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  • L’inerzia di Palazzo Chigi che non chiede a Mills di saldare il conto di 250mila euro

    Sono passati sei anni dal giorno in cui la Cassazione dichiarando la prescrizione della corruzione in atti giudiziari contestata a David Mills lo condannava a risarcire la presidenza del consiglio dei ministri con 250 mila euro e a versare 25 mila euro di spese processuali affermando la penale responsabilità dell’avvocato inglese per essersi fatto corrompere come testimone “con almeno 600 mila dollari da Silvio Berlusconi”. Correva il febbraio del 2010. Ecco, Mills non ha sborsato un centesimo, attestato sulla sua determinazione a non riconoscere le statuizioni civili.

    Lo stato italiano non è stato capace a tutt’oggi di riscuotere. Al momento della decisione della Cassazione a palazzo Chigi sedeva Silvio Berlusconi il quale beneficerà pure lui successivamente della prescrizione ma senza conseguenze a livello di giustizia civile perché i tempi scaduti erano stati dichiarati con la sentenza di primo grado mentre Mills era reduce dalla condanna a 4 anni e 6 mesi confermata dalla corte d’appello. E la situazione con Berlusconi premier era addirittura comica. Ma dopo il fondatore della Fininvest ne passava di acqua sotto i ponti e a palazzo Chigi arrivavano uno dopo l’altro Mario Monti sobrio nel suo loden verde, l’intellettuale poliglotta Enrico Letta e infine Matteo Renzi che tuttora ci delizia. Nessuno dei tre è riuscito a battere chiodo.

    Mills dall’estate scorsa ha pure aperto un ristorante nella campagna londinese, ma l’Italia non ha disturbato concretamente l’avvocato che aveva creato un sistema di società off-shore utilizzato da Fininvest e che poi accettava, secondo la giustizia nostrana, “il regalo” per testimoniare il falso in due processi a carico di Berlusconi.

    La pratica è tuttora formalmente aperta e l’unica attività di cui si ha notizia è quella dell’avvocatura dello stato parte civile nella vicenda giudiziaria per interrompere un’altra prescrizione, quella relativa al risarcimento.

    Mills è una sorta di abbonato alla prescrizione perché ne aveva beneficiato anche per la presunta testimonianza nel caso Sme e per il presunto riciclaggio nella vicenda Mediaset prima che si arrivasse a sentenza. Insomma gli è andata bene, ma la presidenza del consiglio dei ministri almeno una mano gliel’ha data se non tutt’e due. Il suo bilancio sarebbe positivo anche nel caso dovesse risarcire. Ne intascò “almeno 600 mila” (dollari) contro i 250 mila euro più 25 mila che dovrebbe versare nelle casse dello stato italiano. Pare che l’uomo sia un po’ tirchio. Ma è pure fortunato perché la sua avidità  viene assecondata.  (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • Moratorie, Expo è la Fiat del terzo millennio

    Expo è la Fiat del terzo millennio. La moratoria sulle indagini relative all’esposizione non è certo una novità. Tutto vecchio. Accadde già nel corso della finta rivoluzione di Mani pulite con la Fiat. Correva l’anno 1993. Una riunione nell’ufficio dell’allora capo della procura Borrelli con gli avvocati della multinazionale, in testa Giandomenico Pisapia, il padre del sindaco di Milano, e zac. Via tutto. Nonostante Cesarone Romiti avesse presentato un elenco di tangenti pagate molto lacunoso (eufemismo). C’era un pericolo di inquinamento probatorio enorme. Non solo Romiti non finì a San Vittore (sempre bene quando non si usano le manette ma deve valere sempre e per tutti). Finirono le indagini, gli accertamenti, le perquisizioni, gli interrogatori, le iscrizioni nel registro degli indagati.

    E la Fiat non fu l’unico colosso a essere miracolato. Il discorso fu lo stesso per la Cir di Carlo De Benedetti, per Mediobanca che fece un solo boccone di Montedison. Memorabili le parole dell’avvocato Giuliano Spazzali durante il teleprocesso a Sergio Cusani: “Se il dottor Di Pietro decidesse di andarsi a fare un giro dalle parte di via Filodrammatici io lo accompegnerei volentieri”. Tonino da Montenero di Bisaccia se ne guardò bene. Last but not least, la deposizione dell’allora ad dell’Eni, Franco Bernabè. “L’abbiamo finita con la pratica delle società off-shore?” fu la domanda del pm che sognava Mani pulite nel mondo. “La stiamo finendo” fu la risposta che confessava un reato in flagranza. Ma accadde nulla. (altro…)

  • Sala archiviato, fu un abuso d’ufficio a fin di bene

     

    L’affidamento a Eataly di Oscar Farinetti di una parte del servizio ristorazione di Expo in via diretta senza gare pubbliche rientra nella discrezionalità amministrativa anche per la necessità di rispettare i tempi. Per questi motivi è stata archiviata dal gip l’accusa di abuso d’ufficio a carico di Peppino Sala, il commissario dell’esposizione finita il 31 ottobre dopo sei mesi. Non s’era saputo nemmeno di Sala indagato. Dunque tutto in gran segreto fino alla pubblicazione della notizia questa mattina sul Corriere della Sera.

    Il giudice Caludio Castelli, accogliendo la richiesta conforme della procura, spiega anche che le motivazioni fornite da Sala possono non sembrare convincenti, ma manca l’elemento psicologico del reato, cioè l’intenzione di aver agito per procurare un vantaggio ingiusto a Farinetti. Inoltre, Sala avrebbe potuto scegliere Eataly senza gara pubblica perché l’azienda di Farinetti ha tali caratteristiche tecniche da renderla ‘unica’ sul mercato della ristorazione. Siamo proprio sicuri?

    Niente di nuovo sotto il sole. Expo resta al palazzo di giustizia di Milano qualcosa da salvaguardare a tutti i costi. Sarebbe in sostanza un abuso d’ufficio a fin di bene. Sarebbe tangibile l’interesse pubblico ad avere Eataly tra i propri partner. “Non sono emersi motivi sotterranei” che hanno portato a scegliere la società di Farinetti.

    Insomma siamo in linea con la moratoria delle indagini su Expo. Prima della decisione di sospendere gli accertamenti delle responsabilità il non indire gare pubbliche aveva portato a incriminazioni e arresti. Poi cambiava tutto, “show must go on”. Expo non poteva saltare e non è saltato. Tra le ragioni di un successo (sbandierato ma non ancora dimostrato dalla pubblicazione dei conti in verità) il premier Matteo Renzi inseriva la “sensibilità istituzionale della procura di Milano” già ad agosto e poi a novembre 2015.

    La legge non è uguale per tutti, l’esercizio obbligatorio dell’azione penale è ipocrisia allo stato puro, un simulacro, quello che serve per coprire le peggiori nefandezze. Del resto persino i fondi Expo per la giustizia sono stati affidati senza gare pubbliche dai vertici del Tribunale. Dunque “graziando” Peppino Sala la magistratura salva pure se stessa. Inutile chiedersi chi controlla i controllori. A breve Sala farà il sindaco e come procuratore al posto di Bruti Liberati quasi tutti danno in pole position Francesco Greco che fu parte in causa dalla parte del capo ora in pensione nella guerra interna all’ufficio. L’incarico resta nel cerchio magico di Md. E’ autorevole esponente di Md pure il gip Castelli che era stato candidato alla presidenza del Tribunale, ma la corrente rinunciava a battagliare per essere certa di tenersi stretta la procura, ovviamente molto più importante. Magistrati indipendenti e autonomi. Da chi? (frank cimini)

  • Maroni vuole illuminare la regione per il family day, ha invitato anche la Paturzo?

     

    Leggiamo su repubblica.it che “su idea del governatore Roberto Maroni la Regione pensa di inviare il gonfalone con la rosa camuna al Family Day organizzato sabato 30 a Roma e di illuminare lo stesso giorno il Pirellone con la scritta Family Day”.

