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  • In Anm baruffa via mail sul comunicato di ringraziamento a Bruti Liberati

    “L’Anm, certa di interpretare il sentimento di tutti i soci saluta affettuosamente nel giorno del suo congedo Edmondo Bruti Liberati e lo ringrazia per il contributo prezioso che ha sempre offerto per l’attività dell’associazione nella quale ha rivestito con saggezza e spirito di unità il ruolo di segretario generale e presidente in anni difficili”. E’ il comunicato dell’associazione nazionale magistrati che ha dato il via alla baruffa interna sulle mailing.list.

    “Grazie di queste espressioni – gongola l’ex procuratore –  Sono così belle che rischio uno sdoppiamento della personalità: mi chiedo se sono proprio io, la persona alla tastiera, quella di cui parlate…”.

    “Prima di parlare a nome di tutti chi rappresenta un’associazione dovrebbe informarsi sul vero sentimento dei propri soci e sulle persone che intende incensare”, è una delle note critiche dove si ricorda che la personalità del procuratore di Milano “è stata molto divisiva al suo interno”.

    “Per interpretare correttamente il sentimento dei soci sarebbe bastato leggere questa mailing-list nei diversi mesi dello scontro nella procura di Milano… Non mi pare di ricordare un encomiabile spirito di unità” si legge ancora.

    C’è chi ricorda le parole di Bruti Liberati al collega Alfredo Robledo nel corso del contenzioso poi finito con il trasferimento dell’aggiunto a Torino. Bruti “apostrofò” il suo aggiunto affermando che la nomina dello stesso era stata determinata dalla “incontinenza” di qualche consigliere del Csm.

    C’è poi chi in modo secco si dissocia dal comunicato dell’Anm “concernente il pensionamento di Bruti che non ha la mia stima nè sul piano personale nè su quello professionale e che diventò capo di una procura delicata in base alla nota profezia dell’allora consigliere del Csm Celestina Tinelli intercettata in una ‘scomoda’ telefonata”.

    Altri colleghi manifestano fastidio “per l’effluvio di mail celebrative”. “Il fatto è che l’improvvida moda  dei cosiddetti bilanci sociali degli uffici giudiziari non contempla l’ipotesi del loro mancato gradimento verso il pubblico” è il contenuto di un’altra mail critica verso quella che fu una delle innovazioni di Bruti al vertice della procura di Milano.

    “Un gruppo di persone tenta di coprire in un giubilo retorico una storia complessa e molto rilevante, il tutto in poche mail e senza spargimento di sangue, così da non innescare l’ennesimo coro di ‘je suì Edmondo Bruti Liberati’. Direi un eccellente risultato per la democrazia” è lo scritto di un magistrato che invita un collega: “E accattati un vocabolario”.

    E ancora: “Perchè l’Anm fa simili comunicati di commiato per taluni colleghi e tace del tutto per altri”. C’è chi da là colpa alla “ossessione del partito unico che impazza nel paese e che ci deve vedere per forza arruolati”.

    Insomma i vertici dell’Anm danno la sensazione di aver prevaricato almeno una parte degli iscritti i quali non stanno zitti e lo fanno notare. Chissà se questa baruffa via mail influirà in qualche modo sul Csm che dovrà nominare il successore di Bruti. Continuità o discontinuità? Interno all’ufficio o esterno? I 90 e passa pm intanto aspettano di sapere se e cosa cambierà, dopo aver vissuto l’asprezza di uno scontro interno che ha lasciato non pochi strascici anche se Bruti nell’intervista d’addio aveva detto: “Ufficio tranbquillo da quando non c’è più quella persona. Il problema non ero io”. (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • Matteo Renzi vuole mettere le mani sulla Procura di Milano?

    Matteo Renzi vuole mettere le mani sulla Procura di Milano?

    Scorrendo la rosa ufficializzzata oggi dei 10 candidati (qui la lista) alla successione di Edmondo Bruti Liberati, brilla tra i nomi favoriti per i bookmakers quello di Giovanni Melillo, capo di gabinetto del Ministro Andrea Orlando. “Se dovesse arrivare lui, significherebbe il commissariamento della Procura”, teorizza un pubblico ministero, e non è il solo al quarto piano del Palazzo di Giustizia a dirsi spaventato da questa eventualità.

    All’apparenza Melillo potrebbe essere il ‘procuratore straniero’ mai visto a Milano (dove da sempre vince la soluzione interna), il gran pacificatore che viene da fuori per redimere gli spiriti bollenti di una Procura distrutta dallo scontro fratricida Bruti – Robledo. In realtà Melillo in quella stagione disgraziata ci è entrato quando, a luglio 2015, il Ministro della Giustizia promosse un’azione disciplinare contro Alfredo Robledo al quale veniva contestato di aver pagato 1 milione a tre custodi per far conservare  non sul Fondo Unico della Giustizia (FUG) ma sulla banca Bcc di Carate Brianza i 90 milioni sequestrati a 3 banche estere per truffa sui derivati al Comune di Milano. Colpì il fatto che l’esercizio del potere disciplinare sul magistrato venne esercitato dopo che alla fine del 2014 la Procura Generale della Cassazione aveva già archiviato gli stessi addebiti disciplinari a carico di Robledo.

    In ogni caso, un uomo del Governo proprio ‘terzo’ è difficile immaginarlo.  Se Giovanni Melillo ha proposto la sua candidatura al Csm deve averlo fatto col consenso del Guardasigilli, al quale sembra piacere molto l’idea di porre un suo fedelissimo in cima a una Procura per tradizione riottosa alla politica (fatta salva l’ultima parte dell’epoca Bruti).

    Lui o il procuratore di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, altro nome ‘benedetto’ dai bookmakers,  potrebbero zittire le ambizioni del trio milanese di pretendenti: Alberto Nobili, Francesco Greco e Ilda Boccassini. Tra loro, il più in corsa appare Greco, il quale, nonostante sia stato consulente del governo Renzi e abbia una notevole capacità relazionale a tutti i livelli, potrebbe non essere considerato abbastanza prono ai desideri della politica. A Nobili spetta il primato di più amato dai colleghi pm milanesi: magistrato capace e  uomo saggio, viene indicato da molti come l’uomo ideale per ricompattare la Procura. Gli manca l’appeal politico, e non pare poco in un mare, come quello del Csm, attraversato da implacabili correnti.  (manuela d’alessandro)

  • Emilio Fede va alla guerra contro le testimoni del processo Ruby ma per il gip fa querele “pretestuose”

    L’uomo è sanguigno, si sa. E si sa anche che “la miglior difesa è l’attacco”. Sorprende però che un giornalista esperto come Emilio Fede, ex direttore di successo, questa volta sia stato tanto impulsivo da fare – in sede giudiziaria – come il pilota che a 90 all’ora punta dritto contro un muro di cemento armato. Facendosi male da solo.

    Il suo muro incrollabile, Fede lo trova nelle dichiarazioni di tre testimoni, Chiara Danese, Ambra Battilana e Imane Fadil, nel processo Ruby. Quelle che hanno fatto luce sul bunga bunga e i metodi di cooptazione di giovani avvenenti ragazze ad Arcore. Le tre testimoni hanno contribuito alla condanna di Fede in primo e secondo grado (la Cassazione ha annullato, ci sarà un nuovo processo d’appello). Il 13 settembre 2013 Fede presenta a Novara una querela “per i delitti di calunnia, falsa testimonianza e altri eventualmente ravvisabili” (meglio abbondare. Meno di due mesi prima era stato condannato in primo grado nel processo Ruby per induzione alla prostituzione). Oggi il gip di Milano Donatella Banci Buonamici archivia la querela, e la motivazione non è piacevole per l’ex direttore del Tg4.

    “Merita solo evidenziare, a dimostrazione della strumentalità della denuncia querela presentata dal signor Fede (…) il contenuto di alcune conversazioni riportate in sentenza e comunque non contestate dalle difese, dalle quali emerge in maniera assolutamente univoca l’impegno profuso da Fede nell’individuare e selezionare giovani donne da condurre al cospetto di Silvio Berlusconi e indurle al compimento di atti sessuali“. Il luogo è villa San Martino ad Arcore, “dove si verificheranno i sipari descritti da una pluralità di testimoni presenti”, scrive il gip. Le accuse a carico delle tre ragazze vanno archiviate perché è “assolutamente evidente la assoluta mancanza di elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio”. Ma non avevano detto una sacco di bugie in aula, come sosteneva Fede? “Allo stato, sulla base del materiale esistente agli atti, questo giudice non può che condividere la valutazione espressa dal collegio giudicante, non emergendo dalle dichiarazioni delle tre indagate elementi in grado di inficiarne la veridicità del contenuto. Vanno invece valorizzate la linearità e la coerenza delle dichiarzioni rese dalle testimoni, che risultano scevre da contraddizioni”. Il loro racconto è “logico e coerente, estremanente dettagliato nelle parti salienti e privo di qualisiasi forzatura o animosità punitiva o di odio nei confronti dell’imputato”. Lui invece un pochino arrabbiato forse lo è.

    Il documento: archiviazione querela fede

  • Consigliere laico a Csm: aprire pratica su “moratoria Expo”

    Pierantonio Zanettin, consigliere laico del Csm, ha depositato in data 11 novembre la richiesta all’organo di autogoverno dei magistrati di aprire una pratica sulla presunta moratoria delle indagini su Expo a evento in corso di cui per primi avevamo scritto ad aprile (la-moratoria-sulle-indagini-della-procura-di-milano-per-expo-e-non-solo).

