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  • “L’ultimo fucilato” a Milano, processi, feste e morte nella città liberata

    Ci sono 1432 tombe nel campo perenne riservato ai morti della Repubblica Sociale Italiana che si trova nel Cimitero Maggiore di Milano. Un piccola parte sono stati uccisi in combattimento o durante agguati partigiani nell’ultimo scorcio dell’avventura mussoliniana, gli altri sono tutti caduti per giustizia sommaria all’indomani della Liberazione.

    Tutti, meno uno, l’unico fucilato in esecuzione di una regolare sentenza: Giovanni Folchi, ufficiale della Rsi, fascista della prima ora, e ultimo  condannato a morte nella storia della città.

    E’ la Milano “festante, crudele e caotica” di quei giorni intorno all’aprile del 1945 quella in cui il cronista giudiziario Luca Fazzo immerge “L’ultimo fucilato”, la storia di un ragazzo che a 29 anni viene mandato alla più cruenta delle fini. La sentenza arriva dopo un solo giorno di processo nell’aula della Prima Corte d’Assise del Palazzo di Giustizia, stipata da ex partigiani che applaudono al verdetto, ed è firmata da Luigi Marantonio, presidente del collegio e magistrato con in tasca  fino a pochi giorni prima la tessera del Partito del Duce. (altro…)

  • Ecco l’atto di accusa del pg della Cassazione contro Alfredo Robledo

    Ecco l’atto d’accusa firmato dal pg della Cassazione Gianfranco Ciani contro Alfredo Robledo. Il titolare dell’azione disciplinare chiede che il Csm trasferisca lontano da Milano il procuratore aggiunto e che gli tolga le funzioni di pm. Le accuse ruotano attorno a un presunto “scambio di favori” con l’avvocato della Lega Nord Domenico Aiello che avrebbe ricevuto dal magistrato notizie riservate nell’inchiesta sugli indebiti rimborsi dei consiglieri regionali lombardi. In queste ore, Robledo sta scrivendo la memoria difensiva che presenterà alla sezione disciplinare del Csm nell’udienza del 5 febbraio. (m.d’a.)

    Atto incolpazione Robledo

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  • Dopo 10 mesi per il pg solo Robledo è out…E Bruti?

    A 10 mesi dall’esposto presentato da Alfredo Robledo contro il capo dell’ufficio inquirente Edmondo Bruti Liberati il pg della Cassazione Ciani si sveglia e decide il da farsi solo sul procuratore aggiunto un tempo a capo del dipartimento anticorruzione poi spostato d’imperio alle esecuzioni penali.

    Per il pg della Cassazione Robledo deve essere trasferito da Milano e perdere le funzioni di pm a causa di uno scambio di favori con l’avvocato della Lega Nord Aiello che emergerebbe da intercettazioni di sms nell’ambito di una vicenda già archiviata dalla procura di Brescia a dicembre in relazione all’aspetto penale.

    Robledo avrebbe fornito informazioni all’avvocato nell’inchiesta sul Carroccio avendo in cambio altre informazioni sul comportamento della Lega nella vicenda dell’ex sindaco di Milano Albertini in causa con il vice di Bruti. In particolare, secondo il pg Robledo avrebbe suggerito ad Aiello un’istanza con cui ottenere copia di una consulenza non ancora nota agli indagati. E nell’indagine sui rimborsi ai consiglieri regionali, avrebbe violato il dovere di riservatezza rivelando al legale gli indizi a carico degli indagati.

    Giustizia disciplinare rapida solo per Robledo dunque e a quasi un anno dall’inizio della querelle, che non solo ha leso l’immagine della procura di Milano dove un tempo operò il “mitico” pool, ma che ha finito per scoperchiare gli altarini dei rapporti tra magistratura e politica.

    Un fatto incontrovertibile c’è: un fascicolo sulla Sea che lambiva l’allora neonata giunta di centrosinistra restò per sei mesi in un cassetto prima di essere affidato a Robledo, ma ormai monco perché non si poteva più intercettare gli indagati. “Mia colpevole dimenticanza” ammise Bruti, che però almeno per il momento se la cava alla grande, nonostante il suo grande protettore Giorgio Napolitano non sia più al Quirinale.

    Politicamente comunque Bruti è sempre stato più forte di Robledo, avendo un potere che va anche al di là della sua persona. Ma i due pesi e due misure adottati dal pg suscitano interrogativi sempre più inquietanti. In un paese normale, che non è questo, a 15 giorni dall’esposto entrambi i contendenti sarebbero stati trasferiti, quantomeno per incompatibilità ambientale che può esserci anche senza colpe specifiche. Così invece vince la politica, chi ce l’ha più duro nel vantare rapporti con quelli che contano. L’indipendenza e l’autonomia della magistratura di cui Csm, Anm e toghe varie blaterano tutti i giorni sui media sarebbero un’altra cosa. (frank cimini)

     

  • Nozze gay, la Procura: “Pisapia non sei indagato”
    E lui: “Ma gli ignoti chi sono?”

    Sono indagato, ma no che non sei indagato, e com’è che non mi avete indagato? Per anticipare la stampa, da buon conoscitore del sistema mediatico, Giuliano Pisapia fa uno scatto in avanti e sabato, durante un convegno del Pd, annuncia che la Procura di Milano lo accusa di omissione in atti d’ufficio per avere trascritto i matrimonio gay contratti all’estero.

    Solo che lo sprint del sindaco avvocato è fin troppo bruciante, sicchè stamattina, con un certo imbarazzo, il procuratore Edmondo Bruti Liberati e il pm Letizia Mannella lo riportano ai blocchi di partenza comunicando ai giornalisti che vero, c’è un’inchiesta a carico di ignoti nata dall’esposto di un’associazione di cittadini, ma Pisapia non risulta indagato. E fanno anche capire che questa indagine finirà con una richiesta di archiviazione, senza nessun fuoco d’artificio.

    La Procura giustamente non ha nessuna voglia di ipotizzare una responsabilità penale per il sindaco che non obbedì a ottobre alla richiesta del Prefetto Francesco Paolo Tronca di cancellare le trascrizioni delle nozze ‘arcobaleno’.  Da vecchio uomo di legge, il sindaco oggi c’è quasi rimasto male: ma come, si è chiesto, aprite un’inchiesta sulle trascrizioni dei matrimoni, e la lasciate a carico di ignoti quando tutto il mondo sa che le ho fatte io? “Quegli ignoti sono noti – così  il sindaco rivendica il suo diritto a essere indagato – le trascrizioni le ho fatte io perché le ritenevo legittime. Era giusto che mi assumessi le responsabilità di quello che ho fatto e non so se cercassero ignoti tra soggetti che, invece, ignoti non lo erano”.  (manuela d’alessandro)

     

     

     

  • Camera Penale contro Anm, aprire il Tribunale è solo propaganda

    Aprire le porte del Tribunale ai cittadini diffondendo numeri che dovrebbero esaltare l’efficienza della magistratura è “propaganda nemica della Giustizia” basata su “dati incompleti e parziali”.

    In un acre  comunicato dal titolo ‘Questa casa non ha padroni’, la Camera Penale di Milano attacca l’iniziativa dell’Anm che oggi, nell’ambito della ‘Giornata per la Giustizia’, fa entrare chi vuole nel Palazzo progettato dal Piacentini per mostrare come funziona la giurisdizione.

    “I Tribunali sono la casa della giustizia e la giustizia è di tutti”, rivendicano i legali. “Le porte del Tribunale sono per definizione aperte, è pleonastico aprirle per un solo giorno. Gli interessi dei cittadini debbono essere tutelati attraverso il corretto esercizio della funzione giurisdizionale nel pieno rispetto degli equilibri istituzionali”. I rappresentanti degli avvocati contestano in particolare i dati diffusi da Anm in questi giorni, anche, aggiungiamo noi, attraverso gli schermi acquistati coi fondi Expo che mostrano le cifre della giustizia secondo la magistratura. Alle toghe che esaltano i giudici italiani come i più efficienti in Europa e lamentano i danni derivanti dalla prescrizione, rispondono così: “Le cause di rinvio delle udienze sono per il 77 per cento attribuibili a varie disfunzioni degli uffici non addebitabili all’esercizio della funzione difensiva”; “lo Stato ha circa 400 milioni di euro di debito per la lentezza dei procedimenti”; “la grandissima parte delle prescrizioni matura nella fase delle indagini preliminari, quando la difesa non interviene in alcun modo. Il numero delle prescrizioni è in costante calo”. Anche alcuni magistrati avevano espresso perplessità per il ruolo di anfitrioni a loro richiesto in queso ‘sabato per la giustizia’.

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    (manuela d’alessandro)

  • La paura che alla ‘Giornata per la giustizia’ manchino i magistrati

    “Je suis magistrato”. Domani si celebra su iniziativa dell’Anm la ‘Giornata nazionale per la Giustizia’ con l’apertura del bel palazzo razionalista ai milanesi. Due gli obbiettivi: far vedere da vicino le stanze della giustizia e convincere i cittadini che la riforma Renzi è sbagliata (la vignetta che promuove l’iniziativa ironizza sulla responsabilità civile delle toghe mostrando un imputato che incassa una tangente).

    Quanti saranno i curiosi che vorranno sedersi per un giorno alla tavola dove si ‘cucinano’ sentenze, processi, inchieste? E i ‘cuochi’ in toga della giustizia saranno presenti per far degustare le loro specialità? Chissà.

