Categoria: Nera

  • La lunga commozione del pm Pradella al processo S. Rita

    Anche i pm si commuovono. E se si spezza la voce a una ‘dura’ che fa questo mestiere da 28 anni, alcuni dei quali trascorsi sotto scorta, e che ha indagato su piazza Fontana e vari terrorismi, forse è giusto spiegare perché. Grazia Pradella ha chiesto, crediamo per la prima volta in Italia, di condannare all’ergastolo due medici per avere ucciso i loro pazienti non per sbaglio ma per rincorrere potere e denaro. Sono Pier Paolo Brega Massone e Fabio Presicci, i due chirurghi dal bisturi disinvolto che operavano alla casa di cura Santa Rita, meglio nota come ‘clinica negli orrori’ (copyright non giornalistico, ma di un intercettato).

    Pradella ha pregato i giudici della Corte d’Assise di perdonare la sua commozione e, verso la fine del suo intervento, quando ormai aveva sviscerato per sette ore decine di cartelle cliniche, si è lasciata andare a una lunga ‘appendice personale’ che di rado capita di sentire in un’aula di giustizia. (altro…)

  • Oggi le baby-squillo, una volta i coniugi Mussolini tenevano famiglia

    Vizi privati e pubbliche virtù. A Roma un’indagine approfondisce i rapporti tra Mauro Floriani in Mussolini e un paio di baby squillo alla quali l’ex capitano della guardia di finanza aveva telefonato. “Senza avere rapporti con loro”, dice Floriani che tanti anni fa al palazzo di giustizia di Milano era uno che contava nella squadra di polizia giudiziaria agli ordini del sostituto procuratore Antonio Di Pietro, allora uomo simbolo di Mani pulite e dell’intera categoria togata.

    Un bel giorno Floriani lasciò la gdf. Per andare dove? A lavorare come manager delle Ferrovie nelle mani di Lorenzo Necci sul quale aveva indagato fino a poche ore prima. La nipote del duce cercò di tagliare la testa al toro delle polemiche riguardanti quantomeno l’ineleganza del passaggio con parole rimaste famose: “Teniamo famiglia”. Amen, insomma, erano tempi duri per criticare tutto quello che girava intorno a Tonino da Montenero di Bisaccia.

    Poi saltarono fuori 70 milioni di lire arrivati a Floriani dal banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia, quello che intercettato al telefono diceva a un avvocato: “Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato, si pagò per uscire da Mani pulite”. “Millanterie” deciderà anni dopo un gip di Brescia. E i 70 milioni? La signora nipote ci mise una pezza spiegando che si trattava di un finanziamento per la sua campagna elettorale. Non c’erano riscontri. Ma nessuno approfondì la questione. Intorno a Di Pietro e ai suoi collaboratori la procura di Milano aveva messo il filo spinato. Floriani continuò indisturbato la sua carriera di manager pagato profumatamente e a tenere famiglia. Ora a Roma lo indagano con il sospetto di un vizietto privato per prostituzione minorile. Manco fosse Berlusconi. E di mezzo non c’è la nipote di nessun capo estero. C’è solo la nipote, nu poco ‘ncazzata, di un ex premier nostrano, un altro cavaliere, Benito Mussolini (frank cimini)

     

  • Madre arrestata per triplice infanticidio
    intanto Alfano promette: inseguiremo l’assassino

    E’ evidente, ahinoi. Il ministro dell’Interno Alfano non ci legge. Avvisatelo! Angelino, leggi giustiziami.prlb.eu che ti dà le dritte giuste.

    Umilmente, per il bene degli investigatori di cui è il capo dicastero ma soprattutto per il suo bene, avevamo già provato a dargli un piccolo consiglio che potremmo sintetizzare così: non commentare, non annunciare, evita i proclami, se le indagini in corso, altrimenti rischi di fare un pasticcio (leggi qui e qui). In questo caso, pasticci da fare non ce n’erano più, ma la figuraccia, quella sì, c’è stata, e si sarebbe potuta evitare.

    A Lecco una madre uccide tre figlie piccole, “una tragedia immane” avranno a dire i telegiornali, e in effetti lo è. Una storia orrenda e dolorosa. Succede tutto di mattina presto, la donna uccide le figlie piccolissime, a coltellate, poi si presenta da un vicino sporca di sangue. I carabinieri arrivano immediatamente, com’è logico. La signora viene portata in ospedale perché si è ferita tentando il suicidio dopo il delitto. E lì confesserà davanti agli investigatori e a una giovane sostituto procuratore. Già di primo mattino, le indicazioni ai giornalisti sono chiare: la pista è quella lì, “sarebbe stata” la madre, il perché è tutto da capire ma non c’è altra direzione seria in cui indagare. Certo, il padre delle bambine, anche lui albanese, in un primo momento non si trova. Ma non vive insieme a loro. E infatti si trova in Albania. Cosa che viene presto verificata. Intanto la donna è piantonata in ospedale, i carabinieri aspettano solo che la confessione arrivi. (altro…)

  • Senza più tv straniere (Ruby), via teloni da gabbie e dentro il Notav

    E’ l’aula grande della corte d’assise d’appello di Milano, dove le gabbie per i detenuti erano state coperte ai tempi del processo a Berlusconi per il caso Ruby al fine di evitare di mostrare al mondo intero attraverso le tv estere le vergogne medioevali della giustizia italiana. Adesso via i teloni bianchi, le gabbie sono visibili in tutto il loro “splendore” e utili per metterci dentro Mattia Zanotti, uno dei 4 Notav accusati di terrorismo a Torino per il danneggiamento di un compressore e di qualche filo elettrico. Zanotti a Milano viene processato insieme ad altri per i fatti relativi allo sgombero del centro sociale di via Conchetta, gennaio 2009. Resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio, recita il capo di imputazione, e rapina di capi di abbigliamento da un negozio di via Torino, da dove però il proprietario sentito a verbale ha detto che non mancava nulla. (altro…)

  • Abu Omar, lo Stato non poteva permettersi Pollari in carcere

    E’ finita con un “non doversi procedere per segreto di Stato” che assomiglia molto a una ragion di Stato, la vicenda dell’imam Abu Omar sequestrato da agenti della Cia aiutati dal Sismi, trasferito in Egitto dove venne torturato e sodomizzato e che vive dal 2003 in una sorta di libertà controllata. Lo ha deciso la Cassazione sulla base della decisione della Corte Costituzionale di accogliere il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato da governi di “diverso” colore, Prodi, Berlusconi, Monti e Letta.

    Nell’ultima udienza il Pg Aurelio Galasso aveva chiesto la celebrazione di un nuovo processo per valutare elementi di accusa residui dopo la decisione della Consulta. E invece la Suprema Corte ha cancellato le condanne decise dalla Corte d’Appello di Milano, tra cui quella dell’ex direttore del Sismi Nicolò Pollari a 10 anni di reclusione. (altro…)

  • Angelino, perché le notizie le racconti a metà?

    Angelino, perché le notizie le dai per metà? Li avete arrestati da mesi, la Procura sta per chiedere il giudizio immediato e non ci dici l’età, la nazionalità, i nomi o – che dico – almeno le iniziali! E poi spacci l’operazione come roba fresca, convocando una conferenza sul luogo del delitto e facendo per giunta incavolare gli investigatori?