    “Alcuni articoli di stampa hanno ipotizzato un accordo tra procura della Repubblica di Milano e Governo per una non meglio precisata sospensione dell’attività requirente durante l’intero periodo dello svolgimento di Expo nei confronti di manager o comunque di altri soggetti responsabili dell’organizzazione e della gestione dell’esposizione” scrive Zanettin nella richiesta aggiungendo che la notizia se confermata richiederebbe valutazioni da parte della settima commissione del Csm. Il consigliere fa esplicito riferimento all’istituzione della cosiddetta area omogenea nell’ambito del progetto organizzativo della procura in relazione a Expo 2015.

    Ci potrebbe essere stata, secondo Zanettin, la violazione delle regole organizzative dello stesso ufficio inquirente “peraltro di diretta attuazione del precetto costituzionale di cui all’articolo 112 della Carta”. Il riferimento è al principio dell’esercizio obbligatorio dell’azione penale.

    Zanettin sollecita l’apertura della pratica per le valutazioni della settima commissione del Csm.

    Il capo della procura di Milano Edmondo Bruti Liberati, in occasione della presentazione del bilancio sociale 2015, due giorni fa aveva escluso qualsiasi moratoria o sospensione delle indagini rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano le ragioni del ringraziamento del premier Renzi “per la sensibilità istituzionale” della procura in occasione di Expo.

    Non resta adesso che attendere l’apertura o meno della pratica da parte della commissione competente, anche se va ricordato che il Csm fin qui ha agito quantomeno con lentezza rispetto a presunte responsabilità del capo della procura le cui iniziative erano state censurate dal consiglio giudiziario mentre i pm di Brescia avevano addebitato a Bruti valutazioni politiche nell’assolverlo dall’accusa di abuso d’ufficio.

    Il procedimento disciplinare a carico di Bruti era stato annunciato solo quattro giorni dopo la formalizzazione della decisione da parte del procuratore capo di andare in pensione il prossimo 16 novembre. Quindi il procedimento disciplinare non ci sarà mentre il consiglio giudiziario aveva deciso il non luogo a provvedere sulla conferma nell’incarico di Bruti proprio perché in procinto di andare in pensione (frank cimini)

  • “41bis=tortura”, striscione e presidio davanti al tribunale

    Lo striscione è bianco e in blu c’è scritto: “41bis=tortura”. Siamo davanti al palazzo di giustizia per un presidio con volantinaggio organizzato da OLGa (E’ ora di liberarsi dalle galere) associazione che cura il blog paginecontrolatortura.noblogs.org.

    Si parla di isolamento per 23 ore al giorno, esclusione a priori dall’accesso ai “Benefici”, l’utilizzo dei Gom, gruppi di agenti di polizia penitenziaria specializzati in pestaggi nelle celle tipo Genova 2001, di processo in videoconferenza, come quello per “Mafia capitale” che a Roma ha visto le proteste degli avvocati.

    L’articolo 41bis del regolamento carcerario ha sostituito quello che ai tempi della repressione dlela sovversione interna, i cosiddetti anni di piombo, era l’articolo 90. “L’esigenza di evitare il perdurare dei legami con l’associazione è secondario rispetto al fine ultimo di estorcere informazioni che portino a nuove accuse, a nuove incarcerazioni – si legge nel volantino. Più di 20 anni di 41bis non hanno di certo arginato la cosiddetta criminalità organizzata che dilaga insieme alla corruzione degli apparati istituzionali. La ‘lotta alla mafia’ al pari di quella al ‘terrorismo’ risultano essere soltanto strumenti per generalizzare forme di controllo, coercizione e deterrenza necessari a governare una fase storica”.

    OLGa ricorda che chi è sottoposto al 41bis non può ricevere libri che possono essere acquistati solo dietro autorizzazione del Dap. E la Cassazione ha rigettato poco più di un anno fa tutti i ricorsi rendendo definitiva la restrizione.

    Al presidio partecipa anche il Soccorso Rosso Internazionale: “Contro il 41bis! Solidarietà ai rivoluzionari prigionieri!”. (frank cimini)

     

  • Expo, moratoria infinita solo su appalti. In cella i black bloc

    La moratoria era ed è infinita solo sugli appalti. E’ finita invece quella sulla manifestazione NoExpo del primo maggio. Stamattina è scatta la “retata” più annunciata della storia, perché pur di evitare lesioni di qualsiasi tipo all’immagine dell’esposizione gli inquirenti hanno aspettato che passasse il 31 ottobre per arrestare una decina di antagonisti (metà greci, l’altra italiani)  dopo aver trascorso sei mesi e mezzo a visionare i filmati degli scontri.

    Il capo di imputazione parla di devastazione e saccheggio, reati per i quali si rischiano pene comunque pesantissime, e la procura ha evitato voli pindarici con reati associativi e attacchi alla sicurezza dello stato con tesi giuridiche difficili da dimostrare.

    Si potrebbe obiettare che a sei mesi e più dai fatti l’attualità delle esigenze cautelari sarebbe quasi a zero, considerando che in tale lasso di tempo a livello di ordine pubblico è accaduto nulla, anche perchè, va detto chiaramente, un vero movimento noexpo mai è esistito.

    Il problema su Expo sta nei due pesi due misure tra appalti e incidenti di piazza. Sui lavori, compresi quelli dei fondi per la giustizia, affidati a trattativa privata anzichè con gare pubbliche nè i magistrati nè altre autorità di controllo hanno svolto accertamenti. Tutto si è fermato già alcuni mesi prima dell’inaugurazione dell’esposizione con gli arresti di personaggi già rottamati con Mani pulite e di manager reclutati da Peppino Sala, ormai candidato sindaco del centrosinistra e della procura di Milano.

    La legge per i nemici si applica e per gli amici si interpreta. Anche a Milano non c’è nulla di nuovo sotto il sole, nonostante le smentite del procuratore Bruti Liberati sull’esistenza della moratoria. A non lasciare dubbi sono i grazie di Renzi per la sensibilità istituzionale della procura, due volte, ad agosto e a novembre. Iniziative insolite. Evidentemente dettate da un sospiro di sollievo: l’abbiamo scampata bella (frank cimini)

  • Un logo per Bruti, Expo sponsor della procura o viceversa?

    C’è il coloratissimo logo ufficiale di Expo sulla pagina 8 della relazione sul bilancio della responsabilità sociale preparata da Edmondo Bruti Liberati. Siamo nell’aula magna del palazzo di giustizia per l’ultimo atto della carriera in toga del procuratore capo che dal 16 novembre andrà in pensione. In pratica è una sorta di “messa cantata” e a officiare il rito ci sono il ministro Andrea Orlando, il rettore del politecnico Giovanni Azzone, il sindaco Giuliano Pisapia, il presidente dell’ordine degli avvocati Remo Danovi.

    “Sensibilità istitituzionale è rapidità delle indagini per consentire ad altre articolazioni della società di intervenire per assicurare la prosecuzione delle opere in condizioni di ripristinata legalità”. Con queste parole Bruti risponde ai giornalisti che gli chiedono a cosa si riferisse Renzi il quale prima in agosto e poi ieri aveva “ringraziato” la procura di Milano per la sensibilità istituzionale dimostrata in relazione a Expo.

    “Sensibilità istituzionale significa che la procura ha rispettato la legge” è invece l’ineffabile spiegazione del guardasigilli. Come dire che un panettiere ha fatto il pane. Quelle parole del presidente del consiglio, dette nel bel mezzo dell’evento e poi ribadite a distanza di 3 mesi  dopo la chiusura formale dell’esposizione, rappresentano una pietra miliare di una vicenda di cui si parlerà ancora a lungo.

    Quel logo sulla relazione del procuratore può essere un incrocio tra un lapsus freudiano e un bollino di garanzia sul fatto che tra le ragioni del “successo” di Expo 2015 c’è stata la moratoria sulle indagini al fine di non disturbatore il manovratore (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • I 4 anni di carcerazione preventiva di Daccò, la foto simbolo di un abuso

    L’uomo molto magro che vedete seduto e girato all’indietro tra i banchi dell’aula del processo Maugeri è Pierangelo Daccò. Il 17 novembre compirà quattro anni di carcerazione preventiva a Bollate dove è detenuto dopo l’arresto per bancarotta fraudolenta nell’ambito di un’indagine sul crac dell’ospedale San Raffaele. Quattro anni di carcerazione preventiva: un’enormità. Difficile ricordare casi analoghi, anche per reati più gravi. “In materia di custodia cautelare – spiegò uno dei più brillanti giuristi italiani, Valerio Onida intevistato sugli abusi della galera preventiva – dovrebbero valere sempre elementari principi di civiltà giuridica, tante volte affermati dalla Corte Costituzionale e dalla Corte europea del diritti dell’uomo.  L’accusato in attesa di giudizio si presume non colpevole (…). Le condizioni che legittimano la misura restrittiva devono di norma essere accertate in concreto e le misure adottate devono essere proporzionate e ristrette al minimo indispensabile per fronteggiare in concreto le riscontrate esigenze cautelari”. Il 7 maggio 2014 la Cassazione ha annullato in parte la sentenza d’appello con la quale Daccò era stato condannato col rito abbreviato a 9 anni di carcere per il dissesto finanziario del San Raffaele. L’ex uomo d’affari, 59 anni, dovrà attendere ancora molto per una sentenza definitiva: un nuovo appello e una probabile nuova Cassazione. Nel frattempo, partecipa alle udienze del processo Maugeri, dove è accusato di associazione per delinquere e corruzione, da detenuto per altra causa. (manuela d’alessandro)

    ps abbiamo mostrato la foto di un detenuto perché riteniamo che la sua carcerazione preventiva sia un abuso. Da parte nostra, nessuna valutazione sulla sua innocenza o colpevolezza che spetterà ai giudici stabilire in via definitiva.

