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  • NoTav, altri 3 arresti ma Spataro rinuncia a teorema Caselli

    Altri 3 militanti Notav finiscono in carcere per l’azione contro il cantiere del maggio 2013 ma l’accusa, a differenza di quanto accade per i 4 sotto processo dal 22 maggio, non fa riferimento all’aver agito con finalità di terrorismo con grave danno all’immagine dell’Italia e della Ue. La richiesta della procura accolta poi dal gip porta la data dell’8 luglio, quando si era già insediato come capo dell’ufficio Armando Spataro in sostituzione di Giancarlo Caselli andato in pensione.

    L’accusa per le persone arrestate oggi parla di porto e detenzione di armi da guerra, danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale. La procura dunque ha scelto di adeguarsi alla decisione della Cassazione che aveva rimandato a una nuova udienza davanti al Riesame di Torino la discussione sulla finalità di terrorismo.  Se ne deduce che l’impostazione di Spataro è più pragmatica, meno “ideologica”. Del resto nel motivare la scelta la Suprema Corte era stata molto chiara: il grave danno va dimostrato nel concreto come pure il rischio che l’opera dell’alta velocità non possa essere portata a termine.

    L’accusa ha scelto di fare un passo indietro, ma intanto ci sono 4 giovani militanti in carcere dal dicembre scorso che per aver danneggiato un compressore rischiano fornalmente fino a 30 anni di prigione, mentre la parte più grave dell’imputazione è stata in pratica cancellata dalla Cassazione.

    Che l’imputazione facesse acqua lo aveva confermato anche la Ue rifiutando di eleggere domicilio in Italia e di costituirsi parte civile. “Alla Ue il processo sembra non interessare granché” aveva sintetizzato il presidente della corte d’Assise. Adesso bisognerà aspettare il nuovo Riesame per vedere se la corte su richiesta delle difese modificherà il capo di imputazione. I 3 arrestati di oggi invece rischiano un processo in Tribunale ma non in corte d’assise. (frank cimini)

  • Gentile redazione,

    qualche tempo fa sono stata coinvolta in qualità di legale in una vicenda processuale che, sotto alcuni profili, me ne ha poiricordato un’altra, ben più nota in quanto giunta all’attenzione della cronaca della stampa non solo nazionale. Il primo processo aveva ad oggetto una rapina in un McDonald’s a carico di Mirco B., il secondo era quello a carico di Silvio Berlusconi per concussione e prostituzione minorile, nell’ambito del cosiddetto “caso Ruby”. Tali vicende, giudicate dal medesimo collegio, quello dell’allora IV sezione penale del Tribunale di Milano, composto dal presidente Turri e dai giudici De Cristofaro e D’Elia, avevano avuto qualche analogo risvolto processuale. Ciò mi ha spinto a raccontare la vicenda a un giornalista mio conoscente che l’ha pubblicata su questo sito. Facendomi “prendere la penna” da un eccesso di vis difensiva, ho pronunciato parole che potevano risultare offensive per il collegio giudicante e offrire un resoconto distorto del processo, delle sue risultanze e del contenuto della sentenza. Tali parole sono state poi riprodotte nel pezzo pubblicato. Ho tenuto a scrivere questa precisazione proprio perché non era mia intenzione offendere alcuno, meno che mai i membri del collegio giudicante di cui nutro sincera stima. Proprio per questo se i magistrati in questione hanno ritenuto lesa la loro reputazione dalle mie parole non ho difficoltà a rammaricarmene e a scusarmi. Con i migliori saluti, 

    avvocato Simona Giannetti

  • 7 anni fa se ne andava Corso Bovio.
    Quanto ci manca.

    Sette anni fa la notizia assurda: è morto l’avvocato Corso Bovio.

    Ero un improbabile “pischello” alle primissime armi quando sentii arringare per la prima volta l’avvocato Corso Bovio al “processo dei casinò” dove difendeva il noto Liguori, quello del “covo del nord-est di Santa” per intenderci. Fantastico, un misto soave di leggerezza, ironia, spessore ed alta classe, si parlava di mafia e di altre oscenità, ma il tutto in bocca sua si trasformava in storia, vita ed esperienza. Chi non si “trasformava” era…lui: sarà così anche nella vita, pensavo tra me e me, rapito dalla sua aristocratica presenza, dalla autorevolezza di quella proposta sapienza frammista di studio e di innato talento. Grazie al mio Maestro, l’avvocato Isolabella, altro fuoriclasse, e per contare i veri fuoriclasse del foro bastano le dita di una mano sola, ovviamente suo amico, ebbi poi occasione di incontrarlo svariate volte, e di verificare che di persona era uguale, generoso nell’impegno ma alla apparenza distaccato, come tutti i “signori”, quelli di una volta, come avrebbe detto la mia nonna. (altro…)

  • Mediatrade, perché sono stati assolti Berlusconi jr e Confalonieri

    Le irregolarità nella compravendita dei diritti tv di non passavano dagli organi societari. Sembra questa la logica della sentenza Mediatrade, una coda del processo principale che aveva portato alla condanna definitiva del fondatore del gruppo Silvio Berlusconi per frode fiscale. Nel caso Mediatrade invece il presidente e il vicepresidente di Mediaset, Fedele Confalonieri e Piersilvio Berlusconi, sono stati assolti dall’accusa di frode fiscale perché il fatto non costituisce reato per le annualità 2006, 2007, 2008. Per il 2005 è stata dichirata la prescrizione che prevale in caso di insufficienza o contraddittorietà della prova.

    Berlusconi padre per Mediatrade era stato prosciolto dal gip Maria Vicidomini. Ora arriva l’assoluzione anche per gli attuali vertici della società. Resta la condanna dell’ex Cav per Mediaset a 4 anni, di cui 3 indultati e un anno da scontare in affidamento in prova. Le assoluzioni di oggi non rimettono minimamente in discussione il verdetto a carico di Berlusconi,  che ha più volte detto di voler chiedere la revisione del processo. I suoi legali avevano preannunciato l’iniziativa a cui però non hanno dato seguito. La strada resta in salita perché per rifare il processo a Berlusconi c’è bisogno di produrre elementi nuovi mai valutati in passato. dai giudici. (frank cimini)

  • E ora Robledo accusa Bruti di ritorsione…

    E ora, nella foga del duello, Alfredo Robledo accusa Edmondo Bruti Liberati di ritorsione nei suoi confronti. L’antefatto è di qualche giorno fa:      Bruti scrive al ‘suo’ vice  manifestandogli l’intenzione di “procedere a un riesame di vari aspetti dell’indagine” sui derivati piazzati al Comune di Milano da 4 banche estere. Inchiesta condotta da Robledo e sfociata in una condanna in primo grado per gli istituti di credito per truffa aggravata ai danni di Palazzo Marino e in un’assoluzione in appello a marzo. Insomma, il ‘capo’ vuole sapere come mai si sia arrivati a un’assoluzione. 