    I promotori dell’iniziativa oggi ci hanno messo un po’ di pepe riempiendo la casella mail dei colleghi con un’accorata ‘chiamata alle armi’ che, a qualcuno, è risultata indigesta. I toni usati sono da ‘trincea’. “E’ fondamentale – scrive uno dei componenti dell’Anm locale – per la riuscita della giornata che vi sia una massiccia presenza di voi tutti (dove già vi fermate tantissimo durante l’arco della settimana, domeniche comprese) quando la cittadinanza verrà accompagnata a visitare il palazzo. Sarà importante che vi trovino pronti ad accoglierli; a far vedere le condizioni in cui voi tutti lavorate (…) l’unico modo per far comprendere a una cittadinanza che è stata continuamente bersagliata di messaggi diffamatori nei nostri confronti quale sia la realtà delle cose”. “Sappiamo bene – ammette un altro magistrato – che non tutti condividono quest’iniziativa, ma crediamo che in questo momento sia più importante dare il proprio contributo di presenza”. “Non ci stiamo all’insensibilità del governo (..). E’ importante – gli fa eco un terzo membro dell’Anm milanese –  che garantiamo tutti la nostra presenza, che è il modo più forte per parlare e fare capire che non difendiamo interessi di categoria, poichè l’unica istanza personale è quel tribunale interiore che ciascuno di noi ha dentro di sé e che, più rigoroso di tutte le corti, si chiama coscienza”. Qualche magistrato ha risposto facendo capire di non gradire l’invito con batttute ironiche riferite al sabato, altri, off the records, sottolineano che i primi a non esserci saranno i Presidenti del Tribunale e della Corte d’Appello impegnati domani in Comune a illustrare il bilancio di responsabilità sociale del Tribunale. (manuela d’alessandro)

  • Salta l’accordicchio su Bruti – Robledo, il Csm teme la figuraccia

    Al vertice del Csm ci hanno provato, ma trovare quello che Luigi Ferrarella sul Corriere definisce oggi “allineamento astrale”, un accordicchio aumma aumma con troppe variabili, diciamo noi, era davvero un’impresa. Era troppo.

    Forse oggi, con un’improvvisa presa di coscienza, qualcuno ha pensato che la figuraccia per la magistratura e le sue correnti fosse eccessiva. E allora meglio tornare indietro. Salta l’accordo sul trasferimento di Robledo a Venezia. Scrive l’Ansa: “L’ipotesi di applicare il pm milanese Alfredo Robeldo alla procura generale di Venezia, per farlo poi rientrare a Milano, quando il procuratore Edmondo Bruti Liberati sarà in pensione, è tramontata. Non ci sono i presupposti normativi e di questo ha preso atto oggi la Settima Commissione del Csm, che avrebbe dovuto avviare l’iter necessario”.

    Ragione tecnica numero uno: per la procura generale ci sono due posti a bando. Con venti domande. In queste condizioni, la norma prevede che non si  possa avviare il cosiddetto ‘interpello’ per un posto da applicato. Come poteva Robledo andare a Venezia per un solo anno? Poteva fare domanda per un posto ordinario, ma non per un ufficio a scadenza programmata.

    Secondo problema: chi, nel 2015, avrebbe coperto il ruolo da aggiunto al dipartimento anticorruzione di Milano? I pm del pool, nei giorni scorsi hanno scritto a Bruti Liberati, chiedendo una nomina per superare l’impasse e riprendere sul serio il lavoro. In queste condizioni, come assicurare a Robledo il suo vecchio posto da capo di quel dipartimento, lasciando il pool in mano a un aggiunto a sua volta ‘a tempo’?
    E le varie commissioni del Csm cosa dovevano fare, adeguarsi a un accordo informale, opaco, preso tra i protagonisti Robledo-Bruti-Legnini e limitarsi a ratificare tutto, senza aprire becco, mentre la stampa segnalava all’opinione pubblica un’anomalia che scandalizzava anche decine di magistrati milanesi?
    “Era una soluzione assurda, che tra l’altro dava per implicita la conferma di Bruti”, commenta un pm meneghino. Per non parlare, prosegue “della pazzesca, inquietante coincidenza con la fine del mandato di Napolitano”.

  • Robledo va a Venezia per tornare a Milano
    Il Csm trova l”accordicchio’

    Dieci mesi non sono bastati al Csm per decidere sulla querelle Bruti-Robledo. Alla fine, proprio nei giorni in cui Giorgio Napolitano grande protettore di Bruti Liberati lascia il Quirinale, spunta un sorta di accordicchio che porterà Robledo per circa un anno alla procura generale di Venezia come sostituto per poi tornare a Milano a capo del dipartimento anticorruzione che, nel frattempo, dovrebbe essere coperto con una nomina provvisoria. Nei giorni scorsi, alcuni pm dell’anticorruzione si sono lamentati  con Bruti che il loro lavoro è bloccato dopo l’esautorazione dell’aggiunto. (lotta-di-potere-in-procura-bruti-caccia-robledo-dallanticorruzione)

    Robledo tornerebbe quando Bruti andrà in pensione al 31 dicembre 2015 per raggiunti limiti di età, senza avvalersi degli effetti di una eventuale ulteriore proroga che potrebbe essere  decisa per l’impossibilità del Csm di rispettare gli impegni a livello di nomine dei capi degli uffici.

    Insomma, domani la prima commissione deciderà di non aprire la pratica formale di trasferimenti per incompatibilità ambientale ma aderirà alla cosiddetta “mediazione istituzionale” (insomma le istituzioni non godono di buona salute, diciamo) varata dal vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, che già di recente aveva annunciato: “Stiamo lavorando a una soluzione bonaria”.

    Dice un giudice milanese: “E’ la conferma che al Csm da tempo hanno preso i vizi peggiori della politica”. Al punto che, possiamo aggiungere, se in pratica si insabbia un’inchiesta importante comne quella sulla Sea, ammettendo di aver dimenticato il fascicolo per 6 mesi in un cassetto, si ha diritto comunque di arrivare alla pensione. Perchè al Csm ci sono i giochi e i veti delle correnti che rappresentano partiti politici e si comportano come tali e per giunta con uun Presidente della Repubblica che, smessi i panni dell’arbitro, ha giocato la partita.

    Un magistrato che dovesse dimenticare un fascicolo su Berlusconi in un cassetto verrebbe arrestato per corruzione senza neanche accertare quanto ha incassato e da chi. Una riflessione “bonaria”, diciamo. Il Csm di un paese normale avrebbe deciso in 15 giorni, trasferendo Robledo perché diventato incompatibile non per colpa sua a causa dell’esposto contro Bruti e Bruti perché se ti scordi un fascicolo che lambisce la neonata giunta milanese di centrosinistra non puoi fare il capo della procura. Il nostro non è un paese normale. Ma a sto punto basterebbe che i magistrati smettessero di menarla con la loro indipendenza e autonomia (frank cimini)

     

  • Prescrizione, non sapremo mai se qualcuno sbagliò nella bonifica di Santa Giulia

    Non sapremo mai se qualcuno ha sbagliato  nella bonifica dell’area dove è sorto il quartiere Santa Giulia, frutto di un controverso maxi progetto immobiliare che prevedeva di ripulire 1 milione e duecentomila metri quadrati un tempo occupati da Montedison.

    Il processo a carico di 11 persone, tra cui l’ex immobiliarista Luigi Zunino, accusate di irregolarità nella gestione di rifiuti, discarica non autorizzate e altri reati ambientali, corre verso la prescrizione dopo essere stato ridimensionato nella accuse più gravi al termine dell’udienza preliminare.

    Nell’udienza di stamattina, le difese hanno chiesto al giudice monocratico Giulia Turri di dichiarare prescritte le ipotesi accusatorie in base a una tesi della Cassazione che collocherebbe la consumazione del reato quando c’è stata l’ultima movimentazione di terra, nel 2008. In questo caso, trattandosi di reati che si prescrivono in 5 anni, saremmo già al requiem per un processo cominciato a settembre.  Ribatte l’accusa, rappresentata dal pm Laura Pedio, che la prescrizione andrebbe calcolata dal 20 luglio 2010, giorno in cui la Procura dispose il sequestro di tutta l’area oggetto della bonifica, e quindi il processo ‘sopravviverebbe’ fino al 20 luglio prossimo.

    Deciderà lunedì il giudice Turri ma sin d’ora è possibile immaginare la difficoltà di arrivare entro l’estate a una sentenza almeno di primo grado che, se fosse di condanna, consentirebbe perlomeno alle parti civili di ottenere dei risarcimenti.  Condanna tutt’altro che scontata dal momento che questa indagine,  esplosa con 5 arresti nel 2009, tra cui quello dell’ex ‘re delle bonifiche’, poi defunto, Giuseppe Grossi, ha  perso sulla strada  ‘pezzi’ importanti con la decisione del gup di prosciogliere gli imputati dal reato più grave di avvelenamento della falda acquifera. L’ex presidente di Risanamento Zunino e gli altri imputati, tra i quali ex dirigenti del Comune e dell’Arpa, devono difendersi  ‘solo’ in relazione a reati ambientili punibili con sanzione pecuniaria. Quando venne sequestrata l’area l’ipotesi della Procura e del gip era che vi fossero sostanze cancerogene nelle falde e rifiuti pericolosi dove doveva sorgere un asilo. Comunque vada, non sapremo mai con certezza, attraverso una sentenza definitiva, cosa è successo nei giorni in cui si schiantava il sogno del nuovo quartiere verde e chic di Milano.  (manuela d’alessandro)

  • Cancellata l’assoluzione in appello: Allam diffamò gli islamici

    Nel giorno in cui la Francia ha vissuto la resa dei conti per l’eccidio di Charlie Hebdo, un articolo di Magdi Allam (allam_predicatori.shtml) che definisce “predicatori d’odio” i seguaci di Maometto diventa diffamatorio per i giudici milanesi dopo essere stato invece dichiarato frutto di una legittima “libertà di critica” in primo grado.