    Il Pirellone quel giorno arrossirà imbarazzato fino alla cima dei suoi 127 metri se il concetto di famiglia ‘tradizionale’ caro al leghista è quello che emerge dalla lettura delle carte del processo in cui è imputato per turbata libertà del contraente e induzione indebita.  Sposato con Emilia Macchi che l’ha accompagnato all’ultima apertura della stagione scaligera, Maroni avrebbe fatto pressioni sui vertici di Expo per far ottenere un soggiorno di lusso in Giappone alla collaboratrice Maria Grazia Paturzo alla quale “era legato da una relazione affettiva”. A confermare la liason, secondo il pm Eugenio Fusco, intercettazioni e sms dai quali si evincerebbe anche la gelosia della portavoce Isabella Votino indignata con Maroni per averle messo tra i piedi Paturzo: “Farmela trovare a lavorare qui non mi sembra corretto, potevi trovarle un’altra sistemazione”.  Nelle motivazioni alla sentenza di condanna a 4 mesi per il direttore generale di Expo Christian Malangone, sempre  nell’ambito della stessa indagine, il giudice scrive che Maroni avrebbe “strumentalizzato la sua qualità di presidente della regione Lombardia per ottenere uno scopo del tutto personale” quale “la compagnia della Paturzo nel viaggio all’estero a spese del privato”, una “partecipazione legata esclusivamente al piacere personale del presidente”. Questo concetto di famiglia ‘tradizionale’ sembra avvicinarsi molto a quello sbandierato da alcuni partecipanti al Family Day del 2007, come Silvio Berlusconi e Pierferdinando Casini, di cui sono noti divorzi e irrequietudini.   (Manuela D’Alessandro)

     

  • Il Csm bacchetta Bruti ma la verità su Expo resta lontana

    La bacchettata del Csm all’ex procuratore Edmondo Bruti Liberati in pensione dal 16 novembre oltre che tardiva appare largamente insufficiente a far capire cosa accadde veramente nello scontro interno all’ufficio con l’aggiunto Alfredo Robledo. Il rimprovero del cosiddetto organo di autogoverno dei magistrati a Bruti infatti riguarda solo l’estromissione di Robledo dagli interrogatori dell’indagato Antonio Rognoni e non la vicenda centrale, quella relativa alla revoca delle deleghe al capo del dipartimento anticorruzione. Non si sa nulla dei tempi relativi a questa decisione della massima importanza in riferimento al procedimento disciplinare a carico di Robledo, perchè quello di Bruti è stato bloccato dal pensionamento.

    Sulla revoca delle deleghe il Csm non ha ancora chiesto al consiglio giudiziario milanese di formalizzare il parere che comunque l’organo locale aveva già messo nero su bianco due anni fa. “Il provvedimento formalmente qualificato come revoca delle deleghe – scriveva il consiglio giudiziario – si sostanzia in un trasferimento d’ufficio non consentito dall’attuale sistema ordinamentale”. (altro…)

  • La spropositata morbosità dei media sulla ‘coppia dell’acido’

    La sala stampa è piena di telecamere per la sentenza, la seconda, sulla coppia dell’acido. La vicenda continua a suscitare un’attenzione assolutamente spropositata da parte dei mezzi di informazione. Va bene che d’altro c’è proprio poco per tante ragioni: su Expo la procura non ha approfondito (eufemismo) scegliendo la moratoria delle indagini per salvare la patria e un po’ anche i vertici del Tribunale in relazione ai fondi dell’esposizione per la giustizia; da quando lui, l’imputato per antonomasia, non sta più a palazzo Chigi la cronaca giudiziaria ha perso moltissimo perchè un “cliente” così non lo avrà mai in futuro.

    Ma a tutto c’è o meglio dovrebbe esserci un limite. Che, purtroppo, non c’è. Il lettore e il telespettatore sarà anche morboso, ma i media a questà realtà danno un contributo terrificante. E anche le toghe fanno la loro parte. Un pm che va a far visita al neonato portando un regalo per poi esternare davanti alle telecamere: “Ho visto il bambino, è bellissimo”. Un Tribunale dei minori che da agosto è riuscito a non decidere la sorte del piccolo che intanto viene allattato sia pure indirettamente dalla mamma e riceve le visite di entrambi i genitori, quelli che “per purificarsi” prima dell’evento hanno distribuito acido e tentativi di evirazioni agli ex di lei. Ovviamente i giornali hanno pure pubblicato il nome del bimbo che soprattutto nel caso, a questo punto molto probabile, dell’affidamento ai nonni resterà “marchiato” a vita.

    Del resto siamo nel paese in cui una procura ha inserito tra gli atti del processo  le pagelle dei figli minorenni dell’imputato e vuole in aula a testimoniare gli amanti della moglie. E la cosiddetta pubblica opinione purtroppo quei testi ha molta voglia di sentire. Una curiosità terrificante attivata da chi dovrebbe fare giustizia (condizionale d’obbligo) e da chi dovrebbe informare.

    Vogliamo chiudere con l’augurio che il giorno in cui il figlio della coppia che ha colpito a suon di spruzzi di acido sarà in grado di intendere e di volere possa vivere in un mondo leggermente migliore di questo. Ma è un augurio che nasce dalla disperazione che ci attanaglia nel constatare la realtà dei tristi giorni che siamo costretti a vivere (frank cimini)

  • I giudici milanesi che hanno firmato l’appello per la stepchild adoption

    Tra i ‘milanesi’ ci sono il presidente di sezione Elena Riva Crugnola, i giudici Olindo Canali, Maria Luisa Padova, Caterina Interlandi, Francesca Fiecconi  e Alessandra Dal Moro, la preside della facoltà di Giurisprudenza della Statale, Nerina Boschiero, l’ex procuratore Edmondo Bruti Liberati, il giudice in pensione Nicoletta Gandus, diversi professori universitari e avvocati. Assieme ad altri trecento giuristi hanno firmato un appello per includere la stepchild adoption nella legge sulle unioni civili che verrà dicussa a fine mese in Senato, uno dei temi più dibattuti anche nella maggioranza tra chi è favorevole o contrario all’adozione del figlio, naturale o adottivo, del partner. (altro…)

  • Contabile dei Mangano a giudice: “Fammi vedere il mio cammello’”, ma lui dice no

    “Signor giudice, mi faccia uscire all’alba per vedere il mio cammello. Senza di me, non mangia”. Se c’è una classifica delle istanze buffe a un magistrato, questa merita un posto d’onore. Rocco Cristodaro, ritenuto dalla Procura di Milano il contabile di Cinzia Mangano, figlia dell’ex stalliere di Arcore Vittorio, lo ha chiesto al giudice Fabio Roia che ne ha disposto la sorveglianza speciale con obbligo di dimora a Palazzo Pignano, un piccolo comune del cremasco. Tra le imposizioni, anche quella di non uscire di casa prima delle 7 e dopo le 21, un diktat apparso insostenibile a Cristodaro il quale, attraverso il suo legale, ha fatto pervenire un’accorata istanza a Roia, pregandolo di farlo uscire di casa alle 5 e mezza per andare a sfamare l’adorato amico con la gobba. Il cammello vive a pochi metri da casa Cristodaro, nella ‘fazenda’ di famiglia che ospita varie bestie e anche matrimoni. Secco il no del giudice: il cammello può mangiare benissimo più tardi o comunque a quell’ora non c’è bisogno che lo imbocchi il suo padrone. A Rocco Cristodano e a suo fratello Domenico sono stati confiscati dalla sezione prevenzione del Tribunale beni per più di sei milioni di euro, tra cui  gli immobili dell’attività agricola, per un’intensa attività criminale portata avanti dagli anni ’90, compresa la creazione di un sistema di cooperative per sfuggire agli obblighi fiscali. (manuela d’alessandro)

  • Le centinaia di fascicoli abbandonati al settimo piano del Tribunale

    I colori della legge: rosa, verde, azzurro, giallo. Non si può dire che questa fotografia scattata al settimo piano del Tribunale di Milano rimandi l’immagine di una giustizia grigia.  E neppure di una giustizia chiusa in se stessa; chiunque può passare, sfogliare, portare via. Pezzi di antiquariato giudiziario o fascicoli freschi. Se avete la passione degli archivi passate di qua, nel fine settimana, a  farvi un bagno di colore. (manuela d’alessandro)

  • No Expo, Grecia nega estradizione degli antagonisti arrestati

    La magistratura greca ha detto no all’estradizione di 2 dei 5 anarchici destinatari di un ordine di cusodia cautelare in carcere con le accuse di devastazione, saccheggio, incendio, travisamento e per uno di loro anche uso di armi improprie, in relazione alla manifestazione del primo maggio scorso a Milano. Non si conoscono ancora le motivazioni ufficiali del provvedimento emesso pochi minuti fa. L’orientamento per gli altri 3 arrestati sembra essere lo stesso. Gli anarchici erano già in libertà provvisoria con il solo obbligo di firma in attesa della decisione arrivata oggi dopo che nell’udienza di ieri erano stati sentiti per circa 8 ore numerosi testimoni.

