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  • Accusato di corruzione, perché Andrea Camporese deve lasciare l’Inpgi

    Andrea Camporese, il ‘custode’ delle pensioni dei giornalisti, si dice “sgomento” perché nell’avviso di chiusura delle indagini sul crac di Sopaf (avviso 415 bis(1) che gli ha notificato la Procura di Milano viene accusato anche di corruzione, oltre che di truffa come già noto. Il presidente dell’Inpgi avrebbe ricevuto 200mila euro per favorire la società Adenium, controllata da Sopaf, danneggiando per sette milioni di euro l’ente previdenziale dei giornalisti attraverso l’acquisto di azioni a un prezzo superiore a quello di mercato.

    Il suo “sgomento” di fronte ad accuse ritenute ingiuste è comprensibile, meno l’invocazione alla “gogna mediatica”, al massimo potrebbe prendersela con la magistratura che lo accusa di reati gravi, non coi colleghi che riportano gli esiti di un’indagine.

    In attesa che un Tribunale valuti la fondatezza dei reati, Andrea Camporese non può restare alla guida dell’Inpgi per due ragioni. La prima è che chi ha affidato il suo futuro a un ente previdenziale deve avere la certezza, e non solo la presunzione, di un amministratore onesto; la seconda è perché ha ricevuto 25mila euro all’anno per due anni per aver fatto parte del comitato consultivo di Adenium, un incarico di solito non retribuito. Per elementari ragioni di opportunità, chi ricopre una posizione di garanzia non dovrebbe mettersi in situazioni di conflitto d’interesse. (manuela d’alessandro)

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  • Taranto aspetta la rinascita ma le figlie di Riva bloccano il miliardo salva Ilva in Svizzera

    Con un ricorso al Tribunale Federale di Bellinzona, le figlie di Emilio Riva bloccano il rientro dalla Svizzera all’Italia del miliardo e 200 milioni, presunto frutto di reati, che dovrebbe alleggerire le pene della fabbrica tarantina in base al decreto ‘salva – Ilva’. (reuters – da gip ok a sblocco)

    Fanno i loro interessi, certo, convinte che quel denaro, sequestrato nell’ambito di un’indagine della Procura di Milano in cui si ipotizzano le accuse di truffa ai danni dello stato e trasferimento fittizio dei beni, sia cosa loro. E sfruttano i varchi giuridici nell’ordinamento della Svizzera, paese che, pur con qualche resistenza, il 19 giugno ha comunque detto sì alla magistratura italiana che chiedeva di ‘scongelare’ i soldi dai conti Ubs e metterli a disposizione del Commissario starordinario Piero Gnudi. Eppure resta una certa amarezza nel constatare l’accanimento con cui le eredi di Emilio, l’ex ‘re’ dell’Ilva morto più di un anno fa ma prima annientato dalle inchieste giudiziarie, non vogliano aiutare il disgraziato stabilimento che fu di famiglia. Le due donne hanno rinunciato all’eredità del padre in Italia e non è difficile pensare che l’abbiano deciso per non andare incontro alle pretese risarcitorie dei creditori e dei danneggiati dalla crisi dell’azienda.  Ora si danno da fare per evitare la migrazione di soldi che ritengono loro mentre Taranto aspetta come l’oro quel denaro. Nei prossimi giorni il Tribunale di Bellinzona, che per adesso si è limitato a sospendere il rimpatrio del miliardo e 200 milioni, deciderà nel merito sul suo destino. (manuela d’alessandro)

  • Processi rinviati per caldo, Flegetonte manda in tilt il Tribunale

    Processo rinviato per caldo. Nella camera di fuoco della quarta sezione penale del Tribunale di Milano, sprovvista di aria condizionata, il giudice Monica Amicone spiega agli avvocati che si sventagliano con ogni mezzo a disposizione l’impossibilità di celebrare l’udienza del processo Tronchetti vs De Benedetti (il-vuoto-di-memoria-di-de-benedetti-al-processo-contro-tronchetti).

    Era già stata costretta a rinviare l’udienza precedente a quella del processo in cui il presidente di Pirelli è imputato per diffamazione perché per 4 volte si era verificato un black out dovuto ai condizionatori sparati a mille nel Tribunale che avevano fatto saltare l’impianto elettrico.

    “Mi scuso, ma non ci sono le condizioni per andare avanti – dice il magistrato prima di far suonare la campanella anticipata – è già stato un miracolo arrrivare sin qui con la registrazione”.  Oggi era in programma la requisitoria del pm Mauro Clerici, assente, ma il processo è saltato non perché il magistrato (sostituito da un altro) non c’era ma per i danni provocati da Flegetonte. Che, oltre a essere il nome dell’anticiclone colpevole dei bollori di questo spicchio d’estate, viene descritto nella mitologia anche come una divinità che aiuta Minosse nel giudizio delle anime. Oggi non ne aveva proprio voglia.  (manuela d’alessandro)

  • 10 anni dopo prescritte le corna di Paolini a Fede

    Prima che il giudice dichiari prescritte le corna a Emilio Fede, Gabriele Paolini si confronta sui numeri da giocare al lotto con la mamma 81enne, una donna molto elegante che vuole presentarci. “Bella, eh? Faceva la cantante lirica”.

    Non sono bastati 10 anni alla giustizia per capire se il disturbatore della tv diffamò l’allora direttore del tg4  urlandogli in diretta “Sei un cornuto”.  I giudici della Corte d’Appello di Milano ‘cancellano’ la condanna a sei mesi di carcere inflitta nel 2008 e pronunciano una sentenza di non doversi procedere per prescrizione. Paolini alza il pantalone e mostra il braccialetto elettronico: “In questo periodo penso molto e ho pensato che i domiciliari sono giustissimi”. E’ accusato davanti al Tribunale di Roma di avere abusato di cinque minorenni adescandoli tramite internet. La prossima udienza è prevista per il 7 luglio. “Io D. (una dellle presunte vittime, ndr) lo amavo anche se aveva 17 anni e un mese. Vivo solo in attesa del 7 luglio quando lui verrà in aula e dovrà confermare quello che aveva detto subito dopo il mio arresto, cioè che mi amava. Ho già tentato il suicidio una volta, non so cosa potrà succedere il 7 luglio”.

    E da grande cosa farà Paolini che per anni ha saltellato sul piccolo schermo molestando giornalisti (memorabile il calcio che gli sferrò Paolo Frajese)? “Ho grandi progetti. Per adesso ci sono miei validi emuli, come Mauro Fortini. E comunque ora ve lo posso dire: mi comportavo così per urlare al mondo che non mi capiva il mio dolore”. (m.d’a.)

     

  • Ruby e quell’intervista da Michele Santoro
    Fabrizio Corona, gliela feci fare io, pagata

    Ma quindi Michele Santoro ha pagato per intervistare Ruby?

    “Ho fatto fare a Ruby un’intervista”, racconta l’ex coordinatore di paparazzi Fabrizio Corona, sentito come testimone dai pm che indagano sul caso Ruby ter a marzo scorso (ve lo avevamo anticipato qui).

    Dice Corona, a proposito dell’intervista e di Karima el Marough: “Era molto attaccata ai soldi, volle esser pagata prima. Era nel 2012. Le feci fare l’intervista per Santoro in cui per la prima volta parlò di Berlusconi. Tra il 2011 e il 2012 Ruby avrà fatto una decina di serate nei locali guadagnando al massimo 5mila euro a serata. Nel 2013 e 2014 non ha più fatto serate”. Millanterie di Corona, non nuovo alle sparate ma sotto obbligo di giuramento da testimone, oppure Annozero ha davvero scucito del denaro per intervistare la nota Rubacuori?

    Qui l’intervista di Annozero a Ruby. Effettivamente è del 2012.

    Qui invece il verbale di Fabrizio Corona.