    Il pezzo firmato dal giornalista sul Corriere della Sera nel febbraio 2007 riecheggia molti degli argomenti portati in tv o sui media in questi giorni da commentatori e politici ostili all’Islam.  Allam definisce “tutti noi italiani vittime, inconsapevoli o irresponsabili, pavidi o ideologicamente collusi, che non vogliamo guardare in faccia la realtà, che la temiamo al punto da esserci sottomessi all’arbitrio e alla violenza di chi sta imponendo uno stato islamico all’interno del nostro traballante stato sovrano”.

    I giudici della Corte d’Appello di Milano,  sezione civile, ribaltano la sentenza che aveva assolto l’ex columnist di via Solferino condannandolo al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese processuali a favore dell’Ucoii (Unione delle Comunità Islamiche d’Italia).  Al centro dell’articolo c’è la vicenda di Dounia Ettaib, all’epoca vicepresidente dell’Associazione donne marocchine in Italia, aggredita da alcuni connazionali vicino alla moschea milanese di viale Jenner. Uno spunto che stimola ad Allam grevi riflessioni sul mondo islamico: (…) Sappiano tutto e di più sull’attività dei predicatori d’odio islamici nostrani ma preferiamo seppellire la testa sottoterra, non rendendoci conto che a differenza dello struzzo non riemergeremo ma finiremo per suicidarci”. E ancora,  l’ex vicedirettore del quotidiano afferma di non avere “alcun dubbio che nelle moschee e nei siti islamici dell’Ucoii e di altri gruppi radicali islamici s legittima la condanna a morte degli apostati e dei nemici dell’Islam”. Libertà di critica o diffamazione?Per l’avvocato dell’Ucoii Luca Bauccio “la libertà di critica non va mai confusa con la prevaricazione sugli altri”. (manuela d’alessandro)

  • NoTav, pure i pm rinunciano all’accusa di terrorismo

    I pm di Torino chiedono il processo con rito immediato per tre militanti Notav, Lucio Alberti Graziano Mazzarelli e Francesco Sala, in relazione all’azione contro il cantiere di Chiomonte del 14 maggio del 2013 ma rinunciano a contestare l’accusa relativa alla finalità di terrorismo, che a livello di misura cautelare era stata azzerata dal Tribunale del riesame. I tre devono rispondere esclusivamente dei reati-fine, porto di armi da guerra (le molotov), danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale.

    La decisione dei pm è importante perchè significa che gli inquirenti prendono atto delle sconfessioni fin qui subite a livello di qualificazione giuridica: prima la Cassazione che rimanda a Torino gli atti, poi la Corte d’assise che assolve il 17 dicembre scorso quattro militanti Notav dall’imputazione più grave, infine il Riesame che annulla l’ordinanza bis per i tre che comunque sono in carcere da luglio.

    Sarà il gip Federica Bompieri a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio con rito immediato che presumibilmente sarà accolta. I difensori valuteranno la possibilità di ricorrere a riti alternativi, ma è chiaro che le difese hanno vinto la loro battaglia sul teorema Caselli. L’azione relativa al cantiere di Chiomonte non fu terrorismo hanno deciso diversi organi giudicanti e la procura è costretta a prenderne atto.

    Va ricordato però che l’agitare un fantasma del passato per influire su uno scontro sociale in atto adesso ha comportato mesi e mesi di custodia cautelare in regime di 41bis di fatto per sette militanti NoTav. Ora in 4 dopo un anno di cella sono ai domiciliari e 3 sono ancora detenuti nell’ambito di una vicenda che è stata ridimensionata in diritto e anche in fatto. I pm Padalino e Rinaudo le avevano tentate tutte anche contestando la finalità di terrorismo ai 3 all’immediata vigilia della sentenza per i 4, fiancheggiati in pratica da tutti i giornaloni. Della crociata mediatica che aveva trasformato la rottura di un compressore in un “affaire” della lotta armata di trenta e più anni fa resta praticamente nulla, se non l’ulteriore dimostrazione che i magistrati fanno politica. Anche perchè la politica, come tantissimi anni fa, delega alle toghe problemi di cui dovrebbe occuparsi lei. E’ il caso del treno ad alta velocità dove era sorto per contrastarlo e c’è ancora l’unico movimento radicato sul territorio. E per farlo fuori si sono inventati il “terrorismo”. Poi il Tav non si farà. Ormai ne sono convinti pure alcuni dei promotori. Ma intanto hanno ristretto gli spazi di libertà. Politici e magistrati uniti nella lotta (frank cimini)

  • Il ‘regalo’ di 3 finanzieri: un software gratis per 28mila pratiche della giustizia

    Nel Palazzo dove si spendono milioni di euro targati Expo per informatizzare i processi, la fantasia e la tenacia di tre giovani finanzieri creano, senza alcuna spesa di denaro pubblico, un software in grado di gestire 28mila pratiche nell’ufficio della Procura Generale di Milano.

    Il sistema ‘Prometeo’, così si chiama la neonata piattaforma informatica, è nato da un’intuizione dell’Avvocato dello Stato Laura Bertolè Viale che un anno fa convoca i suoi ragazzi e gli chiede: “Cosa possiamo fare per accelerare le pratiche nell’ufficio?”. Davide Carnevali, Luigi Cerullo e Damiano Franco come prima cosa vanno a bussare alle porte degli impiegati facendosi spiegare le loro esigenze e poi s’inventano questo programma capace di archiviare e gestire, anche sostituendo i polverosi registri cartacei con strumenti informatici, le delicate informazioni della giustizia.

    Si presenta come un normale sito web, esportabile in altre amministrazioni, ed è basato su tecnologie open source. Come Prometeo sfidò le divinità, questi tre ragazzi sembrano provocare l’dea  del pubblico che non funziona e si deve affidare a partner privati, talvolta con modalità oscure (sospesi-gli-affidamenti-diretti-expo-per-la-giustizia-milanese-il-verbale-che-svela-il-clamoroso-cambio-di-rotta), come accaduto coi fondi dell’Esposizione Universale. Dai quali, guarda caso, è stata esclusa la Procura Generale.  (manuela d’alessandro)

  • NoTav, sono a casa i 4 militanti assolti da “terrorismo”

    Sono a casa i 4 militanti NoTav assolti dall’accusa di terrorismo il 17 dicembre scorso a Torino. La corte d’assise ha deciso per gli arresti domiciliari accogliendo la richiesta dei difensori. Tornano a casa dopo oltre un anno passato in regime di alta sorveglianza, carcere duro, un articolo 41bis di fatto, accusati di aver agito con finalità di terrorismo in relazione all’azione al cantiere di Chiomonte che aveva portato alla rottura di un compressore. I pm avevano dato parere fortemente negativo alla scarcerazione.

    I 4 militanti NoTav lasciano il carcere nel momento in cui contro la sentenza di assoluzione dall’imputazione più grave è in atto una campagna di linciaggio del verdetto della corte d’assise. Il ministro Lupi, il senatore piddino Esposito addebitano a quella sentenza la responsabilità dei recenti attentati mentre i pm all’udienza del Riesame per altri 3 militanti NoTav hanno duramente attaccato la decisione della corte d’assise, ancora prima che siano rese note le motivazioni tra circa tre mesi. Insomma pm e giornali preparano il clima in vista del processo d’appello.

    La sentenza di primo grado non l’hanno proprio digerita. Eppure si tratta di una sentenza che va nel solco tracciato dalla Cassazione che aveva rispedito indietro a Torino l’accusa di terrorismo. evidentemente per l’accusa e i suoi fiancheggiatori in politica e nelle redazioni il diritto non c’entra. Si tratta in effetti di un’operazione politica a difesa della realizzazione di un’opera rimessa in discussione da alcuni degli stessi promotori perché costa troppo. Se ne sono accorti adesso, La Torino-Lione non si farà quasi certamente. E quindi, agitando un fantasma del passato, il potere darà la colpa ai “terroristi”. (frank cimini)

  • Stasi come Franzoni, “poca prova, poca pena”

    E’ una sentenza che ricorda da vicino quella inflitta in via definitiva ad Anna Maria Franzoni, la mamma di Cogne,  per l’omicidio del figlio Samuele.  Anche Alberto Stasi viene condannato a 16 anni di carcere dopo un’aspra battaglia processuale con un verdetto che sembra riflettere tutti i dubbi ermersi in questa indagine. Non quindi ai 30 anni chiesti dal procuratore generale Laura Barbaini vittoriosa, comunque,  insieme alla parte civile Gian Luigi Tizzoni, al termine di una ‘partita’ che ribalta i precedenti esiti processuali di uno dei più controversi casi di cronaca nera degli ultimi anni.

