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  • Ancora carcere per un giornalista, è ‘scontro’ Pm-giudici

    Vaglielo a spiegare ai giudici che il procuratore Edmondo Bruti Liberati si è speso dopo il caso Sallusti con tanto di direttive interne e comunicati stampa per evitare il carcere ai giornalisti. Sembra proprio che Procura e Tribunale diano un peso molto diverso alle diffamazioni dei cronisti.
    Oggi l’ultimo caso, quello del collega Luca Fazzo, condannato dal giudice Anna Calabi a sette mesi di carcere senza sospensione della pena per un articolo in cui aveva definito “accanito cocainomane” un giovane frequentatore della discoteca Hollywood, coinvolto nell’indagine su ‘Vallettopoli’.
    Nelle carte dell’inchiesta dello scomparso pm Frank Di Maio, alcune ‘bellissime’ di Milano, Francesca Loddo e Alessia Fabiani, avevano raccontato di avere consumato droga con il giovane, il quale a verbale aveva ammesso: “Sono consumatore da 4 anni di  cocaina  e negli ultimi tempi ne consumo parecchia, anche dalle due alle quattro volte alla settimana (…) di solito funziona che al tavolo del privé dell’Hollywood si chiede ai presenti se hanno cocaina ed effettivamente molti ne hanno disponibilità e sono adusi a regalarla. Io e le mie amiche andavamo in bagno a consumare la sostanza”.
    Nel processo a Fazzo, il giudice è andato molto oltre la richiesta della Procura, che avrebbe ritenuto sufficiente la condanna ad un’ammenda di tremila euro, infliggendo al cronista sette mesi senza sospensione condizionale. Appena un mese in meno della pena patteggiata dal giovane per il consumo di droga.  Solo poco tempo fa, però, Bruti Liberati aveva rivolto ai colleghi pm l’invito ad adeguarsi alla sentenza con cui il 24 settembre scorso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva condannato l’Italia per violazione della libertà di espressione con riferimento alla condanna al carcere, seppure sospesa, dell’allora direttore del Giornale, Maurizio Belpietro.
    Il procuratore aveva sottolineato che la Corte Europea era intervenuta per “censurare l’applicazione della pena detentiva ritenuta sproporzionata in relazione alla tutela della libertà d’espressione quando non ricorrono circostanza eccezionali quali l’istigazione all’odio razziale o etnico o l’incitamento alla violenza”. Ma quello che dice l’Europa pare non piaccia affatto ai giudici. (manuela d’alessandro)

     

  • Motivazioni Ruby Bis

    Perché Berlusconi va indagato per corruzione in atti giudiziari? E perché devono esserlo anche i suoi (ormai ex) legali, Niccolò Ghedini e Piero Longo? E Karima El Marough, invece, di cosa risponderà? Se avete avuto la forza di leggervi le motivazioni della condanna in primo grado a carico di Berlusconi, ora è giunto il momento di attaccare con il sequel. Tranquilli, la produzione ha già annunciato anche il terzo episodio della saga, Ruby Ter. Ci vorrà tempo, ma il canovaccio c’è già. Intanto, eccovi le motivazioni della condanna Fede-Mora-Minetti, meglio nota come Ruby Bis, appunto.

    motivazioni ruby bis  

  • Cimini va in pensione e offre al Cav un posto per l’affidamento in prova

    E’ la vera parola d’ordine della sala stampa del Palazzo di Giustizia di Milano: “Come ce l’hai?”. E non c’è giornalista che entrando nell’insalubre stanzetta al terzo piano del palazzaccio non si senta rivolgere almeno una volta (ma il mantra può essere ripetuto all’infinito) la fatidica domanda: “Come ce l’hai?”. La risposta, ovviamente, è variabile ma obbligata, sia che l’interpellato sia maschio o femmina. Perché la domanda ha un solo, unico e irripetibile protagonista: Frank Cimini, barbuta e pelosa istituzione del mondo giornalistico del palazzaccio che dopo 37 anni di onorata carriera, domani va in pensione.

    Un duro colpo per l’umanità varia e dolente che pullula all’ombra degli incombenti marmi piacentiniani dove, talvolta, risuonano le omeriche risate di Frank, squarci di comica umanità in uno dei luoghi di “dolore” più temuti della città e, ogni tanto, dall’intero Paese. Senza medaglie, titoli e cerimonie, Frank, 60 anni compiuti a luglio in quel di Ginostra con una festa sotto il vulcano da fare impallidire Hollywood, chiude in bellezza decidendo per la prima volta in vita sua di rilasciare una piccante intervista, condotta collettivamente da alcuni colleghi della sala stampa, a questo sito che lui stesso, in un impeto di generosità testamentaria, ha contribuito a creare. Con l’avvertenza che si tratta, naturalmente, di un’intervista vietata ai minori….

