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  • Giustizia 2.0, ma le sentenze via internet valgono zero

    File elettronici, posta certificata, notifiche telematiche: il tribunale di Milano è ufficialmente uno dei più avanzati d’Italia nei processi di evoluzione tecnologica, destinati a garantire a costi minori una efficienza maggiore della macchina giudiziaria. Peccato che poi tutto inciampi sul più arcaico degli ostacoli. Perché le copie delle sentenze civili viaggiano su Internet, ma poi perché valgano davvero qualcosa è necessario che, come al buon tempo antico, vengano stampate su carta, portate a Palazzo di giustizia, e poi – dopo la solita, ciclopica coda davanti alla cancelleria civile, con tanto di ‘numerino’ come alle Poste – vengano firmate e timbrate dal cancelliere. Un controsenso che finisce quasi col neutralizzare gli effetti positivi della campagna di modernizzazione portata avanti in questi anni. Perché non si riesca a rimediare a questo nonsenso è un mistero fatto di burocrazia, risorse, normative, insomma un groviglio quasi inestricabile. Dal punto di vista tecnologico, ovviamente nulla impedirebbe che la copia notificata partisse già dall’ufficio del cancelliere con la firma elettronica certificata dal pubblico ufficiale. Un progetto, in questo senso, per la cosiddetta ‘copia di conformità elettronica’, esiste da tempo ma fatica a decollare davvero. Così si continuano a sprecare: carta, toner per stampanti; tempo degli impiegati e/o collaboratori degli studi legali; tempo dei cancellieri addetti alla stampa e alla firma della copia cartacea. E tutto questo è reso ancora più singolare dal fatto che già oggi agli avvocati viene riconosciuta la facoltà di certificare un atto quando – su citazione, ricorsi e impugnazioni – attestano l’autenticità della firma del loro cliente. E che per far valere la sentenza (ricevuta per mail da un indirizzo di posta elettronica del ministero della Giustizia) debbano arrampicarsi su per gli immensi scaloni del palazzaccio milanese suona  davvero come un retaggio del ventesimo secolo. (orsola golgi)

     

  • ‘Vergogna!’, 200 testi devono aspettare la pausa caffé

    “Vergogna, vergogna!”. La rivolta dei testimoni esplode alle undici quando un carabiniere si sporge dall’aula della quarta sezione penale e annuncia: “Pausa caffé di dieci minuti”. Siamo al processo per le presunte firme false a sostegno di Roberto Formigoni alle Regionali del 2010 a carico del presidente della Provincia di Milano Guido Podestà e di quattro consiglieri. Quasi duecento persone, convocate alle 9 e 30 di stamattina, sono qui per ribadire quanto già detto ai pm durante le indagini, che le firme necessarie per la presentazione del listino del Celeste e la conseguente elezione di Nicole Minetti non le hanno messe loro. “Non potevano farci venire qui a scaglioni visto che siamo così tanti? Oggi è una giornata di lavoro…”, protesta una ragazza inviperita. “Neanche una sedia per gli anziani che sono in piedi da ore”, osserva un altro testimone. In effetti, qualcuno ha l’aria molto provata. Le deposizioni durano un paio di minuti ciascuna. Il pubblico ministero mostra la lista al testimone e domanda se riconosce la sua firma. La risposta è invariabilmente: “No, non è la mia”. La necessità di fare venire decine di persone in Tribunale si spiega col fatto che le difese non avevano accolto la richiesta della Procura di acquisire agli atti le dichiarazioni con cui affermavano che le firme non erano loro. “Abbiamo rifiutato perché le prove a carico di un imputato  si formano in sede dibattimentale”, spiega l’avvocato Gaetano Pecorella, legale di Podestà. Ma chi aspetta ha individuato il colpevole: “Questa è la magistratura, noi qui ad aspettare e loro a bere il caffé”. Sembrano quasi tutti elettori del centrodestra. Ergo, le firme non erano loro ma se gliele avessero chieste, forse le avrebbero messe volentieri. (manuela d’alessandro)

  • Donna incinta travolta, le scarpe del bimbo non trovato

     

    Le scarpe da ginnastica nero – arancio che vedete nella foto qui sopra erano del bambino egiziano di quattro anni investito e ucciso domenica scorsa a Milano insieme alla mamma incinta. “Le ho viste a una trentina di metri dall’incidente e ho chiesto ai vigili di chi fossero perché non mi sembravano scarpe da donna”. Maurizio Maule, esperto fotografo milanese che ha raccontato in immagini decine di fatti di cronaca negli ultimi anni, racconta a Giustiziami un risvolto inedito sull’incidente avvenuto in viale Famogosta per il quale è indagato con l’accusa di omicidio colposo plurimo il conducente dell’auto, uno studente di 28 anni. Quando il fotografo vede quelle scarpe, l’unica persona di cui i vigili hanno certificato la morte è la donna col piccolo che portava in grembo da sette mesi. Solo più di un’ora dopo, all’ospedale, il marito spiegherà ai medici che con lei c’era il figlio di quattro anni e scatteranno le ricerche del bimbo. “Il vigile a cui ho chiesto di chi fossero le scarpe – prosegue Maule – mi ha detto che probabilmente appartenevano a un figlio della vittima che però non era con lei. Infatti sulla strada sono state trovate anche delle buste di plastica azzurre dentro cui c’erano dei vestitini da bambino”. L’ipotesi dei vigili era dunque che le scarpe fossero saltate fuori dalla busta quando la donna è stata travolta e, per questo, si trovavano a qualche metro di distanza dagli abiti della piccola vittima.   L’inchiesta coordinata dal pm Marcello Musso punta anche a far luce su eventuali negligenze dei vigili che non hanno visto subito il corpicino, trovato dietro un guard – rail. Dai primi esiti dell’autopsia, non ancora ufficiali, emergerrebbe che il bambino forse poteva essere salvato se i soccorsi fossero stati tempestivi. (manuela d’alessandro e roger ferrari)

