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  • Angelino, perché le notizie le racconti a metà?

    Angelino, perché le notizie le dai per metà? Li avete arrestati da mesi, la Procura sta per chiedere il giudizio immediato e non ci dici l’età, la nazionalità, i nomi o – che dico – almeno le iniziali! E poi spacci l’operazione come roba fresca, convocando una conferenza sul luogo del delitto e facendo per giunta incavolare gli investigatori?

    Adesso ci tocca rispiegarla. A gennaio il ministro dell’Interno Alfano convoca frotte di cronisti di nera in via della Spiga. Vuole rivendicare un grande successo investigativo, l’arresto di quattro stranieri che a maggio hanno messo a segno un colpo clamoroso proprio lì, alla gioielleria Franck Muller. In pochi minuti riesce a far incavolare polizia, carabinieri e procura, che avrebbero preferito più cautela nel fornire informazioni dopo mesi di riserbo assoluto. I neristi non è che impazziscano per la storia perché, nonostante Angelino, non riescono a scovare uno straccio di nome, o l’età degli arrestati. Insomma un mezzo spot per il vicepremier, ma anche un mezzo un flop istituzionale. (altro…)

  • Bruti e pm difendono Boccassini dopo le bordate dell’Antimafia
    ma qualcosa non torna

    Tutti in difesa di Ilda Boccassini, perfino chi l’ha attaccata. Il giorno dopo le bordate dell’Antimafia nazionale al pool di pm guidato dalla ‘rossa’ (vedi articolo di ieri su Giustiziami) c’è subbuglio a Palazzo di Giustizia. Sia il il procuratore Bruti Liberati sia i magistrati che lavorano nella squadra di Ilda ribattono con toni irritati alla Direzione Nazionale Antimafia che aveva parlato di “criticità” tra Roma e Milano. E a favore di Ilda, in un tourbillon di comunicati, interviene anche Franco Roberti, numero uno della Direzione Nazionale Antimafia dal cui rapporto annuale erano arrivate i rilievi.

    Bruti in una nota sottolinea “la straordinaria rilevanza” delle indagini svolte dal pool Boccassini di cui il Procuratore valorizza il “ruolo di impulso e coordinamento”. I pm che affiancano Boccassini vanno oltre, dopo avere ribadito “stima e fiducia totale” nei suoi confronti: “Respingiamo con forza perché false le notizie ed insinuazioni di presunti contrasti e dissensi interni all’Ufficio, sia tra noi Sostituti che con il Procuratore aggiunto, come altre criticità espresse nella relazione”. Ecco, “criticità”, il termine burocratese contenuto nel rapporto annuale della Dna diffuso ieri  per evidenziare lo “scarso flusso di informazioni” sull’asse Milano e Roma,  attribuito a una certa reticenza da parte di Boccassini. Nel suo comunicato, senza fare nomi e cognomi (li facciamo noi), Bruti minimizza. Se ci sono stati problemi, asserisce, sono stati superati dopo che il Procuratore Nazionale Antimafia, Franco Roberti,  ha sostituito il magistrato di collegamento tra la capitale e Milano, Filippo Spiezia, con Anna Canepa. (altro…)

  • L’antimafia nazionale sgrida quella milanese, “non ci da’ informazioni”

    Il rimprovero spunta dal fitto elenco di processi e inchieste vittoriosi della Procura di Milano. Una ‘spina’ tra gli elogi che colpisce al cuore il gruppo di magistrati guidati da Ilda Boccassini nella lotta alla criminalità organizzata.  In sostanza, nella sua relazione annuale l’Antimafia nazionale accusa quella milanese di passarle poche informazioni e non aiutarla nella sua attività di  coordinamento. Come a dire, i ‘fuoriclasse’ della battaglia contro le mafie non fanno gioco di squadra. Nel rapporto vengono evidenziate le ”perduranti criticita’ nelle relazioni con la Dda di Milano, che incidono sull’esercizio delle funzioni di questa Dna”, dovute allo scarso ”flusso informativo” che non permette di ”cogliere tempestivamente e in modo sostanziale i nessi e i collegamenti investigativi tra le altre indagini in corso sul territorio nazionale” che presentano ”profili di collegamento” con quelle in corso nel capoluogo lombardo. Nonostante le disposizioni normative e le ”successive indicazioni contenute nelle circolari e risoluzioni adottate” dal Csm, scrive la Dna, ”l’Ufficio distrettuale di Milano non ha garantito sinora un adeguato flusso informativo in favore della Dna”. Da parte della Dda di Milano, ribadisce la Dna, non c’e’ uno scambio ”idoneo” di informazioni ”per la preclusione posta a conoscere specificatamente gli atti relativi ad indagini in corso e, tanto meno, le richieste cautelari avanzate, essendo state quest’ultime rese conoscibili solo dopo l’esecuzione delle misure” di custodia cautelare. Problemi simili, secondo la Dna, ”riguardano lo scambio informativo all’interno dello stesso ufficio”, perche’ ”le notizie relative alle indagini dei singoli procedimenti non risultano essere patrimonio comune di tutti i magistrati componenti della Dda” milanese.

  • Daccò portato in manette come una bestia all’udienza,
    22 anni dopo Mani Pulite c’è ancora bisogno di questo?

    Parliamo di Daccò per parlare di tutti quelli come lui che ogni giorno scorgiamo nei corridoi del Palazzo. Perché urta il cuore, la ragione e il principio della dignità umana sancito da ogni Costituzione democratica vedere un imputato che non ha nessuna possibilità né di fare del male ad altri né di fuggire essere trascinato in manette,  come una bestia,  a un’udienza in Tribunale. Pierangelo Daccò, imputato con Roberto Formigoni nella vicenda Maugeri e prima ancora nel processo sul crac del San Raffaele,  è un uomo ‘rottamato’ da una lunga detenzione (è in carcere dal 2011), con una condanna a dieci anni alle spalle e per il quale oggi la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio, ritenendolo  il tramite  tra la Fondazione Maugeri e Roberto Formigoni, in un dedalo di corruzione e favori  da cui sbuca l’immagine ormai storica dell’ex Governatore beato a bordo di uno yacht. Reati, se provati, terribili, che distruggono la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Ma Daccò non ha ucciso, non è un violento, è un uomo ormai anziano che sta pagando le sue colpe. Precisiamo: se viene portato in manette non è certo colpa degli agenti penitenziari, ma di un regolamento che forse andrebbe rivisto, reso flessibile rispetto ai singoli detenuti. Oggi ricorre l’anniversario di ‘Mani Pulite’, una stagione che è passata alla storia anche per le immagini in manette di alcuni ‘colletti bianchi’, consegnate al popolo assetato di catarsi. E’ ancora  di ‘sangue’ che abbiamo bisogno  22 anni anni dopo, anno ‘zero’ per la corruzione in Italia?  (manuela d’alessandro)