    Allora, Frank, questa volta la domanda te la facciamo noi: come ce l’hai?
    “Barzotto!”
    Perché?
    “Mah non so…comunque sono contento di andare in pensione”.
    Ti ricordi quando sei arrivato a Palazzo?
    “Tra il 1976 e il 1977. Prima facevo il ferroviere e il praticante al Manifesto. Siccome non avevo la maturità, ho dovuto passare un esame di cultura generale per accedere al praticantato. All’orale rischiai la bocciatura dicendo che Danzica mi ricordava solo lo sciopero degli operai polacchi del 1971”.
    Com’era la sala stampa allora?
    “C’era sempre questo grande tavolo nero e il bellissimo telefono di bachelite da cui si chiamava per dare le notizie, poi qualcuno se l’è rubato. Il clima tra i giornalisti era competitivo, come sempre qua dentro”. (altro…)

  • Tra arte e vandalismo i writers si beccano l’associazione a delinquere

    C’è un’apprezzabile e ben articolata analisi storica e sociale, di un paio di pagine, sul ”graffitismo” e anche un più difficile ma coraggioso ragionamento sul concetto di arte, ma anche sulla ”componente” di puro ”vandalismo”, entrambi presenti nel cosiddetto ”fenomeno del writing”, che trova le sue origini nella ”sottocultura dei ghetti newyorkesi”. Non è un saggio di Vittorio Sgarbi, ma sono le interessanti motivazioni (potete leggerle nella sezione ‘Documenti’) della sentenza del gup di Milano Alessandra Clemente che, lo scorso settembre, ha condannato per associazione a delinquere, per la prima volta in Italia, due giovani che armati di bomboletta spray hanno riempito la città di ‘tag’: quelle firme o sigle stilizzate che inondano di vernice i muri dei palazzi e le saracinesche della metropoli. Che facciano schifo è probabilmente un dato oggettivo, extra-processuale. (altro…)

  • Il futuro di Ruby? Una fabbrica di pasta fresca in Messico

    Silvio e Ruby, Ruby e Silvio, i casi della vita. Storie di ordinaria umanità, di comuni mortali, anche se l’ex medico del Cavaliere, Umberto Scapagnini, buonanima, la pensava diversamente. Mentre Silvio accatasta carte provenienti da mezzo mondo per una improbabile se non impossibile revisione del processo Mediaset perché 64 società offshore non le spazza via nemmeno la bora di Trieste, Ruby fa progetti per il futuro. Un progetto. E pure lei punta sull’estero e ha in mano carte straniere, quelle relative all’autorizzazione, che ha già in mano, per aprire una fabbrica di pasta fresca in Messico. (altro…)

  • Mediaset, la carta che prova la bugia della testimone americana di Berlusconi

    Una bugia, o perlomeno una strana amnesia, mina la credibilità delle carte americane messe oggi sul tavolo da Silvio Berlusconi per riaprire il processo Mediaset attraverso un’istanza di revisione.

    La nuova testimone, Dominique O’Reilly Appleby, sapeva infatti sin dal 2007  (vedi  ‘Dichiarazioni Appleby’ in Documenti) che il Cavaliere e colui il quale con sentenza definitiva viene ritenuto il suo “socio occulto”, Frank Agrama, erano coinvolti in un’inchiesta a Milano che li accusava di essere i protagonisti di una gigantesca macchina per produrre ‘nero’ attraverso la vendita dei diritti televisivi. (altro…)

  • Ruby ter, Berlusconi sarà difeso dall’avvocato di Mills al posto di Ghedini – Longo

    Ci sarà una new entry importante nella difesa di Silvio Berlusconi in relazione all’inchiesta non ancora formalizzata ma che partirà dopo che saranno state depositate le motivazioni del processo Ruby2: l’indagine già denomimata Ruby-ter. Per difendersi dall’accusa di corruzione in atti giudiziari, i 2500 euro al mese alle ‘olgettine” protagoniste delle deposizioni in aula, il Cavaliere ha scelto l’avvocato Federico Cecconi, storico legale di David Mills.

    La nomina non è ancora ufficiale perchè l’inchiesta per essere avviata ha bisogno della trasmissione dei verbali di udienza e delle motivazioni dei due processi già celebrati in primo grado, ma la decisione è stata presa. Va considerato che gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo diventeranno incompatibili perché i giudici del processo a carico di Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti già con il dispositivo della sentenza hanno imposto un’indagine anche su di loro. La procura infatti sarà obbligata a svolgere accertamenti sulle modalità delle indagini difensive effettuate dai legali di Berlusconi  già prima che il caso della minorenne marocchina e delle feste di Arcore approdasse sui media. (altro…)

  • Motivazioni Ruby seconda parte

    Ecco la seconda parte delle motivazioni del processo Ruby. Non perdetevi le conclusioni, le trovate sempre qui su giustiziami.prlb.eu.

    motivazioni ruby pag 151-321

  • Motivazioni Ruby prima parte

    Ecco la prima parte delle motivazioni della sentenza Ruby. Buona lettura. (giustiziami.prlb.eu)

    motivazioni ruby prima parte

  • Motivazioni Ruby Berlusconi, le conclusioni

    Nelle ultime dieci pagine delle motivazioni della sentenza di condanna a sette anni per concussione e prostituzione minorile, i giudici della Quarta sezione penale del Tribunale di Milano tirano le conclusioni giudiziarie, e non solo, del comportamento dell’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Noi le abbiamo lette, ora fatevi voi un’idea. Sul sito trovate le motivazioni integrali divise in due parti. (giustiziami.prlb.eu)

    conclusioni motivazioni ruby

  • Giudice ubriaco, è caccia disperata al nome (tra le toghe)

