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  • Lasciateli a casa, da oggi è “vietato l’ingresso degli animali nel Palazzo”

    Chissà se a loro piaceva girovagare per la ‘savana’ di cemento del Tribunale, annusare i fascioli polverosi, incrociare strani uomini in toga. Da oggi, è “vietato agli animali l’accesso ai Palazzi di Giustizia del Distretto di Milano”. Il provvedimento è firmato dalll’avvocato generale Laura Bertolé Viale e timbrato da Edmondo Bruti Liberati il quale, non molto tempo fa, si aggirava per la Procura in compagnia della moglie e di un simpatico barboncino color panna. Nell’”importante direttiva” di cui si invita “la più scrupolosa osservanza”, si fa cenno a “recenti spiacevoli accadimenti verificatisi nel tentativo di accesso al Palazzo di Giustizia con animali da compagnia al seguito”. “Fatti salvi i cani guida per non vedenti e da accompagnamento per persone disabili”, per tutti gli altri, come indicato da diversi cartelli appesi ai varchi, il Palazzo diventa proibito. Tutto “al fine di poter garantire il regolare e sereno svolgimento dell’attività d’ufficio”. Se è anche colpa nostra (non-dite-piu-che-ad-agosto-non-ce-un-cane-nel-palazzo-di-giustizia) perché segnalammo la presenza di un dolce cagnetto ad agosto, chiediamo scusa agli amici degli animali. (manuela d’alessandro)

  • Le “nuove verità” su Aldo Moro, ecco perché sono tutte bufale

    In questi giorni sono apparsi due articoli che anticipano quelle che sarebbero state le rilevanti “scoperte” dell’ ennesima indagine sul sequestro del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, avvenuto nel lontano 1978, grazie “alla disponibilità di tecniche e strumenti investigativi assai sofisticati che allora non esistevano”,  come dichiara il Senatore PD Federico Fornaro, segretario della Commissione parlamentare di inchiesta.

    Il primo, datato 27 settembre, e pubblicato sul sito “Fasaleaks” del noto giornalista Giovanni Fasanella, riporta una intervista al citato senatore Fornaro mentre il secondo, datato 30 settembre e a firma Francesco Saita è stato pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Visto che non passa anno che non ci vengano proposte “nuove” verità che poi magari finiscono con la incriminazione per calunnia, come di recente avvenuto nel giugno del 2013 con l’ex finanziere Giovanni Ladu o nell’aprile del 2014 con l’artificiere Vitantonio Raso, la legge della prudenza si impone inesorabile. Sarebbero 3, secondo il Senatore Fornaro, le nuove acquisizioni su quanto avvenuto il mattino del 16 marzo 1978 in via Fani. La prima è una nuova ricostruzione con il laser della azione armata delle Brigate Rosse “che consente di ipotizzare la presenza sul luogo del sequestro di uno o due membri del commando mai identificati”. Di più il Senatore non dice, ma ci anticipa che si tratterebbe di “tiratori scelti, killer di professione provenienti, si aggiunge, “da ambienti mafiosi, in particolare ‘ndrangheta, e dalla Raf, l’organizzazione terroristica tedesca”. Attendiamo ovviamente di conoscere nel dettaglio gli esiti di queste nuove indagini al laser, in grado addirittura di identificare tratti calabresi e tedeschi, ma la presenza di tiratori scelti lascia un tantino dubbiosi visto che, come ampiamente ricostruito, si trattò di sparare plurime raffiche a distanza ravvicinata su cinque uomini della scorta colti alla totale sprovvista e bloccati a bordo di due autovetture incastrate secondo il medesimo schema operativo utilizzato qualche mese prima dai militanti della RAF in occasione del sequestro dell’industriale Schleyer. Che per portare a compimento una siffatta azione occorresse ai 10 componenti accertati del commando BR l’ausilio di un killer della ‘ndangheta (e di un rappresentante delle RAF in un periodo in cui ormai non se la passavano troppo bene) pare ipotesi priva di ragionevolezza, ma andiamo oltre.

    (altro…)

  • NoTav, i pm si aggrappano al caso Moro e alla jihad

    Al fine di dimostrare che l’azione contro il cantiere di Chiomonte fu eseguita con la finalità di terrorismo da parte dei NoTav (tesi smentita dalla corte d’assise di Torino e per ben due volte dalla Cassazione) i pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo si aggrappano al caso Moro e agli attentati della jihad  “rimproverando” i giudici che avevano assolto gli imputati dall’accusa specifica.

    I giudici di primo grado avevano assolto i militanti NoTav dall’aggravante relativa al terrorismo spiegando che l’azione contro il cantiere è cosa profondamente diversa dal comportamento delle Br che, in cambio della liberazione di Moro, chiesero la scarcerazione di persone legittimamente detenute e da richieste analoghe avanzate da esponenti del fondamentalismo islamico. (altro…)

  • La decisione del giudice arriva ai legali 5 anni dopo con la posta elettronica

    Col formidabile acceleratore della Pec – fulmineo acronimo che sta per Posta Elettronica Certificata e rimanda a un mondo ideale di giustizia senza carta –  viene recapitato oggi in uno studio legale milanese l’avviso che il dieci novembre 2010 il Tribunale di Milano (in funzione di giudice del Riesame) si è pronunciato respingendo l’istanza di scarcerazione di un detenuto per reati fiscali.

    “Ora potremmo fare ricorso in Cassazione contro questa decisione”, ironizza uno dei difensori. Per fortuna, la giustizia degli uomini va più veloce di quella divina e anche di quella digitale. Così, G.B., arrestato e portato a San Vittore nel 2010, ha patteggiato nel dicembre 2010 tre anni e quattro mesi di carcere e poi gli sono stati concessi i domiciliari. Ha fatto in tempo anche a operarsi al cuore (quando era ancora in carcere) e a fare chissà quante altre cose mentre la Pec percorreva il suo onirico viaggio dalla cancelleria del Tribunale allo studio legale. (manuela d’alessandro)

  • Il giudice spedisce i legali in camera di consiglio per chiudere la ‘partita’ tra blogger e Canalis

     

    “Vi chiudo dentro e butto le chiavi”. Qualche avvocato fa il muso lungo di chi proprio non desidera violare la sacralità di quella stanza di solito riservata alle elucubrazioni dei giudici prima di una decisione o di una sentenza. Ma poco ci manca che lo spiritoso giudice Stefano Corbetta,  accompagni i riottosi uno per uno e per mano nella sua camera di consiglio: i legali di Selvaggia Lucarelli, Guia Soncini e Gianluca Neri alias Macchianera, accusati a vario titolo di avere rubato e spiato foto di vip, e quelli delle loro presunte vittime, Elisabetta Canalis, Federica Fontana e Felice Rusconi (rubavano-foto-e-gossip-dalle-mail-dei-vip-a-processo-selvaggia-lucarelli-e-guia-soncini).

    Questo processo non è solo una tenzone tra i blogger più cliccati della rete e la ex di George Clooney la cui mail sarebbe stata monitorata per mesi sino al ‘furto’ delle foto del suo 32esimo compleanno a Villa Oleandra. E’ anche una sfida aspra tra alcuni dei legali milanesi più quotati nell’ambito del diritto informatico e delle diffamazioni (Caterina Malavenda, Giuseppe Vaciago, Marco Tullio Giordano, Barbara Indovina).

    Così quando il magistrato con tono pacioso chiede se ci siano stati tra la prima udienza di giugno e quella di oggi “contatti tra gli avvocati” per trovare un accordo su un eventuale risarcimento a favore delle parti civili, le toghe si raggelano. “Se vi congedo ora – insiste Corbetta di fronte al silenzio che accompagna la sua domanda  – so già che non parlerete tra voi. Allora andate adesso nella mia camera di consiglio e provate a vedere se ci sono margini effettivi di manovra”. Uno dei legali del fronte imputati brontola: “Se proprio dobbiamo perdere mezz’ora…”.

    L’inedita camera di consiglio si svolge in un clima polare, le parti sono distanti e gli stessi avvocati della difesa non appaiono compatti sulla strategia. Alla fine i legali escono dal ‘retrobottega’ del giudice senza un’intesa ma promettono di contattare i loro assistiti per valutare se ci siano le condizioni per chiudere almeno la parte del processo che riguarda ipotesi di reato nate da querela. Il giudice ci riprova : “Qualora fosse trovato un accordo, è chiaro che nel caso di un’eventuale condanna terremo conto del comportamento processuale”. Altrimenti, alla guerra. Nella sua lista dei testimoni la parte civile ha messo anche il direttore di ‘Chi’ Alfonso Signorini al quale Lucarelli propose (se a pagamento o no, lo stabilirà il giudice) le fotografie di Villa Oleandra, così appetitose perché per la prima volta gli interni di casa Clooney  sarebbero apparsi al mondo. (manuela d’alessandro)

     

     

  • ‘Il clima ideale’ tra Milano e la ex Jugoslavia, thriller d’esordio di Franco Vanni

     

     

    E’ tutta una questione di clima per Aleksandar Jovanov. Cambia pelle, odore e perfino nome quando Franco Vanni gira la manopola della temperatura sulle pagine.

    Nel clima mite della campagna elettorale serba 2012 è il candidato premier progressista “buono, sicuro, conciliante” che si fa fotografare tra i garofani.  In quello acre della Bosnia orientale venti anni prima lo chiamavano Dragan ed era un criminale di guerra, stupratore e assassino “per divertimento” ma anche perché non sopportava la puzza di carogna che emanava il suo corpo fin da bambino.

    Pure per Michele, trentenne di Milano coi capelli a scodella e l’ossessione dello yo – yo, è una faccenda di clima. Lobbista, il suo lavoro consiste nel creare quello “ideale” per gli interessi dei clienti, anche quando gli tocca piegare la legge. Tenero con la sola persona al mondo a cui “non saprebbe mai dire di no”. Nonno Folco, 91 anni, psichiatra di furiosa intelligenza e ironia, lo spedisce in Albania a indagare sulla vita della meravigliosa Nina, cameriera e figlia di Jovanov.

    Il vecchio vuole sapere se la ragazza è così legata al padre da dispiacersi molto se lui dovesse andare a ficcare una pallottola nel cuore del futuro premier. Folco è pronto a immolarsi per evitare che il politico, i cui abomini gli sono stati svelati da un’adolescente bosniaca sua paziente, si consacri con l’elezione “paladino dei diritti civili”. Michele vola a Tirana, incontra Nina che poi scompare e da quel momento il clima del racconto impazzisce, regalando variazioni continue. Vanni, cronista giudiziario di ‘Repubblica’, ha il ritmo giusto per alternare ambienti feroci ad altri dolci. Sa quando lasciar riposare i personaggi all’ombra dei loro pensieri e quando buttarli tra i nembi dell’azione. Scrive chiaro e spedito, e la storia da tortuosa alla fine si fa semplice, come semplice ne è l’ispirazione e il senso ultimo: l’amore puro tra un nonno e un nipote. Ai nonni ‘Franco e Franco’, il giovane Franco dedica il suo esuberante esordio.  (manuela d’alessandro)

    ‘Il clima ideale’ di Franco Fanni, Laurana Editore, pagg. 296, euro 16. Lo trovate anche alla libreria ‘L’Accademia’ di corso Porta Vittoria 14

     

     

     

  • Cadono lastre dal soffitto del nuovo Tribunale. Un avvocato, “salva per un soffio”

    “Camminavo al piano terra quando ho sentito un boato, come un colpo di pistola”. Sono le nove di lunedì mattina e l’avvocato Annalisa Premuroso sta percorrendo il corridoio della nuova palazzina del Tribunale di Milano. “Un collega, mentre ancora non mi rendevo conto di cosa fosse successo – racconta –  mi avverte che è caduto a terra un pannello che si è staccato dal soffitto, che mi ha sfiorata alle spalle e non mi ha preso per un niente…”.