  • Giustizia è fatta, ma ora al ‘menestrello’ ridate anche i bonghi

     

    Un comandante di compagnia chiede ai suoi sottoposti di controllare la situazione. Il caso è delicato: davanti al palazzo di Giustizia c’è un “soggetto di sesso maschile che – scriveranno il maresciallo e il carabiniere scelto – urlando e attraverso l’utilizzo di una fisarmonica, séguita a disturbare la quiete pubblica a proferire frasi ingiuriose”. C’è un pm che per fortuna chiede l’archiviazione ma contemporaneamente suggerisce – attenzione – che lo strumento musicale venga distrutto. E un giudice che non solo archivia ma, bontà sua, dispone soprattutto che l’organetto, “di colore rosso, marca Comet”, sia restituito al legittimo proprietario.
    Anche di questo si deve occupare la giustizia penale milanese. Tutto documentato negli esclusivi documenti pubblicati da Giustiziami.

    Questa volta è finita bene. Ecco perché, nell’ultima missiva inviata ai migliaia di indirizzi della sua mailing list, il nostro amico Giorgio Dini Ciacci, che in rete si fa conoscere anche come “Indignato Jo”, esultava avvertendo: “In totale restano altri quattro organetti, più vari bongo, tamburi…cartelli…due organetti uno marca Comet, l’altro marca Parrot, entrambi made in Cina, sono in mano ancora ai Carabinieri.
    Due organetti made in Castelfidardo – uno marca Excelsior, l’altro marca Baffetti modello “saltarelle” – sono in mano ancora alla Polizia Locale di Piazza Beccaria…iniziamo con gli organetti, poi penso di riacquistare la dignità…la salute è stata ormai compromessa”.

    Ecco, noi sposiamo l’appello del simpatico menestrello. Il suo Bella Ciao ipnoticamente intonato in largo Marco Biagi è parte dell’orizzonte sonoro del Tribunale. E allora restituitegli tutto. Vogliamo ascoltarlo. Suona ancora, Indignato Jo!

    Il giudice ridà la fisarmonica a Dini Ciacci, il ‘menestrello’ del Palazzo

  • Il giudice ridà la fisarmonica a Dini Ciacci, il ‘menestrello’ del Palazzo

    Giorgio Dini Ciacci, piaccia o no, per anni è stato la colonna sonora del Palazzo di Giustizia. La sua unica hit, ‘Bella ciao”, riproposta ogni giorno infinite volte,  martellava beffarda con la pioggia e col sole chiunque entrasse in Tribunale o avesse la ventura di transitare per Corso di Porta Vittoria. Accovacciato su una sedia davanti all’ingresso principale, il barbuto menestrello, tra una suonata e un Tso e l’altro, riversava insulti su magistrati e giornalisti, con una predilezione per Ilda Boccassini e i cronisti di Mani Pulite.

    Finché il 3 settembre dell’anno scorso la musica si è spenta dopo che i carabinieri lo hanno invitato a sloggiare e gli hanno sequestrato l’inseparabile fisarmonica. Ora, con somma gioia, è lo stesso Dini Ciacci ad annunciare in una delle periodiche mail a dir poco boccaccesche inviate a giornalisti e dipendenti del Palazzo che il gip Mannocci, su richiesta del pm Renna, ha archiviato il suo caso disponendo la restituzione dell’organetto al legittimo proprietario “ritenuto che non è possibile ravvisare gli estremi del reato di cui all’articolo 659 c.p. (rumori molesti, ndr) nei casi in cui le emissioni rumorose non superino la normale tollerabilità ed in quelli in cui sia oggettivamente impossibile il disturbo di un numero indeterminato di persone, ma siano offesi solamente soggetti che si trovano in luogo contiguo a quello da cui provengono i rumori”.

    O voi che passate davanti al Palazzo, non dite mai più a Dini Ciacci ‘smettila di suonare sempre la stessa canzone”, non pensate mai più che la sua fisarmonica produca note moleste. La Cassazione, su cui si basa il provvedimento del giudice, gli da’ ragione e se il ritornello è sempre lo stesso chi se ne importa, basta che il volume sia non troppo alto. Mica siamo a Sanremo, qui. (manuela d’alessandro)

  • Gli avvocati di Silvio
    difesi da ‘comunisti’ e finiani

    Ma se l’avvocato finisce nei guai, chi difende l’avvocato? E se l’avvocato nei guai è anche un politico, per lui ci vuole un avvocato-politico? E se l’avvocato-politico-uomo finisce nei guai per una vicenda che ha molto a che vedere con le donne, non sarà meglio farsi affiancare da un avvocato-politico-donna? Facciamo di meglio: qui ci vuole un grande-avvocato-politico-donna-diideeoppostealletue. (altro…)

  • Dossier illeciti, Tronchetti da’ appuntamento a Cipriani in Tribunale

    Il Presidente di Pirelli Marco Tronchetti Provera risponde con una nota alla notizia, riportata due giorni fa da Giustiziami, della querela presentata nei suoi confronti da Emanuele Cipriani, nell’ambito della vicenda sui dossier illeciti fabbricati all’ombra di Telecom.   L’ex investigatore privato sostiene di essere stato diffamato dai microfoni del programma ‘Presa Diretta’  dove Tronchetti ha ribadito, in sostanza, che i report  venivano confezionati da Cipriani e da una ‘scheggia impazzita’ della Security e non su indicazione dei vertici. (altro…)

  • Da avvocato di Berlusconi a contradaiolo,
    la seconda vita del vice – Ghedini

