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  • Le motivazioni della sentenza con cui Alberto Stasi è stato condannato a 16 anni

    Ecco le attese motivazioni con cui i giudici della prima sezione della Corte d’Appello di Milano spiegano la condanna a 16 anni di carcere per Alberto Stasi, dopo la doppia assoluzione e la sentenza di annullamento da parte della Cassazione che aveva disposto un processo di secondo grado bis.  (m.d’a.)

     

    Garlasco appello bis

  • Giornalisti, contenti che l’Inpgi non è parte civile contro chi vi avrebbe truffato?

    Cari giornalisti, siete contenti che l’ente che custodisce le vostre pensioni non cerchi di rimettere in cassa quasi otto milioni rubati agli iscritti attraverso una presunta truffa?

    Questo sta accadendo nel processo milanese a Giorgio e Luca Magnoni, padre e figlio, accusati  di avere raggirato, attraverso la fallita holding Sopaf di cui erano amministratori,  gli enti previdenziali di medici, ragionieri e, appunto, giornalisti.  Nell’udienza di oggi hanno chiesto di costituirsi parti civili l’Enpam (Ente Nazionale dei Medici) e la cassa previdenziale dei ragionieri, nessuna istanza invece è arrivata dall’Inpgi.

    Come mai? Facciamo un’ipotesi. Forse perché il Presidente dell’Inpgi Andrea Camporese è tra gli indagati in un rivolo di questa indagine? Nel novembre 2014, Camporese aveva ricevuto un invito a comparire firmato dal pm Gaetano Ruta che gli contesta il reato di truffa aggravata. Per la Procura, avrebbe aiutato la Sopaf a incassare 76 milioni di euro acquistando dalla holding  le quote del fondo Fip (Fondo Immobili Pubblici) a un prezzo superiore rispetto a quello reale.

    Sempre stando alla ricostruzione della Procura, Camporese sarebbe stato avvertito da persone interne all’Inpgi dei rischi dell’operazione, ma avrebbe agevolato la Sopaf “con artifici e raggiri” consistiti nel rappresentare falsamente all’organo amministrativo dell’Ente che che la finanziaria fosse titolare delle quote di Fip. Camporese ha sempre respinto le accuse (“Mi auguro si accerti la correttezza del mio operato”) e gli auguriamo di essere assolto. Nel frattempo, però, è umiliante per chi rappresenta che l’Inpgi non si costituisca parte civile. (manuela d’alessandro)

  • Coppi, dire che Arcore era un harem e stravincere

    “Professore – chiede un cronista durante una pausa del processo d’appello Ruby – ma lei che ne pensa della vivacità sessuale di Berlusconi?”. “Alla mia età (ha due anni meno dell’ex premier, ndr) si rinuncia alla domanda e si teme anche l’offerta, quando arriva, perché si rischia una brutta figura”.

    Al professor Franco Coppi di posare un’aureola sul capo di Silvio Berlusconi non è mai passato per la mente. Anzi se possibile, durante le sue arringhe ha fatto brillare ancor più la cresta del “drago” a cui  “le vergini si offrono per rincorrere il successo”, metafora coniata dalla ex dell’ex Cavaliere, Veronica Lario, e poi ripresa da tutti i magistrati che hanno rappresentato l’accusa in questa vicenda.

    Ad Arcore c’era un sistema prostitutivo, questo è certo – ha ammesso candido Coppi davanti alla Suprema Corte – ma non c’è prova che Berlusconi sapesse della minore età di Ruby. E quella sera, quando chiamò in Questura, fece bene a chiedere di affidare Ruby a Nicole Minetti che poi si è rivelata quel che è, ma allora era una rispettabile consigliera regionale”.

    Semplice, semplice, solo sfogliando il codice e certo senza attingere al suo fondo di sapienza, il Professore ha convinto i giudici di secondo grado e la Cassazione a cancellare i sette anni di condanna per concussione e prostituzione minorile. Del resto, che quello a Silvio non fosse un processo così complicato l’hanno sottolineato pure gli ‘ermellini’ classificando il caso con un grado di difficoltà 5,5 su 10. A renderlo un ‘mostro’ giuridico erano stati i predecessori di Coppi, Niccolò Ghedini e Piero Longo.

    Nel processo di primo grado hanno cercato di convincere le tre giudici (bastava un po’ di psicologia di seconda mano per capire che in quanto donne andavano affrontate in diverso modo) che ad Arcore si sarebbero celebrate “cene eleganti”, dove tutt’al più si raccontava qualche barzelletta spinta, ci si travestiva da Ilda Boccassini e si cantavano le canzoni con Apicella. Ma il loro ‘capolavoro’ è stato non impedire quell’incredibile marcia verso il Palazzo di Giustizia di un centinaio di parlamentari del Pdl capeggiati da Angelino Alfano contro la persecuzione ai danni di Berlusconi ricoverato al San Raffaele per un male all’occhio. Invece di blandire il loro ‘capo’ ne hanno assecondato l’istinto a difendersi dal processo e non dentro l’aula. E’ bastato metterci un piede in quell’aula a Coppi per stravincere uno dei suoi processi più facili. (manuela d’alessandro)

  • Burocrazia giudiziaria: “Caro avvocato, qual è il rapporto di parentela tra moglie e marito?”

    “Caro Dipartimento di amministrazione penitenziaria, mi darebbe informazioni sul marito della mia assistita, per il procedimento di divorzio? Lo chiede il giudice”.
    “Caro avvocato, qual è il grado di parentela tra la sua assistita e il marito?”
    “Caro Dap, credevo fosse sufficiente scrivere che si tratta del marito della mia assistita per spiegare che è il marito della mia assistita”.
    “Caro avvocato, ecco le sue informazioni”.
    E’ successo davvero, anche se in termini un pochino più formali. Equivoci. Del resto è anche attraverso equivoci, perdite di tempo, burocrazia, che si snoda il rapporto tra professionisti e personale della pubblica amministrazione. L’avvocato Massimo Schirò chiede di sapere se il marito della sua cliente, romeno, 38 anni, sia in carcere. Non lo si trova da nessuna parte. Non in Romania, dove è formalmente residente, non in Italia, nonostante proprio a Milano si sia sposato, senza però mai prendervi residenza o anche solo domicilio.

    Quel che si sa, dalle autorità romene, è che nel 2006 è sparito dal suo Paese. Ma bisognerà pur notificargli l’atto del ricorso di divorzio. Il giudice suggerisce al legale di provare con il Dap. Ecco che parte la prima Pec (Posta Elettronica Certificata) con cui il legale chiede informazioni, allegando l’atto di nomina. Il dipartimento risponde a stretto giro: 24 ore dopo. Ma pretende che la domanda venga riformulata: “Preso atto della richiesta acclusa alla presente, considerato che non è stata allegata la prevista istanza formale su carta intestata dello studio e debitamente firmata, si restituisce al mittente per i conseguenti adempimenti. Ciò a significare che le istanze dovranno pervenire a questo ufficio complete  di richiesta di accesso agli atti e in allegato, la prevista documentazione a supporto (anche se precedentemente da Lei già inviata)”. Simpatia. Ma si sa, la forma è sostanza.
    E’ giovedì, il legale si adegua ci riprova nel giro di due ore, con tutti i documenti richiesti. Il Dap risponde il lunedì successivo: “Serve un documento dalla quale si evince il grado di parentela tra il suo assistito e la persona per la quale chiede informazioni. Distinti saluti”. Il professionista che non si perde d’animo, è quello che davanti al funzionario che sbaglia mantiene la calma, usa la pazienza come principio guida del suo agire. “Avendo allegato un ricorso per scioglimento del matrimonio mi sembrava evidente che il rapporto tra il signor XY e la signora ZX fosse il coniugio……”. Così, con sei puntini.
    Dieci minuti arriva la maledetta informazione. Il marito, quasi ex, non è nelle patrie galere.

  • Cosa importa ai pm delle pagelle dei figli di Bossetti?

    I figli di un presunto omicida vanno bene o male a scuola? E’ una domanda sciocca? Non per i pubblici ministeri di Bergamo che indagano sull’assassinio della piccola stella della ginnastica Yara Gambirasio. Dalla montagna di documenti depositati con la chiusura dell’inchiesta su Massimo Giuseppe Bossetti spuntano le pagelle dei tre figli dell’uomo che avrebbe martirizzato la bambina (lui però continua a dichiararsi innocente).