    Se il giudice imprigionato nel bagno con la maniglia rotta aveva strappato un sorriso (qui), quanto accaduto all’avvocato Premuroso fa paura, ancor più perché la settimana scorsa era piombato dal soffitto un altro tassello. “E in quel caso non si era neppure chiuso il corridoio, come sarebbe stato logico fare. Stiamo aspettando il morto? – si chiede il legale – La lastra era molto pesante, di cemento e intonaco, se mi avesse colpito mi sarei fatta molto male”.

    Oggi, invitata da un giudice, l’avvocato ha presentato una denuncia alla commissione logistica del Tribunale allegando le immagini del crollo.

    Maniglie che si rompono, cellulari che non prendono, luci al neon definite “insostenibili” da chi ci lavora e adesso parte del soffitto che viene giù. Bella è bella, la nuova palazzina destinata ai processi di lavoro e famiglia, lo dicono tutti. Ma sembra la bellezza di una donna troppo truccata per nascondere imperfezioni pericolose.

    Manuela D’Alessandro

     

  • Il giudice imprigionato in bagno spacca la porta e i carabinieri lo verbalizzano

    Eccoci nella nuova, scintillante palazzina della giustizia milanese, quella riservata ai giudici civili e del lavoro da poco inaugurata. Il giudice entra in bagno per fare la pipì e, chiudendo la porta dietro di sé, resta con la maniglia in mano. Che fa? “La pipì anzitutto e poi non mi faccio travolgere dal panico, prendo a manate la porta e urlo di venirmi ad aprire”. Non può telefonare perché i cellulari nella nuova, scintillante palazzina non prendono (l’avevamo raccontato qui). Allora si mette comodo e pensa: ‘Prima o poi a qualcuno scapperà la pipì’. Invece i suoi colleghi (il bagno è di servizio) se ne stanno tutti beati dietro alle scrivanie.

    Passa mezz’ora e la pazienza si fiacca. Il giudice prende il mozzicone di maniglia e colpisce la porta che scopre essere di pastafrolla. Con due calcioni apre un bello squarcio nel ‘tamburato’.

    “Stai calmo, ora ti salviamo!”, gli urlano dall’aldilà sentendo i rumori delle pedate. Dallo squarcio intravvede due carabinieri. Aprono quel che resta della porta. Neppure un secondo per rigustare la libertà che il brigadiere gli chiede i documenti e verbalizza le generalità.  “Potevate almeno chiedermi come stavo…”, butta lì il magistrato. “Signore, noi facciamo il nostro lavoro…”, risponde il militare che di fronte alla porta rotta forse vola con la fantasia e pensa a un’ipotesi di danneggiamento aggravato dall’uso di una maniglia contundente. (manuela d’alessandro)

    ps. qualche giorno prima una collega del giudice imprigionato aveva segnalato all’ufficio manutenzione che la maniglia era rotta.

  • Pm: 8 mesi a Erri De Luca. A tutela di Tav banche e “sistema”

    Erri De Luca ha istigato a commettere sabotaggi ai danni del treno a alta velocità e per questo deve essere condannato a 8 mesi carcere. Il pm torinese Antonio Rinaudo, già protagonista della causa persa sulla finalità di terrorismo contestata alle manifestazioni NoTav, non si smentisce. Aggiunge di chiedere una pena non alta per il comportamento processuale dell’imputato che non si è sottratto alle domande. Bontà sua. Per sua eccellenza in toga sottrarsi alle domande è una specie di reato.

    La volontà censoria dell’accusa è evidente. Sul Tav deve trionfare il pensiero unico. Perché la procura agisce, non solo in questo processo, a tutela di un’opera dannosa, violentatrice del territorio, devastante, ma allo stesso tempo capace di muovere un sacco di soldi per un grande affare in cui c’è la regìa delle banche che direttamente o indirettamente controllano i giornaloni. E quindi “chi tocca il Tav muore”. Non c’è spazio per altre idee.

    Il sistema nel suo complesso anche al fine di riprodurre potere di quell’opera ritiene di avere necessità assoluta. La magistratura non solo si adegua ma è ben contenta di tutelarla. Basta ricordare che gli appalti del Tav appaiono gli unici onesti e trasparenti, mai scalfiti da un’inchiesta seria. Tutte le attenzioni investigative sono riservate a chi protesta, al punto che un compressore rotto nel cantiere di Chiomonte è diventato una sorta di rapimento Moro, stando al teorema Caselli, finora sconfessato da corte d’assise e per ben due volte dalla Cassazione.

    Ora a farne le spese dovrebbe essere Erri De Luca, colpevole d’aver detto che il re è nudo. Tutti i partiti sono per il Tav. Insieme ai poteri forti spesso evocati a sproposito in questo “strano” paese, ma non è questo il caso. Anzi. (frank cimini)

  • Pm Milano, un capo da fuori. Se non ora quando? Mai…

     

    Se non ora quando? Mai, pare. Stando ai boatos dal Csm e da chi sa nemmeno stavolta la procura di Milano appare destinata a vedere un “papa straniero”, un magistrato non proveniente dal suo interno. I favoriti sono Francesco Greco, Alberto Nobili e Ilda Boccassini, tutti procuratori aggiunti in corso di porta Vittoria. Uno dei tre prenderà il posto di Bruti Liberati in pensione dal prossimo 16 novembre. Insomma nemmeno lo tsunami del durissimo contenzioso tra Bruti e Robledo porterà a ribaltare un quadro esistente da decenni.

    Troppo rischioso sarebbe affidare l’ufficio a qualcuno fuori dai giochi. Il Csm non vuole scherzi. Del resto il cosiddetto autogoverno dei magistrati aveva atteso l’annuncio del pensionamento di Bruti per avviare un disciplinare che non si farà mai. A carico dell’ex capo. Lo subirà invece Robledo, già trasferito a Torino per lesa maestà.

    Non conta nulla il fascicolo sulla Sea dimenticato per 6 mesi in un cassetto e affidato a Robledo solo quando la gara d’asta si era già consumata. Con la regìa nemmeno tanto occulta di Napolitano si era stabilito che la ragione stava dalla parte della gerarchia e basta. Magistratura Democratica, che di recente aveva rinunciato a battagliare per la presidenza del Tribunale, pretende con forza di continuare a gestire la procura, le indagini e pure le non indagini. Perché ci sono da gestire le conseguenze della moratoria investigativa investigativa su Expo, che come contropartita aveva avuto un grazie “per la sensibilità istituzionale” a Bruti dal presidente del consiglio dei ministri.

    In questa storia ci sono tanti saluti per i principi strombazzati a ogni occasione in convegni e comunicati, l’esercizio obbligatorio dell’azione penale, la legge è uguale per tutti, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Belle parole utili a coprire le peggiori nefandezze, per far vincere l’appartenenza, la politica nel senso deteriore del termine. Garantiscono il Csm e il consiglio giudiziario che hanno dimostrato di avere l’omertà nel loro Dna. Salvo poi farsi belli evocando Falcone e Borsellino. Abbiano almeno il pudore di lasciare in pace i morti questi signori vincitori di concorso che fanno scelte politiche senza doverne rispondere ad alcuno. Riescono a fare peggio dei politici e questa è un’impresa (frank cimini)

  • Sui siti le foto di Boettcher in gabbia e dello sfigurato. Fermateci, per favore

     

    Guardate i siti dei principali giornali italiani. In altro, tra le principali notizie, ci sono la foto di un ragazzo sfigurato e quella di un ragazzo in gabbia, messe una di fianco all’altra. Stefano Savi con un cappellino che non fa ombra sull’oscenità del martirio e Alexander Boettcher in tuta dietro le sbarre, vittima e imputato del processo sulle aggressioni con l’acido.

    Esiste un limite al diritto di cronaca? Sì, esiste. Non sono solo le carte deontologiche la cui conoscenza dovrebbe essere necessaria a un giornalista per fare il suo mestiere ma anche le regole della fratellanza o almeno del rispetto tra umani a stabilirlo. Inoltre, il pm Marcello Musso aveva chiesto di non riprendere o fotografare Savi per rispetto della sua “identità offesa”.

    A meno che i due non abbiano dato il consenso a essere ripresi, fotografarli e metterli online è come picchiare un disabile, come aggredire in quattro una sola persona inerme.

    Qualcuno ci fermi, per favore. (manuela d’alessandro)

     

  • Detenuta lavoratrice a Expo, evade uscendo dai tornelli. Ricercata da luglio.

    E’ scivolata via lieve dai tornelli dell’esposizione universale, confusa nella folla stanca che abbandonava i padiglioni un pomeriggio di luglio. Evasa da Expo dove lavorava per 500 euro al mese nell’ambito del progetto che vede impegnato un centinaio di detenuti delle varice carceri lombarde – Bollate, Opera, Busto Arsizio e Monza – a dare informazioni e aiutare i visitatori che perdono il filo tra i paesi del mondo.

    Una detenuta transessuale vicina all’ultima curva della sua pena per omicidio preterintenzionale, due anni e mezzo da scontare a Bollate, una delle carceri meno crudeli con chi ha perso la libertà. Impeccabile sempre, tutte le volte che le era stato concesso uno spicchio d’aria con diversi permessi durante la carcerazione. Mai un ritardo, una sbavatura. Per questo era stata scelta, anche col sì del giudice della sorveglianza, tra i candidati a vivere un’esperienza di lavoro a Expo con uno stipendio inferiore di un terzo rispetto ai contratti collettivi nazionali, come previsto dalla legge. Sei ore al giorno per sei giorni alla settimana dentro alla giostra dell’esposizione finché non le è venuta voglia di scendere e scappare via. Da allora, primi di luglio, la stanno cercando invano. Se dovessero trovarla, la sua curva prima della libertà diventererebbe una strada senza fine. (manuela d’alessandro)

  • Fare una denuncia alla polizia nel cuore della città di Expo

    Via fatebenefratelli, siamo in uno dei quartieri più eleganti di Milano, a due passi da via dei giardini per intenderci, la casella viola più pregiata del monopoli. Nel bel palazzo neoclassico della questura c’è, appena dopo l’ingresso, una sala d’attesa di pochi metri quadri che ospita chiunque, cittadino o meno, desideri parlare con un poliziotto. Sono solo tre gli agenti che raccolgono le denunce. Tempo d’attesa, non meno di un’ora e mezza.