    ps2 finalmente, il 3 dicembre sono stati concessi i domiciliari a Daccò

     

  • Assolto Mannino, requiem per la trattativa stato – mafia

    C’è un giudice a Palermo provincia di Berlino? Sembra proprio di sì. L’ex ministro Calogero Mannino è stato assolto al termine di un processo con rito abbreviato dall’accusa di minaccia a organismo politico amministrativo o giudiziario dello stato, il reato con il quale il dottor Antonio Ingroia, “il Tonino del terzo millennio” aveva inteso fotografare la presunta trattativa Stato-mafia. La vicenda è al centro di un altro processo con rito ordinario che dura da oltre due anni con diversi imputati (Riina, Dell’Utri, Mori, Obinnu) costato fin qui un sacco di soldi e che sembra destinato a fare la stessa fine del rito abbrevviato con Mannino. Ma intanto l’iter prosegue. (altro…)

  • Bruti: “non coordino più indagini Expo”. Indagini?

    Il capo della procura di Milano Edmondo Bruti Liberati con una circolare inviata ai suoi pm e al Csm comunica di aver soppresso la cosiddetta ‘Area omogenea Expo’ e di non essere più il coordinatore degli accertamenti connessi all’esposizione incarico che si era autoassegnato nel pieno dello scontro con l’allora aggiunto Alfredo Robledo. Bruti scrive anche di “obiettivi raggiunti”, ricordando che i filoni più rilevanti si sono conclusi con rito immediato e patteggiamenti. D’ora in poi qualsiasi pm dice il capo della procura, che tra due settimane andrà in pensione, coordinerà il pezzo di inchiesta coassegnato.

    Insomma con la chiusura formale di Expo Bruti Liberati tira le sue conclusioni. Bilancio molto positivo, a sentire il procuratore. Ma bisogna capire bene di che cosa si sta parlando. Molti mesi prima dell’inaugurazione formale dell’esposizione in realtà gli accertamenti si erano fermati “per non disturbare il manovratore”. Bocce tirate insieme alla convalida dei patteggiamenti di Primo Greganti e Gianstefano Frigerio, personaggi già rottamati vent’anni fa. In agosto Bruti si era preso pure un bel grazie dal capo del governo Matteo Renzi “per la sensibilità istituzionale”. Renzi indicava il comportamento di Bruti tra le ragioni del “successo” di Expo.

    In verità la procura ha scelto di fare parte del cosiddetto “sistema paese” che a Parigi aveva fatto blocco per sgominare le terribili armate di Smirne. La scelta è sta quella di non approfondire, come dicono a Napoli “di non sfottere la mazzarella a San Giuseppe”. Una vera e propria moratoria sulle indagini, con tanti saluti a quell’obbligatorietà dell’azione penale che l’Anm è pronta a sbandierare in ogni convegno e comunicato stampa.

    Da coordinare non c’è un bel niente e la circolare mandata in giro oggi dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che l’istituzione dell’area omogenea con Bruti coordinatore unico era solo un passaggio strumentale nella guerra interna alla procura. Adesso che Expo ha chiuso i battenti e che Robledo nel frattempo è a Torino a fare il giudice, si ritorna alla “normalità”.

    Il succo è che la magistratura spesso fa valutazioni politiche, iniziativa che non competerebbe a meri vincitori di concorso i quali in pratica non rispondono a nessuno perché chi dovrebbe controllare fa finta di nulla. A Bruti le valutazioni politiche furono rimproverate dai pm di Brescia nell’assolverlo dal reato di abuso d’ufficio, ma sono parole rimaste senza conseguenza. Del resto va ricordato poi che nella vicenda recitò un ruolo importante l’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano precisando che i poteri dei capi degli uffici sono praticamente senza limiti. E Napolitano era pure il capo del Csm. Non risulta che il suo successore abbia cercato di capirci qualcosa.

    Il risultato è che il direttore generale di Expo, Peppino Sala, ha buone probabilità di fare il sindaco, come candidato del centrosinistra non osteggiato dal centrodestra considerando che fu a Palazzo Marino con Letizia Moratti. Insomma è il candidato del partito della nazione… e della procura di Milano. Politici e magistrati quando si mettono d’accordo riescono a fare più danni di quando litigano (frank cimini e manuela d’alessandro)

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  • Il giudice Saguto chiede di venire a Milano dove voleva piazzare il figlio chef

    A Milano, coi favori dell’amico avvocato, sognava di trovare un posto al sole per il figliolo chef. E nella “capitale morale”, mentre attorno a lei divampava l’inchiesta di Caltanissetta e decideva di lasciare l’amara Palermo, piantava la bandierina dei suoi desideri. Tra la fine di settembre e i primi di ottobre, il magistrato antimafia Silvana Saguto ha compilato due domande per diventare presidente di sezione o magistrato della corte d’appello a Milano mostrando una salda sicurezza nella sua innocenza.

    Il curriculum brillerebbe se non fosse che, nelle prossime ore, il Csm potrebbe sospendere dalle funzioni e dallo stipendio l’ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Induzione, corruzione e abuso d’ufficio: la Procura di Caltanissetta le contesta di avere affidato all’avvocato Cappella Seminara gli incarichi più redditizzi in cambio di favori, oltre che di aver fatto per tre anni la spesa in un supermercato sequestrato, pagando di tanto in tanto, e avere usato la scorta per comprare frutta, verdura e filo interdentale. In un’intercettazione agli atti, Saguto chiede all’avvocato Seminara, amministratore dei più grossi patrimoni mafiosi a Palermo, di cercare un ristorante milanese dove far lavorare il figlio cuoco.

    “A Palermo non ci torno più – aveva dichiarato il magistrato dopo che il Csm ha accolto la sua richiesta di trasferimento –  Non ci lavorerò mai più, né mai più mi occuperò di misure di prevenzione… Forse abbiamo dato troppo fastidio e hanno voluto fermarci. Non so quanto i colleghi di Caltanissetta e i finanzieri se ne siano resi conto”.(manuela d’alessandro)

  • Dossier illeciti Telecom, dopo 3 anni non ancora fissato l’appello

    Dal 13 febbraio del 2013, data della sentenza di primo grado, sono passati quasi 3 anni e il processo d’appello non è stato ancora fissato. Ci furono 7 condanne (tra cui 7 anni e mezzo all’ex appartenente al Sisde Marco Bernardini e 5 anni e mezzo all’investigatore privato Emanuele Cipriani). La vicenda è quella di una struttura interna a Telecom che confezionava dossier illegali su diversi personaggi. A capo c’era Giuliano Tavaroli, responsabile della security dell’azienda. Una storia di cui giornali e tg parlarono a lungo e che sembrò molto più grossa di quella che si è rivelata con il passare del tempo. Il patteggiamento di Giuliano Tavaroli, l’indagato più importante, scatenò aspre polemiche.

    Una parte dei fatti furono dichiarati prescritti dalla corte d’assise. Del processo d’appello si sono perse le tracce, non si sa quando sarà celebrato. Troppo spesso magistrati, Anm e i media che fanno da megafono all’accusa addebitano agli avvocati difensori la responsabilità dei tanti processi che finiscono in prescrizione. Almeno in questo caso specifico nessuno lamenta l’omissione della corte d’appello di Milano che non molto tempo fa aveva vantato di aver smaltito gran parte dell’arretrato beneficiando di titoli di giornale della solita stampa amica. Adesso tutti sembrano fare finta di niente, a cominciare da chi dovrebbe controllare l’operato dei giudici. C’è un ministro che ha poteri ispettivi e sta zitto, c’è un Csm che dorme quando gli conviene.  (frank cimini)

  • Touil è libero, il giudice dice ‘no’ al Cie e all’espulsione

    Non piange e non ride. Quello che è successo lo sfiora come un’eco lontana da un altro pianeta. “Non capisce, ha lo sguardo fisso nel vuoto”, spiegano i suo avvocati. Ma oggi  Abdelmajid Touil è un uomo libero, oltre che innocente rispetto all’accusa di avere partecipato alla strage del Museo del Bardo, 24 morti, tra cui 4 italiani.   Il rischio dell’ espulsione è ancora vivo, bisognerà però  scavalcare la decisione del giudice di pace di Torino che non ha convalidato il suo trattenimento nel Cie in quanto tappa di passaggio verso il Marocco dove rischierebbe la vita. In un provvedimento di tre righe, il giudice, valutata la “particolarità della situazione”, accoglie la richiesta della difesa di farlo uscire dal centro. A fianco degli avvocati Guido Savio e Silvia Fiorentino, è emersa una presenza decisiva, quella del procuratore Armando Spataro  il quale, “in adesione ai principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”, ha espresso parere contrario alla permanenza del ragazzo nel Cie.