    “Eddai, dimmi chi è”. Non si sa. “Ma è uno importante o uno meno importante?”. Non te lo dico. “Ma chi è ‘sto collega ubriaco?”. Non posso violare il segreto istruttorio. Cioè, quello professionale. Insomma la notizia l’abbiamo data, mica ti possiamo dire tutto, e poi che cosa cambia ai fini del pubblico interesse?
    E’ un mondo alla rovescia quello del Tribunale di Milano, da due giorni. Da quando cioè il sito giustiziami.prlb.eu ha pubblicato la notizia del magistrato condannato a Brescia dopo una disavventura alcolica in bicicletta (vedi https://giustiziami.prlb.eu/ubriaco-in-bicicletta-magistrato-condannato-a-2-mesi-e-20-giorni-di-arresto/ ). Due mesi e 20 giorni convertiti in una multa, dopo un percorso giudiziario accidentato quanto quello compiuto sulle due ruote, a tarda sera, su un marciapiede, prima di imbattersi nel solerte vigile che ha accertato il tasso alcolico della toga-ciclista. (altro…)

  • Ligresti-Cancellieri-Cav, il Belpaese del ”tengo famiglia e pure amici”

    Non si ferma la saga da ”amici miei” che vede coinvolto il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri per i suoi presunti rapporti con i Ligresti. Tanto che, proprio mentre il Guardasigilli incassa la fiducia del Parlamento malgrado i turbamenti del Pd su quelle telefonate con la compagna e il fratello di ‘Don’ Salvatore, da Milano esce ‘nero su bianco’ il virgolettato di un verbale dell’ingegnere di Paternò: racconta di quella volta che avrebbe raccomandato la vecchia amica a Berlusconi. Una ”segnalazione”, una spintarella, presunta, all’italiana.

    E’ il 15 dicembre 2012. Il pm di Milano Luigi Orsi interroga Salvatore Ligresti in una tranche dell’inchiesta Fonsai, quella in cui è indagato per calunnia e corruzione anche l’ex presidente dell’Isvap, Giancarlo Giannini, che per 8 anni avrebbe chiuso un occhio sul gruppo assicurativo anche perché Ligresti gli aveva promesso, tramite Berlusconi, un posto all’Antitrust. E quando il pm gli chiede ”quanto spesso” gli sia ”capitato” di ”segnalare delle persone all’autorità politico-amministrativa”, l’ex patron di Fonsai si ricorda della sua vecchia conoscenza. ”Mi feci latore – ha spiegato – del desiderio dell’allora prefetto Cancellieri che era in scadenza a Parma e preferiva rimanere in quella sede anziché cambiare destinazione”. E con chi si fece latore? Con il Cavaliere ovviamente, che c’entra sempre. (altro…)

  • Telefonate private dal Ministero, peculato per Cancellieri?

    E se fosse il reato di peculato quello di cui dovrebbe essere accusata Anna Maria Cancellieri per la telefonata di solidarietà (“qualsiasi cosa io possa fare conta su di me”) alla compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni?

    Alle 16 e 42 del 17 luglio 2013, giorno di arresti per la famiglia Ligresti, la Guardasigilli chiama dal numero del suo ufficio al Ministero della Giustizia (0668853233) la vecchia amica. Fin dalle prime battute, si capisce che è una conversazione privata ed è la stessa Ministra ad averlo dichiarato, quando ha spiegato anche in Parlamento che si trattava di una manifestazione di solidarietà. “Sono Anna Maria. Io sono mesi che ti voglio telefonare per dirti che ti voglio bene, la vita mi scorre in una maniera indegna. Ma oggi dico: ‘devo trovare il…’perché te lo devo dire, ti voglio bene, guarda (…)”.  Senza entrare nel merito dell’opportunità politica, è chiaro che Cancellieri alza la cornetta per esprimere un sentimento di vicinanza (“Non è giusto, non è giusto…” dice a più riprese il Ministro della Giustizia) alla sua amica ‘Lella’. “Con quella telefonata – spiegherà poi in Parlamento – volevo esprimere la mia solidarietà: le espressioni usate in quel contesto erano utili a manifestare empatia”. (altro…)

  • Ubriaco in bicicletta, magistrato condannato a 2 mesi e 20 giorni di arresto

    Condannato a due mesi e venti giorni di arresto e a 800 euro di multa  per essere stato sorpreso ubriaco in sella alla sua bicicletta.  La nemesi della Giustizia si è presentata a un bravo magistrato, già protagonista di importanti inchieste,  con la divisa dei vigili, categoria di per sé poco flessibile ma che nel caso sembra avere manifestato uno zelo d’acciaio.

    Il ciclista togato stava procedendo un po’ alticcio sul marciapiede a ora tarda quando è stato avvicinato dagli uomini della legge stradale, pronti a punirlo perché non pedalava in strada. Quello però se ne stava buono sul marciapiede forse per una scelta di prudenza, consapevole che la scarsa lucidità da troppo alcol avrebbe potuto nuocere a sé e ad altri.