    Uno di loro si affaccia e scruta la platea accalcata.  Ne approfittano due ragazzi francesi. “Do you speak French?”, chiedono ambiziosi. “No”. “Do you speak english?”. “No, non parlo niente”, ribatte l’agente, che poi, rivolto a tutti, esorta “Vedete voi come organizzarvi con la coda”. Siamo in Polizia, mica dal salumiere, qui i bigliettini non sono previsti. Devi occupare il posto in modo marziale, o quelli dietro di te ti fanno secco. Una signora di origini slave regala un po’ di cabaret agli astanti e poi s’informa con un altro agente sul dormitorio in cui  trascorrere la notte. “Signora, in via Ortles non c’è posto, deve rivolgersi al commissariato più vicino a casa”. Una senzatetto avrà certo un commissariato vicino a casa.

    Un signore  vorrebbe portare il suo bambino a fare la pipì nel wc della sala d’attesa.  La porta non si apre, nonostante gli sforzi di tutti, poliziotti compresi. Alla fine i due vengono invitati ad andare al bar di fronte alla questura. La coppia di francesi riprova a chiedere informazioni. La risposta è in italiano e il ragazzo, che non avrà più di 20 anni, adesso è seccato: “I don’t understand italiano”, poi, in inglese, conciona sui nostri usi con quel tono irritato che sanno avere i francesi per concludere con un lapidario “I never saw that”. (manuela d’alessandro)

  • Assistenti sociali: spegnere riflettori sul piccolo A. Finalmente…

    “Per il bene del piccolo A. si spengano immediatamente tutte le luci mediatiche che hanno illuminato questi suoi primi giorni di vita dalla sua nascita data morbosamente in pasto all’opinione pubblica…Nessuno ha riflettuto sul gravissimo danno che è stato fatto a questo bambino”. E’ l’invito-appello lanciato dal consiglio nazionale dell’ordine degli assistenti sociali. Finalmente da un organo istitituzionale arrivano parole sensate in questa terribile vicenda dove in troppo hanno sguazzato strumentalizzandola al fine di farsi pubblicità e di lucrarci anche concretamente.

    Il messaggio parte dal vertice della categoria degli assistenti sociali e non sembra proprio rivolto solo ai media. Si tratta di parole dirette a tutti, giornalisti e magistrati compresi. Ovvio, in pole position c’è lui, don prezzemolino, al secolo Antonio Mazzi, puntuale a prendere parte a qualsiasi fatto di cronaca con grande rilevanza mediatica.

    Il piccolo ha diritto a una vita normale. Non ha colpe. Arriva in un mondo di pazzi per responsabilità di genitori  i quali “per purificarsi” prima della sua nascita hanno aggredito con acido muriatico Pietro Barbini, ex fidanzato di lei, e altri. Per questo dopo la condanna a 14 anni subiranno un nuovo processo.

    “Il rischio concreto è che il piccolo sia marchiato per sempre della vicenda che ha visto protagonisti i suoi genitori” dice il consiglio dell’ordine degli assistenti sociali. Il rischio è che sia stravolta la sua vita. Insomma ci vuole un bel silenzio stampa che duri il più a lungo possibile. Era ora che qualcuno lo dicesse esplicitamente, lo gridasse. Perché sinceramente di tutta questa attenzione mediatica morbosa fino a mettere in prima pagina i minimi dettagli non se ne poteva più. E non se ne può più. I rappresentanti dei media che puntano a vendere copie in più o ad avere tanti clic sfruttando il dramma relativo alla conseguenza delle aggressioni con acido si occupino d’altro oppure cambino mestiere. L’invito ovvio riguarda tutti quelli che hanno scelto questa tragedia per apparire. Insomma, “appaiano” altrove. (frank cimini)

  • Non dite più che ad agosto non c’è un cane nel Palazzo di Giustizia

    Non si dica che ad agosto a Palazzo di Giustizia non c’è un cane. Ed è pure un cane felice di starci. Il bassotto scorazza con naturalezza sul ‘prato’ di marmo grigio e si prende coccole e carezze degli sparuti frequentatori della Procura estiva che incontrano la premurosa padrona. (manuela d’alessandro – foto per gentile concessione di franco vanni)

     

  • Aggressione con acido, mancava solo don prezzemolino

    Mancava solo lui, “don prezzemolino” in questa storia terribile degli agguati con l’acido che nella mente malata di Martina Levato e del suo fidanzato dovevano servire “a ripulirsi” dai rapporti precedenti prima della maternità. Don Mazzi non si è fatto attendere, è arrivato puntuale, a caccia di pubblicità, di riflettori mediatici che portano anche soldi alla sua comunità insieme ai nuovi ospiti.

    Il prete si è detto pronto ad accogliere la donna e il suo bambino. Attentissimo alla cronaca, don Mazzi non perde occasione per intervenire e portare acqua al suo mulino. Un prelato molto mediatico. Come tanti magistrati. Del resto anche il pm di questa indagine Marcello Musso è andato a far visita al neonato portando un regalo e rilasciando all’uscita dichiarazioni davanti alle telecamere. E per giunta spiegando di aver chiesto per la visita l’ok alla sua collega della procura minorile. Ecco, avesse voluto chiedere l’autorizzazione a qualcuno avrebbe dovuto rivolgersi al tribunale dei minori che in quei momenti stava prendendo la decisione sulle sorti di mamma e bimbo.

    Insomma è una vicenda drammatica dove in troppi sguazzano strumentalizzandola e  andando molto al di là dei loro compiti istituzionali. Sulla pelle di un essere da pochi giorni arrivato in un mondo di pazzi. La perizia psichiatrica non bisognava farla solo ai responsabili delle atroci aggressioni. I candidati al test aumentano insieme al clamore mediatico (frank cimini)

  • Martina e figlio ancora in ospedale perché non sanno dove mandarli

    Martina Levato e il suo bambino stanno bene. Sono così in salute che avrebbero potuto lasciare sin da oggi la clinica Mangiagalli. Non vengono dimessi, fanno sapere dall’ospedale con più fiocchi azzurri e rosa di Milano, solo perché non si sa dove mandarli.

    Il provvedimento del Tribunale dei Minori col quale è stato revocato il ‘divieto di abbraccio’ tra madre e figlio col trascorrere delle ore appare sempre più una decisione monca. La Mangiagalli è diventata una sorta di ‘stato cuscinetto’ di cui i due sono cittadini onorari mentre il mondo attorno si azzanna su cosa sia il loro bene e male e i magistrati cercano un’alchimia per fare meno danni possibili.

    Se è normale che opinione pubblica, psichiatri ed editorialisti  si azzuffino sui dilemmi etici e giuridici sollevati dal caso, lo è molto meno che nelle ultime settimane  la giustizia non sia stata capace di garantire  una risposta veloce e univoca alla domanda sul futuro di Martina e del neonato.

    Pochi giorni prima del parto, il Tribunale del Riesame indicava nell’Icam, la struttura che accoglie madri detenuti con figli piccoli, la soluzione in attesa di una decisione definitiva dei giudici minorili. Poi l’ordine del pm dei minori Annamaria Fiorillo a impedire qualsiasi contatto tra Martina e il bimbo considerata l’assoluta “inadeguatezza” della ragazza nelle vesti di madre. Infine, ieri i giudici hanno demolito la scelta del pm concedendo la possibilità di un incontro al giorno, ma senza allattamento diretto. E’ apparso subito chiaro che quel provvedimento avrebbe avuto un senso solo per poche ore, il tempo delle dimissioni dalla clinica.

    Un tempo che ora viene dilatato, fino a quando non si sa. Restano le vecchie mura della Mangiagalli, lembo di terra neutrale, a proteggere una piccola vita abbandonata su una ruota medioevale dalle tremende indecisioni dei grandi. (manuela d’alessandro)

  • Acido, il biglietto del pm Musso al piccolo A. su carta intestata della Procura

    “Ad A. con infinita tenerezza per un lungo cammino”, scrive il pm Marcello Musso sul biglietto consegnato alle puericultrici della clinica Mangiagalli che assistono il piccolo dato alla luce a ferragosto da Martina Levato, la studentessa condannata a 14 anni di carcere per avere sfregiato con l’acido un ex compagno di studi.

    Assieme al biglietto, un paio di babbucce bianche: il primo dono ricevuto da questo bambino che per il resto ha ricevuto solo schiaffi nel suo soffio di vita. Un “atto di solidarietà umana”, quello del magistrato, come l’ha definito lui stesso davanti alle telecamere lasciando l’ospedale, o un gesto inopportuno perché fuori dai compiti istituzionali consoni a un pubblico ministero? O, addirittura, una provocazione, come suggerito da alcuni sui social, da parte di chi ha condotto le indagini togliendo di fatto una madre (almeno per ora) al neonato?

    Marcello Musso ha voluto scrivere le parole che hanno accompagnato il dono su carta della Procura di Milano, premurandosi di sbarrare a penna  l’intestazione. Lo ha fatto non  perché non avesse voglia di comprare un biglietto in cartoleria, ma  per evidenziare che il regalo al bimbo viene dall’uomo che c’è dietro al magistrato, costretto dalla legge alla durezza verso la mamma di A. La linea tracciata con biro nera sulle parole ‘Procura di Milano’  dovrebbe  segnare, nelle sue intenzioni, un confine tra il Musso pm e Musso uomo. “Sono il magistrato che ha fatto condannare Martina, ma anche una persona con una sensibilità scossa da questa vicenda e l’opinione pubblica lo deve sapere”, ha ripetuto più volte Musso in questi giorni a chi gli stava vicino, mentre era tormentato dai dubbi sull’opportunità  della visita al piccolo.

    Stamattina, quando ha preso dal suo ufficio la busta verde con le babbucce e il messaggio per recarsi alla Mangiagalli, Musso era un uomo che tremava nella sua volontà. Sicuro di compiere un gesto per lui necessario ma consapevole di esporsi alle critiche di chi non lo avrebbe apprezzato. Per il suo coraggio lo rispettiamo, pur continuando a ritenere che il posto dove un magistrato deve esprimere umanità sono gli atti giudiziari, quelli su carta intestata ma non sbarrata.  (manuela d’alessandro)

  • Addio a Gianfranco Maris, partigiano con la toga addosso

     

    Se n’è andato oggi, segnato dagli anni (tanti) e da una vita irripetibile. Gianfranco Maris è stato un caso raro ed emblematico di come la militanza politica si possa intrecciare alla professione di avvocato senza rinunciare alle diverse coerenze che i due mondi richiedono. D’altronde lui, che era sopravvissuto ai lager nazisti, riusciva a evitare che questa sua cicatrice profonda condizionasse il resto della sua vita: certo, il 25 aprile di ogni anno sfilava in corteo dietro lo striscione dell’Aned, l’associazione dei suoperstiti dei lager, col fazzoletto bianco e celeste al collo. Ma anche di quell’orrore parlava con disincanto, e non ha mai permesso che tutta una vita lunga e ricca si riducesse all’icona di sopravvissuto.