  • Le molliche di pane per la rondine prigioniera del Tribunale

     

     

    “Era bellissima”. Quando l’hanno vista volare, gli impiegati dell’ufficio ‘Ritiro copie’ sono stati trafitti da un raggio di bellezza. Poi lei si è infilata in una crepa dello stanco Palazzo di Giustizia, dove il muro aveva ceduto, in un punto troppo alto per aiutarla a scendere. Sono rimasti col naso all’insù a scrutare ogni piccola oscillazione nel nido di cemento. Hanno chiamato i vigili del fuoco e quando sono arrivati lei è uscita a tradimento, volava e rimbalzava contro le vetrate del terzo piano. Carcere a vita. I vigili se ne sono andati come i medici che dicono che non c’è più nulla da fare. Era venerdì e loro  hanno deciso di lasciarle una fila di molliche di pane sul davanzale con a fianco un cartello destinato a chi vuole mettere sempre tutto in ordine. “Si prega di non buttare  niente. C’è una rondine che non riesce a uscire dal Palazzo”. Da allora non l’hanno più vista. Oggi qualcuno diceva: “C’è una cosa nera nel buco. E’ lei, è morta”. (manuela d’alessandro)

  • Presunto basista assolto per via Palestro, per la prima volta Spatuzza smentito

    E’ la prima volta che una sentenza di merito da’ torto al collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, l’ex mafioso di Brancaccio le cui rivelazioni hanno riscritto la storia dell’attentato al giudice Paolo Borsellino e di molti altri capitoli firmati da Cosa Nostra.  La Corte d’Assise di Milano, presieduta da Guido Piffer, ha assolto per non aver commesso il fatto Filippo Marcello Tutino dall’accusa di strage per essere stato quasi 22 anni fa il basista della strage di via Palestro. L’indagine che aveva portato a un mandato di arresto a suo carico nel 2014 firmato dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dal pm Paolo Storari era scaturita dalle rivelazioni del pentito, autoproclamatosi “autore di oltre 40 omicidi”, il quale aveva identificato Tutino come l’uomo che prelevò Spatuzza assieme a Francesco Giuliano alla stazione di Milano, partecipò al furto della Fiat Uno e poi la imbottì di esplosivo.

    “Nel merito è la prima volta che Spatuzza viene smentito”,  spiega l’avvocato Flavio Sinatra che ha difeso Tutino, in passato legato al clan dei Graviano. “In un’altra occasione, la Cassazione aveva annullato senza rinvio la condanna all’ergastolo per la strage di via dei Georgofili inflitta al boss Francesco Tagliavia, accusato da Spatuzza”.

    In attesa delle motivazioni, è evidente che i giudici non hanno ritenuto riscontrate, diversamente da quanto sostenuto dal pm Storari, che si è battuto con toni molto accesi con l’avvocato Sinatra, le affermazioni ribadite da Spatuzza anche in aula. Il difensore aveva sottolineato la stranezza per Cosa Nostra di affidarsi per un incarico così delicato a un uomo considerato “instabile” e “inaffidabile” dai Graviano che lo avevano cacciato da Palermo e trasferito a Milano per la sua indisciplina. “Finalmente qualcuno mi ha creduto”, ha detto Tutino, per il quale era stato chiesto l’ergastolo, al suo avvocato. L’imputato ha voluto assistere alla sentenza in videocollegamento dal carcere di Opera dove è detenuto per altre vicende, fiducioso in un verdetto a lui favorevole. (manuela d’alessandro)

    Via Palestro, le scuse di Spatuzza a Milano

     

     

     

  • Poliziotto eroe salva ristoratore dalle fiamme
    Si ritrova sotto accusa per averlo insultato

    Ha salvato una vita mettendo seriamente in pericolo la propria. Per spegnere le fiamme innescate per protesta da un ristoratore in crisi, ha preso fuoco. Un atto di coraggio avvenuto un anno fa a Monza. Il gesto non gli evitato un’indagine penale innescata proprio da quell’episodio. Di più, assurdo nell’assurdo: l’inchiesta è nata dalla denuncia presentata dall’uomo salvato dalle fiamme grazie al suo intervento.

    A fine febbraio 2014, Carlo De Gaetano, ristoratore, si dà fuoco per protestare contro la costruzione di barriere anti r  umore davanti al suo ristorante in viale Lombardia, a Monza. Cosparge di benzina una coperta, accende e ci sale sopra. Intervengono il comandante della polizia stradale di Seregno, Gabriele Fersini, e un agente, Lorenzo Lucarini, che nel tentativo di fermarlo rimangono a loro volta avvolti dalle fiamme. La scena è terrificante, come mostrano queste immagini: www.youtube.com/watch?v=GEJT0bmjDww

    Fersini e Lucarini se la cavano, ma con lesioni serie. Nella concitazione del momento, con il corpo ustionato, il comandante della Stradale pronuncia una frase rabbiosa nei confronti di De Gaetano: “Mettete le manette a quel c.”. Bene, qualche giorno dopo De Gaetano denuncia Fersini e Lucarini per ingiuria, minacce e violenza. Il pm di Monza Giulia Rizzi apre un fascicolo come “atto dovuto” e per non tralasciare nulla al caso, a settembre scorso interroga i due agenti, come prevede la norma, con un avvocato. Nei mesi scorsi, chiede poi l’archiviazione dell’inchiesta. Per l’agente Fersini si è trattato comunque di uno choc ulteriore. “Siamo abituati a stare dall’altra parte del tavolo, abbiamo messo a repentaglio la nostra vita per salvarne un’altra, ritrovarci formalmente sotto accusa è stato durissimo”, ci racconta. Il tutto mentre veniva proposta la promozione dei due agenti per meriti speciali.

    Nel frattempo, un’altra inchiesta andava avanti, quella a carico dell’autore del gesto incendiario. Il 20 febbraio 2016 De Gaetano sarà giudicato a Monza per tentato omicidio nei confronti di Lucarini e di lesioni gravissime ai danni di Fersini. “Se dovessi ricevere anche un solo euro lo darò in beneficienza ma porterò anche a cena i miei figli. A loro avevo detto che uscivo di casa e che sarei tornato nel giro di mezz’ora. Invece a casa mi hanno rivisto solo dopo 9 giorni di ospedale”.

  • Perché Adriano Sofri non è considerato una ‘persona normale’

    Colpevole o innocente che fosse, a Adriano Sofri non basta aver scontato la pena e pagato il suo conto con la giustizia per essere trattato come una persona normale. Ad altri protagonisti di quel tentativo di rivoluzione fallita è andata anche peggio, molto peggio, ma ciò non deve impedire la critica più radicale possibile contro la gazzarra reazionaria e forcaiola scatenata contro l’ex leader di Lotta Continua da uno schieramento che va da ‘Il Giornale’ al ‘Fatto Quotidiano’.

    A Sofri si chiedeva semplicemente di interloquire in tema di riforma penitenziaria, lo stesso dove negli anni lui aveva dato un contributo rilevante anche a livello scientifico con varie pubblicazioni e interventi. S’è scatenato una sorta di diluvio universale e Sofri ha deciso di rinunciare a partecipare a una riunione in cui avrebbe espresso il suo pensiero.

    E’ la conferma, questa storia, di un paese pieno di garantisti ma a senso unico, ognuno solo per i suoi amici. E’ la conferma, questa storia, di un problema irrisolto. Se la Germania fatica ancora a fare i conti con il nazismo e gli Usa con il Vietnam, l’Italia ha sempre un nodo irrisolto che la politica non ha voluto sciogliere avviando una riflessione seria e profonda sulle ragioni per cui tanti anni fa in migliaia presero le armi per dare l’assalto al cielo. La politica allora delegò tutto ai pm e ai giudici e poi non ha voluto più interessarsene. Per cui ogni due per tre quella storia ritorna. E puntualmente si ritirano fuori le offese alle vittime, ai loro parenti, come se fossimo in una repubblica islamica.