    L’estradizione era stata chiesta dai giudici di Milano sulla base del Mae (Mandato di arresto europeo).   Nell’indagine del capoluogo lombardo erano state arrestate altre 5 persone, sulla base dei filmati sugli incidenti visionati dalla Digos (frank cimini)

  • Cassazione, censura al giudice milanese che ha irriso l’avvocato

     

    Avviso ai giudici: prendere in giro un avvocato non si può, anche se ha torto. A fare sfoggio di eccessiva ironia era stato il magistrato milanese Benedetto Simi De Burgis incappato qualche tempo fa in una sanzione disciplinare del Csm per avere tenuto un “tono irridente e allusivo” nei confronti di una curatrice nell’ambito di una procedura di sostegno. La suprema corte ha depositato ora una sentenza con la quale conferma la censura inflitta dal Csm, che è una “dichiarazione formale di biasimo” a carico di Simi De Burgis per avere violato il “i doveri di correttezza, imparzialità ed equilibrio, ponendo in essere abitualmente provvedimenti lesivi della sua immagine, gravemente scorretti nei confronti di parti, difensori, personale amministrativo, colleghi e ausiliari” (legge 109 del 2006 sugli illeciti disciplinari dei magistrati).

    Il magistrato si era preso gioco per iscritto di una curatrice ironizzando sulla sua esosa richiesta di liquidazione rispetto all’entità del patrimonio da lei amministrato e su altre strategie procedurali del legale.  Con la sentenza, gli ermellini smontano le tesi difensive del magistrato anche in relazione ad altre incolpazioni, tra cui cui avere fornito a una delle parti di un procedimento di interdizione suggerimenti in virtù di “un rapporto di conoscenza personale” e avere revocato a una professionista la nomina di curatrice di un minore a seguito dell’accusa, poi rivelatasi “infondata, di avere trattenuto illecitamente somme di proprietà dell’assistito”.  De Burgis nel ricorso ha scritto  che l’avvocatessa redarguita “aveva specifici motivi di astio nei suoi confronti” ma per le sezioni unite i sei capi di incolpazione costituiscono nell’insieme”comportamenti abitualmente e gravemente scorretti”. E, in ogni caso, anche se il legale aveva torto, come rivendicato da De Burgis, per la suprema corte poco conta: non doveva permettersi di sbeffeggiarla.  (manuela d’alessandro)

    Sentenza Cassazione su Simi De Burgis

  • Mattarella, la grazia alla Cia e la tortura che non è reato

    Perché in Italia non viene varata una legge per sanzionare la tortura come reato tipico del pubblico ufficiale? La risposta arriva dal presidente della Repubblica che ha deciso la grazia per un agente della Cia e per l’ex segretaria dell’ambasciata Usa condannati in relazione al caso di Abu Omar, l’imam sequestrato nel 2003 dagli 007 americani, trasferito attraverso la base di Aviano e la Germania in Egitto dove fu torturato e sodomizzato.

    La decisione non avrà effetti pratici perché i due graziati non sono detenuti ma ha un alto valore simbolico: nel nostro paese la tortura mai sarà reato. Mattarella in pratica dà ragione a chi ostacola il varo della norma perché “metterebbe in difficoltà le forze dell’ordine”. Del resto già il predecessore Napolitano aveva graziato il responsabile sicurezza della base di Aviano mentre gli uomini del Sismi, a iniziare da Nicolò Pollari, erano stati “graziati” dal segreto di Stato.

    Mattarella basa la sua decisione sul fatto che Obama ha rinunciato alle extraordinary renditions. Cioè della serie “non lo facciamo più”. Intanto lo stesso Obama non ha chiuso come aveva promesso il carcere di Guantanamo, l’esatto contrario di uno stato di diritto.

    Siamo ben oltre anche l’asservimento agli Usa, all’essere colonia. E’ la tortura legalizzata per sempre. La scelta di Mattarella copre quella che fu una operazione da terrorismo di stato, anzi di più stati, con la scusa della “lotta al terrorismo”, con tanti carissimi saluti all’ex culla del diritto. Qui è Italia, notte fonda. Per decisioni prese al Quirinale, prima da Napolitano che nel suo curriculum ha il sì ai carri armati a Budapest 1956, poi da Mattarella che è lì, anche se non si vede. Ogni tanto lo scongelano (frank cimini)

  • Virus negli smartphone e lettere dalla Questura, lo strano arresto del killer del magistrato

     

    Trent’anni fa i servizi segreti consegnarono a un pentito un registratore per raccogliere la confessione di Domenico Belfiore sull’omicidio del magistrato torinese Bruno Caccia. Finì che anni dopo Belfiore venne condannato in Cassazione come mandante del delitto ma quelle registrazioni furono considerate inutilizzabili dalla Cassazione.

    Ora, la Procura di Milano prova a stanare dalle polveri della storia uno dei presunti killer  del procuratore torinese con altri strumenti d’indagine non convenzionali: lettera anonime inviate dalla Questura e virus inoculati nei telefonini. 

    Prima, dalla Questura di Torino sono partite delle missive destinate a una ristretta ‘rosa’ di 3 prescelti che riproducevano un articolo della ‘Stampa’ del giorno dell’agguato e con la scritta sul retro: ‘Omicidio Caccia: se parlo andate tutti alle Vallette. Esecutori: Domenico Belfiore – Rocco Barca Schirippa. Mandanti Placido Barresi, Giuseppe Belfiore, Sasà Belfiore”. L’obbiettivo era innescare, come poi in effetti è avvenuto, una discussione tra le persone citate nella lettera, tutte vicine al sospettato numero uno, Rocco Schirripa, arrestato oggi perché ritenuto l’uomo che freddò il magistrato torinese nel 1983 su mandato di Domenico Belfiore. “E’ stata la prima volta che ho usato questo stratagemma”, ha ammesso Ilda Boccassini in conferenza stampa.

    Poi, per ascoltare quello che si dicevano, gli hanno inoculato negli smartphone dei virus informatici in grado di attivare il microfono e la videocamera dei telefonini. Una tecnica d’indagine molto invasiva, marchio di fabbrica di Hacking Team, che la Corte di Cassazione (sentenza 27100/2015) ha giudicato utilizzabilie solo se “l’intercettazione avviene in luoghi ben circoscritti e e individuati ab origine e non in qualunque luogo si trovi il soggetto“. Gli intercettati parlavano di quelle che definivano “cose delicatissime” solo sul balcone di casa Belfiore, pensando così di evitare le intercettazioni ambientali tradizionali atrraverso microspie negli ambienti domestici. Invece, ogni loro sospiro veniva carpito dai teleonini, tranne quando li spegnevano. “Solo in casa di Domenico Belfiore – evidenzia il gip nell’ordinanza – è stato attivato dalla polizia giudiziaria il microfono degli smartphone intercettati”. (manuela d’alessandro)

  • Il giudice fa una lezione di storia a De Benedetti per spiegare l’assoluzione di Tronchetti

    Sì, potevano essere “potenzialmente” delle gravi offese da ‘lavare’ in un’aula di Tribunale. Ma per il giudice Monica Amicone le frasi ‘esplose’ da Marco Tronchetti Provera contro Carlo De Benedetti erano solo critiche legittime espresse nell’ambito di una “polemica aspra” tra due veterani del capitalismo.

    Nelle 32 pagine di motivazione alla sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti del presidente d Pirelli, il giudice sostiene che “per ciascuna dichiarazione sussiste l’interesse sociale”, cioé quella che definisce  “l’attitudine della notizia a contribuire alla formazione alla formazione della pubblica opinione”.

    Le motivazioni, con l’analisi delle dichiarazioni (in neretto) rese all’Ansa da Tronchetti nel 2013, offrono al magistrato l’imperdibile possibilità di farsi un viaggio nella storia economico – finanziaria dell’ultimo mezzo secolo.