    Era comunista fino al midollo, nel modo serio e concreto in cui si era comunisti nell’Italia uscita dalla guerra. Per il Pci più ortodosso fu senatore e soprattutto punto di riferimento nel rapporto con le istituzioni, quando sotto l’attacco terroristico (che aveva, va ricordato, nella presenza di un Pci forte e credibile il suo ostacolo principale ) comunisti e apparati dello Stato realizzarono un patto di ferro, che ebbe in Ugo Pecchioli il suo esponente piu noto ma che viaggiò in concreto nel lavoro quotidiano di uomini come Maris. Eppure va ricordato anche che intanto faceva l’avvocato, e lo faceva bene, senza timore di rovinarsi la reputazione: perché quegli erano anni, a differenza di oggi, in cui un avvocato veniva rispettato in Procura e in tribunale anche se svolgeva fino in fondo e senza sconti il suo dovere come legale di uomini del crimine organizzato, convinto che anche essi avessero diritto al rispetto dei loro diritti processuali.

    Poi venne l’epoca dei pentiti, in cui Maris entró da protagonista, assumendo la difesa del collaboratore di giustizia piu difficile di tutti: Leonardo Marino, il pentito del caso Calabresi. Perché se difendere i Peci e i Sandalo era facile, tanto visibile era il contributo dato allo smantellamento delle bande armate, difendere l’ambulante di Bocca di Magra che aveva fatto finire in galera Adriano Sofri volle dire mettersi contro un universo che (non solo a sinistra) considerava il processo milanese una colossale montatura, e la presenza di Maris accanto a Marino la prova provata della compromissione del Pci nella congiura. Delle minacce che gli piovevano addosso, non sembrò mai preoccuparsi: e in questo, verosimilmente, l’esperienza del lager contribuirà dargli scorza.

    I suoi figli, Gianluca e Floriana, hanno continuato sulle sue orme nella difesa dei pentiti, anche e sopratutto quelli di malavita organizzata: ma sempre con lo spessore di chi fa l’avvocato davvero e non ha voglia di farsi usare.

     

     

  • “Da due giorni sequestrati in albergo in Ghana”
    Viaggio di lavoro incubo per una troupe italiana

    Un luogo esotico e caldissimo. Un albergo di lusso. Un sequestro. Un affaire legale internazionale. Una troupe cinematografica. Gli elementi per il film ci sono proprio tutti. Solo che la storia è tutt’altro che divertente, e sta capitando davvero.

    Da due giorni, ad Accra, capitale del Ghana, il regista napoletano Antonio Canitano, firma di diverse puntate della fiction Rai ‘Un posto al sole’, e tre colleghi della sua troupe sono di fatto sotto sequestro all’interno dell’Hotel Alisa. Della vicenda si sta occupando l’ambasciata italiana nel Paese. “Lunedì mattina abbiamo provato ad andarcene dall’albergo e siamo stati bloccati con la forza”, racconta Canitano dalla hall dell’hotel. La proprietà non ne vuole sapere di lasciarli andare fintanto che il conto non sarà saldato, 45mila dollari per un mese e mezzo di soggiorno. Ma chi deve pagare? Certo non la troupe, semmai la società ghanese BarCo Studios capitanata dall’imprenditore Kobby Bartels, che produce il film a cui la troupe italiana ha lavorato e che per Canitano e i suoi colleghi ha prenotato le camere di hotel.

    “Non le dico quello che abbiamo fatto per uscire, non c’è stato verso”, racconta il regista napoletano. “I nostri passaporti sono nelle loro mani. Abbiamo già perso il volo di ritorno di lunedì sera e quello di martedì”, prosegue Canitano, che è anche stato sentito dalla polizia di Accra. “Bartels ha anche lasciato all’albergo la propria auto, a garanzia del pagamento”. Che però non è ancora avvenuto: la situazione sembra ancora in stallo. “Ho paura che non ci lasceranno partire neanche stasera”, prevede Canitano. Non agevolissimo, per l’avvocato milanese Gian Matteo Santucci, seguire la situazione, pur con il supporto di un collega locale, Amarkai Amarteifio. Da Milano, in pieno estate, ci sta provando a colpi di email e telefonate initerrotte.

  • Expo, Renzi ringrazia Bruti per la moratoria sulle indagini

    “L’Expo non doveva esserci ma si è fatto grazie a Cantone e Sala, grazie ad un lavoro istituzionale eccezionale, grazie al prefetto e alla procura di Milano che ringrazio per aver gestito la vicenda con sensibilità istituzionale”. Il presidente del consiglio Matteo Renzi manda dal Giappone attraverso i giornalisti al seguito un pubblico ringraziamento al capo della procura di Milano Edmondo Bruti Liberati. Il riferimento è alla moratoria sulle indagini con l’evento in corso di cui avevamo scritto su “Giustiziami” senza essere smentiti. Quindi tanti saluti al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale e il premier ha dimostrato di apprezzare. Del resto non poteva essere diversamente. Il problema non è quanto dice il presidente del consiglio dei ministri ma quello che ha fatto il capo dei pm.

    Bruti nel contenzioso interno con Alfredo Robledo aveva tolto al suo aggiunto il coordinamento delle indagini su Expo che poi sono state fermate. Insomma hanno fatto la fine dell’inchiesta sulla gara d’asta per la Sea rimasta per sei mesi “dimenticata” in un cassetto, prima di essere affidata con gravissimo ritardo a Robldo quando chi era indagato aveva ormai saputo di esserlo e quindi non poteva più essere intercettato.

    Insabbiare, non indagare al fine di non disturbatore il manovratore è per il premier “sensibilità istituzionale”. Renzi ringrazia Bruti che ha deciso di andare in pensione, evitando in pratica il procedimento disciplinare, il 16 novembre, subito dopo la fine dell’esposizione. Tanto per essere sicuro dell’assenza di “sorprese” per l’evento, acquisito da Milano sconfiggendo le terribili armate di Smirne, con uno schieramento bipartisan dalla Moratti a Prodi, insieme appassionatamente a Parigi.

    Questa storia manda a farsi benedire la divisione e il bilanciamento dei poteri, l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale tanto gridata nei convegni e nei comunicati dell’Anm, l’indipendenza e l’autonomia della magistratura. E chi ne esce peggio sono proprio le toghe. I ringraziamenti nipponici sono la ciliegina sulla torta. Una torta avvelenata nel paese in cui i politici scimmiottano i giudici, i giudici scimmiottano i politici e i giornalisti leccano un po’ gli uni e un po’ gli altri a seconda delle convenienze (frank cimini).

  • Un ‘Best of 2015’
    da leggere sotto l’ombrellone

     

    E’ estate inoltrata. La vostra testa, sovente insieme al resto, va alle spiagge dorate, ai freschi picchi alpini, a posti lontani ed esotici. L’immagine dell’afoso Palazzo di giustizia, per chi è partito, sta a metà strada tra l’incubo del futuro ritorno al lavoro e la certezza di un luogo a suo modo più rassicurante che inquietante, per chi lo conosce e ci lavora. Per questo non vi è così facile compiere il distacco completo da quel crocevia di sofferenza e arrabbiature, di lavoro serio e socialità, di burocrazia e alti ideali. Per aiutarvi a rimanere con un piede là dentro, mentre l’altro si tuffa in acque cristalline, abbiamo preparato questo piccolo compendio della stagione appena trascorsa. Si comincia dalle cose più leggere e intonate alla calura estiva. Buona lettura.

    GIUSTIZIAMI SUMMER EDITION

    Il caso vip dell’anno, scoperto da Giustiziami.

    “Vendevano foto e gossip rubati dalle mail dei vip”. A processo Selvaggia Lucarelli, Guia Soncini e Macchianera. https://giustiziami.prlb.eu/rubavano-foto-e-gossip-dalle-mail-dei-vip-a-processo-selvaggia-lucarelli-e-guia-soncini/

    Intanto in un altro processo zeppo di vip, Belén Rodriguez viene chiamata a testimoniare, ma da Ibiza inonda il web di foto in bikini. https://giustiziami.prlb.eu/belen-testimone-nel-processo-ai-vip-posta-foto-in-bikini-da-ibiza/

    Tribunale + estate = condizionatori che si rompono. Processi rinviati per caldo, Flegetonte manda in tilt il Palazzo di giustizia. https://giustiziami.prlb.eu/processi-rinviati-per-caldo-flegetonte-manda-in-tilt-il-tribunale/

    Quando il tempo è galantuomo. Dieci anni dopo, prescritte le corna di Paolini a Fede. Alla faccia del galateo. https://giustiziami.prlb.eu/10-anni-dopo-prescritte-le-corna-di-paolini-a-fede/

    Non vedete l’ora che ricominci il Crozza Show? Beh, l’ispirazione per la prima puntate c’è già. “Dal barbiere alle braghette, Formigoni dà spettacolo in aula“. https://giustiziami.prlb.eu/dal-barbiere-alle-braghette-formigoni-crozza-show-in-aula/

    Un nostro piccolo scoop, quello del del magistrato ubriaco in bicicletta. Lo ricordate? Bene, ora fa giurisprudenza. https://giustiziami.prlb.eu/il-caso-del-magistrato-ubriaco-in-bici-fa-giurisprudenza/

    Mentre siete al mare, state pur certi che lui rimarrà in ufficio,a lavorare 12 ore al giorno. E’ il pm Stakanov. “Inchiesta sull’acido, quando il pm scava davvero”. https://giustiziami.prlb.eu/inchiesta-sullacido-quando-il-pm-scava-davvero/

    COSE PESE. OGNI TANTO FACCIAMO LE PERSONE SERIE. E SCOPRIAMO COSE SERIE

    Questa inchiesta in due puntate ci è valsa una menzione speciale al premio Vergani. La cosa che ci rende più orgogliosi è però un’altra. Quello che abbiamo scritto ha inciso sulla realtà. Lo dimostra la seconda parte dell’indagine.

    Le carte degli appalti Expo senza gara per il Tribunale. A chi e perché sono finiti i fondi per la giustizia milanese https://giustiziami.prlb.eu/la-carte-degli-appalti-expo-senza-gara-per-tribunale-a-chi-e-perche-sono-finiti-i-fondi-per-la-giustizia-milanese/

    Sospesi gli affidamenti diretti Expo per la giustizia milanese. Il verbale che svela il clamoroso cambio di rotta. https://giustiziami.prlb.eu/sospesi-gli-affidamenti-diretti-expo-per-la-giustizia-milanese-il-verbale-che-svela-il-clamoroso-cambio-di-rotta/

    Altra storia tipicamente italiana. Un’edificio pubblico incompiuto, nonostante diciannove anni e milioni di euro spesi. “L’aula bunker di Opera non è finita e fa ruggine”. https://giustiziami.prlb.eu/19-anni-e-milioni-di-euro-dopo-laula-bunker-di-opera-non-e-finita-e-fa-ruggine/

    Una serie di articoli non ci hanno resi molto simpatici al quarto piano di via Freguglia. Ma che ci vuoi fare? Questi, per esempio.