    Adesso ci tocca rispiegarla. A gennaio il ministro dell’Interno Alfano convoca frotte di cronisti di nera in via della Spiga. Vuole rivendicare un grande successo investigativo, l’arresto di quattro stranieri che a maggio hanno messo a segno un colpo clamoroso proprio lì, alla gioielleria Franck Muller. In pochi minuti riesce a far incavolare polizia, carabinieri e procura, che avrebbero preferito più cautela nel fornire informazioni dopo mesi di riserbo assoluto. I neristi non è che impazziscano per la storia perché, nonostante Angelino, non riescono a scovare uno straccio di nome, o l’età degli arrestati. Insomma un mezzo spot per il vicepremier, ma anche un mezzo un flop istituzionale. (altro…)

  • Bruti e pm difendono Boccassini dopo le bordate dell’Antimafia
    ma qualcosa non torna

    Tutti in difesa di Ilda Boccassini, perfino chi l’ha attaccata. Il giorno dopo le bordate dell’Antimafia nazionale al pool di pm guidato dalla ‘rossa’ (vedi articolo di ieri su Giustiziami) c’è subbuglio a Palazzo di Giustizia. Sia il il procuratore Bruti Liberati sia i magistrati che lavorano nella squadra di Ilda ribattono con toni irritati alla Direzione Nazionale Antimafia che aveva parlato di “criticità” tra Roma e Milano. E a favore di Ilda, in un tourbillon di comunicati, interviene anche Franco Roberti, numero uno della Direzione Nazionale Antimafia dal cui rapporto annuale erano arrivate i rilievi.

    Bruti in una nota sottolinea “la straordinaria rilevanza” delle indagini svolte dal pool Boccassini di cui il Procuratore valorizza il “ruolo di impulso e coordinamento”. I pm che affiancano Boccassini vanno oltre, dopo avere ribadito “stima e fiducia totale” nei suoi confronti: “Respingiamo con forza perché false le notizie ed insinuazioni di presunti contrasti e dissensi interni all’Ufficio, sia tra noi Sostituti che con il Procuratore aggiunto, come altre criticità espresse nella relazione”. Ecco, “criticità”, il termine burocratese contenuto nel rapporto annuale della Dna diffuso ieri  per evidenziare lo “scarso flusso di informazioni” sull’asse Milano e Roma,  attribuito a una certa reticenza da parte di Boccassini. Nel suo comunicato, senza fare nomi e cognomi (li facciamo noi), Bruti minimizza. Se ci sono stati problemi, asserisce, sono stati superati dopo che il Procuratore Nazionale Antimafia, Franco Roberti,  ha sostituito il magistrato di collegamento tra la capitale e Milano, Filippo Spiezia, con Anna Canepa. (altro…)

  • L’antimafia nazionale sgrida quella milanese, “non ci da’ informazioni”

    Il rimprovero spunta dal fitto elenco di processi e inchieste vittoriosi della Procura di Milano. Una ‘spina’ tra gli elogi che colpisce al cuore il gruppo di magistrati guidati da Ilda Boccassini nella lotta alla criminalità organizzata.  In sostanza, nella sua relazione annuale l’Antimafia nazionale accusa quella milanese di passarle poche informazioni e non aiutarla nella sua attività di  coordinamento. Come a dire, i ‘fuoriclasse’ della battaglia contro le mafie non fanno gioco di squadra. Nel rapporto vengono evidenziate le ”perduranti criticita’ nelle relazioni con la Dda di Milano, che incidono sull’esercizio delle funzioni di questa Dna”, dovute allo scarso ”flusso informativo” che non permette di ”cogliere tempestivamente e in modo sostanziale i nessi e i collegamenti investigativi tra le altre indagini in corso sul territorio nazionale” che presentano ”profili di collegamento” con quelle in corso nel capoluogo lombardo. Nonostante le disposizioni normative e le ”successive indicazioni contenute nelle circolari e risoluzioni adottate” dal Csm, scrive la Dna, ”l’Ufficio distrettuale di Milano non ha garantito sinora un adeguato flusso informativo in favore della Dna”. Da parte della Dda di Milano, ribadisce la Dna, non c’e’ uno scambio ”idoneo” di informazioni ”per la preclusione posta a conoscere specificatamente gli atti relativi ad indagini in corso e, tanto meno, le richieste cautelari avanzate, essendo state quest’ultime rese conoscibili solo dopo l’esecuzione delle misure” di custodia cautelare. Problemi simili, secondo la Dna, ”riguardano lo scambio informativo all’interno dello stesso ufficio”, perche’ ”le notizie relative alle indagini dei singoli procedimenti non risultano essere patrimonio comune di tutti i magistrati componenti della Dda” milanese.

  • Giustizia è fatta, ma ora al ‘menestrello’ ridate anche i bonghi

     

    Un comandante di compagnia chiede ai suoi sottoposti di controllare la situazione. Il caso è delicato: davanti al palazzo di Giustizia c’è un “soggetto di sesso maschile che – scriveranno il maresciallo e il carabiniere scelto – urlando e attraverso l’utilizzo di una fisarmonica, séguita a disturbare la quiete pubblica a proferire frasi ingiuriose”. C’è un pm che per fortuna chiede l’archiviazione ma contemporaneamente suggerisce – attenzione – che lo strumento musicale venga distrutto. E un giudice che non solo archivia ma, bontà sua, dispone soprattutto che l’organetto, “di colore rosso, marca Comet”, sia restituito al legittimo proprietario.
    Anche di questo si deve occupare la giustizia penale milanese. Tutto documentato negli esclusivi documenti pubblicati da Giustiziami.

    Questa volta è finita bene. Ecco perché, nell’ultima missiva inviata ai migliaia di indirizzi della sua mailing list, il nostro amico Giorgio Dini Ciacci, che in rete si fa conoscere anche come “Indignato Jo”, esultava avvertendo: “In totale restano altri quattro organetti, più vari bongo, tamburi…cartelli…due organetti uno marca Comet, l’altro marca Parrot, entrambi made in Cina, sono in mano ancora ai Carabinieri.
    Due organetti made in Castelfidardo – uno marca Excelsior, l’altro marca Baffetti modello “saltarelle” – sono in mano ancora alla Polizia Locale di Piazza Beccaria…iniziamo con gli organetti, poi penso di riacquistare la dignità…la salute è stata ormai compromessa”.

    Ecco, noi sposiamo l’appello del simpatico menestrello. Il suo Bella Ciao ipnoticamente intonato in largo Marco Biagi è parte dell’orizzonte sonoro del Tribunale. E allora restituitegli tutto. Vogliamo ascoltarlo. Suona ancora, Indignato Jo!

    Il giudice ridà la fisarmonica a Dini Ciacci, il ‘menestrello’ del Palazzo

  • No Tav, pm e politici uniti per la prima volta nella lotta

    Il 14 maggio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e addirittura l’Unione Europea saranno con ogni probabilità parte civile in Corte d’Assise a Torino nel processo con rito immediato contro 4 militanti No Tav che rischiano fino a 30 anni di carcere per un attentato la notte tra il 13 e il 14 maggio 2013 a un cantiere in Val di Susa. Ci furono danni per 90 mila euro, 80 mila a un compressore 10 mila a cavi elettrici e altro, ma l’accusa parla di tentato omicidio di pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni, con finalità di terrorismo e azione idonea a danneggiare l’immagine dell’Italia.

    Gli operai indicati come parte offesa dalla Procura e che avrebbero rischiato di morire colpiti dalle molotov si trovavano al momento dell’azione ben 150 metri dentro la galleria. Il dolo eventuale non viene infatti nemmeno contestato formalmente dai pm che lo fanno trasparire dagli atti dove, tra l’altro, vengono elencate tutte le azioni di sabotaggio avvenute negli anni come se fosse possibile addebitarle ai 4 imputati. (altro…)

  • Kabobo, siamo sicuri che il carcere sia l’unica cura?

