono solo magistrati milanesi, ovviamente. Ma c’è anche chi parla di una “mezza fuga dalla Procura” guidata da Bruti. Robledo risulta primo in graduatoria (valutazione: 31) davanti ad Amato Barile (30), pm alla Procura di Lagonegro, e a Celestina Gravina (26), attuale Procuratore a Matera che farebbe così ritorno nella Milano che la vide impegnata da inquirente, tra le altre cose, nell’inchiesta sulla strage di Linate. Al settimo posto c’è un’altra pm milanese, Laura Gay, attualmente all’esecuzione (dipartimento guidato da Robledo dopo la nota estromissione dal pool anticorruzione). Più indietro i sostituti procuratori Maria Mazza, Paola Pirotta (di quel secondo dipartimento che fu guidato da Robledo), Angelo Renna, Silvia Perrucci, Maria Teresa Latella.

    Chiedono un posto al terzo piano lato Manara anche l’ex giudice milanese Gemma Gualdi (quinta in graduatoria), l’ispettore del ministero Paolo Fortuna, il pm di Pavia Giovanni Benelli, i pm dei minori di Milano Maria Saracino e Ciro Cascone e la pm di Brescia Silvia Bonardi, magistrato che negli ultimi mesi ha indagato per concussione il collega milanese Ferdinando Esposito.

    I posti messi a bando sono solo due. Con l’eventuale trasferimento di Robledo, qualcuno verrebbe ripescato.

    (Aggiornamento delle ore 16: sulla questione trasferimenti per incompatibilità ambientale il Csm ha deciso di rinviare. Prima verrà ascoltato il presidente di Corte d’Appello Giovanni Canzio, il 16 dicembre, poi si vedrà).

  • Anche Maroni sta scivolando lì…
    E non si presenta al pm

    Il governatore lombardo Roberto Maroni stamani avrebbe dovuto presentarsi in procura a Milano davanti al pm Eugenio Fusco che gli aveva inviato un invito a comparire per induzione indebita e turbata libertà di scelta del contraente. Entrambe le accuse fanno riferimento ai rapporti tra Maroni e la sua amica Maria Grazia Paturzo, da un lato assunta nella società Expo2015  e dall’altro lato candidata a partecipare a un viaggio a Tokio del presidente della giunta regionale, al quale Maroni rinunciò perchè Expo si sarebbe rifiutato di pagare il soggiorno della donna.

    Maroni rifiutò di di andare a rappresentare la Regione a Tokio solo poche ore prima della partenza, evidentemente contrariato dal fatto che Expo non avesse aderito al suo desiderio di avere in delegazione l’amica Paturzo con spese a carico della società. Insomma a colui che promise di usare le scope per ripulire il Carroccio in seguito all’inchiesta sul “cerchio magico” non passò nemmeno per l’anticamera del cervello di tirare fuori lui (che ogni mese incassa uno stipendio non certo basso) i 6.500 euro di viaggio e soggiorno per la ragazza.

    L’interrogatorio di Maroni sarebbe stato l’ultimo atto dell’inchiesta. E’ saltato per decisione legittima dell’indagato, alla fine di una lunga trattativa tra il pm e l’avvocato difensore Domenico Aiello. L’indagine dovrebbe essere chiusa a gennaio con il deposito delle carte.  A quel punto Maroni potrà chiedere lui di essere sentito in procura, dopodichè con ogni probabilità ci sarà la richiesta di processo. Nella vicenda delle assunzioni l’accusa si fa forte a sostegno delle sue tesi della decisione di un indagato, Alberto Brugnoli, manager di Eupolis, di patteggiare. Nel caso del mancato viaggio a Tokio la rilevanza penale del comportamento di Roberto Maroni appare un po’ più sfumata, anche se la storia è sicuramente indecorosa a livello politico. Ma il governatore lombardo non è certo l’unico politico a fregarsene ampiamente dei danni reputazionali. Diciamo che è in buona compagnia e, se dovesse essere condannato per l’induzione indebita, rischia di decadere dalla carica per la legge Severino.  (frank cimini)

  • Rinviato il convegno sull’omogenitoralità,
    “pressioni” perché relatori pro – famiglie gay

    Ci sarebbero state “pressioni” o “veti” da parte di alcune ‘toghe’ che ritenevano il parterre dei relatori troppo “orientati a favore dei diritti delle famiglie omosessuali” alla base del rinvio del convegno sull’omogenitorialità organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura in collaborazione con l’Aiaf (associazione italiana degli avvocati per la la famiglia e i minori).

    Il seminario si sarebbe dovuto svolgere il 15 dicembre a Palazzo di Giustizia ma i partecipanti, con grande stupore, hanno ricevuto oggi da Giuseppe Buffone, giudice civile e promotore dell’incontro, una mail in cui li si informava del rinvio al 27 febbraio. La data è stata posticipata, spiega il magistrato, “in vista della riorganizzazione” dell’incontro, motivata dal “serio interesse” espresso da “alcuni colleghi” alla “partecipazione ai lavori con l’obbiettivo di arricchire il seminario”. Fin qui, la motivazione ufficiale.

    Ma c’è una nota delle toghe di ‘Area’ (formazione che riunisce Magistratura Democratica e Movimento per la Giustizia)  dalla quale par di capire che lo scenario in cui è maturata la decisione del rinvio del convegno intitolato ‘La tutela dei diritti nelle famiglie omogenitoriali’ non sia stato così soft. “Stupisce perché – si legge nel documento – sembrerebbe in realtà originata dalla perplessità di alcuni colleghi di Milano che avebbero contestato i contenuti del convegno ritenendo che fosse troppo ‘orientato’ a favore dei diritti delle famiglie omosessuali. Se questo è accaduto lo troviamo francamente preoccupante, anche per la storia del nostro distretto”. Una rappresentante di Area Milano, da noi contattata, dice: “Le ragioni del rinvio sono risibili. In questi casi si invita più gente possibile per creare dibattito, ma certo non si rinvia un convegno”. “Quello che è certo – sottolinea uno dei relatori – è che a Milano è la prima volta che viene rinviato un convegno”.