    Niente, gli agenti non hanno voluto sentire spiegazione: guida in stato di ebbrezza, e denuncia all’autorità giudiziaria, che in questi casi è quella di Brescia perché un magistrato meneghino non può essere giudicato dai suoi colleghi. Qui si è consumata la piccola ‘odissea’ del magistrato, con qualche colpo di scena degno di indagini di maggior peso. La Procura bresciana ha chiesto di archiviare il suo caso non ritendolo colpevole, il giudice dell’udienza preliminare si è opposto chiedendo l’imputazione coatta e alla fine la toga è stata condannata in primo grado a due mesi e venti giorni di arresto e 800 euro di multa, in base alla legge del 2010 che disciplina i reati stradali. (manuela d’alessandro e frank cimini)

  • L’uomo ‘cavia’ in cella con Kabobo che ‘stava meglio’

    Va premesso come punto di partenza e dato di fatto, appurato in esclusiva da Giustiziami.it, che quel povero detenuto non aveva il numero di telefono di Anna Maria, Cancellieri ovviamente. Non possiamo sapere, invece, cosa ha pensato quando ha scoperto che avrebbe condiviso una cella di San Vittore con Adam ‘Mada’ Kabobo, il ghanese che lo scorso maggio ha ucciso a colpi di piccone tre passanti a Milano, mentre tre riuscivano a salvarsi. Non avendo telefonate illustri da giocarsi, si sarà rincuorato quando qualcuno, magari di passaggio, gli ha detto ‘guarda che non è proprio matto, stai tranquillo’. Una perizia psichiatrica, d’altronde, solo qualche settimana fa aveva accertato che la persona che gli inquirenti descrivevano come un ‘meteorite’ caduto sulla Terra non era totalmente infermo di mente quando compiva una strage. (altro…)

  • Nomi e indirizzi baby – squillo visibili, procedimento disciplinare sul Corriere

    Si sa, se uno lavora in un grande giornale dev’essere bravo. Uno che a scuola non ha mai avuto bisogno di sbianchettare i voti sul diario per riscriverli maggiorati di un paio di punti, prima di mostrare al genitore il suddetto libriccino. Sarà per questo che chi ha mandato in stampa il Corriere della Sera, nei giorni scorsi, dev’essere poco avvezzo all’uso del bianchetto coprente. Così, nel pubblicare – dovere di completezza e prova di affidabilità, ci mancherebbe – il capo di imputazione formulato dalla Procura di Roma nei confronti degli ultimi arrestati per la vicenda delle ragazzine che si prostituivano ai Parioli, il trucco del bianchetto non è andato a buon fine. (altro…)

  • La riunione dove i Ligresti’s decisero che era l’ora di Berlusconi

    E’ l’autunno del 2011, tre manager di Fonsai, Salvatore, la figlia Jonella Ligresti ed Emanuele Erbetta insieme col consulente Fulvio Gismondi, si riuniscono in un ufficio romano e convengono di essere ‘alla frutta’. Il loro ‘padrino’ Giancarlo Giannini, l’uomo che alla guida dell’Isvap per quasi un decennio ha fatto finta di non vedere le ‘stranezze’ nei conti della compagnia di assicurazioni, sta per eclissarsi e c’è il rischio concreto che abbandoni Fonsai a un destino incerto. Ed ecco che spunta il nome di Silvio Berlusconi, il solo che potrebbe fare un favore al patron di Fonsai, piazzando Giannini al vertice dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Salvatore annuncia a Jonella, Erbetta e Gismondi, che incontrerà il Cavaliere per chiedergli un aiuto. Questa la ‘trama’ ipotizzata dalla Procura di Milano che (nella sezione Documenti’ l’atto di chiusura indagini) , sulla base di interrogatori e intercettazioni,  fa da sfondo al lunghissimo ‘romanzo’ contenuto in 4 faldoni e mezzo da domani a disposizione degli avvocati di Giannini e Ligresti. Il piano dell’ingegnere non potrebbe comunque andare a segno perché di lì a pochi giorni Berlusconi lascerà Palazzo Chigi. (altro…)

  • Sempre al Coin, magistrato scambiato per commessa

    Lei è molto graziosa, elegante e sempre ben vestita. Con quel sorriso scintillante potrebbe venderti qualsiasi cosa. Attratto dalla sua allure, un cliente del Coin, il grande magazzino di piazza Cinque Giornate che dista pochi metri dal Tribunale, le si avvicina fiducioso per chiedere informazioni sulla merce: “Posso chiedere a lei?”. “No, io non lavoro qui”, si schernisce. “Ah, mi scusi – ribatte quello – la vedo sempre qui, pensavo fosse una dipendente”. Lei è un magistrato.