    E dentro quella storia, che di recente Rai Uno ha usato per santificare il commissario Calabresi, ce n’è un’altra dove è inutile aspettare una risposta a una domanda, a meno di non voler credere che sia stato il freddo, era il 15 di dicembre dopotutto, a uccidere Pino Pinelli in questura. La “giustizia” ci ha detto chi uccise il commissario, ma non ci dirà mai come morì l’anarchico fermato e trattenuto illegalmente. Due pesi e due misure con cui siamo costretti a fare i conti ancora oggi. E a Sofri è impedito di dire la sua su cos’è il carcere nel 2015. Perché puntuali si scatenano gli anatemi, “terrorismo”, “anni di piombo”. Viene in mente la vignetta di Altan: “Sono finiti gli anni di piombo… tornano i vecchi familiari anni di m….” (frank cimini)

  • Aula bunker di Opera incompiuta da 19 anni, indaga la Corte dei Conti

     

    E infine è arrivata la Corte dei Conti a indagare sull’aula bunker del carcere di Opera in costruzione da 19 anni e non ancora ultimata. In questa storia di giganteschi ritardi anche la magistratura contabile, nel suo piccolo, ha tentennato prima di aprire un fascicolo per appurare se la collettività abbia subito danni.

    Mesi fa la Procura Generale aveva presentato un esposto alla Corte dei Conti che ora ipotizza il reato di ‘danno erariale da opera incompiuta’.  Forse non è ancora troppo tardi per spiegare come diversi milioni di euro siano stati investiti in un cantiere senza fine per realizzare un mostro di cemento  attaccato a una delle carceri più grandi in Italia. Soldi e risorse inghiottiti in un progetto più volte cambiato in corso destinato a ospitare maxi processi molto meno frequenti rispetto al remoto 1996, anno in cui la struttura  venne concepita.  La Procura Generale aveva inviato un dossier anche alla Procura che, almeno stando a quanto a noi noto, sembra non avere ancora avviato accertamenti. Del resto, se reati vi fossero, sarebbero con ogni probabilità già prscritti.

    Un nostro sopralluogo a marzo aveva svelato un cantiere fatiscente, il cui aspetto più desolante erano le gabbie in cui i detenuti dovrebbero attendere le udienze, in violazione se non della Convenzione di Ginevra almeno della dignità: sotto il livello del suolo, in una bolgia oscura senza finestre. Erano ancora indietro anche i lavori per le stanze che dovrebbero ospitare di notte i magistrati durante le camere di consiglio, loculi, alcuni dei quali senza finestre e bagno, dove difficilmente le toghe vorranno riposare per meditare sulle sentenze.

    Il Provveditore regionale alle opere pubbliche, Pietro Baratono, ci aveva assicurato che  a luglio l’opera sarebbe stata consegnata alla giustizia milanese. Vigileremo. (manuela d’alessandro)

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  • Perché l’omicidio stradale è un finto reato colposo d’ispirazione forcaiola

    C’è da augurarsi, ma se ne dubita, visto il “clima” pesantemente forcaiolo che da tempo incombe presso una opinione pubblica che sembra avere eletto il carcere a nuova icona della democrazia e del diritto, che il testo appena licenziato dalla Commissione per la introduzione di quel “nuovo” reato di omicidio stradale, da molti invocato, venga se non in tutto, almeno in parte adeguato a più miti consigli. Se venisse, infatti, approvato così come si legge oggi, le conseguenze sarebbero a dir poco opinabili.

    Una pena fino a 12 anni di carcere per quello che resta pur sempre un delitto colposo, e quindi non voluto, sia per chi provoca un incidente mortale in stato di “media” ebrezza (che significa da 0,8 a 1,5 per riferirci ai tre valori indicati secondo tabella all’art. 186 del noto Decreto 30.04.92 n. 285), sia per chi, benchè sobrio, abbia superato i 70 km in un centro urbano, e sia infine per chi, benchè sobrio e veloce il giusto abbia effettuato una “inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi” ovvero un “sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua”  (perché poi quel richiamo iniziale al “la stessa pena” non è chiaro se si riferisca alla ipotesi attenuata che sarebbe pur sempre da 7 a 10 anni oppure a quella ‘standard’). Pena ulteriormente aumentabile in caso di fuga e in caso di ulteriore persona coinvolta nel sinistro, leggendosi, quale unico finale calmiere sanzionatorio, il fatto che “in ogni caso la pena non può superare gli anni 18”. Non bastasse è espressamente previsto il divieto per il giudice di contemperare la pena con le circostanze attenuanti e anche in caso di patteggiamento la revoca della patente non più riottenibile se non 15 anni dopo nei casi meno gravi. A ciò si aggiunge ovviamente l’arresto obbligatorio in flagranza e l’allungamento dei termini prescrizionali. A questo punto sarebbe stato meno ipocrita introdurre tout court l’omicidio stradale tra le ipotesi “speciali” di omicidio volontario, sul presupposto, già applicato da taluna giurisprudenza minoritaria, del cosiddetto dolo eventuale che vorrebbe che chi guida senza prudenza un mezzo pericoloso finisca con l’accettare il rischio di provocare la altrui morte. Peccato che se così fosse, ed è qui la fallacia del ragionamento giuridico, dovrebbe ritenersi che il conducente imprudente abbia messo in conto anche la propria di morte, giacchè le conseguenze di un sinistro non sono certo programmabili o evitabili, ed ecco forse la ragione per cui si è ritenuto di mantenere l’ipotesi colposa. Il risultato è stato quello di creare un nuovo reato colposo con trattamento sia sanzionatorio che procedurale da reato doloso, se è questo quello che si voleva, come diceva qualcuno “non capisco, ma mi adeguo”. (avvocato Davide Steccanella)

  • Sì a nozze trans con ragazzo italiano, anche se ‘lei’ non ha fatto l’operazione

    Per la Corte d’Appello di Milano sono valide e vanno  trascritte nei registri dal Comune le nozze celebrate in Argentina tra una giovane transessuale e un ragazzo italiano. Valide, e qui sta la portata innovativa della decisione, prima in Italia, anche se in questo caso  il cambio di genere dal maschile al femminile non è stato accompagnato dalla modifica dei caratteri sessuali, ma ‘solo’ da una rettifica del documento di identità. La legge italiana ‘pretende’ che una persona finisca in sala operatoria se desidera mutare genere all’anagrafe, ma i giudici, presieduti da Ilio Poppa, hanno ‘riconosciuto’ il matrimonio festeggiato a Cordoba nel 2012  perché ‘”l’esistenza e il contenuto dei diritti della personalita’ sono regolati dalla legge nazionale del soggetto”.

    La ragazza trans era venuta in Italia dopo le nozze per raggiungere il suo compagno che lavora a Milano. I ragazzi avevano chiesto la trascrizione del legame ma il Comune, dopo essersi consultato col Ministero dell’Interno, si era rifiutato. “Mi è sembrata una cosa assurda – racconta l’avvocato Giulia Perin – e abbiamo presentato un ricorso, convinti di vincerlo. Invece il Tribunale civile ci ha dato torto. Anche se non ha fatto l’operazione, la mia assistita è una donna, una bella donna, si sente una donna e chi la vede per strada o ci parla la reputa tale. Oggi la Corte d’Appello ha stabilito che  un principio di buon senso: se tu sei donna nel tuo paese, non puoi tornare indietro spostandoti in un altro”.