    Ora arriva la puntuale e stizzita  risposta di Robledo che viene indirizzata al Consiglio Giudiziario, impegnato proprio oggi a valutare alcuni aspetti della ‘sanguinosa’ controversia tra i due. La lettera in cui Bruti annuncia di voler scavare sulle ragioni dell’assoluzione viene definita da Robledo “un atto vagamente ritorsivo”.  (manuela d’alessandro)

  • La lettera di Bruti ai suoi pm:
    “a dispetto di piccole, circoscritte polemiche è tutto ok”.

    Oggi scade il quadriennio di Edmondo Bruti Liberati come capo della Procura di Milano e, annunciando che presenterà la richiesta di conferma, il magistrato ‘festeggia’ inviando una lettera a tutti i suoi pm. E se da un lato si assume “la responsabilità” delle “insufficienze e degli errori come stimolo per operare per il meglio in futuro”, dall’altro rivendica un “bilancio del quadriennio largamente positivo”. “A dispetto di qualche piccola, circoscritta polemica degli ultimissimi mesi  – scrive con riferimento alla contesa col suo vice Alfredo Robledo sfociata davanti al Csm –  l’apprezzamento per l’opera della Procura di Milano nel quadriennio corso è stato ampio e condiviso e il prestigio indiscusso”. “Ma ciò che rileva – insiste – sono i riscontri ottenuti a livello di giudizio, in termini di accoglimento delle richieste e dei tempi di definizione”. Infine, affermando di attendere “con piena serenità” la decisione del Csm sulla sua riconferma, Bruti augura “buon lavoro a tutti noi”.  (manuela d’alessandro)

  • Sciopero degli avvocati.
    Un giudice ha minacciato pene più pesanti per testi “inutili”.

    “Se insistete a voler sentire dei testimoni inutili, in caso di condanna sarò più severo con gli imputati”. Il 20 giugno il giudice del Tribunale di Milano Filippo Grisolia si rivolge così agli avvocati durante un processo.

    Oggi gli avvocati della Camera Penale annunciano che il 17 luglio ripiegheranno le toghe e si riuniranno in un’assemblea dove verranno discusse le ragioni della protesta. Non c’è solo quella che è stata percepita come una ‘minaccia’ da parte del giudice al centro della ribellione ma “la violazione riscontrata in più occasioni del principio dell’oralità attraverso l’iragionevole e grave compressione dell’esercizio del diritto difesa”. “Non mi stancherò mai di ripetere – avrebbe detto il giudice –  che secondo me quando si insiste in un processo a sentire dei testi che si rivelano inutili ovviamente si può essere assolti, ma se si è condannati sicuramente il Tribunale ne tiene conto ai fini del comportamento processuale, e mi dispiace che sugli imputati a volte ricadano le scelte dei difensori”.

    Durissimo il giudizio dei legali sul magistrato autore dell’aut – aut. “Ha violato l’autonoma determinazione del difensore nelle proprie scelte processuali – scrivono nella delibera con cui decidono l’astensione – che deve essere libero di valutare l’opportunità o meno di svolgere il proprio controesame; e, dall’altro, le norme che riconducono la commisurazione della pena esclusivamente a fattori ricollegati alla persona dell’imputato; e inoltre  ha mostrato un’assoluta noncuranza per alcuni dei principi cardine del processo accusatorio, ovvero quelli del contraddittorio nella formazione della prova e dell’immediatezza del giudizio”.  (m.d’a)

  • Gatti e mobili in vendita:
    la nuova vita delle bacheche sindacali con la crisi

    Meglio occuparsi del tempo libero che del lavoro, in tempi grami per il lavoro. Il glorioso Statuto dei Lavoratori del 1970 all’articolo 25 offrì ai lavoratori la possibilità di affiggere “pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e di lavoro”. Dello spirito di quel testo che esaltò la dignità di chi lavora è rimasto ben poco. Oggi dagli spazi sindacali, non solo da quelli nella foto, ma anche da altri presenti in Tribunale, spuntano gattini smarriti tra i meandri del Palazzo o in vendita al miglior offerente, mobili in offerta e biglietti per concerti a buon prezzo. Il gatto nobilita l’uomo? (m. d’a.)

  • La prescrizione salva Tronchetti
    ma quanto tempo per fissare l’appello

    E adesso diranno che la Corte d’appello ha le udienze intasate, che i cancellieri scarseggiano, eccetera eccetera. Tutto vero. Per i cittadini che aspettano giustizia può essere un guaio. Per Marco Tronchetti Provera, presidente di Pirelli, i tempi lunghi della giustizia milanese si traducono nella certezza di uscire senza danni dalla brutta storia dei dossier illegali raccolti da Telecom quando lui ne era il presidente e a capo della security stava l’ex carabiniere Giuliano Tavaroli. Di tutto quel gigantesco pasticcio, Tronchetti si è trovato alla fine imputato solo per un filone: l’incursione degli hacker di Tavaroli nei computer della agenzia di investigazioni Kroll, che lavorava per i rivali di Telecom Italia nella guerra per il controllo di Tim Brasil.

    In primo grado Tronchetti è stato condannato ad un anno di carcere per ricettazione: si sarebbe fatto mandare in busta anonima il dvd con il contenuto dei computer Kroll. Ma il processo d’appello è stato fissato con tempi talmente lunghi da andare verso sicura prescrizione: il ricorso dei legali dell’imprenditore è stato presentato nel novembre dell’anno scorso, ma l’udienza è stata fisssata solo per il 21 ottobre prossimo, quando la prescrizione sarà già scattata da un mese (come riportato oggi da Repubblica). E i giudici, a meno che Tronchetti non rinunci a beneficiarne, non potranno che prenderne atto.

    Non è chiarissimo come sia stato possibile che tra ricorso e processo passasse un anno: è vero che la Corte d’appello milanese è carica di lavoro ma in genere per i processi a rischio prescrizione un buco in agenda si trova sempre.

    (orsola golgi e oriana lupini)

  • NoTav, l’Europa: caro cancelliere, non eleggiamo domicilio in Italia

    Poche parole secche, messaggio chiaro. “Egregio signor cancelliere la Commissione Europea non intende avvalersi della facoltà di eleggere domicilio in relazione alla vostra richiesta”, scrive Thomas Van Rijn, consigliere giuridico principale, alla corte d’assise di Torino che dal 22 maggio processa 4 militanti Notav i quali rischiano fino a 30 di prigione per aver danneggiato un compressore. I 4 Notav, secondo il teorema Caselli (l’ex capo della procura nel frattempo andato in pensione) avrebbero agito con finalità di terrorismo con grave danno all’immagine dell’Italia e dell’Unione Europea. Ecco, l’Europa spiega che non ci costituirà parte civile al processo. Ne avevamo già parlato, torniamo sull’argomento adesso che sono note le poche righe formali arrivate dall’Ue perché tutti i giornali e i tg hanno finora ignorato l’unica vera notizia del processo e continuano a farlo, fiancheggiando la procura di Torino che agita fantasmi del passato nel tentativo di supportare un’accusa lacunosa e che a livello di qualificazione giuridica sembra non reggere.