  • La sentenza che obbliga lo Stato a risarcire i familiari se il killer non paga

    E ora lo Stato italiano rischia di essere sommerso dalla class action dei cittadini parenti di vittime di omicidi e stupri che non abbiano ricevuto un risarcimento perché il colpevole è inadempiente o perché non è stato trovato. La sentenza (consultabile nella sezione ‘Documenti’) che ‘apre’ questa strada potenzialmente ‘esplosiva’, richiamando una direttiva  europea non adottata dall’Italia, è stata pronunciata da un giudice civile di Roma, Federico Salvati, che ha condannato la Presidenza del Consiglio a risarcire 80mila euro alla madre di Jennifer Zacconi, la 20enne incinta al nono mese uccisa nel 2006 e sepolta in una buca vicino a Venezia. “La Repubblica Italiana – si legge nel verdetto – non ha integralmente adempiuto all’obbligo di conformarsi alla direttiva, nella parte in cui impone l’adozione di ‘sistemi di indennizzo nazionali’”. (altro…)

  • Lo sguardo del detenuto in 28 scatti
    (ma il fotografo è un avvocato)

    Un’infinità di sbarre, porte pesantissime. Bisogna superarne sette come questa per arrivare alle celle del quarto braccio. Lunghi corridoi per raggiungere ‘la rotonda’, soprannome nome quasi poetico per l’esagono che costituisce il centro geometrico di un carcere tetro come quasi tutti gli altri. O forse peggio, perché la struttura di San Vittore è del 1879, le sue mura hanno 134 anni. Passata la rotonda, ancora corridoi, poi due rampe strette di scale, ed ecco le celle del quarto. Ora disabitate, perché il reparto è inutilizzato dal 2006, quando fu dichiarato inagibile. Sarà ristrutturato in primavera. Ma i suoi posti, spiega un commissario della polizia penitenziaria, “sono ancora conteggiati tra quelli previsti da regolamento”. Un trucchetto per ridurre il rapporto tra detenuti effettivi e capacità dell’istituto? “In effetti è un po’ così”, conferma l’agente. Ai numeri attuali, 1480 persone contro i circa 800 posti previsti. Sette porte per arrivarci da visitatore, ma per il detenuto il percorso è diverso. Non parte dall’ingresso in piazza Filangieri, ma dal retro del carcere, all’angolo tra via Bandello e via Vico.

    Poi è la via crucis. Con le sue tappe e le sue cadute. Catturate una per una, in bianco e nero, negli scatti di Alessandro Bastianello, avvocato milanese che per passione – civile e fotografica – ha ritratto i passaggi che dal portone sul retro di San Vittore portano fino alla cella, in 28 scatti. L’attesa in una specie di sala d’aspetto. La consegna degli effetti personali che finiscono in un pacco legato con lo spago, custodito in un anonimo magazzino, su scaffali metallici. La schedatura, il nome del detenuto inserito in un archivio suddiviso in ordine alfabetico. La consegna della delle lenzuola e della cosiddetta dote, un corredo minimo di carta igienica, sapone e poco altro. (altro…)

  • Rcs, ora indaga la Procura, giornalisti ricevuti da pm Greco

    La Procura di Milano ha aperto un’inchiesta sulle disavventure di Rcs che hanno portato qualche giorno fa anche alla vendita dello storico immobile di via Solferino, ‘casa’ del Corriere della Sera. Il procuratore aggiunto Francesco Greco e il pm Adriano Scudieri indagano per appropriazione indebita su uno dei ‘capitoli’ più drammatici della crisi che ha colpito il colosso dell’editoria italiana, quello relativo a Rcs Sport. Ci sono già alcuni nomi iscritti nel registro degli indagati sui quali però al momento viene mantenuto stretto riserbo. Secondo l’ipotesi dell’accusa, qualche manager si sarebbe arricchito attraverso le sciagurate transazioni tra Rcs Sport e alcune associazioni sportive ad essa collegate, una delle cause principali dell’indebitamento del Gruppo. Si calcola un ammanco da dieci milioni di euro anche se l’audit interno sta ancora facendo i calcoli dopo che sono stati azzerati i vertici della società controllata. Stamattina, tre componenti del cdr sono stati ricevuti per un colloquio informale di oltre un’ora nell’ufficio del procuratore Greco durante il quale i giornalisti hanno espresso la loro preoccupazione per quanto sta accadendo in via Solferino. Il procuratore gli avrebbe garantito massimo impegno nel fare chiarezza sulle vicende che hanno mortificato negli ultimi mesi anche il più importante quotidiano italiano. Era stata la stessa Rcs nei mesi scorsi a presentare un esposto in Procura che si era aggiunto a quello  dell’Ordine dei Giornalisti di Roma su altro capitolo della vicenda, quello sull’acquisto da parte di Rcs della società editoriale spagnola Recoletos. Un altro ‘bagno di sangue’ per la società che potrebbe avere arricchito qualcuno anche se per ora l’ipotesi di appropriazione indebita riguarda solo Rcs Sport. (manuela d’alessandro)

  • Fonsai, la Consob indaga sui giornalisti che l’hanno criticata

    La Consob indaga sui giornalisti che hanno criticato il suo comportamento in relazione alla fusione Unipol-Fonsai. L’organismo di vigilanza sulla Borsa ha chiesto e ottenuto dalla procura di Milano l’autorizzazione ad avere dalle compagnie telefoniche i tabulati del cronista di Repubblica Giovanni Pons e di un collega di un’altra testata.