    La perizia che si dichiarava “non del tutto in disaccordo” con la possibilità che  Adam Kabobo, responsabile dell’uccisione di 3 persone che lui non aveva mai visto prima a colpi di piccone, venisse scarcerato a causa delle sue condizioni psichiche non è bastata. I giudici del tribunale del riesame di Milano hanno deciso che almeno per il momento la prigione è l’unica cura per il ghanese affetto da schizofrenia paranoide cronica. La perizia firmata dal medico legale Marco Scaglione si era espressa anche per un possibile ricovero in un ospedale psichiatrico-giudiziario dove Kabobo avrebbe potuto essere sottoposto a “tearpie riabilitative” e comunque sarebbe stato guardato a vista per ragioni di sicurezza, a tutela della incolumità sua e di quella delle persone a contatto con lui. (altro…)

  • A processo gli “evasori” archiviati dal pm Francesco Greco

    Ha fatto ‘bingo’ la procura generale di Milano che dalla primavera dell’anno scorso aveva tolto una serie di indagini fiscali a carico di imprenditori dopo che la procura, pm Francesco Greco responsabile del pool reati societari, voleva fossero archiviate per mancanza di elementi sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio.

    Il sostituto procuratore generale Gianni Griguolo ha citato direttamente davanti al Tribunale due gruppi di imputati, il primo di 4 e il secondo di 3, per luglio e settembre. Nel primo caso c’è omesso pagamento di Iva per 70mila euro, nel secondo per 193mila euro. Le indagini non erano state fatte. Il procuratore aggiunto Greco aveva chiesto al gip di archiviare. Il gip aveva rigettato l’istanza della procura avviando la procedura che ha portato poi la procura generale, chiamata istituzionalmente a controllare l’operato dei pm, ad avocare e a fare le indagini non eseguite prima. (altro…)

  • Guardare gli uccelli sul lago costa 8 mesi di carcere a Dell’Utri

    Non ha potuto emulare il ‘Barone rampante’ di Italo Calvino, quel Cosimo Piovasco che a 12 anni salì su un albero dopo una lite coi genitori per un piatto di lumache e non scese mai più. Marcello Dell’Utri da quella ‘casetta’ inerpicata tra i rami vista lago di Como, costruita nel parco della villa di Torno, è franato in malo modo.

    Atterraggio brusco dopo la senteza di primo grado pronunciata dai giudici comaschi, nove mesi di carcere (pena sospesa), mitigati oggi ma di poco dalla Corte d’Appello di Milano. Otto mesi. Tanto è costata la passione per il bird – watching all’ex senatore che era stato denunciato nel 2009 quando il piccolo Comune lacustre scoprì ‘l’intrusa’ nel giardino della dimora, una costruzione da 70 metri quadri, due piani più una torretta. Citato dal pm in primo grado, l’architetto del Comune  aveva però contrastato la tesi dell’accusa sostenendo che l’edificio fosse smontabile e anche la Sovrintendeza aveva negato l’esistenza di violazioni paesaggistiche. Più severi di tutti sono stati i giudici di primo e secondo grado che hanno punito Dell’Utri per abusivismo edilizio e alterazione delle bellezze paesaggistiche.

    Se Cosimo volle avvicinarsi al cielo per colpa di un piatto di lumache,  Dell’Utri quand’ è sceso dalla casetta (in parte demolita su ordine del giudice)  si è trovato una scintillante ricompensa. Ventuno milioni di euro scuciti dall’amico Berlusconi per impossessarsi di quella ‘favola’ da trenta locali, campo da tennis e darsena con vista sul blu.  (manuela d’alessandro)

     

     

     

  • Ecco le prime immagini di Kabobo

    Adam Kabobo, il ghanese accusato di tre omicidi volontari a colpi di piccone, arriva al palazzo di giustizia di Milano. Sono le prime immagini da quando è stato rinchiuso in carcere. Ma la sua condizione psichica, stando al perito nominato dal Tribunale del Riesame, è incompatibile con la permanenza a San Vittore.

    kabobo

    Nessuno si scandalizzò molto quando Lele Mora, due anni fa, venne scarcerato e rimesso in piena libertà per ragioni simili: lo “stress psicofisico” dovuto alla permanenza nel reparto ‘colletti bianchi’ di Opera aveva reso impossibile la detenzione dell’agente dei vip. Senso di umanità? Più o meno. Certo, era in carcere per accuse ben diverse da quelle che ricadono su Kabobo. Ma tant’è, una parte dell’opinione pubblica non è disposta a concedere lo stesso trattamento al triplice omicida. Che ovviamente, data la spiccata pericolosità sociale, non finirà certo a piede libero. Il suo destino sarà comunque la custodia cautelare per ora, anche se in un ospedale psichiatrico giudiziario. Anche nel caso di una ipotetica assoluzione per infermità mentale finirebbe comunque in un opg, come misura di sicurezza. In ogni caso, quindi, sarà trattenuto in luogo sicuro per anni e anni. Il resto è polemica.

     

     

  • Kabobo in tribunale. Ecco le prime immagini

    Adam Kabobo, il ghanese accusato di tre omicidi volontari, arriva al palazzo di giustizia di Milano. Sono le prime immagini da quando è stato rinchiuso in carcere. Ma la sua condizione psichica, stando ai periti nominati dal Tribunale del Riesame, sono incompatibili con la permanenza in carcere.

    kabobo

    Nessuno si scandalizzò molto quando Lele Mora, due anni fa, venne scarcerato e rimesso in piena libertà per ragioni simili: lo “stress psicofisico” dovuto alla permanenza nel reparto ‘colletti bianchi’ di Opera aveva reso impossibile la detenzione dell’agente dei vip. Senso di umanità? Più o meno. Certo, era in carcere per accuse ben diverse da quelle che ricadono su Kabobo. Ma tant’è, una parte dell’opinione pubblica non è disposta a concedere lo stesso trattamento al triplice omicida. Che ovviamente, data la spiccata pericolosità sociale, non finirà certo a piede libero. Il suo destino sarà comunque la reclusione, in un reparto psichiatrico. Anche nel caso di una ipotetica assoluzione. Per ragioni di sicurezza, sarà trattenuto in luogo sicuro per anni e anni. Il resto è polemica.

     

     

  • Troppo silenzio sulla sentenza che 35 anni dopo riconosce la “tortura di Stato”

    Un assordante silenzio dei vari media (con ben rare eccezioni) sembra accompagnare l’avvenuto deposito delle motivazioni di una recente Sentenza di revisione della Corte di Appello di Perugia, la n. 1130/13 siglata dai Magistrati Ricciarelli, Venarucci e Falfari.

    Si dirà che in fondo è un fatto vecchio che non fa più “notizia” posto che si trattava della condanna a suo tempo inflitta per calunnia ad Enrico Triaca, un oscuro “tipografo” romano arrestato il 15 maggio 1978 in occasione delle indagini sul sequestro Moro.

    Costui aveva a suo tempo denunciato all’allora Giudice Istruttore di Roma, Gallucci, lo stesso Magistrato che nel 1979 attribuirà al veneto Toni Negri la diretta paternità della celebre telefonata fatta dal marchigiano Mario Moretti alla signora Moro, di avere subito pesanti torture nella notte tra il 17 ed il 18 maggio presso il Commissariato romano di Castro Pretorio, prima di rendere il proprio interrogatorio il   18 maggio.

    Per tali affermazioni Enrico Triaca fu puntualmente condannato per calunnia dal Tribunale di Roma il 7 novembre 1978 scontando interamente la propria pena.

    Dopo 35 anni la Corte di Appello di Perugia ha accolto l’ istanza di revisione di Enrico Triaca “revocando”, per quel che ormai può servire, quella condanna per il semplice motivo che quanto a suo tempo dichiarato dall’imputato era vero. (altro…)

  • Né movente né giudice, dopo la Cassazione su Garlasco è caos

    Alberto Stasi non e’ un pedofilo e questa fino ad oggi e’ l’unica verita giudiziaria emersa dal 13 agosto 2007 quando la fidanzata Chiara Poggi e’ stata uccisa nella sua villetta di via Pascoli a Garlasco. Dopo due sentenze di condanna per il possesso di alcuni frammenti di immagini pedopornografiche trovate nel suo computer, ieri sera gli ermellini hanno ribaltato i pronostici e assolto il ‘biondino’.