  • Milano, Genova, Pavia: superdirigente Expo 2015 collezionista di inchieste

    Pochi giorni fa la Procura di Milano ha chiesto di processare Francesco Errichiello, dirigente generale di Expo 2015, superconsulente del Ministero delle Infrastutture per la manifestazione attraverso la quale, promette Enrico Letta, “passerà il rilancio del Paese”. Questo è l’ultimo capitolo di una ‘storia giudiziaria’ poco reclamizzata che sta cominciando a diventare ricca e imbarazzante per il ‘grand commis’, indagato anche dai pm di Genova e Lodi. A Milano è coinvolto in due inchieste, entrambe per fatti risalenti a quando  ricopriva l’incarico di Provveditore alle Opere Pubbliche di Lombardia e Liguria, prima di dedicarsi all’Expo. Il 15 ottobre scorso il pm Letizia Mannella  ha chiesto il suo rinvio a giudizio per abuso d’ufficio perché avrebbe concesso favori indebiti a un dipendente dell’Anas, Vincenzo Nardulli. In sostanza, quest’ultimo, nonostante l’Anas sia diventata nel 2002 una società privata per azioni, avrebbe continuato a godere per 10 anni dei benefici riservati a un dipendente del Ministero delle Infrastutture e dei Trasporti, come “l’utilizzo gratuito di un alloggio demaniale, il godimento di trattamenti economici accessori spettanti esclusivamente ai dipendenti del Ministero ed il beneficio di una retribuzione e di ore di lavoro straordinario maggiormente retribuite rispetto agli impiegati ministeriali, con conseguente aggravio delle casse dell’Erario per oltre 83mila euro”. Nella richiesta di rinvio a giudizio i pm indicano come parte offesa proprio il Minsitero delle Infrastutture e dei Trasporti per conto del quale Errichiello svolge attività di studio e ricerca. Sempre a Milano, Errichiello è indagato per turbativa d’asta per avere favorito una società napoletana, la Lica Costruzioni srl, ad “aggiudicarsi” l’appalto “dei lavori di ristrutturazione” di una scuola di formazione del personale del Ministero della Giustizia, in provincia di Mantova. Di pochi giorni fa è la notizia che Errichiello è indagato anche a Pavia (la Procura aveva anche chiesto il suo arresto) nell’ambito di un’inchiesta che ha portato in manette un geometra e un’altra persona, accusate di avere tentato di farsi consegnare 150mila euro  da un dirigente del Ministero dell’Ambiente. Infine, sempre per una vicenda di presunti appalti truccati il superconsulente è indagato dalla Procura di Genova. Al momento non risulta che qualcuno abbia chiesto le sue dimissioni e dal sito dell’Expo sappiamo che Errichiello guadagna uno stipendio lordo di 145146,29 euro. (manuela d’alessandro)

     

     

  • Proto condannato, zero righe… la coscienza sporca dei giornali

    Per mesi e mesi i giornali avevano dato credito e spazio ad Alessandro Proto, finanziere che inondava le redazioni di comunicati presentandosi come compratore di azioni di società quotate da Rcs a Tod’s e scalatore. Ieri Proto, che si era pure candidato alle primarie poi non pervenute del Pdl, è stato condannato tramite patteggiamento a 3 anni e 10 mesi per aggiotaggio, truffa e ostacolo alla Consob. Oggi sui giornali, al di là di poche righe sul Sole 24ore, non c’è nulla.

    E’ la truffa dei giornali ai loro lettori. Non hanno scritto nulla della condanna perchè magari avrebbero dovuto ricordare il loro contributo alla costruzione del personaggio Proto. Nel momento in cui un mitomane con un po’ d’ inchiostro arriva a tanto va detto che è il sistema a non funzionare e che non esistono in pratica anticorpi. Tra i molto presunti anticorpi la Consob, parte civile al processo, arrivata dopo l’inchiesta dei magistrati e che non ha incassato alcun risarcimento. Non è la prima volta, non sarà l’ultima. Nel passato recente c’è l’esempio clamoroso della fallita scalata di Fiorani ad Antonveneta. (frank cimini)

  • Un tris in Cassazione dà speranza alla ‘ndrangheta padana

    Tre indizi forse non fanno una prova, ma i presunti boss e affiliati alla ”’ndrangheta padana”, così definita dai magistrati di Milano, possono tornare a nutrire speranze. Se da un lato, infatti, le cosche radicate al nord hanno subito in questi ultimi 3-4 anni i colpi della Dda milanese con centinaia e centinaia di arresti, tramutati poi in migliaia di anni di carcere, dall’altro per i ‘padrini’ sono arrivate dalla Cassazione tre belle botte di fiducia.

    La Suprema Corte, infatti, nel giro di un anno e mezzo ha già annullato con rinvio a nuovi processi d’appello ben tre procedimenti che vedevano al centro presunti clan infiltrati nel tessuto economico e sociale lombardo. Annullamenti, in particolare, del reato di associazione mafiosa che hanno prodotto e stanno producendo come effetti le scarcerazioni di numerosi presunti boss.

    Di ieri la notizia che gli Ermellini hanno annullato le condanne fino a oltre 12 anni che erano state inflitte dalla Corte d’Appello di Milano a una presunta ‘ndrina attiva in Brianza. Dovrà tenersi quindi un nuovo appello e intanto a breve Marcello Paparo, presunto capo clan, potrebbe ottenere la scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Stamattina, invece, è cominciato l’appello ‘bis’ di un altro processo le cui condanne erano state annullate lo scorso giugno, quello ribattezzato ‘Parco Sud’ ai Barbaro-Papalia di Buccinasco. Nei giorni scorsi, molti degli imputati, tra cui il 76enne Domenico Barbaro detto ‘Nico L’Australiano’, sono tornati in libertà.