    Pons criticava il ritardo con cui Consob si era attivata sulle presunte irregolarità del bilancio 2011 di Unipol. L’11 dicembre 2012 Pons scriveva: “Come mai Consob si attiva solo ora su tale irregolarità e non si è mossa quando il pm di Milano Luigi Orsi lo scorso 4 luglio inviò una lettera agli uffici guidati da Giuseppe Vegas chiedendo ‘se Consob avesse riscontrato i dati su Unipol evocati dal progetto Plinio che circola in rete e se questi possano interferire con la trasparente formulazione dei prospetti?”.

    Pons ipotizza: ” Se lo avesse fatto per tempo forse la fusione Unipol-Fonsai sarebbe stata messa in discussione o forse la trattativa sarebbe stata diversa da un salvataggio della prima sulla seconda”.

    Secondo la Consob i giornalisti avrebbero agito disturbando il mercato perchè si sarebbero verificati dei movimenti azionari sospetti dopo la pubblicazione degli articoli. Da quanto risulta, non sempre la Procura autorizza la Consob ad acquisire i tabulati dei giornalisti, sulla base dell’articolo 187 octies del Testo Unico della Finanza. (manuela d’alessandro e frank cimini)

  • “Non è Sallusti, è solo uno zingaro e quindi deve stare in carcere”

    L.P. è uno zingaro di etnia serba destinato a scontare in cella la condanna a 4 mesi per guida senza patente decisa dal Tribunale di Milano nel 2011 al termine di un processo celebrato a sua insaputa perché il diretto interessato era in Francia. I pm di Milano non hanno applicato nel suo caso la doppia sospensione dell’ordine di esecuzione della pena come era invece accaduto nella vicenda del direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti condannato per diffamazione a 14 mesi e finito ai domiciliari.

    Il ‘caso’ Sallusti era stato seguito e deciso direttamente dal capo della procura Edmondo Bruti Liberati il quale aveva ordinato ai suoi pm con una circolare di applicare la legge ‘svuotacarceri’ laddove i condannati avessero i requisiti richiesti. Allora ci furono polemiche perché i pm delle esecuzioni non erano d’accordo con l’interpretazione della norma data e praticata dal capo dell’ufficio.

    Il legale  di L.P., Eugenio Losco, aveva allegato alla richiesta di sospensione dell’esecuzione pena, la decisione di Bruti e la circolare mandata ai pm. Con ogni probabilità il magistrato che ha valutato il caso di L.P. ha considerato quelle carte una sorta di ‘aggravante’ trasmettendo il tutto al giudice di sorveglianza senza disporre la sospensione dell’esecuzione pena. Sarà il giudice a coordinare gli accertamenti sulla situazione dello zingaro serbo. “Ci vorrà il tempo che ci vorrà – dice Losco – L.P. lo passerà in cella, i 4 mesi finiranno così”.

    Insomma, i magistrati della procura di Milano regolano i conti tra loro sulla pelle del classico povero cristo che ovviamente non dispone del cellulare del ministro della Giustizia. Nè lui, nè i suoi familiari. (frank cimini)

  • ‘Pm Greco voleva nozze Unipol-Fonsai’, parola di Giulia Ligresti

    Nel gennaio scorso desideravano tutti le nozze tra Fonsai e Unipol – una ‘folla’ entusiasta composta da giornali, associazioni, autorità di controllo – ma la Procura di Milano no … tranne il procuratore aggiunto Francesco Greco, che quei fiori d’arancio li avrebbe benedetti. Parole e pensieri in libertà, senza riscontri di altra natura, ‘firmati’ da Giulia Ligresti in una telefonata intercettata del 12 gennaio scorso, agli atti dell’inchiesta torinese sulla compagnia di assicurazioni.

    Parlando con un amico, la secondogenita di ‘Don’ Salvatore, si lamenta: “Hanno la stampa tutta con loro tranne Linkiesta e Repubblica che però si sta ammorbidendo … hanno le autority tutte con loro, cioé sono al loro servizio, anzi gli dicono come devono fare le cose. Hanno le associazioni consumatori, Fondiaria, tutto questo mondo finanziario … gli advisor”. “Sì, ma la Procura no…”, obietta l’interlocutore. Giulia Ligresti è solo parzialmente d’accordo: “Una parte della Procura no, perché Greco l’hai visto come si comporta … totalmente schierato … ma guarda che anche Lombardi me lo diceva, De Luca (il riferimento è probabilmente a due legali, ndr), cioé quindi che Greco era totalmente pro Unipol … figurati”. Intanto, certamente già all’epoca di quella telefonata, c’era chi voleva vederci chiaro sull’operazione: il pm milanese Luigi Orsi, infatti, indagava già da mesi sulla vicenda del cosiddetto ‘papello’, ossia su un presunto accordo tra l’ad di Mediobanca Alberto Nagel, uno dei fautori della fusione Unipol-Fonsai, e la famiglia Ligresti per una buonuscita milionaria per l’ingegnere e i suoi figli. Giulia Ligresti è stata poi arrestata assieme al padre e alla sorella il 17 luglio scorso, la data che entrerà nella storia della finanza italiana come l’epilogo della potentissima dinastia. Lo stesso giorno in cui Anna Maria Cancellieri, ministro della Giustizia, commenterà con un ”non è giusto” la notizia degli arresti, al telefono con la compagna dell’ingegnere di Paternò. (manuela d’alessandro e frank cimini)