    Difficile per la Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Barbara Bellerio, ignorare la sentenza della Cassazione (la-strana-cassazione-su-alberto-stasi-che-per-3-volte-diventa-mario) che nell’aprile 2013 aveva annullato con rinvio le assoluzioni pronunciate dal gup di Vigevano Stefano Vitelli, prima, e dalla stessa Corte d’Assise di Milano (ovviamente in composizione diversa) poi. Gli ‘ermellini’, entrando nel merito della vicenda, avevano chiesto di “rivisitare gli indizi” e sottolineato le “incongruenze” nel racconto di Stasi, identico dal primo giorno, su quanto accadde quella mattina d’estate.
    Ma la pena per l’ex studente bocconiano dagli occhi celesti scende sensibilmente rispetto alle previsioni in caso di condanna perché i giudici hanno tolto alla contestazione della Procura Generale l’aggravante della crudeltà. Ai 24 anni tetto massimo previsto per l’omicidio è stato quindi applicato lo sconto di un  terzo della pena previsto dal rito abbreviato. Dopo la lettura della sentenza, in un clima surreale, è stata allestita una conferenza stampa. Da un ‘banchetto’ improvvisato, si sono affacciati mamma Rita e papà Giuseppe, molto emozionati, che hanno ringraziato con calore i loro legali, “per i quali Chiara è diventata una figlia”. Per loro e per il fratello della vittima, Marco, anch’egli presente, i giudici hanno stabilito un risarcimento di un milione di euro. “Ora guarderò Chiara e le dirò ‘ce l’hai fatta’”, ha detto la mamma. Dall’altra parte, Stasi viene descritto come “sconvolto”,  dopo aver provato a convincere i giudici della sua innocenza rendendo dichiarazioni spontanee: “Non cercate a tutti i costi un colpevole, condannando un innocente. In questi sette anni ci si è dimenticati che la morte di Chiara è stata un dramma anche per me”.

    Dopo sette anni non si può dire che i dubbi siano stati dissipati, a maggior ragione di fronte a una decisione che appare ispirata al principio “poca prova, poca pena”, come ha detto un legale di Alberto. In attesa delle motivazioni tra 90 giorni, è difficile immaginare perché, qualora Stasi sia davvero colpevole, il suo non sia stato un omicidio aggravato dalla crudeltà. Un ragazzo che uccide la fidanzata sfondandole il cranio e gettandola sulle scale ha commesso un omicidio ‘semplice’? Era stata la stessa pg a parlare di una condotta senza pietas da parte dell’imputato. In ogni caso resta lo sconcerto per una giustizia che ha detto tutto e il contrario di tutto in sette anni dopo un’indagine costellata di errori clamorosi.  (manuela d’alessandro)

  • Perché gli scippatori vanno in galera e i corrotti no?
    Un’idea di riforma da chi esegue le pene

    “Volete sapere perché gli scippatori vanno in galera e i corrotti no? Semplice, basta leggere un articolo di legge e semplicissimo sarebbe cambiarlo”. Così semplice che non si fa, appunto, preferendo arrovellarsi su complicate ipotesi di riforma.

    Spiega il il sostituto procuratore generale di Milano Antonio Lamanna, magistrato di grande esperienza che diede parere  favorevole all’affidamento ai servizi sociali di Silvio Berlusconi dopo la condanna Mediaset. “Quando viene pronunciata una sentenza di condanna definitiva a pena detentiva, entrano in gioco l’articolo 656 del codice di procedura penale e l’articolo 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario. Se la pena non supera i tre anni, e ciò accade per la maggior parte dei casi, il pubblico ministero ne sopende l’esecuzione, tranne che per una serie di reati che vengono indicati in queste norme”.

    Quello che stupisce sono alcuni dei reati che costituiscono eccezione alla regola generale, per i quali cioé non si può sospendere la pena detentiva e si finisce in carcere senza ‘sconti’: scippo, contrabbando aggravato di sigarette, furto in appartamento. Tra queste fattispecie certamente la corruzione non sfigurerebbe. Invece chi prende mazzette ed è condannato a meno di tre anni (succede spesso per la concessione delle generiche o perché si viene giudicati con riti alternativi), evita il carcere. “Basterebbe aggiungere la corruzione accanto allo scippo, al contrabbando e agli altri reati, tra i quali le violenze sessuali, per essere sicuri che chi commette un reato grave come la corruzione sconti in carcere almeno parte della pena”. Una riforma facile, facile. Non giustizialismo, ma buon senso, per un reato tra i più odiosi perché spesso colpisce la fiducia nelle istituzioni e viene compiuto non da chi nasce in ambienti criminogeni ma da chi ‘sceglie’ di tradire la fiducia dei cittadini. (manuela d’alessandro)

  • NoTav, anche il Riesame boccia teorema Caselli

    Dopo la Cassazione e la corte d’assise di Torino anche il Riesame del capoluogo piemontese ha annullato l’accusa di terrorismo in relazione all’azione contro il cantiere del treno ad alta velocità di  Chiomonte del 14 maggio 2013. La Cassazione e la corte d’assise si erano espressi in relazione alla posizione di 4 giovani arrestati a dicembre dell’anno scorso. Il Riesame invece ha vagliato la posizione di altri 3 militanti NoTav in carcere da luglio scorso ma ai quali era stata notificata di recente una nuova ordinanza con cui si contestava agli indagati di aver agito con finalità di terrorismo.

    Per il teorema Caselli è la terza bruciante sconfitta che tra l’altro arriva a pochi giorni, era il 17 dicembre, dall’assoluzione in corte d’assise dei 4 militanti dall’imputazione più grave. La corte spazzava via l’accusa di terrorismo condannando i 4 a 3 anni e 6 mesi contro i 9 anni e mezzo chiesti dall’accusa.

    I pm Rinaudo e Padalino avevano parlato di “un’azione di guerra” e a pochi giorni dal verdetto per i 4 avevano tirato fuori dal cappello il coniglio dell’ordinanza bis per i 3 cercando di influenzare la corte. E invece i pm ne hanno ricavato una doppia sconfitta. Converrà loro farsene una ragione, invece di far filtrare sui giornaloni la convinzione che la sentenza di assoluzione sia tra le cause delle recenti azioni a Firenze e Bologna perché avrebbe indotto a pensare in giro che non si rischia granchè a livello penale. (altro…)

  • NoTav, il “terrorismo” azzerato? Confinato in cronaca locale

    La notizia che il Tribunale del Riesame di Torino ha annullato l’accusa di “terrorismo” a carico di tre militanti Notav in relazione all’azione del cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013 finisce nelle cronache locali di Repubblica e Stampa. Il Corsera che non ha la cronaca di Torino mette 6 righe nell’edizione nazionale. Il Giornale e Libero zero righe, al pari del Fatto quotidiano e del Manifesto, due giornali critici verso il treno ad alta velocità, ma va considerato che tra gli editorialisti del Manette Daily figura il procuratore ora in pensione Giancarlo Caselli, l’inventore del teorema “fu un’azione di guerra, volevano far recedere l’Italia e l’Europa dalla realizzazione dell’opera”.

    Eppure quando l’ordinanza era stata emessa non mancarono ampie articolesse nelle edizioni nazionali. Adesso invece l’affare viene trattato come un fatto locale. Come se i pm non avessero indicato tra le parti offese dal reato l’Unione Europea che però si guardava bene dal costituirsi parte civile e spediva a Torino poche righe vergate da un funzionario: “Caro cancelliere non siamo interessati a eleggere domicilio in Italia”.

    Di quelle poche righe però mai alcun giornale ha dato conto ai suoi lettori. “Embedded”. E per giunta servitori di due padroni: da un lato la procura, dall’altro le banche molto interessate a finanziare il Tav e che controllano direttamente o indirettamente gli editori delle gazzette nostrane. E quindi purtroppo ci sta che alle notizie negative venga data meno diffusione possibile. Basta però che non la menino con la libertà di stampa e pure con l’indipendenza facendo il paio con i comportamenti dei pm che sull’argomento continuano a ad agitare un fantasma del passato per regolare lo scontro sociale e politico di oggi proprio mentre alcuni promotori del Tav iniziano a manifestare dubbi a causa dei costi eccessivi. I pm fanno politica trincerandosi dietro un’indipendenza e autonomia sempre più presunte e dietro il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Ma il naso negli appalti del Tav non lo mettono. Il ministro dei Trasporti Lupi si fa giudice anzi veste i panni di un’intera corte d’assise per attaccare la sentenza che il 17 dicembre ha assolto 4 militanti sempre dall’accusa di “terrorismo”, invece di tacere e stare tranquillo. Gli appalti del Tav sono in questo straordinario paese gli unici onesti e trasparenti. E quello che spetta a Cl e Coop non si tocca (frank cimini).

  • NoTav, cade l’accusa di terrorismo….
    3 anni 6 mesi per compressore rotto

    L’accusa di terrorismo è stata fatta a pezzi dalla corte d’assise di Torino che ha deciso di condannare a “soli” 3 anni e 6 mesi i 4 militanti Notav imputati per l’azione contro il cantiere di Chiomonte del 14 maggio del 2013. I giudici hanno dato ragione all’accusa esclusivamente in relazione al danneggiamento all’incendio e alla violenza a pubblico ufficiale.

    Si tratta di una sonora sconfitta per i pm Padalino figicciotto berlingueriano e Rinaudo neofascista di Fdi che in aula avevano parlato di “atto di guerra” al fine di supportare l’accusa di aver agito con finalità di terrorismo. Il teorema Caselli esce fortemente ridimensionato se non addirittura azzerato dalla decisione della corte d’assise, anche se 3 anni e 6 mesi per un compressore rotto nel corso dell’azione non sono pochi. Ma bisogna ricordare che il processo è stato sottratto al suo giudice naturale, il tribunale di Torino, dai pm e soprattutto dal gip che decideva il rinvio a giudizio contestando la finalità di terrorismo, cioè l’agitare un fantasma del passato da parte di un professionista dell’emergenza del livello di Caselli, nel frattempo andato in pensione.

    La sentenza è in linea con quanto aveva deciso la Cassazione annullando sia pure con rinvio il verdetto del Riesame di Torino sulla sussistenza della finalità di terrorismo. Secondo la Suprema Corte per contestare l’accusa di terrorismo ci vogliono elementi concreti e nel caso specifico la concreta possibilità che le autorità debbano rinunciare alla realizzazione dell’opera.