    Lo ha detto anche la Cassazione rimandando al Riesame di Torino che dovrà fissare una nuova udienza per discutere il ricorso dei difensori. Per la Cassazione il grave danno va dimostrato insieme al concreto rischio che l’opera dlel’alta velocità non si faccia più a causa dell’azione in un cantiere.

    La corte d’assise di Torino aveva tradotto le poche righe della Ue spiegando che “alla Commissione non sembra interessare granchè il processo”e nelle scorse udienze ha rigettato la richiesta della procura di allargare il discorso ad altre azioni dei militanti Notav come “contesto”.

    Insomma, fino ad oggi il teorema Caselli pare fare acqua da tutte le parti. I 4 imputati però dal dicembre scorso continuano a stare in carcere e in regime di 41bis di fatto, carcere durissimo. Nel silenzio degli organi di informazione, molti dei quali controllati direttamente o indirettamente dalle banche molto interessate alla realizzazione del treno ad alta velocità della Torino-Lione (frank cimini)

  • Il sequestro delle telecamere non messo a verbale.
    Un’indagine illegale della Polizia?

    Perché i poliziotti hanno fatto installare da un elettricista di fiducia due telecamere in un condominio della Brianza? E perché, mentre arrestavano tre persone accusate di traffico di droga e armi, le hanno tolte di gran fretta e poi non hanno scritto nel verbale di sequestro che se le erano portata via?

    Interrogativi che, a partire da lunedì 7 luglio, l’avvocato Beatrice Saldarini, porrà al Tribunale di Monza nel processo a carico del suo assistito, Francesco Desiderato. Non è  proprio una mammola il signor Desiderato, già condannato a 20 anni di carcere come capo di un’associazione a delinquere che faceva girare la cocaina in tutto il mondo. Ma il suo nuovo arresto merita di essere raccontato perché adombra comportamenti gravi da parte degli agenti. (altro…)

  • Inchiesta, milioni di fondi Expo per il Tribunale assegnati senza gara. Perché?

    Alcuni milioni di fondi governativi sono stati destinati al Tribunale di Milano nel nome di Expo col meccanismo degli appalti diretti, lo stesso che viene indicato nelle inchieste della Procura di Milano sull’Esposizione Universale come la possibile anticamera delle tangenti. Progetti per consegnare al mondo un’immagine efficiente della giustizia ambrosiana messi nelle mani di imprese senza gara, né italiana, né europea, sebbene la legge preveda l’affidamento diretto come un’ipotesi residuale quando in ballo ci sono appalti ghiotti.

    E’ una storia lunga quella che vi stiamo per raccontare, iniziata molti mesi fa da un passaparola nei corridoi del Palazzo. “C’è qualcosa che non quadra sui fondi Expo”. Abbiamo bussato alle porte di alcuni uffici giudiziari e a quelle del Comune per capire come siano stati spesi i 12, 5 milioni di euro destinati a rendere scintillante il Tribunale. La gestione del denaro è avvenuta su un doppio fronte, politico e giudiziario: da un lato la magistratura milanese e il Ministero della Giustizia, dall’altro Palazzo Marino. Non è stato facile capirci qualcosa. La richiesta di esaminare le carte degli appalti formulata al Presidente della Corte d’Appello Giovanni Canzio è stata ritenuta “irricevibile” con l’invito di rivolgersi al Comune. In Comune, il funzionario che si occupa degli appalti degli uffici giudiziari, Carmelo Maugeri, ci ha rimandati all’assessore ai Lavori Pubblici Carmela Rozza. Quest’ultima, con molto garbo e appellandosi alla “trasparenza” dell’amministrazione di fronte alle ritrosie di Maugeri,  ha consentito l’accesso, con divieto di farne copia, a un file stracolmo di documenti, delibere, determinazioni.  Un mare di burocrazia. (altro…)

  • “Ho visto i miei figli e non riuscivo a parlare”.
    Le lettere di un carcerato dal 41 bis.

    Dentro il disumano c’è anche l’umano. Dentro il carcere c’è un detenuto col 41 bis che scrive al suo avvocato e con la penna in mano è anche un papà: “Dopo un anno e nove mesi siamo riusciti a fare il colloquio coi miei figli, alla presenza dell’assistente sociale, come ordinato dal Tribunale dei Minori di Milano. E’ stato un giorno felice e molto emozionante, mi è venuto un groppo alla gola nel vedere i miei amati figli dopo così tanto tempo, non riuscivo a parlare, mi sono trovato davanti due belle signorine e un bel giovanotto, sono cresciuti tanto e la cosa che mi ha fatto più male è vedere i miei adorati figli piangere per me, non riuscivano neanche a parlare dalla gioia, dalla felicità, dall’emozione”.

    Lui è un boss della ‘ndrangheta,  condannato a 30 anni per un omicidio e reati di droga (“Nella mia vita ho sbagliato tutto, ho fatto del male a tutte le persone a me care”) e dovrebbe uscire il 31 marzo 2033. Sta in un regime carcerario feroce: ore d’aria limitate, cibo razionato, colloqui coi familiari solo attraverso un vetro blindato e video registrati per controllare che non vi siano contenuti messaggi in codice. Abbiamo letto le missive che ha mandato negli ultimi mesi al suo legale, Beatrice Saldarini.

    “Illustrissimo avvocato – scrive in una di queste, datata pochi giorni fa – come sempre lei è molto gentile a rispondere alle mie lettere e per questo voglio ringraziarvi, anche perché in questo posto tetro e scuro fa sempre piacere ricevere una lettera, per me significa molto e mi fa sentire vivo (…) peggio di questo posto schifoso c’è solo il cimitero”. “Di me non m’interessa, il mio destino è segnato”, ma “è assurdo che i miei figli devono venire a trovarmi e ci deve essere presente l’assistente ai servizi sociali”. I figli sono il tormento ricorrente. “Avvocato, aiutatemi a vederli!”, implora. “Mi avete scritto che vi informerete sulla possibilità di agevolare i colloqui con loro, vi ringrazio con tutto il mio cuore. Voglio che vengano a trovarmi quando lo desiderano”. Si preoccupa anche per la ex compagna, difesa dallo stesso legale: “Prego per lei e confido in voi”. Una delle risposte che gli invia il suo difensore non gli viene consegnata perché sarebbe di contenuto “ambiguo”. Chi conosce la solarità dell’avvocato Saldarini sorriderà.

    Dentro il disumano, l’umano può diventare perfino “ambiguo”. (manuela d’alessandro)

     

    lettera giugno 2014-1

  • Dell’Utri, Ordine Giornalisti contro Corsera per “apologia di reato”
    ma è solo solidarietà a un amico

    L’Ordine dei giornalisti della Lombardia evidentemente non ha di meglio da fare. Il suo presidente Gabriele Dossena dopo l’intervento censorio del Cdr del quotidiano ha aperto un fascicolo al fine di valutare se la pagina di informazione pubblicitaria pubblicata con la solidarietà di alcuni amici espressa a Marcello Dell’Utri in carcere per mafia condannato a 7 anni possa configurare l’apologia di reato.

