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  • Sharon, arriva la la “zona rossa” di Terno d’Isola

    Nella storia dell’infinita emergenza italiana arriva la “zona rossa” di Terno d’Isola in provincia di Bergamo. Non c’entrano stavolta i black block. Chiudono le strade per ragioni investigative, le indagini sull’uccisione di Sharon Verzeni. Si cerca nei tombini ora a un mese dal delitto il coltello, l’arma che secondo il quotidiano che perde più copie in Europa era stata trovata nei giorni immediatamente successivi al fatto. Era una bufala, non la sola in questa inchiesta spettacolarizzata dai media dove ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere per una ragazza ammazzata a coltellate.
    Le strade sono state chiuse per decisione dell’autorità giudiziaria, una procura fin qui assente e silente anche perché senza capo che si insedierà il 9 settembre.
    L’idea della chiusura era stata probabilmente sollecitata dai carabinieri ai quali finora l’indagine è completamente delegata. Come si suol dire in questi casi gli inquirenti brancolano nel buio e sentendosi tra l’altro ingiustamente colpevoli per non aver ancora scoperto l’assassino al fine di dimostrare che lavorano adottano iniziative clamorose che colpiscono.
    Così si arriva alla zona rossa di Terno d’Isola. Forse ci si poteva pensare prima ai tombini. I cento testimoni ascoltati finora non sono serviti. Compreso il presunto supertestimone che poi si è scoperto essere abbastanza circo e sordo. Dai coltelli sequestrati in giro e mandati al Ris di Parma non è arrivato nulla. E nemmeno dalle tracce sul corpo di Sharon. Intanto era stato preso il Dna offerto volontariamente da una quarantina di residenti. Un altro buco nell’acqua. L’assassino sicuramente non offre il Dna. I paragoni con il caso Yara sono frutto di ignoranza e superficialità. Lì c’era un dato dal quale partite l’ormai famoso Ignoto1. Qui siamo a zero.
    Però la zona rossa fa scena, molta scena. Come le convocazioni di testimoni in caserma a favore di telecamere e i sopralluoghi con il fidanzato di Sharon, Sergio Ruocco, formalmente non indagato. Solo formalmente però. In realtà pressato. Lui continua a dirsi tranquillo e a rilasciare interviste in cui formula ipotesi di cui potrebbe anche fare a neno.
    (frank cimini)

  • Autogol dei politici rafforzano magistratura

    Una delle ragioni per cui Mani pulite non è finita e sembra finire mai è la responsabilità della politica. Non c’è uno schieramento un partito che rinunci a strumentalizzare le inchieste giudiziarie quando sotto tiro ci sono gli avversi e questo aumenta ancora di più in modo spropositato il potere della magistratura. La novità degli ultimi giorni sulla quale vale la pena di soffermarsi ma non più di tanto per evitare di farsi distrarre dai problemi reali del paese è che siamo arrivati alla strumentalizzazione al tentativo di utilizzare una inchiesta che non c’è e che al 99 per cento ci sarà mai. Arianna Meloni è dirigente di un partito il primo partito del paese, le nomine le fanno i partiti che governano a volte nel consociativismo con l’opposizione per cui non si capisce perché ci dovrebbe essere una indagine giudiziaria.

    Quando governava Matteo Renzi lui e suoi procedevano alle nomine, adesso invece Arianna Meloni dovrebbe spiegare le scelte politiche. Dopo l’articolo del Giornale il centrodestra si è indignato ovviamente gridando al complotto sempre in relazione e a una indagine di cui non c’è traccia.

    Ma si è indignata pure l’Associazione nazionale magistrati dedicandosi alla sua attività preferita, “ci vogliono delegittimare”. Parliamo di una categoria che ha già dimostrato ampiamente di essere in grado di delegittimarsi da sola con una grandissima capacità di autoassolversi e autoamnistiarsi come è accaduto in relazione al caso Palamara, radiato come unico responsabile di una ottantina di nomine sottobanco nel regno del traffico di influenze che però in questo caso nessuno ha contestato formalmente.

    Si tratta del reato di cui secondo le fantasie dovrebbe rispondere Arianna Meloni, del reato che ai comuni mortali di solito viene contestato per molto meno di quanto accade al Csm. Ma queste strumentalizzazioni delle inchieste da una parte e dall’altra portano poi vantaggi a chi le fa? Non pare proprio. A Bari dove la destra aveva dato addosso al centrosinistra sul voto di scambio, altro reato evanescente al pari del traffico di influenze, hanno vinto gli avversari. Alle elezioni europee non sembra aver influito l’inchiesta di Genova sulla presunta corruzione Toti-Spinelli. E in vista delle elezioni del 27 ottobre in Liguria il centrodestra pare restare con un buon vantaggio nonostante la mobilitazione di piazza contro l’allora governatore detenuto in casa. Insomma sembra che gli elettori se ne freghino ampiamente e che chi strumentalizza la giustizia faccia un buco nell’acqua a differenza di trent’anni fa.
    (frank cimini)

  • Sharon, Dna a strascico mossa disperata delle indagini

    Che a due settimane dall’uccisione di Sharon Verzeni gli inquirenti non avessero nulla in mano lo si era capito. Adesso la conferma arriva da una sorta di mossa della disperazione, quella di prendere il Dna a tutti i residenti della via del delitto e delle strade limitrofe. Ovviamente chi fornisce il Dna lo fa su base assolutamente volontaria e ciò avviene perché le persone pensano comunque di dare un contributo a scoprire l’assassino.
    Ma si tratta di una gravissima violazione dei diritti dei cittadini intesi come collettività. Il paragone con il caso Yara non regge perché in quel caso si partiva da un Dna sia pure parziale di tipo familiare acquisito in una discoteca. A Terno invece si parte senza avere in mano nulla. Si agisce su persone la cui unica caratteristica è quella di abitare in zona.
    Innanzitutto bisogna anche semplicisticamente osservare che l’assassino il proprio Dna non lo fornisce a chi indaga. E quindi a che cosa serve l’iniziativa? È possibile fidarsi della catena di custodia di questi dati che poi dovrebbero essere distrutti? E chi garantisce sulla effettiva sorte di questi Dna?
    Il feroce delitto di cui è stata vittima Sharon Verzeni la forte impressione che ha suscitato non può giustificare in uno stato di diritto l’operazione di prendere il Dna a persone sospettabili di nulla.
    Il cittadino medio da’ la sua collaborazione senza rendersi conto della delicatezza del problema. Il cittadino medio non solo in Italia è sostanzialmente forcaiolo fino a quando non finisce direttamente o indirettamente attraverso familiari e amici nei meccanismi giudiziari.
    Diciamo che nell’inchiesta sull’uccisione di Sharon non c’è prudenza. Del resto parliamo di una procura titolare delle indagini dove il capo designato si insedierà solo a settembre. Il magistrato facente funzione di capo è in ferie. Come si è arrivati alla decisione relativa al Dna a strascico ancora prima di avere dal Ris di Parma dei carabinieri risultati poi da approfondire? Sono domande legittime. Ma va anche detto che nonostante la pressione di opinione pubblica e media chi indaga non può e non deve sentirsi colpevole di non aver scoperto l’assassino in soli quindici giorni. Nelle indagini tutto quello che poteva essere fatto è stato fatto. Non c’è stata inerzia. Anzi.
    (frank cimini)

  • Non diamoli per scontati: numeri e nomi aggiornati dei suicidi in carcere

    Si sono impiccati quasi tutti, chi col laccio dei pantaloni, chi con le lenzuola, chi con una corda. Qualcuno si è soffocato con un sacchetto di plastica, qualche altro riempiendosi i polmoni di gas o altre sostanze. A volte in cella non erano soli, c’erano dei compagni. Sono morti soprattutto di notte e d’estate.

    A volte non subito, gli agenti della penitenziaria hanno provato a rianimarli. Età media sui 40 anni, più stranieri che italiani.Reati dall’omicidio al piccolo spaccio, tanti con dipendenza dalla droga, diversi con sofferenze psichiatriche.

    Ecco gli 88 uomini e donne che si sono tolti la vita nelle carceri italiani dal primo gennaio 2024. Nel 2022 alla fine se ne erano contati 85, due anni dopo si è andati oltre. Non di tutti sono noti nomi e cognomi, della maggior parte i sindacati penitenziari, che a loro volta registrano sette suicidi di agenti in questo anno, hanno diffuso, assieme ad associazioni, garanti e legali, minimi brandelli delle loro storie.

    6 gennaio 2024: Matteo Concetti, 23 anni. Stava male da tempo, soffriva di disturbo bipolare. Era rientrato nel carcere di Ancona perché, svolgendo la pena alternativa lavorando in una pizzeria, aveva sforato sull’orario di rientro a casa. Il 5 gennaio aveva detto alla madre: “Se mi riportano in isolamento, mi ammazzo”

    8 gennaio 2024: Stefano Voltolina, 26 anni, detenuto a Padova, soffriva di depressione. Una volontaria ha affidato il suo ricordo a ‘Ristretti orizzonti’: “Era sveglio, buono, curioso. Abbiamo fallito”
    10 gennaio 2024: Alam Jahangir, 40 anni, originario del Bangladesh, si è impiccato con un pezzo di lenzuolo a Cuneo, pochi giorni dopo il suo ingresso
    12 gennaio 2024: Fabrizio Pullano, 59 anni, si è impiccato nel padiglione di alta sicurezza del carcere di Agrigento
    15 gennaio 2024: Andrea Napolitano, 33 anni. A Poggioreale per l’omicidio della moglie, soffriva di disturbi psichiatrici
    15 gennaio 2024: Mahomoud Ghoulam, 38 anni, marocchino senza fissa dimora, era entrato da poco a Poggioreale
    22 gennaio 2024: Luciano Gilardi, gli mancava un mese alla libertà ma è morto prima da detenuto a Poggioreale
    23 gennaio 2024: Antonio Giuffrida, 57 anni, era in carcere a Verona Montorio per truffa
    24 gennaio 2024: Jeton Bislimi, 34 anni, si è ucciso nel carcere di Castrogno a Teramo: musicista macedone, 34enne, aveva provato ad ammazzare sua moglie. Aveva già tentato il suicidio
    25 gennaio 2024: Ahmed Adel Elsayed, 34 anni, è stato trovato dagli agenti impiccato nel bagno della sua cella a Rossano Calabro. Gli mancava poco per il fine pena
    25 gennaio 2024: Ivano Lucera, 35 anni, si è impiccato nel carcere di Foggia. Soffriva di dipendenze
    28 gennaio 2024: Michele Scarlata, 66 anni, si è ucciso nel carcere di Imperia pochi giorni dopo esserci entrato con l’accusa di avere tentato di uccidere la compagna

     3 febbraio 2024: Alexander Sasha, ucraino di 38 anni, aveva già tentato di tagliarsi la gola prima di impiccarsi a Verona Montorio

    3 febbraio 2024:Carmine S.,  detenuto disabile di 58 anni, si è impiccato nel carcere di Carinola (Caserta).
    8 febbraio 2024: Hawaray Amiso, 28 anni, doveva scontare solo tre mesi a Genova. Invece avrebbe “manomesso la serratura del cancello della cella per ritardare l’intervento degli agenti di custodia” prima di impiccarsi
    10 febbraio 2024: Singh Parwinder, 36 anni, bracciante agricolo, si è ucciso nel bagno del carcere di Latina
    11 febbraio 2024: cittadino albanese, 46 anni, imprenditore. Si è ucciso a Terni. Gli erano state revocate da poco le misure alternative al carcere.
    13 febbraio 2024: Rocco Tammone, 64 anni, era in semlibertà. Rientrato dal lavoro, si è ucciso nel cortile del carcere di Pisa
    14 febbraio 2024: Matteo Lacorte, 49 anni, si è impiccato nel carcere di Lecce nel reparto di massima sicurezza. La Procura indaga per istigazione al suicidio
    26 febbraio 2024: cittadino marocchino, 45 anni, si è impiccato a Prato
    12 marzo 2024: Jordan Tinti, trapper, 27 anni, in carcere a Pavia per rapina aggravata dall’odio razziale. Aveva tentato il suicidio pochi mesi prima
    13 marzo 2024: Andrea Pojioca, senza fissa dimora, 31 anni, ucraino. In carcere a Poggioreale per tentata rapina
    13 marzo 2024: Patrck Guarnieri, è morto il giorno in cui compiva 20 anni per asfissia nel carcere di Teramo. Il pm indaga perché l’autopsia lascia dei dubbi che si sia trattato davvero di suicidio
    14 marzo 2024: Amin Taib, 28 anni, tossicodipendente, si è ucciso nella cella di isolamento a Parma
    21 marzo 2024: Alicia Siposova, 56 anni, slovacca, si è suicidata mentre era in corso una visita del cardinale Matteo Zuppi nel carcere di Bologna.
    24 marzo 2024: Alvaro Fabrizio Nunez Sanchez, 31 anni, attendeva come molti l’ingresso in una Rems da alcuni mesi per gravi sofferenze psichiatriche. Invece si è ucciso nel carcere di Torino
    27 marzo 2024: nigeriano, il nome non si sa, si è impiccato nel carcere di Tempio Pausania dove aspettava di essere processato per reati di droga.

    27 marzo 2024: gli agenti lo hanno trovato appeso al cancello alle sei del mattino. Era da poco rientrato da un ricovero in ospedale, soffriva di disturbi psichici. Italiano, aveva 52 anni.

    1 aprile 2024: Massimiliano Pinna, 32 anni, si è impiccato al secondo giorno di carcere a Cagliari dove era stato portato per un furto
    7 aprile 2024: Karim Abderrahin,  37 anni, si è impiccato in cella a Vibo Valentia
    10 aprile 2024: Ahmed Fathy Ehaddad, 42 anni, egiziano, attendeva l’inizio del processo per un caso di violenza sessuale nel carcere di Pavia
    17 aprile 2024: Nazim Mordjane, 32 anni, palestinese, è morto inalando gas da un fornello da campeggio nel carcere di Como.  Nel settembre dell’anno scorso era evaso ferendo un agente di polizia
    22 aprile 2024: Yu Yang, 36 anni, si è impiccato attaccandosi alla terza branda del letto a castello a Regina Coeli

    4 maggio 2024: Giuseppe Pilade, 33 anni, pativa disturbi psichiatrici e sarebbe dovuto stare in una Rems ma, come per la maggior parte di chi ci dovrebbe stare, non c’era posto per lui e si è tolto la vita nel carcere di Siracusa

    16 maggio 2024: Santo Perez, 25 anni, si è  impiccato nella sezione media sicurezza del carcere di Parma

    23 maggio 2024: Maria Assunta Pulito, 64 anni, si è soffocata con due sacchetti di plastica annodati intorno alla testa e alla gola a Torino. Accusata di violenza sessuale assieme al marito, aveva sempre respinto le accuse

    2 giugno 2014: George Corceovei, 31 anni, ha approfittato che due detenuti uscissero dalla cella che condividevano con lui per impiccarsi a Venezia
    2 giugno 2024:Mustafà, 23 anni, si è impiccato nel carcere di Cagliari ma il suo corpo non ha ceduto subito. E’ morto due giorni dopo in ospedale
    4 giugno 2024: Mohamed Ishaq Jan, pakistano, 31 anni. Da una decina di mesi aspettava di essere processato per lesioni e rapina a Roma Regina Coeli
    11 giugno 2024: Domenico Amato, 56 anni, viene trovato impiccato alla mattina presto nel carcere di Ferrara. Con la sua morte, è stato osservato, lo Stato ha perso due volte perché era un collaboratore di giustizia e perché era nella custodia dello Stato
    13 giugno 2024: A.L.B., italiano di 38 anni, si è tolto la vita nel carcere di Ariano Irpino impiccandosi alle otto della sera
    14 giugno 2024: Alin Vasili, 46 anni, rumeno, si è impiccato nel penitenziario di Biella
    15 giugno 2024: Giuseppe Santolieri, 74 anni, condannato a 18 anni per l’omicidio della moglie, si è ucciso nel carcere di Teramo soffocandosi con una corda. Lo aveva annunciato ai compagni di prigionia: “Non posso più andare avanti”
    15 giugno 2024: un detenuto di 43 anni si è impiccato nel carcere di Sassari con un lenzuolo nel reparto ospedaliero
    21 giugno 2024: Alì, un ragazzo algerino di 20 anni, si è impiccato nel carcere di Novara. “con un cappio rudimentale”, riferisce il sindacato della penitenziaria. Era detenuto per reati di droga

    26 giugno 2024: Francesco Fiandaca di 28 anni che lavorava nella cucina ed era impegnato in diverse attività rieducative, si è impiccato nel carcere ‘Malaspina’ di Caltanissetta
    27 giugno 2024: Luca D’Auria, un ragazzo di 21 anni, già sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, si è ucciso inalando gas nel carcere di Frosinone
    27 giugno 2024: egiziano, 47 anni, era stato condannato per immigrazione clandestina. Si è impiccato con la cintura nel carcere genovese di Marassi.

     1 luglio 2024: Giuseppe Spolzino, un ragazzo di 21 anni si è impiccato nel carcere di Paola. Nel maggio del 2027, a 24 anni, avrebbe potuto ricominciare, uscendo

    2 luglio 2024: un uomo di cui non sono note le generalità si è ucciso nel carcere di Livorno a 35 anni
    4 luglio 2024: Yousef Hamga, 20 anni, egiziano, si è impiccato nella casa circondariale di Pavia
    4 luglio: nel carcere Sollicciano di Firenze si è tolto la vita il ventenne Fedi Ben Sassi. Poco prima di uccidersi, era saltata per mancanza di connessione una sua chiamata alla madre in Tunisia
    7 luglio 2024: Vincenzo Urbisaglia, accusato dell’omicidio della moglie, si è ucciso a 81 anni nel carcere di Potenza. Ai legali era stata negata pochi giorni prima la scarcerazione chiesta per il suo stato psicofisico.
    9 luglio 2024: Fabrizio Mazzaggio, 57 anni, si è impiccato nel bagno della sua cella a Varese. Aveva problemi di tossicodipendenza.

    12 luglio 2024: Fabiano Visentini, 51 anni, si è ucciso a Verona Montorio
    13 luglio 2024: un uomo di 45 si è suicida to a Monza chiudendosi la testa in un sacchetto di plastica nella cella dove stava da solo
    15 luglio 2024: Alessandro Patrizio Girardi, 37 anni, detenuto per spaccio, si è impiccato nella sua cella nella casa circondariale Santa Maria Maggiore a Venezia dove stava per reati legati alla droga
    21 luglio 2024: alla Dozza di Bologna si è tolto la vita Musta Lulzim, 48 anni, albanese. E’ stato trovato impiccato nella sua cella infuocata dall’estate.
    25 luglio 2024: Giuseppe Pietralito, 30 anni, si è ammazzato in cella a Rebibbia dopo avere manomesso la porta per ritardare i soccorsi. Aveva saputo da poco che sarebbe uscito nel 2026, 4 anni prima del previsto perché gli era stata riconosciuta la continuazione dei reati. “Ma non ho un lavoro, nessuno crederà in me” aveva detto ai suoi legali.
    27 luglio: ennesimo suicidio a Prato dove un giovane di 26 anni si è tolto la vita
    28 luglio 2024: Ismael Lebbiati, 27 anni, fine pena previsto nel 2032, si è impiccato nel carcere di Prato dove nelle ore precedenti c’era stata una rivolta.
    30 luglio 2024: Kassab Mohammad si è suicidato a 25 anni nel reparto isolamento del carcere di Rieti dov’era stato portato dopo i disordini del giorno prima.

    3 agosto 2024: un recluso marocchino, 31 anni, senza dimora, si è impiccato nel carcere di Cremona

    5 agosto: nel bagno del Tribunale di Salerno, dopo la convalida del suo arresto, si è ammazzato stringendosi un cappio al collo Luca Di Lascio, arrestato per codice rosso
    5 agosto 2024: a Biella, A.S., albanese, 55 anni, stava facendo lo sciopero della fame perché aveva chiesto di essere trasferito in un carcere più vicino ai suoi familiari. Poi, si è ucciso
    7 agosto: 35 anni, tunisino, si è tolto la vita impiccandosi con un laccio dei pantaloni nel carcere di Prato

    15 agosto 2024: 36 anni, tunisino,  avrebbe finito di scontare la pena per reati legati alla  droga nel 2025. Si è impiccato nella sua cella di isolamento nel carcere di Parma dove era stato trasferito il giorno prima

    29 agosto 2024: Saddiki aveva frequentato un corso da cuoco nel carcere di Reggio Emilia dove cucinando stava mettendo dei soldi da parte per i figli. Era altissimo, quasi due metri, si sarebbe impiccato con una maglietta alle grate della finestra

    2 settembre 2024: Salvatore Borrelli, 62 anni, ex tossicodipendente, non aveva più rapporti con la famiglia. Si è impiccato nella cella della sezione isolamento del carcere di Benevento

    5 settembre 2024: gli piaceva il profumo del pane che aveva imparato a fare nel carcere isolano di Gorgona dove lo infornava. Arrestato un anno prima per reati tributari, sembrava su una strada propizia. Invece V.G. si è tolto la vita a 56 anni, in permesso premio a casa della compagna.

    5 settembre 2024: a Vincenzo Villani, 46 anni, mancavano pochi mesi da scontare. Alle 9 e 20 del mattino si è impiccato nella sua cella al primo piano della casa circondariale di Imperia

    16 settembre 2024: John Ogais, 32 anni, si è tolto la vita nel carcere di Ariano Irpino nonostante fosse sottoposto alla sorveglianza attiva per avere aggredito quattro agenti il giorno prima

    17 settembre 2024: Salvatore Di Vivo, 50 anni, arrestato il 25 agosto per maltrattamenti in famiglia, alle 6 e 45 si è impiccato nella sua cella di Regina Coeli

    4 ottobre 2024: l’ha trovato appeso alle sbarre di una cella un agente penitenziario. Era mattina e K.S, di cui si sa che aveva 24 anni ed era marocchino, l’avevano arrestato due giorni prima e portato al ‘Del Papa’ di Vicenza con l’accusa di stalking.

    7 ottobre 2024: maghrebino, 40 anni, gli mancava anno da scontare. Si è impiccato alle otto della sera a Vigevano

    12 ottobre 2024: alle 5 e mezzo del mattino, l’alba ancora acerba fuori, hanno trovato Pasquale De Mastro, 44 anni, detenuto per droga, strangolato coi lacci delle scarpe nel suo letto a San Vittore

    22 ottobre 2024: Giuseppe Lacarpia aveva ucciso la moglie e con le sue mani ha stretto il nodo per impiccarsi nel carcere di Bari a 65 anni

    28 ottobre 2024: il suicidio di Federico Librere, 57 anni, è arrivato inatteso, nel carcere lo descrivono come un detenuto “tranquillo”. Non è tranquillo il carcere: lui è il quinto a togliersi la vita in meno di un anno alla Dogaia di Prato.