    Da avvocato di Berlusconi, pilastro dello studio padovano Ghedini – Longo, a contradoiolo dell’Oca. A 40 anni tondi, quando la maggior parte dei suoi colleghi inizia a correre, PierSilvio Cipolotti abbandona la toga e infila la curva della ‘decrescita felice’, senza rimpianti. “Non erano tanto i ritmi di lavoro a pesarmi, perché nello studio dove per anni sono stato il ‘numero due’ di Ghedini c’era un grande rispetto per le persone. Molto più difficili da sostenere erano le alte responsabilità e le pressioni anche mediatiche di questi anni”. Dal 2001 Cipolotti ha affiancato gli avvocati – parlamentari Niccolò Ghedini e Piero Longo in tutti i processi del Cavaliere, da Mediaset a Ruby. “Preparavo le udienze, ero il punto di riferimento di Ghedini”. Un lavoro nell’ombra, ma che lo ha provato a tal punto da fargli perdere l’entusiasmo con cui aveva sposato la sua avventura da avvocato. “Già da qualche anno ero stanco e avevo cominciato a pensare a un’alternativa per quando avrei avuto le possibilità economiche di lasciare la professione”.  La svolta arriva con un incontro magico. “Io, veneto da generazioni, mi sono innamorato di  Siena e ho pensato che avrei desiderato andare a vivere lì nella mia nuova vita”. Nel maggio del 2005  celebra il suo ingresso nella Nobile Contrada dell’Oca col rituale battesimo e lentamente la strada si fa in discesa per affrontare la curva decisiva. Ora, prima che riprenda il carosello giudiziario di Berlusconi, alle prese con nuovi processi  e l’inchiesta Ruby ter, Cipolotti scende dalla Ferrari e salta a cavallo. “Che lavoro farò a Siena?  Farò il volontario per la mia contrada e ricomincerò a giocare a scacchi e a bridge, le passioni che ho trascurato per tanti anni. In questi anni ho guadagnato abbastanza da potermelo permettere”. (manuela d’alessandro)

     

    Non è l’unico ad aver deciso di mollare la toga per ‘rallentare’. Loro la fuga l’hanno fatta in coppia: doppia-fuga-dalla-toga-laddio-ai-grandi-processi-milanesi-per-un-alberghetto-sul-mare-in-marocco

     

  • L’investigatore privato querela Tronchetti:
    “Macché spia, i dossier li facevo per te”

    L’esecutore dei dossier fabbricati all’ombra di Telecom, Emanuele Cipriani, querela Marco Tronchetti Provera il quale, in un’intervista andata in onda a ‘Presa diretta’ del 27 gennaio scorso, è tornato a sostenere la sua linea processuale: i report illeciti nascevano da iniziative autonome della security guidata da Giuliano Tavaroli e non su indicazione dei vertici aziendali. I dossieraggi, assicura Tronchetti, rispondevano esclusivamente agli interessi “di spie e ladri”.

    Sarà la Procura di Roma a indagare sulla denuncia per diffamazione aggravata presentata nei giorni scorso dall’ex titolare dell’agenzia investigativa ‘Polis d’Istinto’, condannato in primo grado a 5 anni e mezzo di carcere, che si è sentito chiamare in causa sia in quanto autore dei dossier, sia perché nella trasmissione di Riccardo Iacona, Tronchetti ha fatto proprio il suo nome. (altro…)

  • Guardare gli uccelli sul lago costa 8 mesi di carcere a Dell’Utri

    Non ha potuto emulare il ‘Barone rampante’ di Italo Calvino, quel Cosimo Piovasco che a 12 anni salì su un albero dopo una lite coi genitori per un piatto di lumache e non scese mai più. Marcello Dell’Utri da quella ‘casetta’ inerpicata tra i rami vista lago di Como, costruita nel parco della villa di Torno, è franato in malo modo.

    Atterraggio brusco dopo la senteza di primo grado pronunciata dai giudici comaschi, nove mesi di carcere (pena sospesa), mitigati oggi ma di poco dalla Corte d’Appello di Milano. Otto mesi. Tanto è costata la passione per il bird – watching all’ex senatore che era stato denunciato nel 2009 quando il piccolo Comune lacustre scoprì ‘l’intrusa’ nel giardino della dimora, una costruzione da 70 metri quadri, due piani più una torretta. Citato dal pm in primo grado, l’architetto del Comune  aveva però contrastato la tesi dell’accusa sostenendo che l’edificio fosse smontabile e anche la Sovrintendeza aveva negato l’esistenza di violazioni paesaggistiche. Più severi di tutti sono stati i giudici di primo e secondo grado che hanno punito Dell’Utri per abusivismo edilizio e alterazione delle bellezze paesaggistiche.

    Se Cosimo volle avvicinarsi al cielo per colpa di un piatto di lumache,  Dell’Utri quand’ è sceso dalla casetta (in parte demolita su ordine del giudice)  si è trovato una scintillante ricompensa. Ventuno milioni di euro scuciti dall’amico Berlusconi per impossessarsi di quella ‘favola’ da trenta locali, campo da tennis e darsena con vista sul blu.  (manuela d’alessandro)

     

     

     

  • Ecco le prime immagini di Kabobo

    Adam Kabobo, il ghanese accusato di tre omicidi volontari a colpi di piccone, arriva al palazzo di giustizia di Milano. Sono le prime immagini da quando è stato rinchiuso in carcere. Ma la sua condizione psichica, stando al perito nominato dal Tribunale del Riesame, è incompatibile con la permanenza a San Vittore.

    kabobo

    Nessuno si scandalizzò molto quando Lele Mora, due anni fa, venne scarcerato e rimesso in piena libertà per ragioni simili: lo “stress psicofisico” dovuto alla permanenza nel reparto ‘colletti bianchi’ di Opera aveva reso impossibile la detenzione dell’agente dei vip. Senso di umanità? Più o meno. Certo, era in carcere per accuse ben diverse da quelle che ricadono su Kabobo. Ma tant’è, una parte dell’opinione pubblica non è disposta a concedere lo stesso trattamento al triplice omicida. Che ovviamente, data la spiccata pericolosità sociale, non finirà certo a piede libero. Il suo destino sarà comunque la custodia cautelare per ora, anche se in un ospedale psichiatrico giudiziario. Anche nel caso di una ipotetica assoluzione per infermità mentale finirebbe comunque in un opg, come misura di sicurezza. In ogni caso, quindi, sarà trattenuto in luogo sicuro per anni e anni. Il resto è polemica.