    Una sorpresa, come quella che ad aprile porto’ altri giudici della Suprema Corte a chiedere che, dopo due assoluzioni dall’accusa di omicidio, Stasi tornasse in aula per rispondere nuovamente del delitto.

    Confusione a parte delle toghe, bisognera’ attendere che si fissi la data del processo d’appello bis per scoprire il nuovo movente dell’accusa. La visione di quelle immagini raccapriccianti da parte di Chiara sarebbe stata la molla dell’omicidio, secondo quanto già spiegato nel primo appello dalla pg Laura Barbaini che pare non abbia gradito il verdetto di ieri.

    Riassumendo. Niente testimoni, nessuna traccia dell’arma, e, a nove mesi di distanza, non è ancora stato individuato chi dovrà ‘firmare’ la nuova sentenza. Per uno strano incrocio del destino, avrebbe dovuto guidare il collegio Sergio Silocchi, il presidente della prima corte d’assise ed ex marito del pg Barbaini, il quale ovviamente ha deciso di astenersi. Neppure i giudici della seconda assise che avevano scagionato Stasi potranno celebrare il nuovo processo e allora non restano, ‘per eliminazione’, che quelli della terza sezione della Corte d’Appello. Sembra non esserci nulla di facile in quello che è il rebus di cronaca nera più intrigante degli ultimi anni. (oriana lupini e manuela d’alessandro)

  • La relazione segreta sugli ultras
    Dove sto io non stai tu
    Altrimenti ci arrabbiamo

    Allo stadio il territorio è tutto. Quello che è mio non è tuo, dove stai tu non vengo io. Altrimenti saltano le barriere. E volano le botte. Lo dimostrano i fatti di San Siro del 14 settembre scorso e lo spiega bene la Digos di Milano nell’informativa che costituisce il documento più importante delle indagini appena chiuse dal pm Marcello Musso nei confronti di 12 ultras. Una relazione di poche pagine in cui si parla in continuazione di “calci e pugni”, “regolamenti di conti”, “propositi di vendetta” e “inaudita ferocia”. Violenze scatenate da un gesto la cui gravità non è comprensibile se non all’interno delle regole – non dette, incivili, infantili, ma pur sempre regole chiare – della tifoseria organizzata: un capo ultras si è permesso di mettere piede dove i tifosi della squadra avversa stanno esultando per la rete della propria compagine, la Juventus. Cos’è successo? Guardatevi questi:

    rissa stadio  rissa stadio 2 rissa stadio 3

    “E’ noto che le due tifoserie, con particolare riferimento alle frange ultras più estreme delle stesse, sono divise da un acerrimo rapporto di rivalità che spesso è sfociato in episodi di violenza, situazione questa che si è riproposta anche in occasione dell’evento in questione e culminata con violenti scontri fisici”, scrive la Digos. Parliamo della terza giornata del campionato di serie A in corso. Inter-Juve. Il primo tempo finisce a reti inviolate, nel secondo Icardi insacca per i padroni di casa al 73esimo. Ma due minuti dopo Vidal, per bianconeri, segna l’1 a 1. Che sarà poi il risultato finale. Quel secondo gol è l’inizio di tutto.

    “Il noto ultrà interista Dario B., appartenente al gruppo degli ‘Irriducibili’, in occasione della rete siglata dalla squadra torinese, trovandosi indebitamente all’interno del settore ‘secondo anello arancio’, ha ingaggiato un’animata discussione con alcuni tifosi bianconeri, i quali avevano appunto esultato per il gol della loro squadra. L’animata discussione degenerava, passando alle vie di fatto, in una violenta colluttazione durante la quali B. aveva la peggio. Violentemente percosso, rovinando lungo la scalinata e terminando la sua caduta a ridosso della balaustra delimitante gli spalti”. (altro…)

  • La Cassazione libera Brega Massone per un “errore” della Procura Generale

    Torna libero per quello che la Cassazione ha giudicato un errore dei magistrati milanesi Pier Paolo Brega Massone, il chirurgo arrestato e condannato a 15 anni e mezzo di carcere per avere effettuato decine di operazioni inutili nella casa di cura Santa Rita, diventata tragicamente nota come ‘clinica degli orrori’. La Suprema Corte ieri ha annullato l’ordine di carcerazione, con la conseguenza che, riferiscono i suoi legali Oreste Dominioni e Luigi Fornari, il medico lesto a sfoderare il bisturi per aumentare stipendio e possibilità di carriera in assenza di esigenze terapeutiche, “sta per lasciare il carcere di Opera”.

    Per capire come si sia arrivati alla scarcerazione, bisogna riavvolgere il nastro al giugno 2013, quando la Cassazione ha annullato per un errore di calcolo nella prescrizione di alcuni reati la condanna in secondo grado e disposto un nuovo appello per rideterminare la pena. E’ in questo momento, prima dell’appello bis,  che la Procura Generale di Milano emette un ordine di carcerazione ritenendo il verdetto degli ermellini definitivo nella parte in cui non era stato annullato. Il provvedimento restrittivo viene ribadito dalla sezione feriale della Corte d’Appello a cui si rivolgono gli avvocati di Brega per farlo annullare.

    Il 15 novembre scorso, il processo d’appello ‘bis’ sancisce  la sua condanna per le accuse di truffa, falso e una novantina di lesioni dolose a 15 anni e sei mesi. Ieri il colpo di scena con la Cassazione che annulla sia la decisione della sezione feriale sia l’ordine di carcerazione. Sempre per la smania di operare (“la mammella mi rende moltissimo, pesco polmoni dappertutto”, diceva in una delle intercettazioni più cruente agli atti dell’inchiesta), l’ex capo dell’equipe di chirurgia toracica è attualmente imputato in un secondo processo in cui risponde di 4 omicidi e altri casi di lesione. Arrestato nel giugno 2008, Brega è stato in carcere per quattro anni e mezzo con una breve parentesi di libertà. (manuela d’alessandro)

  • La Polizia tiene il riserbo per un mese
    ma Alfano spiattella tutto in gioielleria

    C’è un segreto investigativo che tiene strenuamente da almeno un mese. Polizia, carabinieri e procura di Milano tutti d’accordo: “Acqua in bocca!”. C’è da risolvere in silenzio il caso di una delle più spettacolari rapine avvenute a Milano negli ultimi anni. Obiettivo, la gioielleria Franck Muller in via della Spiga, pieno quadrilatero della moda, l’area più lussuosa della città, nota soprattutto a quei turisti milionari che da tutto il mondo arrivano a frotte per lo shopping di alto livello. A maggio scorso una banda armata di molotov, mazze e picconi entra, picchia due dipendenti, spacca le vetrine e fugge nel giro di pochi minuti. Un colpo studiato, violento e a suo modo perfetto.