    Nella primavera del 2012 un altro procedimento, ‘Cerberus’, ai Barbaro-Papalia era stato cassato e rispedito in appello, dove le condanne sono state poi riconfermate qualche mese fa. La palla dunque tornerà alla Suprema Corte, dove nei prossimi mesi approderà anche il processo ‘del secolo’ alla ‘ndrangheta al nord: 110 condanne in primo e secondo grado, un migliaio di anni di carcere per i capi e gli affiliati delle 15 cosche sparse per la Lombardia e spazzate via nel 2010 dall’operazione ‘Infinito-Tenacia’. (Igor Greganti)

  • Proto patteggia, truffati furiosi perché non vedranno un soldo

    “E ora vedo per me un futuro ricco  di successi professionali”. Proto, il presunto trader che ha beffato per mesi il mercato facendogli credere di essere l’astro nascente della finanza tanto da meritarsi la copertina del ‘Financial Times’, si definisce “soddisfatto” per avere patteggiato tre anni e dieci mesi per le accuse di aggiotaggio, ostacolo alle autorità di vigilanza e truffa. “Spiegatemi come faccio adesso a spiegare ai miei clienti che lui è contento, mentre loro sono arrabiatissimi”, si chiede l’avvocato Marzia Centurione Scotto, legale di tre delle quindici parti civili costituite nel processo, una parte delle “22 pesone offese truffate con danni dai 500 ai 300mila euro”. Con la sentenza di patteggiamento non può esserci nessuna condanna al risarcimento e adesso, continua il legale, “resta solo la via del giudizio civile che però non me la sento di consigliare. Dai nostri accertamenti risulta che Proto è nullatenente e con questa premessa non vale la pena buttarsi in una causa che può durare anni”. In realtà, i truffati non credono che Proto sia proprio all’asciutto e sospettano abbia nascosto un ‘tesoretto’ da qualche parte, magari in Svizzera dove ha vissuto ed è sotto indagine.”Con la sentenza di oggi – lamenta l’avvocato Centurione – si chiude anche la possibilità di cercare il denaro sottratto che, sino al giorno prima dell’arresto, è stato versato in contanti o tramite bonifico sui numerosi conti riconducibili all’imputato. Peccato non ci sia neppure l’estratto conto storico per sapere dove sia finito!”. Ma c’è qualcosa che più ancora dei risarcimenti svaniti oggi fa inviperire le ‘vittime’ di Proto.  Lo spiegano Centurione Scotto e Michele Toma, legale di una parte civile che lamenta il danno record di 300mila euro.  “Vedere che è ancora attivo il sito della Proto Organization con anche la rassegna stampa degli affari e delle scalate inesistenti per le quali oggi è stato condannato”. La “beffa”  per loro è che tra le  parti civili figurano anche società del gruppo Class Editori che hanno ospitato sulle riviste del gruppo le bugie di Proto sulle operazioni inesistenti e che continuano a lodare ‘involontariamente’ le sue gesta sul sito. Per i prossimi due anni il Tribunale oggi ha stabilito che Proto non potrà esercitare attività commerciali. Forse dovrà aggiornare la sua pagina Linkedin dove illustra le attività della Proto Enterprises Holding Inc fino a “ottobre 2013” tra “Londra, Milano, New York e Singapore”. Del resto, “Boldness is all”, la sfacciataggine è tutto, questo il motto che campeggia nel profilo di Alessandro Proto sul social network del lavoro. (manuela d’alessandro)

     

     

     

  • Daccò e Guarischi dai viaggi con Formigoni alla stessa cella

    La Procura di Milano li considera in due inchieste distinte sulla sanità lombarda i ‘cavalier serventi’ che hanno offerto viaggi e vacanze sullo yacht a Roberto Formigoni. Ora si viene a sapere che l’estate scorsa Pierangelo Daccò e Massimo Gianluca Guarischi hanno condiviso la cella nel carcere di Opera in un reparto riservato, di solito, ai ‘colletti bianchi’. Certo appare un caso bizzarro che i due, coinvolti in indagini per molti aspetti ‘gemelle’ , siano finiti proprio nello stesso angolo di prigione, fianco a fianco. A quanto appreso da Giustiziami, i pm che coordinano le indagini sarebbero venuti a conoscenza della strana coabitazione solo dopo che Daccò ha lasciato Opera per essere trasferito, a settembre, nel carcere di Bollate. Sembra peraltro che l’ex consigliere regionale di Forza Italia abbia accolto con sollievo la fine della convivenza con l’ex uomo d’affari, già condannato a nove anni di carcere per il crack del San Raffaele, col quale dietro le sbarre non sarebbe nato un grande feeling. L’inchiesta sulla Fondazione Maugeri per Daccò e quella sulle presunte mazzette pagate dagli imprenditori Lo Presti per Guarischi hanno rivelato numerose escursioni, anche in lidi esotici, offerte al ‘Celeste’ in cambio di favori. Daccò è ora imputato nell’udienza preliminare per le consulenze milionarie all’Istituto ospedaliero privato Maugeri, che di lui si sarebbe avvalso “per aprire le porte in Regione”, grazie alla sua amicizia con l’ex Governatore, a sua volta accusato di associazione a delinquere e corruzione.  Sono ormai storia quelli che Formigoni aveva definito “viaggi di gruppo”, tra cui capodanni extra-lusso alla Antille sullo yacht, offerti dall’ex mediatore, in carcere dal novembre del 2011. Variegato anche il catalogo delle ‘gite’ a libro paga di Guarischi: Oman, Valtellina, Croazia, Sardegna. Secondo i pm, l’ex consigliere, per il quale è iniziato da poco il processo, avrebbe fatto da mediatore per le mazzette versate dall’imprenditore sanitario Giuseppe Lo Presti a pubblici funzionari del Pirellone ancora da individuare. In una tranche ancora aperta di questa vicenda, Formigoni risponde di corruzione e turbativa d’asta. (manuela d’alessandro e nino di rupo).

  • Mauro Masi interrogato sui voli di Stato dell’ex ministra Brambilla

    Il Tribunale dei ministri ha avviato l’istruttoria nel processo a carico di Michela Vittoria Brambilla, responsabile del Turismo nell’ultimo governo Berlusconi, accusata di peculato per l’utilizzo di aerei ed elicotteri di Stato. L’inchiesta condotta dal pubblico ministero Letizia Mannella è stata incardinata davanti alla sezione milanese del tribunale dei ministri, che – con una procedura simile a quella prevista nel vecchio codice di procedura penale – conduce anche le attività di indagine. In questa veste il collegio speciale ha interrogato nei giorni scorsi Mauro Masi, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Masi avrebbe spiegato ai giudici che nel periodo interessato dall’inchiesta, intorno al 2010, aveva già lasciato l’incarico a Palazzo Chigi. (altro…)