    “Manipolò titoli per 8,5 mln”, la Procura generale chiude un’altra indagine avocata al pm Greco. https://giustiziami.prlb.eu/manipolo-titoli-per-85-mln-procura-generale-chiude-unaltra-indagine-avocata-a-pm-greco/

    La moratoria sulle indagini della Procura di Milano per Expo (e non solo). https://giustiziami.prlb.eu/la-moratoria-sulle-indagini-della-procura-di-milano-per-expo-e-non-solo/

    GLI EDITORIALI

    Qualcuno è provocatorio, certamente questi corsivi hanno alla base un’esigenza vera.

    Perché l’omicidio stradale è un finto reato colposo di ispirazione forcaiola. https://giustiziami.prlb.eu/perche-lomicidio-stradale-e-un-finto-reato-colposo-dispirazione-forcaiola/

    Tutti a celebrare Falcone…ma lui voleva carriere separate. https://giustiziami.prlb.eu/tutti-a-celebrare-falcone-ma-lui-voleva-carriere-separate/

    Video dell’arresto di Bossetti, una vergogna per pm e media. https://giustiziami.prlb.eu/video-arresto-di-bossetti-una-vergogna-per-pm-e-media/

    Il commento più significativo a un fatto accaduto in Tribunale non l’ha composto un giornalista ma una madre. Quella del giovane avvocato Lorenzo Claris Appiani, all’indomani della strage compiuta da Claudio Giardiello in Tribunale. Le sue parole valgono da insegnamento e ispirazione per molti. https://giustiziami.prlb.eu/la-mamma-di-lorenzo-avvocati-non-rendete-vana-la-sua-morte/

    UN PICCOLO TRIBUTO

    Quello ad Annibale Carenzo, decano di tutti i cronisti giudiziari di Milano e forse d’Italia. Tra pochi mesi avrà 81 anni. Lo potete incontrare a tutti i giorni a Palazzo, in particolare al primo piano o nel cortile centrale. Cerca notizie, e ne trova ancora.

    “Annibale compie 80 anni. Da Mina ad Alessandrini, le sue 45 stagioni nel Palazzo”. https://giustiziami.prlb.eu/annibale-compie-80-anni-da-mina-ad-alessandrini-i-suoi-45-anni-nel-palazzo/

    L’INCHIESTA DELL’ESTATE

    Infine, vi lasciamo con una riflessione sull’inchiesta più hot dell’estate.

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  • “A cosa serve il carcere? A niente”. Il libro di Ricciardi

     

     

     

    “Bisogna ‘reinserirsi’ tramite il lavoro, dicono, ma se il lavoro lo cercavi prima e non lo trovavi oppure quello che trovavi faceva schifo e per questo hai ‘infranto la legge’ che si fa? Si ricomincia da capo? Istituzioni locali, associazione e cooperative si affannano a progettare lavori per i detenuti perché, dicono, col lavoro, una volta usciti, non si torna a delinquere. Ma mi domando: tanto entusiasmo per l’inclusione sociale e lavorativa per chi finisce in carcere, perché non lo si mette in pratica prima che quei ragazzi costretti alla disoccupazione si rivolgano a pratiche illegali?”. Salvatore Ricciardi, ex ergastolano condannato per fatti connessi al tentativo di rivoluzione fallito tra gli anni ’70 e ’80, racconta la sua vita passata. “Cos’è il carcere? Vademecum di resistenza” è il titolo del libro editato da “Derive e approdi”, 125 pagine con la prefazione di Erri De Luca: ” Come un mal di denti torna nelle pagine di questo libro la domanda: a che serve? Con tutta l’esperienza accumulata e con l’addestramento che trasmette, la risposta non ci solleva dal grado zero sul livello del niente”.

    “Cosa vuol dire ‘riportare il carcere alla legalità? Quale legalità? Le leggi esistenti sono nel loro insieme la legalità, sennò che altro sono? Abbiamo fatto cose non previste dalle leggi, vietate, illegali per dare una spinta alla modificazione delle regole in senso più inclusivo e aperto, perchè ogni pensiero critico ma anche ogni pensiero in sè si sviluppa fuori dalle legge altrimenti è qualcosa di stagnante, non è un pensiero”, scrive Ricciardi per impersonare lo scetticismo cosmico sulla possibilità di “riformare” il carcere, afferma che non è vero che il carcere è meno violento di prima. Muoiono 200 detenuti l’anno, 60 per suicidio. “Il cosiddetto carcere violento, quello delle rivolte, non registrava una strage delle dimensioni del carcere pacificato che ha triplicato i suicidi… Il suicidio è l’unica cosa che puoi fare in carcere senza dover compilare la perenne ‘domandina’”.

    Salvatore Ricciardi è spietato con se stesso: “Questa è la mia storia e non uso la mia storia per sentirmi vittima del sistema anche perchè non mi ritengo vittima perchè le mie sono sempre state scelte di vita. Non me le ha imposte lo Stato nè la società. Sono scelte legate per ragioni economiche….”.

    E’ un libro che invita a riflettere. Con Adriano Sofri avrebbero dovuto invitare anche Ricciardi a quella famosa riunione ministeriale sul carcere alla quale l’ex leader di Lotta Continua decise di non partecipare per evitare che una polemica già assurda si allargasse ancora in un paese devastato da decenni di “emergenze” diventate prassi di governo, dove il carcere viene usato come discarica sociale e al fine di regolare lo scontro politico. E dove l’opinione pubblica cosiddetta troppo spesso sembra più forcaiola dei magistrati, delle forze dell’ordine, dei politici (quando non sono loro a essere toccati) e dei media. (frank cimini)

    ‘Cos’è il carcere? Vademecum di resistenza’ di Salvatore Ricciardi. Editore Derive e Approdi, 125 pagg, 12 euro

     

     

  • “Pronto a luglio”. Ma dopo 19 anni il bunker di Opera resta un cantiere

     

     

    Qualcosa di nuovo c’è: una recinto verde che, in teoria, dovrebbe tenere lontani i non addetti ai lavori dal cantiere, come avverte un cartello con monito: “Limite invalicabile, sorveglianza armata”. Invece, è agevole entrare da un cancello aperto e constatare che la promessa del provveditore alle Opere Pubbliche Pietro Baratono non è stata mantenuta. “A luglio – aveva garantito – l’aula bunker di Opera sarà terminata”.

    Diciannove anni e l’ennesima estate dopo, quella che doveva essere la nuova sede dei maxi processi milanesi è ancora un cantiere e neppure troppo fervido. “Quando finirete?”. “E chi lo sa”,  risponde con aria sconsolata uno dei pochi operai che si aggirano.

    Da marzo a oggi è cambiato poco. Resta una costruzione fantasma accanto al carcere, il cui aspetto più desolante sono le gabbie dove i detenuti dovrebbero attendere le udienze, in violazione se non della Convenzione di Ginevra almeno della dignità: sotto il livello del suolo, in una bolgia oscura senza finestre. Non sembrano terminati neanche i lavori per le stanze che dovrebbero ospitare di notte i magistrati durante le camere di consiglio, loculi, alcuni dei quali senza finestre e bagno, dove difficilmente le toghe vorranno riposare per meditare sulle sentenze.

    Il progetto iniziale prevedeva due aule di udienza, poi si è deciso di ridurre a una l’aula e destinare gli altri spazi a un grande archivio. Sopra l’aula sono previsti gli alloggi dei giudici, sotto le celle per ‘ospitare’ i detenuti nelle pause dei processi. Ma negli anni è successo di tutto: i soffitti sono crollati, la ruggine ha aggredito le gabbie, la falda acquifera è salita, com’era prevedibile ma non previsto nel piano originario.

    Il cambiamento più evidente è la crescita dell’erba ad altezza d’uomo nei campi che bisogna attraversare per raggiungere l’edificio perché una strada per accedervi non c’è e mai ci sarà: i terreni non sono stati espropriati, come prevedeva il progetto iniziale.

    Qualche mese fa,  su impulso della procura generale di Milano la corte dei conti ha aperto un’indagine con l’ipotesi di reato di ‘danno erariale per opera incompiuta’, mentre la procura a cui pure è giunta una segnalazione per il momento non sembra interessata ad approfondire il dossier. (manuela d’alessandro)

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  • Quando Hacking Team, Ros e Aruba dirottarono il traffico del web

    Hacking Team e il Ros dei carabinieri con l’appoggio di Aruba hanno dirottato o interrotto il servizio web ai danni di migliaia di ignari navigatori per inseguire le tracce di sospetti criminali. Tutto senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria.

    L’episodio, raccontato per primo da un giovane ingegnere italiano su  http://blog.bofh.it/id_456 ed emerso dai file pubblicati da wikileaks, dimostra che l’attività ‘borderline’ dei trojan di Stato può danneggiare non solo obbiettivi sensibili ma anche chi finisce per caso sulla loro strada.

    Due anni fa il Ros si trova  nel panico perché un server utilizzato in Romania per carpire informazioni su alcuni indagati viene chiuso per motivi tecnici e non è più possibile raccogliere i dati dei sospettati. Per recuperare il controllo remoto dei dispositivi intercettati, i reparti speciali dei carabinieri e HT chiedono al provider Aruba di dirottare verso i propri server il traffico diretto all’ex provider romeno. Aruba  non può spostare solo un sito ma deve dirottare l’intera classe di indirizzi IP.

    Risultato: improvvisi blocchi della navigazione con siti che non appaiono più raggiungibili o, peggio ancora, utenti che finiscono su siti ‘esca’ col rischio di beccarsi un’infezione dai trojan di Stato al posto del vero obbiettivo.

    E’ legale? In questo momento supponiamo di sì, fino a legge o pronuncia contraria di un giudice, ma saremmo più tranquilli se su questi temi ci si confrontasse in modo solare e se certe azioni ‘spericolate’ avvenissero col controllo di un magistrato.  (manuela d’alessandro)

    le email del dirottamento:   1 2 3 4 5 6 7 8 9

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  • Essere contro il 41 bis e non essere mafiosi

     

    Su alcuni temi non riusciamo in Italia a fare passi in avanti.
    Negli anni ottanta chi contestava giuridicamente le leggi antiterrorismo era un terrorista, chi adesso prova a fare dei ragionamenti critici sul 41 bis, o è un mafioso o aiuta la mafia. Tutto questo è il frutto della necessità da parte di molti, a fronte di alcuni tipi di reati , di essere per forza ” tifosi”.
    Se tu sei contro la mafia devi tifare sempre per i magistrati, i giudici che fanno i processi ed approvare qualsiasi normativa che riguarda i mafiosi , al di là del merito. Insomma, devi metterti in tribuna e fare il tifo.
    Quindi non puoi prendere posizioni critiche: sul 41 bis, per esempio, sono di tutta evidenza ragionevoli le norme che tendono a impedire il proseguimento dell’attività criminosa dal carcere all’esterno (questo dovrebbe valere peraltro per tutti i reati),  ma perché i sottoposti a 41 bis, possono vedere i propri familiari solo per un’ora al mese in un giorno predeterminato , perché chi ha figli pre – adolescenti può avere un contatto fisico con il minore per soli 10 minuti?
    La limitazione del contatto fisico con il figlio minore tutela la collettività, o forse siamo in presenza di una inutile afflizione?
    Come si giustifica, ancora  con la tutela della collettività, la limitazione a detenere in cella libri, i limiti di acquisto di beni alimentari, il fatto che le ore d’aria sono limitate rispetto agli altri detenuti ?
    Non è forse che tali misure servono ad accontentare l’opinione pubblica, o almeno quella parte che per alcuni reati vorrebbe la pena di morte e visto che in Italia, per fortuna non c’è, almeno pretende il carcere duro?
    E come si concilia con l’art.27 della Costituzione il fatto che il 41 bis viene applicato anche a coloro che sono in stato di custodia cautelare?
    Si possono porre queste domande ed andare come ho fatto io stamattina a ricordare le vittime della strage di Via Palestro?
    Io credo di si, dobbiamo forse ricordarci tutti, che anche i peggiori reati o i più terribili fenomeni criminali, devono essere affrontati rispettando le garanzie costituzionali, che valgono per tutti, non solo per alcuni.