    Dossena si è rivolto al direttore Ferruccio De Bortoli invitandolo a fornire spiegazioni. Non bastano i magistrati a perseguire reati di opinione come è accaduto per lo scrittore Erri De Luca adesso ci si mettono anche i signori dell’Ordine dei giornalisti, un organismo che esiste in due soli paesi, in Italia e in Egitto, e che sarebbe da abolire al più presto. L’iniziativa di Dossena conferma che quando l’Ordine dei giornalisti non ci sarà più sarà stato sempre troppo tardi.

    Chi ha firmato i messaggi contenuti nell’inserzione non ha scritto certo “viva la mafia”, ma ha solo espresso solidarietà a una persona che conosce da una vita. Dell’Utri sta scontando la pena. I suoi amici ex collaboratori e varia umanità dicono che gli sono vicini. Che male c’è? Devono far fronte per questo a una miscela micidiale di maccartismo e stalinismo confezionata in primis da un comitato di redazione storicamente egemonizzato dalla “sinistra” che comunque nel passato si trovò a cogestire l’azienda con la tanto vituperata a parole P2? (frank cimini)

  • NoTav, teorema Caselli bocciato da Cassazione
    Non è terrorismo

    Non c’è terrorismo se manca il grave danno allo Stato e se non c’è da parte dello Stato un’apprezzabile rinuncia a a proseguire l’opera pubblica dell’alta velocità. Con questa motivazione la Cassazione ha bocciato il teorema Caselli, utilizzato dalla procura di Torino per contestare l’accusa di aver agito con finalità di terrorismo con gravi danni all’immagine dell’Italia e della Unione Europea a 4 militanti NoTav in carcere da dicembre per il danneggiamento di un compressore durante un’azione in un cantiere.

    Ora toccherà di nuovo al Riesame di Torino valutare il ricorso dei difensori, ma quelle della Suprema corte sono parole chiare. Il messaggio è che non si possono agitare fantasmi del passato come ha fatto Caselli da pochi mesi in pensione dopo una carriera costruita su tutte le emergenze con la complicità della politica che in passato come adesso delega alla magistratura di risolvere i conflitti sociali.

    E’ il secondo smacco che l’accusa subisce dopo che la Ue invitata a costituirsi parte civile aveva rifiutato spiegando di non essere interessata granché al processo in corso dal 22 maggio a carico dei 4 militanti Notav.

    Insomma Caselli ci ha provato ma gli sta andando male. Del danneggiamento del compressore si sarebbe dovuto discutere in Tribunale e non in Corte d’Assise in un contesto blindato per rinnovare fasti emergenziali che non hanno ragione di esistere a favore di un’inchiesta sponsorizzata da tutti i partiti e da tutti i mezzi di informazione. Perché ballano miliardi e nessuno a cominciare dalle banche che controllano un po’ di giornali ci vuole rinunciare.

    Il teorema Caselli ha fatto la fine del teorema Calogero che aveva ipotizzato nel 1979 una sola cosa tra Autonomia e Br, ma venne bocciato a distanza di anni, passati in carcere da molti imputati. Autonomia non era contraria alla lotta armata come affermato da alcune anime belle ma era cosa diversa dalle Br e non ebbe alcun ruolo nel caso Moro come ipotizzato da Calogero.

    L’azione contro il cantiere a maggio 2013 ci fu ma il problema è la qualificazione giuridica del fatto. Quella creata da Caselli, che vuole far tornare indietro l’orologio della storia, per la Cassazione non regge. (frank cimini)

     

  • Escluso dagli interrogatori, esposto bis di Robledo al Csm contro Bruti

    Pensavate che fossimo ai titoli di coda? E invece no. Arrivano le puntate estive del sequel Bruti vs Robledo. Il procuratore aggiunto ha presentato un nuovo esposto al Csm in cui contesta al suo capo Edmondo Bruti Liberati di non averlo fatto partecipare agli interrogatori nelle indagini su Expo. Abusando del  ruolo di coordinatore dell”Area Omogenea Expo’, questa la tesi di Robledo, il leader della Procura di Milano gli ha proibito di essere presente ai confronti con Angelo Paris e Antonio Rognoni.

    I due, rispettivamente ex manager di Expo2015 spa ed ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde, entrambi arrestati con l’accusa di avere pilotato delle gare, sono stati sentiti la settimana passata  nell’ambito degli approfondimenti sull’appalto della ‘piastra’, il più prelibato tra quelli appetiti dalle imprese in vista dell’evento. Presenti i pm Paolo Filippini, Giovanni Polizzi e Roberto Pellicano, ma non Robledo, che presiede il dipartimento di cui i tre fanno parte, quello dei reati contro la pubblica amministrazione.

    Lo scopo delle disposizioni contenute in una mail inviata da Bruti a Robledo il 18 giugno in relazione al procedimento sulla ‘Piastra’ di cui Robledo è coassegnatario è, scrive il pm nell’esposto, “chiaro ed evidente”: non quello di delegare gli atti ai tre sostituti, ma quello di escludere me”. “Non c’è invero – affonda Robledo – nessuna ragione per cui io non possa partecipare a quegli atti, rispetto ai quali sono, anzi, in grado di garantire l’essenziale patrimonio conoscitivo che consente la migliore comprensione della vicenda processuale, essendo stato titolare fin dalla sua origine”. “Tanto premesso – argomenta il pm rivolgendosi a Bruti “con la consuete franchezza” – aggiungo che la tua indicazione con riferimento ad interrogatori da compiere, per la quale ‘l’atto di indagine sarà effettuato solo dai tre sostituti assegnatari” è viziata da una palese illegittimità”. Questa volta la decisione del Csm, stando a fonti ben informate, dovrebbe arrivare abbastanza velocemente perché sul tavolo c’è solo un’accusa e ben precisa. (manuela d’alessandro)

  • La fattura elettronica? Era meglio la coda in Posta. Parola di avvocato.

