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  • Le balle giudiziarie top del 2013: dai diamanti della Lega all’imprenditore assolto

    La cronaca giudiziaria è materia scivolosa, si sa, e allora alla fine di questo 2013 ci prendiamo un po’ in giro anche noi.  Ecco le notizie false che abbiamo contribuito, anche con l’aiuto di fonti e intervistati, a mettere in circolazione.

    1) LA ‘BUFALA’ DELL’IMPRENDITORE ASSOLTO PER LA CRISI

    Alcune testate scrivono che un imprenditore è stato assolto per la crisi, dando pieno credito alla versione dei suoi avvocati. Invece nelle motivazioni, uscite diversi giorni dopo la notizia, il giudice spiega che il motivo dell’assoluzione dall’accusa di evasione andava individuato nell’interpretazione ‘tecnica’ di una norma sui concordati  preventivi. Nemmeno una parola sulle sue difficoltà finanziarie. Ma la ‘notizia’ che è passata, una delle più cliccate nelle cronache del 2013, è che se un imprenditore evasore affoga insieme al Paese nei debiti può anche guadagnarsi l’assoluzione.

    2) LO YACHT DI RICCARDO BOSSI

    In piena bufera sulla Lega, spunta uno yacht da 2,5 milioni di euro ormeggiato in Tunisia, la cui proprietà sarebbe di Riccardo Bossi. Il sospetto, spiegano i giornali, è che l’imbarcazione di lusso sia stata comprata coi soldi dei rimborsi pubblici. Il rampollo del ‘Senatur’ riesce però a dimostrare di non c’entrare nulla con lo yacht.

    3) LA ‘PAGHETTA’ DEL TROTA E I DIAMANTI DI ROSI

    Ancora Lega e ancora forzature giornalistiche (non sempre invenzioni, a volte anche le fonti sbagliano). Renzo e Riccardo Bossi, scrivono i giornali, avrebbero ricevuto una ‘paghetta’ da 5mila euro mensili coi soldi dei rimborsi elettorali del Carroccio. L’ipotesi viene smentita in ambienti giudiziari pochi giorni dopo essere finita in prima pagina e avere creato ironie e moti d’indignazione popolare. Negli atti depositati con la chiusura delle indagini di qualche giorno fa non c’è traccia dello ‘stipendio’ per i figli di Umberto Bossi. Una balla anche la notizia che Rosi Mauro aveva comprato i famosi ‘diamanti della Lega’ con i soldi dei rimborsi elettorali. Dopo che lo scoop è stata sparato, si è scoperto che la ‘pasionaria’ li acquistò coi suoi risparmi personali.

    4) LE BUGIE DI MICHELLE

    “Io c’ero, ho visto tutto. Il Cavaliere ha passato almeno una notte con Ruby quando lei era minorenne”. Il racconto è di Michelle Conceicao. Il bravo collega riporta tutto in un’intervista che sembra segnare una svolta nel caso Ruby. Invece poi il pm Ilda Boccassini analizza i tabulati e vede che la prostituta brasiliana non è mai stata ad Arcore quando c’era anche Ruby. E Michelle in aula non osa mentire alla ‘rossa’.

    5) LA FANTASIA DI PROTO

    In questo caso i giornalisti italiani sono in buona compagnia perché anche il Financial Times, folgorato dalla sua immaginifica ascesa, gli ha dedicato la prima pagina. Alessandro Proto ha tenuto per mesi in scacco la Consob e i giornali millantando Opa e operazioni finanziarie di alto livello. Tutte balle enfatizzate dai giornali, come ha certificato la sentenza con cui ha patteggiato 3 anni e dieci mesi, lo scorso 22 ottobre.

    (Manuela D’alessandro, Roger Ferrari, Nino Di Rupo)

  • Le 5 assoluzioni ‘top news’ del 2013

    Abbiamo scelto le cinque assoluzioni che hanno fatto più notizia nel 2013 perché gli imputati sono stati ‘sbattuti’ in prima pagina, com’è giusto che fosse vista la rilevanza delle inchieste in cui erano coinvolti. Le assoluzioni nella maggior parte dei casi non sono ancora definitive e i pm avranno modo di fare ricorso, se lo riterranno opportuno.

     

    1) VIDEO CHOC SU DISABILE: TUTTI ASSOLTI I MANAGER DI GOOGLE

    La loro condanna in primo grado nel 2010 a sei mesi di carcere fece il giro del pianeta, scatenando la stampa americana che le aveva interpretate come una censura della libertà del web. Tre manager di Google erano stati giudicati colpevoli dal Tribunale di Milano per non avere impedito che fossero caricate sul motore di ricerca le immagini in cui un ragazzino disabile subiva angherie dai compagni di scuola. Ieri la Cassazione li ha assolti in via definitiva confermando il verdetto d’appello. Nessuna responsabilità da parte loro nel non avere impedito che quelle immagini crudeli diventassero uno dei video più cliccati in rete.

    2) INQUINARONO L’AREA CALCHI TAEGGI: 17 ASSOLTI

    L’accusa era terribile: avere avvelenato l’area Calchi Taeggi, 300mila metri quadri su cui dovevano essere edificati appartamenti. Invece, nel maggio scorso 17 imputati, tra i quali imprenditori e dirigenti dell’Arpa, sono stati assolti ‘perché il fatto non sussiste’. Secondo la Procura, gli imputati avevano voluto costruire senza bonificare l’area e avevano “alimentato l’espandersi dello stato degli inquinanti nel terreno”. Niente di tutto ciò per il giudice.

    * Il 2 giugno 2014 la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di assoluzione.

    3) SCALATA DI UNIPOL A BNL: ASSOLTO L’EX GOVERNATORE FAZIO

    “Il fatto non sussiste”. Il 6 dicembre scorso la Corte d’Appello di Milano (dopo un annullamento con rinvio della Cassazione) ha assolto Antonio Fazio dall’accusa di aggiotaggio nella tentata scalata di Unipol a Bnl. Scagionati anche gli ex vertici della compagnia di assicurazioni Giovanni Consorte, Ivano Sacchetti e Carlo Cimbri, l’ad del nuovo colosso assicurativo nato dalla recente fusione tra Unipol e Fonsai. Si è chiuso così uno dei capitoli più roventi dell’estate dei ‘furbetti del quartierino’, quella che portò alle dimissioni dell’allora Governatore di Bankitalia (comunque condannato per la scalata di Bpi ad Antoveneta).