    “Siamo felicissimi, è stata evitata l’ennesima figuraccia dell’Italia in tema di diritti umani”, esultano i legali. Cosa acccadrà ora? Ci sono tre strade per evitare che l’espulsione si concretizzi. Una, improbabile, è che la Questura di Milano revochi il ‘foglio di via’ verso il Marocco. Poi ci sono due carte in mano agli avvocati: il ricorso al giudice di pace di Milano contro il provvedimento di espulsione e la richiesta alla commissione territoriale competente dello status di rifugiato. Touil non lo sa ma dalla sua libertà passa un pezzo della nostra democrazia. (manuela d’alessandro)

    Il provvedimento del giudice di Torino

  • La disperazione di Touil verso l’espulsione: “è perso, non riconosce la madre”

    Abdelmajiid Touil, ristretto nel Cie di Torino dopo il no all’estradizione della corte d’appello di Milano, non riconosce la voce della mamma al telefono, né l’avvocato Silvia Fiorentino e ha lo sguardo perso nel vuoto. Lo denunciano in una nota i suoi avvocati secondo cui il giovane “mostra di non comprendere la situazione in cui si trova”.

    Touil in pratica ha fatto 5 mesi di carcere gratis, prima di uscirne sia per il no all’estradizione sia per la decisione della procura di Milano di chiedere l’archiviazione in relazione alla strage del museo del Bardo a Tunisi alla quale è risultato del tutto estraneo in verità sin dal primo momento. La Tunisia indizi veri sul conto del giovane non li ha mai prodotti, ma questo non ha impedito il protrarsi della carcerazione in regime di alta sorveglianza a Opera.

    Touil non riesce a esprimersi nemmeno in arabo nonostante la presenza di due interpreti, affermano Silvia Fiorentino e l’altro legale Guido Savio che ricordano la presenza all’incontro con il loro assistite del garante dei detenuti in Piemonte Bruno Mellano e dell’assessore regionale all’immigrazione Monica Cerutti.

    Per Touil è stato avviato l’iter per l’espulsione verso il paese di origine, domani si svolgerà l’idienza per la convalida davanti al giudice di pace di Torino. Il Marocco potrebbe estradarlo in Tunisia, dove è prevista la pena di morte. Sarebbe così vanificata la decisione della corte d’appello. Sono in gioco diritti formali e sostanziali, a cominciare dal diritto alla vita. Touil ha in Italia familiari con il permesso di soggiorno e stava seguendo un corso per imparare la lingua, il 20 maggio al momento dell’arresto. Le autorità italiane rischiano un provvedimento di censura a livello internazionale, come era già accaduto nel caso Shalabayeva, dove c’erano state aspre polemiche per il comportamento del ministro Alfano lo stesso che si appresta a espellere Touil e che al momento dell’arresto del marocchino aveva presieduto una pomposa quanto inutile conferenza stampa in cui presentava come prove regine i deliri degli inquirenti tunisini. L’unico rimedio a questo punto sarebbero le scuse e un permesso di soggiorno. Il minimo nell’ex culla del diritto (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • In arrivo il nuovo ‘super registro dei reati’ a Milano, rischio paralisi

    Fate in fretta se avete nel cassetto una denuncia contro ignoti da presentare alla Procura di Milano (ogni giorno ne arrivano un migliaio). Se lo farete adesso è molto probabile che prima di un anno quel foglio non si muova dalla scrivania su cui è stato posato. Ma se la presenterete dopo il 10 novembre passerà molto più di anno perché quella denuncia cominci la sua ‘strada giudiziaria’ verso un processo o un’archiviazione.

    Miracoli al contrario della rivoluzione informatica che sta per travolgere la giustizia milanese: tra 2 settimane spira il buon vecchio Re.ge., il registro informatico delle notizie di reato, quello su cui ogni avvocato, sospettato o cronista vorrebbe allungare le mani, lo ‘scrigno’ dei segreti del Palazzo. Al suo posto ecco il Sicp (Sistema Informativo Cognizione Penale), che minaccia di ibernare le attività della  giustizia milanese. Di per sé, l’innovazione è promettente. Il nuovo ‘registro’ sarà molto più ricco di contenuti: non solo notizie di reato, ma anche quelle sulle misure cautelari e su tutti i passaggi clou dei procedimenti penali. Inoltre, mentre il Re.ge è consultabile solo dai pm, il Sicp sarà a disposizione  di tutti gli altri uffici, dal Tribunale alla Corte d’Appello alla Procura Generale.

    E allora, perché la sua introduzione è accolta con sgomento dagli addetti ai lavori? Intanto, perché l’informatica senza l’uomo è perduta. A Milano, non a caso l’ultima città assieme a Roma in Italia ad affidarsi al nuovo sistema, per ogni ufficio di pubblico ministero ci sono 0, 80 dipendenti. Calcolando che tutto il carico del ‘sistemone’ graverà sulla Procura, da cui poi partirà il flusso delle informazioni per gli altri uffici, è intuibile il disagio. Aggiungiamoci che per aprire una nuova maschera bisogna aver compilato quelle precedenti altrimenti non si va avanti, con un notevole dispendio di tempo. A dirlo è anche il Csm in una delibera del 17 ottobre nella quale candidamente ammette: “ormai è chiaro che alcuni sistemi informatici, come il Sicp, rallentano e non velocizzano le attività ed assicurano un ritorno su altre dimensioni come quello della qualità”. Nella relazione inaugurale dell’anno giudiziario 2015 a Torino, si legge che il Sicp “è lento e farraginoso perché lo scaricamento di qualsiasi evento richiede molti più passaggi di prima e il personale non è stato formato”. Simili problemi sono emersi in molti altri distretti italiani e ora vanno immaginati in una realtà sofisticata come quella milanese, dove il problema più grave sono  i ritardi nelle iscrizioni delle denunce contro ignoti.

    Il Sicp, infine, fa molto affidamento, nelle intenzioni, sulla consolle del magistrato, una sorta di ‘scrivania informatica’ che dovrebbe essere messa a disposizione delle toghe. Peccato che a Milano le consolle, in teoria finanziate coi famosi fondi Expo per la giustizia, non siano ancora a disposizione delle toghe. (manuela d’alessandro)

     

  • Cantone: “Milano capitale morale”. E un grazie alla moratoria no?

    Il ritorno di Milano a “capitale morale”. Lo certifica Raffaele Cantone, il numero uno dell’autorithy anticorruzione in una delle tante esternazioni che caratterizzano il suo attuale incarico e che con ogni probabilità si riveleranno utili per il prossimo, quando l’ex pm anticamorra deciderà cosa fare da grande.

    Invece, “Roma non ha gli anticorpi” in vista del Giubileo, aggiunge Cantone. E gli anticorpi di Milano? Ne vogliamo parlare? Era stato meno vago Matteo Renzi ad agosto scorso quando nel decantare il successo di Expo aveva detto un bel grazie a Bruti Liberati “per la sensibilità istituzionale”. Era riferito chiaramente alla moratoria sulle indagini decisa dalla procura ben prima che Expo venisse ufficialmente inaugurata.

    Insomma, un bel regalo per non rovinare l’evento che il sistema paese aveva conquistato sbaragliando in quel di Parigi la terribile armata di Smirne. Con il 70 per cento dei lavori di Expo affidati con trattativa privata “perché siamo in grave ritardo”, senza gare pubbliche, il gioco di sponda degli inquirenti era indispensabile.

    Del resto per gli stessi fondi Expo destinati alla giustizia i vertici del Tribunale non avevano fatto ricorso a gare pubbliche. Inutile a questo punto chiedersi chi controlla i controllori. Per molto meno si fanno indagini sui comuni mortali che spesso “per scambi di potere”, senza nemmeno un passaggio di quattrini, finiscono in carcere, perché i signori che vigilano sulla legalità (ma solo su quella degli altri) sono inflessibili. Come si suol dire “non guardano in faccia a nessuno”. (altro…)

  • Ilva, tutti assolti dalla frode per la riforma sull’elusione del Governo Renzi

    Primi, debordanti effetti della riforma fiscale entrata in vigore a ottobre. A scartare il ‘pacchetto regalo’ offerto dal Governo sono tre imputati del processo per una presunta maxi frode fiscale messa a segno dal gruppo Riva creando elementi fittizi passivi nei bilanci dell’Ilva.

    Il Tribunale di Milano li ha assolti ‘perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato’  alla luce delle modifiche apportate agli articoli 1, 3 e 4 della legge 74/2000. I tre, due ex manager del gigante siderurgico e un dirigente di Deutsche Bank,  erano accusati di avere ideato  una complessa triangolazione di prodotti strutturati e investimenti finanziari tra Italia, Germania e Madeira che  ha consentito al Gruppo di spostare oltre i confini nazionali 159 mln ed evadere imposte per 52 mln. I giudici della prima sezione hanno accolto la richiesta del pm Stefano Civardi il quale non ha potuto fra altro che chiedere l’assoluzione perché l’elusione fiscale (tecnicamente chiamata “abuso di diritto”) non e’ piu’ perseguibile penalmente ma puo’ essere solo sanzionata sotto il profilo amministrativo. Il vantaggio è, ovviamente, tutto per le grandi aziende che riescono a schivare sapientemente le norme fiscali: non a caso,  l’elusione viene definita ‘l’evasione dei ricchi’. Tra le altre cose, la legge depenalizza tutte le operazioni di interposizione, simulazione e frodi, escamotoge sofisticati per  ingannare il fisco, come quello al centro di questo processo concluso con tre assoluzioni. (manuela d’alessandro)

     

     

  • In carcere da innocente,Touil vittima dell’antiterrorismo internazionale

    E adesso chiediamo scusa a un ragazzo di 22 anni che per 5 mesi e mezzo è stato muto e solo in carcere con l’accusa di essere un terrorista. Ci andava solo la mamma a trovarlo, una volta alla settimana. Anche in cella ha continuato a studiare l’italiano, come faceva a Gaggiano prima che l’arrestassero. Cercava un lavoro e andava a scuola per imparare la lingua del Paese dove era arrivato su un barcone gonfio di disperati.