    4 novembre 2024: Vincenzo Bellafesta si stava liberando da uomo libero dalla droga ma per una sentenza di condanna dovuta a cumulo di pene per antichi furti e ricettazioni era tornato in cella a Santa Maria Capua Vetere. Di notte ha allungato un lenzuolo e se l’è stretto forte al collo.

    5 novembre 2024: gli sarebbe bastato ‘scavallare’ l’anno perché a febbraio lo aspettava la libertà. Invece T.M,. marocchino, 41 anni, ha preso una cinghia, ha chiuso dietro di sé la porta della cella nel carcere di Venezia e tutto il resto che poteva venire.

    15 novembre 2024: Ben Mahmoud Moussa, tunisino, 28 anni, prima di entrare a Marassi faceva il pizzaiolo ed era in cura per un disagio psichiatrico. Pochi giorni dopo esserci entrato si è impiccato. Non c’è stato tempo per la perizia psichiatrica chiesta dal suo legale.

    21 novembre 2024: Benito Viscovo, 28 anni, è il quarto nell’anno a suicidarsi a Poggioreale. Impiccato con un lenzuolo. L’Ordine dei medici di Napoli parla di “mortificazione della vita umana” per le condizioni dei detenuti in questo carcere decadente che scoppia di persone

    27 novembre 2024: “Occhi azzurri e il volto pulito”. La garante dei detenuti, Irma Testa, lo aveva incontrato pensieroso su una sedia, davanti alla finestra della cella a Cagliari pochi giorni prima del suicidio. Aspettava il nulla osta per andare in comunità. G.O. ha donato i suoi giovani organi, da tempo aveva lasciato scritto che avrebbe voluto finisse e iniziasse così

    28 novembre 2024: Il cuore di Luca Zampini, 46 anni, ha smesso di battere 16 giorni in più di quanto avrebbe voluto. Ha atteso in ospedale dopo essersi  impiccato nella cella di La Spezia. Avrebbe dovuto essere processato per resistenza e minaccia a pubblico ufficiale.

    6 dicembre 2024: “Aveva un sorriso triste e la morte negli occhi” ha detto il suo avvocato. Roberto Radion aveva tentato più volte di uccidersi e nemmeno l’ultima volta sembrava avercela fatta. E’ sopravvissuto per sei ore dopo essersi impiccato nel carcere di Montorio e infine ce l’ha fatta, chiudendo gli occhi a 24 anni.

    16 dicembre 2024: Qualche giorno prima uno dei suoi compagni si era dato fuoco ed era stato salvato dagli agenti di Alessandria. Sempre loro avevano tenuto in vita Luca Lunardi dopo il tentativo di impiccarsi nel reparto ‘transiti’, dove i reclusi sono di  passaggio. Il suo ultimo è stato in ospedale, dove è morto.

    17 dicembre 2024: a mezzanotte, gli agenti che avevano appena cominciato il turno lo hanno trovato appeso alla finestra della cella del carcere di Viterbo. Il suo compagno di cella dormiva. Aveva 23 anni e il suo nome non è stato comunicato.

     

    E se credete ora/che tutto sia come prima/Perché avete votato ancora/la sicurezza, la disciplina/Convinti di allontanare/ la paura di cambiare/Verremo ancora alle vostre porte/E grideremo sempre più forte/Per quanto vi crediate assolti/Siete per sempre coinvolti/Per quanto vi crediate assolti/Siete per sempre coinvolti/

    p.s. tra le fonti di questo articolo ci sono comunicati della polizia penitenziaria, Ristretti Orizzonti, agenzie di stampa, testate nazionali e locali. grazie a tutti loro per avere dato dignità a queste morti, un compito che dovrebbe appartenere a uno Stato civile.

     

  • Ilaria Salis libera ma da Ungheria carota e bastone

    L’Ungheria libera Ilaria Salis mentre si appresta a chiedere al parlamento europeo la revoca dell’ immunità acquisita con le elezioni del 9 giugno scorso. Insomma da Budapest praticano la politica del bastone e della carota.

    Ieri mattina la polizia è andata nella casa che dal 23 maggio ospita Ilaria Salis agli arresti domiciliari togliendo la caviglierà elettronica che serviva per controllarla ed evitare che non scappasse. Questa è la conseguenza della decisione del Tribunale che ha accolto l’istanza presentata dall’avvicato Giorgy Magiar subito dopo l’elezione al Parlamento di Strasburgo che però sarà proclamata ufficialmente solo il prossimo 16 luglio.

    Le autorità ungheresi hanno deciso di giocare d’anticipo liberando l’insegnante di Monza che lunedì compirà 40 anni e che festeggerà qui dopo che il padre e l’intera famiglia avevano già comprato i biglietti per raggiungerla a Budapest in occasione del compleanno.

    Ilaria infatti è completamente libera e torna. Ma la battaglia come precisano i suoi difensori italiani Eugenio Losco e Mauro Straini non è finita. Toccherà al Parlamento europeo decidere sulla richiesta ungherese di revoca della immunità. Impossibile prevedere adesso se il processo continuerà o se riprenderà soltanto alla fine del mandato.

    Ilaria Salis era stata arrestata il 23 febbraio dell’anno scorso con l’accusa di aver aggredito e picchiato un paio di partecipanti alla manifestazione “dell’onore” organizzata da gruppi neonazisti. Provocando ferite guaribili tra i 5 e gli 8 giorni ma che nel capo di imputazione diventavano “potenzialmente letali” fino a far ipotizzare una condanna a 24 anni di reclusione o a un patteggiamento a 11 anni.

    A novembre dell’anno scorso la notizia della carcerazione di Ilaria in condizioni terribili cominciava a filtrare sui giornali. Ma il caso scoppiava clamorosamente solo in occasione dell’udienza del 28 marzo scorso quando le telecamere del Tg3 riprendevano l’imputata in manette, ceppi catene e al guinzaglio delle guardie. Fino ad allora il governo italiano a conoscenza di tutto non aveva mosso un dito. Le immagini cambiarono il quadro fino alla decisione degli arresti domiciliari con la caviglierà finiti ieri mattina.

    Il padre Roberto Salis dice: “Vado a prenderla e me la porto a casa io. Sono molto contento sto cercando di organizzare il rientro il prima possibile. Ho lavorato in sordina ma non ci aspettavamo che venisse liberata già oggi. Mi ha chiamato l’avvocato Magiar per dirmi che la polizia stava andando a liberarla”.

    Secondo i dirigenti del gruppo Sinistra e Verdi “la liberazione è una sconfitta di Orban e dei leader repressivi di estrema destra. È una vittoria significativa per la giustizia”.

    L’Ungheria fa sapere che combatterà ancora per farla condannare. Aiutata evidentemente in Italia da chi tira fuori vecchie storie di occupazioni abusive di case per le quali come sottolineano gli avvocati non ci sono mai stati provvedimenti formali.
    (frank cimini)

  • Rubare gli avvocati è molto pericoloso

    Ci sono ladri cattivelli, quelli che puntano al colpo sicuro, mettendo in conto la violenza. La vecchietta indifesa per strada, il coltello per minacciare.

    Ladri che puntano alto. Il quadro al museo, l’operazione pianificata nei dettagli, il fascino criminale di Lupin.

    Poi ci sono i ladri che sfidano l’abisso, cacciandosi nei guai a tutti i costi, per inseguire il sogno di un televisore 4k, di una vacanza di lusso in Polinesia. Come lei, I., 54 anni, che tra tutti i posti in cui poteva mettersi a rubare ha deciso di puntare all’unica categoria con cui i guai sono sicuri: gli avvocati.

    Si faceva assumere come segretaria. Si presentava benissimo. Seria, sorridente.

    Con l’avvocato Francesco Molfese, studio in viale Montenero, secondo la procura ha giocato un po’ sporco, approfittando dell’età e della salute. Ad agosto 2022 gli ha preso la carta di credito, ha falsificato una delega e si è presentata in banca per effettuare tre bonifici con causali finte. Due a se stessa, uno al compagno. Totale 15.450 euro. Poi ha usato quella stessa carta per fare acquisti: Unieuro, Rinascente, Micheal Kors, Coin, profumeria Mazzolari in Galleria Vittorio Emanuele. Agosto 2021. Fanno altri 8900 euro.

    All’avvocato Alessandro Limatola sottrae due bancomat e si impossessa di 6mila euro in pochissimi giorni di prelievi seriali. Passarla liscia era davvero una missione impossibile, una sfida al destino: uno dei bancomat era collegato al conto di una Fondazione di studi economici e giuridici. Settembre 2022.

    Anche con l’avvocato Alessandro Orsenigo, operazione bancomat: mille euro.

    Nello studio dell’avvocato Lorenza Biglia, in via Lanzone, si presenta invece per un colloquio. Ma l’attesa è sfibrante, così la donna esplora lo studio e scova la borsa incustodita dell’avvocatessa Rossana Spagnolli. Intanto si intasca i 250 euro in contanti, poi col bancomat spende 48 euro in tabaccheria.

    A dicembre 2022, tre prelievi con la tessera dell’avvocato Massimo Bonacina. Fanno 1250 euro.

    Dallo studio dell’avvocato Claudio Acampora prende la carta di credito “eludendo la sorveglianza” direttamente dal cassetto della scrivania del titolare. Le marche da bollo sottratte sono un di piu. Coi prelievi arriva a 4850 euro in due giorni (gli avvocati non hanno il limite quotidiano di 500 o 1000 euro come gli umili redattori di questo blog).

    Alla fine, di un avvocato ha avuto bisogno lei. Prima il carcere, a San Vittore, poi l’immediato disposto dalla giudice Lorenza Pasquinelli, infine ieri la condanna davanti alla quarta monocratica. Il pm aveva chiesto sei anni, il giudice gliene ha dati quattro. La morale però è anche che evidentemente gli avvocati milanesi non si parlano abbastanza tra loro. E come sempre noi siamo qui per aiutare.
    (N.d.r)

  • In Cassazione Davigo gioca la carta Coppi

    In Cassazione il professor Franco Coppi considerato il più importante penalista italiano affiancherà Davide Steccanella con l’obiettivo di ribaltare la condanna di primo grado confermata in appello a un anno e tre mesi comminata a Piercamillo Davigo in relazione alla consegna al pm Paolo Storari dei verbi di Piero Amara.
    Nel ricorso alla Suprema Corte i difensori dell’ex pm di Mani Pite ed ex membro del Csm fanno osservare che il loro assistito è stato condannato per concorso nel reato con un imputato Storari assolto in via definitiva dalla stessa imputazione.
    Inoltre sempre nel ricorso si fa notare in via subordinata che la procura avrebbe al limite dovuto modificare l’accusa a Davigo contestando la norma che punisce il concorrente che trae in inganno l’altro in buona fede e quindi incolpevole. Ma si tratta all’evidenza di un fatto diverso da quello per il quale Davigo è stato condannato.
    La procura avrebbe dovuto mutare l’imputazione ma non l’ha fatto è la tesi dei difensori.
    Gli avvocati fanno osservare che a conclusione di una vicenda giudiziaria che ha interessato quattro procure con diversi imputati che ebbero a che fare con i verbali di Amara l’unico condannato è stato Davigo.
    (frank cimini)

  • Sala porta Barbacetto in tribunale per i post critici sull’urbanistica

     

    Su proposta del sindaco Giuseppe Sala, la Giunta di Milano ha votato all’unanimità una delibera per chiedere un risarcimento danni al giornalista Gianni Barbacetto davanti al tribunale civile. Già fa abbastanza impressione immaginare che un’amministrazione intera con voto unanime si dedichi a perseguire un singolo cronista per averla denigrata.

    Il secondo aspetto importante è che siamo davanti a un’iniziativa di quelle che si prendono quando si vuole fare molto male: non una querela per diffamazione depositata in Procura ma direttamente una richiesta di risarcimento per i danni subiti. Ma quello davvero preoccupante è che Barbacetto venga portato a giudizio non per gli articoli pubblicati sul ‘Fatto Quotidiano’ ma per commenti su Facebook, su X e sul suo blog postati a marzo, aprile e maggio di quest’anno. Tutti contenenti dichiarazioni critiche rispetto alle politiche urbanistiche portate avanti dalla giunta Sala che hanno attirato anche l’attenzione, a torto o a ragione lo vedremo, della magistratura ma anche di tanti cittadini riuniti in comitati. Tutti che si richiamano nei contenuti agli articoli che scrive sul suo giornale. L’impressione è dunque che l’amministrazione voglia colpire ‘duro’ perché Barbacetto non godrebbe della copertura economica che gli garantirebbe il giornale a meno che il direttore Marco Travaglio non decida, com’è probabile, di battersi a fianco di uno dei suoi giornalisti più rappresentativi.

    “Da oggi sospendo ogni attività social – è stata la reazione  -. Mi è arrivata notizia dal ‘Giornale’  che la giunta di Milano ha deliberato di portarmi in tribunale, suppongo per le critiche al sindaco e le informazioni sull’atività del Comune in campo urbanistico, oggetto di inchieste della Procura. Tutto quello che posto suo social passa prima dal mio giornale che però non è stato querelato. Io da solo sono più debole”.

    Noi da piccolo blog, che ha subito un’azione simile in passato uscendone vincitore, esprimiamo la nostra vicinanza al collega.  Della storia di Davide e Golia ci piace solo il finale ed è quello che gli auguriamo.

    (manuela d’alessandro e frank cimini)

  • L’Ad di Trenord denuncia il pendolare imbufalito
    Ma perde fino in Cassazione e paga le spese

    Amministratorone delegato contro umile pendolare di Saronno. Talvolta vince il secondo. Lo avevamo raccontato quiCerto accanirsi fin davanti agli Ermellini e perdere, beh.


    Riassumiamo. Un pendolare inferocito per ritardi e rimborsi latitanti, Marco Malatesta, si sfoga sulla pagina Facebook “Pendolari Trenord“. Prende di mira l’Ad e, a corredo della di lui foto, gli rivolge un commento sopra le righe e non privo di amarissima ironia. “Questa è la bella faccia di Marco Piuri, amministratore delegato di Trenord che non restituisce i rimborsi degli abbonamenti annuali (…) io di voglia di sputare in faccia a uno che da diversi mesi si tiene i miei soldi ingiustamente ne ho tanta, forse lo sa e porta gli occhiali per questo”.

    Piuri denuncia per diffamazione aggravata, in qualità di Ad ma anche di persona fisica. Il Tribunale condanna Malatesta. La Corte d’appello invece ribalta il verdetto e assolve. Diritto di critica legittimo, in un contesto, per altro, di “esasperazione di persone costrette a compilare moduli su moduli, inviare raccomandate, con ulteriori esborsi, senza ottenere nulla”. Fatto dunque “veridico”, oltre che di interesse pubblico, atteso che la vicenda interessava “pressoché tutti gli utenti di Trenord ed era molto sentita in quel particolare momento”.
    La corte milanese, in motivazione, aggiunge una stilettata al querelante. “Risulterebbe, del resto, molto arduo ipotizzare la liquidazione di un risarcimento a favore dell’amministratore delegato di Trenord ed ancora di più della stessa Trenord, per i fatti in esame, che non meritavano di pervenire all’attenzione del Tribunale”. Come dire: anche meno, potevate pure evitare di ingolfare la giustizia con questa roba, ché già il mondo è difficile.

    Piuri però non segue il suggerimento e va avanti, ci tiene che il pendolare saronnese sia punito per la sua impudenza, e impugna in Cassazione. Che ieri – quinta sezione – si è espressa con questo dispositivo: “Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali”. Per il pendolare Malatesta, patrocinato da Roberto Dissegna, un sollievo gigantesco (rischiava che lo scherzetto gli costasse in totale sui 15mila euro). E chissà se poi i treni per portare gli avvocati verso la capitale sono stati puntuali.

    (NdR)

  • Emergenza infinita processo a Curcio Moretti 50 anni dopo

    L’udienza preliminare è fissata per il prossimo 24 settembre.La procura della Repubblica di Torino chiede di processare Renato Curcio, Mario Moretti, Lauro Azzolini e Pierluigi Zuffada per l’omicidio del carabiniere Giovanni D’Alfonso in relazione alla sparatoria alla Cascina Spiotta nell’Alessandrino dove il 5 giugno del 1975 fu uccisa anche Margherita Cagol. La procura utilizza intercettazioni eseguite prima che l’indagine venisse formalmente riaperta dopo il proscioglimento di Azzolini senza che si potesse leggere e riesaminare il vecchio fascicolo perché scomparso causa alluvione.
    È la classica storia da emergenza infinita, una “malattia” dei magistrati che ne hanno fatto una ragione di vita e di conseguenza di morte per gli altri.
    Margherita Cagol venne colpita dal fuoco degli operanti nel corso del blitz che portò alla liberazione dell’imprenditore Vallarino Gancia. La donna sul prato antistante la cascina era ormai disarmata. Ma nocn è dato satpere negli atti depositati e relativi alle indagini condotte dalla procura di Alessandria se vi fu o meno una formale imputazione a carico dei militari per la morte di Margherita che fin da subito venne fatta sbrigativamente passare come giustificata dal conflitto a fuoco. L’ex carabiniere Giovanni Villani arrivato sul luogo a sparatoria avvenuta sentito l’anno scorso nell’ambito della nuova inchiesta disse che la versione ufficiale non lo aveva mai del tutto convinto.
    Anche Renato Curcio interrogato come indagato si rivolse ai pm affermando di aspettarsi indagini sulla morte della moglie. I magistrati risposero che si stavano attivando in quella direzione. Parole al vento evidentemente.
    L’avvocato Davide Steccanella difensore di Azzolini nelle sue contro deduzioni inviate al gup che dovrà decidere sul rinvio a giudizio afferma che la lettura delle carte dell’accusa “lascia piuttosto perplessi”.
    Curcio e Moretti fa notare la difesa sono chiamati in causa per il ruolo di dirigenti delle Brigate Rosse ricoperto all’epoca, un fatto storico è noto da almeno 40 anni e sulla base di un documento reperito ancora nel 1975 e pacificamente realizzato dopo il fatto di Cascina Spiotta. Zuffada è accusato per un concorso che dovrebbe essere ritenuto anomalo e pertanto prescritto. Azzolini è imputato di aver partecipato alla sparatoria ma dagli atti non emerge prova. Fu già processato e prosciolto per il medesimo fatto nel 1987. Poi c’è stata per due anni e mezzo una indagine segreta nei suoi confronti che ha rivelato, scrive Steccanella, una serie di iniziative assunte dagli inquirenti in aperto contrasto con quanto previsto dal codice di rito.
    Con una serie di eccezioni procedurali il difensore chiede la nullità dell’ordinanza di revoca del proscioglimento, la nullità del primo decreto autorizzativo delle indagini per insussistenza dei presupposti di legge e di conseguenza di tutte le proroghe successive. La richiesta di nullità riguarda anche gli accertamenti tecnici irripetibili disposti dalla procura nel settembre 2022 per mancato avviso alla parte interessata dell’inizio lavori. Oltre all’inutilizzabilita’ degli esiti del Ris. Sono inutilizzabili per la difesa tutte le intercettazioni ambientali perché mezzo di ricerca della priva introdotto con il codice del 1989 e non applicabile in un procedimento iniziato con il codice del 1930.
    (frank cimini)

  • Milano Cortina non è Expo si indaga senza moratorie pare

    Ci sarebbe anche il presunto tentativo di pilotare il televoto per la scelta del logo Milano-Cortina 2026 nell’indagine della procura di Milano in cui si ipotizzano corruzione e turbativa d’asta in merito agli appalti dei servizi di digitalizzazione per l’evento. Massimo Zuco ex dirigente della Findazione indagato con l’ex amministratore delegato Vincenzo Novari, con Luca Tomassini rappresentante di Vetrya avrebbe insistito affinché uno dei loghi relativi all’evento oggetto del televoto pubblico avesse la meglio sull’altro.

    Gli ex dirigenti sarebbero stati corrotti con denaro e altre utilità come una Smart per compiere atti contrari al dovere d’ufficio e favorire l’affidamento delle gare relative al cosiddetto ecosistema digitale di fondazione Milano.

    Dal decreto di perquisizione emerge che Luca Tomassini avrebbe sponsorizzato il manager Zuco per fargli ottenere un posto dentro la Fondazione, Almeno per il momento sembra escluso il coinvolgimento di politici che insegna la storia recente non sono indispensabili per certi “magheggi”. La differenza rispetto all’evento Expo 2015 è cge la procura indaga e non omaggia il sistema paese “per senso di responsabilità” come ebbe a dire Renzi ringraziando i pm di allora.
    Insomma i tempi cambiano. Del resto il sindaco Sala ha avuto già modo di lamentarsi per le indagini sulle violazioni urbanistiche dimostrando di non averle gradite. Lui che si tempi di Expo per l’affare Farinetti venne prosciolto senza neanche essere interrogsto. E per questo riuscì a essere candidato a sindaco vincendo la campagna elettorale per il primo mandato.
    (frank cimini)

  • Dal governo ora pure “suggerimenti” dannosi a Ilaria Salis

    Non bastava che il governo italiano a conoscenza del caso Salis fin dal giorno dell’arresto si muovesse per trovare una soluzione solo dopo le immagini del Tg3 con ceppi manette e guinzaglio. No, adesso al danno cercano di aggiungere la beffa, i ministeri della Giustizia e dell’Interno “suggerendo” all’insegnante di Monza l’iscrizione tra gli italiani residenti all’estero al fine di poter più agevolmente vedere rispettato il suo diritto di votare alle elezioni europee.
    Giustamente Roberto Salis, il padre della ragazza definisce la proposta assolutamente fuori luogo perché come conseguenza si perderebbe il diritto di poter avere gli arresti domiciliari in Italia invece che a Budapest.
    L’ingegner Salis inoltre risponde al ministro Antonio Tajani chiedendo di sapere quali sarebbero i meriti vantati per la soluzione del caso. “La decisione di presentare ricorso contro la negazione dei domiciliari è stata unicamente della famiglia, ne’ suggerita o caldeggiata da nessuna istituzione” sono le parole del padre della ragazza.
    Tajani replica di non voler rispondere alle polemiche accusando come sempre chi a suo dire avrebbe politicizzato il caso. Non c’era in realtà nulla da politicizzare in una vicenda assolutamente ed è esclusivamente politica fin dall’inizio.
    Parlando di cose concrete prima del 24 maggio, data della prossima udienza, la famiglia Salis verserà i 40mila euro della cauzione in modo che l’imputata possa essere trasferita nella casa di una privata cittadina disposta ad ospitarla. Ilaria Salis avrà’ il braccialetto elettronico in modo da poter essere controllata.
    In udienza la ragazza in carcere dal 23 febbraio dell’anno scorso non sarà più incatenata e ammanettata per ascoltare nell’occasione i testimoni dell’accusa. Si tratta dei militanti neonazisti che lei avrebbe aggredito provocando ferite guaribili tra i 5 gli 8 giorni e che nel capo di imputazione sono diventate “letali” al punto da far ipotizzare una condanna a 24 anni di reclusione, 11 anni in caso di patteggiamento.
    (frank cimini)

  • Viola confermato capo pm, la grande sconfitta di Md

    Il Consiglio di Stato ha confermato in via definitiva Marcello Viola come capo della procura di Milano rigettando il ricorso di Maurizio Romanelli ex aggiunto nel capoluogo lombardo e da poco nominato a capo dei pm di Bergamo. La decisione conforme a quella che aveva preso il Tar chiude una lunghissima vicenda di lotta tra le correnti dell’Associazione nazionale magistrati che aveva fatto registrare anche roventi polemiche.