    Meglio: più che le pagelle, a disposizione delle parti e dei giornalisti entrati subito in possesso di queste carte (come prevedibile), ecco la ‘radiografia’ dei ragazzini che frequentano medie ed elementari nel minuscolo paese di Mapello. Oltre ai voti presi a scuola, vengono evidenziate le litigate coi compagni, le rispostacce date ai professori, le gite, le parolacce, i momenti di distrazione.

    Tutta la vita di tre piccoli innocenti viene scandagliata perché sono i figli di un presunto killer. Non c’è altra ragione investigativa, o perlomeno non viene spiegata. Nel verbale di un interrogatorio, si legge che il pm chiede a Bossetti per quale ragione, nonostante i “brutti voti in pagella” e il fatto che si “picchi coi compagni”, abbia premiato suo figlio comprandogli un tablet. Risposta disarmante: “Sa, i genitori per i figli fanno tutto”.

    Torniamo al quesito iniziale. I figli dei presunti omicidi come vanno a scuola? Ebbene, tenetevi forte. I risultati investigativi sono sconcertanti: uno va bene, uno va così così, l’altro va male. E ora? Interpelliamo la Cassazione? (manuela d’alessandro)

  • Palazzo Marino, il falso ideologico e la Repubblica penale

    Questa è una piccola storia che dimostra la facilità con cui in Italia si finisce sotto processo penale per poi essere assolti con spreco di denaro sia da parte dello Stato sia da parte del cittadino chiamato a difendersi.

    Scriviamo e parliamo dell’accusa di falso ideologico contestato a un architetto che aveva per un restauro in centro presentato una Dia (denuncia di inizio attività), poi si era informato presso l’ufficio piccole opere del Comune di  Milano sull’esito della pratica, ritirando l’incartamento prima dei 30 giorni e ripresentando il tutto come una richiesta di concessione.

    Il funzionario del comune riteneva che il falso si fosse consumato comunque segnalando la notizia di reato alla procura. Il dirigente dello sportello unico emetteva un provvedimento di diffida a sospendere le opere, “ovviamente mai iniziate”, precisa l’avvocato difensore Giulia Gavagnin. Il 6 ottobre scorso c’è stata l’assoluzione “per insussistenza del fatto”. In aula uno dei funzionari di Palazzo Marino affermava che sarebbe stato scorretto informarsi sull’esito della presentazione di una pratica e che sarebbe stato parimenti scorretto ripresentare una diversa Dia anche se la precedente era stata ritirata. (altro…)

  • La prescrizione salva una mamma russa dalle disumane carceri di Mosca

    Chi è Ekateryna Tyurina? Una truffatrice che ha falsificato le carte per una proprietà che vale 30 milioni di euro nel cuore di Mosca oppure una giovane madre perseguitata dallo Stato russo, bramoso di mettere le mani sul suo ‘tesoro’? Nel dubbio, la Cassazione blocca il via libera all’estradizione n Russia concesso dalla Corte d’Appello di Trieste lo scorso 11 novembre. E lo fa usando lo ‘scudo’ della prescrizione che consentirà alla donna di restare in Italia.

    Tyurina, 38 anni, era stata arrestata dall’Interpol ad agosto mentre era n vacanza a Lignano Sabbiadoro coi tre figli; a dicembre anche suo marito era stato fermato a Praga. L’accusa per lei è quella di avere truffato i soci di minoranza in relazione alla proprietà sulla quale sorge un centro commerciale nel centro storico della capitale.  In realtà, secondo l’avvocato Pasquale Pantano, la donna ha già vinto tutte le cause civili intentate dai soci di minoranza  e l’inchiesta penale sarebbe solo una “manovra” per sottrarle i suoi beni. Il marito invece è finito in carcere per essere il presunto mandante dell’omicidio di un avvocato moscovita, avvenuto 20 anni fa, solo sulla base delle dichiarazioni di una signora che, guarda caso, è una delle socie di minoranza della proprietà contesa. Nel ricorso alla Cassazione, oltre a sottolineare il pericolo che Tyurina potesse essere sottoposta a “trattamenti disumani” nelle carcere patrie, Pantano aveva contestato  ai giudici triestini di non avere calcolato che il reato a lei contestato è prescritto per la legge italiana. Gli ‘ermellini’ hanno ritenuto sbagliati i calcoli fatti dai magistrati di Trieste, annullato senza rinvio la loro sentenza e revocato l’ordinanza di custodia cautelare.  Ekateryina, la cui storia è stata accostata al suo legale a quella della Shalabayeva (“c’è sempre un marito ricco, al di là delle ragioni politiche”),  deve ringraziare la vituperata prescrizione italiana che, sulla base dei rapporti di estradizione tra Russia e Italia, si è rivelata decisiva. Evitandole forse i pestaggi e le violenze subiti dai suoi avvocati russi durante le agghiaccianti perquisizioni notturne a cui li ha sottoposti la polizia moscovita. (manuela d’alessandro)

  • Domanda semplice e non innocente: il Csm su Bruti deciderà mai?

    La domandina è semplice e vorrebbe tanto essere innocente ma non si può. Il Csm, sia pure in via cautelare ha deciso su Robledo trasferendolo a Torino, accelerando improvvisamente dopo aver tergiversato per 10 mesi sull’intera querelle con il suo capo Bruti Liberati facendo emergere sms, magari inopportuni e poco eleganti con l’avvocato leghista, che erano a disposizione da un anno e mezzo. Ma su Bruti Liberati che per “colpevole dimenticanza” (parole sue) lasciò nel cassetto il fascicolo sulla Sea che lambiva l’allora neonata giunta di centrosinistra (ottobre 2011) l’organo di “autogoverno” dei magistrati quando pensa di decidere?

    Il Pg della Cassazione Ciani, ora in pensione, dopo aver proposto il trasferimento di Robledo poi ottenuto, aveva emesso un comunicato ufficiale per dire: “Per il resto l’istruttoria prosegue….”. Il resto dov’è? E’ andato in pensione con Ciani?

    Non si conoscono i tempi del procedimento disciplinare su Bruti che tra pochi mesi (31 dicembre) andrà in pensione. E nemmeno quelli del procedimento di merito relativo a Robledo. E’, nel caso dell’ormai ex procuratore aggiunto, come mettere in galera un indagato e non fissare la data del processo. Il Csm aspetta che le sezioni civili della Cassazione decidano, è questione di mesi, sul ricorso contro il trasferimento?

    E per quanto riguarda Bruti si aspetta cosa? Che arrivi il momento della pensione? O un fascicolo nel cassetto per sei mesi (ottobre 2011 marzo 2012) è ritenuto da lor signori giudici dei giudici meno grave delle informazioni che l’avvocato Aiello afferma di aver appreso dai giornalisti e su Internet? Quindi bisogna pensare che l’intero affaire non è da ascrivere solo a due pesi due misure ma perfino a una tempistica diversa che rischia fortemente di sfociare nel mai?

    Insomma, il Csm non vuole fare chiarezza su una vicenda che, per chi vuol capire, ha danneggiato l’immagine, e non solo quella, della magistratura, in misura di molto superiore all’attività dell’imputato più eccellente di tutti. Bruti si sa ha un potere che val molto al di là della sua persona e della sua corrente (Md), il capo dello Stato uscente Napolitano fece fuoco e fiamme per proteggerlo. Era stato designato a capo della procura di Milano quasi all’unanimità e ovvio su input di re Giorgio. Da politico consumato ha garantito un po’ tutte le parti. Adesso ha pure deciso di tenere per sé l’interim del dipartimento anticorruzione, fatto anomalo in una grande, nel senso di grossa, procura. I boatos riferiscono che le inchieste su Expo riprenderanno dopo il 31 ottobre. A palazzo dei Marescialli, cacciato chi aveva gridato che il re è nudo, tutto va bene. Piccolo particolare: Il re di vestiti addosso non ne aveva. Nel frattempo la menano un giorno sì e l’altro pure che sono indipendenti. Persino quando dicono loro che dovrebbero essere in ufficio il primo settembre e non a metà mese, come tutti i comuni mortali. Gridano anche che hanno la produttività più alta d’Europa. Il Csm vada a verificare quanti magistrati, non solo a Milano, stanno in ufficio di pomeriggio. Con calma, anche dopo il 31 dicembre. Non c’è fretta (frank cimini)

  • NoTav, gup: Non sono terroristi, ma stiano in galera uguale

    “Con il loro comportamento processuale non hanno dato segni di resipiscenza” scrive il gup di Torino per negare gli arresti domiciliari a 3 militanti NoTav accusati dell’azione al cantiere di Chiomonte del 14 maggio del 2013 per i quali era caduta davanti al Riesame l’accusa di aver agito con finalità di terrorismo.