    Più di un mese fa, arrivano i primi arresti, due. Poi, alla spicciolata, finiscono in galera altri due complici. Silenzio. Non c’è uno sbirro che si faccia sfuggire la dritta al vecchio amico cronista di nera. Non un magistrato che ceda alle lusinghe della stampa. E neppure un avvocato disposto a ‘vendersi’ il cliente in cambio di una citazione sui giornali. Poi arriva lui. Il ministro. Dell’Interno. Quello che sovrintende alle forze di polizia. Quello che, proprio nel giorno della clamorosa rapina, si trovava a Milano per presiedere un comitato provinciale sull’ordine e la sicurezza e annunciare l’intenzione di spedire nel capoluogo 140 militari: “Non è un’operazione spot. La capitale economica del Paese va salvaguardata a partire dalla sicurezza”, aveva tuonato a favore di telecamera. Ecco, oggi Alfano era di nuovo a Milano. Presenza prevista almeno da venerdì, quando alcuni pezzi grossi delle forze dell’ordine si sono presentati alla gioielleria Muller di via della Spiga per spiegare ai dipendenti che oggi avrebbe avuto luogo un’occasione speciale: “C’è il ministro”. E quindi presentarsi in ufficio, vestiti decorosamente, per rendere i dovuti onori. Poco importa se quei dipendenti oggi, da orario, dovevano stare a casa a dormire. Qualcuno aveva impegni privati importanti. E allora, perché Alfano passava in negozio? Per comprare un solitario? Un bell’orologio? No, per annunciare un successo. (altro…)

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  • Sbianchetta un documento in Tribunale
    E voilà il Tao è di nuovo nei guai

    Il personaggio è uno che in tribunale, quando ce n’è bisogno, sa usare i fuochi d’artificio. E i colpi li mette a segno, non c’è che dire, se è vero per esempio quanto dichiarò a qualche mese fa a ‘la Zanzara’ su Radio24: “Il più grande criminale che ho difeso? Un politico della Prima Repubblica, un criminale vero, ma io l’ho fatto assolvere, una grande soddisfazione”. Carlo Taormina le aule di giustizia le ha viste da ogni angolatura. Da avvocato prima, da magistrato poi, infine di nuovo da legale. Ma pure da imputato. Le ultime due posizioni non sono affatto inconciliabili, per altro. Si può essere avvocato in un processo e imputato in un altro. Proprio quello che è capitato a lui. Tanto che gli impegni, nel caso che vi raccontiamo, si sono accavallati portandolo a cadere in un pasticcio che gli è costato una condanna a 10 mesi di reclusione, pena sospesa, per falso. Tutto per una cosa da poco, quasi uno scherzo da liceo: la sbianchettatura di un documento.

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  • Il santino di Calabresi nella fiction anti – storica della Rai

    A prescindere dal valore tecnico di una fiction su cui già si è espresso il noto critico Aldo Grasso sul Corriere, ho trovato molto grave l’“operazione televisiva” mandata in onda in questi giorni sul primo canale RAI, e di cui sono già previste altre due parti che dovrebbero, il condizionale è d’obbligo, ricostruire altrettanti significativi episodi che hanno contrassegnato la recente Storia del nostro Paese.

    Già dal titolo (“Gli anni spezzati”), nonché dalla lettura di nomi e credenziali di chi ha collaborato alla stesura della sceneggiatura, era evidente la scelta precisa da parte degli autori di raccontare una storia molto poco Storia come del resto accaduto già troppe altre volte quando si è affrontato nelle sedi più “paludate” un periodo sul quale, per le note e più volte dette ragioni, non si è mai voluto fare davvero i conti.

    E così, un po’ come aveva già fatto (anche se con ben altra perizia) il regista Giordana con “Romanzo di una strage” si è voluto costruire un santino intorno ad una figura alquanto complessa e che si muoveva in una realtà nazionale (e non solo) ancor più complessa, per un popolo bue che evidentemente in grave penuria di uomini in cui credere, abbisogna di eroi.  (altro…)

  • Il reato di omicidio stradale? E’ la riedizione della legge del taglione

    Legiferare “con la pancia”, a seguito di fatti di cronaca, o peggio ancora per accontentare le associazioni delle vittime della strada, magari, inopinatamente, presiedute da qualche avvocato. Questo é il modo per produrre danni, per intervenire a spot, senza poi preoccuparsi di coordinare e razionalizzare le varie norme. Questo è il progetto di legge sull’omicidio stradale di cui si parla in questi giorni.

    L’idea base, neanche innovativa peraltro, è quella che aumentando le pene si riducano i reati, teoria già discutibile per i reati dolosi, assurda per quelli colposi, dove manca la volontà di commettere il reato. Oppure aumentare i minimi della pena, per impedire al giudice di commisurare la sanzione alla gravità del reato, auspicando che tutti gli autori di questo reato così debbano finire in carcere. Si tratta della riedizione addolcita della legge del taglione; al reato, segue la carcerazione del reo, quale punizione, più che quale sanzione giusta.

    Siamo tornati al medioevo giuridico. Più carceri per accontentare l’opinione pubblica. Senza pensare che mettere in carcere per un lungo periodo un soggetto magari al primo reato non serve a nulla, mentre magari cercare di fargli capire la gravità della sua condotta, attraverso lavori socialmente utili, in ospedali dove ci sono persone che hanno subito incidenti stradali ad esempio, può servire a eliminare la possibilità che reiteri il reato. Oppure un’attività finalizzata al risarcimento del danno delle vittime, troppo spesso insufficiente. Non si sentiva proprio il bisogno di inventarsi un nuovo reato, proprio mentre si ragiona su ipotesi di “depenalizzazione”, di “diritto penale minimo”, anche perché questo modo di legiferare crea situazioni ingiuste. Perché allora non istituire l’omicidio sui posti di lavoro, forse perché “si notano di meno”‘ perché magari i morti vengono buttati a mare? Non ci siamo proprio, è proprio vero che quando la politica si occupa di giustizia questa esce sempre perdente…a prescidendere direi.  (Mirko Mazzali, avvocato e presidente della commissione sicurezza del Comune di Milano)

  • “Ha scritto il vero”, ma il giudice condanna il giornalista al carcere

    “L’articolo è certamente fedele ai fatti che accadevano all’interno delle discoteche che per tale motivo erano state chiuse (…) ha descritto in toni efficaci l’uso frequente di cocaina, le abitudini di vita, i luoghi in cui veniva fornita o consumata, la situazione di promiscuità in cui uomini e donne si trovavano per assumerla…”. A leggere tre quarti delle motivazioni della sentenza una persona normale si aspetta di trovare in fondo al documento l’assoluzione del giornalista, Luca Fazzo, accusato di aver diffamato P.T. definendolo “accanito cocaimane” sulla base delle stesse dichiarazioni a verbale del diretto interessato, il quale aveva raccontato oltre allo spaccio il consumo della sostanza quattro volte la settimana.

    E invece, in fondo, c’è la condanna a 7 mesi di carcere senza condizionale, ben oltre le stesse richieste dell’accusa che aveva proposto solo una multa. (altro…)

  • Le balle giudiziarie top del 2013: dai diamanti della Lega all’imprenditore assolto

    La cronaca giudiziaria è materia scivolosa, si sa, e allora alla fine di questo 2013 ci prendiamo un po’ in giro anche noi.  Ecco le notizie false che abbiamo contribuito, anche con l’aiuto di fonti e intervistati, a mettere in circolazione.

    1) LA ‘BUFALA’ DELL’IMPRENDITORE ASSOLTO PER LA CRISI

    Alcune testate scrivono che un imprenditore è stato assolto per la crisi, dando pieno credito alla versione dei suoi avvocati. Invece nelle motivazioni, uscite diversi giorni dopo la notizia, il giudice spiega che il motivo dell’assoluzione dall’accusa di evasione andava individuato nell’interpretazione ‘tecnica’ di una norma sui concordati  preventivi. Nemmeno una parola sulle sue difficoltà finanziarie. Ma la ‘notizia’ che è passata, una delle più cliccate nelle cronache del 2013, è che se un imprenditore evasore affoga insieme al Paese nei debiti può anche guadagnarsi l’assoluzione.

    2) LO YACHT DI RICCARDO BOSSI

    In piena bufera sulla Lega, spunta uno yacht da 2,5 milioni di euro ormeggiato in Tunisia, la cui proprietà sarebbe di Riccardo Bossi. Il sospetto, spiegano i giornali, è che l’imbarcazione di lusso sia stata comprata coi soldi dei rimborsi pubblici. Il rampollo del ‘Senatur’ riesce però a dimostrare di non c’entrare nulla con lo yacht.

