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  • Di questo passo i pm di Milano s’arresteranno tra loro

    Non si può tacere, a proposito degli arresti di oggi per l’Expo sulla cui validità sapremo in seguito dai giudici, della tensione in procura a Milano tra due schieramenti, uno solidale con Alfredo Robledo autore di un esposto all’attenzione del Csm, l’altro con  il capo dell’ufficio Edmondo Bruti Liberati. L’inchiesta che ha portato agli arresti di oggi era a cavallo di due dipartimenti e quello che si occupa di turbativa d’asta fa capo a Robledo, il quale, fa sapere Bruti, non ha condiviso l’impostazione e di conseguenza non ha firmato gli atti.

    Comunque vada a a finire questa storia di magistrati che si sbranano tra loro è chiaro che nulla sarà come prima. C’è materia per riflettere per tutti, a cominciare da chi ha sempre pensato alla magistratura come salvatrice della patria, ruolo che nell’immaginario di troppe persone la procura di Milano ricoprì una ventina di anni fa.

    Ricordo il giorno in cui per ordine di  Milano il 13 marzo del 1996 venne arrestato il capo dei gip di Roma Renato Squillante nella vicenda che poi portò alla condanna tra gli altri di Cesare Previti. Ricordo bene il momento in cui  incontrai al bar del palazzo di giustizia Gerardo D’Ambrosio, allora capo della procura e da poco scomprarso. Gli chiesi: “Non avete più nessuno da arrestare e vi arrestate tra voi?”. D’Ambrosio, uomo di mondo al quale l’ironia non dispiaceva, sorrise amaramente.

    Allora fu Milano contro Roma, al punto che quando un pm del capoluogo lombardo si recò nella capitale per gli accertamenti del caso, fu trattato con tale freddezza che ancora se lo ricorda. Adesso è un derby e la partita è ancora lunga. La prossima settimana Ilda boccassini responsabile del pool antimafia sarà sentita dal Csm, insieme a Ferdinando Pomarici e Nunzia Gatto.

    Al quarto piano ormai è una conta, chi sta con chi, chi non è con me è contro di me. Come ai tempi della battaglia tra i pm di Salerno e di Catanzaro quando De Magistris faceva danni tra le toghe prima di farli da sindaco di Napoli, nemmeno con i potenti mezzi dell’ex Cavaliere sarebbe stata possibile un’opera di delegittimazione delle toghe così poderosa. Perché  le degenerazioni del correntismo, dei giochi di potere, di inchieste fatte o non fatte per mere ragioni di opportunità, di fascicoli dimenticati e spariti, dei veti anche dentro il Csm appaiono chiari anche ai non addetti ai lavori. Certo poi c’è sempre chi non vuol vedere e mette la testa sotto la sabbia, a cominciare dai politici che intervengono solo se e quando hanno posisibilità di operare strumentalizzazioni e di trarne dei vantaggi (frank cimini)

  • Formigoni e telecamere, amore finito. Il Celeste non le vuole in aula.

    E’ proprio vero, solo i paracarri non cambiano mai idea. E Roberto Formigoni ha cambiato idea. Parliamo di telecamere. Da presidente della giunta regionale della Lombardia le aveva utilizzate per quasi vent’anni, comparendo soprattutto al tg regionale della Rai a colazione, pranzo e cena. Spesso era in diretta negli studi di corso Sempione, dove giornalisti fatti assumere dai partiti nel servizio pubblico, gli stendevano tappeti rossi affinchè esternasse con brevi cenni sull’universo mondo e trattasse tutti gli argomenti possibili e pure quelli impossibili.

    Ma adesso non è più aria. Accade nell’aula della decima sezione penale del Tribunale di Milano dove Formigoni, ora nell’Ncd e presidente della commissione agricoltura del Senato è imputato nell’ambito del caso Maugeri di associazione per delinquere e corruzione insieme a Pierangelo Daccò, uomo d’affari sospettato di essere stato di casa al Pirellone, all’ex assessore Antonio Simone e altri. Per bocca del suo bravissimo avvocato Mario Brusa, il Celeste fa sapere di essere contrario alla presenza delle telecamere perché “snaturerebbero il processo”. La tesi ha un suo fondamento, intendiamoci. Ma fa specie che venga sposata da chi utilizzò a piene mani le telecamere come strumento di governo al fine di aumentare il suo potere personale. I giudici si sono riservati la decisione. Con ogni probabilità, come spesso accade in casi del genere, diranno di sì alle riprese solo per la sentenza. (frank cimini)