    Francesco Sala, Lucio Alberti e Francesco Mazzarelli restano in carcere, e in regime di alta sorveglianza nonostante il “taglio” dell’imputazione più grave, per resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento e porto di armi da guerra (le molotov).

    Per il gup non è possibile sovrapporre a livello di materiale probatorio il procedimento a carico dei 3 con quello connesso a carico dei 4 militanti Notav assolti  a dicembre dall’accusa di terrorismo, condannati a 3 anni e 6 mesi per i reati comuni e messi agli arresti domiciliari.

    Sala, Mazzarelli e Alberti arriveranno da detenuti al processo con rito abbreviato del 23 aprile. Il gup ha deciso di non tenere conto né della sentenza della corte d’assise né del Riesame che anche per i 3 aveva escluso il terrorismo. Il giudice si è adeguato alla propaganda dell’accusa che per bocca del pg Maddalena anche in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario aveva criticato la corte d’assise che avrebbe “sottovalutato” il fenomeno della violenza politica.

    Non si spiega, o per altro verso si spiega benissimo, perché Sala, Mazzarelli e Alberti restano detenuti in un regime di 41bis di fatto nel carcere di Ferrara pur non essendo più formalmente imputati di terrorismo. “Nessuna resipiscenza” dice il gup, tralasciando il fatto che la sede per eventuali dichiarazioni è quella del giudizio abbreviato il 23 aprile. Come del resto fecero nel processo connesso i 4 coimputati davanti all’assise spiegando le motivazioni dell’azione di Chiomonte ammettendo la loro partecipazione (frank cimini)

  • Insultò sindaco omofobo, prosciolto
    Gip: discriminazioni di genere fuori dal tempo
    La società è più tollerante

    Ora le associazioni e l’intera comunità Lgbt (Lesbica, Gay, Bisex, Trans)  ringrazino pubblicamente l’ex sindaco di Sulmona Fabio Federico. E’ solo grazie alla sua ostinazione nel querelare chiunque avesse osato commentare le sue dichiarazioni omofobe che ora possiamo leggere sentenze chiare, innovative e illuminanti, in tema di discriminazione di genere e di orientamento sessuale, come quella che vi illustriamo qui.

    Ricordate quel giovane che gli diede della “testa di c.” per il video in cui Federico associava omosessualità e presunte ‘aberrazioni genetiche’? Il pm di Busto Arsizio aveva chiesto l’archiviazione, spingendosi ad affermare che quell’insulto era persino poca cosa a fronte delle affermazioni pubbliche dell’allora primo cittadino su Pacs, omosessualità e genetica. Ora il gip Patrizia Nobile accoglie la richiesta di archiviazione – cui Federico si era opposto – e va oltre le argomentazioni del pm. L’imputato va archiviato perché ha reagito a una provocazione, come sostenuto dall’avvocato Barbara Indovina, che ha seguito questa vicenda più per impegno civile che per dovere professionale. “La gravità” delle affermazioni di Federico, scrive il giudice, “non è revocabile in dubbio e ciò non solo perché quanto sostenuto dall’opponente è destituito di qualsiasi fondamento scientifico, ma perché trattasi di affermazioni gravemente discriminatorie, che esorbitano da qualsiasi tutelabile manifestazione del diritto di opinione o di critica, giacché riconducibili a convinzioni, peraltro mutuate da famigerate teorie eugenetiche, incitanti all’omofobia, alla transfobia e alla discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere“. Insomma Federico ha usato concetti che non ricadono nella critica, ma sono falsità, tanto più gravi in quanto si rifanno al peggio della storia del ‘900 tentando di proiettarsi sul presente. Ma in questo secolo, quello in cui viviamo, spiega il giudice, “sempre più presente è l’attenzione nella società civile a fenomeni di emarginazione sociale riconducibili all’omofobia (…) e può ritenersi che la società civile nell’ultimo decennio abbia rinunciato a ritenere ‘innaturale’ un fenomeno in realtà esistente in natura e sia dunque ormai approdata alla ‘depatologizzazione’ della omosessualità, interiorizzando piuttosto il valore della tolleranza e della tutela della libertà di orientamento sessuale“. Insomma, il signor Federico, che si è offeso per quell’insulto, è rimasto indietro di qualche decennio e male fa a lamentarsi. Fa parte di quella esigua minoranza che ritiene – maldestramente – che l’omosessualità sia una malattia.

    Anche in un processo gemello di Milano gli è andata male, questa settimana. Aveva chiesto 15mila euro all’imputato di diffamazione. Invece il giudice ha assolto, al termine del dibattimento. L’offesa c’era – anzi, era forse più pesante del ‘testa di c.’ – ma è scriminata, anche in questo caso, dalla provocazione di quel video. In altri processi ancora – sì perché con le sue querele Federico ha messo in moto una quarantina di Procure e Tribunali della Repubblica – l’imputato ha transato. Noi siamo convinti che a fare giurisprudenza sarà la sentenza del giudice di Busto Arsizio. Sentenza Busto Arsizio

  • Insultò sindaco omofobo, prosciolto
    Gip: discriminazioni di genere fuori dal tempo
    La società è tollerante

    Ora le associazioni e l’intera comunità Lgbt ringrazino pubblicamente l’ex sindaco di Sulmona Fabio Federico. E’ solo grazie alla sua ostinazione nel querelare chiunque avesse osato commentare le sue dichiarazioni omofobe che ora possiamo leggere sentenze chiare, innovative e illuminanti, in tema di discriminazione di genere e di orientamento sessuale, come quella che vi illustriamo qui.

    Ricordate quel giovane che gli diede della “testa di c.” per il video in cui Federico associava omosessualità e presunte ‘aberrazioni genetiche’? Il pm di Busto Arsizio aveva chiesto l’archiviazione, spingendosi ad affermare che quell’insulto era persino poca cosa a fronte delle affermazioni pubbliche dell’allora primo cittadino su Pacs, omosessualità e genetica. Ora il gip Patrizia Nobile accoglie la richiesta di archiviazione – cui Federico si era opposto – e va oltre le argomentazioni del pm. L’imputato va archiviato perché ha reagito a una provocazione, come sostenuto dall’avvocato Barbara Indovina, che ha seguito questa vicenda più per impegno civile che per dovere professionale.

    “La gravità” delle affermazioni di Federico, scrive il giudice, “non è revocabile in dubbio e ciò non solo perché quanto sostenuto dall’opponente è destituito di qualsiasi fondamento scientifico, ma perché trattasi di affermazioni gravemente discriminatorie, che esorbitano da qualsiasi tutelabile manifestazione del diritto di opinione o di critica, giacché riconducibili a convinzioni, peraltro mutuate da famigerate teorie eugenetiche, incitanti all’omofobia, alla transfobia e alla discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere“. Insomma Federico ha usato concetti che non ricadono nella critica, ma sono falsità, tanto più gravi in quanto si rifanno al peggio della storia del ‘900 tentando di proiettarsi sul presente. Ma in questo secolo, quello in cui viviamo, spiega il giudice, “sempre più presente è l’attenzione nella società civile a fenomeni di emarginazione sociale riconducibili all’omofobia (…) e può ritenersi che la società civile nell’ultimo decennio abbia rinunciato a ritenere ‘innaturale’ un fenomeno in realtà esistente in natura e sia dunque ormai approdata alla ‘depatologizzazione’ della omosessualità, interiorizzando piuttosto il valore della tolleranza e della tutela della libertà di orientamento sessuale“. Insomma, il signor Federico, che si è offeso per quell’insulto, è rimasto indietro di qualche decennio e male fa a lamentarsi. Fa parte di quella esigua minoranza che ritiene – maldestramente – che l’omosessualità sia una malattia.