    I ragazzi, che hanno tra i 20 e i 30 anni, vivono insieme a Milano. “Mi sono presa a cuore il loro caso – spiega il loro legale – non ci si rende conto delle difficoltà che può vivere una coppia di fronte a una decisione come quella del Tribunale. L’Italia è ancora molto indietro su questi temi”. (manuela d’alessandro)

    Il documento: sentenza matrimonio

  • Sequestrata per ‘spaccio’ la discoteca a Rimini
    Penalisti italiani senza locale per festeggiare

    Una due giorni impegnativa, “dedicata a osservatori e commissioni, alle prospettive dei giovani penalisti, alla specializzazione e alla formazione“, richiede un momento di distensione collettiva finale. Per i legali d’ogni parte d’Italia, più che auspicabile è necessario. Tanto più se sei a Rimini in un fine settimana di metà giugno, con il sole che spacca le pietre e rischia di attenuare le capacità dei più fini intelletti giuridici dello Stivale.

    Per questo, in occasione del primo “Open day dell’Unione delle Camere Penali Italiane“, era prevista una “cena estiva alla discoteca Coconuts“, con “musica dal vivo” a cura del celebre “Vando Scheggia e il suo gruppo”, come recita il programma del 12 e 13 giugno.

    E invece, al Coconuts, la festicciola non si terrà. Il locale è stato chiuso questa mattina, per 30 giorni. “Trentadue risse in due anni, l’ultima meno di un mese fa, 19enne accoltellato da coetanei”, scrive l’agenzia Ansa da Rimini. Nell’ambito dell’operazione ‘Titano’, è stato mandato agli arresti domiciliari uno dei fratelli titolari del locale, in cui, stando agli inquirenti, lo spaccio era abituale e in sostanza tollerato. La discoteca è stata anche passata al setaccio da due cani antidroga della polizia, un pastore tedesco femmina, Delta, “vicina alla pensione, e Wally, un labrador di 35 chilogrammi e fiuto veloce”, come riporta fedelmente l’Ansa.

    Insomma sembra destinato a saltare il momento di svago dell’Open Day. E ora i penalisti in trasferta da Milano e non solo si chiedono: “Dov’è la festa?”. (ndr)

  • I verbali di Lucarelli e del fotografo Carriere, le due verità sulle foto di Villa Oleandra

    Selvaggia Lucarelli voleva vendere le 191 immagini strappate alla regale intimità di Villa Oleandra, durante la festa di compleanno di Elisabetta Canalis? Ed era consapevole della loro provenienza illecita?

    Sono alcuni dei temi scoppiettanti del processo che vedrà imputati dal 19 giugno a Milano oltre a Lucarelli gli altri due blogger Gianluca Neri alias ‘Macchianera’ e Guia Soncini. (blog star)

    Quello che finora appare certo – dalla lettura dei verbali d’interrogatorio che Giustiziami ha potuto consultare – è che le versioni di due dei protagonisti di questa vicenda non collimano. E c’è una data che, così come sottolineata dagli inquirenti, appannerebbe la credibilità della versione di Lucarelli.

    Il 12 ottobre 2010 è una  giornata importante per l’inchiesta. Negli uffici del commissariato di Porta Venezia vengono sentiti non come indagati ma come testimoni, e quindi con l’obbligo di dire la verità, Selvaggia Lucarelli e il fotografo Giuseppe Carriere.

    Ascoltiamoli.

    Giuseppe Carriere, fotografo dell’agenzia Roma Press. “Durante un pranzo da ‘Giannino’ col giornalista di ‘Chi’ Gabriele Parpiglia e la giornalista pubblicista Selvaggia Lucarelli, ho avuto in visione da quest’ultima un servizio fotografico  posato e non carpito relativo a una festa privata,  se non erro  per il  compleanno della compagna Elisabetta Canalis avvenuta nella casa di George Clooney, noto attore cinematografico che non ha mai permesso ad alcuno di fotografare l’interno della sua abitazione in località  Laglio in provincia di Como e  per questo le foto avevano un grande interesse giornalistico e di conseguenza  un grande valore  economico. Poichè per mediare con le testate giornalistiche e cedere eventuali diritti internazionali necessita un’ agenzia fotografica competente mi sono rivolto alla Lucarelli per questo scopo. Parpiglia ha chiamato il suo direttore Signorini e ha manifestato interesse per la cosa.  Pertanto abbiamo abbiamo concordato un appuntamento. Ho avuto una chiavetta da Lucarelli delle citate foto e mi sono recato dal  vice direttore Massimo Borgnis, ignaro della provenienza del servizio che Lucarelli mi aveva riferito di avere ricevuto anonimamente”. Carriere spiega poi che Borgnis gli avrebbe offerto 100mila euro per le foto ma con la richiesta di firmare una liberatoria con la quale assumersi la responsabilità della liceità o meno delle foto. “A questo punto non essendo sicuro della loro provenienza ho chiesto di verificarla, non avendone i mezzi. Successivamente ho saputo da Borgnis della illecita provenienza delle foto e mi sono totalmente estraniato perché non è mia etica trattare materiale fotografico indebitamente carpito”. Infine, Carriere precisa che “la Lucarelli mi riferiva di avere avuto le foto tramite il suo blog con una mail”. (altro…)

  • Il rischio che il sexy gate travolga Roberto Maroni prima della Severino

    Spente le fanfare per Expo e gli squilli elettorali per le regionali, la Procura fa partire all’indirizzo di Roberto Maroni un provvedimento che potrebbe trasformarsi nell’epigrafe della sua presidenza alla Regione Lombardia.

    Il pm Eugenio Fusco gli notifica l’avviso di chiusura delle indagini con le accuse  di induzione indebita e turbata libertà del contraente in cui riassume due episodi di ‘raccomandazione’ illecita: l’incarico a Eupolis, società controllata dalla Regione, assegnato a Mara Carluccio, sua collaboratrice quando era al Viminale; e il viaggio a Tokyo promesso a un’altra ‘fedelissima’, Maria Grazia Paturzo, alla quale aveva nel frattempo garantito un posto a Expo.  Se dovesse essere condannato per induzione indebita, reato nella lista nera della legge Severino, il governatore potrebbe finire gambe all’aria.

    C’è un rischio per lui ancor più prossimo e bruciante. Sebbene il pm abbia espunto le intercettazioni più morbose,  la stampa potrebbe squadernare nei prossimi giorni un sexy gate al Pirellone entrando in possesso delle carte depositate con la fine dell’inchiesta.  Per adesso, nell’avviso di chiusura delle indagini il pm si limite a scrivere che Maroni e Paturzo sono “legati da una relazione affettiva”. E fa capire che il presidente avrebbe esercitato pressioni sui vertici di Expo per offrire a Paturzo un biglietto in business e un soggiorno in un albergo di lusso a Tokyo (costo circa 6mila euro) proprio in omaggio alla liason.

    Slanci sentimentali che, qualora venissero resi pubblici, oscurerebbero due presenze imbarazzanti nell’inchiesta: Domenico Aiello, il difensore di Maroni da lui nominato nel cda di Expo, società a sua volta indagata nell’inchiesta per le accuse al dg Christian Malangone (Aiello entra nel cda); e Andrea Gibelli, il segretario regionale appena nominato a capo delle Ferrovie Nord Milano sempre da Maroni (Gibelli a Fnm), e pure tra i destinatari dell’avviso di chiusura dell’inchiesta. Serafica, in ogni caso, la reazione del presidente: “Era ora, finalmente dopo un anno di indagini si chiude, se per una sciocchezza come questa ci vuole un anno, poveri noi. Sono tranquillissimo, non ha mai fatto pressioni in vita mia per nessuno, per i miei figli, amici o parenti”. (manuela d’alessandro)

    Avviso di conclusione delle indagini Maroni

  • Berlusconi a Segrate sbaglia festa elettorale
    e invita a votare il candidato ‘comunista’