  • Caselli denunciato a Milano, abuso d’ufficio e peculato

    L’ex capo della procura di Torino Giancarlo Caselli, da poco in pensione, è stato denunciato il 29 aprile scorso a  Milano per abuso d’ufficio e peculato dall’avvocato Alessio Ariotto. Caselli, prima che venisse aperto alcun fascicolo, aveva incaricato la Digos di svolgere indagini sul alcune frasi postate dall’avvocato Ariotto sul proprio account di Facebook. E sulla base di quelle indagini Caselli, allora capo dei pm di Torino, presentava querela per diffamazione, ritenendo che il suo onore fosse stato oltraggiato.

    Secondo legalteamitalia.it, che esprime solidarietà al collega Ariotto, Caselli ha utilizzato un apparato dello Stato perché conducesse indagini come fosse un’agenzia investigativa privata per il suo privato interesse in quanto dirette su un soggetto che egli intendeva querelare.

    Gli avvocati di legalteamitalia.it affermano in un comunicato che la conduzione dei processi in corso a Torino sulle mobilitazioni NoTav non dà piena garanzia ai diritti di difesa dfegli imputati. Sarebbe stata fatta la scelta di “drammatizzare la situazione e criminalizzare il diritto di manifestare con la celebrazione dei processi nell’aula bunker, le imputazioni di terrorismo e il regime carcerario speciale per gli imputati…. un clima da anni di piombo artificioso e tendente ad accreditare la figura dell’oppositore politico come un nemico dello Stato verso il quale applicare un diverso diritto penale, il diritto penale del nemico”.

    Toccherà alla procura di Milano, competente per  le vicende in cui sono coinvolti magistrati in servizio a Torino, verificare se Caselli ha utilizzato per scopi privati le risorse dei pubblici uffici. A Torino il 22 maggio inizierà il processo ai 4 militanti NoTav in carcere per aver distrutto un compressore in un cantiere e accusati di aver agito con finalità di terrorismo, con danni all’immagine dell’Italia e della Ue. Rischiano fino a 30 anni di carcere. Le difese degli imputati, facendo riferimento anche al caso Caselli-Ariottoi, chiederanno il trasferimento del processo per legittima suspicione in quanto la sede del capoluogo torinese non garantirebbe la serenità nè l’imparzialità del giudizio. A Torino inoltre è in corso un altro processo a un avvocato che aveva criticato il pm genovese il quale si era occupato del procedimento per l’uccisione di Carlo Giuliani finito con l’archiviazione (frank cimini)

  • Stasi, costretto a un’innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio

    Da 7 anni Alberto Stasi deve dimostrare la sua innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio, ribaltando il principio di legge per cui spetterebbe all’accusa dimostare la colpevolezza dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio. Paga gli errori dei carabinieri di Vigevano che distrussero gran parte della memoria del computer dell’allora studente della Bocconi, indispensabile per ricostruire con esattezza il suo alibi (scrivere la tesi di laurea), non sequestrarono la bicicletta di Stasi (ora è tardi per le analisi scientifiche), furono costretti a riesumare il cadavere di Chiara perché dimenticarono di prendere le impronte digitali della vittima, fecero scorazzare un gatto sul pavimento della villetta dei Poggi.   Indimenticabile il procuratore capo Alfonso Lauro che, annunciando il fermo del ragazzo pochi giorni dopo il delitto, rivelò che era stata trovata la “prova della pistola fumante”, il sangue della vittima sui pedali della bicicletta. La super – perizia disposta dal gup Stefano Vitelli, che poi lo assolse, stabilì che le microtracce di materiale biologico non erano compatibili “con l’ipotesi di una deposizione per contatto con le suole di sangue”.  Già molto prima che questa perizia venisse effettuata, appena due giorni dopo il fermo, Alberto venne scarcerato dal gip, che si accorse della follia di metterlo dentro sulla base di un labilissimo indizio.