    Il Consiglio di Stato la rilevato come correttamente il Csm avesse riconosciuto la maggiore rilevanza delle funzioni direttive svolte da Viola, considerando “di minore rilievo l’esperienza semidirettiva svolta da Romanelli presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo in ragione della sua durata di poco superiore al biennio, della sua mancata sottoposizione al vaglio della procedura quadriennale di conferma e delle modalità del suo conferimento”.
    Inoltre l’incarico semidirettivo di procuratore aggiunto pur se svolto da Romanelli nell’ufficio messo a concorso non fosse di per se idoneo a superare le esperienze dirette vantate da Viola.

    La delibera del Csm di due anni fa “va condivisa perché la stessa illustra in dettaglio le ragioni della prevalenza di Viola sotto i profili del lavoro giudiziario, organizzativo, delle esperienze di rilievo ordinamebtale e di quelle in ambito formativo”.

    Maurizio Romanelli era sostenuto dalla corrente di Magistratura Democratica, la stessa di cui avevano fatto parte i due ultimi capi della procura milanese Francesco Greco e Edmondo Bruti Liberati. C’era bisogno di una inversione di rotta anche a livello politico che portava tra l’altro a interrompere dopo decenni la prassi di un procuratore capo proveniente sempre dal palazzo di giustizia di Milano.

    Secondo il Consiglio di Stato “nessuna delle censure dell’appello te si mostra suscettibile di positivo apprezzamento, non riuscendo le stesse e inficiare la legittimità della procedura per cui è causa e del suo esito favorevole a Marcello Viola”.

    La prevalenza di Marcello Viola ex pg a Firenze è stata considerata netta. Magistratura Democratica che riteneva la procura di Milano una sorta di suo feudo è stata la grande sconfitta di una lunga tenzone. E va ricordato che i periodi legati alla direzione di Bruti Liberati prima e Greco poi erano stati caratterizzati da molte polemiche. Lo scontro tra Bruti e l’allora aggiunto Alfredo Robledo. Infine la spaccatura dell’ufficio inquirenti in relazione al caso Eni-Nigeria con le divergenze (eufemismo) tra Paolo Storari e Fabio De Pasquale sfociate poi nel processo di Brescia dove i due in aula se ne sono dette di tutti i colori.
    (frank cimini)

  • Israele “dimentica” le torture citate dai giudici italiani

    Le autorità israeliane rinunciano almeno per il momento a ottenere la consegna di Yaeesh Anan accusato di terrorismo e spiegano di farlo perché il giovane palestinese è indagato in Italia per gli stessi fatti e si trova tuttora in carcere. Nella motivazione della loro iniziativa di cui ha preso atto la corte di appello dell’Aquila non c’è il minimo accenno a un particolare fondamentale.
    I giudici italiani nel negare l’estradizione chiesta allora da Israele avevano indicato tra i motivi del rigetto le ricorrenti torture alle quali sono sottoposti i palestinesi in Israele.
    Per cui spiegava la corte di appello Anan una volta estradato avrebbe corso seri rischi per la propria incolumità.
    “Israele ha dimenticato di menzionare la circostanza ostativa delle torture praticate nelle sue carceri contro i palestinesi. La cui ricorrenza aveva indotto la corte di appello a dichiarare Anan non estradabile – dice l’avvocato Flavio Rossi Albertini – Ma si sa che l’unica democrazia in medioriente soffre di amnesia selettiva“.
    “Alla luce dell’esistenza di indagini italiane in corso le autorità israeliane desiderano – si legge nella comunicazione inviata – in questa fase di ritirare la domanda di estradizione e si riservano il diritto di ripresentarla in una fase successiva nel caso scelgano di farlo. Vorremmo ringraziare le autorità italiane per il loro impegno e assistenza in questo caso e ribadiamo la nostra disponibilità a una continua collaborazione tra i due paesi”.
    Insomma Israele fa finta di niente rispetto al fatto che un paese amico dica esplicitamente che da quelle parti in mediooriente i detenuti vengono torturati per cui non si fida di consegnare persone accusate di terrorismo.
    Va ricordato che Anan e altri due palestinesi sono stati arrestati in riferimento ai loro comportamenti sul web e sospettati di essere in procinto di compiere attentati. Ipotesi ovviamente tutta da dimostrare. Ma intanto stanno in carcere. Yaeesh Anan ha perso la libertà ma nel caso fosse stato estradato in Israele avrebbe rischiato di perdere molto di più. Questo è stato detto con il timbro di una corte di appello del nostro paese. Non è poco. Anzi.
    (frank cimini)

  • Sul 41bis di Cospito giustizia in corto circuito

    Sul 41bis di Alfredo Cospito confermato dalla Cassazione che ha respinto il ricorso del difensore la giustizia riesce ad andare in corto circuito con una motivazione che risulta il massimo della contraddittorietà. I supremi giudici da una lato citano le parole della procura nazionale antimafia e antiterrorusmo secondo cui Cospito pur da detenuto “continuava a compiere condotte apologetiche della violenza anarchica”.
    Dall’altro lato viene letteralmente bocciato il parere della stessa Dna che dava atto di una ridotta pericolosità dell’anarchico e concludeva per sostituire il regime del 41bis con quello dell’alta sorveglianza un gradino appena più sotto mantenendo la censura sulla corrispondenza.
    Secondo la Cassazione il parere della Dna “seppure particolarmente autorevole non costituisce un ‘fatto nuovo’ ma piuttosto una valutazione di carattere meramente giuridico come tale non decisiva ai fini della revoca anticipata del regime carcerario di cui si tratta”.
    Insomma la Cassazione gira e rigira la frittata affinché Alfredo Cospito sia seppellito vivo. Nemmeno le sentenze che avevano dichiarato insussistente l’associazione sovversiva nei procedimenti “Bialystock” e “Sibilla” non influiscono in alcun modo sulla “operatività della Federazione Anarchica Informale”.
    Per la Suprema Corte non c’è stata nessuna violazione di legge perché la motivazione del Tribunale di Sorveglianza di Roma non risulta mancante avendo dato risposta a tutte le argomentazioni contenute nella richiesta di revoca anticipata.
    Il ricorso viene così dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato a pagare le spese processuali e 3000 euro in favore della cassa delle ammende.
    La Cassazione spiega la sua decisione facendo riferimento al ruolo di Alfredo Cospito “descritto come figura di vertice del movimento anarchico insurreziinalista Fai-FRI “ancora attivo e pericoloso”.
    Gli eventi prospettati dalla difesa di Cospito per la Cassazione “erano già stati valutati in sede di ricorso avverso il decreto genetico del regime speciale oppure non potevano considerarsi nuovi e come tali indicativi del venir meno delle condizioni poste a fondamento di detto provvedimento prima della sua scadenza naturale”.
    La realtà è che Cospito viene considerato ancora più pericoloso dopo il lunghissimo sciopero della fame che ne avrebbe aumentato il carisma nell’ambito dei movimenti anarchici. Insomma siamo alla creazione di una sorta di nuovo reato, “il digiuno a scopo di terrorismo”. Per cui reclami e ricorsi non servono. La continuazione dell’ apologia della violenza anarchica serve a confermare il regime del 41bis tradendolo e travisandolo nello spirito e nella lettera perché il regime speciale dovrebbe (condizionale d’obbligo) servire esclusivamebte a impedire contatti con le organizzazioni esterne. L’apologia insomna è un alibi perché non sanno che pesci pigliare.
    (frank cimini)

  • Processo politico Cospito condanna confermata 23 anni

    La Cassazione ha confermato le condanne di Alfredo Cospito a 23 anni di reclusione di Anna Beniamino a 17 anni e 9 mesi come aveva sollecitato il procuratore generale Perla Lori spiegando che la sentenza della corte di assise di appello di Torino aveva ben interpretato i fatti ed era corretta. La Suprema Corte ha rigettato sia il ricorso della procura generale di Torino tendente a ottenere la celebrazione di un nuovo processo di appello per aumentare le pene ai due anarchici sia quello delle difese che avevano presentato eccezioni di incostituzionalità. Anche le difese puntavano a celebrare un altro appello per ottenere riduzioni di pena.

    Si chiude così la vicenda dei pacchi bomba di Fossano del 2006 nei pressi della scuola carabinieri che non provocarono morti e nemmeno feriti. La procura generale di Torino si era battuta per l’ergastolo a Cospito e per una condanna a 27 anni per Beniamino spiegando che solo per un caso non c’erano state vittime.

    Cospito è detenuto nel carcere di Sassari Bancali sottoposto al regime del 41bis ed era stato protagonista di un lungo sciopero della fame proprio perché protestare contro il carcere duro. Anna Beniamino reclusa a Rebibbia aveva interrotto invece il digiuno per ragioni di salute.

    Durante l’udienza in Cassazione c’era stato un presidio degli anarchici in solidarietà con Cospito e Beniamino. Su uno striscione la scritta “Fuori Alfredo dal 41bis” e su un altro “Con Alfredo Cospito per la solidarietà internazionale”. La notte precedente tre cassonetti venivano messi in mezzo alla strada in zona Tuscolano e dati alle fiamme con tentativi di appiccare il fuoco a un postamat e di sfondare la entrata di una banca. Sui muri sono state trovate scritte legate ad ambienti anarchici. Gli inquirenti seguono la pista delle proteste contro il 41bis che si svolgono spesso in coincidenza delle scadenze processuali di Cospito.

    Nei giorni scorsi a Torino erano state emesse diverse misure cautelari tra arresti domiciliari e obblighi di dimora e di firma in relazione agli incidenti del 4 marzo 2023 durante una manifestazione di solidarietà con Cospito.

    Cospito aveva di recente dal tribunale di sorveglianza ottenuto la possibilità di disporre di un Cd per ascoltare musica nel carcere di Sassari ma non ne dispone ancora perché i vertici della prigione sostengono di non riuscire a reperire un lettore di Cd. I suoi avvocati inoltre hanno presentato reclamo contro il trattenimento di alcune missive dirette all’anarchico per decisione prese a Sassari e dalla corte di asse di appello di Torino.
    Insomma alla vigilia del 25 aprile trionfa il fascismo dell’epoca moderna con la tortura del 41bis. Ora c’è pure il timbro della Cassazione.
    (frank cimini)

  • Perché non è giusto scrivere i nomi degli agenti del Beccaria


     

    C’è un ragazzo che chiede un accendino. L’agente risponde “Ma perché mi rompi i coglioni?”, gli tira un pugno in un occhio e poi arrivano altri con la divisa. In quattro lo buttano a terra, calci e pugni. Il ragazzo piange, sanguina dalla bocca. C’è n’è un altro che gli resta sulla nuca l’impronta della punta di uno stivale mentre il sangue gli cola dal labbro. Gli agenti si fermano solo perché arriva la direttrice che ordina di sfilargli le manette. Le manette in un carcere si dovrebbero vedere solo in casi eccezionali. Nell’inchiesta sul carcere Beccaria vengono evocate spesso: le manette sulle mani dietro  la schiena dei giovani detenuti, nudi, gettati al suolo, legati a un tavolo.

    “I nomi e cognomi di questi 13 poliziotti penitenziari arrestati andrebbero elencati uno per uno” dice qualcuno, con gli occhi sulle carte e un sincero sbigottimento nella sala stampa del tribunale. Molti dei venticinque indagati hanno tra i trenta e i quarant’anni, sono persone che per lavoro si sono trasferite a Milano. Quando hanno messo per la prima volta la divisa profumata di fresco e sono entrati al Beccaria pensavano di diventare dei crudeli fustigatori di ragazzini? In conferenza stampa viene spiegato che la percezione di alcuni degli indagati era che fosse normale reagire alle ‘vivacità’ dei giovani con “uno schiaffo educativo” che poi nella realtà descritta nell’ordinanza sarebbero state delle torture. E’ importante rispondere alla domanda sulle ambizioni di questi uomini e una donna quando hanno iniziato a lavorare al Beccaria. Non crediamo che  la metà degli agenti in servizio  siano entrati in un carcere minorile per fare quello di cui sono accusati.  Nell’ultimo report del garante dei detenuti Francesco Maisto affiorava l’immagine dei ragazzi in isolamento che pranzavano coi piatti sulle ginocchia perché il refettorio non funzionava e nelle celle non c’erano nei tavolini. Si spiegava anche che molti di questi ragazzi in teoria sarebbero destinati alle comunità che però non li prendono perché non hanno posto o sono casi molto problematici o sono minori non accompagnati. Com’è stato possibile che per due anni il Beccaria sia diventato un ring di continui combattimenti, col sangue versato in terra (“E’ normale al Beccaria essere picchiati” afferma  un ragazzo intercettato), stanze riservati ai pestaggi, urla di dolore, reclusi che si aggiravano con lividi ed ematoni per i corridoi? Oltre ai ‘soldati semplici’ c’è un solo indagato, per falso, ed è una persona che per un periodo ha comandato la polizia penitenziaria. Può essere anzi è probabile che l’inchiesta non sia finita qui.

    “Ci andrei cauto a sostenere che ci fosse un’organizzazione” afferma intanto il procuratore Viola. In effetti non viene contestata un’associazione a delinquere. Esiste però un mondo oltre la giustizia penale ed è il carcere dei 32 suicidi di detenuti, quattro di agenti, degli omicidi in cella e della sofferenza senza numero di questo inizio 2024. Della mancanza di personale, di agenti che devono fare le guardie, gli psicologi e gli educatori perché sono pochi gli psicologi e gli educatori, di agenti che non hanno una formazione adeguata nemmeno per fare gli agenti.

    Esistono delle responsabilità politiche maturate almeno negli ultimi 20 anni chiare, precise e concordanti. Il buio oltre le sbarre, il buio senza ritorno. Ecco perché no, l’elenco di nomi e cognomi degli agenti non va fatto se prima non vengono fatti a caratteri cubitali quelli di chi ha amministrato la giustizia da 20 anni. Se gli agenti saranno giudicati colpevoli, pagheranno col carcere a loro volta, perderanno il lavoro, porteranno un’onta indelebile sulle spalle.  Ma il carcere non cambierà col loro carcere.  Solo la politica e la coscienza civile di un Paese possono. E far entrare lì dentro quella che ora sembra una caverna i cittadini e i giornalisti. Fare luce, il più possibile e subito.

    (manuela d’alessandro)

  • Pista anarchica eterna, arresti per corteo pro-Cospito

    La pista anarchica è eterna. A Torino sono state emesse 18 misure cautelari tra arresti domiciliari e obblighi di dimora in relazione alla manifestazione a favore di Alfredo Cospito allora impegnato in un lunghissimo sciopero della fame. Gli indagati sono 75, le accuse vanno dal danneggiamento all’istigaziine a delinquere alle lesioni aggravate a pubblico ufficiale. La manifestazione è quella del 4 marzo del 2023.

    Tra le persone raggiunte dalla misura degli arresti domiciliari c’è Pasquale Valitutti detto Lello figura storica del movimento anarchico solitamente in testa ai cortei a bordo della carrozzina sulla quale è costretto per disabilità. Valitutti è l’indagato più citato nell’ordinanza emessa dal gip Valentina Giuditta Soria che ha rigettato la misura dell’arresto in carcere chiesta dalla procura per diversi indagati.

    Pasquale Valitutti era in questura a Milano la notte tra il 14 e il 15 dicembre del 1969 accanto alla stanza del quarto piano dove veniva interrogato Giuseppe Pinelli poi volato giù in circostanze che formalmente la magistratura non ha mai chiarito. Valitutti da testimone ha sempre detto che il commissario Luigi Calabresi non si allontanò mai dalla stanza dell’interrogatorio di Pinelli, fermato e trattenuto illegalmente per tre giorni in relazione alle indagini sulla strage di Piazza Fontana.

    Secondo l’accusa nella manifestazione del 4 marzo 2023 “è stata evidenziata una organizzazione militare dell’area insurrezionalista con una precisa ripartizione di ruoli, con una copertura di un nucleo centrale che si rendeva responsabile delle azioni violente e poi con una copertura circolare che garantiva impunità”.

    L’operazione fa registrare l’esultanza del sottosegretario alla Giustizia Andrea Del Mastro perché “viene ribadito che la galassia anarchica è delinquenza. Cagionare 630mila euro di danni, manifestare con mazze e bombe carta non è libertà di pensiero ma illegalità diffusa che deve essere fermata anche con il carcere duro per l’ispiratore Cospito”.

    Del Mastro è sotto processo a Roma per violazione di segreto perché rivelò al collega deputato Giovanni Donzelli notizie e dettagli sulla detenzione di Cospito. Per Del Mastro la manifestazione fu colpa dell’anarchico al 41bis. Domani è fissata la Cassazione per i pacchi bomba di Fossano che in appello portarono alla condanna a 23 anni. Insomma Del Mastro prepara l’udienza. Secondo un avvocato difensore invece gli arresti di ieri sembrano voler impedire al maggior numero di anarchici possibile la partecipazione al corteo del primo maggio.
    Secondo l’avvocato Claudio Novaro difensore di molti indagati “A fronte della richiesta da parte dei PM di 22 arresti domiciliari, 10 custodie cautelari in carcere e 13 misure non custodiali, il Gip ha disposto tre arresti domiciliari e 15 misure non custodiali, operando un notevole filtro rispetto alle domande cautelari iniziali.
    Ciò che stupisce è che per le condotte addebitate a ciascun indagato, nessuna delle quali riguarda quei fatti materiali che la Polizia aveva definito di devastazione e saccheggio, sia rimasta inalterata tale qualificazione giuridica, che appare, obiettivamente, sproporzionata e scarsamente in sintonia con i diversi profili di responsabilità individuale indicati nell’ordinanza applicativa”.
    (frank cimini)

  • Mattarella per Ilaria? Per ora contro Meloni poi si vedrà

    La telefonata del Presidente della Repubblica all’ingegner Roberto Salis per esprimergli solidarietà almeno al momento può tranquillamente essere rubricata come una iniziative contro la premier Giorgia Meloni nell’ambito della disputa sul premierato. Se la telefonata può portare beneficio alla situazione di Ilaria Salis lo scopriremo soltanto in seguito ma appare più che lecito nutrire dei dubbi considerando i ristrettì quasi inesistenti margini di azione di cui dispone formalmente il Capo dello Stato che del resto non ha mancato di accennarvi.
    Tutto ciò va considerato insieme al niente o quasi che il governo ha fatto pur essendo a conoscenza del caso ben prima che ne parlassero i giornali e intervenissero le telecamere del Tg3.
    La sensazione è che all’interno del potere tra le cosiddette istituzioni e i loro personaggi vi sia un regolamento di conti anche sulla pelle di una ragazza detenuta in violazione del diritto e dei suoi diritti.
    Non è la prima volta che accade e sicuramente non sarà neanche l’ultima. Anche perché giusto di recente era accaduto per il caso di Alfredo Cospito. Una guerra tra i partiti sulla pelle di un anarchico detenuto e torturato al 41bis dove il sottosegretario Andrea Del Mastro aveva spifferato dettagli riservati al collega di partito Giovanni Donzelli per mettere in difficoltà una delegazione di parlamentari del Pd in visita al carcere di Sassari Bancali.
    Del Mastro è finito sotto processo per violazione del segreto d’ufficio e gli esponenti del Pd hanno chiesto di costituirsi parte civile. Il Tribunale deciderà domani sulla richiesta di costituzione. Dei destini degli anarchici agli uomini del potere storicamente interessa sempre poco. Questo emerge dai casi di Ilaria Salis e Alfredo Cospito. Intanto la pista anarchica è eterna con inchieste disseminate in diverse procure basate sul niente o quasi e dove a operare sono soprattutto magistrati collegati alla “sinistra” a caccia di fantasmi e uffici Digos disoccupati per mancanza di materia prima in un’epoca di repressione senza sovversione.
    (frank cimini)

  • Morto avvocato Piscopo un pezzo della storia anni ‘70

    Stamattina è morto l’avvocato Francesco Piscopo, un pezzo della storia degli anni ‘70, un fiero oppositore dei processi e delle leggi di emergenza. Aveva difeso molti arrestati e imputati insieme ad altri colleghi. Chi scrive queste poche righe ricorda della sua figura il senso dell’umorismo e dell’ironia.
    Parafrasando le requisitorie e le ordinanze dei magistrati diceva in occasione degli avvocati arrestati come “complici dei terroristi” che “se l’avvocato non viene pagato dai clienti è perché fa parte della banda. E se prende la parcella? “Sono soldi frutto di rapine e attività illecite quindi se ne deduce che è colpevole, l’avvocato c’entra sempre”.
    E ancora: “È quando sembra le prove non vi siano che in realtà ci sono. Se ci sono se ne può discutere”.
    Francesco Piscopo raccontava degli interrogatori di Toni Negri davanti al pm Pietro Calogero. “Gli davo gran calci sotto il tavolo per costringerlo a stare zitto. Perché lui tendeva a rispondere quando il magistrato tendeva a impostare una sorta di conversazione diceva lui perche’ voleva capire”.
    Piscopo interrompeva il pm: “Scusi dottore se dobbiamo conversare tolga le manette al professore e andiamo al ristorante”. Piscopo intanto continuava a dare calci “perché Negri era convinto di convincere il magistrato che lui non c’entrava. Impresa impossibile. Non aveva davanti un magistrato ma un avversario politico. E lo sapeva benissimo ma era portato a rimuovere perché presumeva molto da se stesso”.
    (frank cimini)

  • Cospito, Cassazione: la tortura del 41bis deve continuare

    La tortura deve continuare. La corte di Cassazione ha rigettato perché inammissibile il ricorso per la revoca del 41bis presentato dagli avvocati di Alfredo Cospito, l’anarchico detenuto nel carcere di Sassari Bancali dove sta scontando la condanna a 23 anni di reclusione per i pacchi bomba di Fossano davanti alla scuola dei carabinieri che non provocarono morti e nemmeno feriti.