    Ve lo immaginate Silvio Berlusconi che va a sostenere il candidato di quelli che ancora oggi si ostina a chiamare comunisti, anche se magari di comunista hanno ormai ben poco? Un ex cavaliere attorniato da gente che balla il liscio, mentre le salamelle cuociono sulle piastre, come in una vecchia festa dell’Unità, nell’ultimo giorno di campagna elettorale? Bene, è successo. A Segrate, uno dei luoghi cari al suo ‘regno’. Il Comune in cui Silvio ha costruito Milano2, dove hanno sede gli studi Mediaset, su cui incide l’ospedale San Raffaele fondato dall’amico don Verzé e l’ormai nota via Olgettina, che alle ‘olgettine’ diede a lungo ospitalità.
    Ieri sera, attorno alle 22.45, raccontano i presenti, tre auto blindate parcheggiano al margine di largo Carabinieri d’Italia, nel centro di Segrate. Dalla vettura centrale scende lui. Lui lui. Preceduto dalla senatrice Maria Rosaria Rossi. Ma la festa è quella del candidato sbagliato, quello sostenuto da una coalizione di centrosinistra. Racconta un testimone: “Berlusconi procede verso il palco, leggermente disorientato. Incrocia dei ragazzi, chiede loro di ricordargli come si chiami il candidato sindaco”. Quelli gli rispondono con un nome maschile, Paolo, suscitando lo stupore dell’ex cavaliere. Il quale sbotta: “Ma come, non era una donna?”. Effettivamente il candidato sostenuto da Forza Italia è proprio una donna. La frittata è fatta. Berlusconi, con quattro esperienze da premier, decine di processi alle spalle, una vita sulla breccia, non è tipo da farsi scoraggiare. Dall’impiccio delle situazioni più difficili sa uscire con una battuta. “E allora voi votate Paolo”, avrebbe detto ai ragazzi. Poi sarebbe filato via in auto.
    Altri raccontano una versione leggermente diversa. Berlusconi avrebbe chiesto il nome del candidato, sindaco e avrebbe risposto “e allora tutti a votare Paolo”. Solo in seguito, andando via, notando qualcosa di strano, avrebbe detto ai suoi: “Ma non avevano detto che il nostro candidato era una donna?”. Sarà passato a salutare, alla festa giusta, non distante da lì? Ah, saperlo…
    P.s. Con la cronaca giudiziaria questa storia non c’entra, ma Berlusconi è pur sempre colui che in questi anni ci ha fornito più titoli, più storie. Anche questa andava raccontata.
  • I blogger e quella strana domanda per entrare nella posta di Clooney

    “Worst habit”. Qual’ è la peggiore abitudine di George Clooney?  Se lo chiedono Gianluca Neri e Guia Soncini in uno scambio di sms finito agli atti dell’inchiesta della Procura di Milano (blog star).

    Rispondere significherebbe sguazzare nella posta elettronica del divo. Difficile essere a conoscenza dei lati oscuri di George, però. Allora i due blogger, indagati assieme a Selvaggia Lucarelli per aver violato l’intimità dei vip, la buttano sul ridere. E infilano battute perfide: la sua abitudine peggiore “sarà la Canalis?. O, forse, una sua particolare abitudine sessuale? (vi risparmiamo l’espressione greve).

    Più semplice azzeccare il nome dell’animale domestico di Elisabetta Canalis. “Quello che separa noi da tutto il mondo – scrive Macchianera a Soncini in uno delle centinaia di messaggi intercettati – è sapere come si chiama il coniglio della Canalis”. E infatti poi lo indovinano, riuscendo a intrufolarsi nella posta della show girl. Quando la presunta spiata si accorge che qualcuno vuole vendersi le foto della sua 32esima festa di compleanno, George, da sempre attento guardiano della privacy, si arrabbia molto minacciando denunce a tutti i partecipanti alla festa nella villa sul lago di Como. Dall’affare, secondo la ricostruzione dell’accusa, resterebbe comunque fuori Guia Soncini alla quale, come svelato da alcuni sms, era stata nascosta la trattativa, poi sfumata, per vendere le foto al settimanale ‘Chi’. E del resto agli atti non c’è un solo sms tra lei e Selvaggia. Scorrendo le carte dell’inchiesta, pare che Guia si metta nei guai solo per curiosità personale. E forse non si rende neppure conto di rischiare di commettere un reato (che andrà comunque provato in aula) se è vero che quando la chiamano in Procura, con un’ingenuità (o una sicurezza d’innocenza?) quasi stupefacente, porta di sua spontanea volontà il pc alla polizia informatica. Lì dentro ci sono decine di mail che testimonierebbero il suo coinvolgimento nell’inchiesta, ma nessuna delle foto relative alla festa sul lago di Como. Quelle sono state trovate invece nel pc di Macchianera. Nulla di sconvolgente, nessuna immagine peccaminosa. Ma è la prima volta che il mondo scorgerebbe gli interni di Villa Oleandra: impresa titanica ma meno ardua che indovinare la peggiore abitudine del padrone di casa. (manuela d’alessandro)

     

     

     

  • Selvaggia Lucarelli a Macchianera, voglio tutti gli scheletri della Venier

    “Habemus Mara”, esulta Gianluca Neri e Selvaggia Lucarelli manifesta un ‘macabro’ trasporto: “Voglio tutti i suoi scheletri in fila“.

    La ‘storica’ conduttrice televisiva è una delle parti offese, anche se non ha presentato denuncia, nell’indagine che ha portato al processo a carico dei tre blogger Gianluca Neri alias Macchianera, Selvaggia Lucarelli e Guia Soncini, accusati di avere scovato primizie di gossip intrufolandosi nella posta elettronica dei vip.

    Dallo scambio di sms agli atti delle oltre 600 pagine dell’indagine condotta dal pm Grazia Colacicco sembrerebbe emergere lo spionaggio ai danni della Venier, di cui gli indagati avrebbero cercato di scoprire la squadra del cuore per violare le e – mail. Soncini e Lucarelli avrebbero avuto rapporti indipendenti l’una dall’altra con Neri che, nella ricostruzione della Procura, sarebbe stato deputato a trovare i codici di accesso per carpire i segreti dei personaggi del mondo dello spettacolo. In un altro sms, Neri e Soncini fanno un riferimento al nome del coniglio di Elisabetta Canalis, come ‘chiave’ per arrivare alle fotografie scattate a Villa Oleandra durante il party per il 32esimo compleanno dell’ex fidanzata di George Clooney. Uno dei temi centrali del processo che inzierà tra pochi giorni sarà proprio la presunta trattativa sulle immagini che sarebbero state rifiutate dal ‘Chi’, il settimanale diretto da Alfonso Signorini. Le parti civili, Elisabetta Canalis e Federica Fontana, potrebbero portare in aula attraverso i loro legali alcuni testimoni del tentativo di vendere le foto alla rivista di gossip a una cifra attorno ai 100mila euro. Intanto, Canalis sembra voler mantenere un profilo basso nella vicenda, come si deduce dalla nota diffusa dai suoi legali: “La nostra assistita è stata informata della diffusione non autorizzata e della probabile offerta in vendita ad una rivista di settore di alcune fotografie scattate in luoghi privati e mai autorizzate. Si e’ pertanto rivolta alle autorita’ per tutelare la propria riservatezza”.

    (manuela d’alessandro)

  • “Vendevano” foto e gossip rubati dalle mail dei vip”. A processo Selvaggia Lucarelli, Guia Soncini e Macchianera

     

     

    Dove andavano a raccogliere  le chicche più squisite del gossip, tra il 2010 e il 2011, le blog star italiane Selvaggia Lucarelli, Guia Soncini e Gianluca Neri alias Macchianera? In un nascondiglio molto fecondo e troppo segreto, almeno per la legge: la memoria dei telefonini che anche per i vip dovrebbe restare un fortino inespugnabile.

    Stando al decreto di citazione firmato dal pm di Milano Grazia Colacicco che li ha mandati a processo, i giornalisti e blogger riuscivano a intrufolarsi nell’intimità dei vip ottenendo “fraudolentemente” codici e password, operazioni facilitate da domande segrete a basso livello di protezione per il recupero delle parole chiave (in un caso: “Come si chiama il tuo animale domestico?”).