     

     

  • Kabobo in tribunale. Ecco le prime immagini

    Adam Kabobo, il ghanese accusato di tre omicidi volontari, arriva al palazzo di giustizia di Milano. Sono le prime immagini da quando è stato rinchiuso in carcere. Ma la sua condizione psichica, stando ai periti nominati dal Tribunale del Riesame, sono incompatibili con la permanenza in carcere.

    kabobo

    Nessuno si scandalizzò molto quando Lele Mora, due anni fa, venne scarcerato e rimesso in piena libertà per ragioni simili: lo “stress psicofisico” dovuto alla permanenza nel reparto ‘colletti bianchi’ di Opera aveva reso impossibile la detenzione dell’agente dei vip. Senso di umanità? Più o meno. Certo, era in carcere per accuse ben diverse da quelle che ricadono su Kabobo. Ma tant’è, una parte dell’opinione pubblica non è disposta a concedere lo stesso trattamento al triplice omicida. Che ovviamente, data la spiccata pericolosità sociale, non finirà certo a piede libero. Il suo destino sarà comunque la reclusione, in un reparto psichiatrico. Anche nel caso di una ipotetica assoluzione. Per ragioni di sicurezza, sarà trattenuto in luogo sicuro per anni e anni. Il resto è polemica.

     

     

  • Ma quale “gogna mediatica”…
    I giornali sono la “cassa di risonanza” delle Procure

    Faceva una certa impressione vedere la solenne parata di sabato per l’annuale inaugurazione giudiziaria degli ‘ermellini’. Tra i vari interventi pervenuti dalle  sedi, mi hanno colpito quelli di Milano, Torino e Palermo perché si è fatto esplicito riferimento alle più importanti indagini condotte dalle locali Procure.
    Grande enfasi di stampa ha avuto poi la denuncia di “gogna mediatica” del Presidente Canzio, che ha rivendicato il merito di una risposta sobria ed imparziale dei magistrati milanesi.
    Ha fatto benissimo il Presidente, ci mancherebbe, a pubblicamente lodare il lavoro del suo distretto, ma lascia un filo perplessi quel pubblico lamento sulla “gogna”.
    Da almeno 40 anni in Italia infatti, e gli esempi sono così elcatanti che risulta inutile qui ricordarli, assistiamo ad una quotidiana, quanto preoccupante, “cassa di risonanza” da parte dei media nostrani alle principali inchieste delle varie Procure, e anche quella milanese in questi anni non si è certo sottratta.
    Non molto tempo fa un articolo del Corriere della Sera ha sollecitato la Suprema Corte di Cassazione ad una rapida fissazione di una udienza che evitasse il rischio di una prescrizione “importante” ed è noto come andò.
    Anche gli anni di “Mani Pulite”, ma prima ancora quelli delle “emergenze terrorismo e mafia”, videro una sorta di rincorsa alla notizia stile “sbatti il mostro in prima pagina” da parte dei media più seguiti. Insomma, e per farla breve, non pare davvero che nel nostro paese la Magistratura soffra di una stampa così ostile.
    Ad eccezione di quella palesemente schierata e di parte ovvio, ma questo non la rende una ennesima “emergenza”, di cui come noto il nostro paese è sempre in cerca per sopravvivere, così “stringente”. Anzi, se dobbiamo dirla tutta, mi paiono più preoccupanti della “gogna” certe ricerche di “ribalta” che in questi anni non sono certo mancate, e spiace non aver sentito da Canzio, ma questo per vero ha riguardato anche tutti gli altri interventi, il benché minimo accenno, neppure larvato, a quello che in gergo comune si usa definire “esercizio di autocritica”.

    (avvocato Davide Steccanella)

  • Anno giudiziario, il Procuratore contro i giudici che non ricostruiscono i fatti

    Avanti così e anche i sindaci potranno diventare giudici e infliggere pene. Questa la sintesi brutale del discorso di uno dei magistrati più rigorosi e raffinati della Procura di Milano, il Procuratore Generale Manlio Minale, che vince la palma di più applaudito all’inaugurazione dell’anno giudiziario. “Non voglio tornare al giudice ‘bocca della legge’ di Benedetto Croce perché la società evolve”, ammette Minale, ma proprio non gli va giù che ci siano magistrati più attenti a quello che sta attorno a loro che al codice. “Croce sosteneva che la sentenza è frutto di un percorso logico, non esisteva che fosse un atto politico.  Invece – affonda – vedo segnali che vanno in questa direzione. In una sentenza abbiamo letto che non è compito della Corte ricostruire i fatti”. E, sempre su questa scia, ricorda i verdetti  sugli omicidi stradali,”con capovolgimenti di fronte frutto solo di valutazioni” e il sempre maggiore ricorso alla mediazione per risolvere i conflitti giudiziari. “Ci sono “esigenze”, dettate dalle spinte sociali, sprona Minale, “di venire a una decisione che non passi da un percorso logico, ma sono tutti sommovimenti ai quali bisogna opporsi nettamente”.  “Se la giurisdizione – conclude con una ‘visione’ inquietante –  non è soggezione del giudice alla legge allora anche il sindaco e altri soggetti potranno decidere in futuro” sulla libertà delle persone. E pensare al sindaco -avvocato Giuliano Pisapia, seduto in platea, trasformarsi in giudice, fa un po’ impressione. (manuela d’alessandro)

  • Chi è Gaglio, il giovane pm che ha rimesso in carcere Chiesa
    e ora indaga su Berlusconi