    “L’ingegner De Benedetti fu coinvolto nella bancarotta del Banco Ambrosiano”

    Coinvolto e condannato, spiega il giudice, non sono la stessa cosa. “Il fatto che De Benedetti sia stato coinvolto nel crack risulta dall’avere egli rivestito la qualità di imputato nel procedimento di bancarotta derivato dalla dichiarazione di fallimento del Banco Ambrosiano, indipendentemente dal ruolo, maggiore o minore, che ha avuto nell’ambito del crack finanziario al quale l’espressione usata dall’imputato, di per sè neutra, non si riferisce affatto”.  L’imprenditore aveva invece definito “subdola” questa frase perché per il dissesto del Banco Ambrosiano era stato assolto in Cassazione.

    “L’ingegner De Benedetti è stato molto discusso per certi bilanci di Olivetti” 

    Qui il giudice ci va pesante. “Ce n’è abbastanza per definire ‘discussi’ i bilanci di Olivetti senza incorrere in una falsa affermazione”. De Benedetti aveva definito invece la frase “senza senso e ingiuriosa perché tutti i bilanci erano stati approvati dalle relative assemblee”. Amicone sottolinea però che le “discussioni” di cui parla Tronchetti riguardano “l’esterno della società, l’opinione pubblica e il mercato” e, in particolare, i “diversi procedimenti penali” su quei bilanci, uno dei quali concluso con la condanna di De Benedetti”, che in aula smarrì la memoria su questa sentenza.

    “De Benedetti fu allontanato dalla Fiat”

    Il fondatore del gruppo ‘L’Espresso’ non se la deve prendere perché “allontanato non significa cacciato ed è un termine neutro”.  L’”istruttoria dibattimentale ha comunque dimostrato che De Benedetti “si allontanò per decisione unilaterale” in seguito a diverse vedute sulla gestione della società con l’avvocato Gianni Agnelli.

    “Io e De Benedetti non parliamo la stessa lingua, come è normale possa succedere tra un cittadino italiano e uno svizzero”

    Per il giudice siamo di fronte a “una canzonatura priva  di reale efficacia lesiva della reputazione del querelante che ne ha enfatizzato la portata aggressiva collegandosi all’allusione di un regime fiscale più favorevole”. (manuela d’alessandro)

    Il testo completo delle motivazioni De Benedetti – Tronchetti

     

     

     

     

  • NoTav, non fu terrorismo. Teorema Caselli ko anche in appello

    Finisce al tappeto anche in appello il teorema Caselli che aveva addebitato a 4 militanti NoTav di aver agito con finalità di terrorismo nell’azione contro il cantiere di Chiomonte la notte tra il 13 e il 14 maggio del 2013. La corte d’assise d’appello ha confermato la sentenza che in primo grado aveva assolto gli imputati dall’accusa più grave, condannandoli per i reati fine, tra cui il lancio di molotov contro mezzi militari, a 3 anni e 6 mesi di reclusione.

    Già la Cassazione in due occasioni aveva escluso la finalità di terrorismo, adesso è arrivato pure il verdetto d’appello. Il procuratore generale di Torino Marcello Maddalena stamattina aveva replicato alle arringhe dei difensori sollecitando i giudici a condannare gli imputati a 9 anni e mezzo. “Spetta a voi l’ultimo giudizio di merito” erano le parole del pg alle quali rispondeva l’avvocato Giuseppe Pelazza: “E’ come se avesse detto dopo di voi il diluvio, ma non c’è il diluvio, c’è il sole”.

    Maddalena sempre al fine di convincere la corte d’assise d’appello, soprattutto i giudici popolari, citava la storia dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, morto dilaniato da un ordigno che stava collocnado su un traliccio di Segrate il 15 marzo del 1972. “Il Pg sembra avere un legame quasi coatto con gli anni ’70” controreplicava sul punto Pelazza.

    Insomma l’accusa non è riuscita a sfondare dopo aver giocato tutte le carte possibili e immaginabili. Ha ottenuto, va ricordato, che la finalità di terrorismo è servita a far trascorrere a questi e altri imputati  più di un anno di detenzione in regime di alta sorveglianza, una sorta di 41bis di fatto, l’articolo del regolamento carcerario erede dell’articolo 90 dei cosiddetti “anni di piombo”.

    La posta in gioco andava al di là del singolo processo. Caselli, ex pg dopo essere stato già una volta a capo della procura con scambio di ruoli con Maddalena in una sorta di facciamo quello che ci pare senza che il Csm dicesse nulla, intendeva bollare come “terrorismo” qualsiasi azione di resistenza non passiva. Anche a costo di trattare il danneggiamento di un compressore bruciacchiato come il rapimento Moro. Caselli, ora in pensiome, non c e l’ha fatta, nonostante l’aiuto del pg tra pochi giorni pure lui in quiescenza arrivato personalmente in aula a perorare la causa dell’emergenza infinita diventata prassi normale di governo.

    Insieme a Maddalena escono sonoramente sconfitti i Caselli boys, i pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, coordinatori dell’inchiesta e rappresentanti dell’accusa in corte d’assise. Il primo, destrorso vicino ai Fratelli d’Italia, il secondo ex militante della federazione giovanile comunista, insieme appassionatamente in una sorta di arco costituzionale della repressione.

    Sicuramente l’accusa ricorrerà ancora in Cassazione. Lor signori non demordono. E invece tanto furore investigativo potrebbero dedicarlo agli appalti dell’alta velocità che sembrano gli unici onesti e trasparenti in un’Italia ad alto tasso di corruzione. Purtroppo il Tav, come del resto Expo, fa parte del “sistema paese”. E allora non si indaga, con calorosi saluti all’obbligatorietà dell’azione penale e all’indipendenza della magistratura, principi da strombazzare nei convegni e nei comunicati stampa. Insomma, il vero terribile problema era il compressore (frank cimini)

  • Google batte indagato nella prima sentenza italiana sull’oblio dopo la Corte europea

    Google batte indagato nel primo verdetto sul diritto all’oblio dopo la sentenza con cui nel maggio 2014 la corte di giustizia europea ne aveva ampliato i confini stabilendo che i cittadini possono pretendere la cancellazione delle informazioni “che offrono una rappresentazione non più attuale della propria persona con pregiudizio della reputazione e riservatezza”.

    Un avvocato svizzero chiede al Tribunale civile di Roma che il motore di ricerca ‘deindicizzi‘ 14 link nei quali si parla del suo coinvolgimento in un’indagine su ex della banda della Magliana e su alcuni religiosi.

    Nel ricorso, il legale sottolinea che in questa vicenda giudiziaria non è mai stata pronunciata una condanna a suo carico e chiede, oltre alla rimozione dei link, la condanna di Google a una somma non inferiore ai 1000 euro. Il diritto alla privacy, avevano sancito i giudici europei, va comunque bilanciato caso per caso col diritto di cronaca e l’interesse pubblico a conoscere i fatti.

    Il giudice romano Damiana Colla respinge la richiesta di cancellazione perché l’indagine è ancora in corso, mancando la produzione di documenti che ne attestino la chiusura, come sentenze o archiviazioni (“il trascorrere del tempo ai fini della configurazione del diritto all’oblio si configura quale elemento costitutivo”) e presenta “un sicuro interesse pubblico”; inoltre, il ricorrente “è avvocato in Svizzera, libero professionista, circostanza che consente di ritenere che questi eserciti un ‘ruolo pubblico’ proprio per effetto della professione svolta e dell’albo professionale cui è iscritto, laddove tale ruolo pubblico non è attribuibile solo al politico ma anche agli alti funzionari pubblici e agli uomini d’affari, oltre che agli iscritti agli albi”.

    Ma c’è di più. Il ricorrente non può neppure lamentarsi della falsità delle notizie riportate cercando il suo nome nel motore di ricerca “non essendo configurabile alcuna responsabilità da parte di Google, il quale opera unicamente come ‘caching provider’ (…) avrebbe dovuto agire a tutela della propria reputazione e riservatezza direttamente nei confronti dei gestori di siti terzi sui quali è avvenuta la pubblicazione del singolo articolo di cronaca, qualora la notizia non sia stata riportata fedelmente, ovvero non sia stata rettificata, integrata o aggiornata coi successivi risvolti dell’indagine, magari favorevoli all’odierno istante (il quale peraltro deduce di non aver riportato condanne e produce certificato negativo del casellario giudiziale”).