    (avvocato Mirko Mazzali,  capogruppo Sel del Comune di Milano)

    Ho visto i miei figli e non riuscivo a parlare, lettere dal 41 bis

  • Colpo ai blog, la Cassazione rivoluziona l’informazione online ma solo per le testate giornalistiche

     

    Le sezioni unite penali della Cassazione hanno stabilito  qualche giorno fa che le garanzie previste dalla Costituzione a tutela della stampa si applichino anche all’informazione attuata in modo professionale e diffusa in rete.

    Una simile pronuncia è rivoluzionaria sia per il tenore della decisione, sia per alcuni passaggi della motivazione. Ma mentre l’esito ci pare condivisibile, sul ragionamento che ha condotto a tale risultato nutriamo più di una perplessità. La Corte prende le mosse da un’esigenza comunemente sentita. La diversità di disciplina tra la carta stampata e online può urtare contro un certo qual senso di uguaglianza sostanziale che indurrebbe, viceversa, ad applicare ai due fenomeni, obiettivamente molto simili, medesime regole.

    Per giungere a questo risultato, però, le sezioni unite forniscono quella che ritengono essere un’interpretazione evolutiva del concetto di stampa, contenuto nell’articolo 21 della costituzione e nella stessa legge sulla stampa del 1948 , a cui non si riesce ad aderire. Secondo la Corte, tale nozione va intesa in senso ‘figurato’ e in quest’ottica corrisponderebbe esclusivamente alla stampa periodica, ovvero all’informazione giornalistica professionale, qualunque sia il mezzo con cui viene diffusa.

    Una simile presa di posizione, quasi del tutto inedita nel panorama dell’ordinamento, travolge l’interpretazione tradizionale, che riconduceva alla stampa, seguendo la lettera della definizione normativa, solo le riproduzioni effettuate con mezzi meccanici e fisico chimici destinate alla pubblicazione, senza distinzione di contenuto. A tale definizione appartenevano certamente i giornali, ma anche i volantini, i libri, i manifesti,qualunque fosse l’argomento in essi trattato, mentre ne era escluso qualunque messaggio diffuso in via telematica poiché era assente, se non altro, la moltiplicazione delle copie.

    L’indirizzo scelto dalla recente sentenza, discutibile di per sé, suggerisce ancora maggiore scetticismo se si considerano i corollari che la Corte esplicitamente ne trae. Sono conseguenze che vanno ben al di là della questione di diritto sottoposta dalla sezione remittente. In sintesi si tratta di questo: tutte le disposizioni previste dall’ordinamento per la stampa, e in particolare per quella periodica, trovano già oggi applicazione alle manifestazioni del pensiero diffuse in rete, a patto che queste ultime abbiano appunto natura giornalistica. Così il collegio sottolinea nella motivazione come sussista fin d’ora un obbligo di registrazione per le testate  telematiche presso la cancelleria del Tribunale, con la relativa commissione del reato di stampa clandestina per chi non adempie a tale obbligo. Ancora: i giornali online dovrebbero dotarsi di un direttore , a cui sarebbe praticabile l’articolo 57 del codice penale, con la relativa responsabilità colposa per omesso controllo  nel caso di reato commesso dal periodico da lui diretto . La giurisprudenza delle sezioni semplici, finora, aveva escluso simili ipotesi poiché, come acennato, la definizione di stampa non comprendeva la rete, circostanza che escludeva l’applicabilità a quest’ultima delle disposizioni incriminatrici previste per la stampa, in base al divieto di analogia in malam partem.

    Non nascondiamo un certo scoramento dopo la lettura delle motivazioni e ci permettiamo di sperare che di questo arresto, proveniente da un organo così autorevole, resti nei repertori il dispositivo più che l’apparato di argomento che lo sostiene. (Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani da ‘Il sole 24 ore’ del 22 luglio 2015)

    La sentenza della Cassazione

  • Sea, Pg Cassazione indaga Bruti, “violata la legge”

    Rischia di andarsene in pensione con un graffietto il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati il prossimo 16 novembre. Il Pg della Cassazione Pasquale Ciccolo ha fatto notificare al capo dei pm del capoluogo lombardo il capo di incolpazione, imputazione per un procedimento disciplinare, in relazione all’ormai nota vicenda del fascicolo di indagine sulla Sea, “dimenticato” per sei mesi in un cassetto prima di essere assegnato a chi di competenza, l’allora aggiunto Alfredo Robledo, nel frattempo trasferito a Torino dopo il contenzioso con Bruti.

    Il Pg Ciccolo addebita a Bruti di aver “violato la legge”, scrive di “negligenza inescusabile” in riferimento ai ritardi dell’inchiesta, “nonostante l’imminenza della gara” per l’acquisizione della società che gestisce gli aeroporti milanesi.

    Dall’ottobre del 2011, quando arrivò da Firenze l’intercettazione tra Vito Gamberale e un altro manager dove si parlava di “gara su misura” sono ormai passati quasi 4 anni. Quel fascicolo fu correttamente assegnato solo a marzo del 2012 quando ormai era impossibile svolgere indagini perchè i diretti interessati avevano saputo dai giornali delle vicende dell’inchiesta. Il Pg della Cassazione si muove adesso che i giochi non solo sembrano ma sono quasi fatti. Del resto di recente erano stati i pm di Brescia a “rimproverare” Bruti per aver operato valutazioni politiche pur assolvendolo dall’accusa di abuso d’ufficio.

    Quella del fascicolo Sea è una brutta storia per l’immagine dell’intera magistratura italiana. Adesso c’è nero su bianco che dei vincitori di concorso, pubblici funzionari, sono più che compromessi con la politica. Non ci sarà nemmeno il tempo per fare il procedimento disciplinare a carico di Bruti, causa pensionamento del procuratore capo. Bruti vince la battaglia con Robledo perché è un suo superiore gerarchico, ma i suoi comportamenti resteranno sub judice fino all’ultimo secondo della permanenza al quarto piano. Sicuramente non ci sarà il tempo di sanzionarlo. L’intera categoria togata avrebbe però di che riflettere. Il condizionale è d’obbligo, considerando come viene amministrata la giustizia nell’ex patria del diritto. (frank cimini

  • Il nuovo Palazzo della giustizia milanese: non prende il telefono e le luci sono sempre accese

     

     

    Entri nell’ufficio di un giudice e lo trovi che sventola il telefonino alla finestra. “Che succede?”. “Succede che il telefonino qui non prende, o prende quando ne ha voglia. Per cercare la rete provo a metterlo fuori”. Via San Barnaba, benvenuti nella nuova casa della giustizia milanese. Dodicimila metri quadri su quattro piani, realizzata a spese e su progetto del Comune: qui sono sbarcate per intero da qualche giorno le sezioni della giustizia civile che si occupano di famiglia e lavoro, sia per il tribunale che per la corte d’appello. Tutto bello, tutto lucido, con un’aria vagamente da aeroporto elegante (non una Malpensa, eh).

    Eppure, girando negli uffici dei magistrati, si vedono mugugni che mal si addicono a chi ha messo da poco piede in una casa nuova di zecca.

    “Non sente che freddo? Ho la punta del naso gelata che manco in un rifugio…Sto venendo in ufficio con la sciarpa di lana”, si lamenta un altro magistrato. Il fatto è che l’aria condizionata , dio solo sa quanto benedetta in questi giorni demoniaci, qui è a temperature polari e, soprattutto, non si può spegnere. Vi piaccia o meno, quello è il clima che vi dovete sorbire.

    Poi c’è la questione delle luci. Sempre accese, dalla mattina alla sera, non c’è un interruttore per spegnerle. Solo a sera cala il buio. Che, in giornate estive, non è proprio il massimo, né a livello estetico né energetico.

    Siamo nel corridoio, guardiamo il cellulare. Prende a singhiozzo, per lunghi tratti non è possibile telefonare, mandare messaggi, usare internet. Com’è stato possibile non accorgersene prima di aprire gli uffici? I lavori sono cominciati nel 2009 e si sono conclusi con qualche anno di ritardo (la fine era prevista nel 2011).

    “La verità è che non è stato neanche fatto un collaudo prima di farci entrare”, protesta un  giudice che si accorda con una collega per spedire quanto prima una lettera di protesta a chi ha trascurato questi letali dettagli.  (manuela d’alessandro)

    Nella foto la sala server del nuovo edificio cui parlammo  qui

  • Hacking Team diventa un caso nel senato Usa e l’Fbi la scarica

    L’attacco informatico ad Hacking Team (HT) con la rivelazione su wikileaks degli affari tra la società milanese e regimi totalitari come il Sudan diventa un caso nel parlamento americano.

    Il senatore repubblicano dello Iowa, Charles E. Grassley, presidente della commissione giustizia, ha presentato un’interrogazione nella quale chiede conto dei rapporti tra Fbi e Dea con l’azienda italiana, in particolare vuole sapere se le relazioni tra le due agenzie governative e HT siano avvenute in violazione della legge che proibisce di stringere affari di qualsiasi natura con il regime totalitario africano (Sudan Accountability and Divestment Act del 2007).

    Dall’interrogazione  (qui il testo) rivolta al direttore dell’Fbi, al segretario generale della Difesa e al capo della Dea, scopriamo anche che le due roccaforti  della sicurezza hanno ‘scaricato’ Hacking Team in anticipo sulla data di scadenza dei rispettivi contratti, ma, insinua Grassley, troppo tardi, quando già la collaborazione sarebbe stata proibita.

    “Le forze militari – fissa il principio – devono avere gli strumenti tecnologici per investigare su criminali e terroristi per la sicurezza pubblica, ma è importante che li acquistino da fonti responsabili, etiche e che agiscano secondo la legge”.  Per il senatore i documenti resi pubblici dalla tremenda incursione negli archivi di HT svelano che nel giugno 2014 le Nazioni Unite avevano sollecitato chiarimenti alla società sui rapporti col Sudan, ricevendone una risposta solo a gennaio 2015 quando  HT si limitò a negare di avere relazioni in quel momento col Sudan, senza fare cenno al passato.

    “Fbi, Dea e DoD (Department of Defense) – insiste l’anziano senatore dello Iowa –  avevano fatto mettere nel contratto con HT una clausola che certificasse che non aveva condotto operazioni in Sudan? E se no, perché? HT aveva garantito falsamente che non aveva rapporti col Sudan  e per questo, dopo averlo scoperto, Dea ha interrotto il contratto?”.