  • Pena enlargement per l’ex ‘mr. preferenza’ del Pirellone

    ‪Continua a essere il numero uno. Il primo dei consiglieri regionali targati Formigoni a essere stato condannato. E anzi, nella speciale graduatoria, allunga il passo sugli inseguitori che dopo di lui potrebbero collezionare sconfitte giudiziarie. Certo, non si può dimenticare che per Massimo Ponzoni, ex mister preferenze lombardo, la Procura di Monza ha da poco chiesto una condanna a otto anni e tre mesi di reclusioni per una sfilza di reati. Ma la sentenza a carico dell’altro mister preferenze di era formigoniana, Gianluca Rinaldin, Pdl, mietitore di voti nel comasco, ora è stata anche confermata in appello. Condanne che lievitano lentamente. L’8 ottobre 2012, in primo grado, due anni e mezzo. Ieri invece la quarta corte d’appello, presieduta dal giudice Francesca Marcelli, sembra quasi aver calcolato gli interessi: per Rinaldin, in secondo grado la pena è salita a due anni e nove mesi di reclusione. La Corte d’appello è stata meno clemente dei giudici di prime cure su una parte dei reati per cui l’ex consigliere e assessore regionale al Turismo era stato assolto in primo grado. Accolta una parte del ricorso del pm Luca Poniz, quella sulla truffa ai danni della Regione. Confermata invece l’assoluzione dall’accusa di corruzione. (nino di rupo)

  • Il giudice ‘furbetto del quartierino’ col pass scaduto

    Rassegniamoci, siamo in Italia. E così neanche un giudice sfugge alla grande tentazione nazionale della furbizia. Quel giudice di Milano – e non è certo l’ultimo arrivato – che esibisce sul cruscotto dell’auto un pass per la sosta libera (strisce gialle e blu, senza pagare come noi bifolchi) scaduto da 20 mesi. Scaduto a febbraio 2012, ma camuffato sotto un altro permesso, quello per la circolazione nelle corsie riservate, quest’ultimo valido fino a ottobre dell’anno prossimo. Dice, la toga, che neanche lo sapeva, che non ci aveva fatto caso, e che comunque a lui quel pass non serve, perché l’auto la usa solo per andare da casa al Tribunale, dove ha il posteggio riservato. Quindi no, lui non è certo ascrivibile alla categoria dei furbi. Ma se il pass non gli serve, perché poche settimane fa ha fatto richiesta al Comune per averne (finalmente) uno valido? (pm10)

  • Rubyter, pacco-regalo di Natale dei pm a Berlusconi

    Entro il 22 novembre ci sarà il deposito della sentenza Ruby, entro il 3 dicembre quello di Ruby2. A quel punto il capo della procura Bruti Liberati e l’aggiunto Ilda Boccassini daranno concretezza come atto dovuto all’invito che i giudici dei due processi avevano rivolto ai pm con la trasmissione degli atti riguardanti diverse false testimonianze: indagare su Silvio Brelusconi, sui 2500 euro mensili a 32 olgettine le cui deposizioni in aula avrebbero affermato cose lontane dal vero, su Mariano Apicella, sulla funzionaria di polizia Giorgia Iafrate, sulle presunte irregolarità nelle indagini difensive degli avvocati Ghedini e Longo.

    Insomma si chiamerà Rubyter, il pacco-regalo che entro Natale la procura di Milano farà recapitare all’ex presidente del Consiglio dei ministri, il quale con ogni probabilità si vedrà pure sequestrare i conti correnti presso l’Mps dai quali partivano e partono in verità tuttora i versamenti alle ragazze “al fine di risarcirle almeno in parte dei danni mediatici subiti a causa del clamore dell’inchiesta”.

    Il Cavaliere correrà pure il rischio di una misura cautelare personale che potrebbe portarlo in carcere o ai domiciliari dal momento che nel frattempo avrà perso l’immunità che gli deriva dallo status di senatore della Repubblica. La stessa sorte potrebbe toccare alle olgettine, in un’inchiesta che sembra destinata a chiudersi in tempi brevi con la richiesta di rinvio a giudizio per corruzione in atti giudiziari, reato contestato a chi paga testimoni affinchè dicano il falso. Rubyter un bis del caso Mills, per capirci. Con la differenza che stavolta la prescrizione è lontana, lontanissima, considerando che i pagamenti sono in corso. L’accusa, insomma, appare molto più provata di quella del processo principale a carico del Cav dove è lecito dubitare circa la rilevanza penale di comportamenti politicamente e moralmente deplorevoli. In altri paesi un premier che chiama la polizia per far liberare aumma-aumma una minore sparisce dalla vita pubblica per il resto dei suoi giorni al di là di eventuali risvolti penali. Qui invece, citando Marco Pannella, “s’è fatto un processo per stabilire se ci fu penetrazione”. (frank cimini)

  • Quaranta operai a caccia di una talpa

    Si è aperto questa mattina davanti alla quarta sezione penale del tribunale di Milano, presieduta da Oscar Magi, il processo per la singolare e misteriosa vicenda del dossieraggio a carico dei lavoratori dell’ex Alfa Romeo di Arese. Sul banco degli imputati Angela Di Marzo, titolare di alcune società di sicurezza aziendale, accusata di istigazione alla rivelazione di segreti d’ufficio. Manca, perchè nonostante le lunghe indagini della Digos non è mai stato identificato, il complice della Di Marzo: ovvero colui che – probabilmente dall’interno dei carabinieri o della prefettura milanese – passò alla donna un appunto riservato del nucleo Informativo dell’Arma. Era un appunto sulla figura di Corrado Delle Donne, leader storico dei cassintegrati Alfa Romeo e oggi alla testa delle lotte per il reintegro degli ultimi dipendenti della azienda di Arese. Della Di Marzo le cronache si sono dovute occupare in un recente passato anche per un altro episodio di natura analoga, il ritrovamento di una falsa microspia nell’ufficio del city manager di Milano Giuseppe Sala, per il quale è stata processata e assolta. (altro…)