    4) PAOLO MALDINI CORROTTO? NO, ASSOLTO

    Per gli appassionati di calcio era stata una fucilata al cuore: Paolo Maldini, giocatore di talento e fair play adamantini, processato per avere corrotto un funzionario dell’Agenzia delle Entrate. Nel febbraio scorso i giudici l’hanno assolto “per non avere commesso il fatto”. “Giusta conclusione di un processo assurdo”, il commento della bandiera del Milan e della Nazionale.

    5) CRAC SAN RAFFAELE, INCOLPEVOLI GLI IMPRENDITORI

    L’accusa era associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta per avere contribuito ad affossare sotto una montagna di debiti l’ospedale San Raffaele. Il 30 aprile gli imprenditori Fernando Lora, Gianluca Zammarchi e Carlo Freschi sono stati assolti con formula piena. Un ‘passo falso’ per un’inchiesta che ha avuto il merito di scoperchiare le trame che hanno portato al quasi crac dell’ospedale fondato da Don Verzé. (manuela d’alessandro)

  • ll bacio in aula tra il pm e l’ex comandante dei carabinieri imputato

    Si sono abbracciati e baciati come due vecchi amici. E vecchi amici sono, perché impegnati per anni sullo stesso fronte, quello della lotta alla droga. Solo che la scena non poteva passare inosservata perché uno è un pubblico ministero, Marcello Musso, e l’altro era un imputato in attesa di una sentenza, e che sentenza.

    Giampaolo Ganzer, l’ex comandante del Ros di Milano, era accusato di avere orchestrato una banda di uomini in divisa  autrice di scorribande  illecite dietro lo schermo delle attività anti – droga.  Prima del verdetto di oggi che ha ridotto la sua pena a 4 anni e undici mesi rispetto ai 14 del primo grado, l’alto ufficiale (ora in pensione) non ha tradito nessuna emozione nei lunghissimi secondi che precedono il fatidico ‘In nome del popolo’.

    Dopo la lettura del dispositivo ha accolto con un largo sorriso le manifestazioni d’affetto e solidarietà dell’amico pm Musso, magistrato noto per il suo rigore e per i suoi successi in ambito di criminalità organizzata.  A volte l’amicizia richiede gesti coraggiosi, che vanno anche oltre gli steccati professionali,  e quello di Musso lo è stato, al di là delle valutazioni sull’opportunità. (manuela d’alessandro)

  • Lerner conduce, va in onda il primo talk show in un Tribunale

    Milano, Italia. “Gad, ma perché ti hanno chiamato?”. “Eh, non lo so, è nota la mia incompetenza in materia giudiziaria”.

    Lerner presenta il primo bilancio sociale – talk show nella storia del Palazzo di Giustizia di Milano e d’Italia, e prima di salire sul palco fa il modesto coi colleghi (sembra sincero). A lui il procuratore Bruti Liberati affida la conduzione dello spettacolo di fine d’anno in cui vengono snocciolati dati a volte pirotecnici (più 60% di reati fiscali rispetto al 2012), emergenze eterne (organici ridotti al lumicino) e nuove (l’Expo dei reati nel 2015) , condite da qualche pillola di auto – celebrazione. Tra il pubblico, magistrati (pochi,  l’avranno approvato tutti questo bilancio?), qualche cancelliere e i soliti cronisti giudiziari, sorpresi per l”inedito show.

    E che sia un vero talk, allora. Arrivano gli ospiti! Quelli scontati (l’avvocato Salvatore Scuto che rappresenta la Camera Penale)  ma anche i jolly, che dovebbero tirare su l’audience: Giuseppe Roma, direttore generale del Censis e Daniela Piana, elegante professoressa in Relazioni Internazionali dall’Università di Bologna.  Cosa accomuna Lerner, Roma e la signora Piana? Che tutti e tre ammettono nei rispettivi interventi di saperne poco o nulla  in tema di giustizia. Si vede che hanno studiato la sera prima, però. Gad conduce da par suo anche se un errorino lo fa, quando si riferisce alla vicenda di un imprenditore che sarebbe stato assolto perché in crisi economica (non ha letto le motivazioni della sentenza). Roma e la prof Piana espongono in modo brillante argomenti che conoscono appena, girandoci attorno con maestria. Tutto fila come in un talk compresa quella sensazione strana quando spegni la tv di avere ascoltato tante parole ma nessuna decisiva. Per fortuna, poi, qui ci sono le sentenze. (manuela d’alessandro)

  • Ancora carcere per un giornalista, è ‘scontro’ Pm-giudici

    Vaglielo a spiegare ai giudici che il procuratore Edmondo Bruti Liberati si è speso dopo il caso Sallusti con tanto di direttive interne e comunicati stampa per evitare il carcere ai giornalisti. Sembra proprio che Procura e Tribunale diano un peso molto diverso alle diffamazioni dei cronisti.
    Oggi l’ultimo caso, quello del collega Luca Fazzo, condannato dal giudice Anna Calabi a sette mesi di carcere senza sospensione della pena per un articolo in cui aveva definito “accanito cocainomane” un giovane frequentatore della discoteca Hollywood, coinvolto nell’indagine su ‘Vallettopoli’.
    Nelle carte dell’inchiesta dello scomparso pm Frank Di Maio, alcune ‘bellissime’ di Milano, Francesca Loddo e Alessia Fabiani, avevano raccontato di avere consumato droga con il giovane, il quale a verbale aveva ammesso: “Sono consumatore da 4 anni di  cocaina  e negli ultimi tempi ne consumo parecchia, anche dalle due alle quattro volte alla settimana (…) di solito funziona che al tavolo del privé dell’Hollywood si chiede ai presenti se hanno cocaina ed effettivamente molti ne hanno disponibilità e sono adusi a regalarla. Io e le mie amiche andavamo in bagno a consumare la sostanza”.
    Nel processo a Fazzo, il giudice è andato molto oltre la richiesta della Procura, che avrebbe ritenuto sufficiente la condanna ad un’ammenda di tremila euro, infliggendo al cronista sette mesi senza sospensione condizionale. Appena un mese in meno della pena patteggiata dal giovane per il consumo di droga.  Solo poco tempo fa, però, Bruti Liberati aveva rivolto ai colleghi pm l’invito ad adeguarsi alla sentenza con cui il 24 settembre scorso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva condannato l’Italia per violazione della libertà di espressione con riferimento alla condanna al carcere, seppure sospesa, dell’allora direttore del Giornale, Maurizio Belpietro.
    Il procuratore aveva sottolineato che la Corte Europea era intervenuta per “censurare l’applicazione della pena detentiva ritenuta sproporzionata in relazione alla tutela della libertà d’espressione quando non ricorrono circostanza eccezionali quali l’istigazione all’odio razziale o etnico o l’incitamento alla violenza”. Ma quello che dice l’Europa pare non piaccia affatto ai giudici. (manuela d’alessandro)