    Il cuore dell’inchiesta sono  191 fotografie scattate durante il party per il 32esimo compleanno di Elisabetta Canalis nella sfarzosa Villa Oleandra di George Clooney, sul lago di Como. Secondo il pm, gli imputati entrano in possesso delle immagini con modi illeciti tentando di venderle al settimanale ‘Chi’ al prezzo di 120mila euro ma non riescono a chiudere l’affare perché qualcuno avvisa l’allora fidanzata del divo che sporge denuncia al commissariato Garibaldi / Venezia di Milano.

    Nel processo davanti al giudice Stefano Corbetta dell’XI sezione penale, accanto alla Canalis sfileranno altre parti offese da copertina di cui gli imputati avrebbero letto le mail come se fossero una golosa rivista di pettegolezzi da sfogliare.

    I blogger, si legge nel capo d’imputazione che Giustiziami ha consultato, “al fine di procurare a sé o a altri un profitto consistente nella vendita di fotografie e di informazioni o conversazioni personali di cui erano venuti a conoscenza o comunque al fine di arrecare danno a Elisabetta Canalis e alle persone di seguito indicate, si procuravano, rispondendo alla domanda segreta per la password, i codici di accesso dell’indirizzo di posta elettronica di Federica Fontana, Mara Povoleri (Mara Venier, ndr), Sandra Bullock, Scarlett Johansson e altri”.

    In particolare, il profilo di Federica Fontana veniva considerato un pozzo di segreti:  gli imputati “lo monitoravano, ottenendo così indebite informazioni a loro non dirette, tra le quali l’indirizzo web, il nome utente e la password di accesso alla galleria fotografica che conteneva immagini della festa privata per il compleanno di Elisabetta Canalis”. In seguito Lucarelli, Neri e Soncini, sempre stando alle accuse,  “fraudolentemente intercettavano comunicazioni relative a un sistema informatico o telematico e ne rivelavano in parte il contenuto. In particolare, avendo fraudolentemente ottenuto gli accessi a vari account di posta elettronica, ne monitoravano la posta in entrata utilizzando un apposito account di posta elettronica come collettore unico di tutta la corrispondenza intercettata”.

    I tre dovranno difendersi dalle accuse, a vario titolo, di concorso in intercettazione abusiva, detenzione e diffusione di codici di accesso (unica non contestata a Lucarelli), accesso abusivo a sistema informatico, violazione della privacy,  reati in alcuni casi aggravati dall’aver tentato di lucrarci. “Non ho mai chiesto e ricevuto un euro da nessun giornale, rivista o editore  –  scrive intanto Selvaggia su Facebook – nè per quelle foto nè per qualsiasi altra foto o notizia in altri periodi”. Per adesso nessuno ha intenzione di patteggiare (solo alcuni reati sono a querela di parte), il 19 giugno via al processo. Spegnete i computer e venite in aula.  (manuela d’alessandro)

    La ‘risposta’ di Macchianera

  • NoTav, 3 condanne a 2 anni 10 mesi, dimezzata richiesta pm

    Sono stati condannati a 2 anni 10 mesi e 20 giorni di reclusione e saranno scarcerati in giornata Lucio Alberti, Graziano Mazzarelli e Francesco Sala, i  3 militanti Notav processati con il rito abbreviato per l’azione al cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013. I pm di Torino Padalino e Rinaudo avevano chiesto 5 anni e 6 mesi, insistendo sul carattere “militare” dell’azione, nonostante l’accusa di aver agito con la finalità di terrorismo fosse caduta per i 3  imputati come per gli altri 4 già processati con rito ordinario e condannati a 3 anni e 6 mesi.

    Anche la sentenza del gup dopo quella della corte d’assise, ricordando la Cassazione che aveva bocciato per prima il “teorema Caselli” sul terrorismo, ridimensiona non poco la ricostruzione della procura. Stiamo parlando del danneggiamento di un compressore avvenuto la notte del 14 maggio 2013  che è già costato in pratica un anno di custodia cautelare ai primi 4 imputati e poco meno agli altri 3. La qualificazione giuridica decisa da Caselli poco prima di andare in pensione non ha retto ma hanno avuto scarso successo anche le pesanti richieste di condanna. Per i primi 4 imputati erano stati sollecitati in assise 9 anni e 6 mesi di reclusione. Per gli imputati del processo in abbreviato 5 anni e mezzo. L’accusa ha ragionato come se fosse ancora in piedi la finalità di terrorismo ed è stata smentita pure a livello di quantificazione della pena.

    Lucio Francesco e Graziano, detenuti in regime di alta sorveglianza anche dopo la bocciatura dell’imputazione più grave, avevano pagato un ulteriore prezzo a livello di salute contraendo la scabbia che li costringeva a giorni di isolamento che per decisione della direzione del carcere di Torino impediva loro di incontrare i legali per studiare la linea di difesa. (scabbia per i Notav)

    Il punto di riferimento di chi indaga sulle proteste contro l’alta velocità continua a essere una giustizia dell’emergenza al fine di tutelare una grande opera che danneggia il territorio delle valli piemontesi, tutela una classe politica in grandissima parte favorevole al Tav. Gli appalti dell’alta velocità invece appaiono come i più onesti e trasparenti del mondo. Lì, diciamo, la procura di Torino non si esercita. Insomma, quella dell’azione penale obbligatoria al di là di roboanti dichiarazioni e comunicati, è una favola.(frank cimini)

  • UberPop? Peggio di un tassista abusivo, parola di giudice

    UberPop, con la sua bella app colorata  e quell’aria tecno – frizzante, in fondo è come e pure peggio di quei tassisti abusivi che in alcune città, soprattutto al sud, ti avvicinano all’aeroporto con sguardo furtivo per offrirti un ‘passaggio’ a prezzi modici.
    Questa almeno è l’immagine che ne esce dall’ordinanza con la quale il giudice di Milano Claudio Marangoni sospende il servizio che permette a chiunque, senza licenza, di scarrozzare per la città improvvisati clienti.

    Un fenomeno abusivo 

    Il servizio UberPop, scrive il magistrato che ha accolto il ricorso per concorrenza sleale presentato dalle associazioni dei tassisti,  ha determinato “un vero e proprio salto di qualita’ nell’incrementare e sviluppare il fenomeno dell’abusivismo”. “Prima dell’introduzione di tale app – spiega – i soggetti privi di licenza avevano un circoscritto perimetro di attività e di possibilità di contatto con gli utenti, sostanzialmente a livello di contatto personale, menre UberPop consente in tutta evidenza un incremento nemmeno lontanamente paragonabile al numero di soggetti privi di licenza che si dedicano all’attivita’ analoga a quella di un taxi, e parallelamente un’analoga maggiore possibilita’ di contatto con la potenziale utenza, cosi’ determinando un vero e proprio salto di qualita’ nell’incrementare e sviluppare il fenomeno dell’abusivismo”. (altro…)

  • Pm Brescia: Bruti violò obblighi ma non c’è prova che fosse consapevole

    Domani il consiglio giudiziario valuterà se confermare Edmondo Bruti Liberati nell’incarico di capo della Procura. Alla vigilia della decisione, Alfredo Robledo porta all’attenzione del consiglio un documento che, a suo avviso, impedirebbe il rinnovo della carica di quello che è stato il suo ‘nemico pubblico’ in una lunga contesa finita davanti al Csm.  La ‘carta’ gettata sul banco da Robledo arriva da Brescia ed è la richiesta della Procura locale di archiviare un’indagine in cui Bruti è indagato per omissione in atti d’ufficio.  (altro…)

  • Tutti a celebrare Falcone…ma lui voleva carriere separate

    “Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pm che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento dove egli rappresenta una parte in causa. E nel dibattimento non deve avere nessun gradi di parentela con il giudice e non deve essere come accade oggi una specie di paragiudice. Avendo formazione e carriere unificate con destinazione e ruoli intercambiabili, giudici e pm in realtà sono indistinguibili gli uni dagli altri”. Queste parole il 3 ottobre del 1991 le disse a Repubblica non Licio Gelli ma Giovanni Falcone, che adesso tutti ricordano e celebrano da morto, dopo in moltissimi casi averlo attaccato da vivo.