    Secondo i rappresentanti della corrente, “è impensabile che nell’attività formativa, e in particolare in ambiti di così assoluto rilievo, possano intervenire decisioni che suonano come veti o pressioni da parte di singoli o di gruppi di magistrati che in questo modo compromettono l’indipendenza della quale dovrebbe godere la Scuola della Magistratura”.

    “Se davvero ci fossero state queste pressioni sarei sbalordita – commenta l’avvocato e presidente di Aiaf Lombardia Cinzia Calabrese – abbiamo organizzato altri convegni in altre città con gli stessi relatori, senza alcun problema. Sono incontri di studio, dove l’ideologia non c’entra nulla”.

    Tra  i giuristi chiamati a parlare, figurano il Presidente del Tribunale di Bologna, Giuseppe Spadaro, firmatario di una sentenza con la quale nel 2013 una bambina venne affidata a una coppia omosessuale, lo psichiatra Vittorio Lingiardi, autore del saggio ‘Citizen gay’ e il giudice civile Olindo Canali che pure si è espresso sulla materia del convegno con un paio di verdetti sul tema che sucitarono dibattito. “In realtà a Milano, a differenza che in altre città – ci spiega il giovane giudice Buffone, considerato un enfant prodige del diritto di famiglia – non abbiamo ancora avuto casi relativi a famiglie omogenitoriali, ma questo convegno serve proprio a fare il punto”. (manuela d’alessandro)

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

  • Cupola degli appalti Expo
    Ecco i patteggiamenti di Greganti, Frigerio & Co.

    Ecco il risultato dell’inchiesta che per qualche mese ha fatto tremare la macchina di Expo. Qui trovate i patteggiamenti ratificati dal gup Ambrogio Moccia per Primo Greganti, Gianstefano Frigerio, Luigi Grillo, Angelo Paris, Enrico Maltauro e Sergio Cattozzo. Ovvero i componenti della cosiddetta ‘cupola degli appalti’, così come la definirono nel giorno degli arresti i pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio.

    Alle pagine 8 e 9, i perché dell’assenza di confische e le ragioni per cui tutti beneficiano delle attenuanti generiche equivalenti o prevalenti sulle aggravanti.

    Frigerio, condannato in passato, aveva già ottenuto la riabilitazione. Greganti ha tenuto un “discreto comportamento post factum”. Maltauro ha fornito “ampia collaborazione”, così come Luigi Grillo, incensurato. Paris non ha precedenti penali e dimostra un “non minimo impegno risarcitorio” (100mila euro). Buona lettura.

    Patteggiamenti Expo Greganti Frigerio

  • Podestà condannato, il primo e – book contro una sentenza.

    Guido Podestà affida a un e-book di oltre cento pagine, scaricabile dai suoi profili Facebook e Twitter , la risposta indignata alla condanna a due anni e nove mesi di carcere che gli ha inflitto il Tribunale di Milano per avere contribuito alla raccolta di firme false a sostegno di Roberto Formigoni.  E’ la prima volta che un politico si difende con un e-book (“anche se io appartengo al giurassico, è opera dei miei amici”, ha tenuto a precisare il Presidente della Provincia di Milano”), disponibile on line a poche ore da un verdetto di condanna, evidentemente non inatteso.

    La strada è quella indicata da Silvio Berlusconi quando, per rispondere alle accuse della magistratura, convocava conferenze stampa e inondava i giornalisti di documenti che avrebbero dimostrato la sua innocenza. Ma qui andiamo molto oltre. La risposta del Podestà furioso, che convoca una repentina conferenza stampa, è quella di far consegnare dalle figlie ai giornalisti l’anteprima dell’e – book, scritto da “amici e collaboratori alla ricerca della verità”.  Il titolo dell’opera, ‘Che Italia è questa? – Il processo di Robeldo contro Podestà’ si riferisce al presunto accanimento manifestato dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo il quale aveva ‘disobbedito’ al suo capo, Edmondo Bruti Liberati, iscrivendo il politico nel registro degli indagati nonostante il niet del procuratore.  Era stato questo uno dei motivi di scontro tra i due ‘galli’ della Procura finito davanti al Csm. (podesta-chiede-di-trasferire-processo-a-brescia-per-scontro-in-procura-e-giustiziami-arriva-in-cassazione)

    A pagina 5 del libro, Josef K. (lo pseudonimo usato dagli autori che  cita il personaggio kafkiano) fa un paragone azzardato tra Podestà  e Oscar Pistorius. “Il 17 ottobre, giorno della penultima udienza, cade quasi per una beffa del destino, quattro giorni prima della condanna a cinque anni di reclusione emessi dalla Corte Federale di Pretoria ai danni di Pistorius per l’omicidio colposo della fidanzata (…) 5 anni e 8 mesi per un presunto falso ideologico, cinque anni per un omicidio giudicato colposo..qualcosa stride?”. Nel testo, Silvio Berlusconi viene definito “lider maximo”, Nicole Minetti che fu eletta nel ‘listino’ di Formigoni viene liquidata come l’”igienista dentale” a cui è stata concessa una “chance”.  Infine, le “22 domande che rimangono senza risposta” , l’ultima delle quali è: “Ebbene, che Italia è questa?”. (manuela d’alessandro)