     

  • Motivazioni Ruby Bis

    Perché Berlusconi va indagato per corruzione in atti giudiziari? E perché devono esserlo anche i suoi (ormai ex) legali, Niccolò Ghedini e Piero Longo? E Karima El Marough, invece, di cosa risponderà? Se avete avuto la forza di leggervi le motivazioni della condanna in primo grado a carico di Berlusconi, ora è giunto il momento di attaccare con il sequel. Tranquilli, la produzione ha già annunciato anche il terzo episodio della saga, Ruby Ter. Ci vorrà tempo, ma il canovaccio c’è già. Intanto, eccovi le motivazioni della condanna Fede-Mora-Minetti, meglio nota come Ruby Bis, appunto.

    motivazioni ruby bis  

  • Cimini va in pensione e offre al Cav un posto per l’affidamento in prova

    E’ la vera parola d’ordine della sala stampa del Palazzo di Giustizia di Milano: “Come ce l’hai?”. E non c’è giornalista che entrando nell’insalubre stanzetta al terzo piano del palazzaccio non si senta rivolgere almeno una volta (ma il mantra può essere ripetuto all’infinito) la fatidica domanda: “Come ce l’hai?”. La risposta, ovviamente, è variabile ma obbligata, sia che l’interpellato sia maschio o femmina. Perché la domanda ha un solo, unico e irripetibile protagonista: Frank Cimini, barbuta e pelosa istituzione del mondo giornalistico del palazzaccio che dopo 37 anni di onorata carriera, domani va in pensione.

    Un duro colpo per l’umanità varia e dolente che pullula all’ombra degli incombenti marmi piacentiniani dove, talvolta, risuonano le omeriche risate di Frank, squarci di comica umanità in uno dei luoghi di “dolore” più temuti della città e, ogni tanto, dall’intero Paese. Senza medaglie, titoli e cerimonie, Frank, 60 anni compiuti a luglio in quel di Ginostra con una festa sotto il vulcano da fare impallidire Hollywood, chiude in bellezza decidendo per la prima volta in vita sua di rilasciare una piccante intervista, condotta collettivamente da alcuni colleghi della sala stampa, a questo sito che lui stesso, in un impeto di generosità testamentaria, ha contribuito a creare. Con l’avvertenza che si tratta, naturalmente, di un’intervista vietata ai minori….

    Allora, Frank, questa volta la domanda te la facciamo noi: come ce l’hai?
    “Barzotto!”
    Perché?
    “Mah non so…comunque sono contento di andare in pensione”.
    Ti ricordi quando sei arrivato a Palazzo?
    “Tra il 1976 e il 1977. Prima facevo il ferroviere e il praticante al Manifesto. Siccome non avevo la maturità, ho dovuto passare un esame di cultura generale per accedere al praticantato. All’orale rischiai la bocciatura dicendo che Danzica mi ricordava solo lo sciopero degli operai polacchi del 1971”.
    Com’era la sala stampa allora?
    “C’era sempre questo grande tavolo nero e il bellissimo telefono di bachelite da cui si chiamava per dare le notizie, poi qualcuno se l’è rubato. Il clima tra i giornalisti era competitivo, come sempre qua dentro”. (altro…)

  • Mediaset, la carta che prova la bugia della testimone americana di Berlusconi

    Una bugia, o perlomeno una strana amnesia, mina la credibilità delle carte americane messe oggi sul tavolo da Silvio Berlusconi per riaprire il processo Mediaset attraverso un’istanza di revisione.

    La nuova testimone, Dominique O’Reilly Appleby, sapeva infatti sin dal 2007  (vedi  ‘Dichiarazioni Appleby’ in Documenti) che il Cavaliere e colui il quale con sentenza definitiva viene ritenuto il suo “socio occulto”, Frank Agrama, erano coinvolti in un’inchiesta a Milano che li accusava di essere i protagonisti di una gigantesca macchina per produrre ‘nero’ attraverso la vendita dei diritti televisivi. (altro…)

  • Motivazioni Ruby seconda parte

    Ecco la seconda parte delle motivazioni del processo Ruby. Non perdetevi le conclusioni, le trovate sempre qui su giustiziami.prlb.eu.

    motivazioni ruby pag 151-321

  • Motivazioni Ruby prima parte

    Ecco la prima parte delle motivazioni della sentenza Ruby. Buona lettura. (giustiziami.prlb.eu)

    motivazioni ruby prima parte

  • Motivazioni Ruby Berlusconi, le conclusioni

    Nelle ultime dieci pagine delle motivazioni della sentenza di condanna a sette anni per concussione e prostituzione minorile, i giudici della Quarta sezione penale del Tribunale di Milano tirano le conclusioni giudiziarie, e non solo, del comportamento dell’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Noi le abbiamo lette, ora fatevi voi un’idea. Sul sito trovate le motivazioni integrali divise in due parti. (giustiziami.prlb.eu)

    conclusioni motivazioni ruby

  • Telefonate private dal Ministero, peculato per Cancellieri?

    E se fosse il reato di peculato quello di cui dovrebbe essere accusata Anna Maria Cancellieri per la telefonata di solidarietà (“qualsiasi cosa io possa fare conta su di me”) alla compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni?