  • Figli Craxi rinunciano a eredità cimeli Garibaldi, all’asta

    Trecentocinquantamila euro: tanto vale la collezione di cimeli garibaldini lasciata da Bettino Craxi, l’ex segretario del Partito Socialista ed ex Presidente del Consiglio morto nel 2000 ad Hammamet, dove si era ritirato per sottrarsi agli ordini di cattura. Un piccolo museo che Craxi aveva accumulato nel corso degli anni, tra fiere dell’antiquariato e mercatini, inseguendo la sua passione per l’eroe dei Due Mondi. E che invano aveva cercato di far arrivare nella sua villa tunisina: l’intera collezione, chiusa in alcune casse che ufficialmente contenevano lana  grezza, venne intercettata nel 1997 dalla Guardia di Finanza nel porto di Livorno, mentre stavano per essere imbarcate nel porto maghrebino. Da allora, il ‘museo’ di Craxi è rimasto al centro di una lunga e farraginosa vicenda giudiziaria, che ora torna alla luce grazie all’annuncio pubblicato su ‘Il Giornale’ oggi dal commercialista milanese Paola Grossini, incaricata dal Tribunale di Milano di mettere all’asta l’intero lotto. Un destino malinconico anche perché la vendita giudiziaria è conseguenza della decisione degli eredi di Craxi – la moglie Anna e i figli Stefania e Bobo – di rinunciare all’eredità del celebre congiunto.
    (altro…)

  • de petris ‘il duro’ sarà la pubblica accusa nell’appello ruby

    Dopo Ilda Boccassini, un altro ‘osso duro’ per Silvio Berlusconi nella vicenda Ruby. Secondo quanto apprende ‘Giustiziami’, a rappresentare la pubblica accusa nel processo d’appello a carico dell’ex premier, condannato in primo grado a cinque anni di carcere, dovrebbe essere Piero De Petris, considerato uno dei sostituti procuratori generali milanesi più rigorosi ed esperti. Le sue requisitorie sono molto efficaci e puntuali e non lasciano mai spazio all’enfasi, neppure quando riguardano personaggi noti. Tuttavia, c’è un precedente tra i due che può far ben sperare Berlusconi, almeno in chiave scaramantica. (altro…)

  • Berlusconi, l’affidamento, il cane e due gatte

    Il Cav ha finalmente chiesto l’affidamento in prova ai servizi sociali mettendo fine alla spasmodica attesa dei cronisti i quali a un certo punto avevano pensato che a portare l’istanza in Tribunale, reggendola con i denti, sarebbe stato Dudù, il cane di Francesca. Non è stato così. Dudù avrebbe rischiato di litigare con Nunzia Gatto, il pm responsabile del dipartimento esecuzione pena. E ancora. Salendo all’ammezzato del quarto piano, al terzo avrebbe potuto incrociare Anna Maria Gatto, presidente del collegio del processo “Ruby2”, che tra pochi giorni depositerà le motivazioni delle condanne di Fede, Minetti e Mora, dove ci sarà l’invito ai pm a indagare il Cavaliere per i soldi alle olgettine testimoni (false secondo i giudici). Insomma, quella di Dudù sarebbe stata una missione a rischio. E allora lo zoo si ferma a falchi e colombe che agitano le notti insonni di Silvio. C’era una volta la passera (frank cimini)

  • “Carceri disumane, libertà vo cercando”. Da Hassan H. sponda a Napolitano

    Per “accompagnare i taralli” (classico idioma norvegese) del messaggio alle Camere di Napolitano, Hassan H., 28 anni, egiziano, detenuto dal 5 settembre a San Vittore per spaccio di hashish, chiede con il suo legale al giudice del processo per direttissima di essere scarcerato. “Condizioni di detenzione disumane, in 6 in una cella di metri 2,5 per 4,5 con tre letti a castello” è scritto nell’istanza che ricorda: “Le misure coercitive sono immeditamente revocate, art 299 cpp, quando risultano mancanti le condizioni di applicabilità delle singole misure…. Per la Costituzione istituto di custodia deve essere istituto di custodia conforme alle norme poste a tutela del detenuto”. (altro…)

  • Giustizia didattica, processare gli studenti e assolverli

    Portarli a processo, fino alla sentenza, per insegnargli che per un’ occupazione, uno slogan gridato e qualche spinta alle forze dell’ordine si rischia di sporcare la propria fedina penale e di rovinarsi il futuro. E poi assolverli, come se non fosse successo nulla di grave, ma dopo almeno un anno di dibattimento.

    E’ la giustizia ‘didattica’ sperimentata, negli ultimi mesi, in alcuni processi a carico degli studenti che a Milano si sono resi protagonisti di manifestazioni di protesta per provare a sfogare la classica rabbia giovanile che trova sempre meno canali. (altro…)

  • il 16/12 fissata cassazione abu omar, ora pollari rischia il carcere

    La Cassazione ha rotto gli indugi e fissato il processo che dovrà decidere se confermare o respingere la condanna inflitta nell’ appello – bis a Niccolò Pollari e Marco Mancini per il sequestro dell’ex imam di Milano Abu Omar. A quanto apprende ‘Giustiziami’, la Suprema Corte si riunirà il 16 dicembre prossimo per valutare la vicenda e la possibilità che gli ex vertici del Sismi finiscano in carcere adesso si fa concreta. (altro…)

  • La perizia che farà condannare Kabobo

    Un uomo all’alba uccide a picconate tre passanti perché ha sentito delle “voci”. A chi lo interroga in carcere mesi dopo racconta di considerare “pazzo” suo fratello che tentò di massacrare con un machete la madre. Quell’uomo col piccone è matto? E, se lo é, va processato o deve essere spedito senza pensarci in un ospedale psichiatrico?

    La perizia che ha dichiarato oggi ‘capace di intendere e di volere’ Adam Kabobo, il ragazzo di origini ghanesi che l’11 maggio scorso terrorizzò Milano, interpella il concetto di libertà dell’essere umano. Per gli autori della consulenza disposta dal gip Andrea Ghinetti (consultabile nella sezione ‘Documenti’), Kabobo soffre di schizofrenia ma, quando sferrò a caso il piccone, la sua capacità d’intendere (comprendere il significato delle proprie azioni) “non era completamente assente” e quella di volere (controllare gli impulsi) era “sufficientemente conservata”. (altro…)

  • Gli amici e quelle “maglie celebrative” per Formigoni in vacanza

    Tutti per uno, uno per tutti. Quattro amici rilassati a poppa, su un tavolo piatti e bicchieri sparsi dopo uno spuntino, in fondo il bel mare della costa dalmata. I ‘moschettieri’ dell’ex ‘re’ lombardo, Roberto Formigoni, sfoggiano orgogliosi polo ”marinaresche” con la scritta “President Roberto – Sailing Team Croazia 2009”. Maglie che, ipotizzano gli investigatori, sono state “prodotte a fini celebrativi di una visita di Formigoni” nel Paese balcanico. La foto souvenir è contenuta in una pen drive acquisita nell’ambito dell’inchiesta su presunte tangenti nel mondo della sanità lombarda, che coinvolge anche l’imprenditore ed ex consigliere regionale di Forza Italia Massimo Gianluca Guarischi. Ex politico che, secondo le indagini della Dia e dei pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio, avrebbe raccolto le mazzette versate dagli imprenditori e avrebbe pagato una serie di viaggi al Celeste, accusato di corruzione e turbativa d’asta.