    Falcone era anche favorevole all’abolizione dell’esercizio obbligatorio dell’azione penale, un qualcosa che in pratica non esiste ma che serve a coprire le peggiori nefandezze dei magistrati inquirenti come dimostrano alcuni episodi anche recentissimi a cominciare dalla querelle Bruti-Robledo dove il capo dell’ufficio non subisce nemmeno un procedimento disciplinare dopo aver in pratica insabbiato un’inchiesta importante “dimenticando” il relativo fascicolo per sei mesi in un cassetto della procura.

    Sempre Falcone aveva molti dubbi sull’efficacia del reato previsto dall’articolo 416 bis, l’associazione di stampo mafioso. Sono tutte circostanze importantissime sulle quali chi lo celebra oggi fa finta di niente. E’ l’antimafia delle parole. Il merito di tale disastro giuridico e culturale è tutto della “sinistra” più forcaiola e reazionaria del mondo. Vide giusto su tutta la linea Sciascia quando parlò di “professionisti dell’antimafia”. Ancora oggi si celebra un Falcone diverso da quello che era. Una truffa politica e culturale che continua nel tempo.

    Va anche detto però che siccome nessuno è perfetto, pure Falcone ebbe dei limiti non da poco. Per esempio quando affermò che le dichiarazioni dei “pentiti” non vanno necessariamente riscontrate “perché c’è il libero convincimento del giudice”. Ma qui parliamo di un gap che va al di là di Falcone perché riguarda il dna della Repubblica italiana. Mai è stata avviata una seria riflessione su una legislazione premiale che fu l’inizio della fine dello stato di diritto e che fa danni ancora oggi, con la nuova norma anticorruzione che prevede sconti per chi collabora. “Non bisogna favorire la delazione nemmeno tra scellerati”, era la posizione perfino di Alfredo Rocco, il ministro di Mussolini. Da decenni noi andiamo nella direzione opposta.

    Al di là di tutto, Giovanni Falcone rispetto ai suoi eredi di ieri e di oggi era un autentico gigante, un esempio di equilibrio. Se pensiamo che a rivendicare l’eredità del giudice ucciso dalla mafia a Capaci ci sono stati personaggi come Antonio Ingroia che si inventò il reato di “trattativa”, come Ilda Boccassini che fece apparire funzionanti microspie inceppate. E’ la giustizia, bellezza, e noi, pare, non possiamo farci niente. (frank cimini)

  • I dubbi della Procura sul marocchino arrestato e le certezze della politica

    Per partecipare alla strage del museo del Bardo, Abdelmajid Touil avrebbe dovuto prendere un aereo da Milano a Tunisi con ritorno immediato in giornata, 18 marzo, perché il ragazzo, 22 anni, è in Italia dal 17 febbraio (fino a prova contraria). Era arrivato con un barcone e poi era stato destinatario da Agrigento di un decreto di espulsione. Le autorità tunisine lo accusano di essere tra l’altro un reclutatore di guerriglieri nel nome dell’islam. Dicono da Tunisi che Touil sarebbe stato tra gli organizzatori dell’attentato. Nelle settimane scorse, la Tunisia ha già arrestato più di 40 persone e non è certo nota per essere una culla del garantismo.

    Gli inquirenti italiani che hanno dato esecuzione a un mandato di cattura internazionale stanno svolgendo in queste ore accertamenti sul suo effettivo ruolo nell’attentato. Politici di ogni colore, in testa il presidente del consiglio Matteo Renzi e il ministro dell’interno Angelino Alfano si sono spprofondati in elogi per la brillante operazione, come si dice sempre in casi del genere. Giornali online e tg hanno fatto il resto e pure di più, sbattendo il mostro in prima pagina.

    Per arrestare un altro immigrato dal nordafrica Mohamed Fikri furono dirottate due navi di cui una sbagliata. Era lui oltre ogni ragionevole dubbio l’assassino di Yara Gambirasio. E invece no, ma per arrivare all’archiviazione impiegarono due anni e l’indagine è ancora in mano alle stesse persone che adesso sempre ostentando sicurezza accusano Bossetti.

    I parenti di Touil dicono che il 18 marzo il ragazzo era qui. Alla polizia italiana non risulta come frequentatore di ambienti radicalizzati e nemmeno di moschee. Gli inquirenti italiani hanno dato semplicemente attuazione a un provvedimento tunisino, come sono obbligati a fare.  “Non sappiamo che ruolo abbia avuto Touil nella strage – dice un investigatore del Ros – in questa fase il Paese che chiede l’estradizione non è tenuto a descrivere le condotte contestate. Si è limitato a comunicarci il titolo di reato: omicidio volontario e partecipazione ad attività terroristica internazionale”.

    Per l’eventuale estradizione su cui deciderà la Corte d’Appello ci sono problemi perchè in Tunisia il codice prevede la pena di morte. I due paesi possono anche trovare un accordo nella non esecuzione della pena capitale in caso di condanna. Staremo a vedere. Ma l’informazione del nostro paese oggi ha scritto una delle sue pagine più nere. Non è la prima e crediamo molto verosimilmente neppure l’ultima. Insieme ai politici che a caccia di facili consensi elettorali si accodano alle autorità tunisine senza manifestare il minimo dubbio. (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • Dopo i supermanager indagati, tocca a Gibelli (sotto inchiesta) guidare le Ferrovie

    Buon viaggio a tutti ma perché dopo che due manager ai vertici delle società dei treni lombarde, Giuseppe Biesuz e Norberto Achille, sono stati coinvolti in casi giudiziari, la politica deve proprio scegliere un indagato per guidare le Ferrovie Nord Milano?

    E’ notizia di queste ore che la Regione Lombardia, azionista di maggioranza di Ferrovie Nord,  indicherà l’attuale segretario del Pirellone Andrea Gibelli come sostituto di Achille, dimesso oggi dopo essere stato indagato per presunte spese indebite effettuate con le carte aziendali. Nel settembre del 2014, Gibelli ricevette dalla Procura di Milano un avviso di garanzia per il reato di ‘turbata libertà del contraente’ nella vicenda in cui Roberto Maroni è accusato di pressioni indebite per due contratti ottenuti da altrettante sue ‘fedelissime’ nelle società Expo2015 ed  Eupolis. Nei prossimi giorni, il pm Eugenio Fusco dovrebbe notificare a Gibelli l’avviso di chiusura delle indagini.

    E’ l’uomo giusto, in questo momento, per occupare il posto lasciato libero da Norberto Achille che coi soldi per far viaggiare i lombardi avrebbe pagato per lui o per i familiari ristoranti, vacanze a Forte dei Marmi, film porno su Sky, vestiti e scommesse?

    Nel luglio del 2014, Giuseppe Biesuz, amministratore delegato di Trenord, la società nata dall’unione tra Trenitalia e LeNord (Gruppo Ferrovie Nord Milano), era stato condannato a 5 anni di carcere per il reato di bancarotta fraudolenta della società Urban Screen e per truffa e falso. A Fnm e a Trenord dovrà risarcire un danno da quantificare in sede civile per avere dichiarato di essere laureato in economia e commercio quando non lo era. Una qualifica che al formigoniano Biesuz, finito anche ai domiciliari, sarebbe stata indispensabile per gestire il complicato traffico su rotaie in Lombardia. (manuela d’alessandro)

  • Il vigilante che “fece entrare” Giardiello: non aveva una pistola, sono certo

    “Guardi, gliel’assicuro: se Giardiello fosse passato con una pistola dal metal detector, il dispostivo avrebbe segnato 4 asterischi, il livello massimo di allerta.E io l’avrei perquisito fino a trovargli l’arma”.