    Del resto gli stessi pm in sede di requisitoria facevano una parziale marcia indietro rispetto all’ipotesi originaria di accusa passando dall’attentato alla vita a quello dell’incolumità fisica di operai e poliziotti. Ma i pm poi giocavano la carta della disperazione alla vigilia della sentenza contestando l’accusa di terrorismo ad altri 3 militanti Notav che a luglio erano stati arrestati per i fatti del 14 maggio 2013. L’ordinanza bis era un chiaro tentativo di influire sul verdetto ormai prossimo, dal momento che conteneva alcune testimonianze rese in aula da appartenenti alle forze di polizia nel processo appena concluso. Erano deposizioni già sotto la valutazione della corte d’asssise e i pm e il gip che con un “copia e incolla” diceva di sì si rendevano protagonisti di un’operazione quantomeno scorretta e inopportuna.

    Ai pm comunque il giochetto non è riuscito. La corte d’assise ha detto di no mettendo un punto fermo che ha un significato sicuramente più generale. In questo disgraziato paese è possibile contrastare i progetti di imprese, banche, partiti (in realtà corporazioni), sindacati, appoggiati da giornali e tg, senza dover far fronte all’accusa di terrorismo. Insomma, come aveva ricordato un legale in sede di arringa, un compressore rotto non è parificabile al sequestro Moro.

    Sulla sentenza non può non aver pesato il fatto che la più importante delle parti offese indicate dai pm, l’Unione Europea, decideva di non costituirsi parte civile. “Caro cancelliere non siamo interessati a eleggere domicilio in Italia” scriveva un funzionario di Bruxelles alla corte d’assise. E il presidente chiosava: “La commissione non sembra granchè interessata al nostro processo”. Insomma non c’era stata nessuna azione di guerra, nessun ricatto tale da costringere a rinunciare alla realizzazione di un’opera sulla quale adesso persino alcuni  dei principali promotori hanno dei forti dubbi “perchè costa troppo”. Ecco, se ne sono accorti adesso. Dopo aver delegato, come tanti decenni fa, un problema sociale, politico e di modello di sviluppo, alla magistratura. I giudici stavolta non hanno tolto le castagne dal fuoco per conto della politica. Ma, ricordiamolo, 7 ragazzi (i 4 del processo finito oggi e altri 3) stanno in carceri di massima sicurezza(alcuni da un anno), torturati da un 41bis di fatto, a causa di un teorema che una corte d’assise stamattina ha buttato nel cesso(frank cimini)

  • Davanti a tutti in graduatoria da sostituto Pg
    Ma Robledo rischia il trasferimento da Milano

    Tra i magistrati in corsa per ottenere un posto da sostituto in Procura Generale c’è proprio colui che potrebbe dover lasciare Milano per incompatibilità ambientale. Per oggi è attesa la proposta della Prima commissione del Csm su un eventuale trasferimento di Alfredo Robledo (e di Edmondo Bruti Liberati?). E proprio oggi si scopre, dalle graduatorie interne pubblicate dal Csm, che lo stesso Robledo è primo in una lista di 26 magistrati che hanno chiesto un posto nell’ufficio guidato da Manlio Minale.

    Tra chi ha chiesto di diventare sostituto Pg non ci sono solo magistrati milanesi, ovviamente. Ma c’è anche chi parla di una “mezza fuga dalla Procura” guidata da Bruti. Robledo risulta primo in graduatoria (valutazione: 31) davanti ad Amato Barile (30), pm alla Procura di Lagonegro, e a Celestina Gravina (26), attuale Procuratore a Matera che farebbe così ritorno nella Milano che la vide impegnata da inquirente, tra le altre cose, nell’inchiesta sulla strage di Linate. Al settimo posto c’è un’altra pm milanese, Laura Gay, attualmente all’esecuzione (dipartimento guidato da Robledo dopo la nota estromissione dal pool anticorruzione). Più indietro i sostituti procuratori Maria Mazza, Paola Pirotta (di quel secondo dipartimento che fu guidato da Robledo), Angelo Renna, Silvia Perrucci, Maria Teresa Latella.

    Chiedono un posto al terzo piano lato Manara anche l’ex giudice milanese Gemma Gualdi (quinta in graduatoria), l’ispettore del ministero Paolo Fortuna, il pm di Pavia Giovanni Benelli, i pm dei minori di Milano Maria Saracino e Ciro Cascone e la pm di Brescia Silvia Bonardi, magistrato che negli ultimi mesi ha indagato per concussione il collega milanese Ferdinando Esposito.

    I posti messi a bando sono solo due. Con l’eventuale trasferimento di Robledo, qualcuno verrebbe ripescato.

    (Aggiornamento delle ore 16: sulla questione trasferimenti per incompatibilità ambientale il Csm ha deciso di rinviare. Prima verrà ascoltato il presidente di Corte d’Appello Giovanni Canzio, il 16 dicembre, poi si vedrà).

  • Camera Penale, “scandaloso negare un legale alla mamma di Ragusa”

    C’è un aspetto poco attraente dal punto di vista mediatico che  si è dimenticato di sottolineare nella vicenda di Veronica Panarello, la mamma di Ragusa accusata di avere ucciso il figlio di 8 anni, Loris. Qualcosa che interpella la nostra coscienza di vivere in uno stato di diritto. Prima di essere fermata, questa donna è stata interrogata per ore dai pubblici ministeri come persona informata sui fatti, senza la possibilità di essere affiancata da un avvocato sebbene fosse chiaro a tutti che per la pubblica accusa fosse lei l’unica indiziata dell’omicidio.

    In una nota diffusa oggi (nota-del-consiglio-direttivo-del-10122014.html) che critica la protesta organizzata dall’Associazione Nazionale Magistrati contro la riforma Renzi, la Camera Penale di Milano prende una posizione molto chiara. Per gli avvocati, la donna “è stata prima posta alla berlina mediatica e poi privata del proprio diritto costituzionale all’assistenza difensiva e della possibilità di esercitare il proprio diritto al silenzio in un clima quasi da auto da fe’”. I magistrati non dovrebbero preoccuparsi di falsi problemi come la riduzione delle ferie,  ma “del rispetto e dell’applicazione dei diritti e delle garanzie che sono alla base del funzionamento del diritto penale”. Era stato invece indagato come “atto dovuto” Orazio Fidone, il cacciatore che aveva trovato il corpo del bambino in un canalone nella campagna ragusana. Sarebbe stato un “atto dovuto” anche iscrivere Veronica Panarello che avrebbe goduto così della possibilità di concordare una linea difensiva con un legale, riconoscendole il diritto alla difesa garantito dalla Costituzione.  Commenta Salvatore Scuto, presidente della Camera Penale milanese: “Nell’Anm ormai ha preso il sopravvento l’ala più dura dei magistrati guidati da Piercamillo Davigo e Nicola Gratteri che puntano a indebolire i diritti delle difese. Si vuole per esempio allungare la prescrizione dimenticando che essa matura al sessanta per cento nell’udienza preliminare. E si perdono di vista problemi ben più seri, come la scandalosa negazione di un legale a Ragusa”.  (manuela d’alessandro)

  • Notav, pm e gip giocano sporco a pochi giorni dalla sentenza

    A pochi giorni dalla sentenza del processo prevista per il 17 dicembre a carico di 4 militanti NoTav che rischiano la condanna a 9 anni e 6 mesi di carcere accusati di aver agito “con finalità di terrorismo” per la rottura di un compressore, i pm e il gip di Torino aggravano la posizione di altri 3 indagati per lo stesso fatto avvenuto il 14 maggio del 2013 al cantiere di Chiomonte. Anche ai 3 già detenuti il gip su richiesta dei pm con una nuova ordinanza di custodia cautelare contesta ora la finalità di terrorismo che l’estate scorsa era stata esclusa.

    Nella nuova ordinanza si riportano le testimonianze che alcuni appartenenti alle forze di polizia hanno reso nel processo in via di definizione a giorni. La mossa di pm e gip appare quantomeno inopportuna e scorretta perché la loro valutazione non può non rischiare di interferire con la decisione che i giudici della corte d’assise di Torino stanno per adottare sulle presunte responsabilità dei primi 4 militanti finiti in carcere un anno fa, ripetiamo, per lo stesso fatto.

    Il gip in riferimento all’azione di Chiomonte scrive di “atto di guerra” facendo un copia e incolla con la richiesta della procura, aggiungendo che si tratta di una minaccia all’integrazione europea. Il giudice non fa alcun accenno che proprio l’Unione Europea indicata dai pm come parte offesa nel processo ai 4 militanti Notav con una missiva di poche righe aveva rifiutato di costituirsi parte civile tanto che il presidente della corte d’assise aveva commentato: “La commissione non sembra granchè interessata a questo processo”. Un funzionario di Bruxelles aveva scritto: “Non intendiamo eleggere domicilio in Italia”.

    Ma pm e gip nonostante ciò vanno per la loro strada agitando un fantasma del passato che viene utilizzato al fine di di regolare lo scontro sociale e politico di oggi, arrivando a ignorare la Cassazione che aveva annullato sia pure con rinvio la finalità di terrorismo contestata ai primi 4 arrestati.