    Stasi paga le idee oscure di un’accusa che, in assenza di indizi certificabili dalla scienza con certezza, non ha costruito la trama attorno a  quello che in tutti i libri gialli è il primo elemento di un crimine, il movente.  L’ultimo, quello invocato dal pg Laura Barbaini, è crollato con la sentenza che ha assolto Stasi dall’accusa di materiale pedopornografico. Adesso, i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano riaprono ancora una volta le danze, ancora una volta appellandosi a Santa Scienza, ‘costretti’ dalla sentenza con cui la Cassazione ha cancellato le precedenti assoluzioni (nella sezione Documenti potete leggere l’ordinanza di oggi).  Bisogna riesaminare il capello castano chiaro trovato tra le mani della ragazza, il materiale biologico che c’era sotto le sue unghie e ripetere, ancora non si sa come,  la camminata virtuale di Stasi sugli ultimi due gradini della scala nella casa per capire se davvero potesse non sporcarsi le suole di sangue.  Siamo sicuri che  gli esiti di questi accertamenti potrebbero portare a un giudizio di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio? Se anche il sangue e quello che c’era sotto le unghie erano riconducibili ad Alberto, basterebbe per condannarlo? Rileggendo questa storia sette anni dopo viene in  mente il travaglio di Dmitrij, uno dei fratelli Karamazov. Tutto congiurava perché fosse stato lui a uccidere il padre, soprattutto perché solo su di lui si era concentrato lo sguardo di tutti. Invece il colpevole era il servo Smerdjakov, che lo confessò. Qui invece c’è un imputato che deve dimostrare di essere innocente al di là di ogni ragionevole dubbio. (manuela d’alessandro)

  • Giudice critica giudici, il popolo voleva pena solenne per Berlusconi

    Giudice non mangia giudice, ma a volte sì, se in ballo c’è la libertà di Silvio Berlusconi vista da correnti diverse della magistratura.  “Credo che oggi siano chiari i sentimenti che animano gran parte dei cittadini. Si aspettavano che venisse ribadita l’importanza di rispettare le regole e le leggi dello Stato. Si aspettavano che una grave condanna non finisse miseramente nel nulla e soprattutto non finisse con quella che sembra una presa in giro, con quelle quattro ore settimanali a intrattenere i vecchini”.  Non è Marco Travaglio, non è un opinionista, non è Giustiziami.  Chi critica con questi toni la decisione del Tribunale di Sorveglianza di evitare i domiciliari a Silvio Berlusconi è l’ex Procuratore Generale di Firenze Beniamino Deidda, direttore di ‘Questione Giustizia’, la rivista della corrente Magistratura Democratica. In un sorprendente editoriale che potete leggere su www.magistraturademocratica.it, Deidda si richiama  alla “volontà popolare” di cui si fa interprete, per deplorare la scelta di giudici “che hanno sottovalutato la difficoltà del loro compito”. “Se ne sono liberati con questa uscita un po’ curiosa delle quattro ore settimanali di impegno sociale, senza chiedersi cosa il condannato avrebbe fatto nelle restanti 164 ore della settimana. E in passato – chiosa malevolo – Berlusconi ha già mostrato di non sapere sempre impiegare il suo tempo in opere edificanti”. “Sarebbe stato bello – insiste Deidda – che i giudici sapessero interpretare il profondo sentimento popolare secondo cui la legalità sarebbe stata ripristinata solo con una decisione ferma e solenne, distante dalle polemiche contingenti, capace di riaffermare il primato del diritto e, nello stesso tempo, di recuperare una personalità con forti venature di ribellione alle regole e di preoccupante disinvoltura anti – sociale”.  L’esponente di Md precisa che la sua è un’analisi di carattere  “giuridico – sociale” e spiega che “i giuristi si aspettavano anche che il Tribunale cogliesse l’occasione per affrontare il tema delle misure alternative nei confronti di un uomo ricco, fortunato, con immensa disponibilità economica in Italia e all’estero, titolare di incarichi politici prestigiosi (…) un uomo che ha seminato pessimi esempi destinati purtroppo a fare scuola”. Poi censura il collegio presieduto da Pasquale Nobile de Santis, corrente Unicost,   perché non ha tenuto abbastanza in conto gli attacchi dell’ex Cavaliere alla magistratura che, giustamente, lui da ‘pari’ si permette invece di bastonare senza pietà. Con una foga da politico o da tribuno del popolo più che da giurista, invocando una sorta di giudizio ad personam per l’uomo delle leggi ad personam. (manuela d’alessandro)