     

  • La strana Cassazione su Alberto Stasi che per 3 volte diventa Mario

    Strane e verrebbe da dire ‘distratte’ motivazioni (le potete leggere nella sezione ‘Documenti’) quelle con cui la Cassazione spiega perché bisogna processare di nuovo Alberto Stasi, assolto in primo e secondo grado dall’accusa di avere ucciso la fidanzata Chiara Poggi il 13 agosto del 2007 a Garlasco. Non sfuggono alcuni errori di forma che una vecchia maestra evidenzierebbe con la matita rossa e un paio di ricostruzioni storiche sull’indagine lasciano perplessi.

    Per ben tre volte gli Ermellini sbagliano il nome dell’imputato chiamandolo Mario Stasi (pagine 88, 91 e 92), mentre Chiara Poggi diventa Chiara Stasi (pagina 98) sebbene non fosse sposata con lui (Alberto).

    Ecco invece i punti critici sulla sostanza. A pagina 88 la Suprema Corte afferma che la fascia di orario compresa tra le 9 e 12 (quando Chiara disinserisce l’allarme di casa Poggi) e le 9 e 35 (orario in cui Alberto si mette al computer) è stata ritenuta “compatibile” dai giudici di primo e secondo grado con l’azione omicida. Non è proprio così. Né il giudice di primo grado, Stefano Vitelli, né quelli della corte d’appello di Milano sono mai stati così netti nel parlare di “compatibilità” con questa striscia di tempo in cui Alberto non aveva alibi. Anzi, il gup attribuì a questa collocazione temporale dell’omicidio “plurimi e significativi punti di criticità” e lo definì “un intervallo di problematica compatibilità”. Spiegò che era molto difficile  immaginare che in 23 minuti Alberto  fosse stato in grado di andare a casa Poggi, litigare (ipotesi) con la ragazza, ucciderla, cambiarsi gli abiti sporchi di sangue, tornare a casa sua e mettersi davanti al pc per scrivere la  tesi di laurea.

    Secondo passaggio controverso è quello di pagina 82, dove la Cassazione scrive che la bicicletta di Stasi così come descritta dal carabiniere Marchetto coincideva con quella descritta dalla testimone Franca Bernani, vicina di casa della famiglia Poggi. La signora Bernani raccontò al pm di avere visto alle 9 e 10 del 13 agosto una bici nera da donna davanti alla villa di Chiara. Durante le indagini,  Marchetto  scrisse in un verbale che nel magazzino del papà di Alberto aveva notato una bici nera da donna ma decise di non sequestrarla perché, come spiegò poi anche durante il processo di primo grado, non corrispondeva alla descrizione fatta dalla Bernani. Dunque, nessuna coincidenza tra le due versioni.Proprio sulla bici mai sequestrata ad Alberto in sella alla quale – ipotesi di accusa e parte civile – sarebbe andato a casa di Chiara per ammazzarla, si giochera’ uno degli scontri cruciali nel nuovo processo. (manuela d’alessandro)

  • Una telefonata al Ministro ti accorcia la vita in carcere?

    Che il fine fosse nobile, aiutare una detenuta in difficoltà, non c’è dubbio. Ma che quella non fosse proprio una carcerata come  le altre, e non solo perché rampolla della dinastia dei Ligresti, il Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri non lo può negare. I verbali e le intercettazioni agli atti dell’inchiesta Fonsai di Torino che potete leggere nella sezione ‘Documenti’ raccontano di una storia imbarazzante per la Guardasigilli in cui si intrecciano affetti anche familiari – il figlio Piergiorgio ex top manager della compagnia assicurativa – e dichiarazioni quanto meno incaute per un’esponente del Governo.

    Ci sono due puntate in questa vicenda. La prima risale al 17 luglio scorso, a poche ore dall’arresto di Giulia Ligresti, quando la Guardasigilli telefona alla sua ultraquarantennale amica Gabriella Fragni (vedi ‘Intercettazioni Cancellieri’ da pagina 797), compagna di Salvatore Ligresti, che piange. I toni sono accorati, sembrano persino travalicare un sentimento di solidarietà tra amici. “Qualsiasi cosa  possa fare conta su di me, non lo so cosa posso fare, sono veramente dispiaciuta” (…) “Se tu vieni a Roma, proprio qualsiasi cosa adesso serva, non fate complimenti, guarda non è giusto, non è giusto”. Non è giusto cosa? L’arresto di Salvatore Ligresti? Parla il Ministro della Giustizia.