    Le polo con dedica risalgono al 2009, ma gli amici di Formigoni le ripropongono tre anni dopo. E’ il 27 giugno 2012 e da sinistra verso destra nella foto, scrive la Direzione Investigativa Antimafia, figurano Massimo Dell’Acqua, Mauro Villa detto Willy (all’epoca segretario personale dell’ex Presidente del Pirellone), Nikola Juric, proprietario dell’Hotel Spongiola nell’isola di Krapanji dove alloggiano Formigoni e compagnia, e Luana Cazzato, amica dell’attuale senatore del Pdl. Il viaggio in Croazia, stando alla ricostruzione della Procura, è offerto come tanti altri da Guarischi, che all’epoca era tornato in libertà dopo una condanna per mazzette appena finita di scontare. E ora è di nuovo a processo, dove sono stati depositati gli atti sulla presunta corruzione di Formigoni, inchiesta quest’ultima ancora aperta. Tra le altre cose, una testimone racconta a verbale che in barca, oltre all’ex Governatore e agli amici, c’erano pure “il capitano di nazionalità croata” e “due, tre persone di servizio”. (manuela d’alessandro)

     

  • Nuove carte su corruzione Formigoni, ‘i viaggi a scrocco a spese di Guarischi’

    “Voglio che sia chiaro: in caso di incidente, non ero io alla guida!”. Scherza Roberto Formigoni, al timone di un gommone fuoribordo e al tempo – siamo ai primi di settembre del 2012 – alla guida soprattutto di una Regione Lombardia che lascerà a breve, dopo 18 anni di governo del Pirellone, travolto da un’ondata di inchieste giudiziarie.

    Nella scena, ripresa in un video di 37 secondi, il Celeste al timone sta per dare gas e trainare sugli sci d’acqua Gianluca Guarischi, faccendiere e imprenditore, in passato consigliere regionale di Forza Italia, in libertà dopo una condanna per tangenti appena finita di scontare. Sono grandi amici, lui e Formigoni. Vanno in vacanza assieme, solo che a pagare, è quasi sempre Guarischi. Almeno stando a una serie di informative della Direzione Investigativa Antimafia depositate dai pm di Milano Gittardi e D’Alessio nel nuovo processo per corruzione a carico di Guarischi. Il quale, nonostante il processo sia già in fase di dibattimento, a oggi è ancora in carcere.

    In uno stralcio ancora aperto delle indagini, Formigoni è accusato di corruzione proprio per i regali ricevuti da Guarischi per favorire, stando agli inquirenti, le società di una famiglia di imprenditori della sanità, Giuseppe Lo Presti e figli, che proprio ieri hanno patteggiato. Viaggia spesso, Formigoni, a bordo di jet privati ed elicotteri. Ma a sganciare, secondo gli investigatori della Dia, è sempre il faccendiere amico.

    Il conto delle somme versate da Guarischi per i viaggi di lusso con Formigoni, arriva a 65mila euro. Destinazioni? Croazia, Sankt Moritz, Valtellina, Olbia.
    E’ il caso del viaggio del 21 giugno 2009 in Croazia. Volo Linate-Spalato su un aereo privato noleggiato dalla Topjet Executive di Milano. A bordo Guarischi, Formigoni, la fidanzata Luana Cazzato e altre due persone.
    Costo dell’operazione, fatturata a Guarischi, 14mila euro. La compagnia trascorre una serena settimana su uno yacht al largo di Sebenico.
    Passano tre anni, è agosto 2012, e mentre Formigoni è già indagato per il caso Maugeri, trascorre un altro soggiorno in Croazia con Guarischi, la Cozzato e altri. Questa volta ciascuno sembra pagare il proprio biglietto d’aereo,
    mentre non si sa chi paghi il noleggio dello yacht e l’albergo a Maslinica. I bagagli li porta gentilmente un collaboratore di Guarischi, partendo dal Pirellone su un’auto intestata all’imprenditore Lo Presti.
    Il braccio destro di Formigoni, Mauro Villa, gli consegna due valigie per il Celeste, insieme a due borsoni marchiati ‘Peck’. “Sbirciando – spiega l’autista – ho riconosciuto vari generi alimentari”.
    La vacanza del governatore viene però funestata dal lutto: il 31 agosto muore il cardinal Carlo Maria Martini, deve rientrare immediatamente a Milano e Guarischi gli trova un jet privato. A Linate lo aspetta il solito collaboratore dell’amico, che gli consegna una cassa di champagne Ruinart: “Non ricordo se fossero sei oppure 12 bottiglie”, dirà agli investigatori. Offre Guarischi, ça va sans dire. Con il jet privato, Formigoni farà presto a tornare alla serenità delle vacanze croate, trainando sugli sci d’acqua Guarischi, alla guida del gommone, solo due giorni dopo.
    C’è poi il volo in elicottero per Sankt Moritz, esclusiva località invernale svizzera, dove la compagnia festeggia il compleanno di Luana, la fidanzata di Formigoni, insieme a Giuseppe Biesuz, ex Ad di Trenord, poi finito in altri guai giudiziari. Far girare le eliche dell’elicottero Swiss Jet, andata e ritorno, non è cosa da poco. Paga ancora l’amico Gianluca: seimila euro.
    Le pale girano anche quando Formigoni, il 4 marzo 2011, prende un elicottero da Linate a Livigno, poi passa a Santa Caterina Valfurva e fa ritorno a casa, insieme ad altri 5 passeggeri.
    Sull’agenda degli impegni del presidente, per quelle ore risulta l’indicazione “privato”. Costo dell’operazione? Ottomila euro. Fatturati alla Guarischi Consulting dalla Topjet. La stessa società che fattura, di nuovo a Guarischi, 7.480 euro per un’andata-ritorno Linate-Olbia in jet privato il 9 e l’11 ottobre 2009. A bordo ci sono quattro persone, tra cui Formigoni. I passeggeri sono invece sei – tra cui sempre Guarischi e Formigoni – il 2 giugno 2010, e quattro giorni dopo sul volo di ritorno. Stessa destinazione, Olbia, stesso destinatario dell’addebito, Guarischi, che questa volta sgancia 11.800 euro.
    Tutti sono ospiti nella famosa villa di Cala Volpe che ha già fatto capolino nell’inchiesta Maugeri. Acquistata da Alberto Perego, amico di Formigoni, a un prezzo secondo gli inquirenti, sottostimato di qualche milione di euro.
    La Sardegna dev’essere il luogo del cuore per Formigoni: ci torna con gli amici il 12 aprile e poi il 17 settembre 2012. Volare è comodo se come sempre paga Guarischi. Fanno altri 17mila euro.
    Secondo gli investigatori, Gianluca Guarischi è per Formigoni il nuovo Pierangelo Daccò. Un consulente e amico intimo che offre regali e vacanze in cambio di favori a imprenditori della sanità fidati.
    Amicizie sul crinale del business illecito, secondo gli inquirenti. Commentando una delle vacanze croate, il solito collaboratore di Guarischi dirà all’imprenditore Lo Presti. “Gianluca non è in vacanza, perché sta lavorando più che a Milano. L’ho visto in forma smagliante, con il nostro amico che pende dalle sue labbra…Se Luca gli dice ‘bevi’ lui beve, ‘cammina’ cammina, ‘fermati’ fermati”. (nino di rupo)