  • Da stasera Silvio non potrà più uscire di casa senza questo foglio

    Ecco il ‘foglietto’ che da questa sera Silvio Berlusconi dovrà portare sempre in tasca. Non stropicciarlo, non dimenticarlo in qualche cambio d’abito, non fargli cadere sopra il caffé. Sarà la sua ‘bussola’, gli indicherà cosa può fare e cosa no, chi può vedere e chi no, a che ora deve andare a coricarsi con Francesca e Dudù, quando può fare politica e quante volte deve andare al centro anziani di Cesano Boscone.  E’ l’ordinanza pronunciata il 10 aprile scorso dal Tribunale della Sorveglianza di Milano che, come scrivono i giudici Beatrice Crosti e Pasquale Nobile de Santis, il leader di Fi”dovrà portare sempre con sé”.

    SORVEGLIANZA SILVIO

  • Il conflitto di interessi dei giudici:
    “Se ci attacchi ti arrestiamo”

    C’è un nuovo conflitto di interessi in questo paese dove i magistrati fanno politica, i politici fanno i giudici e i giornalisti scimmiottano un po’ gli uni e un po’ gli altri. Il “conflitto” è quello dei giudici che in un provvedimento nero su bianco hanno detto a Silvio Berlusconi: “Se ci attacchi ti revochiamo l’affidamento in prova ai servizi sociali e ti arrestiamo”.

    Si può pensare tutto il male possibile e anche peggio del signor Berlusconi, ed è il caso di chi scrive queste poche righe, ma chi di mestiere fa il giudice non può decidere sul grado di accettabilità delle critiche che arrivano alla categoria delle toghe. In questo modo non si fa altro che dar ragione a Berlusconi.

    Nel provvedimento dei giudici di sorveglianza c’è un ricatto bello e buono al condannato in sede di esecuzione pena. La magistratura si comporta da casta inattaccabile e non criticabile. Del resto per stare solo agli ultimi giorni, dalla querelle Bruti-Robledo emerge che cosa è veramente il Csm con le sue correnti-partito, i giochi di potere, i veti incrociati. Una situazione che giustifica le critiche più radicali ai giudici e ai loro organismi.

    C’è la responsabilità della classe politica, soprattutto del centro-sinistra (degli altri inutile parlare visto l’argomento  e il capo dello schieramento) che non ha voluto varare una seria normativa sul conflitto di interessi, ma se la magistratura pensa di risolvere la questione dicendo “a brigante brigante e mezzo”,  allora a quel punto si fa portatrice di un nuovo “conflitto” ed è la fine della democrazia. Ammesso e non concesso che ne esista già una compiuta. (frank cimini)

  • Lettera di Bruti a Robledo, perché Frank sa le cose in anticipo?

    Anche il nostro Frank Cimini entra in ‘Procuropoli’, l’appassionante saga giudiziaria in onda al Tribunale di Milano che sta vivendo il picco di ‘audience’ con le audizioni al Csm in questi giorni.  In una lettera del 27 aprile 2012 che potete leggere cliccando il link qua sotto, ora all’attenzione dell’organo di autogoverno della magistratura, il procuratore Edmondo Bruti Liberati rinfaccia ad Alfredo Robledo una fuga di notizie sull’inchiesta relativa alle firme false raccolte a sostegno di Roberto Formigoni per le elezioni regionali del 2010. Frank ‘spione’ nella guerra di  Procuropoli? Barba finta? No, credete a noi, la sua barba è verissima!

    Ecco la lettera di Bruti: Frank barba finta?