    Anche in un processo gemello di Milano gli è andata male, questa settimana. Aveva chiesto 15mila euro all’imputato di diffamazione. Invece il giudice ha assolto, al termine del dibattimento. L’offesa c’era – anzi, era forse più pesante del ‘testa di c.’ – ma è scriminata, anche in questo caso, dalla provocazione di quel video. In altri processi ancora – sì perché con le sue querele Federico ha messo in moto una quarantina di Procure e Tribunali della Repubblica – l’imputato ha transato. Noi siamo convinti che a fare giurisprudenza sarà la sentenza del giudice di Busto Arsizio. Sentenza Busto Arsizio

  • #grazieinquirenti, le ‘olgettine’ twittano contro i pm e si fanno la guerra

    Su twitter va in (messin)scena una frizzante inchiesta ‘Ruby ter’ parallela a quella che ha portato la Procura di Milano a perquisire 21 ragazze ospiti ad Arcore con l’accusa di essere state zittite da Silvio Berlusconi a suon di bonifici. Nel Tribunale del web, @barbyguerraloca (Barbara Guerra),  l’ex show girl che avrebbe ricevuto una villa in Brianza da 1 mln di euro dall’ex Cavaliere, si difende e concede spunti investigativi ai pubblici ministeri: “Miriam Loddo case regalate dal Presidente…a me non ha regalato un cazzo nessuno!”; “Fico casa da 2 milioni a Milano2 regalata dal Cavaliere, forse vi era sfuggita” (a lei è sfuggito che Raffaella Fico non è indagata);”Andate a bussare a casa di queste, lista è lunga! Toccate sempre le persone che non c’entrano! Galanti (Claudia), Velen (Rodriguez?, ndr), Aida (Yespica?, ndr)) a cena me le ricordo bene io”.

    Le ragazze si prendono gioco del fervore investigativo manifestato dai pm Gaglio, Forno e Siciliano che, in queste ore, stanno leggendo migliaia di sms e whatsap estratti dai loro telefoni cellulari sequestrati. @ioanninavisan (Iona Visan) si consulta con @barbyguerraloka:”E poi con l’Isis come siamo messi…?Spendono i soldi per la nostra sicurezza o solo per le mignotatte?“. Il 17 febbario, giorno del blitz della Procura, la modella romena scrive: “Che bella giornata di ‘SIETE RIDICOLI””.

    Le ‘olgettine’ si scannano anche tra loro.  Francesca Cipriani si prende dell’”obesa” e a @giucruciani (Giuseppe Cruciani) che l’ha intervistata a Radio 24 alcune ragazze chiedono indispettite: “Ma proprio Cipriani dovevi farci sentire? Una figa no, eh?”.

    Il premio per il twit più divertente va a @Ioanninavisan. Quando i pm gli riconsegnano il telefono sequestrato incide la sua felicità nell’hashtag #grazieinquirenti, corredato da foto con gran sorriso. (manuela d’alessandro)

  • Procuratore smentisce il Corriere…. come l’uomo che morde il cane

    Non era mai accaduto. E’ successo oggi. Il procuratore della Repubblica di Milano ha smentito il Corriere della Sera in relazione a un accordo raggiunto dal colosso Google con agenzia delle entrate, gdf e pm attraverso il pagamento di 320 milioni di euro per risolvere un contenzioso fiscale.

    Edmondo Bruti Liberati, senza nemmeno citare il quotidiano o generiche notizie di stampa, ha emesso un comunicato ufficiale in cui afferma: “E’ stato intrapreso il contraddittorio con rappresentanti del gruppo Google…. allo stato non sono state raggiunte intese con la società che si è riservata di fornire dati che consentano di quantificare la redditività in Italia”.

    Cioè, dice Bruti, l’accordo non è stato perfezionato. Su Corriere.it Luigi Ferrarella, l’autore dell’articolo, precisa che l’accordo raggiunto la settimana scorsa dopo una riunione in procura prevede che la settimana prossima la compagnia americana presenti l’istanza di adesioneall’agenzia delle Entrate sulla base della fotografia scattata dal processo di constatazione della gdf.

    Anche Google aveva smentito, ma che lo faccia la compagnia interessata al contenzioso fa parte del gioco, è quasi scontato. Che il procuratore di Milano prenda, si diceva una volta carta e penna ora sostituite dal computer, per controbattere quella che al massimo appare come una inesattezza sui tempi della formalizzazione nero su bianco di un accordo già intervenuto è sicuramente singolare.

    Il capo della procura di Milano che smentisce o meglio cerca di smentire il Corriere è un po’ come l’uomo che morde il cane. Insomma è una notizia, che va al di là di un pur importante contenzioso fiscale. Anche il circuito mediatico giudiziario di cui parlano spesso i critici, in realtà non moltissimi, della repubblica penale nata nel 1992 ma con ogni probabilità pure molto prima, conosce i suoi intoppi.

    Tornando a Google, la settimana prossima l’accordo sarà formalizzato esattamente nei termini di cui ha scritto il quotidiano di via Solferino. Ma allora sarà una notizia vecchia. La novità, vera e unica, è il procuratore di Milano che si imbarca nella smentita (tentata) del Corriere (frank cimini)

     

  • Yara, un processo sui media…sorella di Bossetti picchiata 3 volte

    E’ la terza volta che la picchiano e stavolta l’hanno mandata in ospedale con trauma cranico e fratture varie con una prognosi di 30 giorni. Lei è Laura Letizia Bossetti, sorella dell’uomo in carcere con l’accusa di aver ucciso Yara Gambirasio. Il 10 febbraio corso le avevano anche messo a soqquadro la casa, adesso invece l’hanno di nuovo pestata. Si parla di due uomini incappucciati.

    E soprattutto a questo punto non si può non ricordare il clima non certo meteorologico e il contesto in cui si sta svolgendo l’inchiesta. Non passa giorno che sui media finiscano elementi di indagine nell’esclusiva disponibilità dell’accusa, procura di Bergamo e polizia giudiziaria, che aggraverebbero la posizione dell’unico indagato il quale dalla sua cella continua a proclamarsi innocente.

    Mai come in questo caso non è un problema di merito ma di metodo. Sarà un processo ad accertare le presunte responsabilità del signor Bossetti. Ma di questo passo non potranno non influire sulla decisione dei giudici le fughe di notizie che tendono mediaticamente a convincere l’opinione pubblica che l’indagato è colpevole “oltre ogni ragionevole dubbio”.

    I particolari dell’inchiesta non sono a disposizione della difesa che apprende delle continue novità dai media, ovviamente senza poter interloquire sul punto perché l’inchiesta non è ancora chiusa. In questa situazione agiscono persone magari affette da disturbi mentali o da semplice imbecillità che vanno a prendersela con la sorella dell’indagato dopo aver respirato il clamore mediatico innescato da chi, pm o polizia giudiziaria, dovrebbe tutelare il segreto istruttorio.

    E invece gli inquirenti fanno l’esatto contrario. Forse sarebbe il caso di sanzionare con procedimento disciplinare davanti al Csm il pm titolare dell’inchiesta tutte le volte che finiscono sui giornali atti e documenti non ancora depositati e che solo l’accusa conosce. Ci dovrebbe pensare la politica abituata però a  protestare solo quando i danni riguardano un suo esponente o un potente. Bossetti è un cittadino qualsiasi, con un quadro indiziario sicuramente pesante, che ha diritto di difendersi. E il diritto di difesa è fortemente limitato dall’accusa che usa i giornali per “vincere” il processo in anticipo (frank cimini)

  • Giudici: dai NoTav nessuna minaccia grave allo Stato

    Dai NoTav non ci fu nessuna minaccia grave allo Stato. Lo scrivono i giudici della corte d’assise di Torino nelle motivazioni della sentenza che a dicembre scorso aveva assolto 4 militanti dall’accusa di aver agito con finalità di terrorismo.

    “Pur senza voler minimizzare i problemi per l’ordine pubblico che derivano da inaccettabili manifestazioni non si può non riconoscere che in Val di Susa non si vive una situazione di allarme da parte della popolazione e che nessuna delle manifestazioni violente ha inciso sugli organismi statali che devono realizzare l’opera” scrivono i giudici. Al centro del processo c’era l’azione contro il cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013 per la quale i 4 imputati, assolti dall’accusa più grave, furono condannati a 3 anni e 6 mesi soprattutto per l’uso di armi da guerra (molotov).

    “Appare incontrovertibile – secondo la corte – la mancanza di volontà di attentare alla vita delle persone che lavoravano nel cantiere”. I 4 imputati si trovano agli arresti domiciliari da dicembre dopo un anno di carcere proprio per effetto della sentenza della corte.