    3) LA ‘PAGHETTA’ DEL TROTA E I DIAMANTI DI ROSI

    Ancora Lega e ancora forzature giornalistiche (non sempre invenzioni, a volte anche le fonti sbagliano). Renzo e Riccardo Bossi, scrivono i giornali, avrebbero ricevuto una ‘paghetta’ da 5mila euro mensili coi soldi dei rimborsi elettorali del Carroccio. L’ipotesi viene smentita in ambienti giudiziari pochi giorni dopo essere finita in prima pagina e avere creato ironie e moti d’indignazione popolare. Negli atti depositati con la chiusura delle indagini di qualche giorno fa non c’è traccia dello ‘stipendio’ per i figli di Umberto Bossi. Una balla anche la notizia che Rosi Mauro aveva comprato i famosi ‘diamanti della Lega’ con i soldi dei rimborsi elettorali. Dopo che lo scoop è stata sparato, si è scoperto che la ‘pasionaria’ li acquistò coi suoi risparmi personali.

    4) LE BUGIE DI MICHELLE

    “Io c’ero, ho visto tutto. Il Cavaliere ha passato almeno una notte con Ruby quando lei era minorenne”. Il racconto è di Michelle Conceicao. Il bravo collega riporta tutto in un’intervista che sembra segnare una svolta nel caso Ruby. Invece poi il pm Ilda Boccassini analizza i tabulati e vede che la prostituta brasiliana non è mai stata ad Arcore quando c’era anche Ruby. E Michelle in aula non osa mentire alla ‘rossa’.

    5) LA FANTASIA DI PROTO

    In questo caso i giornalisti italiani sono in buona compagnia perché anche il Financial Times, folgorato dalla sua immaginifica ascesa, gli ha dedicato la prima pagina. Alessandro Proto ha tenuto per mesi in scacco la Consob e i giornali millantando Opa e operazioni finanziarie di alto livello. Tutte balle enfatizzate dai giornali, come ha certificato la sentenza con cui ha patteggiato 3 anni e dieci mesi, lo scorso 22 ottobre.

    (Manuela D’alessandro, Roger Ferrari, Nino Di Rupo)

  • Pena ridotta a Ganzer, non l’unico a uscire male da vicenda grave

    Il generale ora in pensione Giampaolo Ganzer, ex comandante del Ros dei carabinieri, è stato condannato in appello a 4 anni e 11 mesi in relazione a operazioni sotto copertura, irregolari secondo l’accusa che aveva chiesto in primo e secondo grado 27 anni di reclusione per associazione a delinquere traffico di droga, peculato e altri reati. L’associazione era già “caduta” davanti al Tribunale che aveva condannato l’ufficiale a 14 anni. In appello sono state riconosciute le attenuanti generiche che hanno finito per ridimensionare la pena.

    La vicenda invece resta gravissima, perché Ganzer e altri ufficiali e sottufficiali della cosiddetta “Benemerita” utilizzando mezzi e strutture dell’Arma, oltte che trafficanti di stupefacenti professionali, inventavano brillanti operazioni al fine di acquisire meriti e fare carriera. E c’è pure il giallo di una discreta somma di denaro sparita misteriosamente. (altro…)

  • Ancora carcere per un giornalista, è ‘scontro’ Pm-giudici

    Vaglielo a spiegare ai giudici che il procuratore Edmondo Bruti Liberati si è speso dopo il caso Sallusti con tanto di direttive interne e comunicati stampa per evitare il carcere ai giornalisti. Sembra proprio che Procura e Tribunale diano un peso molto diverso alle diffamazioni dei cronisti.
    Oggi l’ultimo caso, quello del collega Luca Fazzo, condannato dal giudice Anna Calabi a sette mesi di carcere senza sospensione della pena per un articolo in cui aveva definito “accanito cocainomane” un giovane frequentatore della discoteca Hollywood, coinvolto nell’indagine su ‘Vallettopoli’.
    Nelle carte dell’inchiesta dello scomparso pm Frank Di Maio, alcune ‘bellissime’ di Milano, Francesca Loddo e Alessia Fabiani, avevano raccontato di avere consumato droga con il giovane, il quale a verbale aveva ammesso: “Sono consumatore da 4 anni di  cocaina  e negli ultimi tempi ne consumo parecchia, anche dalle due alle quattro volte alla settimana (…) di solito funziona che al tavolo del privé dell’Hollywood si chiede ai presenti se hanno cocaina ed effettivamente molti ne hanno disponibilità e sono adusi a regalarla. Io e le mie amiche andavamo in bagno a consumare la sostanza”.
    Nel processo a Fazzo, il giudice è andato molto oltre la richiesta della Procura, che avrebbe ritenuto sufficiente la condanna ad un’ammenda di tremila euro, infliggendo al cronista sette mesi senza sospensione condizionale. Appena un mese in meno della pena patteggiata dal giovane per il consumo di droga.  Solo poco tempo fa, però, Bruti Liberati aveva rivolto ai colleghi pm l’invito ad adeguarsi alla sentenza con cui il 24 settembre scorso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva condannato l’Italia per violazione della libertà di espressione con riferimento alla condanna al carcere, seppure sospesa, dell’allora direttore del Giornale, Maurizio Belpietro.
    Il procuratore aveva sottolineato che la Corte Europea era intervenuta per “censurare l’applicazione della pena detentiva ritenuta sproporzionata in relazione alla tutela della libertà d’espressione quando non ricorrono circostanza eccezionali quali l’istigazione all’odio razziale o etnico o l’incitamento alla violenza”. Ma quello che dice l’Europa pare non piaccia affatto ai giudici. (manuela d’alessandro)

     

  • Tra arte e vandalismo i writers si beccano l’associazione a delinquere

    C’è un’apprezzabile e ben articolata analisi storica e sociale, di un paio di pagine, sul ”graffitismo” e anche un più difficile ma coraggioso ragionamento sul concetto di arte, ma anche sulla ”componente” di puro ”vandalismo”, entrambi presenti nel cosiddetto ”fenomeno del writing”, che trova le sue origini nella ”sottocultura dei ghetti newyorkesi”. Non è un saggio di Vittorio Sgarbi, ma sono le interessanti motivazioni (potete leggerle nella sezione ‘Documenti’) della sentenza del gup di Milano Alessandra Clemente che, lo scorso settembre, ha condannato per associazione a delinquere, per la prima volta in Italia, due giovani che armati di bomboletta spray hanno riempito la città di ‘tag’: quelle firme o sigle stilizzate che inondano di vernice i muri dei palazzi e le saracinesche della metropoli. Che facciano schifo è probabilmente un dato oggettivo, extra-processuale. (altro…)

  • L’uomo ‘cavia’ in cella con Kabobo che ‘stava meglio’

    Va premesso come punto di partenza e dato di fatto, appurato in esclusiva da Giustiziami.it, che quel povero detenuto non aveva il numero di telefono di Anna Maria, Cancellieri ovviamente. Non possiamo sapere, invece, cosa ha pensato quando ha scoperto che avrebbe condiviso una cella di San Vittore con Adam ‘Mada’ Kabobo, il ghanese che lo scorso maggio ha ucciso a colpi di piccone tre passanti a Milano, mentre tre riuscivano a salvarsi. Non avendo telefonate illustri da giocarsi, si sarà rincuorato quando qualcuno, magari di passaggio, gli ha detto ‘guarda che non è proprio matto, stai tranquillo’. Una perizia psichiatrica, d’altronde, solo qualche settimana fa aveva accertato che la persona che gli inquirenti descrivevano come un ‘meteorite’ caduto sulla Terra non era totalmente infermo di mente quando compiva una strage. (altro…)

  • Nomi e indirizzi baby – squillo visibili, procedimento disciplinare sul Corriere