    La notizia che conta non è che la Corte d’Appello di Milano ha negato l’estradizione verso la Tunisia di Abdelmajid Touil, il ragazzo marocchino arrestato a maggio su richiesta delle autorità nordafricane perché sospettato di avere partecipato all’attentato al Museo del Bardo. Non poteva fare altrimenti: l’Italia non può estradare neppure il peggiore criminale in uno Stato in cui vige la pena di morte (articolo 24 della Costituzione).

    Quello che conta è che gli indizi messi assieme dalla Tunisia erano così labili che oggi la Procura di Milano ha chiesto di archiviare le accuse di terrorismo internazionale e strage nell’indagine ‘italiana’  a suo carico.

    Dicevano da Tunisi: una persona l’ha identificato in una fotografia come uno degli autori del massacro. Fin da subito, era stato chiaro che Touil nei giorni della strage si trovava a Gaggiano, proprio alla scuola d’italiano. Sul suo comodino la Digos non aveva trovato neanche un Corano.

    E ancora, dicevano: da una scheda sim da lui acquistata sono partite telefonate con alcuni esponenti del clan terrorista accusato della strage. Invece, è bastato ricostruire i ‘movimenti’ della scheda, la tempistica delle chiamate e la data del suo viaggio in Italia per accertare che gli interlocutori venivano chiamati da Touil non nella loro veste di estremisti ma in quella di scafisti.

    Cinque mesi e mezzo. Bravi i magistrati Maurizio Romanelli ed Enrico Pavone che hanno sventato un’ingiustizia. Resta la domanda: si poteva arrivarci prima che un ragazzo  appassisse solo e muto in una galera per cinque mesi e mezzo? (manuela d’alessandro)

  • Le nozze gay annullate dal giudice che tifa “sentinelle in piedi” su twitter

     

    Il giudice estensore della sentenza del consiglio di stato che ha annullato la trascrizione delle nozze gay a Roma, dopo essere state celebrate all’estero, si chiama Carlo Deodato e su twitter aveva rilanciato articoli a favore delle iniziative di “sentinelle in piedi”.

    “La nuova resistenza si chiama difesa della famiglia” è il titolo dell’articolo ritwittato. Poi aveva rilanciato un tweet: “Questa è sì la volta buona per mandare a casa Renzi e per altro governo che non sfasci il paese con riforme dannose”. Il tweet era stato indirizzato a Enrico Letta, l’ex premier, da “Cristina judex”.

    Con tale attività di propaganda in corso il giudice Carlo Deodato avrebbe dovuto astenersi. Invece non lo ha fatto ed è addirittura estensore del verdetto che ha annullato la trascrizione delle nozze gay. Twitter è un luogo pubblico. Il giudice avrebbe dovuto comprendere di essere portatore di un conflitto di interessi spaventoso. Le sue idee sul matrimonio gay, come su qualsiasi altro argomento sono ovviamente legittime, ma nel momento in cui le esterna in modo così clamoroso, il giudice perde quelle caratteristiche di imparzialità, terzietà e indipendenza che sono indispensabili per chi è chiamato come professione a emettere sentenze in nome del popolo e della repubblica italiana.

    Questa vicenda, come altre, dovrebbe far riflettere l’Anm e il Csm che non perdono occasione in convegni, congressi e comunicati stampa per gridare che i magistrati sono indipendenti e autonomi. Se non possono astenersi dai processi, che almeno si astengano da twitter. (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • Agente provocatore e pentiti, le idee dell’ex pm di Mani pulite

    Ci vuole un agente provocatore che vada in giro a offrire soldi a un pubblico ufficiale e farlo arrestare se accetta. E impunità totale per il corrotto o corruttore che per primo collabora con l’accusa. Sono le idee dell’ex pm di Mani pulite ora giudice in Cassazione Piercamillo Davigo, espresse in occasione del congresso nazionale della casta togata, l’Anm, a Bari.  E’ grave che un giudice che dovrebbe essere terzo ( ma non in graduatoria) faccia proposte del genere. Le sue parole sono l’ennesima dimostrazione della necessità di separare le carriere, un progetto destinato a restare inattuato in un paese in cui i pm spadroneggiano al Csm e tengono per le palle un’intera classe politica che da parte sua fa di tutto per essere sempre più impresentabile.

    Con agenti provocatori e pentiti, chi indaga avrebbe la possibilità di lavorare ancora meno rispetto ad oggi. Ovviamente contano zero i danni irreparabili che la legislazione premiale ha fatto allo stato di diritto, varata da un parlamento che delegò interamente ai magistrati la risoluzione della questione relativa alla sovversione interna degli anni ’70 e ’80. Ai magistrati va bene, anzi di lusso, così, considerando che quello fu l’inizio della fine perché accadde che proprio in virtù del credito acquisito poi nel 1992 le toghe andarono all’incasso e dissero: “Adesso comandiamo noi”.

    Con la proposta di impunità totale i magistrati ci provarono già nel 1994, nel pieno della falsa rivoluzione, ma non ce la fecero. Ora ci riprovano perché lor signori in toga non demordono. L’obiettivo è di accrescere ulteriormente il potere che hanno, allargando la repubblica penale a dismisura. Insomma Mani pulite, quasi un quarto di secolo dopo, continua a fare danni.

    “Ci vogliono delegittimare” ha gridato anche lui da Bari il numero uno dell’Anm, Sabelli, che evidentemente non ha la bontà di leggersi gli atti della guerra interna alla procura di Milano, perché scoprirebbe che i magistrati si delegittimano da soli perché emerge chiaro che fanno valutazioni politiche. E’ il “rimprovero” che i pm di Brescia hanno messo nero su bianco a proposito di Bruti Liberati, pur assolvendolo dall’accusa di abuso d’ufficio. Ma non è successo nulla. L’omertoso Csm ha taciuto, così l’Anm. Siamo nel paese in cui il capo del governo, parlando del “successo” di Expo ha ringraziato la procura milanese “per la sensibilità istituzionale”. Cioè per la moratoria delle indagini sull’evento, assurto a patria da salvare. Ma di abolire l’ipocrisia dell’obbligatorietà dell’azione penale non si può parlare.  Chi controlla i controllori? Nessuno. (frank cimini)

  • Le sei Maserati di Stato su cui nessuno del Tribunale vuole salire

    Una volta (non tanto tempo fa!) i politici avrebbero probabilmente fatto a gara per farsele assegnare. Ma oggi, in tempi in cui l’antipatia e perfino l’odio verso la Casta si sono fatti palpabili, l’idea di farsi vedere in giro a bordo di una Maserati di Stato viene schivata come la peste. Deputati, senatori, magistrati, giornalisti di grido, insomma tutta la categoria dei ‘soggetti a rischio’ a cui è stata assegnata una scorta, preferiscono veicoli più sommessi. Così le sei Maserati assegnate ai carabinieri che effettuano il servizio giacciono spesso inutilizzate nel cortile del palazzo di giustizia.
    A chi sia venuta la bizzarra idea di comprare delle supercar da adibire ad autoblu, è un mistero che si perde nei meandri dell’alta burocrazia statale. La leggenda vuole che ognuna, compresa di blindatura, sia costata più di centomila euro. Gli enormi costi di gestione hanno fatto sì che venissero inserite nel parco macchine che il governo ha deciso di privatizzare, cioè di vendere all’asta, ma ovviamente sono rimaste invendute. Così da Roma sono approdate a Milano. E lì si sono fermate.
    Basta fare un giro nel cortile che le ospita per vedere come le Maserati spicchino nel panorama non confortante dei veicoli di Stato. L’aspetto più desolante lo hanno alcuni Ducato con le insegne di polizia e carabinieri, veicoli che dimostrano quindici o vent’anni di vita e sulla cui efficienza si potrebbe nutrire qualche dubbio. Poi molte Alfa, una quantità di Punto, alcune Lancia: tutte mediamente polverose e segnate dal tempo. Sotto una tettoia c’è un Audi, si dice sia stata sequestrata anni fa, doveva essere riconvertita ad uso dello Stato, come prevede la legge, ma evidentemente se ne sono dimenticati perché è coperta da una specie di sabbia. E poi loro, le Maserati ritargate con targa civile, troppo belle per essere usate. (orsola golgi)

  • Vittime dei reati informatici, niente paura. Per voi apre uno sportello gratis nel palazzo

    Vittime dei reati informatici, questo spazio è per voi. Voi che vi ritenete diffamati su Facebook, truffati compiendo un acquisto online con la carta di credito, derubati della vostra identità. Ogni 15 giorni a partire da oggi, nella saletta dell’ordine degli avvocati di Milano, al primo piano del palazzo di giustizia avete a vostra disposizione dei legali esperti in diritto informatico che vi garantiscono un servizio di orientamento. “E’ uno sportello nato dalla considerazione che chi subisce un reato informatico è spesso una vittima più fragile di altri – spiega una delle promotrici dell’iniziativa, l’avvocato Silvia Belloni – non conosce bene la materia e non sa come muoversi. I legali  offrono un aiuto per capire come muoversi, non un servizio di assistenza. Ma se poi la vittima volesse presentare una denuncia le verranno garantite dall’Ordine tariffe calmierate per portare avanti la causa”. Tutte le toghe dietro allo sportello, assicura Belloni, “prestano la loro attività in modo gratuito adempiendo alla funzione sociale che l’avvocato deve esercitare” e sono state formate attraverso corsi organizzati dalla Procura, in particolare dal pm Francesco Cajani, in collaborazione con l’Ordine. Lo sportello è aperto di martedì dalle 14 e 30 alle 16 e 30. (m. d’a.)