    Altri 3 militanti NoTav invece sono ancora in carcere nonostante sia caduta al riesame anche per loro l’accusa di aver agito con finalità di terrorismo. Oggi, nel giorno in cui sono state rese le motivazioni  della sentenza della corte, l’avvocato Eugenio Losco ha depositato istanza di arresti domiciliari per i 3 imputati detenuti in regime di alta sorveglianza e che saranno processati con rito abbreviato il prossimo 23 aprile. L’avvocato chiede di sostituire il carcere con la detenzione in casa perchè le esigenze cautelari si sono sicuramente attenuate dal momento che non c’è più l’imputazione di terrorismo.

    Il gip deciderà nei prossimi giorni se tenere in conto la sentenza della corte d’assise ora pure motivata oppure se supportare la procura di Torino che con il teorema Caselli ha radicalizzato lo scontro sul treno ad alta velocità oltre ogni misura forzando la mano in senso emergenziale (frank cimini)

  • L’ultimo giorno di Livia Pomodoro dopo 22 anni di Presidenza

    Per 22 anni Presidente, prima del Tribunale per i Minorenni (1993 – 2007), poi di quello dei ‘grandi’, Livia Pomodoro si alza oggi da una delle sedie più importanti della giustizia milanese. Ad aprile svestirà anche la toga e andrà in pensione non appena soffiate le 75 candeline. In una lettera inviata agli avvocati, Pomodoro riferendosi al suo mandato parla di “cammino non scontato, non facile, pieno di problemi ma anche di successi e di cambiamenti che sono diventati punto di riferimento nazionale su come si può gestire con efficacia la Giustizia in Italia”. Commenta un legale: “Ha fatto molto soprattutto per il civile, poco per il penale anche se le aule per i processi sono state ben sistemate”.

    Funambolica l’idea di chiamare  i corridoi del pianterreno, luogo di bolge e dolore vero, coi nomi di donne presi dalla cultura classica. Ha speso molte energie per velocizzare la giustizia con l’introduzione del Processo Civile Telematico, lanciando Milano come capofila. Ci è riuscita in parte: si va avanti con successi e  intoppi, ma le va riconosciuto il merito di avere visto lungo e, in generale, di non avere mai interpretato il suo ruolo come quello di un’asettica giurista fuori dal mondo.

    Molte perplessità restano sull’utilizzo dei fondi Expo destinati al Palazzo. I monitor che costellano il Tribunale sono sempre più un oggetto misterioso, non funzionano o fanno pubblicità alle ragioni dell’Anm, e le gare per l’assegnazione dei soldi sono apparse opache non solo a noi ma anche ad alcuni magistrati. Pomodoro è stata nominata Ambasciatrice We di Expo, cioè selezionata, leggiamo sul sito ufficiale dell’Evento, tra le “figure di spicco che diffondono e testimoniano l’importanza di fare rete, in un unico grande WE”. Presiederà inoltre il ‘Centro Internazionale di Documentazione e Studio sulle politiche pubbliche in materia di Alimentazione’ nato da un protocollo firmato tra Camera di Commercio, Expo2015, Comune di Milano e Regione Lombardia. Per la sua successione dieci magistrati hanno presentato domanda al Csm. Favorita è l’attuale Presidente del Tribunale dell’impresa, Marina Tavassi, buone quotazioni anche per l’attuale Presidente dei gip Claudio Castelli e l’attuale ‘vicario’ del Tribunale Roberto Bichi. Decideranno i giochi di corrente.

    Un’altra Pomodoro sarà difficile, magistrato ‘scenico’ non solo per la sua passione per il teatro (ne dirige uno e si è esibita con parrucca colorata), ma anche per come ha interpretato la sua Presidenza. Poco magistrato anche per come ha reagito alle critiche, non con ostilità, ma sempre con un saluto e un sorriso. (manuela d’alessandro)

  • Ruby ter, il decreto dei pm
    Se necessario buttate giù le porte

    Buttate giù le porte – se necessario – ma con delicatezza. A pagina 3 del decreto di perquisizione, i pm Luca Gaglio, Tiziana Siciliano e Pietro Forno autorizzano il personale di polizia giudiziaria a rimuovere “eventuali ostacoli fissi che eventualmente si frapponessero al regolare svolgimento delle operazioni di perquisizione locale di cui al presente decreto (il tutto con facoltà di servirsi dell’ausilio di personale idoneo e con modalità tali da recare il minor danno possibile alla proprietà)”. Una formula di rito, forse, ma quanto mai cogente, in questo caso.

    Sembra infatti che per entrare nella lussuosa abitazione in cui vive la soubrette Barbara Guerra, una villa da un milione di euro progettata dall’archistar Mario Botta e intestata formalmente a società riconducibili a Silvio Berlusconi, sia stata necessaria la presenza dei vigili del fuoco. Non si è arrivati a scardinare la serratura, certo: alla fine Barbara Guerra si è convinta ad aprire. Ma forse la minaccia è servita. Anche per la cassaforte scoperta a casa di Francesca Cipriani, la presenza contestuale di un fabbro poteva essere utile. Pare però che la giovane ex partecipante del Grande Fratello abbia fornito gentilmente le chiavi.

    Ecco in esclusiva il decreto perquisizioni ruby ter (ci scusiamo per la qualità dell’immagine ma, si sa, il lavoro di ricerca documenti non è cosa per designer, né per archistar).

  • I ‘tappabuchi’ della giustizia
    Chiamati per 8 giorni al mese

    Da lavoratori socialmente utili – e sempre più esperti di cose di Tribunale – a ‘tappabuchi’ a chiamata da otto giorni al mese.

    Mentre Tribunale e Procura denunciano la cronica carenza di personale, solo in minima parte alleviata dagli arrivi di personale annunciati dieci giorni fa dal ministro della Giustizia Orlando, ci sono lavoratori che il palazzo lo vedono dieci-quindici giorni al mese. Non perché non abbiano voglia di faticare – anzi, fanno parte di un programma che serve proprio a integrare il reddito di chi il lavoro l’ha perso incolpevolmente, con una spesa minima per la pubblica amministrazione e beneficio massimo per la macchina della Giustizia – ma semplicemente perché vengono chiamati al in Tribunale per poche ore. Volonterosi tappabuchi.

    Sono i 140 lavoratori socialmente utili (Lsu) dell’accordo tra Provincia di Milano e Tribunale. Gente in cassa integrazione o mobilità. L’ultima infornata è di venerdì scorso, quando un’email succinta dalla segreteria dell’ufficio Personale annuncia: “Si comunica che il personale assegnato alle rispettive cancellerie, presterà attività lavorativa dal dal 16-17 febbraio al 28 febbraio per un totale di 50 ore lavorative: dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle ore 14. Cordiali saluti”. Dieci giorni, dieci. Part-time. Cinquanta ore in tutto. L’equivalente di otto giornate intere. (altro…)

  • “Evasore seriale”, gli sequestrano 5 mln senza una condanna

    E’ stato sempre prescritto, tranne un’assoluzione per insufficienza di prove, nei numerosi processi per frode fiscale in cui è incappato. Ma i giudici della sezione Autonoma Misure di Prevezione, presieduti da Fabio Roia, gli hanno sequestrato 5 milioni di euro sulla base di “indizi” che dimostrerebbero una “spoporzione tra gli investimenti effettuati nell’ambito delle sua attività lavorative  e il reddito dichiarato.