  • “La Procura non indaga”, tolte sette indagini a Greco

    Sette inchieste tolte a uno dei magistrati più quotati della Procura di Milano, Francesco Greco, che, secondo  un giudice e la Procura Generale, non avrebbe indagato su vicende di evasione fiscale, scuotono il Palazzo di Giustizia. Da aprile a settembre il procuratore leader del pool che combatte la criminalità economica, che ha ‘firmato’ inchieste come quella sulla scalata ad Antonveneta ed è stato citato ieri anche da Enrico Letta come possibile futuro consulente di Palazzo Chigi, si è visto bocciare dal gip Andrea Salemme sette richieste di archiviazione. Fin qui, nulla di strano: capita che un giudice non condivida l’orientamento della pubblica accusa. Quello che appare davvero inedito, tanto che nessuna statistica e nessuna ‘toga’ di lungo corso lo ricordano, è l’intervento della Procura Generale, l’organo a cui spetta il controllo su tutti i magistrati del distretto milanese. Di solito, quando un giudice non vuole archiviare, ordina allo stesso pm che ha ricevuto la notizia di reato di riapplicarsi sulle indagini.  Il pg Carmen Manfredda, su delega del suo ‘capo’ Laura Bertolé Viale (pubblica accusa nel processo d’Appello Mediaset a Berlusconi), si é invece sostituita a Greco sulla base di un articolo del codice di procedura penale, finora rimasto ‘sulla carta’, che gliene da’ facoltà (‘avocazione delle indagini per mancato esercizio dell’azione penale’). Una di queste inchieste, tutte partite da segnalazioni dell’Agenzia delle Entrate, riguarda una maxi frode da quindici milioni di euro messa a segno attraverso una società estera  da un’ azienda brianzola attiva nel campo degli arredamenti. Greco, stando a quanto riferito da fonti del Palazzo, avrebbe archiviato la pratica nel giro di pochissimi giorni, sostenendo che la frode esisteva, ma non era possibile provarla per un’interpretazione giuridica. Una scelta ritenuta  troppo precipitosa dalla Procura Generale visto che, si fa notare, nemmno un atto d’indagine è stato compiuto per cercare eventuali prove. In queste settimane, la polizia giudiziaria sta raccogliendo informazioni e documenti che poi verranno valutati dalla Procura Generale. La replica della Procura è affidata ai numeri. Viene sottolineato che nei primi cinque mesi di quest’anno sono state inoltrate  all’ufficio gip circa 1600 richieste di decreto penale di condanna per reati fiscali e si è indagato su importanti societa’ fino ad arrivare a sequestri imponenti, come gli 1,2 miliardi di euro ‘congelati’ alla famiglia Riva dell’Ilva di Taranto. (Manuela D’Alessandro)

  • Il silenzio dei giornaloni sulla procura che non fa indagini

    Repubblica zero righe imitata dalla Stampa. Il Corriere della sera 15 righe in cronaca nascostissime. E’ il silenzio dei giornaloni sulla notizia relativa alla procura generale che ha tolto 7 inchieste per frode fiscale ai mitici pm del quarto piano per una ragione molto semplice. Tecnicamente si chiama “inazione”. In parole povere non indagavano. Un gip ha detto no alle richieste di archiviazione ed è scoppiata la bufera di cui i grandi giornali non intendono parlare.

    Si tratta di una storia vecchia che risale ai tempi di “Mani pulite” quando i grandi editori che erano anche imprenditori d’altro e sotto schiaffo del pool la fecero franca in cambio dell’appoggio mediatico alla falsa rivoluzione impersonata da un magistrato peraltro abituato a vivere a scrocco degli inquisiti del suo ufficio e che in pratica era anche peggio dei politici finiti in carcere. Insomma una sorta di corruzione organica tra editori e magistrati. E così pure a distanza di vent’anni le disavventure della procura non meritano articoli.

    Tra gli indagati delle 7 inchieste per evasione fiscale non c’è il cavalier Berlusconi. Ovvio. In quel caso l’indagine sarebbe stata veloce. Come non c’era Berlusconi di recente neppure in un’altra inchiesta il cui fascicolo, Sea per turbativa d’asta, venne dimenticato-perso (non si è mai capito) e poi ritrovato solo quando apparve sui giornali la notizia che da Firenze a Milano erano state trasmesse intercettazioni con il sospetto che fosse stata pilotata la gara vinta da Gamberale. Succede che i magistrati a volte si impegnano per dare ragione al Cav ma i giornaloni non lo scrivono (frank cimini)

  • Omicidio Ferrulli, 4 poliziotti imputati, folla di “colleghi” tra il pubblico

    4 agenti di polizia sono imputati per l’omicidio di Michele Ferrulli (30 giugno 2011) morto di infarto e che secondo l’accusa sarebbe stato picchiato con i manganelli mentre gridava aiuto. Decine di colleghi degli imputati a ogni udienza presidiano spazio riservato al pubblico e corridoi limitrofi. Sono in servizio? Sono pagati da noi contribuenti per stare lì? E a fare che cosa? Perchè? E’ solidarietà di corpo? Di casta? E’ un modo di esercitare pressione psicologica sui giudici della corte d’assise?