    La Cassazione ha condannato Cospito a una multa di 3000 euro a favore della cassa delle ammende come è prassi nei casi di ricorsi rigettati.

    In pratica è stata confermata la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma, unico giudice in tutto il paese a decidere sull’articolo 41bis, dove a livello di motivazione si diceva che Cospito è ancora più pericoloso perché il lunghissimo sciopero della fame per protestare contro il carcere duro ne ha aumentato il carisma soprattutto nella considerazione degli anarchici e di chi lo sostiene all’esterno della prigione.

    Il Tribunale di Sorveglianza non aveva tenuto in alcuna considerazione il parere della direzione nazionale antimafia e antiterrorismo che aveva sostenuto la scelta di revocare l’articolo 41bis a favore dell’alta sorveglianza il regime appena un gradino sotto mantenendo la censura sulla posta.

    Insomma almeno per il momento non sembrano esserci vie di uscita. Al di là del fatto che la difesa aspetta la fissazione dell’udienza davanti alla Cedu, la corte europea dei diritti dell’uomo, ma si tratta in ogni caso di un percorso dai tempi non certamente brevi.

    Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari esulta per la decisione della Cassazione dicendo: “Benissimo, Cospito deve rimanere in carcere a scontare la sua pena al 41bis. Niente sconti o premi per i nemici dello Stato”

    Replica l’avvocato Flavio Rossi Albertini: “Lèggendo il commento del sottosegretario sorge il fondato sospetto che la vicenda Cospito sia statata profondamente influenzata dalla politica”. E su questo non sembrano esserci dubbi dal momento che in riferimento al processo al sottosegretario Andrea Del Mastro per violazione del segreto d’ufficio in merito alla carcerazione e di Cospito i partiti con il Pd che chiede di essere parte civile regolano i loro conti sulla pelle di un anarchico torturato.

    In questa vicenda il vero irriducibile appare lo Stato sempre pronto a perpetuare l’emergenza in un quadro di repressione senza sovversione. Una sorta di ultimo giapponese che ha evocato gli anni di piombo persino per un ragazzino che ha mimato la pistola P38 in Senato in direzione di Giorgia Meloni.

    (frank cimini)

  • L’Ungheria grida come Bracardi: “In galera!!!”

    Per i giudici ungheresi la soluzione è una sola, la galera. Lo hanno scritto in risposta alla corte di appello di Milano che chiedeva se fosse possibile sostituire il mandato di arresto europeo per L’anarchico Gabriele Marchesi con gli arresti domiciliari in Italia. Ma il discorso vale ovviamente anche per Ilaria Salis. Infatti i giudici magiari scrivono che Marchesi e Salis fanno parte della stessa “organizzazione criminale”.
    Da Budapest insistono sul pericolo di fuga, dicono che Marchesi agli arresti domiciliari scapperebbe anche se sta a casa da mesi e non è scappato. Non c’è peggior sordo di chi buon vuol sentire.
    Dice l’avvocato Eugenio Losco: “Si continua ad insistere in termini del tutto astratti sul rischio di fuga e l’impossibilità di applicare una misura diversa dal carcere. Sono considerazioni che non tengono in alcun conto il fatto che Gabriele Marchesi abbia rispettato gli arresti domiciliari cui è sottoposto da oltre tre mesi essendo già pienamente consapevole delle contestazioni ungheresi e del rischio di una pena fino a 24 anni. Proprio per questo la Corte di Appello di Miliano aveva chiesto alle autorità ungheresi perché le esigenze cautelari non potessero essere soddisfatte continuando ad applicare gli arresti domiciliari in Italia conformemente alla decisione quadro 829/2009. Incomprensibile poi come si possa affermare che non sia noto il suo domicilio in Italia visto che è stato trovato e tuttora si trova agli arresti domiciliari proprio nel luogo indicato nel mandato di arresto ungherese”.
    Se questa è la situazione non sembra avere probabilità di successo la richiesta di arresti domiciliari in Ungheria che sarà presentata in udienza il prossimo 28 marzo per Ilaria Salis. Il 28 marzo è anche la data della prossima udienza per Gabriele Marchesi. La corte deve decidere se estradarlo o meno e dovrà valutare la risposta arrivata da Budapest che in pratica è la replica del famoso grido di Bracardi “in galera in galera!!”che però aveva almeno il pregio di far ridere.
    Con un eventuale no all’estradizione di Marchesi la magistratura ungherese si sfogherebbe ulteriormente su Ilaria Salis e i rapporti con l’Italia si irrigidirebbero in maniera significativa. Anche se il molto presunto lavorio diplomatico dell’Italia con il governo di Orban non pare destinato a modificare in meglio la situazione. Al massimo a sto punto le toglierebbero il guinzaglio e le catene ai piedi in aula lasciando solo le manette.
    Intanto c’è un altro anarchico italiano coinvolto negli stessi fatti del 23 febbraio dell’anno scorso a Budapest che rischia di essere estradato. Era stato fermato in Finlandia dove i giudici non hanno ancora deciso cosa fare.
    (frank cimini)

  • Yaeesh non estradabile a tenerlo dentro ci pensiamo noi

    La corte di appello dell’Aquila dice che non vi sono le condizioni per estradare Anan Yaeesh in Israele perché rischierebbe di essere sottoposto a trattamenti disumani crudeli e degradanti ma il vero motivo per cui il giovane attivista palestinese non viene consegnato a Telaviv è quello dell’indagine che lo riguarda centrata sugli stessi fatti per i quali era stata chiesta l’estradizione.

    Parliamo dell’operazione che ha portato in carcere con la firma del gip aquilano Anan Yaeesh e altri due palestinesi con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale, quella che nel corso di un presidio di solidarietà è stata definita “una bolla mediatica”. Insomma non potevano consegnarlo perché rischiava di essere torturato e lo hanno arrestato.

    Il rischio della tortura e della violazioni dei diritti umani la corte di appello lo ammette dando credibilità alle relazioni depositate dall’avvocato Flavio Rossi Albertini che provengono da organizzazioni non governative ritenute affidabili sul piano internazionale quali Amnesty Internationale Humans Right Watch “che ben possono essere utilizzate ai fini della verifica della condizione ostativa all’estradizione.

    In queste relazioni, ricorda la corte di appello, si fa riferimento a condizioni di detenzione penose per i cittadini palestinesi, caratterizzate sovraffollamento, violenze fisiche, condizioni di scarsa igiene e di mancata assistenza sanitaria u,teriorme te peggiorate in concomitanza con il conflitto in corso”.
    In buona sostanza non potendo per ragioni di immagine della democratura italiana spedirlo in Israele “ci pensiamo noi a tenerlo in vinculi. In questo modo la procura di Telaviv sarà soddisfatta del comportamento della sua sezione distaccata a L’Aquila,
    frank cimini

  • L’Aquila sezione distaccata della procura di Telaviv

    Evidentemente gli apparati antiterrorismo italiani e israeliani non erano sicuri dell’estradizione di Anan Yaeesh di cui si discuterà in relazione alla custodia in carcere in udienza domani alla corte di appello dell’Aquila. E quindi al mandato di arresto emesso da Telaviv del quale è stata chiesta la revoca da parte dell’avvocato Flavio Rossi Albertini se n’è aggiunto un altro firmato dal gip del capoluogo abruzzese con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale che riguarda anche altri due palestinesi.
    I tre avrebbero fatto operazioni di proselitismo e sarebbero stati pronti a compiere attentati anche suicidari. Questo riportano le agenzie di stampa e i siti online dei giornali insieme a dichiarazioni di politici entusiasti del blitz a cominciare dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
    Pare di capire che l’estradizione di un cittadino palestinese verso Israele che è un paese in guerra sarebbe complicata. Di qui la decisione di arrrestsrlo per decisione della magistratura italiana. In questo modo c’è la sicurezza di tenerlo in galera e di non doverlo liberare in caso di un rigetto della richiesta di consegnarlo a Israele.
    Le indagini il condizionale è più che mai d’obbligoavrebbero accertato la costituzione di una struttura operativa militare denominata “Gruppo di risposta rapida – Brugate Tulkarem articolazione delle Brigate dei Martiti di Al – Aqsa che si propone il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo anche contro uno stato estero.
    Per gli avvocati della difesa ci sarebbe il rischio concreto ed effettivo che Yaeesh venga sottoposto a trattamenti inumani e degradanti contesa la tortura.
    (frank cimini)

  • È ai domiciliari ma per seguire udienza va in galera

    Premetto che in quasi mezzo secolo di cronaca giudiziaria non avevo mai visto e sentito una cosa del genere. Siamo al Tribunale Massa al processo contro un gruppo di anarchici accusati di istigazione a delinquere, apologia di reato aggravate da finalità terroristiche offese all’onorevole e al prestigio del presidente della Repubblica. Il processo è stato chiamato “scripta scelera” in relazione alla rivista “Bez Motivny” chiusa ormai da tempo per mancanza di fondi
    L’imputato Luigi Palli sta agli arresti domiciliari a Faenza ma non viene autorizzato a essere presente in aula di persona. Se vuole seguire udienza deve presentarsi al carcere della Dozza a Bologna e farlo per videoconferenza.
    Pare che non si riescadavvero a scacciare il convitato di pietra dell’associazione terroristica da questoprcesso. Il motivo sarebbe “l’esplosiva” (aggettivo utilizzato dal giudice) situazione derivante dalla presenza di quell’imputato e del pubblico in aula.
    Palli non c’è. Ma poi quando l’udienza inizia effettivamente nel pomeriggio il giudice monocratico si rimangia la decisione precedente cambia idea e dispone la presenza dell’imputato Palli per la prossima udienza, purché, aggiunge non gli arrivino poi note di polizia negative. Cioè il giudice tratta gli imputati e gli avvocati oltre che il pubblico come scolaretti. “Dovete fare i bravi, se no, sono guai”.
    In aula sono presenti la procura antiterrorismo di Genova e l’avvocato dello Stato per il risarcimento danni al presidente della Repubblica. Insomna un classico processo emergenziale nell’anno di grazia 2024.
    (frank cimini)€

  • La spia Rovelli: do ut des con il commissario Calabresi

    “Conoscevo Calabresi perché era vicedirigente della Digos e seguiva gli anarchici. Per aprire un locale servivano i permessi, diciamo che fu una sorta di scambio. Tu mi dai delle informazi9ni, io ti faccio avere le licenze”. Enrico Rovelli ex manager di rockstar e organizzatore di eventi musicali festeggia i suoi 80 anni con una compiacente (eufemismo) intervista al Corriere della Sera.
    Rovelli afferma di essere ancora anarchico anche se in pratica smentito dalle sue stesse parole con cui ricostruisce il ruolo che ebbe ai tempi della strage di piazza Fontana e della morte per defenestramento di Pino Pinelli.
    “Di notizie importanti non ne ho mai date, se lo avessi fatto non sarei qui a raccontarlo – spiega in un colloquio col giornalista per dire e non dire – nell’area anarchica milanese eravamo in due a tenere i rapporti con Calabresi, io e Pino Pinelli. Pino aveva un rapporto speciale con Calabresi, ogni Natale si regalavano un libro”.
    Gabriele Fuga avvocato anarchico autore insieme a Enrico Maltini di “La finestra è ancora aperta” sulla morte di Pinelli tiene a precisare: “È gravemente offensivo per Pinelli e la sua famiglia l’accostamento quasi in ‘simbiosi’ che fa con Pino in merito alla fondazione del circolo del Ponte della Ghisolfa e rapporti con Calabresi. Lui Rovelli dava informazi9ni e Pino… libri”.
    Poi Gabriele Fuga aggiunge: “Si sono dimenticati Rovelli e soprattutto il suo intervistatore di Anna Bolena (nome d’arte di Rovelli n.d.r.) che era al servizio di Federico Umberto D’Amato, responsabile dell’ufficio affari riservati”.
    D’Amato, noto anche per una rubrica culinaria sul settimanale L’Espresso, fu uno dei personaggi chiave nella storia della strategia della tensione. Anna Bolena era il nome in codice nei rapporti con i servizi segreti che ebbero un ruolo importante sul quale la magistratura non indagò nel nascondere la verità sulla fine di Pinelli. Via Fatebenefratelli sede della questura vide un via vai di 007 arrivati da Roma subito dopo che Pinelli volo’ dal quarto piano.
    Le parole di Rovelli sono significative del modo in cui Luigi Calabresi faceva il commissario, scambiava permessi quantomeno in violazione dei doveri di ufficio in cambio di informazioni sugli anarchici che Rovelli adesso a 80 anni punta a ridimensionare ma sulle quali non sapremo mai la verità.
    È una intervista da leggere soprattutto per chi santifica Calabresi che quella notte famosa era il più alto in grado a contatto con l’interrogatorio dell’anarchico e l’ufficio dove si svolgeva era il suo. È da lì secondo la testimonianza di Lello Valitutti in questura anche lui perché fermato Calabresi non si mosse. Anche se il dettaglio non è importante. Il ruolo recitato per nascondere la verità appare fuori discussione. Al di là della sentenza creativa sul malore attivo con cui la magistratura se ne lavava le mani.
    (frank cimini)

  • Fuori dall’aula del processo su Erba, cronisti messi davanti a uno schermo nei sotterranei

    Per carità, nessuna censura ma una storia significativa su come vengano percepiti i media nei palazzi di giustizia di questi tempi. Processo di revisione sulla strage di Erba, tribunale di Brescia. Per decisione dei vertici, i giornalisti non possono entrare nell’aula della corte d’appello dove si celebra ma vengono distribuiti in due sale: una per cronisti e operatori con telecamera che potranno scaricare le immagini che la troupe di ‘Un giorno in Pretura’ metterà a disposizione, l’altra per la carta stampata che ormai solo stampata non è da un bel po’ visto che chi scrive i pezzi per il giorno dopo è chiamato anche ad aggiornare i siti in tempo reale.

    In entrambe il processo va in onda su degli schermi. Al piano interrato in cui vengono dirottati carta stampata e web, non ci sono finestre. Il segnale internet, già fievole ai piani alti, praticamente svanisce o, nei momenti di grazia, funziona a intermittenza. Risultato: lavorare per i giornalisti delle agenzie e per tutti gli altri che scrivono sul web diventa molto difficile. Ci si aggira come ridicoli rabdomanti con in mano i dispositivi per captarlo tra imprecazioni e la sensazione che stia accadendo qualcosa di surreale. Un piano più in su va in scena il processo ‘reale’ a Olindo e Rosa alla presenza di una quarantina di cittadini che vi hanno avuto comodamente e giustamente accesso.

    Com’è potuto accadere che non siano potuti entrare anche i rappresentanti dei media? La spiegazione che viene fornita dai severissimi controllori, carabinieri e personale del palazzo, è che l’aula è troppo piccola per  farci stare tutti. Non pare, a occhio, ma se lo dicono loro…All’obiezione che si sarebbe potuto dividere il pubblico tra cittadini e giornalisti, facendo alternare  i cronisti, delle diverse testate, la risposta di uno dei più solerti ‘guardiani’ dell’organizzazione con tesserino del Ministero della Giustizia è: “La prossima volta magari la porta la chiudiamo proprio e non entrate manco in sala stampa”.

    Certo, si può ribattere, un giornalista avrebbe potuto entrare come cittadino godendo quindi di un posto al sole. Ma chi entrava in aula con questa modalità non avrebbe potuto utilizzare “qualsiasi mezzo idoneo a effettuare riprese audiovisive, televisive e fotografiche pena l’espulsione dal palazzo”. Quindi nemmeno  un telefonino. E vabbé, si dirà: ci sono la carta e la penna e il vecchio block notes, quelli usati dal bravissimo illustratore giudiziario Andrea Spinelli che infatti siede tra le prime file (la rivincita della matita!). Solo che poi gli appunti in qualche modo dovresti spedirli alla tua testata, la forza del pensiero non basta.

    Laggiù, nei sotterranei, l’immagine di Olindo e Rosa non si è mai vista perché i due hanno scelto di non farsi riprendere. “Cosa vi interessava vederli? Tanto hanno chiesto di non essere ripresi” si stupisce una funzionaria del tribunale ribattendo alle proteste di alcuni cronisti agitati. Lezione dei tempi: solo quello che finisce in uno schermo ha un senso, il resto non conta. Dostoevskij non era in aula ma una lettura dei ‘Fratelli Karamazov’ potrebbe illuminare sul potere magico e la vividezza della parola scritta applicata a un processo.

    Manuela D’Alessandro

     

  • L’antiterrorismo militante processa le Br 50 anni dopo

    In questo paese esiste una struttura di antiterrorismo militante di cui fanno sicuramente parte i pm di Torino che hanno chiuso le indagini sui fatti del 5 giugno 1975 a Casina Spiotta nell’Alessandrino quando venne uccisa Mara Cagol durante la liberazione dell’imprenditore Vallsrino Gancia.
    La procura vuole processare Renato Curcio, Mario Moretti, Lauro Azzolini e Pierluigi Zuffada per l’omicidio del brigadiere Giovanni d’Alfonso. Per la procura avrebbero avuto ruoli diversi, tra il sequestro dell’imprenditore e il conflitto a fuoco. Azzolini risponde per l’omicidio D’Alfonso. Moretti e Curcio avrebbero avuto un ruolo di concorso nell’organizzazione del sequestro di Gancia. Le impronte di Zuffada oltre a quelle di Azzolini sarebbero state trovate nella relazione in cui si spiegavano le fasi del blitz. Giusto per le famose impronte era stato condannato, l’unico. Massimo Maraschi.
    L’indagine era stata riaperta dopo un esposto presentato dagli eredi di D’Alfonso. In precedenza era stata archiviata. Questa sentenza venne revocata nonostante pm e gip non avessero potuto leggerla perché una alluvione l’aveva portata via. E in questo modo arriviamo adesso alla chiusura dell’indagine nuova che prelude alla richiesta di processo.
    Ovviamente nel corso degli anni mai si è tentato di accertare se Mara Cagol fosse stata “finita” con un colpo di grazia mentre era a terra inerme.
    La giustizia su quegli anni va in una sola direzione. Del resto la storia la raccontano i vincitori e i vinti non hanno diritto di parola. Si tratta della famosa memoria condivisa, appunto la verità raccontata da chi prevalse con i “pentiti”, le leggi speciali, la tortura a conclusione di un durissimo scontro sociale e politico sfociato in una guerra civile a bassa intensità e nemmeno troppo bassa.
    L’avvocato Davide Steccanella difensore di Azzolini e Zuffada si limita a commentare: “Voglio sapere se in Italia è possibile revocare una sentenza di proscioglimento senza averla letta. È questa l’eccezione che riproporrò nel corso del procedimento dopo che la Cassazione l’aveva definita intempestiva”.
    Curcio interrogato mesi fa come indagato aveva chiesto di essere illuminato sulla morte di sua moglie Mara. Il magistrato promise che si sarebbero messi in moto. Parole al vento.
    (frank cimini)

  • Cospito in Cassazione contro tribunale e ministro Nordio

    Il prossimo 19 marzo la Cassazione dovrà decidere sul ricorso di Alfredo Cospito per ottenere la revoca del 41bis impugnando la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma che lo aveva confermato e la scelta del ministro Carlo Nordio di non rispondere all’istanza della difesa
    Nel ricorso l’avvocato Flavio Rossi Albertini evidenzia che in una vicenda caratterizzata da un profondo ostruzionismo governativo di natura politica attribuire la decisione al ministro che fa parte del governo crea il rischio molto concreto che la scelta sia influenzata da considerazioni che esulano dall’aspetto giuridico in relazione in particolare alla capacità del detenuto di orientare le condotte criminali dei sodali all’esterno.
    Il legale avverte il rischio che vengano strumentalizzate a fini politici vicende individuali che dovrebbero essere oggetto di valutazioni strettamente giuridiche sulla sussistenza dei presupposti applicativi del regime differenziato.
    Nel ricorso si ricorda che il Tribunale di Sorveglianza non aveva tenuto in considerazione il parere contrario alla proroga del 41bis da parte della Direzione nazionale antiterrorismo a favore di scegliere il regime di alta sorveglianza mantenendo la censura sulla posta.
    La pericolosità di Cospito sarebbe diminuita secondo l’organo che si occupa di fronteggiare il fenomeno. Una tesi sposata dalla difesa ma che a ottobre scorso davanti al Tribunale di Sorveglianza era stata rigettata.
    Cospito sarebbe compatibile con un circuito di detenzione ordinario senza i rigori del 41bis. Purtroppo da parte dei giudici chiamati a decidere c’è la convinzione espressamente esplicitata che con il lungo sciopero della fame dell’anno scorso Cospito avrebbe aumentato il suo carisma e di conseguenza la sua pericolosità.
    (frank cimini)

  • Torino, processo su una canzone per Alfredo Cospito

    “Perché registravano e diffondevano anche attraverso il canale You Tube una canzone dal titolo Genova era in fiore nel corso della quale facevano apologia dell’attentato terroristico commesso in danno di Roberto Adinolfiamministratore di Ansaldo Nucleare per il quale Cospito Alfredo e Gai Nicola sono stati condannati in via definitiva”. C’è anche questo nel capo di imputazione a conclusione delle indagini condotte dal pm Paolo Scafi su una serie di manifestazioni in solidarietà con Cospito.
    C’è pure un volantino distribuito durante la celebrazione della messa nella chiesa Gran Madre di Dio. “Portiamo la nostra solidarietà a chi è rinchiuso e a chi lotta dentro e fuori le carceri, libertà per tutti e tutte contro la tortura”.
    Imbrattamenti, lesioni personali nel corso di una manifestazione, apologia di reato e istigazione a delinquere contestati a 17 indagati. Sotto accusa c’è non solo a Torino ma anche in altre città la solidarietà per Alfredo Cospito protagonista di un lunghissimo sciopero della fame tuttora ristretto in regime di 41bis nel carcere di Sassari Bancali. Lo sciopero della fame secondo gli inquirenti e il Tribunale di Sorvegkianza di Roma, unica autorità a decidere in Italia sui reclami contro il 41bis ha reso l’anarchico ancora più pericoloso perché ha aumentato il suo carisma.
    E a pagarne le conseguenze sono gli anarchici e gli antagonisti che protestano contro il carcere duro. Il volantino di solidarietà e il tentativo di esibire uno striscione fermato da un fedele durante la messa diventano prova di sovversione. Lo stesso discorso vale per l’imbrattamebto dei muri dell’immobile della sede Rai e dell’opera in ferro denominata “Sinfonia”, tirando palloncini colorati e secchi di vernice.
    Per tutto questo sarà celebrato un processo perché Digos e investigatori antiterrorismo in divisa e in toga sono da tempo disoccupati per mancanza di una materia prima adeguata. Insomma Cospito, nemico pubblico numero uno, con annessi e connessi è una formidabile occasione di lavoro per chi evidentemente rimpiange di non esserci stato negli anni 70 a reprimere un fenomeno storico.
    (frank cimini)

  • Salis, governo per un anno complice ora vanta “meriti”

    I giudici ungheresi hanno anticipato dal 24 maggio al 28 marzo la ripresa del processo a Ilaria Salis che intanto ha comunicato all’ambasciatore italiano il miglioramento delle condizioni di detenzione. Esumta il ministro degli Esteri Antonio Tajani, mentre quello della giustizia Carlo Nordio accusa i familiari della ragazza e gli avvocati di aver perso un anno di tempo avendo deciso solo ora di presentare l’istanza di arresti domiciliari a Budapest.