    Luca Gaglio, 40 anni compiuti a novembre, è l’uomo del giorno al Palazzo di Giustizia di  Milano. Tutti bussano alla sua porta, in un corridoio laterale del quarto piano, lontano dall’ufficio di Ilda Boccassini, che da oggi esce ufficialmente dall’affaire Ruby per gli “impegni pressanti” da lei assunti su altri fronti, come ha spiegato il procuratore Bruti Liberati. Faccia da ragazzino, battuta pronta, Gaglio è nato a Trieste e, dopo avere superato il concorso in magistratura, ha svolto un periodo di uditorato a Milano. Si è ‘fatto le ossa’ come sostituto procuratore a Busto Arsizio dove è rimasto sei anni per tornare poi da dove era partito, a Milano. Fa parte del pool ‘fasce deboli’ guidato dal procuratore aggiunto Pietro Forno al quale spetterà ‘dirigere’ le indagini della neonata inchiesta Ruby ter affiancato dal giovane collega. Il suo arresto più noto, quando era pm a Busto Arsizio, è stato quello di Mario Chiesa, l’uomo che aprì la stagione di ‘Mani Pulite’, finito di nuovo dentro in una vicenda legata al traffico illecito dei rifiuti. Più recenti le indagini su un sedicente santone di origine danese che violentava le sue clienti e su Marinella Colombo, la donna accusata di avere portato via i figli all’ex marito tedesco. Oggi Gaglio ha cercato in tutti i modi, sempre sorridendo, di sottrarsi al fotografo dell’Ansa che non aveva in archivio neppure una sua foto. Alla fine il flash è scattato. I pm ‘berlusconiani’ sono sempre protagonisti da prima pagina. (manuela d’alessandro)

  • Offese al pm Robledo, Formigoni dovrà pagargli 40mila euro

    Erano i tempi in cui Roberto Formigoni le vinceva tutte sul campo giudiziario e sul suo capo brillava la corona di ‘re’ indiscusso del Pirellone. Un giorno, il 28 marzo 2006, proclamò che quel pm che aveva ficcato il naso nello scandalo planetario sulle tangenti marcate ‘Oil for food’ indagando un suo fido collaboratore, Fabrizio Rota, mandava “squadroni in giro per il mondo con grande dispendio di energie, perquisizioni, telefoni controllati” per fare le pulci alla Cogep, un’azienda genovese ‘segnalata’ dal Celeste niente meno che all’ex vicepresidente iracheno Tarek Aziz.  “Ogni volta che si avvicinano le elezioni – aveva affondato il Governatore –  questo magistrato inquirente fa partire articoli sui giornali, passa notizie. Lo scopo credo che lo capiscano tutti i cittadini”.

    Sette anni dopo, triturato dall’inchiesta  giudiziaria sulla Maugeri che l’ha consegnato per il tramite di Crozza al pubblico scherno come l’uomo che faceva favori in cambio dei giri su lussuosi  yacht, l’attuale senatore Roberto Formigoni deve pagare un conto salato al pm Robledo. Il Tribunale di Brescia (competente sulle ‘toghe’ milanesi) l’ha condannato a risarcire 40mila euro a Robledo il quale l’aveva querelato all’indomani di quegli attacchi sprezzanti.  Formigoni, quel 28 marzo, era inviperito perché era uscita la notizia che Rota  era indagato in un rivolo italiano di quella brutta faccenda che girava intorno al programma ‘cibo in cambio di petrolio’ nel martoriato Irak.  (manuela d’alessandro)

     

  • Troppo silenzio sulla sentenza che 35 anni dopo riconosce la “tortura di Stato”

    Un assordante silenzio dei vari media (con ben rare eccezioni) sembra accompagnare l’avvenuto deposito delle motivazioni di una recente Sentenza di revisione della Corte di Appello di Perugia, la n. 1130/13 siglata dai Magistrati Ricciarelli, Venarucci e Falfari.

    Si dirà che in fondo è un fatto vecchio che non fa più “notizia” posto che si trattava della condanna a suo tempo inflitta per calunnia ad Enrico Triaca, un oscuro “tipografo” romano arrestato il 15 maggio 1978 in occasione delle indagini sul sequestro Moro.

    Costui aveva a suo tempo denunciato all’allora Giudice Istruttore di Roma, Gallucci, lo stesso Magistrato che nel 1979 attribuirà al veneto Toni Negri la diretta paternità della celebre telefonata fatta dal marchigiano Mario Moretti alla signora Moro, di avere subito pesanti torture nella notte tra il 17 ed il 18 maggio presso il Commissariato romano di Castro Pretorio, prima di rendere il proprio interrogatorio il   18 maggio.

    Per tali affermazioni Enrico Triaca fu puntualmente condannato per calunnia dal Tribunale di Roma il 7 novembre 1978 scontando interamente la propria pena.

    Dopo 35 anni la Corte di Appello di Perugia ha accolto l’ istanza di revisione di Enrico Triaca “revocando”, per quel che ormai può servire, quella condanna per il semplice motivo che quanto a suo tempo dichiarato dall’imputato era vero. (altro…)

  • Né movente né giudice, dopo la Cassazione su Garlasco è caos

    Alberto Stasi non e’ un pedofilo e questa fino ad oggi e’ l’unica verita giudiziaria emersa dal 13 agosto 2007 quando la fidanzata Chiara Poggi e’ stata uccisa nella sua villetta di via Pascoli a Garlasco. Dopo due sentenze di condanna per il possesso di alcuni frammenti di immagini pedopornografiche trovate nel suo computer, ieri sera gli ermellini hanno ribaltato i pronostici e assolto il ‘biondino’.

    Una sorpresa, come quella che ad aprile porto’ altri giudici della Suprema Corte a chiedere che, dopo due assoluzioni dall’accusa di omicidio, Stasi tornasse in aula per rispondere nuovamente del delitto.

    Confusione a parte delle toghe, bisognera’ attendere che si fissi la data del processo d’appello bis per scoprire il nuovo movente dell’accusa. La visione di quelle immagini raccapriccianti da parte di Chiara sarebbe stata la molla dell’omicidio, secondo quanto già spiegato nel primo appello dalla pg Laura Barbaini che pare non abbia gradito il verdetto di ieri.