    Dal 6 giugno scorso se un soggetto vuole emettere una fattura nei confronti di una Pubblica Amministrazione deve farlo necessariamente per via elettronica. I problemi iniziano subito, perché bisogna preliminarmente accreditarsi presso l’Agenzia delle Entrate. Come? Effettuando una pre-iscrizione nel sito e, dopo aver ricevuto dei codici, compilando un modulo di richiesta in cui devono essere indicati diversi dati (tipo di attività svolta, albo di iscrizione, PEC, ecc…) e fino a qui è abbastanza semplice il tutto. Il problema sorge nell’invio della suddetta richiesta con relativo allegato, perché la stessa deve essere firmata digitalmente tramite chiavetta.
    Perché è un problema questo? Perché la fatturazione elettronica interesserà prevalentemente gli Avvocati penalisti che nella maggior parte dei casi non dispongono della chiavetta utilizzata dai Colleghi civilisti per il processo telematico. In questo caso si apre un’altra epopea che, per mia fortuna, ho già superato.
    Una volta apposta la firma digitale sulla richiesta, la stessa va inviata all’indirizzo PEC. Si attende fiduciosi circa una settimana sino a quando l’Agenzia delle Entrate invierà una e-mail alla casella di posta elettronica certificata comunicando altri codici che devono essere inseriti nel sito per autenticarsi.
    Alle parole “l’autenticazione è avvenuta con successo” comparse sul pc sono stata pervasa da una serenità che non mi coglieva da anni.
    Invito però i Colleghi a non pensare a questo punto (come ho fatto io) “è andata”, perché a quel punto con tutti gli User, password e PIN si può solo accedere al sito www.fatturapa.gov.it e tramite il servizio “simulazione” si può compilare finalmente l’agognata fattura elettronica.
    Peccato che per compilare una fattura elettronica si debbano riempire una serie infinta di campi (giusto per capire di che cosa si sta parlando guardate qua: http://www.fatturapa.gov.it/export/fatturazione/sdi/fatturapa/v1.0/Formato_FatturaPA_tabellare_1.0.pdf).
    Io a questo punto mi sono fermata, perché prima di inviare la mia prima fattura elettronica devo studiarmi i due manuali di 120 pagine complessive per capire cosa si intenda ad esempio per “progressivo invio” o “formato trasmissione”. In questi momenti rimpiango solo le lunghe code alla Posta del Tribunale per ritirare in contanti gli onorari della difesa di un soggetto irreperibile. Bei momenti….(avvocato Paola Bellani)

  • E adesso la Lega chieda scusa a Rosi Mauro,
    espulsa dal partito e oggi archiviata dai pm

    E adesso la Lega chieda scusa a Rosi Mauro, l’unica espulsa dal partito insieme all’ex tesoriere Francesco Belsito con voto unanime del consiglio federale nel 2012 e per la quale oggi la Procura chiede l’archiviazione dall’accusa di appropriazione indebita nell’ambito dell’inchiesta ‘The Family’.

    Schiacciata dal sospetto di avere pagato coi soldi dei rimborsi elettorali anche una laurea per il suo bodyguard Pierangelo Moscagiuro, l’allora vicepresidente del Senato aveva scelto di non dimettersi dalla sua carica con vivo disappunto del Carroccio. “Il rancore prevale sulla verità”, sentenziò l’energica rappresentante dei lumbard a proposito dell’epurazione invece risparmiata a Umberto Bossi e suoi figlioli, Renzo e Riccardo, anche se al ‘Trota’ va dato atto di essersi dimesso dal Consiglio Regionale. Il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e i pm Roberto Pellicano e Paolo Filippini hanno chiesto il processo per tutti i Bossi’s e per altre sei persone, tra cui Belsito, l’uomo che maneggiava con leggerezza i denari del partito. Rosi Mauro si è salvata ‘da sola’ presentando ai pm, subito dopo l’avviso di chiusura delle indagini nel novembre scorso, documenti e spiegazioni relativi a quei 99mila e 731 euro che, secondo l’accusa originaria, avrebbe ‘rubato’ dalle casse di via Bellerio. Ha portato le carte che dimostrano che 16mila euro li incassò dalla Lega alla quale aveva venduto una vecchia auto che non le serviva più; che l’assegno da 6600 euro sulla cui matrice Belsito aveva scritto ‘Rosi’sarebbe stato un escamotage del tesoriere per “ritirare denaro contante attribuendolo ad altri”; e, infine, che non investì (?) 77mila euro per comprare una laurea albanese a Moscagiuro, il quale, peraltro, non era neppure diplomato e neanche era il suo fidanzato, come si vociferava (o, almeno, entrambi smentiscono). Tesi, scrivono i magistrati, “accoglibili e comunque tali da rendere assai dubbia la solidità della prospettazione accusatoria”. E adesso Rosi, nel frattempo scomparsa dai radar della politica, meriterebbe una spiegazione dal partito sul perché per lei non valeva il garantismo concesso ad altri. (manuela d’alessandro)

  • “Presidente sono il suo incubo” il bigliettino dell’avvocato al giudice sfuggente

    L’avvocatessa L.M. deve avere qualcosa di molto importante e urgente da chiedere al giudice Piero Gamacchio. Possiamo apprezzare il suo originale pressing in un biglietto da visita appiccicato alla porta del magistrato. L’esordio è quasi da stalker auto – proclamata: “Sono il suo incubo”, ma poi i toni rientrano in una corretta dialettica processuale per concludersi, dopo avere invitato il giudice a contattarla, con l’”ossequio” finale.  (m.d’a.)

     

     

  • Ecco le motivazioni della condanna a Dolce e Gabbana

    Ecco le motivazioni della sentenza con la quale la Corte d’Appello ha condannato il 20 aprile gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana a un anno e sei mesi di carcere per evasione fiscale. Ora, per via dell’imminente prescrizione del reato, il processo dovrebbe essere trattato dalla sezione feriale della Cassazione come accadde per Silvio Berlusconi l’anno scorso per l’ultimo grado di Mediaset. Intanto, vediamo perché i giudici hanno condannato i creatori della maison disattendendo la richiesta del pg Gaetano Santamaria Amato (la-clamorosa-requisitoria-che-assolve-dolce-e-gabbana) che ne aveva invocato l’assoluzione.

    Dolce e Gabbana

     

  • Un anno e 4 mesi al magistrato tedesco in fuga
    oggi l’Interpol lo consegna alla Germania ma resta il mistero

    In Germania se ne parla da mesi sulle prime pagine, da noi la storia è passata come un fulmine, un capitolo ‘strappato’ da un intrigo di George Simenon ambientato a Milano. Il 31 marzo il magistrato Jorg Lieberum, 48 anni, ricercato su mandato internazionale perché accusato nel suo paese di corruzione,  viene arrestato nella notte in un albergo di Porta Romana in possesso di una pistola calibro 7.65 e una manciata di proiettili, qualche agenda, 30mila euro in contanti. E’ accompagnato da  una ragazza romena di 26 anni.  Ce n’è abbastanza per una ghiotta spy – story.

    In Germania sospettano che Lieberum abbia intascato una mazzetta per truccare gli esami di accesso alla magistratura. Lui però la butta sul romantico: “Non stavo scappando, ero a Milano di passaggio dopo essere stato a Venezia in gita”.  Chiede di essere rispedito al suo Paese per potersi difendere dall’accusa di corruzione, ma i giudici della Corte d’Appello gli negano l’estradizione.  Oggi, ed eccoci alle novità, Lieberum è uscito dal carcere di San Vittore ed è stato riconsegnato dall’Interpol alla Germania perché ha risolto le sue pendenze con la giustizia italiana patteggiando 1 e 4 mesi (pena sospesa) per detenzione  e possesso illegale di arma e proiettili. Libero.