    Alle 16 e 42 del 17 luglio 2013, giorno di arresti per la famiglia Ligresti, la Guardasigilli chiama dal numero del suo ufficio al Ministero della Giustizia (0668853233) la vecchia amica. Fin dalle prime battute, si capisce che è una conversazione privata ed è la stessa Ministra ad averlo dichiarato, quando ha spiegato anche in Parlamento che si trattava di una manifestazione di solidarietà. “Sono Anna Maria. Io sono mesi che ti voglio telefonare per dirti che ti voglio bene, la vita mi scorre in una maniera indegna. Ma oggi dico: ‘devo trovare il…’perché te lo devo dire, ti voglio bene, guarda (…)”.  Senza entrare nel merito dell’opportunità politica, è chiaro che Cancellieri alza la cornetta per esprimere un sentimento di vicinanza (“Non è giusto, non è giusto…” dice a più riprese il Ministro della Giustizia) alla sua amica ‘Lella’. “Con quella telefonata – spiegherà poi in Parlamento – volevo esprimere la mia solidarietà: le espressioni usate in quel contesto erano utili a manifestare empatia”. (altro…)

  • Ubriaco in bicicletta, magistrato condannato a 2 mesi e 20 giorni di arresto

    Condannato a due mesi e venti giorni di arresto e a 800 euro di multa  per essere stato sorpreso ubriaco in sella alla sua bicicletta.  La nemesi della Giustizia si è presentata a un bravo magistrato, già protagonista di importanti inchieste,  con la divisa dei vigili, categoria di per sé poco flessibile ma che nel caso sembra avere manifestato uno zelo d’acciaio.

    Il ciclista togato stava procedendo un po’ alticcio sul marciapiede a ora tarda quando è stato avvicinato dagli uomini della legge stradale, pronti a punirlo perché non pedalava in strada. Quello però se ne stava buono sul marciapiede forse per una scelta di prudenza, consapevole che la scarsa lucidità da troppo alcol avrebbe potuto nuocere a sé e ad altri.

    Niente, gli agenti non hanno voluto sentire spiegazione: guida in stato di ebbrezza, e denuncia all’autorità giudiziaria, che in questi casi è quella di Brescia perché un magistrato meneghino non può essere giudicato dai suoi colleghi. Qui si è consumata la piccola ‘odissea’ del magistrato, con qualche colpo di scena degno di indagini di maggior peso. La Procura bresciana ha chiesto di archiviare il suo caso non ritendolo colpevole, il giudice dell’udienza preliminare si è opposto chiedendo l’imputazione coatta e alla fine la toga è stata condannata in primo grado a due mesi e venti giorni di arresto e 800 euro di multa, in base alla legge del 2010 che disciplina i reati stradali. (manuela d’alessandro e frank cimini)

  • Nomi e indirizzi baby – squillo visibili, procedimento disciplinare sul Corriere

    Si sa, se uno lavora in un grande giornale dev’essere bravo. Uno che a scuola non ha mai avuto bisogno di sbianchettare i voti sul diario per riscriverli maggiorati di un paio di punti, prima di mostrare al genitore il suddetto libriccino. Sarà per questo che chi ha mandato in stampa il Corriere della Sera, nei giorni scorsi, dev’essere poco avvezzo all’uso del bianchetto coprente. Così, nel pubblicare – dovere di completezza e prova di affidabilità, ci mancherebbe – il capo di imputazione formulato dalla Procura di Roma nei confronti degli ultimi arrestati per la vicenda delle ragazzine che si prostituivano ai Parioli, il trucco del bianchetto non è andato a buon fine. (altro…)

  • La riunione dove i Ligresti’s decisero che era l’ora di Berlusconi

    E’ l’autunno del 2011, tre manager di Fonsai, Salvatore, la figlia Jonella Ligresti ed Emanuele Erbetta insieme col consulente Fulvio Gismondi, si riuniscono in un ufficio romano e convengono di essere ‘alla frutta’. Il loro ‘padrino’ Giancarlo Giannini, l’uomo che alla guida dell’Isvap per quasi un decennio ha fatto finta di non vedere le ‘stranezze’ nei conti della compagnia di assicurazioni, sta per eclissarsi e c’è il rischio concreto che abbandoni Fonsai a un destino incerto. Ed ecco che spunta il nome di Silvio Berlusconi, il solo che potrebbe fare un favore al patron di Fonsai, piazzando Giannini al vertice dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Salvatore annuncia a Jonella, Erbetta e Gismondi, che incontrerà il Cavaliere per chiedergli un aiuto. Questa la ‘trama’ ipotizzata dalla Procura di Milano che (nella sezione Documenti’ l’atto di chiusura indagini) , sulla base di interrogatori e intercettazioni,  fa da sfondo al lunghissimo ‘romanzo’ contenuto in 4 faldoni e mezzo da domani a disposizione degli avvocati di Giannini e Ligresti. Il piano dell’ingegnere non potrebbe comunque andare a segno perché di lì a pochi giorni Berlusconi lascerà Palazzo Chigi. (altro…)

  • La sentenza che obbliga lo Stato a risarcire i familiari se il killer non paga

    E ora lo Stato italiano rischia di essere sommerso dalla class action dei cittadini parenti di vittime di omicidi e stupri che non abbiano ricevuto un risarcimento perché il colpevole è inadempiente o perché non è stato trovato. La sentenza (consultabile nella sezione ‘Documenti’) che ‘apre’ questa strada potenzialmente ‘esplosiva’, richiamando una direttiva  europea non adottata dall’Italia, è stata pronunciata da un giudice civile di Roma, Federico Salvati, che ha condannato la Presidenza del Consiglio a risarcire 80mila euro alla madre di Jennifer Zacconi, la 20enne incinta al nono mese uccisa nel 2006 e sepolta in una buca vicino a Venezia. “La Repubblica Italiana – si legge nel verdetto – non ha integralmente adempiuto all’obbligo di conformarsi alla direttiva, nella parte in cui impone l’adozione di ‘sistemi di indennizzo nazionali’”. (altro…)

  • Lo sguardo del detenuto in 28 scatti
    (ma il fotografo è un avvocato)

    Un’infinità di sbarre, porte pesantissime. Bisogna superarne sette come questa per arrivare alle celle del quarto braccio. Lunghi corridoi per raggiungere ‘la rotonda’, soprannome nome quasi poetico per l’esagono che costituisce il centro geometrico di un carcere tetro come quasi tutti gli altri. O forse peggio, perché la struttura di San Vittore è del 1879, le sue mura hanno 134 anni. Passata la rotonda, ancora corridoi, poi due rampe strette di scale, ed ecco le celle del quarto. Ora disabitate, perché il reparto è inutilizzato dal 2006, quando fu dichiarato inagibile. Sarà ristrutturato in primavera. Ma i suoi posti, spiega un commissario della polizia penitenziaria, “sono ancora conteggiati tra quelli previsti da regolamento”. Un trucchetto per ridurre il rapporto tra detenuti effettivi e capacità dell’istituto? “In effetti è un po’ così”, conferma l’agente. Ai numeri attuali, 1480 persone contro i circa 800 posti previsti. Sette porte per arrivarci da visitatore, ma per il detenuto il percorso è diverso. Non parte dall’ingresso in piazza Filangieri, ma dal retro del carcere, all’angolo tra via Bandello e via Vico.