    Riassumendo. Niente testimoni, nessuna traccia dell’arma, e, a nove mesi di distanza, non è ancora stato individuato chi dovrà ‘firmare’ la nuova sentenza. Per uno strano incrocio del destino, avrebbe dovuto guidare il collegio Sergio Silocchi, il presidente della prima corte d’assise ed ex marito del pg Barbaini, il quale ovviamente ha deciso di astenersi. Neppure i giudici della seconda assise che avevano scagionato Stasi potranno celebrare il nuovo processo e allora non restano, ‘per eliminazione’, che quelli della terza sezione della Corte d’Appello. Sembra non esserci nulla di facile in quello che è il rebus di cronaca nera più intrigante degli ultimi anni. (oriana lupini e manuela d’alessandro)

  • La relazione segreta sugli ultras
    Dove sto io non stai tu
    Altrimenti ci arrabbiamo

    Allo stadio il territorio è tutto. Quello che è mio non è tuo, dove stai tu non vengo io. Altrimenti saltano le barriere. E volano le botte. Lo dimostrano i fatti di San Siro del 14 settembre scorso e lo spiega bene la Digos di Milano nell’informativa che costituisce il documento più importante delle indagini appena chiuse dal pm Marcello Musso nei confronti di 12 ultras. Una relazione di poche pagine in cui si parla in continuazione di “calci e pugni”, “regolamenti di conti”, “propositi di vendetta” e “inaudita ferocia”. Violenze scatenate da un gesto la cui gravità non è comprensibile se non all’interno delle regole – non dette, incivili, infantili, ma pur sempre regole chiare – della tifoseria organizzata: un capo ultras si è permesso di mettere piede dove i tifosi della squadra avversa stanno esultando per la rete della propria compagine, la Juventus. Cos’è successo? Guardatevi questi:

    rissa stadio  rissa stadio 2 rissa stadio 3

    “E’ noto che le due tifoserie, con particolare riferimento alle frange ultras più estreme delle stesse, sono divise da un acerrimo rapporto di rivalità che spesso è sfociato in episodi di violenza, situazione questa che si è riproposta anche in occasione dell’evento in questione e culminata con violenti scontri fisici”, scrive la Digos. Parliamo della terza giornata del campionato di serie A in corso. Inter-Juve. Il primo tempo finisce a reti inviolate, nel secondo Icardi insacca per i padroni di casa al 73esimo. Ma due minuti dopo Vidal, per bianconeri, segna l’1 a 1. Che sarà poi il risultato finale. Quel secondo gol è l’inizio di tutto.

    “Il noto ultrà interista Dario B., appartenente al gruppo degli ‘Irriducibili’, in occasione della rete siglata dalla squadra torinese, trovandosi indebitamente all’interno del settore ‘secondo anello arancio’, ha ingaggiato un’animata discussione con alcuni tifosi bianconeri, i quali avevano appunto esultato per il gol della loro squadra. L’animata discussione degenerava, passando alle vie di fatto, in una violenta colluttazione durante la quali B. aveva la peggio. Violentemente percosso, rovinando lungo la scalinata e terminando la sua caduta a ridosso della balaustra delimitante gli spalti”. (altro…)

  • La Cassazione libera Brega Massone per un “errore” della Procura Generale

    Torna libero per quello che la Cassazione ha giudicato un errore dei magistrati milanesi Pier Paolo Brega Massone, il chirurgo arrestato e condannato a 15 anni e mezzo di carcere per avere effettuato decine di operazioni inutili nella casa di cura Santa Rita, diventata tragicamente nota come ‘clinica degli orrori’. La Suprema Corte ieri ha annullato l’ordine di carcerazione, con la conseguenza che, riferiscono i suoi legali Oreste Dominioni e Luigi Fornari, il medico lesto a sfoderare il bisturi per aumentare stipendio e possibilità di carriera in assenza di esigenze terapeutiche, “sta per lasciare il carcere di Opera”.

    Per capire come si sia arrivati alla scarcerazione, bisogna riavvolgere il nastro al giugno 2013, quando la Cassazione ha annullato per un errore di calcolo nella prescrizione di alcuni reati la condanna in secondo grado e disposto un nuovo appello per rideterminare la pena. E’ in questo momento, prima dell’appello bis,  che la Procura Generale di Milano emette un ordine di carcerazione ritenendo il verdetto degli ermellini definitivo nella parte in cui non era stato annullato. Il provvedimento restrittivo viene ribadito dalla sezione feriale della Corte d’Appello a cui si rivolgono gli avvocati di Brega per farlo annullare.

    Il 15 novembre scorso, il processo d’appello ‘bis’ sancisce  la sua condanna per le accuse di truffa, falso e una novantina di lesioni dolose a 15 anni e sei mesi. Ieri il colpo di scena con la Cassazione che annulla sia la decisione della sezione feriale sia l’ordine di carcerazione. Sempre per la smania di operare (“la mammella mi rende moltissimo, pesco polmoni dappertutto”, diceva in una delle intercettazioni più cruente agli atti dell’inchiesta), l’ex capo dell’equipe di chirurgia toracica è attualmente imputato in un secondo processo in cui risponde di 4 omicidi e altri casi di lesione. Arrestato nel giugno 2008, Brega è stato in carcere per quattro anni e mezzo con una breve parentesi di libertà. (manuela d’alessandro)

  • La Polizia tiene il riserbo per un mese
    ma Alfano spiattella tutto in gioielleria

    C’è un segreto investigativo che tiene strenuamente da almeno un mese. Polizia, carabinieri e procura di Milano tutti d’accordo: “Acqua in bocca!”. C’è da risolvere in silenzio il caso di una delle più spettacolari rapine avvenute a Milano negli ultimi anni. Obiettivo, la gioielleria Franck Muller in via della Spiga, pieno quadrilatero della moda, l’area più lussuosa della città, nota soprattutto a quei turisti milionari che da tutto il mondo arrivano a frotte per lo shopping di alto livello. A maggio scorso una banda armata di molotov, mazze e picconi entra, picchia due dipendenti, spacca le vetrine e fugge nel giro di pochi minuti. Un colpo studiato, violento e a suo modo perfetto.

    Più di un mese fa, arrivano i primi arresti, due. Poi, alla spicciolata, finiscono in galera altri due complici. Silenzio. Non c’è uno sbirro che si faccia sfuggire la dritta al vecchio amico cronista di nera. Non un magistrato che ceda alle lusinghe della stampa. E neppure un avvocato disposto a ‘vendersi’ il cliente in cambio di una citazione sui giornali. Poi arriva lui. Il ministro. Dell’Interno. Quello che sovrintende alle forze di polizia. Quello che, proprio nel giorno della clamorosa rapina, si trovava a Milano per presiedere un comitato provinciale sull’ordine e la sicurezza e annunciare l’intenzione di spedire nel capoluogo 140 militari: “Non è un’operazione spot. La capitale economica del Paese va salvaguardata a partire dalla sicurezza”, aveva tuonato a favore di telecamera. Ecco, oggi Alfano era di nuovo a Milano. Presenza prevista almeno da venerdì, quando alcuni pezzi grossi delle forze dell’ordine si sono presentati alla gioielleria Muller di via della Spiga per spiegare ai dipendenti che oggi avrebbe avuto luogo un’occasione speciale: “C’è il ministro”. E quindi presentarsi in ufficio, vestiti decorosamente, per rendere i dovuti onori. Poco importa se quei dipendenti oggi, da orario, dovevano stare a casa a dormire. Qualcuno aveva impegni privati importanti. E allora, perché Alfano passava in negozio? Per comprare un solitario? Un bell’orologio? No, per annunciare un successo. (altro…)