    Si sa, se uno lavora in un grande giornale dev’essere bravo. Uno che a scuola non ha mai avuto bisogno di sbianchettare i voti sul diario per riscriverli maggiorati di un paio di punti, prima di mostrare al genitore il suddetto libriccino. Sarà per questo che chi ha mandato in stampa il Corriere della Sera, nei giorni scorsi, dev’essere poco avvezzo all’uso del bianchetto coprente. Così, nel pubblicare – dovere di completezza e prova di affidabilità, ci mancherebbe – il capo di imputazione formulato dalla Procura di Roma nei confronti degli ultimi arrestati per la vicenda delle ragazzine che si prostituivano ai Parioli, il trucco del bianchetto non è andato a buon fine. (altro…)

  • La riunione dove i Ligresti’s decisero che era l’ora di Berlusconi

    E’ l’autunno del 2011, tre manager di Fonsai, Salvatore, la figlia Jonella Ligresti ed Emanuele Erbetta insieme col consulente Fulvio Gismondi, si riuniscono in un ufficio romano e convengono di essere ‘alla frutta’. Il loro ‘padrino’ Giancarlo Giannini, l’uomo che alla guida dell’Isvap per quasi un decennio ha fatto finta di non vedere le ‘stranezze’ nei conti della compagnia di assicurazioni, sta per eclissarsi e c’è il rischio concreto che abbandoni Fonsai a un destino incerto. Ed ecco che spunta il nome di Silvio Berlusconi, il solo che potrebbe fare un favore al patron di Fonsai, piazzando Giannini al vertice dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Salvatore annuncia a Jonella, Erbetta e Gismondi, che incontrerà il Cavaliere per chiedergli un aiuto. Questa la ‘trama’ ipotizzata dalla Procura di Milano che (nella sezione Documenti’ l’atto di chiusura indagini) , sulla base di interrogatori e intercettazioni,  fa da sfondo al lunghissimo ‘romanzo’ contenuto in 4 faldoni e mezzo da domani a disposizione degli avvocati di Giannini e Ligresti. Il piano dell’ingegnere non potrebbe comunque andare a segno perché di lì a pochi giorni Berlusconi lascerà Palazzo Chigi. (altro…)

  • La sentenza che obbliga lo Stato a risarcire i familiari se il killer non paga

    E ora lo Stato italiano rischia di essere sommerso dalla class action dei cittadini parenti di vittime di omicidi e stupri che non abbiano ricevuto un risarcimento perché il colpevole è inadempiente o perché non è stato trovato. La sentenza (consultabile nella sezione ‘Documenti’) che ‘apre’ questa strada potenzialmente ‘esplosiva’, richiamando una direttiva  europea non adottata dall’Italia, è stata pronunciata da un giudice civile di Roma, Federico Salvati, che ha condannato la Presidenza del Consiglio a risarcire 80mila euro alla madre di Jennifer Zacconi, la 20enne incinta al nono mese uccisa nel 2006 e sepolta in una buca vicino a Venezia. “La Repubblica Italiana – si legge nel verdetto – non ha integralmente adempiuto all’obbligo di conformarsi alla direttiva, nella parte in cui impone l’adozione di ‘sistemi di indennizzo nazionali’”. (altro…)

  • La strana Cassazione su Alberto Stasi che per 3 volte diventa Mario

    Strane e verrebbe da dire ‘distratte’ motivazioni (le potete leggere nella sezione ‘Documenti’) quelle con cui la Cassazione spiega perché bisogna processare di nuovo Alberto Stasi, assolto in primo e secondo grado dall’accusa di avere ucciso la fidanzata Chiara Poggi il 13 agosto del 2007 a Garlasco. Non sfuggono alcuni errori di forma che una vecchia maestra evidenzierebbe con la matita rossa e un paio di ricostruzioni storiche sull’indagine lasciano perplessi.

    Per ben tre volte gli Ermellini sbagliano il nome dell’imputato chiamandolo Mario Stasi (pagine 88, 91 e 92), mentre Chiara Poggi diventa Chiara Stasi (pagina 98) sebbene non fosse sposata con lui (Alberto).

    Ecco invece i punti critici sulla sostanza. A pagina 88 la Suprema Corte afferma che la fascia di orario compresa tra le 9 e 12 (quando Chiara disinserisce l’allarme di casa Poggi) e le 9 e 35 (orario in cui Alberto si mette al computer) è stata ritenuta “compatibile” dai giudici di primo e secondo grado con l’azione omicida. Non è proprio così. Né il giudice di primo grado, Stefano Vitelli, né quelli della corte d’appello di Milano sono mai stati così netti nel parlare di “compatibilità” con questa striscia di tempo in cui Alberto non aveva alibi. Anzi, il gup attribuì a questa collocazione temporale dell’omicidio “plurimi e significativi punti di criticità” e lo definì “un intervallo di problematica compatibilità”. Spiegò che era molto difficile  immaginare che in 23 minuti Alberto  fosse stato in grado di andare a casa Poggi, litigare (ipotesi) con la ragazza, ucciderla, cambiarsi gli abiti sporchi di sangue, tornare a casa sua e mettersi davanti al pc per scrivere la  tesi di laurea.

    Secondo passaggio controverso è quello di pagina 82, dove la Cassazione scrive che la bicicletta di Stasi così come descritta dal carabiniere Marchetto coincideva con quella descritta dalla testimone Franca Bernani, vicina di casa della famiglia Poggi. La signora Bernani raccontò al pm di avere visto alle 9 e 10 del 13 agosto una bici nera da donna davanti alla villa di Chiara. Durante le indagini,  Marchetto  scrisse in un verbale che nel magazzino del papà di Alberto aveva notato una bici nera da donna ma decise di non sequestrarla perché, come spiegò poi anche durante il processo di primo grado, non corrispondeva alla descrizione fatta dalla Bernani. Dunque, nessuna coincidenza tra le due versioni.Proprio sulla bici mai sequestrata ad Alberto in sella alla quale – ipotesi di accusa e parte civile – sarebbe andato a casa di Chiara per ammazzarla, si giochera’ uno degli scontri cruciali nel nuovo processo. (manuela d’alessandro)

  • Donna incinta travolta, le scarpe del bimbo non trovato

     

    Le scarpe da ginnastica nero – arancio che vedete nella foto qui sopra erano del bambino egiziano di quattro anni investito e ucciso domenica scorsa a Milano insieme alla mamma incinta. “Le ho viste a una trentina di metri dall’incidente e ho chiesto ai vigili di chi fossero perché non mi sembravano scarpe da donna”. Maurizio Maule, esperto fotografo milanese che ha raccontato in immagini decine di fatti di cronaca negli ultimi anni, racconta a Giustiziami un risvolto inedito sull’incidente avvenuto in viale Famogosta per il quale è indagato con l’accusa di omicidio colposo plurimo il conducente dell’auto, uno studente di 28 anni. Quando il fotografo vede quelle scarpe, l’unica persona di cui i vigili hanno certificato la morte è la donna col piccolo che portava in grembo da sette mesi. Solo più di un’ora dopo, all’ospedale, il marito spiegherà ai medici che con lei c’era il figlio di quattro anni e scatteranno le ricerche del bimbo. “Il vigile a cui ho chiesto di chi fossero le scarpe – prosegue Maule – mi ha detto che probabilmente appartenevano a un figlio della vittima che però non era con lei. Infatti sulla strada sono state trovate anche delle buste di plastica azzurre dentro cui c’erano dei vestitini da bambino”. L’ipotesi dei vigili era dunque che le scarpe fossero saltate fuori dalla busta quando la donna è stata travolta e, per questo, si trovavano a qualche metro di distanza dagli abiti della piccola vittima.   L’inchiesta coordinata dal pm Marcello Musso punta anche a far luce su eventuali negligenze dei vigili che non hanno visto subito il corpicino, trovato dietro un guard – rail. Dai primi esiti dell’autopsia, non ancora ufficiali, emergerrebbe che il bambino forse poteva essere salvato se i soccorsi fossero stati tempestivi. (manuela d’alessandro e roger ferrari)