    Questo accade nel Campidoglio americano, mentre da noi Regione Lombardia continua a detenere senza battere ciglio il 26,03 per cento del capitale sociale di HT. Dalla Corea del Sud, intanto, arriva la notizia, battuta da Associated Press e ripresa dal New York Times (Spia corea), che dietro l’apparente suicidio di uno 007 di Seul ci sarebbe l’ombra della vicenda Hacking Team.  (manuela d’alessandro)

    hacking-team-riguarda-tutti-noi-la-nostra-liberta-la-nostra-costituzione

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

  • E’ morto l’ex procuratore Manlio Minale, per lui “il diritto e i fatti sopra ogni cosa”

    E’ morto stamattina Manlio Minale, ex procuratore generale ed ex procuratore della Repubblica di Milano. Avrebbe compiuto 75 anni ad agosto quando sarebbe dovuto andare in pensione. A maggio aveva anticipato l’addio alla magistratura con una lettera ai colleghi in cui spiegava di dover lasciare l’adorata toga un po’ prima del tempo per motivi di salute.

    Nato a Tripoli, in Libia, nel 1940, era entrato in magistratura nel 1965. Nel 1980 l’arrivo a Milano dove aveva presieduto la corte d’assise che condannò Adriano Sofri per l’omicidio Calabresi. Sempre a Milano è stato coordinatore del pool Antimafia e poi presidente del Tribunale di Sorveglianza. Nel 2003 aveva preso il posto di Gerardo D’Ambrosio alla guida  della procura, incarico ricoperto sino al 2010 quando è diventato procuratore generale.

    Lo ricordiamo col suo ultimo discorso pronunciato il 25 gennaio 2014, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario.

    Minale contro i giudici che non ricostruiscono i fatti

     

     

  • NoTav, non è terrorismo. Cassazione riboccia teorema Caselli

    Per la seconda volta la Cassazione boccia il teorema Caselli. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dei pm di Torino che chiedevano fosse riconosciuta la finalità di terrorismo per 3 militanti NoTav in relazione ai fatti del cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013. In precedenza la Cassazione aveva bocciato istanza analoga della procura torinese per altri 4 imputati.

    I pm Rinaudo e Padalino dovranno farsene una ragione. E dovrà farsela l’ex procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli nel frattempo andato in pensione. I tre imputati erano stati condannati a 2 anni e 10 mesi per l’azione, ma come per altri 4 militanti Notav era stata esclusa l’accusa più grave. Finora le decisioni dei giudici, compresi quelli della corte d’assise di Torino, hanno sempre escluso la sussistenza del teorema elaborato da Caselli, un vero e proprio professionista dell’emergenza, pronto ad agitare un fantasma del passato per regolare lo scontro sociale e politico di oggi.

    Il 14 maggio del 2013 durante la manifestazione era stato distrutto un compressore. Da lì partiva la crociata dei pm, fiancheggiata dai giornaloni, direttamente o indirettamente controllati dalle banche molto interessate al treno dell’alta velocità e poco propense a valutare la devastazione del territorio provocata dall’opera, i cui appalti sembrano gli unici onesti e trasparenti in un paese in cui le inchieste giudiziarie nascono per molto meno. E’ la ragion di stato. (frank cimini)

    No tav, condanne dimezzate rispetto a pm

    giudici, dai notav nessuna minaccia allo stato

  • Bruti: Vado in pensione. Cassazione: ok Robledo a Torino

    Nel giorno in cui la Cassazione, sezioni civili, dà l’ok al trasferimento a Torino dell’ex aggiunto Alfredo Robledo a causa degli sms scambiati con l’avvocato della Lega Nord Domenico Aiello, il capo della procura di Milano Edmondo Bruti Liberati annuncia che andrà in pensione il 16 novembre, rinunciando a prorogare l’incarico.

    Bruti e Robledo. I protagonisti dello scontro più forte mai avvenuto dentro una procura importante, dove è emerso chiaro come non mai il collegamento tra giustizia e politica. E basta leggere gli atti del contenzioso per rendersene conto. Nemmeno l’imputato eccellente per antonomasia con tutti i suoi potenti mezzi era riuscito a mettere in così grande difficoltà l’immagine e non solo quella della magistratura italiana.

    Dunque per la Cassazione era urgente il trasferimento a Torino di Robledo, al di là di quello che sarà il procedimento nel merito che in verità non è nemmeno stato avviato. Al pari quello a carico di Bruti che a questo punto non ci sarà. La ciliegina sulla torta l’aveva messa pochi giorni fa il consiglio giudiziario milanese rinviando al 22 settembre il parere sulla decisione della conferma dell’incarico di Bruti come procuratore capo. Tomo tomo cacchio cacchio Bruti va via senza rischiare di pagare dazio per aver “dimenticato” per 6 mesi nel cassetto un fascicolo. Non si trattava di un incidente stradale, ma della gara d’asta per la Sea, una delle più importanti aziende italiane, dove era lambita la giunta di centrosinistra del capoluogo lombardo.

    Ha pagato alla fine solo l’anello più debole, Robledo, schiacciato dal ruolo gerarchico di Bruti che come fondatore di Md era per l’organizzazione orizzontale contro i vertici. E che nella guerra interna ha avuto il sostegno importante di Giorgio Napolitano dal Quirinale il quale spesso ha fatto riferimento proprio ai poteri di cui dispongono i capi degli uffici inquirenti. Si chiude, si fa per dire, così una bruttissima pagina della storia della magistratura. Indipendenza? Autonomia? E da chi? Da questa vicenda è emerso che i politici con tutte le loro gravissime colpe non sono certo i peggiori nell’ex patria del diritto. Da tempo ormai è tutto al rovescio (frank cimini)

  • Hacking Team riguarda tutti noi, la nostra libertà, la nostra costituzione

     

    Hacking Team riguarda tutti noi, la nostra libertà, le nostre garanzie, il nostro stato di diritto. La lettura dei 4 gigabyte visibili su wikileaks dopo essere stati sottratti da ignoti alla società milanese che vende software di sorveglianza a governi di tutto il mondo  da’ i brividi. E non per la paura che i terroristi possano avere scoperto chissà quali segreti ma perché per la prima volta è evidente anche ai profani come strumenti informatici di questo tipo vengano usati dalle forze dell’ordine e dalla Procure italiane in modo molto, troppo disinvolto e fuori da regole precise. (L’attacco ad Hacking Team)

    In teoria, avete la garanzia di venire intercettati solo se un giudice lo ritenga indispensabile per verificare dei sospetti su di voi.  Ecco, scordatevi questa garanzia perché molte Procure si affidano, come emerge dalla mail pubblicate da wikileaks, a tecnologie gestite da privati che sono in grado di inoculare un virus nel vostro pc, leggere le vostre mail, presentarsi a un appuntamento che avete fissato con qualcuno via chat o  posta elettronica, sapere dove vi trovavate in un preciso momento.  Tutto senza che sia necessario il provvedimento di un gip dal momento che ancora non si è stabilita l’esatta natura giuridica dei trojan di stato, programmi per pc simili ai virus che si comportano come un ‘cavallo di Troia’ nel computer dell’ignaro sospettato per succhiarne tutte le informazioni. Anche a Milano, dove pure le polizie giudiziarie sono molto più preparate della media nazionale e non c’è bisogno di affidarsi a esterni come Hacking Team,  è in corso da tempo una discussione tra i magistrati  sulla natura giuridica di queste potenti armi investigative. Alcuni le considerano perquisizioni e sequestri e per questo  le può utilizzare in autonomia la polizia giudiziaria avvalendosi o meno di società come hacking team. In questo caso, la pg dovrà darne comunicazione solo in un momento successivo al pm o potrebbe anche non farlo,  mettendo in cantiere dati preziosi sul sospettato non ancora indagato. Per un’altra parte della dottrina e della giurisprudenza vanno considerate intercettazioni vere e proprie e quindi ci vuole l’ok del gip alla richiesta dell’accusa (articolo 15 della Costituzione).  In attesa che si faccia chiarezza,  la situazione attuale è che un privato, magari in affari col Sudan come Hacking Team, può sguazzare indisturbato nel vostro mare informatico, oppure lo può fare un più o meno valido poliziotto senza che un giudice ci abbia messo becco. O, peggio ancora, un investigatore che vi volesse male potrebbe mettervi file pedopornografici nel pc a vostra insaputa. A Milano negli ultimi mesi si sono svolti due incontri tra magistrati sul tema dei trojan di Stato a cui gli avvocati, fatto inedito, non sono stati ammessi come uditori, tanto per sottolineare la delicatezza del tema. Fa impressione, almeno a un lettore neofita che per la prima volta grazie a wikileaks può vedere come funzionano questi sistemi, vedere la disinvoltura con la quale colonnelli del Ros o della Guardia di Finanza discutano e chiedano consigli a David Vincenzetti, ad di Hacking Team, geniale professionista ma non uomo delle istituzioni, su come condurre le indagini.  Sapere che la maggior parte delle polizie giudiziarie italiane si  affida mani e piedi a questi strumenti fa venir voglia di spegnere il pc, anche se, come si dice in questi casi, non si ha nulla da temere. (manuela d’alessandro)

  • L’interrogatorio di Marianna, uccidere in Siria è il dovere di un musulmano

     

    “Lo vuole il Profeta, la mia religione è questo”. Il senso dell’interrogatorio di Marianna Sergio sta tutto qua. Che sia il vero Islam quello che predica la guerra santa, per cui un mostro come il terrorista Abu Bakr Al Baghdadi si può far passare per autentico interprete del Corano, che sia una religione quella secondo cui i presunti adulteri debbano essere lapidati a morte (la sorella di Marianna, Maria Giulia, ne ride in una conversazione su Skype come se fosse un fatto ineluttabile e divertente al tempo stesso), pare nient’altro che il pensiero di un’invasata, almeno a chi scrive. Qui però ci si limita a riferire che Marianna, aspirante jihadista e sorella di Maria Giulia ‘Fatima’, già divenuta militante del cosiddetto califfato di Siria e Iraq, ne è fermamente convinta.

    Nell’interrogatorio reso a San Vittore davanti al pm Paola Pirotta e al procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, la ragazza parla proprio di questo. Andare in Siria e unirsi alle fila dell’Isis insieme a Fatima, avrebbe affermato Marianna, era la cosa giusta da fare. Per fortuna la Digos e la magistratura sono intervenute in tempo. “Lì c’è la guerra”, ovvio che si combatta e uccida. Non lo fanno le donne perché non è previsto, avrebbe spiegato la ragazza, ma gli uomini, se veri musulmani, nell’uccidere un infedele compiono il loro dovere. Non usa mai il termine ‘eroina’, riferendosi alla sorella Maria Giulia che il suo viaggio verso il califfato l’ha portato a termine, ma ne parla in termine elogiativi.