    Noi lo ricordiamo così, elegante, occhialini sul naso, seduto nella gabbia dell’aula dove si il 4 aprile si è discussa la sua estradizione. In fondo alla stanza una bella signora bionda gli lanciava larghi sorrisi. Era la moglie. “Ha deciso di stargli vicino, nonostante tutto”, ci aveva spiegato il suo avvocato, Stefano Ferrari. Chissà. Ci piacerebbe leggere gli altri capitoli (in tedesco) di questa strana storia dove una moglie dispensa amore al suo uomo in fuga trovato con una pistola e una fanciulla. (manuela d’alessandro)

     

     

  • Sabbia sulla Sea, come per Fiat, Pds e Mediobanca 20 anni fa

    Il Csm sostiene che a Milano non ci sarebbe stato “nocumento” alle indagini. Ma a dire il contrario è la storia del fascicolo Sea “dimenticato” per sei mesi un cassetto dal procuratore Bruti e affidato a Robledo solo quando la gara d’asta si era già svolta, gli indagati sapevano di essere sotto inchiesta e  quindi sarebbe stato inutile intercettarli. Su Sea c’è stato un tentativo di insabbiamento praticamente riuscito e causato dalla volontà di non mettere in difficoltà e in imbarazzo la giunta di centrosinistra allora da poco insediata.

    Bruti, nominato nel 2010 quasi all’unanimità dal Csm, molto sensibile agli umori e alle esigenze della politica, ha teso a garantire un po’ tutti. Tanto che aveva cercato di evitare l’indagine su Guido Podestà presidente della Provincia per le firme false del listino Formigoni. Mentre sul cosidetto Rubyter non è stato fatto un solo atto di indagine (almeno non noto alla stampa).

    Milano nuovo “porto delle nebbie” la definizione storica un tempo della procura di Roma? Insomma nuovo e vecchio. Del resto, nonostante le serenate al pool da parte di giornali con editori sotto schiaffio come imprenditori, anche Mani pulite fu caratterizzata da spezzoni di inchiesta che improvvisamente si fermavano o non partivano proprio. Fiat. Mediobanca, Pci-Pds tanto per stare ai casi più eclatanti.

    Romiti allora deus ex machina di Fiat finse di collaborare presentando un elenco di tangenti pagate pieno di lacune. Era tecnicamente inquinamento delle prove. Non solo non fu arrestato quando altri per molto meno finivano in carcere, ma l’inchiesta sul colosso dell’auto si fermò dopo una riunione con gli avvocati nell’ufficio dell’allora capo della procura Borrelli.

    Mediobanca si pappò la Montedison in modo illecito ma non accadde nulla nemmeno quando nel corso del teleprocesso a Sergio Cusani l’avvocato Spazzali disse al pm Di Pietro: “Se lei decide di andare a fare quattro passi dalle parti di via Filodrammatici io la accompagnerei volentieri”.

    Il gip Ghitti rigettò per due volte la richiesta del pool di archiviare le accuse a Marcello Stefanini allora cassiere del Pds ordinando nuove indagini indicando 12 punti. I pm non fecero nulla tranne una ridicola e folkloristica rogatoria aBerlino. Poi… un gip che archivia si trova sempre.

    Ma non si tratta di toghe rosse. Era un problema di opportunità politica. Nel caso i pm avessero approfondito arrivando ai vertici del Pds, il Parlamento avrebbe in tre giorni varato un’amnistia e la “mitica” Mani Pulite sarebbe finita.

    Per non parlare poi dell’Eni. Sempre al processo Cusani il pm Di Pietro chiese all’ad Bernabè: “L’abbiamo finita con i falsi in bilancio?”. “La stiamo finendo”, fu la risposta. Cioè, c’era un reato in corso. Ma non ci fu indagine. Bernabè era considerato “l’Eni buono”, quello dei manager che collaboravano con la procura. Collaboravano si fa per dire. Tra questi c’era il banchiere Pacini Battaglia, colui che intercettato diceva: “Si pagò per uscire da Mani pulite… Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato”. Ma Di Pietro allora era intoccabile. A Brescia prevalse la ragion di Stato.

    Insomma niente di nuovo sotto il sole. I magistrati agiscono spesso e volentieri per ragioni politiche. Lo dice Berlusconi? Il vecchio di Treviri, che non militava in Forza Italia, sosteneva che a volte i reazionari benpensanti affermano verità che neanche i progressisti… (frank cimini)

     

     

     

  • Bruti – Robledo caso chiuso
    con l’incredibile auto – censura del Csm di fronte al Colle

    Con l’epilogo della vicenda Bruti – Robledo la magistratura ha perso una grande occasione di essere e mostrarsi libera. Dopo il nitido manifestarsi della volontà del capo dello Stato Giorgio Napolitano (che è anche Presidente del Csm) attraverso una “lettera non ostensibile” consegnata al fedele luogotenente Michele Vietti, i cittadini devono chiedersi di cosa parliamo quando parliamo di “autogoverno” della magistratura. Perché quello che abbiamo visto nella ultime ore, su qualunque fronte si voglia stare in questa sfida, è apparso un rassegnato inchinarsi alla volontà di un sovrano da parte della (presunta) assemblea libera delle toghe.  Due commissioni del Csm hanno modificato le loro risoluzioni da presentare al plenum piegandosi al diktat del Presidente. Sono state cambiate all’ultimo secondo le parole dei documenti faticosamente ‘costruiti’ in settimane di istruttorie e analisi, smussando le critiche al procuratore capo Bruti Liberati ed esaltando quelle al denunciante Robledo. Il plenum ha ratificato il volere di Napolitano e archiviato l’esposto presentato dal procuratore aggiunto. Parte degli atti sono stati mandati alla Procura Generale della Cassazione, ma non quelli  sul caso Ruby, mentre i titolari dell’azione disciplinare dovranno pronunciarsi su Sea ed Expo. E Vietti non ha avuto nemmeno il pudore di tacere. “Sono state rispettate le indicazioni di Napolitano”, ha esultato.

    A cosa serve dunque il Csm se non è che la grancassa di un uomo solo? A cosa è servito convocare mezza Procura di Milano a Roma se poi all’ultimo secondo sono state stravolte le conclusioni dei magistrati? Nella sua lettera “segreta” Napolitano si sarebbe limitato a ricordare che “i poteri di organizzazione dell’ufficio sono divenuti prerogative del capo della Procura”. Ma questo il Csm l’ha sempre saputo e non significa che siano poteri lunatici o senza regole. Per questo il Csm godeva di un illimitato spazio di libertà e anche dopo il diktat di Napolitano non c’era nessuna necessità di cambiare le risoluzioni. Invece i rappresentanti dei magistrati si sono macchiati del peccato più  imperdonabile contro la libertà: l’auto – censura. (manuela d’alessandro)

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  • Il pm di Tortora diventa assessore alla legalità.
    Un imperdonabile abuso della parola.