    Insomma l’accusa contenuta nella nuova ordinanza condivisa da un giudice che dovrebbe essere terzo è la carta truccata giocata dai pm in vista della sentenza del 17 dicembre. E’ in pratica la replica alle arringhe dei difensori uno dei quali aveva sostenuto che esiste differenza tra un compressore rotto e il sequestro Moro. (frank cimini)

     

  • Anche Maroni sta scivolando lì…
    E non si presenta al pm

    Il governatore lombardo Roberto Maroni stamani avrebbe dovuto presentarsi in procura a Milano davanti al pm Eugenio Fusco che gli aveva inviato un invito a comparire per induzione indebita e turbata libertà di scelta del contraente. Entrambe le accuse fanno riferimento ai rapporti tra Maroni e la sua amica Maria Grazia Paturzo, da un lato assunta nella società Expo2015  e dall’altro lato candidata a partecipare a un viaggio a Tokio del presidente della giunta regionale, al quale Maroni rinunciò perchè Expo si sarebbe rifiutato di pagare il soggiorno della donna.

    Maroni rifiutò di di andare a rappresentare la Regione a Tokio solo poche ore prima della partenza, evidentemente contrariato dal fatto che Expo non avesse aderito al suo desiderio di avere in delegazione l’amica Paturzo con spese a carico della società. Insomma a colui che promise di usare le scope per ripulire il Carroccio in seguito all’inchiesta sul “cerchio magico” non passò nemmeno per l’anticamera del cervello di tirare fuori lui (che ogni mese incassa uno stipendio non certo basso) i 6.500 euro di viaggio e soggiorno per la ragazza.

    L’interrogatorio di Maroni sarebbe stato l’ultimo atto dell’inchiesta. E’ saltato per decisione legittima dell’indagato, alla fine di una lunga trattativa tra il pm e l’avvocato difensore Domenico Aiello. L’indagine dovrebbe essere chiusa a gennaio con il deposito delle carte.  A quel punto Maroni potrà chiedere lui di essere sentito in procura, dopodichè con ogni probabilità ci sarà la richiesta di processo. Nella vicenda delle assunzioni l’accusa si fa forte a sostegno delle sue tesi della decisione di un indagato, Alberto Brugnoli, manager di Eupolis, di patteggiare. Nel caso del mancato viaggio a Tokio la rilevanza penale del comportamento di Roberto Maroni appare un po’ più sfumata, anche se la storia è sicuramente indecorosa a livello politico. Ma il governatore lombardo non è certo l’unico politico a fregarsene ampiamente dei danni reputazionali. Diciamo che è in buona compagnia e, se dovesse essere condannato per l’induzione indebita, rischia di decadere dalla carica per la legge Severino.  (frank cimini)

  • Rinviato il convegno sull’omogenitoralità,
    “pressioni” perché relatori pro – famiglie gay

    Ci sarebbero state “pressioni” o “veti” da parte di alcune ‘toghe’ che ritenevano il parterre dei relatori troppo “orientati a favore dei diritti delle famiglie omosessuali” alla base del rinvio del convegno sull’omogenitorialità organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura in collaborazione con l’Aiaf (associazione italiana degli avvocati per la la famiglia e i minori).

    Il seminario si sarebbe dovuto svolgere il 15 dicembre a Palazzo di Giustizia ma i partecipanti, con grande stupore, hanno ricevuto oggi da Giuseppe Buffone, giudice civile e promotore dell’incontro, una mail in cui li si informava del rinvio al 27 febbraio. La data è stata posticipata, spiega il magistrato, “in vista della riorganizzazione” dell’incontro, motivata dal “serio interesse” espresso da “alcuni colleghi” alla “partecipazione ai lavori con l’obbiettivo di arricchire il seminario”. Fin qui, la motivazione ufficiale.

    Ma c’è una nota delle toghe di ‘Area’ (formazione che riunisce Magistratura Democratica e Movimento per la Giustizia)  dalla quale par di capire che lo scenario in cui è maturata la decisione del rinvio del convegno intitolato ‘La tutela dei diritti nelle famiglie omogenitoriali’ non sia stato così soft. “Stupisce perché – si legge nel documento – sembrerebbe in realtà originata dalla perplessità di alcuni colleghi di Milano che avebbero contestato i contenuti del convegno ritenendo che fosse troppo ‘orientato’ a favore dei diritti delle famiglie omosessuali. Se questo è accaduto lo troviamo francamente preoccupante, anche per la storia del nostro distretto”. Una rappresentante di Area Milano, da noi contattata, dice: “Le ragioni del rinvio sono risibili. In questi casi si invita più gente possibile per creare dibattito, ma certo non si rinvia un convegno”. “Quello che è certo – sottolinea uno dei relatori – è che a Milano è la prima volta che viene rinviato un convegno”.

    Secondo i rappresentanti della corrente, “è impensabile che nell’attività formativa, e in particolare in ambiti di così assoluto rilievo, possano intervenire decisioni che suonano come veti o pressioni da parte di singoli o di gruppi di magistrati che in questo modo compromettono l’indipendenza della quale dovrebbe godere la Scuola della Magistratura”.

    “Se davvero ci fossero state queste pressioni sarei sbalordita – commenta l’avvocato e presidente di Aiaf Lombardia Cinzia Calabrese – abbiamo organizzato altri convegni in altre città con gli stessi relatori, senza alcun problema. Sono incontri di studio, dove l’ideologia non c’entra nulla”.

    Tra  i giuristi chiamati a parlare, figurano il Presidente del Tribunale di Bologna, Giuseppe Spadaro, firmatario di una sentenza con la quale nel 2013 una bambina venne affidata a una coppia omosessuale, lo psichiatra Vittorio Lingiardi, autore del saggio ‘Citizen gay’ e il giudice civile Olindo Canali che pure si è espresso sulla materia del convegno con un paio di verdetti sul tema che sucitarono dibattito. “In realtà a Milano, a differenza che in altre città – ci spiega il giovane giudice Buffone, considerato un enfant prodige del diritto di famiglia – non abbiamo ancora avuto casi relativi a famiglie omogenitoriali, ma questo convegno serve proprio a fare il punto”. (manuela d’alessandro)

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

  • NoTav, legali a giudice Riesame: astieniti, ti sei già espresso

    L’avvocato Eugenio Losco patrocinatore dei  dei tre militanti NoTav in carcere da luglio e ora destinatari di una ordinanza bis per terrorismo ha depositato un invito ad astenersi dal presiedere il collegio del Riesame a carico del giudice Cristina Domaneschi in vista dell’udienza di lunedì 22 dicembre. Il giudice Domaneschi aveva già presieduto il collegio che aveva rigettato il ricorso, sempre in relazione alla finalità di terrorismo per l’azione contro il cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013, degli altri 4 militanti NoTav assolti il 17 dicembre dalla corte d’assise di Torino dal capo di imputazione più grave e condannati a 3 anni e 6 mesi contro la richiesta di 9 anni e 6 mesi dei pm.

    Domaneschi inoltre avrebbe dovuto presiedere il collegio del Riesame ancora in relazione alla posizione dei 4 imputati dopo che la Cassazione aveva annullato con rinvio la decisione di confermare la finalità di terrorismo nell’azione di Chiomonte. L’udienza poi non fu celebrata perché le difese rinunciarono al ricorso. (altro…)

  • ‘Ndrangheta, per la prima volta Milano ‘perde’ un pezzo di competenza

    La mafia saluta e se ne ritorna su quel ramo del lago. Mafia presunta, si intende. Anzi, per la precisione: ‘ndrangheta. Con una decisione innovativa, che contrasta con le tesi della Dda, il presidente della settima sezione penale di Milano, Aurelio Barazzetta, ha stabilito che il processo a carico di sette imputati nato dall’inchiesta denominata ‘Metastasi’, si dovrà celebrare a Lecco. E’ la prima volta che Milano perde pezzi di un processo sulle cosiddette ‘locali’ di ‘ndrangheta individuate a partire dall’inchiesta ‘Infinito’.

    Se la competenza sul reato previsto dall’articolo 416bis in fase di indagini è indubbiamente della procura distrettuale, il tribunale competente è un altro se, come ha stabilito il giudice in questo caso, le condotte mafiose si sono concretamente realizzate al di fuori dei confine milanese. Per radicare nel capoluogo il dibattimento non basta che il potere intimidatorio della locale poggi sulla forza dell’organizzazione mafiosa sovraordinata, quella ‘Lombardia’ già individuata nel corso di ‘Infinito’. Bisogna guardare alle condotte materiali che sostanziano il reato di associazione di stampo mafioso. E in questo caso, sarebbero avvenute tutte in territorio lecchese. Al tribunale sul lago finiscono tra gli altri Mario Trovato (fratello del più noto Francesco ‘Coco’ Trovato), e Antonio Rusconi, ex sindaco di Valmadrera. Nel collegio difensivo c’è una certa euforia tanto che qualcuno parla di provvedimento che per la prima volta “fa crollare un teorema della Dda milanese”. Molti legali, ora, dovranno lavorare in trasferta. E anche i pubblici ministeri faranno avanti e indietro. Non proprio comodissimo.