    Poi è la via crucis. Con le sue tappe e le sue cadute. Catturate una per una, in bianco e nero, negli scatti di Alessandro Bastianello, avvocato milanese che per passione – civile e fotografica – ha ritratto i passaggi che dal portone sul retro di San Vittore portano fino alla cella, in 28 scatti. L’attesa in una specie di sala d’aspetto. La consegna degli effetti personali che finiscono in un pacco legato con lo spago, custodito in un anonimo magazzino, su scaffali metallici. La schedatura, il nome del detenuto inserito in un archivio suddiviso in ordine alfabetico. La consegna della delle lenzuola e della cosiddetta dote, un corredo minimo di carta igienica, sapone e poco altro. (altro…)

  • Rcs, ora indaga la Procura, giornalisti ricevuti da pm Greco

    La Procura di Milano ha aperto un’inchiesta sulle disavventure di Rcs che hanno portato qualche giorno fa anche alla vendita dello storico immobile di via Solferino, ‘casa’ del Corriere della Sera. Il procuratore aggiunto Francesco Greco e il pm Adriano Scudieri indagano per appropriazione indebita su uno dei ‘capitoli’ più drammatici della crisi che ha colpito il colosso dell’editoria italiana, quello relativo a Rcs Sport. Ci sono già alcuni nomi iscritti nel registro degli indagati sui quali però al momento viene mantenuto stretto riserbo. Secondo l’ipotesi dell’accusa, qualche manager si sarebbe arricchito attraverso le sciagurate transazioni tra Rcs Sport e alcune associazioni sportive ad essa collegate, una delle cause principali dell’indebitamento del Gruppo. Si calcola un ammanco da dieci milioni di euro anche se l’audit interno sta ancora facendo i calcoli dopo che sono stati azzerati i vertici della società controllata. Stamattina, tre componenti del cdr sono stati ricevuti per un colloquio informale di oltre un’ora nell’ufficio del procuratore Greco durante il quale i giornalisti hanno espresso la loro preoccupazione per quanto sta accadendo in via Solferino. Il procuratore gli avrebbe garantito massimo impegno nel fare chiarezza sulle vicende che hanno mortificato negli ultimi mesi anche il più importante quotidiano italiano. Era stata la stessa Rcs nei mesi scorsi a presentare un esposto in Procura che si era aggiunto a quello  dell’Ordine dei Giornalisti di Roma su altro capitolo della vicenda, quello sull’acquisto da parte di Rcs della società editoriale spagnola Recoletos. Un altro ‘bagno di sangue’ per la società che potrebbe avere arricchito qualcuno anche se per ora l’ipotesi di appropriazione indebita riguarda solo Rcs Sport. (manuela d’alessandro)

  • ‘Pm Greco voleva nozze Unipol-Fonsai’, parola di Giulia Ligresti

    Nel gennaio scorso desideravano tutti le nozze tra Fonsai e Unipol – una ‘folla’ entusiasta composta da giornali, associazioni, autorità di controllo – ma la Procura di Milano no … tranne il procuratore aggiunto Francesco Greco, che quei fiori d’arancio li avrebbe benedetti. Parole e pensieri in libertà, senza riscontri di altra natura, ‘firmati’ da Giulia Ligresti in una telefonata intercettata del 12 gennaio scorso, agli atti dell’inchiesta torinese sulla compagnia di assicurazioni.

    Parlando con un amico, la secondogenita di ‘Don’ Salvatore, si lamenta: “Hanno la stampa tutta con loro tranne Linkiesta e Repubblica che però si sta ammorbidendo … hanno le autority tutte con loro, cioé sono al loro servizio, anzi gli dicono come devono fare le cose. Hanno le associazioni consumatori, Fondiaria, tutto questo mondo finanziario … gli advisor”. “Sì, ma la Procura no…”, obietta l’interlocutore. Giulia Ligresti è solo parzialmente d’accordo: “Una parte della Procura no, perché Greco l’hai visto come si comporta … totalmente schierato … ma guarda che anche Lombardi me lo diceva, De Luca (il riferimento è probabilmente a due legali, ndr), cioé quindi che Greco era totalmente pro Unipol … figurati”. Intanto, certamente già all’epoca di quella telefonata, c’era chi voleva vederci chiaro sull’operazione: il pm milanese Luigi Orsi, infatti, indagava già da mesi sulla vicenda del cosiddetto ‘papello’, ossia su un presunto accordo tra l’ad di Mediobanca Alberto Nagel, uno dei fautori della fusione Unipol-Fonsai, e la famiglia Ligresti per una buonuscita milionaria per l’ingegnere e i suoi figli. Giulia Ligresti è stata poi arrestata assieme al padre e alla sorella il 17 luglio scorso, la data che entrerà nella storia della finanza italiana come l’epilogo della potentissima dinastia. Lo stesso giorno in cui Anna Maria Cancellieri, ministro della Giustizia, commenterà con un ”non è giusto” la notizia degli arresti, al telefono con la compagna dell’ingegnere di Paternò. (manuela d’alessandro e frank cimini)

     

  • La strana Cassazione su Alberto Stasi che per 3 volte diventa Mario

    Strane e verrebbe da dire ‘distratte’ motivazioni (le potete leggere nella sezione ‘Documenti’) quelle con cui la Cassazione spiega perché bisogna processare di nuovo Alberto Stasi, assolto in primo e secondo grado dall’accusa di avere ucciso la fidanzata Chiara Poggi il 13 agosto del 2007 a Garlasco. Non sfuggono alcuni errori di forma che una vecchia maestra evidenzierebbe con la matita rossa e un paio di ricostruzioni storiche sull’indagine lasciano perplessi.

    Per ben tre volte gli Ermellini sbagliano il nome dell’imputato chiamandolo Mario Stasi (pagine 88, 91 e 92), mentre Chiara Poggi diventa Chiara Stasi (pagina 98) sebbene non fosse sposata con lui (Alberto).