  • Strage di via Palestro
    Le carte che incastrano il basista

    Sempre interessante la ricostruzione della stagione delle stragi mafiose. Con questo arresto, un altro tassello di quella storia trova il suo posto. E’ il ruolo di Filippo Tutino, basista della strage del 1993 in via Palestro, a Milano. Ecco qui l’ordinanza di custodia cautelare a suo carico, con tutte le sue mosse, le sue amicizie, le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza. In allegato, l’ordinanza in un formato leggero. (manuela d’alessandro)
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  • Sbianchetta un documento in Tribunale
    E voilà il Tao è di nuovo nei guai

    Il personaggio è uno che in tribunale, quando ce n’è bisogno, sa usare i fuochi d’artificio. E i colpi li mette a segno, non c’è che dire, se è vero per esempio quanto dichiarò a qualche mese fa a ‘la Zanzara’ su Radio24: “Il più grande criminale che ho difeso? Un politico della Prima Repubblica, un criminale vero, ma io l’ho fatto assolvere, una grande soddisfazione”. Carlo Taormina le aule di giustizia le ha viste da ogni angolatura. Da avvocato prima, da magistrato poi, infine di nuovo da legale. Ma pure da imputato. Le ultime due posizioni non sono affatto inconciliabili, per altro. Si può essere avvocato in un processo e imputato in un altro. Proprio quello che è capitato a lui. Tanto che gli impegni, nel caso che vi raccontiamo, si sono accavallati portandolo a cadere in un pasticcio che gli è costato una condanna a 10 mesi di reclusione, pena sospesa, per falso. Tutto per una cosa da poco, quasi uno scherzo da liceo: la sbianchettatura di un documento.

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  • Ruby ter. Ecco i 44 nomi

    Chi e quanti saranno gli indagati nell’annunciata inchiesta Ruby Ter? Non ci vuole grande fantasia per indovinarli. I nomi li hanno già suggeriti alla Procura di Milano, mettendoli nero su bianco, i giudici dei due processi di primo grado sul caso. Nomi scritti nei dispositivi delle sentenze: quella a carico di Silvio Berlusconi e quello nei confronti di Emilio Fede, Nicole Minetti e Lele Mora. Il tribunale ha disposto “la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica per quanto di competenza in relazione agli indizi di reità ravvisati”, come si può leggere nel dispositivo della condanna “Ruby bis”.

    Ecco perché, tenuto conto degli articoli 331 n° 4 e 335 del codice di procedura penale (vedi qui http://www.altalex.com/index.php?idnot=36798) abbiamo fatto le nostre previsioni. Possiamo sbagliarci. Ma visto il meccanismo, la Procura dovrebbe limitarsi a prendere atto e iscrivere, salvo rivedere le cose in seguito, decidendo di archiviare. Oppure invece proseguendo l’azione penale. L’iscrizione, di per sé significa poco e non necessariamente va vista come un’infamia.

    Tra gli indagati allora dovrebbero esserci un ex presidente del Consiglio attualmente fuori dal parlamento, un paio di ex sottosegretari, un fisioterapista, un dj, un famoso autore di musica napoletana, due coppie di giovani gemelle, tre avvocati due dei quali attualmente parlamentari, una sfilza di ragazze, alcune delle quali indicate dalla stampa come ‘le olgettine’, e una funzionaria della Questura di Milano. Quarantaquattro nomi in totale. Le accuse saranno diverse, calibrate a seconda del comportamento dei singoli. Una sarà certamente “corruzione in atti giudiziari”, per altre persone sarà invece “falsa testimonianza”.

    Non siamo neppure all’inizio dell’inchiesta Ruby Ter. Per noi, potrebbero essere tranquillamente tutti assolti, o persino archiviati al termine delle indagini. L’iscrizione è per alcuni un atto dovuto. E tuttavia, secondo molti osservatori, alcuni episodi illeciti della futura indagine sono più provati di quelli per cui è già stato emesso un verdetto di condanna. Chissà come andrà a finire. In ambienti legali, c’è chi ipotizza con giustiziami.prlb.eu un provvedimento di sequestro del profitto del reato (si parla delle olgettine in questo caso: ve lo immaginate? Almeno 2500 euro moltiplicato per un certo numero di mesi oltre alle auto e agli altri benefit liberalmente elargiti da Berlusconi). Bando alle chiacchere. Volete sapere i nomi? Li trovate qui sotto, nel file allegato “Ruby ter, potenziali indagati”. (nino di rupo, manuela d’alessandro)

    Ruby ter, potenziali indagati

  • Il santino di Calabresi nella fiction anti – storica della Rai

    A prescindere dal valore tecnico di una fiction su cui già si è espresso il noto critico Aldo Grasso sul Corriere, ho trovato molto grave l’“operazione televisiva” mandata in onda in questi giorni sul primo canale RAI, e di cui sono già previste altre due parti che dovrebbero, il condizionale è d’obbligo, ricostruire altrettanti significativi episodi che hanno contrassegnato la recente Storia del nostro Paese.

    Già dal titolo (“Gli anni spezzati”), nonché dalla lettura di nomi e credenziali di chi ha collaborato alla stesura della sceneggiatura, era evidente la scelta precisa da parte degli autori di raccontare una storia molto poco Storia come del resto accaduto già troppe altre volte quando si è affrontato nelle sedi più “paludate” un periodo sul quale, per le note e più volte dette ragioni, non si è mai voluto fare davvero i conti.