  • La mafia saluta Milano
    e si fa processare sul lago
    Legali: crolla il teorema della Dda

    La mafia saluta e se ne ritorna su quel ramo del lago. Mafia presunta, si intende. Anzi, per la precisione: ‘ndrangheta. Con una decisione innovativa, che contrasta con le tesi della Dda, il presidente della settima sezione penale di Milano, Aurelio Barazzetta, ha stabilito che il processo a carico di sette imputati nato dall’inchiesta denominata ‘Metastasi’, si dovrà celebrare a Lecco. E’ la prima volta che Milano perde pezzi di un processo sulle cosiddette ‘locali’ di ‘ndrangheta individuate a partire dall’inchiesta ‘Infinito’.
    Se la competenza sul reato previsto dall’articolo 416bis in fase di indagini è indubbiamente della procura distrettuale, il tribunale competente è un altro se, come ha stabilito il giudice in questo caso, le condotte mafiose si sono concretamente realizzate al di fuori dei confine milanese. Per radicare nel capoluogo il dibattimento non basta che il potere intimidatorio della locale poggi sulla forza dell’organizzazione mafiosa sovraordinata, quella ‘Lombardia’ già individuata nel corso di Infinito. Bisogna guardare alle condotte materiali che sustanziano il reato di associazione di stampo mafioso. E in questo caso, sarebbero avvenute tutte in territorio lecchese. Al tribunale sul lago finiscono tra gli altri Mario Trovato (fratello del più noto Francesco ‘Coco’ Trovato), e Antonio Rusconi, ex sindaco di Valmadrera. Nel collegio difensivo c’è una certa euforia tanto che qualcuno parla di provvedimento che per la prima volta “fa crollare un teorema della Dda milanese”. Molti legali, ora, dovranno lavorare in trasferta. E anche i pubblici ministeri faranno avanti e indietro. Non proprio comodissimo.

  • La mafia saluta Milano
    e si fa processare sul lago
    Legali: crolla teorema della Dda

    La mafia saluta e se ne ritorna su quel ramo del lago. Mafia presunta, si intende. Anzi, per la precisione: ‘ndrangheta. Con una decisione innovativa, che contrasta con le tesi della Dda, il presidente della settima sezione penale di Milano, Aurelio Barazzetta, ha stabilito che il processo a carico di sette imputati nato dall’inchiesta denominata ‘Metastasi’, si dovrà celebrare a Lecco. E’ la prima volta che Milano perde pezzi di un processo sulle cosiddette ‘locali’ di ‘ndrangheta individuate a partire dall’inchiesta ‘Infinito’.
    Se la competenza sul reato previsto dall’articolo 416bis in fase di indagini è indubbiamente della procura distrettuale, il tribunale competente è un altro se, come ha stabilito il giudice in questo caso, le condotte mafiose si sono concretamente realizzate al di fuori dei confine milanese. Per radicare nel capoluogo il dibattimento non basta che il potere intimidatorio della locale poggi sulla forza dell’organizzazione mafiosa sovraordinata, quella ‘Lombardia’ già individuata nel corso di Infinito. Bisogna guardare alle condotte materiali che sustanziano il reato di associazione di stampo mafioso. E in questo caso, sarebbero avvenute tutte in territorio lecchese. Al tribunale sul lago finiscono tra gli altri Mario Trovato (fratello del più noto Francesco ‘Coco’ Trovato), e Antonio Rusconi, ex sindaco di Valmadrera. Nel collegio difensivo c’è una certa euforia tanto che qualcuno parla di provvedimento che per la prima volta “fa crollare un teorema della Dda milanese”. Molti legali, ora, dovranno lavorare in trasferta. E anche i pubblici ministeri faranno avanti e indietro. Non proprio comodissimo.

  • La ‘ndrangheta saluta Milano
    e si fa processare sul lago
    Legali: crolla teorema della Dda

    La mafia saluta e se ne ritorna su quel ramo del lago. Mafia presunta, si intende. Anzi, per la precisione: ‘ndrangheta. Con una decisione innovativa, che contrasta con le tesi della Dda, il presidente della settima sezione penale di Milano, Aurelio Barazzetta, ha stabilito che il processo a carico di sette imputati nato dall’inchiesta denominata ‘Metastasi’, si dovrà celebrare a Lecco. E’ la prima volta che Milano perde pezzi di un processo sulle cosiddette ‘locali’ di ‘ndrangheta individuate a partire dall’inchiesta ‘Infinito’.
    Se la competenza sul reato previsto dall’articolo 416bis in fase di indagini è indubbiamente della procura distrettuale, il tribunale competente è un altro se, come ha stabilito il giudice in questo caso, le condotte mafiose si sono concretamente realizzate al di fuori dei confine milanese. Per radicare nel capoluogo il dibattimento non basta che il potere intimidatorio della locale poggi sulla forza dell’organizzazione mafiosa sovraordinata, quella ‘Lombardia’ già individuata nel corso di Infinito. Bisogna guardare alle condotte materiali che sustanziano il reato di associazione di stampo mafioso. E in questo caso, sarebbero avvenute tutte in territorio lecchese. Al tribunale sul lago finiscono tra gli altri Mario Trovato (fratello del più noto Francesco ‘Coco’ Trovato), e Antonio Rusconi, ex sindaco di Valmadrera. Nel collegio difensivo c’è una certa euforia tanto che qualcuno parla di provvedimento che per la prima volta “fa crollare un teorema della Dda milanese”. Molti legali, ora, dovranno lavorare in trasferta. E anche i pubblici ministeri faranno avanti e indietro. Non proprio comodissimo.

  • Lavoro gratis dei detenuti, ecco perché non ci piace

    Il programma di Report ha riproposto un tema che da anni e periodicamente ritorna a galla , quello del lavoro gratuito volontario per i detenuti.
    Coloro che sono favorevoli alternano motivazioni caritatevoli , stanno tutto il giorno a guardare il muro, così gli passa il tempo, motivazioni risarcitorie, hanno fatto un danno alla società lo ripaghino così , motivazioni economiche , così si pagano le spese di detenzione.
    Tali motivazioni si scontrano con due concetti banali e incontrovertibili:
    il lavoro va sempre retribuito, il termine volontario per un soggetto in carcere e’ un non senso.
    Detto questo , se vogliamo porre la questione in termini di rieducazione e reinserimento del detenuto, premesso che il lavoro, e’ una parte di un percorso più complesso, proprio la retribuzione, che contribuisce anche al mantenimento del detenuto, e’ condizione che aiuta ad evitare la recidiva.
    Per anni abbiamo lodato, giustamente , la legge Simeone, che aiutava la retribuzione dei detenuti , anche grazie a sgravi fiscali per le aziende che li assumevano , come potremmo ancora fare ciò quando le stesse aziende, potranno assumere soggetti senza pagarli ?
    Non molto più giustificabile e’ il ragionamento che vorrebbe imporre il lavoro non retribuito per la collettività , come forma sostitutiva di un’attività che il Comune non può svolgere , magari per mancanza di fondi.
    In un ottica di libera concorrenza questa forma di attività gratuita rischierebbe di fare fallire altre ditte, imprese; se per esempio le panchine di un  comune  le aggiustassero gratis i detenuti, fallirebbero tutte le ditte che si occupano di questa mansione, con benefici magari per l’Ente pubblico,ma con perdite di posti di lavoro.
    Ma al di là degli  aspetti economici quello che va combattuto e’ un concetto che, estremizzato, porta a ritenere legittimi i lavori forzati, cioè quello  che il lavoro possa essere di per se stesso e da solo, forma di risarcimento della società per il reato commesso.
    Niente di più sbagliato, i lavori socialmente utili sono altra cosa, ha senso che una persona che ha ferito una persona perché guidava ubriaco, vada a fare una attività risarcitoria in un ospedale dove sono ricoverate persone vittime di incidenti stradali, mentre lo ha molto meno che un rapinatore vada a aggiustare un marciapiede .
    Basterebbe forse fare un semplice ragionamento, le persone detenute sono giustappunto persone e tutte le persone che lavorano ogni giorno sono , più o meno , retribuite, perché quelle ristrette non dovrebbero esserlo? (Mirko Mazzali, avvocato e consigliere del Comune di Milano)

  • Dopo il “testa di c.”
    ‘Depenalizzato’ il vaffa all’omofobo

    Il “testa di c.” al sindaco omofobo era già praticamente depenalizzato, come vi raccontavamo qui. Ora l’elenco degli insulti a disposizione per rivolgersi all’ex primo cittadino di Sulmona, Fabio Federico, senza incorrere in conseguenze penali, si allarga a dismisura, grazie al provvido provvedimento di un pm di Torino, Chiara Maina, e a quello del gip Gianni Macchioni.

    “Se per normale intende un come lui allora viva l’anormalità. Che c… c’entrano gli ormoni, c…, l’Italia è ferma all’800. Comunque caro Federico, vai affan*§#@ [per esteso nel testo, ndr] tu e tutti quelli ignoranti e idioti come te”, scriveva Enzo C. a corredo del famoso video “Federico e i gay“.

    Ragiona il pm di Torino: “Deve ritenersi che non si ravvisano  [brrrrr!, ndr] gli estremi oggettivi e soggettivi della diffamazione, tenuto conto dell’intrinseco contenuto del video (…) a commento del quale l’odierno indagato avrebbe inserito una frase asseritamente diffamatoria (…). Orbene, la frase incriminata, certamente forte nei toni utilizzati, va comunque contestualizzata nel contenuto instrinseco al video, sicuramente poco rispettoso nei confronti degli omossessuali  [quadrupla S nel testo originale, ndr], definiti, tra l’altro, come “persone con problemi”. Tanto premesso, il comportamento dell’indagato, persona omossessuale  [di nuovo, ndr] e, dunque, ritenutasi offesa dal contenuto del video, appare una reazione alla provocazione intrinsecamente contenuta nel video rispetto alla condizione di omossessualità [ancora, ndr] e, pertanto, configurante, quantomeno nei termini putativi, l’esimente di cui di cui all’art 599 c.p. della cosiddetta provocazione”.