    Insomma il governo di Roma dopo aver fatto nulla per un anno, a conoscenza per forza di cose dall’ambasciata che Ilaria Salis veniva trascinata in tribunale incatenata a mani e piedi, col guinzaglio adesso si prende tutti i meriti di una situazione che starebbe per evolvere in positivo.

    Il condizionale è più che mai d’obbligo perché di concreto non c’è stato ancora niente. E la strada per chiedere i domiciliari a Budapest resta tutta in salita: bisogna versare una cauzione di 51 mila euro, trovare una casa in città che risponda a determinate esigenze di sicurezza.

    Tajani sottolinea che il miglioramento delle condizioni della reclusa “è stato ottenuto lavorando con discrezione e senza polemiche. Abbiamo sollecitato un processo equo e rapido tutelando i diritti della detenuta”.

    Debora Serracchiani del Pd polemizza con il ministro della Giustizia: “Il conferenziere Nordio non solo è rimasto muto e fermo per un anno ma adesso oltre al danno aggiunge le beffe attribuendo la responsabilità della detenzione di Ilaria Salis ai suoi familiari. Spero che ne sia consapevole altrimenti saremmo di fronte a un caso di cinismo senza precedenti. Siamo al paradosso anche con i vanti di Tajani ma questa è l’Italia della premier Meloni”.

    Intanto bisognerà vedere gli sviluppi del caso di Gabriele Marchesi e aspettare la risposta dei giudici di Budapest ai colleghi di Milano che hanno chiesto se è possibile sostituire il mandato di cattura europeo con gli arresti domiciliari in Italia. Difficilmente accetteranno tale eventualità per non creare contraddizioni con il caso Salis. Insomma almeno per adesso c’è poco da essere ottimisti.
    (frank cimini)

  • Pm contro pm. Non c’è pace in procura a Milano

    Non c’è pace per la procura di Milano dove va in scena l’ennesima puntata della saga “pm contro pm”. Il sostituto procuratore Rosaria Stagnaro ha chiesto di lasciare l’indagine sul caso di Alessia Pifferi la mamma che lasciò morire di fame di sete la sua bambina a causa delle presunte gravi scorrettezze subite dal collega Francesco De Tommasi che a sua insaputa aveva messo sotto intercettazione le psicologhe del carcere di San Vittore indagate per falso e favoreggiamento. Indagata anche l’avvocato Alessia Pontenani difensore di Pifferi. Avrebbero tutte favorito una perizia psichiatrica “addomesticata”, ma su questo ci sono un sacco di polemiche.

    Tocca al procuratore capo Marcello Viola decidere sulla richiesta presentata dal pm Stagnaro in una vicenda intricata destinata a lasciare il segno come già accaduto nel recente passato. Il problema è che i pm litigano tra loro, se ne dicono di tutti i colori per poi restare tutti insieme appassionatamente nello stesso ufficio.
    E’ accaduto per Paolo Storari e Fabio De Pasquale nell’ambito del processo Eni-Nigeria che si erano confrontati duramente anche nell’aula del Tribunale di Brescia dove il procuratore aggiunto è sotto processo per non aver messo a disposizione delle difese una serie di atti importanti.

    Storari aveva lamentato l’immediata mancata iscrizione tra gli indagati dell’avvocato Piero Amara e delle persone chiamate in causa in relazione alla famosa loggia Ungheria. De Pasquale avrebbe tergiversato per “tutelare” Amara considerato il testimone chiave dell’accusa nel caso Eni poi finito con l’assoluzione di tutti gli imputati.

    Storari e De Pasquale fanno ancora parte della stessa procura. Il Consiglio Superiore della Magistratura non è mai intervenuto con l’alibi dei processi penali in corso.

    In questi anni di guerre interne alla procura l’unico a essere stato fatto fuori in quattro e quattr’otto fu il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ma lì c’era da salvare la patria, vale a dire Expo 2015. Robledo voleva indagare, l’allora capo della procura Edmondo Bruti Liberati avrebbe fermato gli accertamenti dopo i primi arresti.

    Matteo Renzi da presidente del consiglio ringraziò due volte la procura di Milano “per il senso di responsabilità istituzionale dimostrato”. Furono parole molto significative su quanto accaduto. Fondi e appalti assegnati senza gare pubbliche scegliendo “aziende in rapporti di consuetudine con la pubblica amministrazione”. Una indagine aperta in relazione alle presunte omissioni fece il giro d’Italia delle procure per poi essere archiviata a Trento senza iscrivere tra gli indagati alcun magistrato.

    Via il dente via il dolore. Robledo fu trasferito a fare il giudice a Torino. Allora il Csm ritenne di intervenire. Nella vicenda ebbe il suo peso il presidente Giorgio Napolitano che ricordò come prioritarie le prerogative dei capi delle procure. Da allora per evitare contrasti il Csm quando deve nominare i procuratori aggiunti rinuncia ai suoi poteri delegando di fatto la scelta ai capi degli uffici inquirenti. E vissero tutti felici e contenti.
    (frank cimini)

  • Pendolare Trenord incazzato e assolto
    “L’Ad non doveva neanche querelare”

    Anche i pendolari nel loro piccolo si incazzano. Se la ferrovia incontra il grezzo uomo medio, l’uomo medio è un uomo assolto. Quando l’amministratore di Trenord denuncia per diffamazione un suo pendolare inviperito, forse i fatti “non meritano – parola di giudice – di pervenire all’attenzione del Tribunale”.
    Sintesi grezza e per titoli, ma non molto lontana dal vero. Articoliamo.
    Il 30 novembre 2020 un pendolare di Seregno, estenuato dai disservizi ferroviari e dai ritardi nei rimborsi, si sfoga sulla pagina Facebook “Pendolari Trenord”. Posta una foto e commenta: “Questa è la bella faccia di Marco Piuri, amministratore delegato di Trenord che non restituisce i rimborsi degli abbonamenti annuali (…) io di voglia di sputare in faccia a uno che da diversi mesi si tiene i miei soldi ingiustamente ne ho tanta, forse lo sa e porta gli occhiali per questo”.
    Piuri non la prende benissimo, e sporge denuncia per diffamazione. Il 27 ottobre 2022 il pendolare, Marco Malatesta, viene condannato per diffamazione aggravata dall’utilizzo del mezzo informatico. Ma la Corte d’appello – presidente Flores Tanga, estensore Patrizia Re, consigliere Alberto Puccinelli – ribalta tutto: era legittimo diritto di critica, e dunque assoluzione, con tanto di stilettata a finale al querelante: “Risulterebbe, del resto, molto arduo ipotizzare la liquidazione di un risarcimento a favore dell’amministratore delegato di Trenord ed ancora di più della stessa Trenord, per i fatti in esame, che non meritavano di pervenire all’attenzione del Tribunale”.
    “Va anzitutto rilevato – scrivono i giudici in motivazione – che, diversamente da quanto esposto nella sentenza impugnata, l’imputato non ha accusato l’amministratore delegato di essersi appropriato del danaro destinato ai rimborsi degli abbonamenti annuali, bensì di non restituirli, ingiustamente da diversi mesi”. Il contesto, poi, era di “esasperazione di persone costrette a compilare moduli su moduli, inviare raccomandate, con ulteriori esborsi, senza ottenere nulla”. Al malcapitato Malatesta, in particolare, era stato riconosciuto un certo importo che però non gli era stato ancora restituito. Fatto dunque “veridico”, oltre che di interesse pubblico, atteso che la vicenda interessava “pressoché tutti gli utenti di Trenord ed era molto sentita in quel particolare momento”.
    Per decidere su condanna o assoluzione resta però il tema della continenza verbale. Ma la Cedu concede più ampia libertà di espressione quando si parla di questioni di interesse pubblico. E la Cassazione, rammentano i giudici, accetta espressioni più aggressive e disinvolte di un tempo, in virtù del profondo mutamento della sensibilità della collettività. Il commento del pendolare era certo ironico ma anche “aggressivo e grossolano”. E tuttavia i giudici riconoscono che Malatesta, difeso dall’avv. Chiara Parisi, non voleva offendere, ma manifestare “la propria esasperazione e la propria assoluta debolezza” (…) “in mancanza di ogni strumento lecito per ottenere la restituzione di quanto a lui spettante, in tempi accettabili, sicché la condotta si riduce ad una forma protesta, che non presenta neppure gli estremi dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni. In tal senso è stato recepito dall’uomo medio”.
    Danno per la parte civile: “inesistente”. Forse anche i giudici prendono il treno. Chissà se lo prende Piuri.

    (foto in licenza Wikicommons)

  • Trojan, il gip di Napoli l’ha fatta fuori dal vaso

    Elogio del trojan. Mai più senza trojan. È questo il messaggio che arriva dal giudice per le indagini preliminari di Napoli Antonio Baldassarre che ha firmato l’ordinanza con arresti in carcere e altre misure cautelari in relazione agli appalti e alle tangenti di Pozzuoli.

    ”Il filo conduttore degli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria è stato rappresentato dalle intercettazioni telefoniche, ambientali e mediante inoculazione di captatore informatico sui telefoni cellulari di alcuni indagati. A scanso di polemica che talvolta accompagna tale tipo di indagini è bene specificare sin da subito alcuni profili – argomenta il giudice – il primo è che nel caso di specie tale scelta investigativa si è rivelata fin da subito essenziale in relazione alla tipologia di reati in questione. È evidente e di comune esperienza che le indagini di tipo tecnico costituiscono l’unico strumento realmente efficace per accertare i reati a concorso necessario e comunque basata su una inevitabile condivisione dei propositi criminalità parte di tutti i protagonisti coinvolti che procedono nella medesima direzione”.

    Il giudice insomma mette le mani avanti. Il trojan viene descritto come insostituibile. Questo nonostante diversi magistrati oltre a politici di diverso schieramento abbiano a più riprese ammesso l’eccessiva invasivita’ di tale strumento che finisce per abbracciare l’intera vita quotidiana dei soggetti coinvolti al di là degli accertamenti in corso.

    ”Gli unici soggetti che sono a conoscenza delle attività delittuose commesse e in corso sono proprio quegli stessi che dei reati si giovano e ne percepisco i i profitti – continua il gip – Gli accordi che conducono a tali fattispecie sono per loro definizione riservati se non segreti, raramente vi sono testimoni disinteressati presenti ai fatti. Le vittime dei reati si rendono conto solo con ritardo ma raramente sono in grado di offrire elementi di conoscenza specifica sull’accaduto. Quindi è giocoforza necessario vincere la mutua e indissolubile riservatezza dei concorrenti nei reati. Per farlo è necessario proprio accedere alle loro conversazioni ai discorsi alle pianificazioni e al contenuto degli incontri riservati organizzati per poter acquisire quegli elementi che altrimenti non avrebbero modo di venire all’esterno”.

    Insomma si tratta di un’ordinanza che irrompe nel dibattito politico sulla giustizia soprattutto a livello di intercettazioni orientandolo fortemente. Nel caso specifico il giudice delle indagini preliminari arriva addirittura ad affermare che vi possa essere una interpretazione alternativa delle conversazioni. Questo lo si vedrà in seguito. Ma l’ordinanza a resta singolarmente esplicita in termini di politiche giudiziarie. Sia consentito affermare che almeno un po’ il giudice l’ha fatta fuori dal vaso.
    (frank cimini)

  • A Report la mafia a tre teste che in realtà non esiste

    A Milano ci sarebbe una mafia a tre teste con la santa alleanza tra Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta utilizzando il capoluogo lombardo e zone limitrofe come una sorta di “laboratorio”. Era la tesi della procura che il giudice delle indagini preliminari Tommaso Pena nel novembre scorso aveva bocciato rigettando 140 richieste di misure cautelari su 154 (una sorta di record probabilmente non solo italiano) per associazione mafiosa.

    Se questa prospettazione ritenuta infondata abbiamo visto l’altro ieri sera su RaiTre nella trasmissione Report un’intera puntata come se invece fosse tutto vero. La decisione del gip è stata ricordata solo con un brevissimo accenno di poche parole per dedicare tutto lo spazio alla “straordinaria scoperta fatta dai carabinieri e dalla procura”.

    Sigfrido Ranucci non ha avuto neanche la bontà di ricordare che la procura di Milano pur avendo presentato ricorso al Tribunale del Riesame contro la decisione del gip Perna ha limitato l’impugnazione alla posizione di 70 indagati la metà di quanti voleva sanzionare origine. Insomma anche da parte dell’organo dell’accusa c’è stata l’ammissione di un flop quantomeno parziale. In attesa dell’appuntamento del Riesame che non è stato ancora fissato.

    Report si comporta come se il network criminale fosse stato ritenuto consolidato. Nel ricorso la procura accusava il gip di aver fatto “copia e incolla” con il parere di un avvocato espresso in tutt’atra circostanza fuori dall’inchiesta. Il gip avrebbe ignorato e smentito “le più eterogenee evidenze investigative processuali dell’ultimo ventennio”.
    I giornali solitamente a sostegno della procura operavano un massacro mediatico del giudice. Doveva intervenire il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia con un comunicato per sottolineare che il controllo del gip lunghi dall’essere classificato come una patologia evidenzia il principio dell’autonomia della valutazione giurisprudenziale”.

    Ma di tutto questo nella puntata di Report non si parla. E in questa vicenda è stato del tutto assente il Csm sempre pronto ad aprire pratiche a tutela quando i magistrati vengono criticati dai politici. Ma quando ricevono attacchi dai colleghi e dai giornali va tutto bene.

    Report insomma si ripete. Non ha mai preso atto che la storia della trattativa Stato-mafia era del tutto infondata secondo la Cassazione non perdendo occasione di riproporla. Come del resto non tiene conto degli esiti processuali del caso Moro di e si esclude che le Brigate Rosse fossero state eterodirette e avessero avuto complici occulti.
    (frank cimini)

  • Il giudice “un po’ confuso” tifa Borrelli e Toni Negri

    Come minimo deve avere un po’ di confusione in testa Marcello Degni il giudice della corte dei Conti che sui social critica l’opposizione per non aver costretto il governo di centrodestra all’esercizio provvisorio e che ora rischia sanzioni da parte dei colleghi.

    Nelle sue esternazioni da un lato evoca Francesco Saverio Borrelli che alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario nel gennaio del 2002 pronunciò il famoso triplice “resistere” con riferimento al governo Berlusconi e dall’altro lato posta elogiando la prima pagina del Manifesto in morte di Toni Negri “maestro attivo”. Poi cita il filosofo padovano sul “comunismo come manifestazione gioiosa collettiva etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà dei confini e della politica”.

    Per Degni Toni Negri è un intellettuale raffinatissimo. La contraddizione nell’elogiare sia Borrelli sia Negri. Il carceriere e il carcerato si potrebbe osservare, ricordando per esempio che Borrelli da giudice condannava per terrorismo senza prove “perché non poteva non sapere considerando la sua statura intellettuale” l’avvocato comunista Sergio Spazzali.

    Il comportamento del giudice Degni ricorda l’indicazione di voto che diede Rossana Rossanda alle elezioni del 1984, “Toni Negri alla Camera e Pci al Senato”. In quel caso la contraddizione era ancora più evidente perché eravamo nel pieno delle polemiche sul caso “7 aprile” con il pm Piero Calogero che aveva preparato i testimoni nei locali della federazione padovana del partito comunista italiano.

    Ancora Degni dice che quando passa in via Fatebenefratelli pensa sempre a Pinelli voltato dalla finestra, alla ballata che recita “Calabresi e Guida assassini che un compagno avete ammazzato quella lotta non avete fermato la vendetta più dura sarà”.

    Impossibile non domandarsi se questo giudice più che maggiorenne e vaccinato ormai alla soglia della pensione si renda conto della confusione che fa sulla storia politica del paese nel tentare di mantenere insieme i suoi miti.

    Con le sue esternazioni di oggi è ancora di più con quelle passate che riemergono riesce a togliere dall’imbarazzo (eufemismo al massimo grado) il governo per il “botto” di Capodanno nel biellese. Insomma il giudice Marcello Degni avrebbe bisogno di riflettere, di studiare, di informarsi e soprattutto di pensare a quello che dice perché non se la può certo cavare spiegando che quanto afferma sui social sarebbero pensieri personali i quali non c’entrano con l’attività di giudice. La toppa è peggio del buco.
    (frank cimini)

  • Moro, le bufale senza fine. Domenica su Report

    “Aldo Moro non può essere stato ucciso in via Montalcini e poi portato in via Caetani”. Questo dice Ilaria Moroni, direttrice dell’archivio Flamigni, nella puntata di Report che andrà in onda domenica prossima 7 gennaio di cui è stato anticipato il contenuto in un trailer che riguarda la presentazione del libro scritto dall’ex ministro Vincenzo Scotti e dall’economista Romano Benini sulla politica di Aldo Moro.

    ”Sorvegliata speciale” è il titolo. “Le reti di collegamento della Prima Repubblica” il sottotitolo del pomo che racconta l’avversione degli Stati Uniti e soprattutto di Henry Kissinger per la politica di Moro. Scotti spiega che il segretario di Stato americano era nettamente contrario a che Moro assumesse responsabilità specialmente in relazione a Israele e Medio Oriente. Cose trite e ritrite sulle quali si discute da ormai mezzo secolo ma che servono per riproporre tutta la dietrologia possibile e immaginabile sulla strage di Via Fani e sul caso Moro.

    Le perizie che dimostrerebbero che Moro non fu ucciso in via Montalcini di cui parla Ilaria Moroni non esistono, non hanno nulla da spartire con gli atti di ben cinque processi. Ma la dietrologia non finisce mai, le bufale continuano.

    E per la fondazione Flamigni, dal nome dell’ex senatore Sergio Flamigni che fu l’antesignano dei misteri inesistenti, le bufale sul caso Moro si sono rivelate da sempre un affare a causa della consistente mole di finanziamenti pubblici dal ministero della Cultura.

    40 mila euro il 9 gennaio del 2019, 38 mila euro il 15 aprile, 2000 euro il 15 ottobre. Vanno aggiunti 40 mila euro il 20 maggio dall’istituto centrale per gli archivi, 3491 euro il 7 agosto dall’Agenzia delle Entrate. Dal ministero 49.157 euro il 22 giugno, 8300 euro il 29 dicembre. Poi ancora altri soldi successivamente.

    Per carità tutto regolare, tutto secondo la legge. Il primo febbraio del 2021 l’archivio viene trasferito presso lo spazio Memo per gentile concessione della Regione Lazio con visita e complimenti del governatore Zingaretti.

    Dietrologia e complottismo vengono incoraggiati. Ogni 16 marzo ogni 9 maggio a dire che bisogna cercare la verità è per primo il Presidente della Repubblica e del Csm a discapito dei processi dive sono state escluse responsabilità diverse da quelle delle Brigate Rosse.

    Si tratta di esiti processuali ignorati dalle commissioni parlamentari e dalla procura di Roma che continuano la caccia alle streghe. Tra gli intervistati da Report c’è l’ex procuratore generale Luigi Ciampoli che si vanta di aver indagato lo psichiatra Steve Pieczenik inviato in Italia dal dipartimento di Stato Usa . L’accusa era di concorso nell’omicidio Moro. Non si sa che fine abbia fatto. Adesso c’è il pm Eugenio Albamonte a continuare la caccia e non ha ancora deciso cosa fare dell’inchiesta chiusa da tempo sul ricercatore indipendente Paolo Persichetti, che il gip aveva definito “indagine senza reato e chissà mai se ci sarà”.

    La sensazione è che questa dietrologia, nel paese dove la Cassazione ha appena accusato il centro sociale Askatasuna di “pensare alla lotta armata”, serva non tanto per il passato quanto per governare oggi agitando un fantasma che con la realtà attuale c’entra zero.
    (frank cimini)

  • Come sarebbe stata la cronaca del caso Verdini senza l’ordinanza cautelare

     

    L’inchiesta sulle commesse di Anas della Procura di Roma che coinvolge anche Tommaso Verdini è l’occasione per riflettere su cosa potrebbe accadere se in un caso come questo fosse in vigore la norma che vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare.

    La legge Cartabia impone che a dare la notizia degli arresti potrebbe essere solo il procuratore capo o la forza di polizia che ha operato da lui delegata e comunque solo e soltanto entro i limiti da lui stabiliti. Altre fonti che dovessero spingersi a spiegare qualche dettaglio ai giornalisti, cosa che – è bene essere onesti – spesso accade soprattutto nelle procure più grandi -, le metterebbe a rischio di un procedimento disciplinare con possibili effetti sulla carriera. C’è più democrazia quando una sola fonte, per di più parte inquirente o investigativa, decide cos’è una notizia e come diffonderla o lo decidono più fonti?  In ogni caso la divulgazione degli arresti o altro avverrebbe, sempre sulla base dei limiti stabiliti dall’ex ministra della Giustizia, solo se il capo della Procura, col suo monopolio di per sé già discutibile, considerasse rilevante e di interesse pubblico la vicenda.

    Qui non parrebbero esserci dubbi che lo sia trattandosi di Anas e di una storia che lambisce la politica, il che garantirebbe almeno un comunicato, non è detto pure una conferenza stampa. Ci sono stati casi di un certo clamore per i quali i procuratori non hanno ritenuto opportuno un confronto coi giornalisti, si pensi all’inchiesta sull’omicidio di Giulia Cecchettin, che pure ha smosso le piazze di tutta Italia, è entrata nelle scuole, nei palazzi della politica e in tutte le case, ma durante la quale la Procura di Venezia, a parte qualche informazione iniziale, ha mantenuto un riserbo assoluto.