  • Quaranta operai a caccia di una talpa

    Si è aperto questa mattina davanti alla quarta sezione penale del tribunale di Milano, presieduta da Oscar Magi, il processo per la singolare e misteriosa vicenda del dossieraggio a carico dei lavoratori dell’ex Alfa Romeo di Arese. Sul banco degli imputati Angela Di Marzo, titolare di alcune società di sicurezza aziendale, accusata di istigazione alla rivelazione di segreti d’ufficio. Manca, perchè nonostante le lunghe indagini della Digos non è mai stato identificato, il complice della Di Marzo: ovvero colui che – probabilmente dall’interno dei carabinieri o della prefettura milanese – passò alla donna un appunto riservato del nucleo Informativo dell’Arma. Era un appunto sulla figura di Corrado Delle Donne, leader storico dei cassintegrati Alfa Romeo e oggi alla testa delle lotte per il reintegro degli ultimi dipendenti della azienda di Arese. Della Di Marzo le cronache si sono dovute occupare in un recente passato anche per un altro episodio di natura analoga, il ritrovamento di una falsa microspia nell’ufficio del city manager di Milano Giuseppe Sala, per il quale è stata processata e assolta. (altro…)

  • il 16/12 fissata cassazione abu omar, ora pollari rischia il carcere

    La Cassazione ha rotto gli indugi e fissato il processo che dovrà decidere se confermare o respingere la condanna inflitta nell’ appello – bis a Niccolò Pollari e Marco Mancini per il sequestro dell’ex imam di Milano Abu Omar. A quanto apprende ‘Giustiziami’, la Suprema Corte si riunirà il 16 dicembre prossimo per valutare la vicenda e la possibilità che gli ex vertici del Sismi finiscano in carcere adesso si fa concreta. (altro…)

  • La perizia che farà condannare Kabobo

    Un uomo all’alba uccide a picconate tre passanti perché ha sentito delle “voci”. A chi lo interroga in carcere mesi dopo racconta di considerare “pazzo” suo fratello che tentò di massacrare con un machete la madre. Quell’uomo col piccone è matto? E, se lo é, va processato o deve essere spedito senza pensarci in un ospedale psichiatrico?

    La perizia che ha dichiarato oggi ‘capace di intendere e di volere’ Adam Kabobo, il ragazzo di origini ghanesi che l’11 maggio scorso terrorizzò Milano, interpella il concetto di libertà dell’essere umano. Per gli autori della consulenza disposta dal gip Andrea Ghinetti (consultabile nella sezione ‘Documenti’), Kabobo soffre di schizofrenia ma, quando sferrò a caso il piccone, la sua capacità d’intendere (comprendere il significato delle proprie azioni) “non era completamente assente” e quella di volere (controllare gli impulsi) era “sufficientemente conservata”. (altro…)

  • Il silenzio dei giornaloni sulla procura che non fa indagini

    Repubblica zero righe imitata dalla Stampa. Il Corriere della sera 15 righe in cronaca nascostissime. E’ il silenzio dei giornaloni sulla notizia relativa alla procura generale che ha tolto 7 inchieste per frode fiscale ai mitici pm del quarto piano per una ragione molto semplice. Tecnicamente si chiama “inazione”. In parole povere non indagavano. Un gip ha detto no alle richieste di archiviazione ed è scoppiata la bufera di cui i grandi giornali non intendono parlare.

    Si tratta di una storia vecchia che risale ai tempi di “Mani pulite” quando i grandi editori che erano anche imprenditori d’altro e sotto schiaffo del pool la fecero franca in cambio dell’appoggio mediatico alla falsa rivoluzione impersonata da un magistrato peraltro abituato a vivere a scrocco degli inquisiti del suo ufficio e che in pratica era anche peggio dei politici finiti in carcere. Insomma una sorta di corruzione organica tra editori e magistrati. E così pure a distanza di vent’anni le disavventure della procura non meritano articoli.

    Tra gli indagati delle 7 inchieste per evasione fiscale non c’è il cavalier Berlusconi. Ovvio. In quel caso l’indagine sarebbe stata veloce. Come non c’era Berlusconi di recente neppure in un’altra inchiesta il cui fascicolo, Sea per turbativa d’asta, venne dimenticato-perso (non si è mai capito) e poi ritrovato solo quando apparve sui giornali la notizia che da Firenze a Milano erano state trasmesse intercettazioni con il sospetto che fosse stata pilotata la gara vinta da Gamberale. Succede che i magistrati a volte si impegnano per dare ragione al Cav ma i giornaloni non lo scrivono (frank cimini)

  • Abu Omar, Pollari verso prescrizione, da Cassazione gioco delle 3 carte

    L’ex direttore del Sismi Nicolò Pollari condannato in appello a 10 anni di carcere per il sequestro dell’imam Abu Omar ormai non corre alcun rischio di finire in carcere. La Corte Costituzionale infatti ha fissato all’11 febbraio l’udienza in cui deve decidere sul conflitto di attribuzione tra poteri dello stato sollevato dal governo Monti e poi anche dal governo Letta in merito alla sussistenza del segreto di stato. La Cassazione aspetta la decisione della Consulta e non solo non ha fissato date ma nemmeno congelato il decorso della prescrizione che scatterà inevitabilmente il 17 febbraio dell’anno prossimo. Insomma la Suprema Corte ha fatto il gioco delle 3 carte per salvare Pollari e gli altri appartenenti ai servizi segreti che in pratica non corrono più alcun rischio di scontare la pena. A contribuire ad allungare i tempi c’è stato anche il secondoconflitto di attribuzione sollevato da Palazzo Chigi, gestione Letta, nei confronti dei giudici milanesi, la cui ammissibilita’ sara’ vagliata dalla Consulta il 9 ottobre prossimo. Se anche questo secondo conflitto sara’ dichiarato ammissibile (decisione scontata) verra’ poi trattato nel merito assieme al primo nella medesima udienza dell’11 febbraio. La Cassazione ha dimostrato che ha fretta solo quando vuole. Giustamente fissò a luglio scorso davanti alla sezione feriale l’udienza Mediaset con tra gli imputati Silvio Berlusconi. Berlusconi evidentemente non ha possibilità e capacità di ricattare nessun potente. Pollari, al contrario sì. E lo si era capito da tempo, se si considera che sono stati governi di diverso (si fa per dire) colore (Prodi, Berlusconi….) a sollevare conflitti in relazione al segreto di stato sui rapporti tra Cia e Sismi, estesi anche al fatto reato: un terrorista molto presunto rapito trasferito in Egitto, torturato, sodomizzato, parte civile nel processo in cui non ha avuto possibilità di essere presente perchè le autorità del suo paese, a iniziare da Mubarak, lo “zio” di Ruby, fino ai suoi successori, non hanno mai risposto ad alcuna rogatoria dei magistrati di Milano. Insomma quello dell’imam della moschea di via Quaranta fu un sequestro di Stato, o meglio di Stati, con tutte le autorità preposte impegnate a violare quella legalità con cui si sciacquano la bocca tutti i giorni pur di coprire un crimine gravissimo. Gli unici condannati sono gli agenti della Cia, alcuni addirittura dall’identità probabilmente indefinita e che mai saranno estradati e il militare Joseph Romano salvato a sua volta dalla grazia concessa dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E’ una vicenda vergognosa che dimostra ancora una volta che la giustizia non è uguale per tutti e questo al di là di come finirà i suoi giorni il cavalier Berlusconi, unico argomento di cui si continua a discutere in un paese dove sono al potere dei pagliacci.

    (frank cimini)