  • Mantovani, sui 13 mesi di ritardo nell’arresto il gip si autoassolve

    Con un’ordinanza di cinque pagine il gip Stefania Pepe decide di far restare in carcere l’ex assessore alla salute ed ex vicepresidente della Lombardia Mario Mantovani, ma non dedica nemmeno mezza riga a quella che era stata l’obiezione più forte della difesa: richiesta di arresto datata settembre 2014 accolta a ottobre 2015 dal giudice delle indagini preliminari.

    Mantovani è accusato tra l’altro di concussione e corruzione aggravata. Il contesto, al di là ogni considerazione, non è bello (eufemismo) per l’indagato che allo stesso tempo era assessore alla salute e imprenditore nel settore delle cliniche per anziani. Ma qui non si discute del merito. E’ un problema di esigenze cautelari e soprattutto della loro attualità. Tutti comprendono che c’è differenza tra il settembre del 2014 quando l’allora procuratore aggiunto Alfredo Robledo inoltrò la richiesta al settimo piano e l’ottobre 2015 quando la misura è stata eseguita.

    Se allora si poteva senz’altro parlare di attualità, adesso è molto più difficile. E va ricordato che in un’altra inchiesta, un altro gip ha disposto arresti per tangenti poche settimane fa decidendo su una richiesta dei pm datata addirittura 2013. C’è qualcosa che non funziona come dovrebbe, ma a quanto pare tutti quelli che dovrebbero intervenire quantomeno per capire cosa accade fanno finta di niente, dal Csm al ministro con poteri ispettivi.

    Impossibile sapere perchél gip abbia scelto di non fornire spiegazioni all’obiezione della difesa sul punto. Magari il giudice si sarà sentito leggermente imbarazzato dal momento che non poteva che essere consapevole dell’anomalia: un anno e un mese per decidere sugli arresti di Mantovani e dei suoi coindagati. Il silenzio sul punto non risolve di certo, anzi finisce per aggravare la situazione. Insomma, dopo il conflitto di interessi di Mantovani c’è pure il conflitto di interessi del gip che si autoassolve. Per l’amministrazione della giustizia non è una vicenda di cui andare fieri (eufemismo 2). (frank cimini)

  • Notav, assolto Erri De Luca, teorema Caselli di nuovo ko

    “Il fatto non sussiste” dice il giudice a Torino assolvendo Erri De Luca dall’accusa di istitazione a delinquere per l’intervista in cui aveva detto: “Il Tav fa sabotato”. Parola che lo scrittore ribadiva in aula stamattina in sede di dichiarazioni spontanee prima che il giudice si ritirasse in camera di consiglio: “Sabotare è una parola nobile, la usavano anche Mandela e Gandhi, il Tav va sabotato per legittima difesa della salute, dell’aria, dell’acqua di una comunità minacciata”.

    I pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino avevano chiesto la condanna a 8 mesi di reclusione. Si tratta degli stessi magistrati che contestano la finalità di terrorismo ai militanti NoTav protagonisti dell’azione al cantiere di Chiomonte e che sono già stati smentiti dalla corte d’assise e per ben due volte dalla Cassazione. Rinaudo è considerato vicino ai “Fratelli d’Italia”, Padalino è un ex militante della federazione giovanile del Pci. Insomma l’arco costituzionale della repressione è ben rappresentato per intero soprattutto se si specifica che i due pm si muovono nell’ambito del teorema Caselli, anche dopo l’andata in pensione del capo della procura.

    E il processo istruito contro Erri De Luca è figlio della stessa elucubrazione. Chi tocca il Tav non deve avere spazio, deve essere messso in condizione di non nuocere, anche agitando fantasmi del passato. Del resto in aula i legali della Ltf, la società legata alla Torino-Lione, avevano richiamato il passato politico di Erri De Luca che fu responsabile del servizio d’ordine di Lotta Continua. Caselli poco prima di andare in pensione si era dimesso da “Magistratura Democratica” a causa di un articolo che la stessa Md aveva chiesto allo scrittore per l’agenda 2014. Caselli s’era arrabbiato per le parole di De Luca sull’emergenza degli anni ’70 e sui “Tribunali speciali”. Md choccata dall’addio di Caselli annullerà poi tutte le iniziative di presentazione dell’agenda che non si sa che fine abbia fatto. Probabile destinazione, un rogo.

    La sentenza di oggi, almeno a livello della libertà di espressione, mette un punto fermo. Anche se i pm non si arrenderanno e andranno in appello. Come sono andati in appello contro i militanti Notav assolti dall’accusa di terrorismo, vicenda che ha visto in aula il procuratore generale Marcello Maddalena in persona alla prima udienza, sulla base di un ricorso dai toni rancorosi nei confronti della corte d’assise. Caselli era stato pg prima di Maddalena e prima ancora procuratore capo per poi tornare nello stesso incarico. Considerando che la procura generale è l’ufficio che sorveglia istituzionalmente la procura, c’è un conflitto di interessi spaventoso davanti al quale il Csm aveva chiuso entrambi gli occhi. Una sorta di ragion di Stato occulta. Come quella che c’è dietro lo schieramento favorevole all’alta velocità: dalle principali forze politiche, alle imprese, alle banche che controllano direttamente o indirettamente i giornali.

    Intanto gli appalti del Tav sembfrano gli unici onesti e trasparenti in un paese che brulica di inchieste sulla corruzione. Chi dovrebbe indagare non vuole rompere il giocattolo per carità di patria. E’ un po’ come la moratoria delle indagini su Expo in procura a Milano per non distrurbare il manovratore, l’evento in corso. Con tanti saluti all’esercizio obbligatorio dell’azione penale, buono da sventolare nei convegni e nei comunicati stampa, al fine di prendere per i fondelli un intero paese (frank cimini)

  • Fondi Expo, per il Tar più di 6 mln sono stati assegnati in modo “illegittimo” al Tribunale

    Quella che potete leggere qui  è la sentenza  con la quale il Tar della Lombardia ha dichiarato illegittimi  e annullato appalti per 6,4 milioni di euro destinati alla giustizia milanese in nome di Expo. Il Tribunale di Milano ha siglato una convenzione scorretta con la Camera di Commercio per informatizzare gli uffici giudiziari in occasione dell’Esposizione Universale. In buona o mala fede? A stabilirlo dovrebbe essere un’inchiesta penale o quantomeno ci si attenderebbe un’ispezione ministeriale per capire la natura del gigantesco abbaglio.  Dal 2010 a oggi milioni di euro sono stati spesi con appalti senza gara  o con gare dichiarate illegittime, come Giustiziami e poi Il Fatto Quotidiano avevano anticipato nei mesi scorsi. Di una parte di questi appalti si occupa il Tar in una sentenza che meriterebbe le prime pagine dei giornali se questi non fossero finanziati da Expo.

    Nel 2014 il Tribunale, allora presieduto da Livia Pomodoro, e la Camera di Commercio firmano una convenzione in base alla quale la seconda s’impegna a realizzare alcuni lavori pagati col ‘tesoro’ di Expo: la manutenzione e gestione del sito del Tribunale di Milano, la gestione della pubblicità legale delle aste giudiziarie su siti e quotidiani; il servizio informativosu fallimenti e concordati e il supporto al processo civile telematico. Tutto procede, finché una società, la Aste On Line snc, fa ricorso al Tar lamentando una lesione della concorrenza.

    Il Tar  le da’ piena ragione affermando che “la convenzione determina un’illegittima restrizione della concorrenza attualmente esistente nel settore, tendendo all’individuazione di un operatore particolare a cui demandare l’effettuazione della pubblicità in via preferenziale”. Crollata la convenzione, sono nulle tutte le gare sue ‘figlie’ che ora vanno rifatte.

    (manuela d’alessandro)

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  • Dirsi addio nella “stanza al buio” del nuovo palazzo della giustizia milanese

    Una stanza può contenere il cielo quando c’è l’amore. Ma se il sentimento se ne va, in quella stanza crolla il buio.

    Piccole verità del cuore nella nuova palazzina milanese della giustizia, dove da adesso dovranno passare tutti i milanesi che si amarono e poi un giorno strapparono gli anelli.