    (manuela d’alessandro)

  • Banche, prezzemolino Cantone…demagogia da 4 soldi

    Non si chiama Wolf ma risolve problemi, secondo Matteo Renzi da palazzo Chigi che ormai Raffaele Cantone lo ficca dappertutto. L’ultimo in ordine di tempo compito assegnato all’ex pm anticamorra (minacciato, finì al massimario della Cassazione ma lì si annoiava perchè non c’erano telecamere microfoni e taccuini) è quello di decidere chi dei truffati dalle banche deve essere risarcito. Che cosa c’entri l’attuale responsabile dell’autorità anticorruzione con il caso delle obbligazioni tossiche che le banche avrebbero rifilato ai clienti in cambio dei mutui non è dato sapere.

    La stessa fattibilità dell’incarico è a rischio, tanto che si parla di un decreto ad hoc. Siamo è vero da decenni nella repubblica penale per cui si ricorre in continuazione a magistrati ed ex magistrati, siamo nel paese in cui più di vent’anni fa il capo dei signori del quarto piano esternò in caso di bisogno la disponilbilità a governare il paese se fosse stato chiamato dal Quirinale “per una missione di complemento” insieme ai cuoi colleghi.

    Allora eravamo all’alba della falsa rivoluzione di Mani pulite, ma adesso l’impressione è quella di aver oltrepassato pure il populismo penale per stare ampiamente nella demagogia da quattro soldi approfittando di indifferenza, rassegnazione, ignoranza e stupidità che in giro fanno sempre più proseliti.

    Expo sulla quale Cantone ha “vigilato” è finita. Corruzione debellata? E’ quantomeno azzardato dirlo, se si considera che l’ex magistrato anticamorra è stato complice della moratoria delle indagini sugli appalti decisa dalla procura di Milano in adesione al “sistema paese” per non far saltare l’esposizione. E pure per un altro motivo. A violare il principio e la norma delle gare pubbliche sui fondi Expo destinati alla giustizia erano stati i vertici del palazzo di corso di porta Vittoria. Sull’affaire è sceso un silenzio tombale. Indiscrezioni e boatos riferiscono di accertamenti in corso, di persone che sarebbero state sentite anche di recente. Ma questi approfondimenti spetterebbero alla procura di Brescia perchè l’articolo 11 è molto preciso nei casi in cui siano coinvolti anche solo per mera ipotesi toghe che operano nello stesso distretto giudiziario. Lor signori in toga se ne fregano.

    E Renzi che in due occasioni, agosto e novembre, in relazione al “successo” di Expo ha ringraziato Bruti Liberati “per la sensibilità istituzionale” (cosa se non la moratoria?), ci rifila Cantone come colui chiamato a soddisfare la sete di giustizia dei risparmiatori (o investitori?). Dopo averci regalato Peppino Sala (beneficiato dalla moratoria) come candidato sindaco del centrosinistra, non sappiamo se con trattino o senza trattino, ma senza dubbio anche della procura di Milano (frank cimini)

  • L’Inpgi non si costituisce parte civile contro il suo presidente Camporese

    E l’Inpgi continua a restare a guardare. Oggi si è aperta l’udienza preliminare a carico del suo presidente, Andrea Camporese, accusato di appropriazione indebita e corruzione nell’ambito del crac della holding Sopaf, e l’ente ‘custode’ della pensione dei giornalisti è stata l’unica parte offesa a non chiedere di costituirsi parte civile. Hanno invece fatto istanza per entrare nel procedimento, in vista di eventuali risarcimenti, gli istituti previdenziali dei medici (Enpam) e dei ragionieri. L’Inpgi aveva già deciso di non costituirsi nel filone principale del procedimento, quello a carico di Giorgio Magnoni e del figlio Luca, ex amministratori di Sopaf. Ora ribadisce questa linea che mortifica i suoi iscritti togliendogli, in caso di condanna, la possibilità di far tornare nelle casse dell’ente denaro sottratto in modo illecito.

    Secondo la Procura di Milano, Camporese sarebbe stato corrotto con 200mila euro per favorire la società Adenium, società di risparmio controllata da Sopaf, danneggiando per sette milioni di euro l’ente da lui presieduto attraverso l’acquisto di azioni a un prezzo superiore a quello di mercato.

    Il presidente si è sempre proclamato innocente definendosi “sgomento di fronte ad accuse ingiuste” ma, in attesa che un Tribunale valuti la fondatezza dei reati, Andrea Camporese non può restare alla guida dell’Inpgi per due ragioni. La prima è che chi ha affidato il suo futuro a un ente previdenziale deve avere la certezza, e non solo la presunzione, di un amministratore onesto; la seconda è perché ha ricevuto 25mila euro all’anno per due anni per aver fatto parte del comitato consultivo di Adenium, un incarico di solito non retribuito. Per elementari ragioni di opportunità, chi ricopre una posizione di garanzia non dovrebbe mettersi in situazioni di conflitto d’interesse. (manuela d’alessandro)

  • Stasi condannato, la giustizia non ha ammesso di poter fallire

     

    Due ore. Solo centoventi minuti sono serviti ai giudici della Cassazione per affrontare un dubbio enorme che ieri aveva fatto tremare le gambe persino a un anziano procuratore generale, Oscar Cedrangolo, costretto  ad ammettere: “Io non sono in grado di dirvi se Alberto Stasi è colpevole o no”.

    Ha vinto la paura dei magistrati assieme alla fretta di sbarazzarsi subito di quel dubbio che li avrebbe potuti paralizzare fino ad ammettere l’ impotenza di un sistema quando le indagini, come in questo caso, sono state fatte male e decine di perizie con esiti contraddittori non hanno poi saputo rimediare.  Stasi viene condannato a 16 anni di carcere e non a 30, come sarebbe avvenuto riconoscendo l’aggravante della crudeltà, perché il dubbio ha comunque lasciato il suo seme nella sentenza.

    E’ vero, due dei giudici facevano parte del collegio che ha assolto Amanda Knox e Raffaele Sollecito per l’omicidio di Meredith Kercher, ma lì c’era un colpevole, Rudy Guede, già assicurato alle carceri. Qui si doveva dire: “Ci dispiace, ma otto anni non sono bastati per trovare l’autore del massacro di Chiara Poggi”. Ci si doveva tappare le orecchie di fronte a quello che ieri il pg ha definito “il grido di dolore dei genitori della vittima”, e invece quell’urlo disperato ha fatto irruzione in una sentenza mandando in galera un non colpevole “al di là di ogni ragionevole dubbio”. (manuela d’alessandro)

    L’incredibile requisitoria del pg di Garlasco, “non sono in grado di dirvi se Stasi è colpevole”

    Il ricorso della difesa Stasi in Cassazione

    memoria parti civili

    STASI-memoria parti civili(2)

    La strana Cassazione su Alberto Stasi che per 3 volte diventa Mario

    Le motivazioni della condanna a 16 anni

  • NoTav, da corte no secco a pg su nuove prove per “terrorismo”

    Dalla corte d’assise d’appello di Torino arriva l’ennesimo no all’accusa che aveva chiesto l’acquisizione di altri documenti e testimoni al fine di provare che l’azione contro il cantiere di Chiomonte del maggio 2013 fu eseguita con finalità di terrorismo. Il dibattimento non  sarà in sostanza rinnovato rispetto a quello di primo grado dove i 4 imputati erano stati assolti dalla finalità di terrorismo e condannati solo per i reati fine a 3 anni e 4 mesi. I giudici di appello hanno detto sì all’acquisizione solo degli atti sui quali accusa e difesa concordavano. Tra queste cartea c’è la sentenza della Cassazione a livello di motivazione recentemente depositata dove a proposito del ricorso dei pm contro l’annullamento dell’imputazione più grave si dice che era “ai limiti dell’inammissibilità”.