    Immaginiamo però che nel caso Verdini il procuratore sia di manica larga: comunicato, conferenza stampa e poi anche una spiegazione dell’ordinanza. Restiamo al nostro caso Anas, un contesto complesso in cui vengono ipotizzati appalti, episodi di turbativa d’asta, di corruzione, in uno scenario molto ‘italiano’ in cui agiscono esponenti politici, vertici di società di Stato, funzionari di alto livello, “marescialli che presidiano il fortino”, espressione presa in prestito dalle intercettazioni. Un mondo molto variegato.

    E’ immaginabile rendere un buon servizio all’informazione e delineare con precisione il ruolo di arrestati-indagati-né arrestati, né indagati senza esercitare il rigore e la precisione che solo l’apri e chiudi virgolette di un testo possono garantire?. Il tema riguarda, ribadiamolo perché questo è centrale, sia la completezza e l’equilibrio nell’esercizio del diritto di cronaca sia la tutela delle persone coinvolte. Senza un testo di riferimento, i media potrebbero offrire al lettore o all’ascoltatore una parafrasi dell’ordinanza di parte senza che ci sia un riscontro oggettivo qual è quello di un testo messo a disposizione di tutti.

    Conosciamo l’obiezione: i giornalisti danno comunque una lettura di parte, si soffermano solo sul gossip, evidenziano episodi che nulla hanno a che vedere col reato, rovinano la vita di innocenti. Ma questo non dipende in alcun modo dalla legge bensì da una scarsa onestà intellettuale, da una conoscenza approssimativa di come vada raccontata la cronaca giudiziaria in linea anche con la Costituzione, da quanto di ‘decorativo’ se non di cattivo gusto viene inserito dai magistrati, vedi le ‘classiche’ conversazioni sulle infedeltà di coppia, da prassi poco edificanti. Un esempio: ho lavorato molti anni per l’agenzia di stampa Reuters, una delle più autorevoli del globo. Nel momento in cui si scopre che una persona è indagata l’obbiettivo non è ‘bruciare’ gli altri e scrivere il nome il prima possibile ma contattare al volo un suo legale per il diritto di replica. Altrimenti la breaking news non viene diffusa.

    In ogni caso, un modo per riparare ai danni provocati da una cattiva cronaca giudiziaria, senza attenzione per la presunzione d’innocenza come purtroppo spesso accade e per la diversità di ruoli che hanno le persone citate, come in questo caso il sottosegretario leghiste Freni che non è indagato, il che ovviamente non lo sottrae a un giudizio ‘politico’ da parte del cittadino, resterebbe proprio quello di avere un testo in mano. Così come per controllare se la magistratura non abbia disposto provvedimenti di limitazione della libertà arbitrari o fumosi, un’evenienza non così rara.

    La conoscenza e la divulgazione dell’ordinanza di custodia cautelare in un Paese dove i cronisti giudiziari e i magistrati esercitassero alla perfezione la loro professione non servirebbe. In Italia spesso è un’ancora di libertà e democrazia a cui attaccarsi per non affondare, perlomeno in attesa di una stampa e di una giustizia migliori. (manuela d’alessandro)

  • Alcolici e vetro di Capodanno Beppe Sala sindaco sceriffo

    Ormai in nome della sicurezza, in omaggio a “law and order” si può vietare tutto o quasi, persino quello che si può comprare e consumare in determinate occasioni. L’ultimo giorno dell’anno in vista della notte di San Silvestro è l’esempio per fotografare una filosofia di governo e non ci sono differenza tra il livello nazionale e quello locale.

    A Milano sarà in vigore dalle ore 18 di domani 31 dicembre fino alle otto 8 di lunedì primo gennaio il divieto di di vendere distribuire o somministrare, anche gratuitamente, bevande in bottiglie e contenitori di vetro e lattine anche per asporto e bevande superalcoliche.

    L’ordinanza sindacale, firmata dal primo cittadino Giuseppe Sala, si rivolge a esercizi di vicinato, supermercati, attività commerciali, artigiani, pubblici esercizi, distributori automatici, commercio ambulante o con posto fisso e street food, presenti nell’are delimitata dalla circolazione del filobus 90/91 quindi ben oltre il,centro storico.

    La mescita o la vendita delle bevande ‘alla spina’ sarà consentita solo in contenitori di carta o di plastica, mentre la consumazione in vetro sarà autorizzata solo per il servizio al tavolo all’interno dei locali.

    Abbiamo riportato nel dettaglio l’ordinanza sindacale emessa da un politico che a parole si dice da sempre molto attento ai diritti che qui vengono letteralmente violati nel timore di rosse a bottigliate favorite da eccessivo ingerimento di alcolici.

    E quindi via ai divieti che comunque potranno essere aggirati facilmente dai “malintenzionati” prove dei a rifornirsi anche nei supermercati prima delle fatidiche ore 18 o pure dopo fuori dalla citata “area delimitata”.

    Non è la prima volta che accade. Ricordo che durante i mondiali di calcio di Italia 90 si arrivò al punto di vietare di ristoranti che la bottiglia di vino restasse sul tavolo durante il pranzo o la cena. Era l’oste o il cameriere a riempire i bicchieri volta per volta occultando la bottiglia alla vista e alla disponibilità dei clienti fino al prossimo giro di mescita.

    Insomma ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. I cittadini vengono trattati peggio che da sudditi. In modo aprioristico come persone non in grado di controllarsi. Ovviamente a colpi di divieti. Il sindaco di Caserta Carlo Marino anche lui del Pd ha dimostrato di non essere da meno. Stessa ordinanza.
    (frank cimini)

  • Cospito, giudici sbloccano lettera in inglese nessun rischio

    I giudici del Tribunale di Torino hanno accolto il reclamo di Alfredo Cospito contro la decisione della corte di assise di appello che aveva bloccato una lettera in inglese con un disegno a penna raffigurante diverse persone che parlavano tra loro.
    “Pur emergendo che il redattore della lettera appartiene a ambienti anarchici – scrivono i giudici- traspare che questi si limita a informarsi delle condizioni di salute di Cospito augurandosi che siano buone, a deprecare che sia stato sottoposto al regime del 41bis e a manifestargli solidarietà per il lungo sciopero della fame che aveva intrapreso”.
    “Non constano elementi concreti che la missiva e il disegno possano contenere messaggi criptici suscettibili di pregiudicare le indagini di incentivare la commissione di reati o di mettere a repentaglio la sicurezza e l’ordine dell’istituto penitenziario”.
    Alfredo Cospito è detenuto nel carcere di Sassari Bancali ed è in attesa che venga fissata l’udienza al Tribunale di Roma per discutere il ricorso contro l’applicazione del 41bis.

  • “Idea” della Cassazione: Askatasuna uguale lotta armata

    La Cassazione interpreta, diciamo così, il pensiero dei militanti del centro sociale torinese Askatasuna e confermando le misure cautelari decise prima dal gip poi dal Riesame in un processo per associazione per delinquere e scontri con le forze dell’ordine dice che alcuni imputati “coltivano propositi di lotta armata”.

    Nemmeno i pm erano arrivati a tanto, la Cassazione si. I magistrati dell’accusa avevano parlato di iniziative violente ma mai di azioni o attentati diretti contro singole personalità dello Stato o istituzioni. Si trattava di decidere sul ricorso di due imputati contro la misura dell’obbligo cautelare di presentazione alla polizia giudiziaria.

    La tesi della Suprema Corte è che un gruppo ristretto di attivisti stia portando avanti “un piano criminoso” con attacchi ai cantieri dell’alta velocità, lanci di petardi, artifici pirotecnici a mo’ di armi. La Cassazione parla di lotta armata. “Secondo quanto emerso da intercettazioni e dalla di disamina degli atti letti in chiave cronologica detta finalità si identifica nello lotta armata mediante la preordinata provocazione di contrasti con le forze dell’ordine”.

    Dice Claudio Novaro uno degli avvocati difensori: “In tutto il processo non si parla di lotta armata, non si capisce come la Cassazione sia potuta arrivare a tale argomento. La Cassazione è giudice di legittimità e non di merito. Io avevo proposto 130 pagine di motivazione criticando le scelta del Tribunale sulle misure cautelari. La Cassazione sul punto non dice niente e se ne viene fuori con una invenzione di sana pianta su un argomento non al centro del processo”.

    Il processo che riprenderà a settembre riguarda 26 attivisti alcuni dei quali rispondono di associazione per delinquere. La motivazione della Cassazione sulle misure cautelari, nel caso due e nemmeno relative alla custodia in carcere, alzando il tiro in modo quantomeno spropositato tende chiaramente a influenzare i giudici del processo in corso a condizionarne quella che sarà la decisione finale.

    A parlare di terrorismo in relazione alle lotte dei NoTav ricordiamo ci aveva già provato la procura di Torino (teorema Caselli) in relazione al compressore bruciacchiato del cantiere di Chiomonte riportando brucianti sconfitte sia a livello di misure cautelari sia a livello di sentenza di merito soprattutto in Cassazione.
    Adesso invece è la Cassazione a voler vedere a tutti i costi propositi di lotta armata senza fare alcun riferimento a pezze di appoggio per una accusa così pesante. Insomma pare siano proprio gli ermellini ad avere nostalgia degli anni ‘70 a cercare di creare un clima che rispetto alla realtà attuale dello scontro sociale sembra assurdo e irreale.
    (frank cimini)

  • Cospito, anarchici a processo per un giornaletto a Massa

    Le mobilitazioni in solidarietà con Alfredo Cospito nel corso del lunghissimo sciopero della fame portano alla celebrazione dell’ennesimo processo che inizierà il prossimo 9 gennaio davanti al Tribunale di Massa con rito immediato. I reati contestati dalla procura di Genova sono quelli di istigazione a delinquere è offesa all’onorevole e al prestigio del presidente della Repubblica.
    4 imputati sono agli arresti domiciliari in 5 hanno l’obbligo di dimora e uno è libero. L’inchiesta è quella denominata Scripta Scelera e ruota intorno alla rivista Bezmotivny, accusata in un altro troncone di indagine per stampa clandestina nonostante fosse stata in bacheca sulla pubblica via. Il quadro dell’indagine è abbastanza pasticciato con il processo che viene celebrato mentre si è ancora in attesa dell’udienza in Cassazione sulle misure cautelari.
    Sotto accusa c’è una storia di solidarietà di internazionalismo di lotta di classe. Il prossimo 9 gennaio davanti al Tribunale ci sarà un presidio contro la censura e un comunicato che indice la mobilitazione afferma che non basteranno le acrobazie tecniche di un magistrato in cerca di autore a far sì che un percorso politico venga giudicato e liquidato alla chetichella.
    Nel recente passato la procura di Roma aveva avuto l’idea di procedere con il rito immediato nell’operazione Byalistock senza avere grande fortuna.
    Bezmotivny ricorda la storia di altri giornali e riviste dell’area antagonista finiti a processo. Chi ha i capelli e la barba bianca ha memoria della rivista dell’autonomia operaia “Metropoli” finita nei guai ormai quasi mezzo secolo fa per un fumetto sul caso Moro.
    Scripta Scelera è una delle tante inchieste aperte sugli anarchici negli ultimi anni dove viene contestata anche l’associazione sovversiva con finalità di terrorismo quasi sempre caduta anche prima di arrivare in aula. Evidentemente la pista anarchica è eterna e ha ripreso vigore come si diceva all’inizio per reprimere la solidarietà a Alfredo Cospito detenuto nel carcere di Sassari Bancali col regime del 41bis che g,i nega anche il diritto di accedere alla biblioteca centrale della prigione.
    (frank cimini)

  • Non c’è bavaglio ma il più pulito ha la rogna

    Non c’è bavaglio nel divieto di pubblicazione delle ordinanze cautelari prima del processo pubblico in un paese dove ve gli indagati vengono sputtanati prima del pubblico dibattimento spesso utilizzando fatti e dati irrilevanti dal punto di vista penale. Perché le procure con la complicità di buona parte dei gip che fanno copia e incolla tendono a celebrare i processi sui giornali e nei telegiornali al fine di rafforzare le loro tesi che a volte non trovano riscontro. Ma anche in quei casi il danno è fatto e non c’è assoluzione che tenga.
    Con le ordinanze cautelari a disposizione i giornali agiscono in genere senza il minimo spirito critico. I testi delle intercettazioni diventano una sorta di Vangelo. Spesso nel fango finiscono anche persone non indagate. La formula per coinvolgerle è la solita: “spunta Tizio, spunta Caio”. E non c’è difesa della propria immagine e onorabilità.
    Nessuno può essere sputtanato prima del processo e questo vale per tutti dai colletti bianchi fino si poveri cristi.
    Premesso e detto ciò va valutato il pulpito da cui arriva la predica che ha portato all’approvazione del divieto in questione. L’input viene da un governo dove un sottosegretario ha spiattellato a un deputato del suo partito per giunta coinquilino informazioni riservate sulle condizioni di detenzione di un anarchico ritenuto da politici magistrati e giornalisti il pericolo pubblico numero uno.
    Quelle informazioni rubricate come riservate furono utilizzate dal deputato nel regolamento di conti tra i partiti sempre sulla pelle dell’ansrchico torturato in regime di 41 bis.
    Il sottosegretario è finito sotto processo ma qui non interessa se sarà assolto o condannato. Emerge che il più pulito ha la rogna e questo vale sia per chi ha approvato il divieto sia per chi grida contro il bavaglio nel nome di una pretesa libertà di stampa che serve per aggredite gli avversari politici e non per informare i cittadini.
    (frank cimini)

  • Cospito, solo libri da biblioteca 41bis da quella centrale no

    Alfredo Cospito detenuto in regime di 41bis nel carcere di Sassari Bancali l’unica cosa che può fare per passare il tempo è leggere che tra l’altro resta la sua passione da sempre. Ma può diciamo rifornirsi solo dalla biblioteca destinata ai reclusi del 41bis. Nella giornata di ieri racconta l’avvocato Maria Teresa Pintus che assiste l’anarchico insieme a Flavio Rossi Albertini è stata celebrata un’udienza davanti al Tribunale di Sorveglianza
    L’oggetto del contendere era la possibilità di accedere all’elenco dei libri contenuti nella biblioteca centrale del carcere perché in quella del 41bis sono veramente un numero limitato.L’avvocato ha chiesto anche di poter utilizzare i libri contenuti nella biblioteca del comune di Sassari.
    Il pm ha chiesto ai giudici di rigettare il reclamo perché non si tratta di un diritto e perché i libri non possono entrare da altre vie. La richiesta ovviamente faceva riferimento alla possibilità di ricevere i libri attraverso gli agenti penitenziari. Ma il magistrato non ha voluto sentire ragioni.
    Adesso il Tribunale di Sorveglianza a ha cinque giorni di tempo per decidere ma si tratta di un termine assolutamente non perentorio. Insomma la tortura continua. I libri evidentemente nella logica dei burocrati del carcere sono un pericoloso veicolo di messaggi, soprattutto quelli della biblioteca centrale della prigione per non parlare di quella del Comune di Sassari.
    Per il resto Alfredo è in attesa della fissazione dell’udienza sulla revoca del 41bis chiesta dagli avvocati dopo la mancata risposta del ministro Nordio. Se ne occuperà il Tribunale di Sorveglianxa di Roma l’unico in tutta Italia dove si discutono i reclami contro l’applicazione del carcere duro.

  • Perché è impossibile trovare un’etica nei casi di cronaca (compresa la storia di Giulia)

    Che dovessimo studiare semiotica, teorie della comunicazione di massa, analisi dei media per fare i giornalisti ci sembrava in certi lunghi pomeriggi passati in via Sant’Agnese, a Milano, un po’ una perdita di tempo. Volevamo stare in redazione, scendere nell’aula del seminterrato e parlare di pezzi, interviste, foto, realtà. Poi c’era un professore che veniva dal centro San Fedele, padre Luigi Bini, un gesuita svizzero che a volte ci sembrava un marziano con le sue lezioni di etica della comunicazione.

    Passati circa venticinque anni mi viene spesso da pensare a quei colleghi della scuola di giornalismo dell’Università Cattolica, se anche a loro, guardando i Tg, leggendo i giornali, scrivendo articoli o commissionando pezzi, capiti di ritrovare qualcosa di già detto e previsto dalle analisi e le dinamiche che studiavamo in quegli anni. A me capita. Quando vedo le notizie da prima pagina, e scelgo la parola vedere apposta, mi prefiguro già la puntata successiva, come una serie di una piattaforma con tutti i passaggi e le variabili. Così prevedibili sono la realtà e l’umana natura? La risposta è no.

    Visto il luogo in cui uscirà questa sequenza di frasi, in uno spazio digitale, stilisticamente addomesticato alla brevità e alla perentorietà anche, non posso permettermi troppe divagazioni e andrò subito al punto.

    Perché quando vediamo i protagonisti di questi fatti da prima pagina ci aspettiamo invece qualcosa di nuovo, sorprendente e definitivo che porti a una svolta, un insegnamento, un’esemplarità? 

    E’ per quella cosa che dice il Censis, cioè il sonnambulismo dell’ipertrofia emotiva? Cioè l’essere sollecitati talmente tanto da un diluvio di emozioni, dolore, rabbia, indignazione, da non sentire più niente e allo stesso tempo rimanere sempre nell’attesa di un risveglio? Che qualcosa finalmente accada e ci spieghi cosa è successo prima o cosa ci siamo persi?

    Si. Questo «sì» vale però come effetto, non come causa. Prima c’è un altro meccanismo che agisce, il diventare appena si entra nel setting della notizia, sia come lettore e attore, un altro essere, finzionale, un personaggio della stessa rappresentazione mediatica.

    Entri persona reale con il tuo vissuto, il tuo passato, esci mutato e mutante, a seconda dell’inclinazione che riesci a prendere sotto il peso inerziale dell’immaginario mediatico.

    Diventi una persona simbolica, una maschera, come il personaggio della relazione sociale pensato  a Chicago da Goffman che faceva partire questo meccanismo molto prima, dalla vita quotidiana stessa. Figuriamoci per chi ascende agli onori o discende nei disonori della cronaca. Se si guarda bene è già un ruolo. Il padre, la madre, il giudice, il medico, la vittima, il soccorritore, il corrotto, il freak, il protagonista, l’aiutante, l’antagonista e la principessa. Uso queste ultime quattro figure per mostrare a cosa sto pensando, a Propp e alla sua morfologia della fiaba. C’è una morfologia della notizia che non sfugge a una simile forma, non c’è niente da fare, è l’inerzia dell’immaginario, una sorta di peso gravitazionale del nostro accadere, un recinto che ci chiude ma che ci protegge anche da realtà non classificabili che possono sempre accadere, evocate come un ignoto temibile dietro l’angolo.

    Una volta reificato, il personaggio-maschera può parlare alla massa uniformata del mondo delle correnti social che acchiappano visualizzazioni, A questo punto tutto quello che si intravvedeva di personale e unico si traduce in un linguaggio base, da paniere Istat del parlato italiano. Le parole diventano hashtag perché solo così funzionano, aggregate a flussi tematici. I discorsi ampi e articolati si frantumano in pochi secondi di reel, ripetuti senza dover cliccare la funzione restart, basta poi un gesto di un pollice per passare a un altro flusso.

    Entri subito, se non fosse per quella cosa che giudichiamo noiosa dei cookies, nella macchina economica di questo sistema, fino a determinare in una scala dimensionale le pubblicità che valgono di più se porti la pagina a moltiplicare le visualizzazioni, le home page più cliccate, fino ad alimentare le aspettative dell’audience tv e richiamare gli ingaggi delle società di produzione, gli uffici di comunicazione che dettano le scalette.

    Tutto questo apparato non si vede, riesce a non disturbare la trasparenza del media. Non fa vedere l’artefatto, sembra tutto vero e autorevole come quella frase che si diceva nel periodo dell’Archeotv «l’ha detto la televisione» o ai tempi della radio, l’antenata di tutto questo sistema come ci spiegava il professore Giorgio Simonelli con il suo piglio gentile ad equilibrare qualche conclusione apocalittica.

    E al famoso lettore, cioè a chi digita, legge, guarda, allettato da una grande notizia, dove la realtà da mostrare sembrava tanta e vivida con tante cose da svelare, con protagonisti ricchi di valori e/ o disvalori, dove si assicura una mobilitazione di pensieri tali da richiamare la spiegazione importante del pensatore onnisciente che deve però parlare poco, giusto per abbozzare un senso,  al famoso lettore, dicevamo, ora non sembra abbastanza.

    Manca l’insegnamento, un’etica definitiva, un ecco adesso ci siamo, ricordiamocelo, fissiamolo per sempre come un mai più del nostro comportamento. Mai più tragedie, mai più guerre, mai più incidenti, mai più. Seguono la delusione e poi l’accusa. La storia non regge la missione iniziale, c’è qualcosa della materia bruta che non riesce ad entrare nel making of e annulla le aspettative. C’è disorientamento, come l’effetto di un neon sparato negli occhi, che cancella le sfumature, i rilievi, le profondità. Sempre nella nostra scuola della Cattolica, Alberto Negri, professore di Semiotica del testo audiovisivo, parlava proprio di neon-tv per descrivere l’abbaglio che sembra mostrare le cose in modo più vivido ma in realtà le cancella per sovraesposizione.

    E che facciamo?  Qualcuno comincia a ribellarsi e a parlare dell’assenza di un contesto comune di valori che ci possa tutelare da questi abbagli e dalle false speranze, «ai miei tempi», «eccetera eccetera», fino a pensare che è meglio starsene rintanati nelle nostre piccole comunità, aver voglia di spegnere tutto come soluzione (tentazione a cui in realtà io cedo volentieri, ndr). Anche questo un già visto e previsto. Uscire da questa che i massmediologi chiamano infosfera non è però possibile. Cercare di prenderne le distanze si, almeno per vedere come funziona (riprendere in mano gli appunti di Padre Bini, nel mio caso) o provare a vederci da fuori, come faceva Lorenz con le oche.

    Un’etologia prima dell’etica, e sarebbe già tanto.