    Il tribunale di Milano è già stato teatro di assoluzioni per legittima difesa di commercianti che hanno ucciso sparando alle spalle di rapinatori che scappavano (frank cimini)

  • Abu Omar, Pollari verso prescrizione, da Cassazione gioco delle 3 carte

    L’ex direttore del Sismi Nicolò Pollari condannato in appello a 10 anni di carcere per il sequestro dell’imam Abu Omar ormai non corre alcun rischio di finire in carcere. La Corte Costituzionale infatti ha fissato all’11 febbraio l’udienza in cui deve decidere sul conflitto di attribuzione tra poteri dello stato sollevato dal governo Monti e poi anche dal governo Letta in merito alla sussistenza del segreto di stato. La Cassazione aspetta la decisione della Consulta e non solo non ha fissato date ma nemmeno congelato il decorso della prescrizione che scatterà inevitabilmente il 17 febbraio dell’anno prossimo. Insomma la Suprema Corte ha fatto il gioco delle 3 carte per salvare Pollari e gli altri appartenenti ai servizi segreti che in pratica non corrono più alcun rischio di scontare la pena. A contribuire ad allungare i tempi c’è stato anche il secondoconflitto di attribuzione sollevato da Palazzo Chigi, gestione Letta, nei confronti dei giudici milanesi, la cui ammissibilita’ sara’ vagliata dalla Consulta il 9 ottobre prossimo. Se anche questo secondo conflitto sara’ dichiarato ammissibile (decisione scontata) verra’ poi trattato nel merito assieme al primo nella medesima udienza dell’11 febbraio. La Cassazione ha dimostrato che ha fretta solo quando vuole. Giustamente fissò a luglio scorso davanti alla sezione feriale l’udienza Mediaset con tra gli imputati Silvio Berlusconi. Berlusconi evidentemente non ha possibilità e capacità di ricattare nessun potente. Pollari, al contrario sì. E lo si era capito da tempo, se si considera che sono stati governi di diverso (si fa per dire) colore (Prodi, Berlusconi….) a sollevare conflitti in relazione al segreto di stato sui rapporti tra Cia e Sismi, estesi anche al fatto reato: un terrorista molto presunto rapito trasferito in Egitto, torturato, sodomizzato, parte civile nel processo in cui non ha avuto possibilità di essere presente perchè le autorità del suo paese, a iniziare da Mubarak, lo “zio” di Ruby, fino ai suoi successori, non hanno mai risposto ad alcuna rogatoria dei magistrati di Milano. Insomma quello dell’imam della moschea di via Quaranta fu un sequestro di Stato, o meglio di Stati, con tutte le autorità preposte impegnate a violare quella legalità con cui si sciacquano la bocca tutti i giorni pur di coprire un crimine gravissimo. Gli unici condannati sono gli agenti della Cia, alcuni addirittura dall’identità probabilmente indefinita e che mai saranno estradati e il militare Joseph Romano salvato a sua volta dalla grazia concessa dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E’ una vicenda vergognosa che dimostra ancora una volta che la giustizia non è uguale per tutti e questo al di là di come finirà i suoi giorni il cavalier Berlusconi, unico argomento di cui si continua a discutere in un paese dove sono al potere dei pagliacci.

    (frank cimini)

  • Era sì il 15 dicembre ma non morì di freddo

    “Era chiusa la finestra poi aperta la lasciaru”. Dalla finestra aperta sul cortile giace agonizzante Pino Pinelli, il fumo esce lentamente e si intravedono dentro quelle stanze figure diverse da quelle fin qui conosciute, figure di funzionari di alto grado venuti da Roma che “prendono la situazione in mano” come dirà uno di loro. Figure che fanno indagini riferendo al ministro dellInterno e al capo della polizia non ai magistrati inquirenti. Catenacci, Russomanno, Alduzzi e altri meno noti spuntano tra le carte sulla strage di piazza Fontana. Ma solo nel 1996 oltre 26 anni la notte del 15 dicembre 1969 saranno chiamati a deporre ma anche allora nessuna domanda su quanto accaduto. Dal 1996 quegli atti sono rimasti off-limits per uscirne solo poco tempo fa. Da queste carte prendono spunto Gabriele Fuga avvocato e Enrico Mattini come Fuga anarchico da sempre, per editare “e a finestra c’è la morti” (da Franco Trincale, cantastorie). Un libro molto interessante e documentato per ribadire che era sì il 15 di dicembre, ma che Pinelli non morì di freddo. E non è solo una storia vecchia alla quale noi di una certa età siamo troppo affezionati. Considerando quanto accade nella cronaca quotidiana, Aldrovandi, Cucchi, Uva siamo alla stretta attualità. E’ come se tutto fosse successo ieri, anzi no, come se fosse adesso, 2013.

    “Ci è sembrato giusto raccogliere il testimone dai tanti che si sono avvicinati alla figura di Pinelli, certi di trovare altri disposti a farsi carico del seguito di questa ricerca fino a nche il fumo di quella stanza non sarà davvero diradato” scrivono gli autori ricordando quella notte in questura che resta una ferita nella storia del paese perchè tutte le “autorità preposte” diedero e continuano a dare il loro contributo per coprire la verità. Non si tratta a modesto parere di chi scrive queste poche righe di riaprire l’indagine giudiziaria. Il risvolto penale soprattutto a questo punto appare di gran lunga il meno interessante, ma di trasmettere memoria lungo le generazioni perché questo libro parla dell’oggi.

    La mia copia del libro reca la dedica di Gabriele: “anche nel ricordo di Primo che ci ha accompagnato nella lotta”. Leggo e mi commuovo.

    (Frank Cimini)