    Nell’ordinanza la corte definisce “ininfluenti” le carte e i testimoni che la procura generale voleva introdurre. Il pg Marcello Maddalena, che al pari di altri suoi colleghi non andrà in pensione il 31 dicembre a causa della sospensiva decisa dal consiglio di stato, prenderà la parola lunedì per ribadire che gli imputati vanno condannati anche per terrorismo. Maddalena posa il suo ragionamento sul ricorso contro la sentenza di primo grado presentato dai pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino, fedeli al teorema Caselli, smentito già in due occasioni dalla Cassazione, oltre che dalla sentenza della corte d’assise.

    E’ chiaro che la contesa vera va ben al di là del processo relativo alle azioni contro  i cantieri del Tav. Caselli, ora in pensione, intendeva allargare ulteriormente la possibilità di bollare come eversive tutte le manifestazioni di resistenza attiva a livello sociale e politico. La linea dell’ex procuratore fin qui ha ricevuto dai giudici solo bastonate, ma i rappresentanti dell’accusa non intendono demordere.

    Lunedì dunque parlerà il pg, venerdì 18 toccherà alle difese e il 21 dicembre dovrebbe esserci la sentenza (frank cimini)

  • L’incredibile requisitoria del pg di Garlasco: “Non sono in grado di dire se Stasi è colpevole o no”

     

    “Io non sono in grado di decidere e nemmeno voi”. Premio onestà 2015 a Oscar Cedrangolo, il sostituto procuratore generale della Cassazione che, rivolgendosi ai giudici, ha ammesso di non essere in grado di chiedere né l’assoluzione né la condanna per Alberto Stasi. Nella sua requistoria ha scavato negli anfratti di un’indagine  lunga 8 anni, da quando Chiara Poggi venne assassinata a Garlasco. Dopo due assoluzioni, decine di perizie, una condanna arrivata dopo un annullamento da parte della Cassazione, Cedrangolo alza le braccia.  “In questa sede non si giudicano gli imputati ma le sentenze. Io non sono in grado di stabilire se Alberto Stasi è colpevole o innocente. E nemmeno voi, ma insieme possiamo stabilire se la sentenza sia da annullare”. Così, dopo aver comunque evidenziato la “debolezza dell’impianto accusatorio”, il magistrato ha concluso chiedendo di accogliere entrambi i ricorsi: quello dell’accusa che chiede di alzare la pena sancita dall’appello bis a 16 anni di carcere, riconoscendo l’aggravante della crudeltà, e quello della difesa che voleva l’annullamento della condanna.  Il pg ha affermato che a suo avviso “potrebbero esserci i presupposti di un annullamento senza rinvio, che faccia rivivere la sentenza di primo grado” e quindi l’assoluzione di Alberto.
    E poi ha aggiunto che la prima sentenza della Cassazione dell’aprile 2013 volle  “ascoltare il  grido di dolore” dei genitori di Chiara Poggi nel chiedere di
    trovare l’assassino della figlia: “Ho apprezzato lo scrupolo della Cassazione, quando dopo le due assoluzioni ha chiesto un  nuovo giudizio. E vi chiedo di concedergli lo stesso scrupolo”.
    Così ha suggerito che si dispongano “nuove acquisizioni o differenti apprezzamenti”. Insomma, il pg ci ha capito poco di questo enorme pasticcio giudiziario, originato da indagini maldestre, e nel suo incredibile esercizio di onestà ha perfino ammesso che “forse non ci pensate, ma i giudici possono essere condizionati dai media che spettacolarizzano i processi“. E adesso: potrà mai la Cassazione condannare Alberto Stasi beffandosi del basilare principio di civiltà giuridica ‘in dubio pro reo’?  (manuela d’alessandro)

  • Mai più infermi in Tribunale, Milano lancia la ‘tutela via pc’

    Milano lancia, prima in Italia, la ‘tutela’ via pc. Con una piccola telecamera applicata al computer, i magistrati potranno decidere nel loro ufficio se a una persona debba essere affiancato o meno un amministratore di sostegno, senza aver bisogno di convocarla in aula.  Sono più di un centinaio all’anno a Milano le udienze in cui a chiedere la tutela sono i familiari di anziani, disabili fisici e psichici, malati terminali, non più in grado di badare a se stessi e ai loro interessi. La legge prevede che un giudice controlli la fondatezza della richiesta ponendo in aula alcune semplici domande al beneficiario per valutare le sue reali condizioni. “Questo significa portare in Tribunale con un’ambulanza un malato, in sedia a rotelle o su una lettiga, provocando gravi disagi fisici e psicologici  a lui e ai suoi familiari”, spiega Ilaria Mazzei, giudice del settore ‘Tutele’ e tra gli ideatori del nuovo sistema che partirà con l’anno nuovo. “Per evitare queste situazioni disagevoli e accellerare i tempi, abbiamo pensato di collegarci attraverso una telecamera installata sui nostri pc con gli istituti in cui si trova la persona che deve essere sentita. Al suo fianco ci sarà il direttore del centro che lo ospita o un suo delegato in grado di confermare che chi è in collegamento sia il richiedente tutela”. A quel punto, il giudice potrà rendersi conto se si trova di fronte a un soggetto che necessita della presenza di un amministratore di sotegno, quasi sempre un familiare oppure un avvocato. Solo ormai in casi rarissmi  i giudici dichiarano interdetta una persona bisognosa di un ‘angelo custode’ , cercando di evitare una ‘sentenza’ che sbriciola, almeno a livello formale, la dignità di una persona. (manuela d’alessandro)

  • Lo sciopero degli avvocati per un processo meno mediatico e più giusto

     

    La prossima settimana si può scommettere che il Palazzo di giustizia si presenterà ancora più deserto: è ben vero che la neve si ostina a non cadere sulle piste da sci, ma l’accoppiata Sant’Ambrogio-Immacolata a inizio settimana è troppo ghiotta per non allungare in surplace il ponte fino al weekend successivo. Ma già lin questi giorni i corridoi del primo e del terzo  piano, dove si affacciano le aule dei dibattimenti penali, apparivano vuoti come una piazza di De Chirico: merito (o colpa) dell’astensione delle udienze proclamata dall’Unione delle camere penali per una lunga serie di doglianze. L’annuncio dello ‘sciopero’ (tecnicamente espressione inesatta, ma che rende bene l’idea) è stato accolto dalla categoria dei giudici con approcci assai diversi: qualcuno (pochi) ha capito le ragioni degli avvocati, molti se ne sono disinteressati, un giudice per le indagini preliminari ha usato toni caustici (“gli avvocati fanno la settimana bianca“) sollevando legittime proteste della categoria.

    Così, visto lo scarso appoggio degli altri protagonisti della scena giudiziaria, gli avvocati si sono industriati a cercare l’appoggio degli utilizzatori finali del sistema, ovvero i cittadini: gazebo piazzato davanti al tribunale, in corso di Porta Vittoria, e volantinaggio per riassumere i motivi dell’agitazione.“Nel processo penale è in gioco la libertà di ogni cittadino”, diceva il volantino, tornando a lanciare la proposta della separazione delle carriere tra giudici e pm come unico rimedio alla disparità plateale tra accusa e difesa nelle fasi dei processi, dimostrata anche dall’avvio di dibattimenti importanti (come Aemilia a Bologna e Mafia Capitale a Roma) in un clima di restrizioni che per i penalisti rendono inevitabile parlare di “difesa menomata”.

    Da segnalare anche il dibattito che la Camera Penale martedì sera ha organizzato al Cam di corso Garibaldi sul tema del ‘processo mediatico’, analizzando le modalità con cui lo strapotere dell’accusa si traduce nel trattamento che i media riservano alle indagini e ai processi. Sul palco, il presidente della camera penale Monica Gambirasio, Vinicio Nardo (l’ex presidente) e i giornalisti Frank Cimini e Luca Fazzo. A qualche pm forse saranno suonate le orecchie. (orsola golgi)

    qui tutte le ragioni dell’astensione

     

     

     

  • Il Csm decide di non indagare sulla moratoria Expo… Omertà

    Il Csm ha deciso di non indagare sulla presunta moratoria relativa alle indagini su Expo, rigettando la richiesta di aprire una pratica che era stata formalizzata alla settima commissione l’11 novembre scorso dal consigliere laico Pierantonio Zanettin.