    Ecco invece i punti critici sulla sostanza. A pagina 88 la Suprema Corte afferma che la fascia di orario compresa tra le 9 e 12 (quando Chiara disinserisce l’allarme di casa Poggi) e le 9 e 35 (orario in cui Alberto si mette al computer) è stata ritenuta “compatibile” dai giudici di primo e secondo grado con l’azione omicida. Non è proprio così. Né il giudice di primo grado, Stefano Vitelli, né quelli della corte d’appello di Milano sono mai stati così netti nel parlare di “compatibilità” con questa striscia di tempo in cui Alberto non aveva alibi. Anzi, il gup attribuì a questa collocazione temporale dell’omicidio “plurimi e significativi punti di criticità” e lo definì “un intervallo di problematica compatibilità”. Spiegò che era molto difficile  immaginare che in 23 minuti Alberto  fosse stato in grado di andare a casa Poggi, litigare (ipotesi) con la ragazza, ucciderla, cambiarsi gli abiti sporchi di sangue, tornare a casa sua e mettersi davanti al pc per scrivere la  tesi di laurea.

    Secondo passaggio controverso è quello di pagina 82, dove la Cassazione scrive che la bicicletta di Stasi così come descritta dal carabiniere Marchetto coincideva con quella descritta dalla testimone Franca Bernani, vicina di casa della famiglia Poggi. La signora Bernani raccontò al pm di avere visto alle 9 e 10 del 13 agosto una bici nera da donna davanti alla villa di Chiara. Durante le indagini,  Marchetto  scrisse in un verbale che nel magazzino del papà di Alberto aveva notato una bici nera da donna ma decise di non sequestrarla perché, come spiegò poi anche durante il processo di primo grado, non corrispondeva alla descrizione fatta dalla Bernani. Dunque, nessuna coincidenza tra le due versioni.Proprio sulla bici mai sequestrata ad Alberto in sella alla quale – ipotesi di accusa e parte civile – sarebbe andato a casa di Chiara per ammazzarla, si giochera’ uno degli scontri cruciali nel nuovo processo. (manuela d’alessandro)

  • Una telefonata al Ministro ti accorcia la vita in carcere?

    Che il fine fosse nobile, aiutare una detenuta in difficoltà, non c’è dubbio. Ma che quella non fosse proprio una carcerata come  le altre, e non solo perché rampolla della dinastia dei Ligresti, il Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri non lo può negare. I verbali e le intercettazioni agli atti dell’inchiesta Fonsai di Torino che potete leggere nella sezione ‘Documenti’ raccontano di una storia imbarazzante per la Guardasigilli in cui si intrecciano affetti anche familiari – il figlio Piergiorgio ex top manager della compagnia assicurativa – e dichiarazioni quanto meno incaute per un’esponente del Governo.

    Ci sono due puntate in questa vicenda. La prima risale al 17 luglio scorso, a poche ore dall’arresto di Giulia Ligresti, quando la Guardasigilli telefona alla sua ultraquarantennale amica Gabriella Fragni (vedi ‘Intercettazioni Cancellieri’ da pagina 797), compagna di Salvatore Ligresti, che piange. I toni sono accorati, sembrano persino travalicare un sentimento di solidarietà tra amici. “Qualsiasi cosa  possa fare conta su di me, non lo so cosa posso fare, sono veramente dispiaciuta” (…) “Se tu vieni a Roma, proprio qualsiasi cosa adesso serva, non fate complimenti, guarda non è giusto, non è giusto”. Non è giusto cosa? L’arresto di Salvatore Ligresti? Parla il Ministro della Giustizia.

    Ed eccoci alla seconda ‘scena’, ambientata in agosto, con il contatto tra la Cancellieri  e i due vicecapi del Dap, il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, quello che lei stessa definisce “un intervento umanitario assolutamente doveroso in considerazione del rischio connesso con la detenzione”. Facciamo parlare ancora il Ministro (‘Verbale Cancellieri, pagina 450): “Ho ricevuto una telefonata da Antonino Ligresti (fratello di Salvatore, ndr)  che conosco da molti anni  e mi ha riferito della sua preoccupazione per lo stato di salute della nipote Giulia la quale soffre di anoressia e rifiuta il cibo. In relazione a tale argomento ho sensibilizzato i due vice capi del Dap perché facessero quanto di loro stretta competenza per la tutela della salute dei carcerati”. Alcuni giorni dopo l’interessamento del Ministro, a Giulia Ligresti vengono concessi i domiciliari anche se dalla Procura di Torino assicurano che l’intervento del Guardasigilli è stato ininfluente. Resta l’innegabile trasporto (“Lui non se lo meritava”, dice la Fragni sull’arresto del compagno, “Lo so, lo so”, risponde il Ministro) con cui la Cancellieri si è spesa per questa detenuta fragile, figlia di amici di una vita, e sullo sfondo la figura del figlio Piergiorgio Peluso, chiamato a fare ‘pulizia’ in Fonsai e che, come potete leggere nei documenti, si confronta anche sulla vicenda giudiziaria in alcune telefonate con gli ex alti dirigenti del gruppo coinvolti nelle indagini. (manuela d’alessandro e roger ferrari)

  • Giustizia 2.0, ma le sentenze via internet valgono zero

    File elettronici, posta certificata, notifiche telematiche: il tribunale di Milano è ufficialmente uno dei più avanzati d’Italia nei processi di evoluzione tecnologica, destinati a garantire a costi minori una efficienza maggiore della macchina giudiziaria. Peccato che poi tutto inciampi sul più arcaico degli ostacoli. Perché le copie delle sentenze civili viaggiano su Internet, ma poi perché valgano davvero qualcosa è necessario che, come al buon tempo antico, vengano stampate su carta, portate a Palazzo di giustizia, e poi – dopo la solita, ciclopica coda davanti alla cancelleria civile, con tanto di ‘numerino’ come alle Poste – vengano firmate e timbrate dal cancelliere. Un controsenso che finisce quasi col neutralizzare gli effetti positivi della campagna di modernizzazione portata avanti in questi anni. Perché non si riesca a rimediare a questo nonsenso è un mistero fatto di burocrazia, risorse, normative, insomma un groviglio quasi inestricabile. Dal punto di vista tecnologico, ovviamente nulla impedirebbe che la copia notificata partisse già dall’ufficio del cancelliere con la firma elettronica certificata dal pubblico ufficiale. Un progetto, in questo senso, per la cosiddetta ‘copia di conformità elettronica’, esiste da tempo ma fatica a decollare davvero. Così si continuano a sprecare: carta, toner per stampanti; tempo degli impiegati e/o collaboratori degli studi legali; tempo dei cancellieri addetti alla stampa e alla firma della copia cartacea. E tutto questo è reso ancora più singolare dal fatto che già oggi agli avvocati viene riconosciuta la facoltà di certificare un atto quando – su citazione, ricorsi e impugnazioni – attestano l’autenticità della firma del loro cliente. E che per far valere la sentenza (ricevuta per mail da un indirizzo di posta elettronica del ministero della Giustizia) debbano arrampicarsi su per gli immensi scaloni del palazzaccio milanese suona  davvero come un retaggio del ventesimo secolo. (orsola golgi)