    La notizia questa volta è di quelle che fanno davvero “sobbalzare” anche chi è ormai abituato a vivere in un paese dalla scarsa memoria e dalle facili rimozioni. Diego Marmo, sissignori proprio lui, quel pm, ricorderete, che schiumante di bava alla bocca tuonava le peggiori cose contro il “camorrista” Enzio Tortora  a quel famigerato processo di Napoli dove si consumò una delle più vergognose pagine della nostra storia giudiziaria, è stato nominato assessore al Comune di Pompei. Beh, poca notizia direte voi, giacchè, come tristemente noto, il predetto magistrato, ben lungi dal pagare (così come i non meno colpevoli colleghi di istruttoria Lucio Di Pietro e Felice di Persia) alcun pedaggio per quella indecente vicenda, aveva percorso imperterrito tutti i successivi gradini burocratici della amministrazione della giustizia, fino al vertice della Procura di Torre Annunziata. Ora in pensione, quindi, perché non conferirgli un bell’assessorato che come ben si sa in Italia non si nega a nessuno ? Il punto è che il citato assessorato sarebbe, udite udite, niente meno che quello alla (giuro !) “legalità”. (altro…)

  • NoTav, l’Europa ai giudici: “Per noi processo inutile”

    “Abbiamo la presidenza della Commissione Europea, non so se c’è qualcuno in aula per questa Commissione Europea che, peraltro, ha fatto pervenire uno scritto dove sostanzialmente dice che non è interessata granchè alla cosa”, afferma il presidente della Corte d’assise di Torino, come risulta dalle trascrizioni di udienza del 22 maggio. La “cosa” è il processo in cui la procura di Torino accusa 4 militanti NoTav di aver agito con finalità di terrorismo con gravi danni all’immagine dell’Italia e dell’Unione Europea, imputazione che prevede fino a 30 anni di carcere per aver danneggiato un compressore in un cantiere dell’alta velocità a maggio del 2013.
    Si tratta dell’unica vera notizia fin qui del processo iniziato il 22 maggio, ma che i giornali non hanno pubblicato. Anche dal tono e dalle parole usate dal giudice si capisce che all’Europa di questo processo importa nulla, anzi che lo considera inutile. (altro…)

  • E’ un pm il ‘papà’ della pianta che cammina
    e ci racconta la sua storia

    Ricordate la disperata invocazione di un anonimo che chiedeva rispetto per la pianta sofferente al quarto piano della Procura? la-pianta-che-cammina-nel-palazzo Ecco, il ‘papà’ del vegetale ha voluto ringraziarci con una scritta a penna, come vedete nella foto, per avere sposato la causa di questo vegetale in cerca d’amore. Possiamo solo dirvi che è un pubblico ministero molto simpatico, ma di più non è lecito rivelare sulla sua identità. Ci ha però autorizzati a raccontare la tormentata storia di questa pianta.

    Un giorno il nostro pm decide di portarla a Palazzo da casa della mamma, dove giace in condizioni critiche, sperando di darle nuovo vigore. Ma la pianta sparisce all’improvviso e lui la cerca in ogni angolo finché non la ritrova in un ufficio della Procura. La rimette nella sua ‘casa’, quel fazzoletto tra gli ascensori e i finestroni che danno sull’Umanitaria, al quarto piano, e lascia un bigliettino con la scritta “Grazie di averla accudita con cura”.  Ma la pianta ‘cammina’ e sparisce di nuovo. Lui non demorde e la rimette al suo posto col biglietto quasi in rima che potete leggere nell’immagine. Dopo il nostro interevnto, aggiunge la scritta di ringraziamento per Giustiziami. Come tutti i benefattori non vuole che si faccia il suo nome ma ci tiene a sottolineare che la sensibilità è di casa anche in questo luogo di sofferenza.

  • Alfano emette sentenza col rito del comunicato stampa.
    E se Bossetti non fosse il killer di Yara?

    E se non fosse Massimo Giuseppe Bossetti l’assassino di Yara? E, se anche lo fosse, è giusto quello che sta accadendo in queste ore con la gogna ‘istituzionale’ del muratore di 44 anni, padre di tre figli, incensurato, accusato di avere ucciso la piccola stella della ginnastica artistica?

    Il Ministro Angelino Alfano ha introdotto nel nostro codice penale il processo col ‘rito del comunicato stampa’. “Le forze dell’ordine, d’intesa con la magistratura, hanno individuato l’assassino di Yara Gambirasio”.  Questa la sentenza arrivata alle sei della sera firmata dal giudice monocratico Angelino, che forse si aspettava una fulminea confessione da parte di Bossetti. Magari avrebbe potuto aspettare a diffondere la nota per la stampa per evitare la folla coi forconi attorno alla caserma dove l’accusato ha opposto il silenzio alle contestazioni dei pm di Bergamo. In questa storia c’è già stato un presunto colpevole, il marocchino Mohamed Fikri, fermato in presunta fuga a bordo di un traghetto, sulla base di un’intercettazione tradotta male, e per oltre due anni rimasto sulla ‘graticola’ in attesa di un’archiviazione.  E qui vogliamo ricordare pure il fermo di Alberto Stasi per il delitto di Garlasco, seguito dalla pomposa conferenza stampa del Procuratore di Vigevano il quale dichiarò di avere individuato la “pistola fumante” della sua colpevolezza nel dna della vittima, Chiara Poggi, trovato sui pedali di una bicicletta. ‘Prova’ bocciata dal gip che scarcerò il presunto colpevole con tante scuse dopo pochi giorni.

    Massimo Giuseppe Bossetti sarebbe l”Ignoto 1′ a cui si dava la caccia da anni, il figlio illegittimo dell’autista di autobus Giuseppe Guerinoni, scomparso nel 1999 a cui era riconducibile il profilo genetico trovato sugli slip di Yara.  L’esame del dna, che gli è stato estratto con l’espediente del test dell’ etilometro in un normale controllo stradale, è risultato “perfettamente coincidente” con quello trovato sulle mutandine.  Sicuramente è una prova a suo carico, e che prova, come lo è la cella del suo telefono agganciata a Brembate di Sopra il 26 novembre 2010 quando la 13enne era uscita dalla palestra per non tornare mai più a casa. Bene. Questa è l’accusa, poi ci sarà una difesa, giusto? Bossetti potrebbe difendersi, è la prima ipotesi che ci viene in mente, dicendo di non avere ucciso Yara ma di averne ‘soltanto’ vilipeso il cadavere. Oppure potrebbe anche semplicemente essere colpevole, ma la certezza potremmo averla dopo una confessione o dopo un processo con tutte le garanzie per l’imputato. Perché questo richiede la nostra legge, a dispetto del Ministro Alfano, oggi, e non solo (vedi link qui sotto) dimentico del garantismo profuso per il suo ex amico Berlusconi. (manuela d’alessandro)

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  • Il refuso del Governo: errore o profezia sul futuro di Vegas in Consob?