    Ed eccoci alla seconda ‘scena’, ambientata in agosto, con il contatto tra la Cancellieri  e i due vicecapi del Dap, il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, quello che lei stessa definisce “un intervento umanitario assolutamente doveroso in considerazione del rischio connesso con la detenzione”. Facciamo parlare ancora il Ministro (‘Verbale Cancellieri, pagina 450): “Ho ricevuto una telefonata da Antonino Ligresti (fratello di Salvatore, ndr)  che conosco da molti anni  e mi ha riferito della sua preoccupazione per lo stato di salute della nipote Giulia la quale soffre di anoressia e rifiuta il cibo. In relazione a tale argomento ho sensibilizzato i due vice capi del Dap perché facessero quanto di loro stretta competenza per la tutela della salute dei carcerati”. Alcuni giorni dopo l’interessamento del Ministro, a Giulia Ligresti vengono concessi i domiciliari anche se dalla Procura di Torino assicurano che l’intervento del Guardasigilli è stato ininfluente. Resta l’innegabile trasporto (“Lui non se lo meritava”, dice la Fragni sull’arresto del compagno, “Lo so, lo so”, risponde il Ministro) con cui la Cancellieri si è spesa per questa detenuta fragile, figlia di amici di una vita, e sullo sfondo la figura del figlio Piergiorgio Peluso, chiamato a fare ‘pulizia’ in Fonsai e che, come potete leggere nei documenti, si confronta anche sulla vicenda giudiziaria in alcune telefonate con gli ex alti dirigenti del gruppo coinvolti nelle indagini. (manuela d’alessandro e roger ferrari)

  • Ruba in casa di un magistrato, identificata a tempo di record

    La sfiga può toccare a tutti. Pure ai magistrati. Non ci sono serrande che tengano, né sistemi di sicurezza: a volte, se un ladro esperto decide di entrarti in casa, ce la fa a dispetto delle precauzioni dell’avveduto padrone. E’ quello che è capitato pochi giorni fa a un togato milanese. Ha avuto la sfortuna di incappare nell’opera di un, o meglio di una, professionista del campo. Risultato, casa svaligiata e un bello spavento al rientro. Diversi orologi di valore, volatilizzati. Un danno calcolato in circa 40mila euro. In quelle situazioni, la trafila è uguale per tutti: denuncia ai carabinieri, elenco minuzioso degli oggetti spariti, accensione di un cero nella speranza di rivedere la refurtiva, prima o poi. Ma secondo la vulgata dei più maliziosi, tra cui certo non possiamo annoverare gli autori di giustiziami.prlb.eu, la parità di condizioni con il comune cittadino finisce qui. Sostengono, i demagoghi, che nel caso in cui sia un magistrato la vittima del reato, la solerzia nel condurre le indagini aumenti. Tant’è, nel caso di specie, nel giro di 48 ore l’autore del furto è stato individuato. Grazie alle impronte digitali, rilevate prontamente e senza i famosi inquinamenti della scena criminis, e inserite in una banca dati in forza alla Sezione Investigazioni Scientifiche dei carabinieri milanesi. Un click, e la ladra è stata individuata, nonostante la dozzina di ‘alias’ che in passato ha fornito alle forze dell’ordine. Ora non resta che trovarla, poi dovrà affrontare un processo a Brescia, essendo milanese il magistrato vittima di furto. Certo, rubare a un magistrato…La sfiga può toccare a tutti, pure al ladro.(nino di rupo)

  • Il flop di Mani pulite bis, tutti prescritti

    Di processi anche importanti che finiscono in prescrizione ce ne sono tutti i giorni nei tribunali italiani, ma pochi giorni fa la corte d’appello di Milano ha ‘spazzato via’ le nove condanne, dai due anni a 3 anni e 6 mesi di reclusione, emesse in primo grado nel processo relativo a presunte tangenti pagate ad ex dirigenti di Enipower e Enelpower tra il 2002 e il 2004. Non si tratta di una vicenda giudiziaria qualsiasi perché nel 2004, quando scattarono 11 arresti per appalti energetici anche in Medio- Oriente, il pm Francesco Greco supportato poi dal gip Guido Salvini scrisse: ” Sarà peggio di Mani pulite”. Gli inquirenti avevano infatti interpretato male una telefonata intercettata in cui si diceva: “Facciamo presto perché incombe la campagna elettorale”. E subito iniziarono a circolare voci e indiscrezioni su somme ingenti finite ai partiti politici. Invece quelle parole captate dalle cimici erano solo una millanteria, una furbata al fine di mettere le mani sul denaro il prima possibile. Enipower-Enelpower si rivelò una storia di ordinaria corruzione. Nessuna Mani pulite bis, insomma. Forse perché avevamo già dato o forse perché quando una storia si ripete passiamo dalla tragedia alla farsa. Con la differenza che Mani pulite tra due pesi e due misure, uso spropositato del carcere per ottenere confessioni, indagini non fatte al fine di garantire la forza d’urto della magistratura contro i politici, l’inchiesta era già stata allo stesso tempo tragedia (per i numerosi suicidi) e farsa. Fu utile l’indagine sì, ma a costruire carriere politiche e fortuna personali, rimpinguando il conto in banca di magistrati che risposero alle critiche ricorrendo ai loro pari, i colleghi della porta accanto con cause civili milionarie.

    Alla fine abbiamo scampato la seconda puntata, ma lo stato di diritto già compromesso pesantemente dalla ‘lotta al terrorismo’ si vide infliggere un’altra grave ferita non ancora rimarginata per responsabilità che vanno divise tra le toghe e i politici. (frank cimini)