    “Alcuni articoli di stampa hanno ipotizzato un accordo tra procura della Repubblica di Milano e Governo per una non meglio precisata sospensione dell’attività requirente durante l’intero periodo dello svolgimento di Expo nei confronti di manager o comunque di altri soggetti responsabili dell’organizzazione e della gestione dell’esposizione” scriveva Zanettin nella richiesta aggiungendo che la notizia se confermata avrebbe  richiesto valutazioni da parte della settima commissione del Csm. Il consigliere faceva esplicito riferimento all’istituzione della cosiddetta area omogenea nell’ambito del progetto organizzativo della procura in relazione a Expo 2015. (altro…)

  • Visioni e sogni dei detenuti in mostra nel Palazzo di Giustizia

    Salvatore (commosso sul finale). “Io non sapevo dipingere, poi me l’hanno insegnato. Ora è l’unico passatempo che ho. Di più non sono capace di dirvi”. Nella sua cella Salvatore ha raccolto sei rose gialle e rosse e le ha piantate tra spicchi di blu. Ora profumano di gioia nell’atrio del terzo piano del palazzo di giustizia che ospita la mostra ‘Sogni di segni, segni di sogni’, dove prendono forma incanti e visioni dei detenuti del carcere di San Vittore e delle mamme dell’Icam. Per tre ore alla settimana hanno frequentato laboratori di pittura promossi dall’Anm milanese in collaborazione con la direttrice del penitenziario, Gloria Manzelli, e col centro provinciale istruzione adulti (C.P.I.A.). “In queste opere non vengono raffigurati momenti di detenzione”, spiega il magistrato della sorveglianza Gaetano Brusa, “ma c’è il frutto della libertà e della fantasia degli autori”. Ci sono spose con abiti lunghissimi e stellati, feste, squali, ritratti, santi, e tante eruzioni astratte di colore da interpretare, o anche no. A noi è piaciuto molto il labirinto fantastico in bianco e nero immaginato da Lbida Abdelhadi nel dipinto ‘Sii presente in ogni momento della vita’. (manuela d’alessandro)

    ‘Sogni di segni, segni di sogni’ , dal 3 dicembre al 31 gennaio nel Palazzo di Giustizia di Milano. Ingresso libero.  Le opere esposte possono essere acquistate inviando una mail all’indirizzo anm.milano@outlook.it

  • Verifica, chi è costei? A Rozzano è andata in onda la macchina della bufala

    Verifica? Chi è costei?

    Due mamme che, evidentemente con molto tempo libero, vorrebbero insegnare ai bambini delle primarie (le vecchie elementari) i canti di Natale. Un preside che, laicamente, dice di no. E’ tutta qui l’ultima (non) notizia che ha infettato l’agonizzante informazione italiana e non solo (è finita anche su France Press e The Guardian) e che si è trasformata in un’ abolizione del Natale in una scuola di Rozzano che pure storicamente ha altri e ben più gravi problemi.

    Ne dà notizia un quotidiano, venerdì scorso, e scatta l’autistica caccia alla  ‘ripresa’ da parte degli altri organi d’informazione tutti che, citando il quotidiano ma anche no, la fanno propria. Il preside, poi  ci mette del suo, con delle dichiarazioni riguardo il pericolo di reazioni dopo gli attentati di Parigi e la frittata è fatta. Con tanto di sit in di rozzanesi (non solo genitori) inferociti contro gli islamici e, lunedì, passerella di big della politica, Matteo Salvini, Mariastella Gelmini e Ignazio la Russa a rivendicare le nostre radici e a dire che “Il Natale non si tocca”. Il preside aveva già domenica sul sito della scuola la sua versione: nessuna festa vietata perché non era nemmeno stata programmata; nessun attentato alla libertà. Nulla di nulla. La macchina della bufala, però si era già messa in moto, inesorabilmente. E si sa che i giornalisti, come i politici, sono come Fonzie, per chi se lo ricorda, hanno un blocco psicologico, quando devono articolare un “Ho sbagliato!”. 

  • NoTav, da Cassazione nuova batosta per il teorema Caselli

    E due. La Cassazione per la seconda volta boccia il teorema Caselli e afferma che nell’azione contro il cantiere di Chiomonte di cui rispondono 3 militanti NoTav non è ravvisabile la finalità di terrorismo. La norma prevede che chi agisce deve volere un danno grave per un paese o una organizzazione internazionale, ribadisce la Suprema Corte, spiegando inoltre che le bottiglie molotov furono lanciate solo contro i mezzi di cantiere e non contro le persone che stavano lavorando.

    Le censure della procura alla motivazione del tribunale del riesame che avveva annullato l’ordinanza del gip “rasentano l’inammissibilità” scrivono i giudici della prima sezione penale della Cassazione. La Suprema Corte conferma quanto deciso dal Tribunale al quale i pm addebitavano una lettura frammentaria degli elementi di prova e l’illogicità della motivazione.

    Insomma i pm torinesi se ne dovranno fare una ragione, anche se appaiono chiaramente intenzionati in tutt’altra direzione. Dal momento che il procuratore generale Marcello Maddalena, alla vigilia della pensione è presente come rappresentante d’accusa al processo d’appello contro i 3 militanti NoTav che riprenderà il prossimo 11 dicembre.

    In pensione da un po’ è invece l’ideatore del teorema, l’ex procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli, un professionista dell’emergenza fin dagli anni ’70 che ha cercato invano di trasformare un compressoricidio in una sorta di rapimento Moro. Nell’azione che risale alla notte tra il 13 e il 14 maggio del 2013 fu danneggiato infatti un compressore. Ma da quell’episodio partì non solo un’inchiesta con arresti e detenzione in regime di alta sorveglianza protrattasi per altri 4 militanti NoTav anche quando l’aggravante della finalità di terrorismo era caduta ma una campagna mediatica martellante sul pericolo della sovversione nell’alta velocità.

    Del resto quando alla prima udienza del processo ai tre, poi assolti dall’accusa di terrorismo e condannati a 3 anni e 6 mesi per i reati fine, il presidente della corte comunicò che la Ue, citata dai pm tra le parti offese, comunicava di non volersi costituire parte civile, la notizia non apparve su nessun giornale. I grandi quotidiani di questo paese sono controllati direttamente o indirettamente dalle banche, molto interessate (eufemismo) alle opere dell’alta velocità. E quindi un po’ tutti i poteri hanno dato il loro contributo al cosiddetto “sistema paese” al fine di realizzare la Torino Lione devastatrice del territorio e che costa una montagna spropositata di soldi. E al sistema paese ha dato il suo ok anche la magistratura se si considera che gli appalti del Tav sembrano gli unici onesti e trasparenti in un mare di corruzione (frank cimini)

  • Il cartello del giudice civile, se volete disturbarmi dovete essere simpatici

     

    Il giudice civile Enrica Alessandra Manfredini non ne può più di gente convinta che il suo sia l’ufficio informazioni della nuova palazzina della giustizia in via Pace. Ma ha deciso di sublimare l’insofferenza in un ‘gioco’ aperto ai seccatori di passaggio, invitati a dare sfogo alle più estreme fantasie per disturbarla. Partecipate numerosi! (m.d’a.)

  • 48 anni senza un giorno di assenza e con passione, va in in pensione Laura Bertolé Viale

    Quarantotto anni e mezzo senza un giorno di malattia.

    “Ecco, tutto quello che dovevo fare l’ho fatto”.  Laura Bertolé Viale sposta alcuni fogli sull’immenso tavolo del suo ufficio elegante, quasi li accarezza. C’è una firma importante, l’ultima della sua vita giudiziaria, con la quale toglie l’indagine, per assegnarla a quello che ancora per oggi è il suo ufficio, a un pubblico ministero che non ha indagato a fondo su un delitto. Negli ultimi cinque anni da avvocato generale dello stato, come mai nessun suo predecessore, ha esercitato il potere – dovere di avocazione, anche inimicandosi magistrati di peso a cui biasimava scarso ardore investigativo. E’ stata la prima a mettere il naso tra i rovi burocratici e reali dove è in costruzione da 20 anni l’aula bunker del carcere di Opera, ottenendo che la corte dei conti aprisse un’indagine. E una dei pochi ad accorgersi che il sistema di affidamento dei fondi Expo alla giustizia milanese era oscuro e non rispettoso della legge, tanto da decidere di starne fuori mentre attorno a lei c’era la corsa alla fetta più sostanziosa.