    A volte i lapsus nascondono semplici errori, in altri casi potrebbero celare profezie. E se a farli ci si mette il Governo ai giornalisti non resta che farne la cronaca. Venerdì sera Anna Genovese si è trovata ‘a sua insaputa’ presidente della Consob, dopo alcune ore però l’errore (fotografato da Giustiziami e ora irreperibile sul sito di Palazzo Chigi) è stato corretto: la dicitura in neretto da “Avvio procedura incarico a presidente di Consob” è diventata “Avvio procedura incarico nella commissione Consob”. Auguri dunque al neo commissario Genovese, ma in bocca al lupo anche al presidente Giuseppe Vegas in caso di ulteriori errori. (oriana lupini)

  • Minenna, “Consob mi ha impedito di scoprire i guai di Unipol”.

    I capi della Consob non hanno permesso di fare un’analisi veritiera del portafoglio bilanci di Unipol. Parola di Marcello Minenna, il responsabile dell’ Ufficio Analisi Quantitative della Commissione, che per sei volte si è seduto di fronte al pm di Milano Luigi Orsi per raccontare come la fusione tra Unipol e l’ex galassia Ligresti (Fonsai, Milano Assicurazioni e Premafin) mostri troppe criticità, con Unipol che sopravvaluta i suoi titoli strutturati messi a bilancio,  e detti le regole invece che rispettarle.

    A fine novembre del 2012 viene affidato all’Ufficio Analisi Quantitative l’incarico di analizzare il portafoglio di titoli strutturati di Unipol. Il  12 dicembre l’autorità di vigilanza “non era ancora in possesso – svela il dirigente dell’ufficio – delle basilari informazioni sui derivati in pancia a Unipol nonostante nel prospetto del 13 luglio Unipol scriva che Consob sta svolgendo accertamenti su questi titoli”. Secondo Minenna, i dirigenti della Consob gli hanno rivolto tre richieste ‘sospette’: l’analisi “dovrà essere condotta prescindendo dagli effetti che potrà avere sugli stessi bilanci”, deve essere esaurita “in meno di venti giorni, entro il 10 dicembre” e deve far riferimento “alle date del 31 dicembre 2011 e 30 giugno 2012”, nonostante l’unica data davvero utile sia quella a cui si riferisce il bilancio.

    Ma c’è di più: “non è una mera illazione – spiega – ritenere che Unipol abbia comunicato la sopravalutazione proprio di quei titoli che sapeva noi stavamo analizzando”. E di un’ipotetica interferenza da parte dell’ad di Unipol Carlo Cimbri, di recente indagato per aggiotaggio dalle procure di Milano e Torino, parla più esplicitamente quando racconta di una missiva del direttore generale “che a sua volta fa riferimento ad una lettera del 31 luglio 2013 spedita da Cimbri al presidente Vegas. Incredibilmente Cimbri lamenta che l’Ufficio Analisi Quantitative non avrebbe ancora svolto confronti nel merito con Unipol nonostante le dieci richieste ex art. 115 Tuf e le numerose mail e telefonate. (…) Rimanevo stupito che non si censurassero i contenuti della lettera di Cimbri ma mi si chiedesse conto della infondata sua doglianza”.

    Accuse che Minenna restituisce al mittente. Così come quando spiega che l’analisi del portafoglio titoli strutturati al 31 dicembre 2011 “sarebbe potuta terminare ben prima di giugno 2013 se le proposte dell’Ufficio fossero state in qualche modo tenute in considerazione e se si fosse potuto operare in un’atmosfera lavorativa più serena”. Dichiarazioni da prendere con le dovute precauzioni – i contrasti tra Minenna e Consob sono noti – ma che accendono un faro su chi di solito vigila. (oriana lupini)

  • Torna libero Alfredo Davanzo
    per i pm era “ideologo” nuove Br

    Con la scarcerazione di Alfredo Davanzo, ritenuto l’ideologo del gruppo, si chiude la vicenda giudiziaria di quelle che la Procura di Milano individuò nel 2007 come le ‘nuove Brigate Rosse’.  Trevigiano,  57 anni, Davanzo ha finito di scontare il 23 maggio la pena ai 9 anni di carcere ai quali l’aveva condannato la Cassazione nel settembre 2012.  La notizia della sua liberazione, passata inosservata tranne che  sul sito ‘Informa – Azione’ e confermata da fonti legali,  va salutata naturalmente con favore, come quella di qualsiasi detenuto che abbia terminato un periodo di prigionia.

    Ci dà tuttavia il pretesto di ricordare  l’indagine ‘Tramonto’,  coordinata da Ilda Boccassini, che ipotizava la presenza di un’organizzazione eversiva ispirata alla ‘Seconda Posizione’  dell’ala movimentista delle Brigate Rosse, nata attorno  al foglio semi – clandestino ‘L’Aurora’. Un gruppo le cui finalità sono state però catalogate come non terroristiche dalla Cassazione che aveva rimandato il processo alla Corte d’Appello di Milano facendo cadere l’aggravante che gli dava la patente di ‘nipotini’ delle Br. Secondo la Suprema Corte, la violenza evocata da Davanzo e dagli altri imputati che si riconoscevano nel Partito Comunista Politico Militare e poi si sono dichiarati “prigionieri politici” era “generica” ma senza finalità di terrorismo. Prima di Davanzo sono usciti dal carcere, tra gli altri, anche Massimiliano Toschi e Amarilli Caprio, mentre devono ancora terminare la pena solo Claudio Latino (11 anni e mezzo di carcere) e Davide Bortolato (11 anni), considerati rispettivamente capo della cellula milanese e di quella padovana. (manuela d’alessandro)

  • Un indagato, nove a interrogarlo
    E’ l’area omogenea Expo, bellezza

    Per fare un’area omogenea, bisogna omogeneizzare. E in effetti l’ultimo interrogatorio di Pierpaolo Perez, ex braccio destro di Antonio Rognoni, arrestato il 20 marzo scorso nell’inchiesta su Infrastrutture Lombarde, è parso ad alcuni il frullato, concentrato, di una serie di situazioni paradossali nate dallo scontro in procura tra il capo Bruti Liberati e l’aggiunto Robledo. Frizioni arrivate fino al Csm e a cui il numero uno della Procura ha di recente tentato di mettere un freno – per qualcuno un tappo – costituendo una “area omogenea” per le inchieste in qualche modo attinenti all’esposizione universale. (altro…)

  • Scontro in Procura, il documento del Csm con la proposta di archivizione

    Così parlò il Csm. Nel documeno che potete leggere qui Csm su Bruti – Robledo sono contenute le conclusioni della Prima Commissione sulla cruenta battaglia in Procura cominciata con l’esposto di Alfredo Robledo di cui viene chiesta l’archiviazione. Secondo l’organo di autogoverno, “non si ravvisano ipotesi in alcun modo significative rispetto alle competenze della Prima Commissione in quanto non risulta essere stato turbato l’esercizio dell’attività giurisdizionale, sebbene siano state rilevate asprezze interpersonali e discutibili decisioni organizzative interne”.  Tuttavia, viene disposta la trasmissione della delibera, votata a maggioranza,  al pg della Cassazione sia per Bruti che per il suo vice e alla quinta commissione del Consiglio, competente per gli incarichi direttivi.  (m.d’a.)