    Giusi Di Lauro

  • Dalla Scala a Askatasuna è tempo di polizia musicale

    Dalla Scala al centro sociale Askatasuna di Torino sta vivendo il suo momento magico una sorta di polizia musicale. Dopo la brillante operazione del 7 dicembre con l’identificazione del loggionista da parte della Digos questa mattina è scattata l’operazione della Questura di Torino, che ha coinvolto il centro sociale occupato Askatasuna di corso Regina Margherita 47. A quanto si apprende scrie l’agenzia Ansa sotto la dettatura dei poliziotti l’intervento è stato eseguito, insieme ai vigili del fuoco, all’Asl e agli ispettori Spresal in base al decreto di ispezione firmato dal procuratore aggiunto Vincenzo Pacileo. Questo fa seguito alle iniziative di spettacolo che, senza autorizzazione, Askatasuna svolgeva all’interno dell’edificio occupato alla fine negli anni Novanta. Inoltre durante le serate venivano somministrate bevande e alimenti alle centinaia di persone che pagavano per assistere agli spettacoli. Sono state riscontrate dicono diverse irregolarità agli impianti elettrici, alle uscite di sicurezza, l’utilizzo di caldaie a legna, a pellet e a gas. Ci sono state anche modifiche strutturali all’immobile di proprietà del Comune e rilevate pessime condizioni igienico sanitario, con grave rischio, secondo gli inquirenti, per l’incolumità non solo dei clienti, ma degli stessi organizzatori degli eventi e per chi tutt’ora dorme all’interno di Askatasuna una decina di persone, che oggi sono state denunciate dalla Digos anche per occupazione abusiva dell’edificio.
    Erano già stati sequestrati gli impianti per le serate musicali. Insomma la repressione senza sovversione si occupa di musica perché la Digos non ha niente di meglio da fare. A Milano era stata mandata dal questore a identificare formalmente un loggionista frequentatore della Scala da oltre 40 anni di cui avevano già le generalità. Il questore e il ministro dell’Interno avrebbero dovuto mettere nel conto in anticipo che ne sarebbero nate roventi polemiche. Ma i ciucci presuntuosi o non ci hanno pensato oppure hanno voluto dimostrare che lo stato ce l’ha duro. Giovedì scorso a Milano e oggi a Torino in Askatasuna il centro sociale da cui sono letteralmente ossessionati soprattutto a causa del contributo alla lotta contro il treno dell’alta velocità.
    (frank cimini)

  • 12 dicembre bomba fascista depistaggio antifascista

    Il libro “strage di stato” fu il simbolo della campagna di controiformazione sull’attentato di piazza Fontana che conteneva un giudizio prettamente politico che ha trovato ampio riscontro nella realtà al di là di quello che sostengono statolatri in servizio permanente effettivo sia di vecchia data sia di più recente investitura da parte dei media.

    Ovvio non ci sono prove formali per affermare che uomini dello Stato ordinarono il collocamento della bomba alla sede della Banca nazionale dell’Agricoltura. Furono i fascisti ad agire anche se Freda e Ventura essendo stati già assolti in precedenza non fu possibile processarli ancora per lo stesso fatto e con la stessa imputazione.

    Ma iniziò da subito con la manovra repressiva contro gli anarchici un depistaggio di Stato che dura tuttora e di cui sono responsabili apparati investigativi, di intelligence e forze politiche legate a quello che da sempre viene solennemente e pomposamente definito “lo Stato democratico nato dalla Resistenza antifascista”.

    Per esempio non è stata valutata fino in fondo la presenza in questura a Milano di dirigenti dei servizi segreti arrivati immediatamente da Roma a coordinare le indagini di cui parlano diffusamente l’avvocato Gabriele Fuga e Enrico Malatini nel libro dal titolo “La finestra e’ ancora aperta” dedicato alla morte dell’anarchico Pino Pinelli.

    Quando furono desecretate molte carte negli anni 90 ed emersero quelle presenze dei servizi fino ad allora sconosciute la magistratura non fece il diavolo a quattro per approfondire. Lo Stato non può processare se stesso e si trattava, si tratta del famoso “stato democratico”, anche se a seconda guerra mondiale finita non aveva subito la necessaria defascistizzazione perché gli uomini del ventennio furono utili alla guerra contro i comunisti.

    E ancora. Dal momento che era in corso negli anni 70 uno scontro sociale durissimo sfociato in guerra civile a bassa intensità (ma neanche troppo bassa in verità) ai partiti al governo e all’opposizione tutti insieme affratellati diciamo che non sembrò il caso di andare a vedere che cosa era veramente accaduto a piazza Fontana e dintorni.

    E fu in quel clima in quel contesto politico che si mise la pietra tombale sul caso di Pino Pinelli. Da un lato non potevano più dire che era stato suicidio ma dall’altro non potevano “infangare” le cosiddette forze dell’ordine di uno stato democratico di aver defenestrato un fermato dopo averlo trattenuto per un tempo superiore ai termini fissati dalla legge.

    E così saltò fuori ”il malore attivo” per salvare capra e cavoli firmato da un giudice legato al Pci, Gerardo D’Ambrosio. Si era da due anni in pieno compromesso storico proposto da Berlinguer dopo il golpe cileno. E da lì partirono a livello mediatico una serie di panzane con il commissario Calabresi e Pinelli messi sullo stesso piano, “due brave persone”. Calabresi era il più alto in grado al momento dei fatti, la stanza era la sua. Come minimo sapeva che cosa era accaduto al di là della sua presenza fisica o meno nei metri quadrati dell’interrogatorio. Si guardò bene il poliziotto che alcuni vorrebbero addirittura santo dal raccontare degli 007 venuti dalla capitale. Insomma “il santo” agiva da copertura.

    51 anni dopo rispunta il generale Maletti riparato in Sudafrica a dire di aver saputo che Pinelli veniva interrogato sul davanzale della finestra. Uno dei cinque sbirri dell’interrogatorio Vito Panessa intervistato dice: “Pinelli se l’era cercata”.

    La bomba fascista fu l’inizio di questa storia senza fine, il resto lo dobbiamo ai disastri dell’antifascismo, al di là dei comunicati di quel carrozzone burocratico e inutile denominato Anpi e dell’operazione mediatica di una ragazzetta assurta a storica perché porta (e porta male) il cognome del padre che si ingegna a dire che no non fu una strage di Stato. Lo Stato in quanto tale non può che essere innocente, la religione di lor signori (frank cimini)

  • Su Battisti e Cospito il terrorismo dell’antiterrorismo

    Questa mattina il quotidiano Repubblica ha dedicato una intera paginata per cercare di bloccare l’iter di una richiesta di permesso inoltrata da Cesare Battisti sulla base del fatto che il giudice di sorveglianza di Ferrara ha riconosciuto all’ex esponente dei Pac 540 giorni di detenzione scontati in più. Il dato sommato alle detenzioni già subite tra Francia, Brasile e Italia cumula una reclusione di 10 anni che permette di accedere ad alcuni benefici tra i quali la possibilità di chiedere un permesso premio.
    La richiesta sarà valutata prossimamente e sarà il giudice a decidere la lunghezza e le modalità del permesso. L’articolo del quotidiano fondato da Scalfari ovviamente fa riferimento al fatto che l’eventuale concessione del permesso sarebbe una beffa per i parenti delle vittime.
    Va ricordato che Battisti nel percorso di giustizia riparativa (un modello per molti versi oscurantista e reazionario) che ha intrapreso ha chiesto di incontrare i familiari delle vittime anche se questa circostanza non è indispensabile per accedere ai benefici.
    Dal carcere di Massa dove Battisti di recente è stato trasferito in modo che i parenti residenti a Grosseto possano fargli visita sono state fatte uscire le informazioni che Repubblica utilizza per “scandalizzare” la pubblica opinione nella prospettiva che Battisti condannato all’ergastolo per fatti di lotta armata avvenuti oltre 40 anni fa possa trascorrere qualche ora, perché di questo si tratta, fuori dalla prigione, nell’ambito del principio di risocializzazione per i detenuti.
    Con ogni probabilità nel carcere di Massa c’è qualcuno che cerca di fare carriera e si vende le notizie.
    In questo allarmismo generale in materia di terrorismo vanno ricordate le parole usate dal ministero della Giustizia per motivare sulle informazioni comunicate al sottosegretario Andrea Del Mastro in merito alla detenzione dell’anarchico Alfredo Cospito. I funzionari del Dap spiegavano che quelle informazioni era state rubricate “a divulgazione limitata” in relazione a conseguenze di ordine pubblico. Addirittura era stato esplicitato il pericolo di attacchi alle strutture del ministero nell’ambito delle manifestazioni a favore di Cospito. Queste manifestazioni con la partecipazione di qualche centinaio di persone avevano portato a qualche scontro con le forze di polizia e alla rottura di qualche vetrina. Ipotizzare altri fatti molto più gravi e indubbiamente lontanissimi dalla realtà odierna, una repressione senza sovversione, è da irresponsabili e da persone in mala fede che mistificano anche al fine di sentirsi più importanti.
    (frank cimini)

  • Del Mastro a giudizio, conti regolati dentro il potere

    Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Del Mastro è stato rinviato a giudizio per violazione del segreto d’ufficio in relazione a quanto aveva spifferato al collega di partito Giovanni Donzelli sulla detenzione dell’anarchico Alfredo Cospito. Al di là dell’esito processuale che vedrà in aula Del Mastro il prossimo 12 marzo va ricordato che questa è una storia di un regolamento di conti all’interno del potere sulla pelle di un anarchico detenuto e torturato con l’applicazione dell’articolo 41bis.
    Il discorso riguarda anche le polemiche sul rinvio a giudizio con la discussione sulle eventuali dimissioni di Del Mastro. Alfredo Cospito con la sua battaglia contro il 41bis combattuta anche con un lunghissimo sciopero della fame durato sei mesi non c’entra assolutamente niente con le beghe di lor signori.
    La procura di Roma aveva ribadito la richiesta di prosciogliere del Mastro per mancanza dell’evento sogttivo del reato. Il gup ha deciso diversamente sposando in pratica la stessa linea del gip che aveva imposto l’imputazione coatta.
    Intanto il difensore di Cospito l’avvocato Flavio Rossi Albertini ha depositato il ricorso per Cassazione contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma che aveva confermato il 41bis. Secondo il legale la sentenza del Tribunale non era motivata soprattutto perché i giudici non si erano confrontati con il parere della direzione nazionale antimafia e antiterrorismo che aveva chiesto di far uscire Cospito dal 41bis,disponendo la detenzione in regime di alta sorveglianza, appena un gradino inferiore.
    Per la Dna la pericolosità di Cospito era regredita e non sussistevano più le ragioni del carcere più duro. Il Tribunale invece decideva diversamente arrivando addirittura ad affermare che con lo sciopero della fame l’anarchico aveva accresciuto il suo carisma diventando ancora più pericoloso. Perché evidentemente la lista anarchica è eterna.
    ((frank cimini)

  • Anarchica rischia prendere 11 anni in Ungheria per lesioni

    Una militante anarchica milanese rischia di prendere 11 anni di reclusione, questo il patteggiamento prospettato dalla procura, in relazione a lesioni provocate a esponenti di estrema destra nel corso di una contromanifestazione organizzata a Budapest. Ilaria Salis è detenuta dal febbraio scorso e solo in agosto ha potuto incontrare i genitori.
    Le lesioni provocate agli avversari politici erano guarite in sette giorni senza che vi fosse denuncia dalle parti offese dal reato. Per gli stessi fatti l’Ungheria ha chiesto la consegna tramite mandato di cattura europeo di un altro anarchico Gabriele Marchesi che ha appena ottenuto gli arresti domiciliari dalla corte di Appello di Milano su parere conforme della procura generale dopo un periodo trascorso nel carcere di San Vittore.
    Marchesi non ha prestato il consenso al trasferimento in Ungheria. La difesa rappresentata dagli avvocati Eugenio Losco e Mauro Traini, eccepisce l’insufficiente descrizione dei fatti in relazione ai quali è stato chiesto il consenso. La ricostruzione dell’accusa sarebbe priva della indicazione della condotta personale dell’indagato.
    Stando galle accuse delle autorità ungheresi solo per caso le vittime delle aggressione non sarebbero state in pericolo di vita. Gli aggrediti avrebbero riportato lividi sulle teste e sulle gambe. L’aggressione sarebbe avvenuta usando un’asta telescopica, un martello di gomma e spruzzando gas lacrimogeni. Il processo a Budapest inizierà l’anno prossimo. Il 5 dicembre a Milano i giudici decideranno sulla consegna all’Ungheria di Gabriele Marchesi. Considerando l’assenza di querela di parte in Italia il fatto non sarebbe neppure perseguibile. Per cui la corte d’Appello dovrebbe negare il trasferimento di Marchesi a Budapest. E la concessione dei domiciliari già avvenuta va in questa direzione ma il condizionale è d’obbligo.
    (frank cimini)

  • Sette morti da spiegare – indagati vigili, carabinieri e metronotte

    Rachid, Soufiane, Haxhi, Simone, Giovanni, Taissir, Marinela.  Sono sette (sempre che non ci siano stati altri casi, non resi noti) le persone morte quest’anno durante operazioni di servizio (canoniche e non) di forze di polizia pubbliche e private (escludendo omicidi volontari in contesti familiari o di coppia e tragedie in carcere.) Cinque decessi sono o sembrano legati a interventi dei carabinieri (con il supporto della polizia municipale in una vicenda), uno rimanda all’azione dei vigili urbani, uno a guardie giurate.

    Marinela Murati, Vigevano

    L’ultima vittima si chiamava Marinela Murati, aveva 39 anni, una vita complicata e problematiche psichiatriche La mattina del 3 novembre la donna entra nella chiesa della Madonna Pellegrina di Vigevano (nella stessa provincia  dove il 20 luglio 2021 il l’assessore leghista Massimo Adriatici ha ucciso Youns El Boussetaoui, mandato a processo “solo” per eccesso colposo di legittima difesa). Urla, invoca Allah, si inginocchia sul tappeto destinato a un feretro, disturba i fedeli radunati in attesa del funerale. Il parroco non riesce a calmarla e chiama il 112. Accorrono due agenti della polizia municipale. Marinela, diranno, prova a prendere e rovesciare una statua mariana. I vigili la placcano, la ammanettano e la immobilizzano, atterrata a pancia in giù. Un agente, scrive la Stampa, le blocca la testa, asseritamente per impedirle di picchiarla contro il pavimento. L’altro le tiene ferme le gambe. Marinela si sente male, perde conoscenza e muore. I vigili vengono indagati per omicidio colposo, a loro tutela, anche, in attesa dei risultati dell’autopsia. Nel frattempo restano in servizio.

    Rachid Nachat, Castelveccana

    Il primo nome dell’elenco è quello di Rachid Nachat, 33 anni, spirato il 10 febbraio in fondo a un canalone nel bosco dello spaccio di Castelveccana (Varese).  E stato ucciso, è da capire se per legittima difesa o deliberatamente, da un sottufficiale dei carabinieri in giro con un fucile fuori ordinanza e con due colleghi in borghese, travestiti da cacciatori, a detta loro impegnati in un controllo antidroga. Lo sparatore è il maresciallo capo Mauro Salvadori, comandante del nucleo Radiomobile di Luino, sospeso dal servizio e indagato per ora per omicidio volontario, ipotesi di reato che potrebbe essere modificata o decadere. Sostiene che lo straniero lo teneva sotto tiro con una pistola. Lui prima esplode due colpi con l’arma di servizio, puntando a terra, Poi la Beretta si inceppa e allora usa il fucile a pompa personale che ha con sé, un calibro 12 non di ordinanza, caricato a palle di gomma.  Non si sarebbe accorto di aver colpito l’immigrato e alla schiena. Pensa che sia scappato via. Lo cerca senza trovarlo e rientra in caserma, come se nulla fosse successo. La storiaccia viene fuori a posteriori, dopo la telefonata anonima che segnala un corpo nel bosco e la ricostruzione della perlustrazione tra gli alberi, una “caccia all’uomo”, secondo Marco Romagnoli, uno dei legali del fratello della vittima.

    Soufiane Boubagura, Fara Vicentino

    Il 24 aprile 2023 a Fara Vicentino (Vicenza) perde la vita Soufiane Boubagura, 28 anni. Cammina scalzo per strada, grida frasi senza senso, inneggia ad Allah, si appende a un camion. Qualcuno avvisa i carabinieri, arriva una gazzella con due militari. Il capo pattuglia usa il taser per provare a neutralizzare lo straniero. Ma la pistola elettrica, dirà poi il comandante della polizia locale, Giovanni Serpellini, “non ha funzionato”.  C’è una colluttazione. L’immigrato riesce a sfilare la pistola d’ordinanza all’altro carabiniere e spara, centrando uno dei due vigli urbani spuntati nel frattempo. Spara anche il capo pattuglia dell’Arma, uccidendo l’uomo prima che possa esplodere altri colpi. La procura indaga il militare (il vicebrigadiere Stefano Marzari) e l’istruttore della polizia locale ferito (Alex Frusti), finito in ospedale in condizioni critiche. Si ipotizza l’eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi. La morte estingue i reati addebitabili all’immigrato.

    Haxhi Collaku, Padova

    Il 14 luglio 2023, a Padova, quattro proiettili sparati da un carabiniere fulminano Haxhi Collaku, ex professore di matematica, stalker della moglie, con un ammonimento del questore. Quel pomeriggio va sotto casa della compagna assediata, la bordo di un furgone. La figlia si preoccupa e attiva i carabinieri. L’uomo scende dal veicolo, si lascia controllare e indentificare. Poi sale, accende il motore e preme sull’acceleratore per lanciare il veicolo contro la pattuglia. Smonta dal furgone, con un coltello in pugno, e si avvicina al militare che ha travolto, con gravi lesioni a una gamba. Il collega gli spara e lo ferisce, lasciandogli pochi minuti di vita. Il comandante dei carabinieri di Padova, Gaetano La Rocca, dichiarerà: «Secondo i primi accertamenti, le procedure adottate dai nostri militari sono state impeccabili e completamente aderenti ai documenti d’azione». Il carabiniere che ha utilizzato la pistola, Vittorio Stabile, è indagato dalla procura per eccesso colposo di legittima difesa.

    Simone Di Gregorio, San Giovanni Teatino

    A San Giovani Teatino (Chieti), domenica 13 agosto 2023, c’è un uomo che corre nei pressi della ferrovia, nudo, agitato. Si chiama Simone Di Gregorio, ha 35 anni. Anche qui arriva una pattuglia di carabinieri. Per fermarlo i militari usano il taser, a distanza. Uno dei due dardi sembra non vada a bersaglio o l’uomo comunque non si placa. Viene visto prendere a testate una macchina in sosta. Poi è fermato e caricato su una ambulanza. Gli è somministrato un calmante, non è dato sapere da un medico o un barelliere. All’ospedale di Chieti ci entra morto. I rappresentanti delle associazioni Uniarma e Fsp, prima ancora del deposito dei risultati dell’autopsia, sulla base delle prime indiscrezioni escludono che il decesso sia legato all’utilizzo del taser, corretto o improprio che sia stato. Dovrebbe esserci una inchiesta per omicidio colposo. Non è dato sapere se la pistola elettrica sia stata sequestrata e periziata.

    Giovanni Sala, Milano

    Due vigilantes dell’Italpol, Enrico Scatigno e Dario Vincenzo Carbonaro, sono indagati per la morte di Giovanni “Gianni” Sala di 34 anni e sarebbero state sospesi dal servizio. L’ipotesi di reato è omicidio colposo. Succede tutto nella notte tra il 19 e il 20 agosto. Le telecamere di sorveglianza riprendono la scena, un crudo video rilanciato da Repubblica. Pantaloncini neri, petto nudo, scarpe da ginnastica, l’uomo fa avanti e indietro davanti alla sede Sky di Milano. Sembra alterato. Prova più volte a entrare ed è cacciato via. Torna. Viene atterrato due volte, picchia la testa contro il marciapiede. Un vigilante gli mette un ginocchio sulla schiena, gli si siede sopra e lo immobilizza. Passano sette minuti, il “fermato” smette di respirare. Il collega prova fargli un massaggio cardiaco, ma non serve a niente. E solo a questo punto, troppo tardi, vengono chiamati i soccorritori del 118,- L’autopsia documenta che Giovanni Sala è morto per arresto cardiocircolatorio e non riscontra fatture evidenti o lesioni a livello toracico. “Ciò non vuol dire – rimarca l’avvocato dei familiari, Giuseppe Geraci – che Gianni non sia morto per problemi di soffocamento. Sono state trovate raccolte di sangue, ematomi, sia sotto il collo sia sul viso, alla guancia destra. Questo è indice di una attività pressoria o contusiva”.

     Taissir Sakka, Modena

    La penultima vittima, sempre in circostanze tutte da chiarire, è il trentenne tunisino Taissir Sakka. Lui e il fratello Mohamed Alì, sabato 14 ottobre 2023, bevono, disturbano, infastidiscono i clienti del al circolo Arci di Ravarino, in provincia di Modena. I gestori chiamano i carabinieri. I due vengono portati in caserma, schedati, indagati per ubriachezza molesta e rilasciati, poco prima di mezzanotte. Sembrano tranquilli, ripresi dalle telecamere di sorveglianza.  Si separano. Domenica mattina Sakka è trovato senza vita nel parcheggio del dopolavoro ferroviario e del cinema Filmustudio 76 de capoluogo emiliano, il volto tumefatto, una botta alla nuca. Poche ore dopo il fratello va in questura e denuncia che entrambi sono stati picchiati. La procura comunica di aver iscritto nel registro delle notizie di reato sei carabinieri, uno per minacce, lesioni e “morte come conseguenza di altro delitto” (senza precisare quale) e cinque “solo” per lesioni. L’autopsia non evidenzia traumi correlabili al decesso. Pe avere certezze bisognerà aspettare i risultati degli esami in corso, analisi tossicologiche e isto-patologiche. Per gli indagati per questa morte, e per tutte le altre, vale la presunzione di non colpevolezza.

    Lorenza Pleuteri, giornalista indipendente e collaboratrice di Osservatoriodiritti.it.