    “Sono entrata in magistratura nel maggio del 1968, tredici anni al tribunale civile e  poi ho seguito da giudice penale e da pubblico ministero tutti i terrorismi: rosso, nero e islamico”.  Ha sostenuto l’accusa nei processi d’appello per le stragi di piazza Fontana e della Questura di Milano, giudice estesore della prima condanna in appello perAdriano Sofri, si è occupata dell’omicidio Calabresi. E’ stata anche rappresentante dell’accusa in diversi processi a Silvio Berlusconi (All Iberian, Mills, diritti tv, nastro Unipol).

    “Ho fatto tutto, vado in pensione contenta”. Magistrato con la porta sempre aperta a tutti, mancherà molto a una giustizia che non ama guardare allo specchio le sue deformità. (manuela d’alessandro)

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  • Il broker segreto dei francescani
    si è impiccato in casa

    Il signor Rossi s’è tolto la vita. Impiccato. In casa, una villetta in fondo a una via tra edifici bassi e i campi in collina ai marigini di Lurago D’Erba, piena Brianza. Quando i finanzieri del Nucleo Valutario hanno suonato il citofono, questa mattina, non ha risposto nessuno.

    Ieri avevano perquisito gli uffici della Anycom Srl, proprio accanto al tribunale di Milano. Per oggi era prevista la perquisizione. I sigilli alla casa erano già stati apposti ieri.

    Il signor Rossi, al secolo Leonida, 78 anni, era un professionista che si muoveva tra Svizzera e Italia, e investiva il patrimonio dei francescani di mezza penisola grazie agli incarichi ricevuti da Giancarlo Lati, economo generale della Curia Generalizia dell’Ordine dei Frati Minori, Renato Beretta, economo della ‘provincia’ lombarda e Clemente Moriggi, economo della Conferenza dei Ministri Provinciali dell’Ordine dei Frati Minori. Rossi avrebbe riciclato oltre 26 milioni di euro sottratti alle casse dei francescani impiegandoli “in attività economiche, in particolare in attività edilizie speculative”, come si legge nel decreto di perquisizione firmato dai pm di Milano Adriano Scudieri, Sergio Spadaro e Alessia Miele. Attività che però non rientravano, stando alle accuse, tra “gli scopi e le finalità religiose degli enti” da cui quei denari provenivano. Quei fondi, stando alle indagini, venivano trasferite sui conti di Rossi per poi essere reinvestiti “nella realizzazione di complessi immobiliari (villaggi turistici, alberghi, ecc.) in alcune zone dell’Africa nonché nel Medio Oriente”. E solo “a fine 2014, dopo le continue richieste pervenute dai citati enti religiosi circa la restituzione delle somme dovute”, Rossi ammette di non potere più restituire i capitali ricevuti. “A partire dalla fine del 2011 Rossi aveva infatti progressivamente rifiutato le restituzioni, facendo infine registrare l’ammanco di cassa”. Ci sarebbero altri soldi gestiti in modo sospetto, tra cui 680mila euro dell’Opera Don Bosco per le Missioni.

    Ora il signor Rossi non potrà spiegare più niente. (manuela d’alessandro)

  • Schiaffo e sbeffeggi dalla Svizzera a Renzi, no al rientro del miliardo per Ilva

    La ‘Salva Ilva’ voluta dal governo Renzi per dare ossigeno al gigante siderurgico prostrato dalle inchieste giudiziarie si schianta contro la Svizzera. Il Tribunale Federale di Bellinzona boccia lo sblocco verso l’Italia di 1,2 miliardi di euro che erano stati sequestrati alla famiglia Riva come frutto di presunti reati in una delle tante indagini sulla gestione dell’azienda.

    Nella sentenza con cui negano il rimpatrio, i magistrati di Bellinzona massacrano con toni quasi sbeffeggianti il nostro sistema giudiziario e la norma che avrebbe dovuto risollevare la fabbrica un tempo orgoglio italiano. Sotto accusa c’è il sofisticato meccanismo previsto dalla ‘Salva Ilva’ per permettere alla società di utiilizzare i fondi sequestrati ai Riva attraverso la sotttoscrizione di obbligazioni da parte dell’azienda dell’acciaio. “La consegna del denaro – scrivono le toghe elvetiche – a causa della costellazione giuridica in Italia avrebbe come risultato che i valori in questione sarebbero stati subito convertiti, senza che vi sia una sentenza di confisca passata in giudicato ed esecutiva, in obbligazioni di una società in fallimento soggetta ad amministrazione straordinaria”. Questo significherebbe che “i beni patrimoniali sarebbero convertiti in titoli con valore non equivalente (presumibilmente senza valore o con valore fortemente ridotto) e ciò costituirebbe un’espropriazione senza un giudizio penale“.  Il principio, tanto caro agli svizzeri, è quello di conservare il denaro sequestrato fino a una pronuncia definitiva non facendogli perdere valore.

    Cosa succederà ora? Il miliardo e passa resta ibernato presso la banca luganese Ubs e non torna alle figlie dell’ex patron, morto nel 2014, Emilio Riva, che avevano presentato ricorso contro la decisione della Procura di Zurigo, cancellata dal Tribunale Federale, di dare il ‘via libera’ allo sblocco dei soldi. Le eredi di Emilio sono state ritenute “non legittimate” a presentare l’istanza. Entro 10 giorni i magistrati di Zurigo potranno ricorrere contro i colleghi federali ma è molto probabile che anche la Procura di Milano non resti impassibile a guardare la montagna di denaro risucchiata oltreconfine. (manuela d’alessandro)

    Il comunicato del Tribunale Federale di Bellinzona

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  • La tesi di laurea sulla tortura ‘all’italiana’, in attesa di una legge

    “I detenuti hanno subito non singole vessazioni ma una vera e propria tortura durata per più giorni e posta in essere in modo scientifico e sistematico”. Sono le parole con cui il Tribunale di Asti sintetizzava la vicenda, denominata la “Abu Ghraib italiana” in cui furono imputati 5 agenti di polizia penitenziaria, poi non sanzionati a causa di deribricazione del reato, prescrizione e mancanza di querela, ma soprattutto perché nel nostro paese continua a mancare una norma che preveda la tortura come reato. Del caso di Asti parla la tesi di laurea di Silvia Galimberti per dimostrare “come i tempi siano maturi per approvare una legge che dia allo stato la possibilità di punire coloro che non aderiscono al concetto di stato democratico inteso nella sua concezione più ampia, ossia quella di uno stato in grado di assicurare la giustizia e la legalità anche senza l’ausilio di mezzi barbari come la tortura”.

    “Tortura all’italiana” è il titolo della tesi che ricorda altre note vicende di cronaca da Cucchi ad Aldrovandi, al G8 di Genova con i fatti della scuola Diaz e della caserma Bolzaneto fino al caso del giudice di Los Angeles che negò l’estradizione in Italia del boss Rosario Gambino spiegando che l’articolo 41 bis del regolamento carcerario era da considerare una forma di tortura. A questo proposito va ricordato che la nostra Corte Costituzionale non ha mai voluto censurare la norma relativa al carcere duro.

    Nella tesi si ricorda come in Italia durante il sequestro Moro si discusse della possibilità di ricorrere alla tortura. “Si prese la decisione di non impiegarla per le parole del generale Dalla Chiesa: ‘L’Italia può sopravvivere alla perdita di Aldo Moro ma non può sopravvivere all’introduzione della tortura’”.

    Formalmente di scelse di non torturare. I fatti di quegli anni e non solo dicono ben altro. Enrico Triaca (il caso non è tra quelli citati nella tesi), il tipografo di via Foà, arrestato per il rapimento del leader dc, denunciò di essere stato torturato e per questo fu condannato per calunnia. Solo in anni recenti in sede di revisione la condanna è stata annullata dal tribunale di Perugia. Triaca era stato torturato, anche se i responsabili del fatto non potevano più essere perseguiti ovviamente a causa della prescrizione.

    L’Italia secondo il generale Dalla Chiesa non sarebbe sopravvissuta all’introduzione della tortura. Purtroppo è sopravvissuta alla mancata introduzione del reato di tortura, pratica mai caduta in disuso. Chi si oppone spiega che sanzionare la tortura sarebbe penalizzante per agenti di polizia e carabinieri. E lo dice perchè sa benissimo che quei metodi vengono usati. (frank cimini)