    Con un provvedimento ‘pilota’, la Guardia di Finanza di Milano ha portato via all’imprenditore di origini irpine  Mario La Porta, attivo nel settore del movimento terra, 60 immobili, terreni, conti correnti e due società, come misura di prevenzione e non a seguito di inchieste o procedimenti in corso. “Questi beni, secondo i giudici, “appaiono indicativi di una disponibilità economica temporalmente in gran parte coincidente con le attività illecite poste in essere (…) che non trova giustificazione in adeguati e proporzionati redditi leciti, sì da ritenere che costituiscano il frutto o il reimpiego di attività illecite”. Secondo il pm Alessandra Dolci, a partire dal 2000 l’imprenditore si è dedicato a “diverse attività illecite” anche per reati in materia ambientale e di immigrazione e “principalmente” ha messo in atto “un’evasione fiscale in forma sistematica e seriale” accumulando “un ingentissimo patrimonio immobiliare”. Tutti raggiri al fisco mai culminati in una condanna sebbene accertati in sede tributaria. Per giustificare la ‘pericolosità sociale’ di Mario La Porta i giudici si riferiscono ad accertamenti condotti dalla Dia che evidenzierebbero “consolidati rapporti” tra la famiglia La porta ed esponenti della criminalità organizzata calabrese, in particolare col clan dei Flachi. Ora in un’apposita udienza i giudici dovranno decidere se confiscare o meno i beni sequestrati all’imprenditore.  Resta il fatto che per la prima volta, almeno a Milano, c’è stato un sequestro patrimoniale a carico di un presunto evasore come misura di prevenzione, ‘solo’ sulla base di indizi. (manuela d’alessandro)

  • Non toccate la prescrizione, baluardo della libertà e del diritto

    Nulla di sorprendente, in epoca di “giustizialismo” sfrenato e di populismi demaogici d’accatto (urlare in TV che “i ladri devono andare in galera” e che “gli stupratori meritano che si butti via la chiave” se non il taglio del pene, è opera tanto banale quanto assai pagante in termini di facile consenso), che l’ultima grande crociata dei tifosi delle Procure e degli “erotizzati dalle manette” sia l’assalto alla diligenza della prescrizione, fatta ormai mediaticamente passare come il grande salvacondotto delle tante nefandezze nostrane. E così non passa giorno che qualche tribuno, anche autorevole, non accompagni alla applaudita invettiva di rito anche accorate richieste di eliminazione per “evitare che i delinquenti continuino a farla franca grazie ai cavilli legali di qualche avvocato” e ovviamente, e giustificatamente, di fronte a siffatto tam tam, i non addetti se la bevono, ed ingrossano vieppiù le fila della messa cantata.

    Forse non tutti sanno che… titolava anni fa una fortunata rubrica di “La settimana enigmistica” e allora forse sarà bene spiegare a chi non lo sa in cosa realmente consista questa causa di estinzione prevista dal nostro Codice Penale (si badi non di procedura, il che significa che è norma sostanziale, e non di rito) del 1930, all’art. 157. Il principio, di vetusta e onusta tradizione di qualsiasi civiltà giuridica che si rispetti, stabilisce che per mantenere sulla micidiale graticola di un processo penale (solo chi ci è passato può capire quale pena sia essere imputati e doversi difendere in termini di tempi, costi, sofferenze, perdite di relazioni sociali o di opportunità lavorative, irreparabile lesione della reputazione) lo Stato dispone di un tempo predeterminato, oltre al quale non può andare. Il che significa semplicemente che allo Stato non è concesso di procrastinare all’infinito la notevole potestà autoritativa di cui dispone, ossia quella di dichiarare se un cittadino ha davvero commesso o meno il reato che un bel giorno ha deciso di contestargli e stabilire l’entità della punizione effettiva che ciò gli comporterà in termini di privazione della libertà personale. Fin qui, mi immagino, nessuno, neppure tra i più aficionados alla parola condanna troverà nulla da obiettare. Il punto, viene detto, è che quel tempo entro il quale lo Stato deve decidere della vita dei cittadini è troppo breve, mentre i processi sono troppo lunghi e quindi, di fatto, l’attuale prescrizione garantirebbe una inaccettabile quanto diffusa impunità. (altro…)

  • L’ordinanza con cui il Csm caccia Robledo e gli toglie la funzione di pm

    In dieci pagine la sezione disciplinare del Csm getta Alfredo Robledo nell’inferno riservato, prima di lui, a pochi altri. Tra questi al pm Ferdinando Esposito curiosamente pure spedito da Milano a Torino dopo essere stato spogliato come Robledo della funzione di pm.  Sorte analoga subirono i magistrati della Procura di Catanzaro e quelli di Salerno nell’ambito di una guerra con al centro l’indagine ‘Why not’. Andò ancora peggio a un altro pm di passaggio a Milano, Edi Pinatto, che venne rimosso dall’ordinamento giudiziario perché, quando era giudice a Gela, ci mise otto anni per scrivere le motivazioni di una sentenza con cui erano stati condannati sette componenti del clan Madonia.  Oltre alla decisione del Csm trovate anche la difesa di Robledo. (m.d’a.)

    ORD. 16.15 ROBLEDO proc. n. 7.15 R.G.C

    Udienza cautelare(1) memoria di Alfredo Robledo

  • “Giustiziato” Robledo, i due pesi due misure del Csm

    Alfredo Robledo lascia il posto di aggiunto alla procura di Milano per andare a fare il giudice a Torino. Trasferito. Lo ha deciso il Csm che ha valutato gli sms scambiati da Robledo con l’avvocato della Lega Nord Domenico Aiello quando questi era indagato a Reggio Calabria e venne intercettato. Quei messaggi che al massimo saranno stati inopportuni e ineleganti alla fine pesano molto di più rispetto a cose più gravi. Questa è la forma che è vero che è sostanza ma a volte conta più della sostanza. A quasi un anno dall’esposto presentato da Robledo contro il capo della procura Bruti Liberati il Csm di fatto decide solo su Robledo.

    Due pesi e due misure. Come se il fascicolo sulla Sea “dimenticato” da Bruti in cassaforte e finito sul tavolo di Robledo con sei mesi di ritardo fosse aria fritta, un nonnulla. Il pg della Cassazione Gianfranco Ciani ad un certo punto si svegliò dal torpore, quello della giustizia interna alla magistratura, per dire che Robledo doveva andare via da Milano. “L”istruttoria per il resto prosegue”, aggiunse qualche giorno dopo, ma del resto non si è saputo più niente.

    Robledo paga per il fatto di aver gridato che il re è nudo. Gli sms con Aiello, vecchi di un anno e mezzo, sono stati tirati fuori al momento opportuno quando servivano per risolvere una situazione che all’immagine della magistratura ha fatto molto male. Quei messaggi servivano per punire l’anello debole della catena, dal momento che Bruti Liberati notoriamente ha un potere che va molto al di là del suo nome e della sua corrente, Md. E infatti non è un mistero che sia stato sostenuto in tutti i modi dal capo dello Stato uscente Giorgio Napolitano che fu tra i suoi grandi elettori.

    La pezza è peggio del buco, ma in un certo senso regge. Garantisce il diritto dei magistrati, della categoria e soprattutto dei suoi vertici a fare politica, a compiere scelte politiche in violazione di principi come indipendenza e autonomia, obbligatorietà dell’azione penale buoni da sempre solo per essere sbandierati nelle dichiarazioni pubbliche e nei comunicati stampa.

    Della sabbia sulla Sea, dei criteri di assegnazione delle indagini (Ruby e non solo) in pratica non si parlerà più. Il Csm con i suoi due pesi due misure ha fatto giustizia, ha garantito riproduzione di potere. In realtà per chi vuol capire questa storia dimostra che i magistrati sono persino peggio dei politici perchè avrebbero dei doveri in più di essere credibili, di apparire indipendenti, ma alla fine della fiera a lor signori in toga frega niente.(frank cimini)

  • Calcioscommesse, ecco gli atti
    Chiusa indagine, verso maxiprocesso

    Oltre quattro anni di inchiesta, almeno cinque tornate di arresti, 130 indagati che si ritrovano nell’avviso di conclusione delle indagini. Molti patteggiamenti già arrivati, e squalifiche sportive già definitive. Stentiamo a immaginare quale aula potrà gestire un processo con un numero così elevato di parti.

    Ecco il documento che riassume le accuse della Procura di Cremona, notificato questa mattina, con tutti i nomi e tutte le partite sotto accusa.

    Cremona calscioscommesse avviso conclusione indagini

  • Se Kabobo nella sentenza diventa un danno per Expo

    Expo è una creatura fragile e anche un omicidio del 2013 può nuocere gravemente alla sua salute. Non un omicidio qualunque, certo: Adam Kabobo, ghanese, massacrò a colpi di piccone tre passanti in una tetra alba milanese di gennaio, la personificazione del terribile ‘uomo nero’ negli incubi dei bambini.

    Ora, nelle motivazioni alla sua condanna a 20 anni di carcere, i giudici della Corte d’Appello riconoscono al Comune di Milano un risarcimento per il danno d’immagine che avrebbe subito dall’eccidio. “La diffusione della notizia – si legge nel documento – ha prodotto comprensibile e intenso allarme nella cittadinanza con conseguente danno per l’Amministrazione comunale, sia con riferimento all’azzeramento degli effetti auspicati in conseguenza della costosa attività  di promozione dell’immagine della città, anche all’estero, sia sotto il profilo della verificata inefficienza dell’attivita’ di lotta alla violenza predisposta dal Comune a tutela degli abitanti della zona, teatro degli omicidi”.