    Per aiutare moltitudini di ex sposi radiosi a elaborare la fine, gli si è messa a disposizione una vasta stanza al buio nella quale iscrivere a ruolo le cause di separazione e divorzio. Quel passaggio brutale imposto dalla legge prima di far calare il sipario. “L’impianto di illuminazione non è mai stato attivato”, leggiamo sul cartello appeso all’ingresso della stanza degli addii. Non sia mai che a qualcuno  venga da rimpiangere la luce dell’amore. Nel caso, c’è un indirizzo a cui sporgere reclamo. (manuela d’alessandro)

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  • L’arresto di Mantovani chiesto oltre un anno fa da Robledo

    L’arresto di Mario Mantovani vicepresidente della Regione Lombardia ed ex assessore alla sanità era stato chiesto poco più di un anno fa dall’allora procuratore aggiunto Alfredo Robledo, capo del dipartimento anticorruzione poi trasferito a Torino dal Csm a causa del contenzioso con il capo dell’ufficio Edmondo Bruti Liberati.

    La richiesta di arresto era firmata da Robledo e dal pm Giovanni Polizzi, poi rimasto a coordinare le indagini. I magistrati dell’accusa sollecitarono in via informale una decisione del gip Pepe che tardava ad arrivare facendo riferimento ai gravissimi fatti di concussione e corruzione aggravata contestati. Dopo il trasferimento di Robledo la procura inoltrò al gip anche una integrazione alla richiesta di custodia cautelare in carcere, successivamente accolta dal gip e eseguita oggi. A distanza di un anno e più. Del resto in relazione a un’altra inchiesta, quella sui funzionari del Comune trovati in possesso tra l’altro di lingotti d’oro, la richiesta di arresto era stata inoltrata nel 2013.  Il giudice delle indagini preliminari Ferraro ha dunque impiegato due anni per decidere. Sembra a causa di enormi carichi di lavoro. (frank cimini e manuela d’alessandro)

  • Fondazione Mps non chiede i danni a Mussari – Vigni, li ha già perdonati?

    Certe relazioni non finiscono mai. Neanche di fronte a un tradimento cruento, come quello al cuore e al portafoglio delle decina di migliaia di risparmiatori di una delle banche più antiche del mondo, il Monte dei Paschi di Siena. La Fondazione Mps, che di quella banca deteneva la maggioranza e assicurava una robusta rendita alla città di Siena, ha scelto di non costituirsi parte civile contro Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, rispettivamente ex presidente ed ex direttore generale della banca, nell’udienza preliminare che si è aperta stamattina sulla ristrutturazione del derivato Alexandria, posseduto da Mps attraverso un contratto stipulato con Nomura. Mussari e Vigni sono accusati di falso in bilancio e aggiotaggio.

     «Al momento non possiamo dare spiegazioni», fanno sapere dall’ufficio stampa della Fondazione che invece ha chiesto di costituirsi parte civile (deciderà poi il giudice) contro gli altri imputati, Gian Luca Baldassarri, Sadeq Sayeed, Raffaele Ricci. Imbarazzi, rapporti di riconoscenza?

    Mussari è stato prima presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena (2001-2006) e poi di Monte dei Paschi di Siena (2006 – 2012).  Alexandria, il derivato sintetico di 3 miliardi di euro venne stipulato nel 2009 sotto la gestione Mussari – Vigni ed è stato chiuso in anticipo lo scorso 23 settembre nell’ambito di una transazione tombale.

    Qual è il messaggio di questa scelta al processo? Forse che quel concentrato di poteri senesi – politico, economico, sociale, accademico, religioso, massonico,  insomma tutta la città – che è storicamente la Fondazione Mps ha di fatto perdonato Mussari o, comunque, non ha la forza di prendere le distanze da lui e da quei cinque anni di storia che hanno azzerato un patrimonio secolare? (manuela d’alessandro)

    ps in serata la Fondazione diffonde una nota motivando la scelta col fatto che avrebbe iniziato una causa civile (del tutto in sordina, mai comunicata ai media), nei confronti dei “Signori” (proprio con la ‘s’ maiuscola) Mussari e Vigni a Firenze. Com’è noto, è possibile chiedere i danni sia in sede civile che penale. Sarebbe stato forse troppo?

     

  • L’omicidio del codice di procedura penale che ‘compie’ 25 anni

    Sono passati più di 25 anni dalla introduzione in Italia di quel “nuovo” codice di procedura che nel finale del 1989 avrebbe dovuto, si disse, eliminare il vigente “rito inquisitorio” a favore del più anglosassone “rito accusatorio”. In questi anni la gran parte dei principi cardine che avevano ispirato quella trasformazione procedurale sono morti e sepolti con il risultato che l’odierno processo penale risulta meno garantista, per usare un termine tanto abusato quanto osceno, di quello dei nostri padri, rivelandosi soprattutto per l’imputato innocente una trappola esiziale.

    Si volle separare la prima fase segreta delle indagini, monopolio della accusa, da quella successiva dell’accertamento in contesa paritaria davanti al Giudice “terzo” ed estraneo alla prima fase, ma il dibattimento si è da anni trasformato nel luogo ove l’accusa fa direttamente confluire, e senza passare dal via, gli esiti della prima fase e se dimentica di farlo, provvede direttamente il Giudice “terzo” ricorrendo a quei poteri di integrazione istruttoria che, previsti come straordinari, sono diventati la regola sulla base del principio dell’accertamento della verità.

    Il ricorso alle intercettazioni, previsto come eccezionale ha finito con il costituire l’ossatura portante di gran parte delle indagini a prescindere dalla tipologia di reato perseguita e la prematura, quando smodata, divulgazione sui media sede primaria dei popolari giudizi al punto che si invocano resistenze al bavaglio anche per quelle che di penale rilevanza non avrebbero un bel nulla. Alcuni processi di criminalità organizzata finiscono direttamente in Cassazione con sentenze motivate sul “copia e incolla” dell’originario “file” delle intercettazioni della Polizia giudiziaria che le trascrive per il Pm che sulla base di quelle chiede al GIP la misura cautelare che sulla base di quelle la applica e che diventano in sede di giudizio abbreviato assunto motivazionale di colpevolezza, confermato dalla Corte d Appello ed insindacabile in sede di legittimità.

    Si volle limitare il ricorso alla carcerazione preventiva ma l’applicazione giurisprudenziale fece diventare anche il mero silenzio dell’incolpato duplice segnale di inquinamento probatorio e di pervicacia delinquenziale, sul presupposto che chi non recide il legame con il malaffare rendendosi inaffidabile delatore rimane “intraneo” allo stesso ed introducendo persino quel “giudicato cautelare” dei pure previsti controlli incidentali, che, in assenza di impossibili attivazioni da parte di chi si trova recluso, impedirebbe al Giudice della carcerazione ogni futura rivalutazione fino a scadenza massima.

    Quanto ai tanti riti alternativi al processo oggi abbiamo un giudizio abbreviato che, nato per invogliare l’incolpato con uno sconto di pena ad accettare un esito sulla base delle sole carte del PM, da un lato commina ergastoli in una unica udienza monocratica a porte chiuse con la stessa legittimazione di una Corte d’Assise impegnata in un lungo processo dibattimentale, e dall’altro legittima, come nel caso Garlasco, supplementi istruttori persino alla Corte di Appello bis nei confronti di chi è già stato più volte assolto. Il giudizio immediato, nato per consentire al PM di saltare la udienza filtro in caso di evidenze probatorie raccolte nei primi 3 mesi di indagine, viene oggi utilizzato da un lato per processare l’imputato in manette saltando i previsti termini di fase oppure per processare, caso Ruby, un colpevole così poco “evidente” da risultare poi assolto, mentre il patteggiamento, nato per definire con sanzioni non esecutive una rinuncia al processo, oggi costituisce marchio di accertata colpevolezza ed “allargato” titolo per rapide detenzioni definitive di entità tutt’altro che modesta. La stessa udienza preliminare, nata per essere un giudizio sulla indagine, oltre a rivelarsi del tutto inutile, è oggi la sede dove spesse volte il PM integra le proprie prove oltre la scadenza prorogabile, ragion per cui trova la sua essenza solo come momento primo e finale per definire alternativamente la vicenda. (altro…)

  • No agli animali nel Palazzo, caccia al geco del Procuratore

    Divieto di ingresso agli animali in Tribunale: ma alcune specie continueranno a frequentare inevitabilmente gli austeri corridoi. Piccioni, rondini, topi, pidocchi, il piccolo zoo metropolitano che da sempre vegeta a palazzo di giustizia. A questa fauna nei giorni scorsi si è aggiunto, anche se per poche ore, un geco. Il piccolo rettile è stato introdotto del tutto involontariamente a Palazzo nientemeno che dal procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, che – avvicinandosi il momento dell’addio all’ufficio, fissato per il 16 novembre – ha ordinato di tasca sua tre grandi piante da lasciare nel corrodio davanti alla sua stanza. Ma insieme alle piante dal vivaio è arrivato il minuscolo geco, che è balzato fuori dal vaso e ha iniziato ad aggirarsi sui marmi piacentiniani. E’ partita la caccia al geco, con l’obiettivo di portare in salvo l’animale. La caccia capitanata dal Procuratore ha avuto momenti quasi comici, ma alla fine il geco è stato catturato e chiuso in una bottiglia. Poche ore dopo pare sia stato liberato nel giardino di casa Bruti, confidando che l’inverno milanese non sia troppo inclemente. (orsola golgi)

  • Il memoriale di ‘nonna’ Gucci, case e dolori di un’ereditiera (sobria)

     

    “Quanto ereditato mi ha consentito di vivere sempre senza problemi”. Eccolo il sogno di molti italiani, evocato dalla signora Silvana Barbieri, mamma di Patrizia Gucci, in un memoriale consultato da Giustiziami ed entrato a far parte del processo che vede imputata l’ereditiera assieme alle nipoti Allegra e Alessandra Gucci per evasione fiscale. Il pm Gaetano Ruta ha chiesto per tutte loro l’assoluzione dalle accuse di avere nascosto al fisco 9 milioni (le sorelle) e 88mila euro (la nonna) sostenendo che “all’origine ci sarebbe stata la pianificazione di un’evasione di cui però non è stata raggiunta la prova”.