    Enzo C. avrebbe agito “in uno stato d’ira determinato dall’altrui provocazione”.
    Il pm chiede l’archiviazione, il gip la dispone con un provvedimento di quattro righe scarse: “La richiesta del pm appare condivisibile”.
    Ripiloghiamo: “Testa di c.”. “Sembra uno che va a trans“. “Vai affan*§#@”. “Ignorante”. “Idiota”. In caso di provocazione omofoba tale da farvi arrabbiare, è tutto lecito. Bisogna “contestualizzare”.

    Lo scrivente, augurandosi la fine delle provocazioni e del conflitto su temi sociali-etnici-sessuali, si augura sommessamente che i provvedimenti di cui sopra facciano giurisprudenza. Salvo per le brutture linguistiche, ovviamente. Con un “bravo” a quegli avvocati, come Barbara Indovina, che l’hanno avuta vinta fin qui, nella difesa dei loro presunti diffamatori. Altra considerazione non richiesta: se uno proprio proprio se la prende, beh, facesse causa civile invece di intasare le procure.

  • Cupola degli appalti Expo
    Ecco i patteggiamenti di Greganti, Frigerio & Co.

    Ecco il risultato dell’inchiesta che per qualche mese ha fatto tremare la macchina di Expo. Qui trovate i patteggiamenti ratificati dal gup Ambrogio Moccia per Primo Greganti, Gianstefano Frigerio, Luigi Grillo, Angelo Paris, Enrico Maltauro e Sergio Cattozzo. Ovvero i componenti della cosiddetta ‘cupola degli appalti’, così come la definirono nel giorno degli arresti i pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio.

    Alle pagine 8 e 9, i perché dell’assenza di confische e le ragioni per cui tutti beneficiano delle attenuanti generiche equivalenti o prevalenti sulle aggravanti.

    Frigerio, condannato in passato, aveva già ottenuto la riabilitazione. Greganti ha tenuto un “discreto comportamento post factum”. Maltauro ha fornito “ampia collaborazione”, così come Luigi Grillo, incensurato. Paris non ha precedenti penali e dimostra un “non minimo impegno risarcitorio” (100mila euro). Buona lettura.

    Patteggiamenti Expo Greganti Frigerio

  • Podestà condannato, il primo e – book contro una sentenza.

    Guido Podestà affida a un e-book di oltre cento pagine, scaricabile dai suoi profili Facebook e Twitter , la risposta indignata alla condanna a due anni e nove mesi di carcere che gli ha inflitto il Tribunale di Milano per avere contribuito alla raccolta di firme false a sostegno di Roberto Formigoni.  E’ la prima volta che un politico si difende con un e-book (“anche se io appartengo al giurassico, è opera dei miei amici”, ha tenuto a precisare il Presidente della Provincia di Milano”), disponibile on line a poche ore da un verdetto di condanna, evidentemente non inatteso.

    La strada è quella indicata da Silvio Berlusconi quando, per rispondere alle accuse della magistratura, convocava conferenze stampa e inondava i giornalisti di documenti che avrebbero dimostrato la sua innocenza. Ma qui andiamo molto oltre. La risposta del Podestà furioso, che convoca una repentina conferenza stampa, è quella di far consegnare dalle figlie ai giornalisti l’anteprima dell’e – book, scritto da “amici e collaboratori alla ricerca della verità”.  Il titolo dell’opera, ‘Che Italia è questa? – Il processo di Robeldo contro Podestà’ si riferisce al presunto accanimento manifestato dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo il quale aveva ‘disobbedito’ al suo capo, Edmondo Bruti Liberati, iscrivendo il politico nel registro degli indagati nonostante il niet del procuratore.  Era stato questo uno dei motivi di scontro tra i due ‘galli’ della Procura finito davanti al Csm. (podesta-chiede-di-trasferire-processo-a-brescia-per-scontro-in-procura-e-giustiziami-arriva-in-cassazione)

    A pagina 5 del libro, Josef K. (lo pseudonimo usato dagli autori che  cita il personaggio kafkiano) fa un paragone azzardato tra Podestà  e Oscar Pistorius. “Il 17 ottobre, giorno della penultima udienza, cade quasi per una beffa del destino, quattro giorni prima della condanna a cinque anni di reclusione emessi dalla Corte Federale di Pretoria ai danni di Pistorius per l’omicidio colposo della fidanzata (…) 5 anni e 8 mesi per un presunto falso ideologico, cinque anni per un omicidio giudicato colposo..qualcosa stride?”. Nel testo, Silvio Berlusconi viene definito “lider maximo”, Nicole Minetti che fu eletta nel ‘listino’ di Formigoni viene liquidata come l’”igienista dentale” a cui è stata concessa una “chance”.  Infine, le “22 domande che rimangono senza risposta” , l’ultima delle quali è: “Ebbene, che Italia è questa?”. (manuela d’alessandro)

  • Firme false, 2 anni 9 mesi a Podestà che Bruti non voleva far indagare

    Due anni e 9 mesi per falso elettorale. E’ la condanna di Guido Podestà, all’epoca dei fatti e ancora fino al 31 dicembre presidente della Provincia di Milano, per le firme false raccolte a sostegno del listino di Formigoni e della lista Pdl in occasione delle elezioni regionali del 2010. Il pm Alfredo Robledo aveva chiesto 5 anni e 8 mesi per falso ideologico. Il giudice Monica Amicone dimezza la richiesta di pena e riqualifica il reato. Ma la sostanza è che l’impianto accusatorio tiene in una vicenda che ha fatto parte del contenzioso tra il capo della procura Edmondo Bruti Liberati e l’aggiunto Robledo fino a poco tempo fa responsabile del dipartimento dei reati contro la pubblica amministrazione. (processo-a-podesta-sospeso-per-scontro-bruti-robledo-a-rischio-anche-quelli-a-formigoni-e-berlusconi).

    Lo ha ricordato anche il professor Gaetano Pecorella in sede di conferenza stampa post-sentenza presentando un book di “22 domande senza risposta” (titolo “Che Italia è questa- Il processo di Robledo contro Podestà”) che farà da traccia per impugnare la condanna. “Bruti Liberati aveva invitato Robledo a compiere alcuni accertamenti e a non procedere all’iscrizione di Podestà, ma Robledo preferì procedere lo stesso”, sono le parole di Pecorella.

    Robledo, questa ormai è praticamente storia, intese quell’invito del procuratore

    come una sorta di interferenza nell’indagine a tutela della politica, un’azione insomma dello stesso segno di quella che avrebbe portato a “dimenticare nel cassetto per 6 mesi” il fascicolo Sea, quella volta a tutela della giunta di centrosinistra di Milano.

    Pecorella quasi si diverte a citare il giurista Carrara, “quando la politica entra dalla porta la giustizia esce dalla finestra”, per poi ricordare di aver chiesto il trasferimento del processo da Milano a Brescia perché il suo cliente sarebbe stato una vittima della guerra interna alla procura.

    La difesa lamenta la mancata citazione di diversi testimoni che avrebbero scagionato Podestà. Ci sarà il deposito delle motivazioni tra 90 giorni quando con ogni probabilità sia Bruti sia Robledo non saranno più in Procura per decisione del Csm e questa vicenda interesserà tutti un po’ meno di oggi (frank cimini)

  • NoTav, legale: Un compressore rotto non è il sequestro Moro

    “Se le Br sequestrano il presidente della Dc e chiedono la liberazione di 10 detenuti è chiaro che vogliono costringere lo Stato, ma qui stiamo discutendo di tutt’altra storia… il fatto non ha alcun rapporto diretto con le istituzioni”, dice in sede di arringa davanti alla corte d’assise di Torino l’avvocato Novaro, uno dei difensori dei 4 militanti NoTav che per aver rotto un compressore durante un’azione contro un cantiere dell’alta velocità sono accusati di aver agito con finalità di terrorismo.

    Il legale contesta che quell’azione sul compressore possa aver avuto la forza di far recedere dalla realizzazione dell’opera e cita la Cassazione che aveva rispedito a Torino gli atti dell’accusa. “Se no il bene giuridico tutelato diventa astratto”, chiosa l’avvocato.

    Per far cadere l’accusa relativa alla finalità di “terrorismo”, la difesa sceglie di evocare l’azione più clamorosa della storia italiana per marcare la differenza tra ieri, 36 anni fa, e oggi. E lo fa praticamente costretta dai pm che in sede di requisitoria avevano parlato di “atto di guerra” chiedendo la condanna di ciascun imputato a 9 anni e 6 mesi di reclusione. Una richiesta di pena molto dura, anche se era la stessa procura a fare marcia indietro dal momento che rispetto all’ipotesi originaria non contestava più l’attentato alla vita di operai e poliziotti ma l’attentato all’incolumità fisica.

    Le parole dei legali della difesa arrivano a pochi giorni da una circostanza quantomeno inquietante che ha visto la polizia di stato “regalare” a giornali e tg l’immagine della Renault rossa dove il 9 maggio del 1978 venne lasciato il cadavere di Moro, aggiungendo che prossimamente l’auto sarà esposta al pubblico. E’ l’agitare un fantasma del passato che fa compagnia proprio al “teorema Caselli” con cui il processo era stato sottratto al suo giudice naturale, il tribunale, per essere celebrato in corte d’assise al fine di rinnovare ulteriormente la politica dell’emergenza.

    Il 17 dicembre ci sarà la sentenza per i 4 militanti NoTav, in carceri di massima sicurezza da quasi un anno, coinvolti in una vicenda giudiziaria dove la più importante delle parti offese indicate dalla procura, l’Unione Europea, rifiutava di costituirsi parte civile. “La commissione non sembra granchè interessata al nostro processo”, chiosava all’avvio delle udienze il presidente della corte. Sembra difficile che si dimentichi la sua acuta osservazione in camera di consiglio (frank cimini)