     

  • ‘Vergogna!’, 200 testi devono aspettare la pausa caffé

    “Vergogna, vergogna!”. La rivolta dei testimoni esplode alle undici quando un carabiniere si sporge dall’aula della quarta sezione penale e annuncia: “Pausa caffé di dieci minuti”. Siamo al processo per le presunte firme false a sostegno di Roberto Formigoni alle Regionali del 2010 a carico del presidente della Provincia di Milano Guido Podestà e di quattro consiglieri. Quasi duecento persone, convocate alle 9 e 30 di stamattina, sono qui per ribadire quanto già detto ai pm durante le indagini, che le firme necessarie per la presentazione del listino del Celeste e la conseguente elezione di Nicole Minetti non le hanno messe loro. “Non potevano farci venire qui a scaglioni visto che siamo così tanti? Oggi è una giornata di lavoro…”, protesta una ragazza inviperita. “Neanche una sedia per gli anziani che sono in piedi da ore”, osserva un altro testimone. In effetti, qualcuno ha l’aria molto provata. Le deposizioni durano un paio di minuti ciascuna. Il pubblico ministero mostra la lista al testimone e domanda se riconosce la sua firma. La risposta è invariabilmente: “No, non è la mia”. La necessità di fare venire decine di persone in Tribunale si spiega col fatto che le difese non avevano accolto la richiesta della Procura di acquisire agli atti le dichiarazioni con cui affermavano che le firme non erano loro. “Abbiamo rifiutato perché le prove a carico di un imputato  si formano in sede dibattimentale”, spiega l’avvocato Gaetano Pecorella, legale di Podestà. Ma chi aspetta ha individuato il colpevole: “Questa è la magistratura, noi qui ad aspettare e loro a bere il caffé”. Sembrano quasi tutti elettori del centrodestra. Ergo, le firme non erano loro ma se gliele avessero chieste, forse le avrebbero messe volentieri. (manuela d’alessandro)

  • Donna incinta travolta, le scarpe del bimbo non trovato

     

    Le scarpe da ginnastica nero – arancio che vedete nella foto qui sopra erano del bambino egiziano di quattro anni investito e ucciso domenica scorsa a Milano insieme alla mamma incinta. “Le ho viste a una trentina di metri dall’incidente e ho chiesto ai vigili di chi fossero perché non mi sembravano scarpe da donna”. Maurizio Maule, esperto fotografo milanese che ha raccontato in immagini decine di fatti di cronaca negli ultimi anni, racconta a Giustiziami un risvolto inedito sull’incidente avvenuto in viale Famogosta per il quale è indagato con l’accusa di omicidio colposo plurimo il conducente dell’auto, uno studente di 28 anni. Quando il fotografo vede quelle scarpe, l’unica persona di cui i vigili hanno certificato la morte è la donna col piccolo che portava in grembo da sette mesi. Solo più di un’ora dopo, all’ospedale, il marito spiegherà ai medici che con lei c’era il figlio di quattro anni e scatteranno le ricerche del bimbo. “Il vigile a cui ho chiesto di chi fossero le scarpe – prosegue Maule – mi ha detto che probabilmente appartenevano a un figlio della vittima che però non era con lei. Infatti sulla strada sono state trovate anche delle buste di plastica azzurre dentro cui c’erano dei vestitini da bambino”. L’ipotesi dei vigili era dunque che le scarpe fossero saltate fuori dalla busta quando la donna è stata travolta e, per questo, si trovavano a qualche metro di distanza dagli abiti della piccola vittima.   L’inchiesta coordinata dal pm Marcello Musso punta anche a far luce su eventuali negligenze dei vigili che non hanno visto subito il corpicino, trovato dietro un guard – rail. Dai primi esiti dell’autopsia, non ancora ufficiali, emergerrebbe che il bambino forse poteva essere salvato se i soccorsi fossero stati tempestivi. (manuela d’alessandro e roger ferrari)

  • Milano, Genova, Pavia: superdirigente Expo 2015 collezionista di inchieste

    Pochi giorni fa la Procura di Milano ha chiesto di processare Francesco Errichiello, dirigente generale di Expo 2015, superconsulente del Ministero delle Infrastutture per la manifestazione attraverso la quale, promette Enrico Letta, “passerà il rilancio del Paese”. Questo è l’ultimo capitolo di una ‘storia giudiziaria’ poco reclamizzata che sta cominciando a diventare ricca e imbarazzante per il ‘grand commis’, indagato anche dai pm di Genova e Lodi. A Milano è coinvolto in due inchieste, entrambe per fatti risalenti a quando  ricopriva l’incarico di Provveditore alle Opere Pubbliche di Lombardia e Liguria, prima di dedicarsi all’Expo. Il 15 ottobre scorso il pm Letizia Mannella  ha chiesto il suo rinvio a giudizio per abuso d’ufficio perché avrebbe concesso favori indebiti a un dipendente dell’Anas, Vincenzo Nardulli. In sostanza, quest’ultimo, nonostante l’Anas sia diventata nel 2002 una società privata per azioni, avrebbe continuato a godere per 10 anni dei benefici riservati a un dipendente del Ministero delle Infrastutture e dei Trasporti, come “l’utilizzo gratuito di un alloggio demaniale, il godimento di trattamenti economici accessori spettanti esclusivamente ai dipendenti del Ministero ed il beneficio di una retribuzione e di ore di lavoro straordinario maggiormente retribuite rispetto agli impiegati ministeriali, con conseguente aggravio delle casse dell’Erario per oltre 83mila euro”. Nella richiesta di rinvio a giudizio i pm indicano come parte offesa proprio il Minsitero delle Infrastutture e dei Trasporti per conto del quale Errichiello svolge attività di studio e ricerca. Sempre a Milano, Errichiello è indagato per turbativa d’asta per avere favorito una società napoletana, la Lica Costruzioni srl, ad “aggiudicarsi” l’appalto “dei lavori di ristrutturazione” di una scuola di formazione del personale del Ministero della Giustizia, in provincia di Mantova. Di pochi giorni fa è la notizia che Errichiello è indagato anche a Pavia (la Procura aveva anche chiesto il suo arresto) nell’ambito di un’inchiesta che ha portato in manette un geometra e un’altra persona, accusate di avere tentato di farsi consegnare 150mila euro  da un dirigente del Ministero dell’Ambiente. Infine, sempre per una vicenda di presunti appalti truccati il superconsulente è indagato dalla Procura di Genova. Al momento non risulta che qualcuno abbia chiesto le sue dimissioni e dal sito dell’Expo sappiamo che Errichiello guadagna uno stipendio lordo di 145146,29 euro. (manuela d’alessandro)