     

     

     

     

  • Si a Cd musicale per Cospito ma Dap ricorre. È il 41bis

    Non basta che un giudice di sorveglianza decida che Alfredo Cospito ha diritto ad avere un Cd per ascoltare musica. Il Dipartimento della amministrazione penitenziaria ha presentato ricorso e sarà adesso un collegio a fare la scelta. Insomma il 41bis con le sue durezze anche quelle più assurde non demorde. Nel ricorso si fa l’esempio dei cantanti neo melodici che esaltano la criminalità organizzata. Inoltre il personale penitenziario sarebbe gravato dai controlli da esercitare sui contenuti della musica.
    I canali Tv e radio dovrebbero essere sufficienti secondo il Dap a soddisfare le esigenze dei detenuti che intendono ascoltare musica.
    Insomma siamo al l’accanimento terapeutico esemplificato anche dalla circostanza che gli erano state bloccate un paio di magliette ricevute in regalo perché avrebbero contenuto il disegno di teschi.
    Per ascoltare musica è presumibile che L’anarchico debba aspettare alcuni mesi perché sono questi i tempi del tribunale di sorveglianza per fissare l’udienza sull’impugnazione fatta dal Dap.
    Secondo il giudice Eugenie Giovannelli va rispettato il diritto di ascoltare musica come attività culturale e ricreativa.
    Ma il Dap è lì per cercare il pelo nell’uovo con una dedizione degna di miglior causa. Ovviamente qui siamo ben oltre lo spirito e la lettera dell’articolo 41bis il cui obiettivo è quello di evitare contatti con le organizzazioni criminali di appartenenza. In realtà il carcere duro in queste modalità serve ad annientare l’identità culturale e politica delle persone come del resto succedeva negli anni 70 e 80 con l’articolo 90. La musica per stare in tema purtroppo è sempre la stessa. (frank cimini)

  • La vera storia del sequestro di 779 milioni a Airbnb

    La storia si ripete ancora una volta. La magistratura si occupa di quello di cui non si dovrebbe occupare oltre a occuparsi male e in mala fede di ciò che per dovere le spetta. Parliamo della guardia di finanza che per disposizione del gip attivato dalla procura di Milano sequestra 779 milioni di euro a Airbnb. Ormai da anni scrive il giudice ha assunto la deliberata opzione aziendale di non conformarsi al versamento della cedolare secca per non rischiare fette di mercato in favore della concorrenza. “Da qui il pericolo di aggravare le conseguenze del reato contestato – aggiunge il gip – sia per il mancato incasso del debito erariale da parte della pubblica amministrazione sia per il danno agli altri operatori”.

    Qui non si tratta di difendere l’operato di una multinazionale. E’ il modo di contrastare che suscita perplessità perché considerando la storia di queste indagini per evasione fiscale la procura si sostituisce all’Agenzia delle entrate vantando il nobile fine di recuperare soldi per l’erario che in realtà non dovrebbe rientrare tra le sue attività istituzionali. I pm hanno il compito di portare persone fisiche e giuridiche davanti ai giudici. Punto. Il resto spetterebbe ad altri e il condizionale è d’obbligo visto come vanno poi le cose.

    Sempre a Milano ai suoi tempi, pochissimo temo fa, praticamente ieri, il procuratore aggiunto Francesco Greco, ex sovversivo, fece la sua campagna elettorale per diventare capo dell’ufficio, con una serie di indagini sui cosiddetti colossi del web, dove non si arrivò mai alla celebrazione di processi. Servirono queste pratiche ad acquisire con il concorso determinante dei giornali ulteriore peso mediatico in modo da influenzare il Consiglio Superiore della Magistratura chiamato a decidere sulla nomina.

    La multinazionale di turno, come presumibilmente succederà anche per Airbnb, patteggiava con l’Agenzia delle Entrate dietro la quale si muoveva la procura versando una somma che si sarebbe rivelata non più del cinque per cento di quanto avrebbe pagato se si fosse arrivati a un regolare processo in caso di condanna.

    Tutti felici e contenti si fa per dire. In realtà la multinazionale risparmia una montagna di soldi proprio mentre la magistratura derogando dal suo ruolo si vanta di agire a favore della cittadinanza. Non è una bella storia. Ma niente di nuovo sotto il sole in un paese in cui i magistrati fanno politica aumentando il potere della lo casta, i politici fanno i giudici o illudendosi di farlo. Questa di Airbnb appare come l’ennesima favola che con il contributo dei media incapaci di spirito critico viene rifilata ai lettori e ai cittadini, in verità oppressi e ossessionati da più parti da chi millanta di fare i loro interessi.

    La sensazione è proprio che non se ne esca. Senza speranze in un paese in cui l’evasione fiscale resta altissima per responsabilità principale della politica ovviamente ma come si vede altre categorie altre autorità sembrano fare di tutto per dare il loro rilevante contributo.
    (Frank cimini)

  • Massacro mediatico di un giudice il Csm dorme

    Le cosiddette pratiche a tutela di un magistrato il Csm le apre per molto meno di quello che sta accadendo a Tommaso Perna massacrato mediaticamente dopo aver detto di no a 140 arresti chiesti dalla procura di Milano che ipotizzava una cupola a tre teste Cosa Nostra ‘Ndrangheta e camorra a fare il bello e cattivo tempo in Lombardia.
    “Così la lotta alla mafia torna indietro di 30 anni” – “Non ha capito che il modello di criminalità organizzata si è evoluto” – “Ha fatto copia incolla con il parere di un avvocato” (che c’entra niente con l’inchiesta n.d.r..). Sono i rimproveri le accuse dei colleghi della procura amplificati dai giornali, Il Fatto e Repubblica soprattutto, assetati come sempre di sangue, arresti, condanne. Altrimenti per loro non c’è giustizia.
    Il Csm in questo caso dorme e una spiegazione c’è. La pratica a tutela viene aperta quasi automaticamente se il magistrato finisce nel mirino di esponenti politici. In caso contrario succede nulla o quasi, soprattutto se si tratta di “diatribe” tra magistrati. Al Csm interessa solo se c’è di mezzo la politica. E questo conferma che siamo davanti a un organismo politico, una sporta di terza Camera. Altro che organo di autogoverno della magistratura come da sempre viene pomposamente definito dagli addetti ai lavori, utilizzando un termine sbagliato anche tecnicamente.
    Tanto per fare un esempio. Nell’ambito del caso Eni-Nigeria i pm Paolo Storari e Fabio De Pasquale se ne sono dette di tutti i colori si sono insultati a verbale e anche nell’aula del processo in corso a Brescia che vede imputato De Pasquale.
    Eppure i due magistrati continuano a stare nello stesso ufficio, la mitica procura di Milano perché il Csm brilla sul punto per la sua assenza. Si fa scudo e alibi delle vicende penali in corso.
    Per cui nulla di nuovo sotto il sole se il giudice Tommaso Perna viene lasciato in balia del circo mediatico. C’è stato solo un comunicato del presidente del Trobunale Fabio Roia per ricordare che il controllo del gip sui pm non è patologico ma fisiologico.
    Il giudice che non arresta insomma non ha diritto di essere tutelato da parte di chi sarebbe obbligato a farlo idtituzionalmente. Di recente per il giudice siciliano Iolanda Apostolico il Csm ha aperto la famosa pratica. Ma Appstolico era stata attaccata dai politici di centrodestra. Tommaso Perna di è limitato ad applicare il diritto decidendo che il reato di associazione mafiosa non c’era. I giornaloni schierati con l’arresto a tutti i costi lo stanno trattando come un incapace o un deficiente. Al Csm non frega niente. È la giustizia bellezza, è la libera stampa bellezza. E noi possiamo farci niente.
    (frank cimini)

  • Gip può copiare ma solo da pm, da altri è scandalo

    In un paese in cui praticamente da sempre molti provvedimenti dei gip sono o appaiono dei copia-incolla con le richieste dei pm adesso nel palazzo che fu teatro di Mani pulite fa scandalo che nella motivazione con cui il gip Tommaso Pena ha rigettato 140 richieste di carcere per associazione mafiosa vi sia uno stralcio di uno scritto proveniente da un blog personale dell’avvocato Salvatore Del Giudice.

    Si tratta di un parere del legale espresso in una sede del tutto estraneo all’inchiesta ma che provoca l’indignazione veramente degna di una miglior causa del pm che inserisce la circostanza tra i motivi del ricorso al Tribunale del Riesame.

    La questione veniva sottolineata con forza da un pezzo apposito dal quotidiano Repubblica che per questa vicenda di arresti respinti appare praticamente a lutto. Sulla vicenda interviene il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia per ribadire che il controllo del gip sui pm non è patologia ma fisiologia. “Il gip Tommaso Perna – scrive Roia – ha ricevuto numerose critiche e attenzione mediatica nelle ultime ore da vari organi di stampa con accuse di aver interamente copiato alcuni passaggi chiave da avvocati”.

    Roia aggiunge che c’è stato un assoluto rispetto delle regole codicistiche e di organizzazione del lavoro giudiziario. In pratica risponde a una frattura e differenza di visioni tra alcuni ufficiali dei carabinieri che hanno condotto l’indagine i quali ritenevano ci fosse un altro gip pronto a confermare l’impianto accusatorio. Il presidente del Tribunale precisa di parlare a prescindere dal merito della vicenda che sarà oggetto di ulteriori valutazioni nei gradi successivi di giudizio.

    La procura della Repubblica in un comunicato da’ atto al gip di aver riconosciuto il suo lavoro decidendo 11 arresti e il sequestro preventivo di società e beni riconducibili agli indagati per 225 milioni di euro. “Non ha ritenuto di condividere l’impianto accusatorio in relazione all’esistenza di un’unica struttura associativa. La direzione distrettuale antimafia ha già proposto appello al Riesame” conclude il procuratore Marcello Viola.

    Il Tribunale del Riesame farà la sua valutazione. Comunque va ricordato che il giudice delle indagini preliminari Tommaso Perna ha esaminato per alcuni mesi le carte a partire dal giorno delle richieste di arresto po integrate con altra documentazione allegata. I giudici del Riesame dovranno decidere in pochi giorni valutando la posizione di 140 persone. Insomma almeno al momento appare più probabile una conferma della decisione del gip che un ribaltamento.
    (frank cimini)

  • La mafia a 3 teste non c’è. Da pm buco nell’acqua

    Probabilmente si tratta del flop più clamoroso di chi indaga sulle mafie. La procura di Milano aveva chiesto 153 arresti in carcere ipotizzando una collaborazione tra Cosa Nostra, camorra e ‘Ndrangheta nel capoluogo lombardo. Il giudice delle indagini preliminari ne ha firmato solo 11 spiegando che il reato associativo non c’è e inoltre mancano le prove sulle responsabilità di un cugino di Matteo Messina Denaro le cui generalità evidentemente dovevano servire per fare titolo sui giornali e sui tg.

    L’ipotesi della procura era anche scenografica, spettacolare. I nomi di tre diverse organizzazioni nel corso di riunioni al vertice tra il marzo 2020 e il gennaio dell’anno successivo avrebbero creato un’alleanza in cui le singole componenti davano vita a un’unica associazione all’interno della quale tutto apportavano capitali, mezzi mobili e immobili risorse anche umane, reti di relazione. L’organismo sempre secondo l’accusa avrebbe trovato nell’imprenditore Gioacchino Amico, arrestato, il suo fulcro nell’area milanese, nei pressi di Busto Arsizio e a Magenta.

    Era stato ipotizzato un gruppo che nel rispetto dei rapporti con le cosche di origine avrebbe avuto una propria organizzazione, un proprio autonomo programma, di regole e ritorsioni per chi le violava. Ovviamente la procura nella richiesta di arresto scriveva di contatti con esponenti del mondo politico, istituzionale, imprenditoriale, bancario per ottenere favori, notizie riservate, erogazione di finanziamenti, il tutto per rafforzare la tentacolare organizzazione a tre teste.

    Filippo Crea, presunto s aderente alla ‘Ndrangheta, in una delle tante intercettazioni che dilagano in una ordinanza di 2050 pagine vantava “un bel pacchetto di voti perché posso portare deputati e senatori”.

    Gli indagati si muovevano in diversi settori dalla sanità alla gestione dei parcheggi. La montagna però ha partorito il topolino perché alla fine ci sono stati solo 11 arresti con le accuse a vario titolo di porto d’armi, due estorsioni aggravate dal metodo mafioso, minaccia aggravata, traffico di droga, evasione fiscale.

    Il gip Tommaso Perna spiega che una volta affermata la natura innovativa “addirittura unica nel panorama storico e geografico della nazione, sarebbe stato onere dell’organo requirente quello di individuare e tipizzare una autonoma associazione criminale che mutui il metodo mafioso da stili comportamentali usati da clan operanti in altre aree geografiche”. La procura avrebbe dovuto accertare che l’associazione fosse radicata sul territorio e avesse acquisito in particolare la forza di intimidazione richiesta per integrare il reato di associazione mafiosa. Insomma invece di chiedere gli arresti i pm avrebbero dovuto continuare a indagare. Non l’hanno fatto. Un buco nell’acqua si.
    frank cimini

  • Il “potere dei buoni” di Gaber nel caso Giambruno

    “E’ il potere dei buoni costruito sulle tragedie e sulle frustrazioni/E’ il potere dei buoni che un domani può venire buono per le elezioni”.  Tramortiti dalla tempesta Gianbrunesca, ci viene da pensare al corrosivo Giorgio Gaber e ad accennare qualche riflessione che vale per Giorgia Meloni ma potrebbe valere per Elly Schlein o chiunque altro. Qual è la possibile notizia nel caso che svetta sui media italiani, mettendo a tacere il boato delle guerre sotto i nostri piedi? L’unica che cogliamo, ma non abbiamo per nulla certezza che le cose siano andate così, è che una televisione guidata dagli eredi del fondatore di un partito di maggioranza, possa  aver voluto colpire la premier.

    Al di fuori di questa possibilità, troviamo allucinante che la compagna del conduttore, che nulla c’entrava con quei fuori onda, abbia dovuto oggi pubblicare una lettera in cui comunicare all’Italia intera lo status sentimentale della sua vita privata perché in quanto premier del Paese deve dare una spiegazione manco fossimo negli USA guardoni e bigottoni che mandano a casa i presidenti ,non eventualmente perché conducono guerre discutibili , ma perché hanno annusato un paio di mutande non coniugali. Allucinante anche che tutti noi di fronte ai filmati di ‘Striscia’ (mica hanno  scoperto reati o salvato vite) finiamo con il “godere” della gogna di Giambruno, essendoci ormai assuefatti a un giornalismo televisivo sceso a un livello talmente infimo da farci rimpiangere i fotoromanzi in bianco e nero degli anni ’50. Giambruno ha avuto comportamenti sessisti? Sembrerebbe di sì, sia la sua azienda a deciderlo, non il forcone del popolo in un Paese in cui allusioni e battute di questo tipo, a volte accompagnate da ricatti professionali, sono la regola in molti uffici. E’ giusto “godere” perché la premier ha sempre esaltato la “famiglia tradizionale”? La politica fatta coi ‘fuori onda’ assomiglia troppo alla schadenfreude, il piacere del fallimento altrui.

    “La mia vita di ogni giorno è preoccuparmi di ciò che ho intorno/ogni tragedia nazionale è il mio terreno naturale perché dovunque c’è sofferenza sento la voce della mia coscienza”. Quale coscienza?

    (davide steccanella e manuela d’alessandro)

  • Anche i ricchi bimbi viziati non meritano la gogna

    Nessuno merita la gogna, neanche il più feroce degli assassini e nemmeno dopo la sentenza della Cassazione. Sembrerebbe superfluo dirlo ma in questi tempi bui va precisato per stare alla strettissima attualità neanche i ricchissimi bambini viziati adorati dalle folle perché prendono a calci una palla di cuoio possono subire la sorte toccata in quel di Coverciano nel rito della nazionale a Tonali e Zaniolo.
    Gli inquirenti che da tempo conoscevano i loro nomi come scommettitori su una piattaforma digitale abusiva hanno mandato di fretta la polizia giudiziaria a raccogliere la loro versione dei fatti perché sarebbero stati presi in contropiede dalla notizia arrivata urbi et orbi da Fabrizio Corona che l’aveva addirittura preannunciata per creare suspence.
    Corona è il vero dominus di questa inchiesta. Ne decide in pratica i tempi e le mosse sulla base di informazioni che non si sa da chi arrivino. Le sue parole vengono offerte ai giornali e alle Tv dalle agenzie di stampa con lanci stellettati della massima urgenza che una volta quando questo era un mestiere serio si usavano esclusivamente per notizie boom tipo la morte del Papa.
    Adesso invece accade per avvisi di garanzia che a livello penale porteranno al massimo a un’ammenda dal momento che la scommessa illecita è considerato un reato lievissimo quasi un non reato a meno che il fatto non riguardi gli organizzatori del “giro”.
    Certo c’è in parallelo la giustizia sportiva che rischia di troncare la carriera di questi ragazzi che si trovano ogni mese un bonifico di decine anche centinaia di migliaia di euro, che si annoiano e vanno alla ricerca di dosi di adrenalina. Il pelo di quella lana di cui dispongono in grande quantità evidentemente non basta perché sanno come va a finire.
    La scommessa invece porta sorprese belle o brutte che siano. E loro “giocano” riuscendo persino a indebitarsi nonostante la gran quantità di piccioli a disposizione. Adesso sono al centro dell’attenzione generale vittime di una gogna vergognosa per chi l’ha messa in piedi e per la quale come accade in tutte le gogne non pagherà mai dazio. Colpevoli ancora prima di qualsiasi accertamento per non parlare di processi. Certo ci sono tre calciatori che hanno già ammesso le loro responsabilità. Uno Fagioli spiega di essersi autodenunciato alle autorità sportive ma lo aveva fatto dopo aver saputo dell’indagine della magistratura.
    I pm di Torino mentre indagavano sulla criminalità organizzata si imbattevano nella piattaforma illegale di scommesse con cui i calciatori erano entrati in contatto per il divieto di “giocare” normalmente a puntare soldi. Pensavano di aggirare l’ostacolo ma hanno sbattuto il muso contro il muro. E stanno pagando un prezzo spropositato molto prima che loro responsabilità vengano accertate fino in fondo.
    La storiaccia sembra solo all’inizio. Altri giocatori saranno coinvolti, la gogna continuerà per un bel po’ e bel difficilmente risanerà il mondo compreso il mondo del calcio che fa schifo da tempo immemore. E dove Fabrizio Corona non poteva che trovarsi a suo agio.
    (frank cimini)

  • Cospito, giudici: in 41 bis divieto leggere stampa locale

    Il Tribunale di Torino rigettando il reclamo della difesa ha confermato per L’anarchico Alfredo Cospito il divieto di leggere i giornali dell’area di provenienza perché questo potrebbe aiutarlo a mantenere i collegamenti con l’organizzazione di appartenenza. Secondo il collegio della terza sezione penale va evitato lo scambio di informazioni con altri soggetti facenti parte di una organizzazione terroristica. Le disposizioni stando ai giudici appaiono tutt’altro che discriminatorie verso la persona di Alfredo Cospito e non ci sarebbe alcuna violazione di articoli della Costituzione. Viene citata una sentenza della Cassazione del 2014 che giustifica il divieto causa esigenze di pubblica sicurezza.
    Se ne può tranquillamente dedurre che è in primo luogo la giurisprudenza sul punto ad essere molto poco garantista. E i giudici se ne fanno scudo per lavarsene le mani. Di ricorrere alla Corte Costituzionale mandando gli atti dei procedimenti non se ne parla proprio insomma.
    Lo stesso collegio nell’ordinanza conferma anche il divieto di corrispondenza tra detenuti ristrettì al 41 bis. I difensori Flavio Rossi Albertini e Maria Teresa Pintus hanno presentato ricorso per Cassazione spiegando che l’ordinanza tra l’altro appare senza sufficienti motivazioni. Gli avvocati ribadiscono la necessità di annullare i divieti.
    Dagli argomenti e perfino dai toni e dal linguaggio utilizzato dai giudici emerge la conferma che il 41bis è peggio molto peggio di quello che era l’articolo 90 del carcere duro nei cosiddetti anni di piombo. L’articolo 90 infatti riguardava le sezioni e gli istituti carcerari mentre adesso con il 41 bis si pratica l’accanimento sui singoli reclusi. Lasciando perdere la grande differenza tra il fenomeno di allora e la repressione senza sovversione praticata al giorno d’oggi.
    (frank cimini)

  • Anarchici, da domiciliari a carcere per colloqui “sospetti”

    Gino Vatteroni, anarchico indagato nel processo “Scripta scelera”, dagli arresti domiciliari, sino a mercoledì 4 ottobre, è direttamente passato al carcere ad alta sorveglianza di Alessandria, con il trattamento riservato ai detenuti politici pericolosi, per istigazione a delinquere aggravata, priva di fatti concreti diversi dalla redazione di scritti sulla rivista “Bezmotivny” considerata dagli inquirenti antiterrorismo una sorta di “Metropoli” del terzo millennio.

    Vatteromi è oggetto, con altri, di un’indagine della Digos della Spezia diretta dalla DDA di Genova per due anni, che i contribuenti hanno pagato per scoprire quanto tutti gli abbonati al giornale esclusivamente cartaceo, pubblicato e poi spedito con posta ordinaria e con i normali canali anche nelle carceri, potevano leggere. Questo giornale è stato chiuso spontaneamente dagli indagati per mancanza di soldi il mese prima degli arresti (8 agosto). Nessun fatto concreto, diverso dalla scrittura, contro cose o persone è attribuito agli indagati. Malgrado Procura DDA e Gip di Genova avessero ritenuto il gruppo una cellula sovversiva, il Tribunale della libertà ha stabilito che tale ipotesi di reato non era sorretta da gravi indizi di colpevolezza, negando sempre la custodia in carcere e confermando gli arresti domiciliari rinforzati (con divieto di contatti esterni) e alcuni obblighi di dimora, sugli altri reati (istigazione a delinquere aggravata, in primis) contestati. “Siamo tutti in attesa di leggere le motivazioni di tale provvedimento” dice l’avvocato George Botti.

    Martedì 3 a Vatteroni è stata aggravata la misura e mercoledì 4, dagli arresti domiciliari con braccialetto, è stato collocato in carcere a Massa: gli sono state contestate delle violazioni alle prescrizioni cioè dei colloqui non permessi. Avrebbe parlato con due persone ritenute “sospette” per fatti accaduti ormai molti anni fa, violando le prescrizioni relative al provvedimento restrittivo. Poi da Massa alla casa di reclusione di Alessandria.
    L’incensuratezza di questo cinquantaseienne e la ritenuta, da un collegio di tre magistrati, insussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il associazione sovversiva finalizzata al terrorismo evidentemente poco conta innanzi al fatto che Gino Vatteroni da una vita si professa dichiaratamente ed apertamente anarchico. Ad avviso di Procura e DAP del Ministero, l’esistenza di un’aggravante al reato di istigazione basta per l’alta sicurezza in carcere.
    Il difensore farà appello al Tribunale del Riesame contro l’aggravamento della misura cautelare deciso da un gip che ha fatto copia e incolla con la richiesta della procura. Entrambi evidentemente “avvelenati” per essere stati smentiti dal Riesame che aveva cancellato il reato più grave. La rivista così tanto pericolosa per la sicurezza dello Stato e per l’ordine pubblico stava anche in bacheca in una pubblica via di Carrara, città da secoli sospetta perché centrale nell’attività anarchica. Insomma altra aggravante.
    ( frank cimini)