    E’ un vigilante esperto e cortese, abituato da anni a decifrare i sussulti dei sistemi di sicurezza, il guardiano che, secondo la ricostruzione della Procura di Brescia, avrebbe fatto passare Claudio Giardiello da un varco del Tribunale di Milano nonostante il ‘beep’ del metal detector. “Ecco, vedete  se uno passa con una moneta in tasca il dispostivo segna un asterisco rosso, ma se uno passa con una pistola, come sto facendo io adesso, di asterischi ne spuntano quattro. E nessuno, neanche il più impreparato tra noi, non farebbe altri controlli. Per prassi invece non si insiste con chi fa segnare una sola tacca, che viene fatto passare anche senza approfondimenti”. Analizzando le due telecamere di sorveglianza che riprendono il passaggio al metal detector nell’accesso di via San Barnaba, gli inquirenti avrebbero visto prima una persona davanti a Giardiello che entra e viene sottoposta allo scanner mentre l’immobiliarista non viene fermato dopo che il metal detector aveva suonato, senza che per lui scatti la procedura di controllo manuale.

    La guardia della ‘All System’, una delle aziende che si occupa della sicurezza del Palazzo, non è scossa dalla possibilità di essere coinvolto nell’inchiesta dei magistrati bresciani sulla strage e sulle presunte falle del sistema di controllo. “Non ho niente da nascondere, sono tranquillo. I pm comunque non mi hanno chiamato finora”. L’ipotesi del vigilante, molto plausibile, è che Giardiello, sorpreso dalle telecamere mentre entra da via San Barnaba alle 8 e 40 del 9 aprile, possa avere fatto scattare l’allarme perché addosso aveva un oggetto metallico non pericoloso.  E quindi sia stato fatto passare senza ulteriori scrupoli.

    Come entrò allora in Tribunale la pistola con la quale Giardiello bruciò e sue ossessioni giudiziarie uccidendo il giudice Fernando Ciampi, l’avvocato Lorenzo Claris Appiani e Giorgio Erba, suo coimputato nel processo per bancarotta? Se, come sembra escludano adesso gli inquirenti, non la introdusse beffando i controlli mostrando un tesserino falso in uno degli ingressi riservati, potrebbe averla ‘depositata’ giorni prima nel Palazzo, magari grazie a un complice. “Ma che io l’abbia fatto entrare con la pistola, ve lo garantisco, è un’assurdità”.

    (manuela d’alessandro)

  • ‘Spese pazze’, le motivazioni della condanna ai consiglieri regionali

    Un piatto di gnocchi, gli slip, le aragoste. Miserie e nobiltà di una vita, “spese compulsive” per il giudice di Milano Fabrizio D’Arcangelo che così le definisce nelle motivazioni alla sentenza di condanna col rito abbreviato a carico di tre ex politici del Pirellone – Carlo Spreafico (Pd), Alberto Bonetti Baroggi (eletto nelle file del Pdl) e Angelo Costanzo (Pd)  – a pene fino a 2 anni. Il procedimento è quello sulla presunta ‘rimborsopoli’ lombarda tra il 2008 e il 2012 nell’ambito del quale il gup ha anche rinviato a giudizio 56 persone, tra cui Renzo ‘Trota’ Bossi e Nicole Minetti.

    Spese spesso prive “dell’ indicazione dei dati del cliente” e delle “occasioni di rappresentanza” che giustificavano quegli esborsi. Più che per i libri o per altre attività ludiche, annota il giudice, i soldi pubblici finivano in “pranzi, cene o rinfreschi”. Nelle motivazioni della sentenza, il gup evidenzia come “le finalita’ sociali (di raccordo con la societa’ civile)” potevano consentire che venissero rimborsate ai consiglieri anche le spese per “iniziative di segno strettamente politico-partitico”, oltre che quelle relative al gruppo consiliare, ma era certamente necessaria una “adeguata documentazione”. Invece qui le ‘pezze d’appoggio’ non ci sarebbero state o comunque non erano in grado di attestare che l’”evento conviviale fosse attinente all’attività istituzionale” .

    (m. d’a.)

    qui il documento integrale: Sentenza

     

  • La manager cinese che morde il finanziere, il primo mistero di Expo

    E arriva il primo mistero di Expo che, manco a dirlo, ha per protagonista la Cina. Da stamattina è la notizia più cliccata tra i padiglioni dell’Esposizione: una top manager cinese di 38 anni è stata arrestata dalla Guardia di Finanza perché ha morso la mano a un militare dopo essersi rifiutata di mostrargli il passaporto. Strano, no? Perché mai una donna che viene descritta come la Marcegaglia del Sol Levante dovrebbe nascondere la propria identità?

    Secondo fonti legali, sarebbe stata intimorita dai finanzieri che, presentandosi in borghese nel residence della delegazione del suo Paese, le sono parsi i ‘tipici’ italiani truffatori tanto temuti dalla comunità straniera ospite di Expo. Arrestata per resistenza a pubblico ufficiale e processata per direttissima, la signora ha fatto pure un giro al pronto soccorso per farsi curare i lividi causati dalle manette. Anche il finanziere si è fatto vedere dai medici per mettere a referto i denti della cinese.”C’è stata poca cautela nella modalità del controllo, in Cina le ispezioni da parte di agenti in divisa sono infrequenti”.

    La Guardia di Finanza racconta tutta un’altra storia, perfino con un’altra protagonista e un altro scenario. La donna, non proprio una top manager, sarebbe stata arrestata durante un controllo in un capannone a Baranzate, lontanuccio da Expo, dove dormirebbe assieme ad altri suoi connazionali in un ambiente non proprio lindo e signorile.  Qui i finanzieri cercavano, e avrebbero trovato, prodotti contraffatti col marchio Expo. I cinesi presenti si sarebbero messi a filmare i controlli degli agenti e, di fronte all’invito dei militari a non riprenderli, sarebbe nata una discussione molto concitata al culmine della quale la signora avrebbe morso la mano a un finanziere. Si racconta che il console, pur essendo piccato per quanto avvenuto, abbia dovuto fare grande training dipomatico per mantenere il controllo.  Ma la versione che aveva era quella giusta? (manuela d’alessandro)

     

  • Ferito sta ancora male, processo a Giardiello rinviato a ottobre

    Trovata la soluzione. Claudio Giardiello non sarà in aula e non ci sarà neppure l’udienza di domani, con un rinvio che permetterà di calmare le acque, come chiedevano gli avvocati.

    Il nuovo collegio della seconda sezione penale presieduto dal giudice Lorella Trovato ha rinviato al 15 ottobre il processo per bancarotta a carico di Claudio Giardiello, l’autore della strage in Tribunale. Decisione che arriva accogliendo il legittimo impedimento presentato da Davide Limongelli, coimputato e parente di Giardiello, ferito gravemente nella sparatoria, ora fuori pericolo di vita ma comunque in condizioni serie. In secondo luogo, per attendere la pronuncia della Cassazione sulla richiesta di spostare il processo a Brescia avanzata dal nuovo difensore di Giardiello, l’avvocato Antonio Cristallo, che giudica impossibile celebrare quel dibattimento, a Milano, con la necessaria serenità. La scorsa settimana altri legali avevano scritto al collegio chiedendo di riflettere sull’opportunità di un rinvio: avevano assistito alla sparatoria in aula, avevano soccorso i feriti, lo choc era stato duro, non si sentivano pronti a riprendere il processo con il rischio di trovarsi di fronte proprio a Giardiello il quale, in quanto imputato, aveva diritto e intenzione di prendervi parte.