    E così, un po’ come aveva già fatto (anche se con ben altra perizia) il regista Giordana con “Romanzo di una strage” si è voluto costruire un santino intorno ad una figura alquanto complessa e che si muoveva in una realtà nazionale (e non solo) ancor più complessa, per un popolo bue che evidentemente in grave penuria di uomini in cui credere, abbisogna di eroi.  (altro…)

  • L’avvocato con la passione dei funghi che cambia la storia dei cognomi italiani

    E’ Luigi Fazzo, legale civilista milanese di 56 anni con la passione per i funghi, l’uomo a cui le mamme italiane devono la possibilità di trasmettere il cognome ai figli grazie alla sentenza depositata oggi dalla Corte Europea dei Diritti Umani. I giudici di Strasburgo hanno sancito il diritto di dare ai figli il solo cognome materno, condannando l’Italia per avere violato i diritti dell’avvocato Fazzo e della moglie Alessandra Cusan, 49 anni, mamma a tempo pieno.

    – Oggi è una giornata di festa in casa Fazzo – Cusan…

    – Sì, oggi siamo felici che si sia chiusa una vicenda giudiziaria lunghissima e che i giudici abbiano dato la possibilità alle nostre due bambine di 15 e 13 anni di non esssere discriminate e al loro fratellino di 10 di poter scegliere quale cognome dare ai suoi figli quando ne avrà.

    – Come mai lei e sua moglie siete arrivati fino alla Corte di Giustizia Europea per vedere riconosciuto questo diritto?

    – Nessun motivo particolare di natura personale e nemmeno la definirei una questione di principio, il nostro desiderio era quello di far venire meno una discriminazione. (altro…)

  • In Parlamento teorizzò “Ruby nipote di Mubarak”
    Paniz è il nuovo avvocato di Fede

    “Egli telefonò, sì telefonò! Ma lo fece senza esercitare pressioni di sorta! Per chiedere un’informazione, nella convinzione che Karima El Marough fosse parente di un presidente di stato”.

    Chi non ricorda quel vulcanico intervento alla Camera, pronunciato in un’aula trasformata in bolgia, con i deputati della maggioranza sommersi dai fischi dell’opposizione di centrosinistra? Era il 3 febbraio 2011, il Parlamento doveva decidere se autorizzare o meno le perquisizioni negli uffici del ragionier Spinelli, l’uomo che teneva la contabilità della famiglia Berlusconi. Sì, di nuovo Berlusconi, e cioè “Egli”. La Procura di Milano chiedeva di entrare e sequestrare un po’ di roba. Solo che la mattina delle perquisizioni, sugli uffici di Milano 2 era comparsa l’etichetta “Presidenza del Consiglio dei Ministri”. Territorio di Silvio, non si entra senza chiedere permesso. E allora il trio dei pm Boccassini-Forno-Sangermano inviò formale richiesta alla Camera di appartenzenza del Cav. Il Pdl in forze si schierò a difesa del suo presidente ufficializzando in sede politica la versione del caso Ruby con cui Berlusconi si sarebbe poi difeso nelle aule di giustizia: Silvio certò telefonò in Questura, ma solo perché convinto che la marocchina Karima-Ruby fosse parente del presidente egiziano Mubarak. Dichiarazioni che divisero il Paese. Metà dei cittadini-elettori-telespettatori a ironizzare, l’altra metà ancor più fermamente convinta della buona fede dell’allora presidente del Consiglio. A enunciare la tesi fu un parlamentare del Pdl e principe del Foro di Belluno: Maurizio Paniz. (altro…)

  • Il reato di omicidio stradale? E’ la riedizione della legge del taglione

    Legiferare “con la pancia”, a seguito di fatti di cronaca, o peggio ancora per accontentare le associazioni delle vittime della strada, magari, inopinatamente, presiedute da qualche avvocato. Questo é il modo per produrre danni, per intervenire a spot, senza poi preoccuparsi di coordinare e razionalizzare le varie norme. Questo è il progetto di legge sull’omicidio stradale di cui si parla in questi giorni.

    L’idea base, neanche innovativa peraltro, è quella che aumentando le pene si riducano i reati, teoria già discutibile per i reati dolosi, assurda per quelli colposi, dove manca la volontà di commettere il reato. Oppure aumentare i minimi della pena, per impedire al giudice di commisurare la sanzione alla gravità del reato, auspicando che tutti gli autori di questo reato così debbano finire in carcere. Si tratta della riedizione addolcita della legge del taglione; al reato, segue la carcerazione del reo, quale punizione, più che quale sanzione giusta.

    Siamo tornati al medioevo giuridico. Più carceri per accontentare l’opinione pubblica. Senza pensare che mettere in carcere per un lungo periodo un soggetto magari al primo reato non serve a nulla, mentre magari cercare di fargli capire la gravità della sua condotta, attraverso lavori socialmente utili, in ospedali dove ci sono persone che hanno subito incidenti stradali ad esempio, può servire a eliminare la possibilità che reiteri il reato. Oppure un’attività finalizzata al risarcimento del danno delle vittime, troppo spesso insufficiente. Non si sentiva proprio il bisogno di inventarsi un nuovo reato, proprio mentre si ragiona su ipotesi di “depenalizzazione”, di “diritto penale minimo”, anche perché questo modo di legiferare crea situazioni ingiuste. Perché allora non istituire l’omicidio sui posti di lavoro, forse perché “si notano di meno”‘ perché magari i morti vengono buttati a mare? Non ci siamo proprio, è proprio vero che quando la politica si occupa di giustizia questa esce sempre perdente…a prescidendere direi.  (Mirko Mazzali, avvocato e presidente della commissione sicurezza del Comune di Milano)

  • “Ha scritto il vero”, ma il giudice condanna il giornalista al carcere

    “L’articolo è certamente fedele ai fatti che accadevano all’interno delle discoteche che per tale motivo erano state chiuse (…) ha descritto in toni efficaci l’uso frequente di cocaina, le abitudini di vita, i luoghi in cui veniva fornita o consumata, la situazione di promiscuità in cui uomini e donne si trovavano per assumerla…”. A leggere tre quarti delle motivazioni della sentenza una persona normale si aspetta di trovare in fondo al documento l’assoluzione del giornalista, Luca Fazzo, accusato di aver diffamato P.T. definendolo “accanito cocaimane” sulla base delle stesse dichiarazioni a verbale del diretto interessato, il quale aveva raccontato oltre allo spaccio il consumo della sostanza quattro volte la settimana.

    E invece, in fondo, c’è la condanna a 7 mesi di carcere senza condizionale, ben oltre le stesse richieste dell’accusa che aveva proposto solo una multa. (altro…)