    Il documento del luglio scorso, lungo 17 pagine, ci consegna scampoli della storia immobiliare, giudiziaria e umana della vedova Reggiani, ora 89enne, e della figlia Patrizia, condannata a 26 anni per essere stata la mandante degli assassini del marito Maurizio Gucci e ora in libertà. Nelle ‘memorie’ scorre un pezzo della saga glamour ‘in nero’ di una delle più importanti dinastie della moda nel mondo. Anche Silvana Barbieri venne processata per l’omicidio dell’erede della maison ma fu scagionata nel 2000 dall’accusa di aver aiutato la figlia a cercare un killer per sbarazzarsi di Maurizio.

    SOBRIETA’ 

     “Dopo la morte di mio marito nel 1973 ereditai un cospicuo patrimonio immobiliare (…) nonostante la mia condizione economica benestante, e la mia ancora giovane età ho sempre avuto uno stile di vita sobrio, sicuramente agiato,ma schivo da ogni ostentazione, o lusso eccessivo. Ero attenta a ogni spesa (…)

    MONTECARLO, MON AMOUR

    “Mi liberai di quegli immobili che avevano un particolare valore affettivo o evocavano brutti ricordi e conservai quelli che erano frutto del lavoro di mio marito ed erano per me la fonte di reddito. La casa di Corso Matteotti era un trilocale con terrazzo più servizi preso in locazione perché non avevo ancora deciso dove stabilirmi definitivamente (…) Conobbi la titolare di un’agenzia immobiliare a Montecarlo, dove mi trasferii, che mi trovò un appartamento non particolarmente grande (100 mq) ma sito in una posizione prestigiosa che affacciava direttamente sul porto. Fu da me arredato finemente ed era un vero e proprio bijoux. Le mie nipoti Alessandra e Allegra venivano spesso lasciate da Maurizio e Patrizia da me quando andavano a fare i loro viaggi in giro per il mondo e la casa divenne piccola. Acquistai un nuovo immobile con una posizione splendida e un bel terrazzo (…) Ospitavo sovente amici, conobbi il Principe, e frequentavo molte persone. La cerchia più stretta di amici comprendeva ad esempio la contessa Offedduzzi, la nota famiglia ebrea degli Alzarachi, la famiglia Aldrovandi, noti produttori di calzature (…)Venivo a Milano per gli affari attinenti ai cespiti immobiliari e per vedere mia figlia quando non era nell’abitazione di St. Moriz o altrove, mentre a Montecarlo si svolgeva la maggior parte della vita sociale, che occupava gran parte del mio tempo, non avendo io esigenza di lavorare ma potendomi gestire il mio patrimonio ereditario”.

    L’OMICIDIO

    “Il 1995 fu l’anno in cui il mio genero Maurizio Gucci venne ucciso (…) pur nella drammaticità del frangente (Patrizia venne arrestata nel 1997) le mie permanenze e abitudini non dovettero modificarsi in modo sostanziale. Pur mantenendo la mia residenza e le mie frequentazioni  a Montecarlo si rese necessaria (e non fu certo una scelta) una mia più intensa presenza a Milano, sia per i colloqui in carcere con mia figlia sia per quelli con gli avvocati (…) Fui invitata dalle mie nipoti a utilizzare la casa di Porta Venezia che divenne il punto di appoggio per tutte noi. Era una prestigiosa abitazione di proprietà della famiglia Marelli che Maurizio Gucci aveva scelto per andarvi ad abitare con la sua nuova compagna e che aveva preso in locazione da una società della famiglia Marelli attraverso una società estera a lui riconducibile. (…) Personalmente ero estranea a tale società estera. Gli onerosi canoni di locazione furono sempre pagati in automatico, in forza del contratto di locazione della società estera, con liquidità derivanti dal patrimonio Gucci. Non contribuivo in alcun modo con le mie sostanze.

    IL MIO PATRIMONIO TUTTO CESPITI

    “Circa il mio patrimonio, confermo che tutte le entrate sono sempre derivate da cespiti ereditati che avevo venduto (es. casa di via dei Giardini, casa al mare) o locato (…) Quello che ho ereditato mi ha sempre consentito di vivere senza problemi. Dalla metà degli anni ’90, Montecarlo per me e St. Moriz per le ragazze erano luoghi più sereni di Milano ove ci attendevano solo problemi. Debbo confessare che quella vicenda ha inciso profondamente nella mia vita e nel mio modo di relazionarmi agli altri. Divenni più schiva e meno propensa alle relazioni sociali, notai un raffreddarsi nei rapporti con molte persone e comunque in generale le mie relazioni sociali si diradarono significativamente anche per una sorta di mio irrazionale pudore, del tutto in giustificato per quel che mi riguarda, potendo dire di aver vissuto a testa alta tutta la mia esistenza, tutt’altro che priva di problemi.

    LA CASA DEI SOGNI VICINO AL PALAZZO DA 6 MLN

    “Fu così che nel 2004 acquistai fu acquistato l’immobile di via Andreani (ndr, a pochi metri dal Palazzo di Giustizia) attraverso l’acquisto dal precedente proprietario (da parte della capogruppo delle mie società, la Mauzia) delle quote della Soire srl, società precedente intestataria dell’immobile. Fu versato dalla Mauzia un acconto di un milione di euro mentre fu acceso un mutuo ipotecario per i rimanenti cinque milioni costituenti il saldo prezzo. (…) Allegra e Alessandra si dichiararono disponibili a prendere in locazione l’immobile per partecipare ai costi di gestione. La locazione si concretizzò attraverso un contratto tra Soire e una società di cui si servivano le ragazze. Venne deciso un canone di 200mila euro a favore di Soire.

    LE SPESE EXTRA CARCERE E LUSSO  DI PATRIZIA 

    “Allegra e Alessandra (che hanno ereditato il patrimonio Gucci e hanno disponibilità ben superiori alle mie) hanno sempre contribuito in modo consistente per Patrizia, sia per quel che riguarda il mantenimento in prigione sia per gli acquisti e le spese (non indifferenti) che la mamma – certo non badando al risparmio – effettuava nel corso delle uscite dal carcere (parrucchiera, estetisti, accessori, sartoria e vestiario di qualità) oltre che per le spese della casa di via Andreani. A tale scopo venivano inviati sul mio conto italiano, a cadenza bimestrale, 25 o 30mila euro funzionali a queste spese. Il denaro proveniva da disponibilità estere delle mie nipoti e tramite in conto svizzero veniva girato sul mio conto dov’è diventato oggetto di contestazione a titolo di reddito non dichiarato. In realtà erano accrediti di Allegra e Alessandra, quale contributo delle spese di cui sopra”.

    Manuela D’Alessandro

     

     

  • Giustizia folle, 300mila euro “per non aver educato il figlio”

    Due genitori milanesi sono stati condannati a risarcire 300 mila euro con sentenza della Cassazione “per non aver educato il figlio” che quando aveva 12 anni urtò con la sua bici quella di una donna finita nel Naviglio e morta dopo un anno e mezzo di agonia.

    “Culpa in educando” è la formula giuridica. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Il ragazzo che ha 26 anni è tuttora in terapia psicologica, i genitori intanto hanno venduto la casa di Milano e vivono in affitto nell’hinterland. Non hanno i soldi per pagare. La mamma ha un lavoro part-time nel settore delle pulizie, il padre è impiegato in una ditta di soccorso stradale. Entrambi chiedono che un giudice rilegga le carte. Il ragazzo, che il giorno della tragedia era affidato all’oratorio, non è mai stato ascoltato nel corso della causa.

    E’ la vicenda di una giustizia che sembra ignorare cosa sia la vita quotidiana, con le toghe che hanno la presunzione di decidere in che modo si educa un bambino di 12 anni. Chi ha un minimo di spirito critico è consapevole che alcuni giudici ne fanno anche di peggio, ma il caso lascia particolarmente sbigottiti. I genitori riferiscono di essersi appellati a varie autorità “ma sono spariti tutti”. Resterebbe solo la corte europea di diritti dell’uomo, organismo che ha diverse volte in passato condannato la nostra giustizia per le ragioni più diverse. L’imputato eccellente per antonomasia, da quando si occupa di lor signori in toga per ragioni molto poco nobili, i fatti suoi e basta, propose che dei giudici fosse verificata la capacità psichica una volta l’anno. A questo punto sarebbe meglio stare sui 6 mesi. Sia per noi sia per loro. (frank cimini)