     

     

  • Proto patteggia, truffati furiosi perché non vedranno un soldo

    “E ora vedo per me un futuro ricco  di successi professionali”. Proto, il presunto trader che ha beffato per mesi il mercato facendogli credere di essere l’astro nascente della finanza tanto da meritarsi la copertina del ‘Financial Times’, si definisce “soddisfatto” per avere patteggiato tre anni e dieci mesi per le accuse di aggiotaggio, ostacolo alle autorità di vigilanza e truffa. “Spiegatemi come faccio adesso a spiegare ai miei clienti che lui è contento, mentre loro sono arrabiatissimi”, si chiede l’avvocato Marzia Centurione Scotto, legale di tre delle quindici parti civili costituite nel processo, una parte delle “22 pesone offese truffate con danni dai 500 ai 300mila euro”. Con la sentenza di patteggiamento non può esserci nessuna condanna al risarcimento e adesso, continua il legale, “resta solo la via del giudizio civile che però non me la sento di consigliare. Dai nostri accertamenti risulta che Proto è nullatenente e con questa premessa non vale la pena buttarsi in una causa che può durare anni”. In realtà, i truffati non credono che Proto sia proprio all’asciutto e sospettano abbia nascosto un ‘tesoretto’ da qualche parte, magari in Svizzera dove ha vissuto ed è sotto indagine.”Con la sentenza di oggi – lamenta l’avvocato Centurione – si chiude anche la possibilità di cercare il denaro sottratto che, sino al giorno prima dell’arresto, è stato versato in contanti o tramite bonifico sui numerosi conti riconducibili all’imputato. Peccato non ci sia neppure l’estratto conto storico per sapere dove sia finito!”. Ma c’è qualcosa che più ancora dei risarcimenti svaniti oggi fa inviperire le ‘vittime’ di Proto.  Lo spiegano Centurione Scotto e Michele Toma, legale di una parte civile che lamenta il danno record di 300mila euro.  “Vedere che è ancora attivo il sito della Proto Organization con anche la rassegna stampa degli affari e delle scalate inesistenti per le quali oggi è stato condannato”. La “beffa”  per loro è che tra le  parti civili figurano anche società del gruppo Class Editori che hanno ospitato sulle riviste del gruppo le bugie di Proto sulle operazioni inesistenti e che continuano a lodare ‘involontariamente’ le sue gesta sul sito. Per i prossimi due anni il Tribunale oggi ha stabilito che Proto non potrà esercitare attività commerciali. Forse dovrà aggiornare la sua pagina Linkedin dove illustra le attività della Proto Enterprises Holding Inc fino a “ottobre 2013” tra “Londra, Milano, New York e Singapore”. Del resto, “Boldness is all”, la sfacciataggine è tutto, questo il motto che campeggia nel profilo di Alessandro Proto sul social network del lavoro. (manuela d’alessandro)

     

     

     

  • Daccò e Guarischi dai viaggi con Formigoni alla stessa cella

    La Procura di Milano li considera in due inchieste distinte sulla sanità lombarda i ‘cavalier serventi’ che hanno offerto viaggi e vacanze sullo yacht a Roberto Formigoni. Ora si viene a sapere che l’estate scorsa Pierangelo Daccò e Massimo Gianluca Guarischi hanno condiviso la cella nel carcere di Opera in un reparto riservato, di solito, ai ‘colletti bianchi’. Certo appare un caso bizzarro che i due, coinvolti in indagini per molti aspetti ‘gemelle’ , siano finiti proprio nello stesso angolo di prigione, fianco a fianco. A quanto appreso da Giustiziami, i pm che coordinano le indagini sarebbero venuti a conoscenza della strana coabitazione solo dopo che Daccò ha lasciato Opera per essere trasferito, a settembre, nel carcere di Bollate. Sembra peraltro che l’ex consigliere regionale di Forza Italia abbia accolto con sollievo la fine della convivenza con l’ex uomo d’affari, già condannato a nove anni di carcere per il crack del San Raffaele, col quale dietro le sbarre non sarebbe nato un grande feeling. L’inchiesta sulla Fondazione Maugeri per Daccò e quella sulle presunte mazzette pagate dagli imprenditori Lo Presti per Guarischi hanno rivelato numerose escursioni, anche in lidi esotici, offerte al ‘Celeste’ in cambio di favori. Daccò è ora imputato nell’udienza preliminare per le consulenze milionarie all’Istituto ospedaliero privato Maugeri, che di lui si sarebbe avvalso “per aprire le porte in Regione”, grazie alla sua amicizia con l’ex Governatore, a sua volta accusato di associazione a delinquere e corruzione.  Sono ormai storia quelli che Formigoni aveva definito “viaggi di gruppo”, tra cui capodanni extra-lusso alla Antille sullo yacht, offerti dall’ex mediatore, in carcere dal novembre del 2011. Variegato anche il catalogo delle ‘gite’ a libro paga di Guarischi: Oman, Valtellina, Croazia, Sardegna. Secondo i pm, l’ex consigliere, per il quale è iniziato da poco il processo, avrebbe fatto da mediatore per le mazzette versate dall’imprenditore sanitario Giuseppe Lo Presti a pubblici funzionari del Pirellone ancora da individuare. In una tranche ancora aperta di questa vicenda, Formigoni risponde di corruzione e turbativa d’asta. (manuela d’alessandro e nino di rupo).