    I legali di Kabobo, nel sostenere contro il verdetto di primo grado che Palazzo Marino non aveva subito alcun danno d’immagine, avevano fatto fatto cenno nel ricorso in appello alla “visibilità internazionale di Milano, sede dell’Expo 2015”. Solo che secondo loro tutori dell’ordine e della sicurezza sarebbero la Questura e il Prefetto, non tanto Palazzo Marino.

    Per i giudici però il  “grande clamore mediatico sui giornali e sulle reti televisive, anche straniere, dell’omicidio di 3 cittadini milanesi colpiti a picconate in piena città” ha danneggiato proprio il Comune, impegnato a promuovere l’immagine della città in vista dell’Esposizione Universale. (manuela d’alessandro)


     

  • La stretta di mano Moratti – Moggi, tenerezza e sorrisi su Calciopoli

    Pace. Lucianone quando vede Massimo entrare nell’aula dove è imputato per avere diffamato Giacinto Facchetti prende luce e ha il sorriso di quando guidava la Juve che mieteva tricolori.  La mano di Massimo si allunga come un ramo di ulivo e lui la prende con vigore. La pace tra Luciano Moggi e Massimo Moratti scende su Calciopoli  oltre il novantesimo.

    Nei tempi regolamentari si era giocato così. Moratti, dopo la sentenza di condanna di Luciano: “Il verdetto che acclara la colpevolezza di certe persone rende l’idea delle difficoltà passate dall’Inter”. Moggi, in contropiede: “Moratti deve stare zitto perché guida una squadra la cui storia è costellata di debiti e di bidoni. Moratti e Facchetti chiamavano Bergamo per fargli vincere le partite”.

    Il presidente del ‘triplete’ si accomoda al banco del testimone in questo processo che è un ‘bigino’ della grande Calcipoli. Composto. “Sì, è vero: i designatori degli arbitri Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto mi chiamavano qualche volta. Avevano questo atteggiamento di apertura e cordialità con tutti, chiamavano tutti”.

    Un avvocato con tono provocante gli ricorda di quando al telefono espresse a Bergamo soddisfazione per un arbitro e gli raccontò di essere andato a trovarlo prima della partita: “Come mai andava prima delle partite a salutare gli arbitri nello spogliatoio?”.  Il testimone infila con uno sbuffo le mani nel lungo cappotto grigio: “Ci andavamo anche gli altri. Non era proibito, era un atto di cortesia andare a trovare gli arbitri. Le mie intenzioni non erano certo quelle di sporcare il calcio, se il retropensiero della sua domanda era quello”.

    Per essere più convincente, Moratti rimodula un po’ la versione su quelle telefonate dei designatori. Non un atto di cortesia, ma “una presa in giro, mi volevano far credere che ci fosse chissà quale clima di simpatia per l’Inter. Io rispondevo perché sono educato, ma ero in imbarazzo. Non sono uno un granché curioso”. Ricorda un incontro estivo con Bergamo a Forte dei Marmi, dopo la tragedia epica del 5 maggio (l’Inter perse con la Lazio in modo inopitato e regalò il tricolore alla Juve). “Bergamo voleva dirmi che quello che era successo a noi in quel campionato era stato un incidente”. Finisce con Moratti che prima di andarsene ripassa da Moggi. Caso mai non si fosse capito: si stringono ancora la mano, parlano fitto per qualche minuto, con un po’ di malinconia negli occhi. Non c’è bisogno del fischio di un arbitro per dire che è finita.  (manuela d’alessandro)

     

     

  • Fabio Riva, il latitante che Londra non vuole consegnare all’Italia

    Dice, amaro, un investigatore: “In Inghilterra c’è la giustizia di classe, se sei ricco non ti estradano”.   

    Fabio Riva, 60 anni, quando il 27 novembre 2012 parte l’ordine di arresto da Taranto con l’accusa di disastro ambientale, si trovava già a Londra. Si costituisce a Scotland Yard ottenendo la libertà vigilata su cauzione. Il 22 maggio 2014 il gip di Milano gli notifica un mandato di arresto europeo per associazione a delinquere e truffa ai danni dello Stato. Sono passati più di due anni e la giustizia inglese sembra non avere nessuna intenzione di estradare il figlio di Emilio Riva, patron del gigante siderurgico morto quando già la sua ‘creatura’ stava franando.

    Nel frattempo, per quella presunta truffa da cento milioni sui rimborsi pubblici, il già vicepresidente di Riva Fire  è stato condannato il 21 luglio 2014 a sei anni e mezzo di carcere e a pagare, in solido con altri imputati, una provvisionale di 15 milioni di euro allo Stato.  In Inghilterra a un certo punto, nel 2013, sono iniziate le udienze per l’estradizione di Fabio Riva. I suoi avvocati hanno cercato di convincere la Corte britannica  degli errori della magistratura italiana. Per il versante ambientale si è scomodato il professor Suresh Moolgaukar, di Exponent, un’associazione mondiale di esperti, nata per fornire consulenza alle aziende su come affrontare i temi critici legati all’ambiente. Poi, radi contatti tra  i pubblici ministeri italiani che coordinano l’indagine e i giudici britannici. I primi che chiedono nuove, i secondi che temporeggiano. 

    Ieri il Tribunale fallimentare di Milano ha dichiarato lo stato di insolvenza di Ilva, un passaggio obbligato per permettere di portare avanti l’amministrazione straordinaria e di salvare quel che resta dell’ex diamante di famiglia. Con la certificazione del crac, Fabio Riva rischia la nuova accusa di bancarotta fraudolenta. “Quando chiediamo l’estradizione di un nomade basta un secondo – considerano in Procura – qui stanno passando gli anni”. (manuela d’alessandro)

    *L’8 maggio 2015 i giudici inglesi hanno accolto la richiesta di estradizione

  • Erri De Luca, ecco perché uno scrittore non può essere accusato di istigazione

    “Recentemente si è tenuta avanti al Tribunale di Torino la prima udienza che vede imputato il noto scrittore Erri De Luca per alcune affermazioni contenute in una intervista rilasciata dallo stesso ad Huffington Post a proposito della attività di sabotaggio in corso da anni in Val di Susa contro la costruzione della linea alta velocità.

    Il processo scaturisce dalla denuncia presentata da una impresa costruttrice, e che la Procura di Torino, con il succesivo avallo del Giudice della Udienza preliminare, ha ritenuto di qualificare ai sensi dell’art. 414 del Codice Penale che punisce con pena da 1 a 5 anni “chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più delitti”.

    Al di là dell’ evidente eclatanza dell’ iniziativa, non si riscontrano in epoca recente analoghi casi di scrittori mandati “alla sbarra” come istigatori per avere espresso una opinione, qualsivoglia essa sia , qualche considerazione giuridica sulla fattispecie penale contestata si impone. (altro…)

  • L’indagine sui siriani anti – Assad: terrorismo o reati comuni?

    La Procura di Milano indaga su uno ‘spicchio’ di guerra civile siriana nel nostro Paese.

    Tra la fine del 2011 e il 2012, mentre cresceva la protesta popolare contro Bashar Al – Assad, un gruppo di siriani mise a segno una serie di aggressioni, pestaggi, devastazioni, minacce ai danni di connazionali da loro ritenuti a favore del dittatore. Tra gli atti più violenti, l’assalto ai titolari di un bar a Cologno Monzese da parte di uomini armati di bastone e spranghe che parlano in arabo e accusano i due baristi (cristiani) di sostenere il regime.