    Anche la zia del marito di Maria Giulia, Anila, è stata interrogata dagli inquirenti, e in settimana toccherà anche ai genitori delle due sorelle. Nell’interrogatorio di garanzia davanti al gip Ambrogio Moccia si erano avvalsi della facoltà di non rispondere, salvo per poche dichiarazioni spontanee del padre delle ragazze, Sergio Sergio, ritenute non particolarmente utili dagli investigatori.

  • Bruti-Robledo, l’omertà nel dna di csm e consiglio locale

    L’ultima notizia sta nell’ennesimo rinvio. Da parte del consiglio giudiziario, il Csm locale, al 22 settembre per esprimere il parere sulla conferma di Edmondo Bruti Liberati come capo della procura di Milano. Parere da inviare al Csm, che nonostante l’annuncio del pg della Cassazione al momento della richiesta di trasferimento dell’aggiunto Alfredo Robledo a Torino, non ha compiuto un atto che sia uno del procedimento disciplinare a carico di Bruti. E nemmeno in relazione all’iter del procedimento a carico di Robledo, la vicenda del quale sembra in pratica chiusa con la misura cautelare con destinazione Torino.

    Tutto ciò accade dopo che i pm di Brescia, nel chiedere l’archiviazione dell’abuso d’ufficio a carico di Bruti, avevano “rimproverato” il capo della procura per valutazioni squisitamente politiche in riferimento sia al fascicolo Sea dimenticato per 6 mesi un cassetto e assegnato a Robledo solo quando ormai era impossibile fare indagini sia all’archiviazione del primo esposto dei radicali per le firme false del partito di Formigoni.

    Insomma, stiamo parlando di comportamenti omertosi, perché da Brescia era chiara l’indicazione della valutazione disciplinare in sede di archiviazione penale. Ci sono dei magistrati che accusano un loro autorevole collega di aver agito in base alla politica e non accade nulla. E’ ridicolo sciacquarsi la bocca con i nomi di Falcone e Borsellino a ogni occasione per poi silenziare oltre limite una storia scabrosa dove finora ha pagato solo uno dei due protagonisti, quello che ricopriva il ruolo meno importante dal punto di vista gerarchico.

    E come se non bastasse Bruti potrebbe chiedere la proroga dell’incarico in deroga alla norma che fissa il pensionamento a 70 anni. Con i tempi delle decisioni di Csm e consiglio locale evidentemente se lo può permettere. Ma non c’è bisogno di un eccessivo spirito critico per concludere che l’indipendenza della magistratura è ormai una barzelletta. Senza dimenticare la moratoria delle indagini su Expo a evento in corso che manda tanti saluti pure all’esercizio obbligatorio dell’azione penale, altro principio buono per essere sbandierato in convegni e comunicati. Al pari dei nomi dei magistrati uccisi dalla mafia (frank cimini)

    ps a ottobre il consiglio giudiziario, dopo innumerevoli rinvii, ha pronunciato il ‘non luogo a provvedere’ sul parere per la conferma di Bruti Liberati. La decisione è stata motivata col fatto che il procuratore ha annunciato di andare in pensione il 16 novembre e il parere sarebbe ormai superfluo.

  • Belén testimone nel processo ai vip posta foto in bikini da Ibiza

    Fermi tutti, rinviate l’udienza, la teste non è a Milano. “Impegni all’estero”. E ci mancherebbe, quando uno ha da fare fuori dall’Italia mica lo si fa tornare in fretta e furia per testimoniare. Certo, se poi il processo si tiene nel caldo afoso del Tribunale di Milano un 10 luglio, non è che ci si possa aspettare la coda di testimoni davanti all’aula del dibattimento. Insomma, Belén Rodrìguez c’ha da fare, è in vacanza a Ibiza con la sorella e altre amiche. Solo il giudice ha avuto bisogno di una comunicazione da parte di un avvocato, ma del resto non è certo tenuto a seguire Instagram, piattaforma su cui la showgirl ha implicitamente comunicato ai suoi numerosi fan che non sarebbe stata a Milano, con una serie di fotografie culminate, nel corso del fine settimana, in questi scatti.

    Già il processo è quello che è. Si parla di diffamazione per alcune puntate del programma ‘Le Iene’ che mettevano in dubbio la veridicità di diversi articoli comparsi sui settimanali del gruppo Cairo ‘Nuovo’ e ‘Diva e Donna’. Roba da investire la Consulta, la Corte europea per i diritti umani e se necessario il tribunale dell’Aja. Tra gli imputati, l’ex direttore di Italia 1, Luca Tiraboschi, l’autore e regista delle ‘Iene’ Davide Parenti, il giornalista Filippo Roma, le showgirl Elenoire Casalegno e Vanessa Incontrada e i cantanti Gigi D’Alessio e Anna Tatangelo (le loro canzoni non sono citate nel capo d’imputazione), tutti accusati di diffamazione. Una di quelle cose per cui in un paese normale ci si parla tra avvocati, si transa, non si transa, ma non si intasa un tribunale.

    Insomma, per venerdì scorso uno dei legali della difesa aveva citato la starlette argentina. Ma lei era alle Baleari, in vacanza. Chissà se, arrivato a casa, il giudice si è iscritto a Instagram. Chissà se ha sognato l’imminente sospensione feriale delle udienze. Chissà se ha pensato ‘beata Belén’.

    La pagina Istagram di Belén Rodríguez

  • Dal barbiere alle braghette, Formigoni – Crozza show in aula

    Dichiarazioni spontanee rese dall’ex Governatore lombardo nel processo Maugeri in cui risponde di associazione a delinquere e corruzione. “E’ Maurizio Crozza o Roberto Formigoni?”.

    Io e il parrucchiere

    “Quando ero presidente, non riuscivo neanche a pagare il caffè al bar e neppure il parrucchiere che mi diceva ‘lei basta che venga qui e mi fa pubblicità’. Infatti in Regione tutti avevano preso il gusto di andare dove andava Formigoni.

    A casa in braghette

    “Presidente, mi permetta di dire con orgoglio che il mio impegno per la Regione era pienissimo. Uscivo di casa alle otto del mattino e tornavo alle dieci – undici alla sera. I primi tempi mi divertivo a lavorare anche alla domenica. Quando ero a casa, guardavo la televisione in braghette, ascoltavo la musica che tanto mi piace, mi rilassavo”.

    Milioni di milioni

    “Era più che naturale che milioni di persone potessero dire di avermi conosciuto e incontrato” (a proposito della data incerta in cui incontrò Pierangelo Daccò).

    Stessa spiaggia, nuova fiamma  

    “La Procura dice che avevo l’uso ‘esclusivo’ della barca di Daccò. Per dimostrare che non era così basterebbe guardare le riviste di gossip che tutti gli anni mi attribuivano una fiamma diversa pubblicando le mie foto in barca. E chi erano? Il primo anno una figlia di Daccò, il secondo una fanciulla più o meno avvenente e poi altre”.

    La crema di bellezza

    “Preciso che quella non era una crema di bellezza ma serviva per curare un’irritazione cutanea molto profonda al volto e allora siccome a Milano non si trovava l’avevo fatto arrivare da fuori”. (A proposito di un’intercettazione in cui Formigoni chiede al suo segretario: “Allora è possibile recuperarla da Chenot? Tieni presente che eventualmente lì possiamo madare l’autista. Ne ho bisogno entro lunedì al massimo”).

    Non vivevo d’aria

    “Si è insinuato che io viva d’aria. Io versavo alla mia casa dove risiedo coi memores domini dai 50mila ai 70mila euro all’anno. Era un versamento unico che serviva per l’affitto, la manutenzione, per pagare la colf”.

     Un antipasto qua, un prosciutto là

    “La Procura parla di cene da settemila euro spesi da Daccò nell’interesse di Formigoni. In realtà, Daccò organizzava le cene nell’interesse di Daccò. La mia segretaria mi diceva ‘C’è una cena da Daccò’ e se potevo passavo. Avevo tre quattro inviti a cena la sera, magari mangiavo un antipasto da una parte e il prosciutto dall’altra”.

    Alle cene andavo perché si mangiava bene

    “Alle cene c’era gente che trovava comodo parlarmi invece di fare la fila in Regione. Io a quelle cene, da Sadler o in altri ristoranti, andavo solo perché si mangiava bene”.

    Silenzio ai Caraibi

    “Cinque giorni dopo la delibera sono andato ai Caraibi con Daccò e con lui non è stata detta neanche una parola su quella delibera. Un conto sono i rapporti personali anche di amicizia e solidarietà, un conto è la funzione  di amministrazione pubblico”.

    Voi date i numeri    

    “La Procura ha calcolato le utilità che avrei ricevuto. Erano 8 milioni, poi all’inizio del processo sono diventati 49 milioni, infine 61. Vorrei capire la cifra esatta che mi viene contestata. (…) Quelle che la Procura chiama utilità per me sono scambi tra persone che sono amici. L’accusa sostiene che avrei cominciato a percepirle dieci anni dopo aver cominciato a favorire la Maugeri e cominciato la mia attività delinquenziale. Per la Procura Formigoni è così abile a manipolare le coscienze degli assessori che si espone al rischio di delinquere per dieci anni senza vantaggi, ma Presidente, come lei sa la politica è instabile e se uno deve avere dei vantaggi li vuole subito, poi magari non ti rieleggono”.

    Scontrini tra amici

    “Daccò non mi ha mai presentato il conto, entrambi godevamo della compagnia tra amici. Ma tra amici ci si sambiano scontrini e ricevute? Ecco la chiave del rapporto tra me e Daccò: siamo diventati amici e ci siamo comportati da amici, nessuno calcolava il valore di quello che uno dava all’altro. Un rapporto di amicizia è la tipica cosa in cui non ci sono calcoli, è gratuita”.

    Motoscafino

    “Tra l’altro anche Simone ha il suo motoscafino” (parlando degli yacht di Daccò, Formigoni ricorda che anche l’ex assessore lombardo Antonio Simone aveva la sua piccola imbarcazione).

    (manuela d’alessandro)

     

  • Ruby non parla ai pm
    Ma leggetevi le domande…

    E all’improvviso, Ruby non parla più. Vi ricordate la scenetta di Karima El Marough sullo scalone del palazzo di giustizia mentre mostra il suo passaporto alle telecamere? E l’intervista al programma di Santoro? Naturalmente, i processi sono un’altra cosa. Qualunque affermazione uno faccia in aula ha un peso molto diverso da quello che avrebbe di fronte a una telecamera. E Ruby, anche in aula di cose ne ha dette, con la sua deposizione fiume davanti ai giudici che processavano Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti.

    Ora però, nell’indagine ‘ter’, davanti ai pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio, preferisce non rispondere alle domande degli inquirenti. I quali ci provano comunque a raccogliere le sue dichiarazioni e non si accontentano di un semplice “mi avvalgo della facoltà di non rispondere”: ne raccolgono infatti ben nove. Loro domandano, mettono la giovane marocchina davanti a una serie di elementi accusatori e lei quasi meccanicamente risponde: “Mi avvalgo”.

    L’interesse di questo verbale sta allora nelle domande, e non nelle risposte. Vale la pena dargli un’occhiata. Qui sotto.

     

    prosegue