    Reati comuni oppure terrorismo? Il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e i pm Alessandro Gobbis e Adriano Scudieri, dopo una lunga ponderazione, scelgono di contestare l’articolo 270 bis, quello che punisce l’associazione internazionale finalizzata al terrorismo, introdotto dopo gli attentati alle Torri Gemelle. La fazione dei ‘giusti’, così veniva acclamata in quei giorni da tutto l’occidente, viene accusata di terrorismo. Spingendosi in questa direzione, i pm tengono conto anche della ‘proiezione’ internazionale del gruppo che preparava armi chimiche contro Assad in Siria e si rendeva protagonista, attraverso il suo leader Haisam Sakhanh, un elettricista di Cologno partito al fronte, di un’esecuzione sommaria ai danni di sette soldati inginocchiati e torturati. Fonti investigative spiegano che si è optato per il 270 bis perché le azioni truci erano finalizzate a intimidire un’intera fascia di popolazione con una determinata caratteristica, quella di appartenere agli adepti di Assad. Allo stesso modo sarebbe stato terrorismo se i fan del dittatore avessero ‘perseguitato’ i ribelli. In passato, l’articolo 270 bis è stato ipotizzato nella maggior parte dei casi per islamici che reclutavano combattenti da mandare nelle zone di guerra o raccoglievano denaro per la causa. Qui siamo in uno scenario abbastanza inedito dagli esiti, a livello processuale, non scontati. (manuela d’alessandro)

  • NoTav, condanne a 140 anni di carcere per 2 manifestazioni

    E’ il paese dell’emergenza infinita, dove la soluzione dello scontro sociale e politico è affidata al processo penale, con tutti i i partiti e le toghe uniti nella lotta. Il Tribunale di Torino ha condannato 47 militanti NoTav (assolvendone 6) a 140 anni di carcere in relazione a due manifestazioni tra giugno e luglio del 2011.

    Resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, dice il capo di imputazione della procura, accolto in sostanza dai giudici, alla fine di un processo celebrato nell’aula bunker delle ‘Vallette’ in un clima da anni di piombo, limitando l’accesso del pubblico a non più di una cinquantina di persone per udienza.

    Tutto ciò accade mentre la realizzazione del treno ad alta velocità è messa in discussione persino da alcuni dei suoi fautori perché, se ne sono accorti adesso, costa troppo. Da Torino arriva un messaggio politico che va al di là del processo specifico, la sentenza durissima e spropositata vuole essere un avvertimento a chiunque si sta ribellando o pensasse di farlo. E’ una sentenza politica che ha anche il sapore della vendetta interna alla magistratura, per ridimensionare le scelte della Cassazione e della corte d’assise di Torino che in un’altra vicenda NoTav avevano azzerato l’accusa di aver agito con finalità di terrorismo in riferimento all’azione contro il cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013.

    E la sentenza con 47 condanne arriva a pochi giorni dalle parole del Pg torinese Maddalena che, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, aveva criticato la sottovalutazione della gravità della violenza politica da parte di suoi colleghi. (frank cimini)

  • Sugli schermi ‘pubblici’ comprati coi soldi Expo la propaganda di Anm contro Renzi

     

    L’Associazione Nazionale Magistrati, a cui aderisce circa il 90 per cento delle toghe (non tutte!), utilizza ormai da diversi giorni gli schermi acquistati coi soldi Expo e collocati in diversi punti del Palazzo di Giustizia di Milano, per fare propaganda contro il Governo. (quel-monitor-di-expo-al-passo-carraio-dove-non-serve-a-nessuno)

    Nella foto si vede uno dei monitor al piano terra raffigurare una vignetta che ironizza sulla responsabiità civile dei magistrati voluta dal governo Renzi.

    Perché parliamo di propaganda?  L’Anm è una sorta di sindacato dei magistrati che, in quanto tale, tutela gli interessi dei suoi iscritti nelle forme che ritiene più opportune. Ha acquistato pagine di giornale per difendersi da quella che ritiene una riforma ingiusta e delegittimante, ha organizzato il giorno dell’apertuta dell’anno giudizario una conferenza stampa del suo leader Rodolfo Sabelli per spiegare all’opinione pubblica le sue ragioni. Fin qui, nulla da ridire.

    Quello che non ci piace è che l’associazione esponga le proprie, sindacabili ragioni attraverso gli schermi comprati coi soldi pubblici di Expo e che dovrebbero servire per dare informazioni utili alla collettività in transito per il Tribunale tutti i giorni. Decine di persone che vorrebbero sapere dove si trova un’aula, non perché ai magistrati non vada giù la riforma della giustizia. (manuela d’alessandro)

     

     

     

     

     

     

  • C’è un solo magistrato arrabbiato all’anno giudiziario 2015

    C’è un solo magistrato davvero arrabbiato all’inaugurazione dell’anno giudiziario milanese 2015. Intorno a lei, l’impegno è massimo a glissare su Bruti – Robledo. Toghe a festa, complimenti reciproci, ma che brava la Procura, che record il Tribunale, che performance a Milano. Poi tocca all’Avvocato Generale Laura Bertolé Viale, una che parla semplice e diretto e non dedica metà del discorso a ringraziare qualcuno.

    Va giù come una macina sul Governo Renzi.

    Cos’è la ‘salva Berlusconi’? “Una legge irragionevole e discriminatoria che avrebbe come effetto principale  quello di creare una sotanziale differenza di trattamento tra i contribuenti di minori e quelli di maggiori dimensioni“. E la riforma sulla corruzione? Una cosa piccola piccola, che si limita ad umentare la reclusione da 6 a 10 anni invece che da 4 a 8 anni  solo per un tipo di corruzione, quella per “atto contrario ai doveri d’ufficio”. Fuori restano “la concussione, la corruzione in atti giudiziari, l’induzione indebita, la corruzione specifica”. “Che fine hanno fatto – domanda – la previsione tanto pubblicizzata e di indubbia utilità di riduzione della pena per chi collabora alla scoperta del reato e la riparazione pecuniaria a favore della pubblica amministrazione pari alla somma illlecitamente corrisposta?”.

    Ed ecco l’autoriciclaggio. “Trionfalmente approdato nel nostro sistema da circa 23 giorni – ironizza – è stato preceduto da un vero e proprio battage pubblicitario  ma un piccolo comma del nuovo articolo vanifica tutti i primi tre là dove dichiara ‘non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale. Non vedo nessuna ragionevolezza in questa non punibilità dell’utilizzatore finale”.

    Tutto il pacchetto di riforma del codice penale viene definito “ben misera cosa rispetto ai progetti” ed esclude il reato di falso in bilancio che, così com’è, “non tutela l’informazione societaria”. “Nel 2014 – ironizza Bertolé – ci sono state solo 5 sentenze di condanna per questo reato e temo non sia perché c’è più onestà…”.

    Infine, la prescrizione. Il disegno di legge presentato alle Camere è un “ben misero condensato” in cui “non una parola è detta sulla durata della prescrizione”.  Bertolé puntella il suo discorso con le parole “cittadini” e “uguaglianza” e poco si richiama alle rivendicazioni della magistratura.  Per questo, al di là delle considerazioni nel merito delle sue critiche, il suo è l’intervento di migliore auspicio per l’anno giudiziario che viene.

    (manuela d’alessandro)

  • Pg Ciani: Da lite Bruti-Robledo nessun danno a procura
    Forleo: dimostri che legge è uguale per tutti

    La querelle Bruti- Robledo non ha provocato problemi alla procura. “Le liti interne non hanno inciso sul contrasto alla criminalità e alla corruzione”. Questo dice il pg della Cassazione Gianfranco Ciani che evidentemente ha scelto la strada della satira, dopo aver chiesto l’allontanamento di Alfredo Robledo da Milano senza approfondire l’attività di Bruti che, comunque, aveva ammesso di aver lasciato “per deplorevole dimenticanza” il fascicolo sulla Sea nel cassetto.

    Per il pg della Cassazione dunque non è successo nulla. Al massimo sarà colpa “dell’attenzione dei messa media e dell’opinione pubblica che nell’ultimo anno si è concentrata sulle problematiche interne ad alcuni uffci giudiziari requirenti”.

    Per farsi un’ida basta leggere quanto scrive sul suo profilo Facebook il giudice Clementina Forleo rivolgendosi a Ciani: “Dimostri di essere stato nominato in base alla meritocrazia…dimostri che la legge è uguale per tutti…abbia il coraggio di inchiodare alle sue reiterate violazioni di legge il capo della procura di Milano…. senza se e senza ma”.

    Da un anno in procura a Milano le inchieste sono ferme. Lo dicono i pm, anche quelli non schierati con Robledo. Lo hanno anche messo per iscritto quelli del pool anticorruzione.

    Bruti Liberati ha l’interim di questo dipartimento da tempo, dopo che aveva cercato un aggiunto disposto a ricoprire l’incarico dal quale era stato esautorato Robledo. Nessuno però aveva accettato. Bruti coordina l’area omogenea. In pratica è un signor “ghe pensi mi”. (altro…)