  • Robledo: Bruti mi disse “potevo dire a qualcuno di fare la pipì e farti sbattere all’esecuzione”

    Ecco la lettera che Alfredo Robledo ha scritto al pg Manlio Minale in cui viene riportato un dialogo davvero poco istituzionale tra i due contendenti davanti al Csm. Il Procuratore capo Edmondo Bruti Liberati avrebbe preso in giro il suo rivale sottolineando che se è diventato aggiunto lo deve a un voto della sua corrente, Magistratura Democratica : “Avrei potuto dire a uno dei miei colleghi al Consiglio che Robledo mi rompeva i coglioni e di andare a fare la pipì al momento del voto, così sarebbe stata nominata la Gatto, che poi avremmo sbattuto all’esecuzione”. La lettera, che è all’attenzione del Csm, meritadi essere letta tutta perché offre altri spunti interessanti per entrare nel clima della ‘battaglia’.

     

    robledo-liberati6.pdf

  • Saipem condannata a dare più di 1 mln a ex manager indagato per mazzette

    Il giudice del Tribunale del Lavoro di Milano Pietro Perillo ha dichiarato illegittimo il licenziamento dell’ex direttore operativo di Saipem Pietro Varone, arrestato nel luglio 2013  nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Milano su presunte mazzette pagate da Saipem per ottenere contratti in Algeria. La società è stata condannata a versare all’ex manager circa un milione e 200.000 euro,  mentre il Tribunale ha respinto la richiesta di risarcimento danni presentata dall’azienda nei confronti dell’ex dipendente.
    Varone era stato licenziato l’8 gennaio 2013 al termine di una procedura interna all’azienda. Tra le tesi portate da Saipem per giustificare il licenziamento c’era quella che i presunti comportamenti illegittimi di Varone si spiegassero solo con la sua iniziativa autonoma e individuale. Non sono ancora note le motvazioni del provvedimento che verranno depositate nei prossimi giorni, ma è possibile che il giudice abbia tenuto conto del fatto che il licenziamento disciplinare sarebbe stato recapitato a un domicilio diverso da quello indicato da Varone alla società. Saipem è stata condannata “a corrispondere a Varone 423.614,36 euro a titolo di indennità di mancato preavviso oltre a una incidenza sul TFR per 31.378,92 euro, nonché 741.326,88 euro a titolo di indennità supplementare, oltre interessi e rivalutazione su tali importi dalla cessazione del rapporto al saldo effettivo”.
    Il giudice Perillo ha anche respinto la richiesta di risarcimento danni per 10 milioni di euro avanzata da Saipem nei confronti di Varone. (manuela d’alessandro)

  • Mai visti giudici così buoni con Silvio, è la fine?

    Un magistrato che si è scornato in aula più volte con Berlusconi commenta: “Potevano essere più cattivi”. Niccolò Ghedini, uno che alla fine di ogni udienza inseriva lo strale automatico contro le toghe made in Milano, gode: “Decisione equilibrata dei giudici”. Che succede a Palazzo? Forse è davvero la fine di Silvio Berlusconi se, dopo il Pd, anche gli altri eterni rivali sono diventati buoni con lui, se lo trattano come un bambino discolo a cui si tolgono solo pochi giocattoli e gli si paventa qualche scapacione se rifarà la marachella.

    Nell’ufficio del Presidente Pasquale Nobile De Santis telefonano dal New York Times, dal Brasile, da mezzo mondo per sapere come dovrà espiare la pena del processo Mediaset. Forse si aspettavano la ‘battaglia finale’, il sangue scorrere sui titoli di coda.  Invece. C’è addirittura delicatezza nelle parole dei giudici che gli concedono l’affidamento in prova. Silvio ha pagato almeno in monete il suo debito civile con la giustizia, si è mostrato disponibile a imboccare i vecchietti, e tanto basta per mettere nero su bianco che “è scemata la sua pericolosità sociale” e “almeno in nuce” ci sono i presupposti per la redenzione. Sì, la strada per la salvezza può essere imboccata perfino da chi è stato “capace di influenzare l’ambiente in direzione incompatibile con le regole del diritto civile” perché ci sono “indici di volontà di recupero dei valori morali perseguiti dall’ordinamento”. Certo, deve stare attento a non farsi tentare ancora dal Diavolo. Le “recenti esternazioni pubbliche in spregio della magistratura potrebbero inficiare gli indici di resipiscienza”, ammonisce il Tribunale.  Eppure sgorga fiducia nel futuro del 78enne ex Cavaliere: “L’affidamento in prova può sostenere e aiutare il soggetto a portare a maturazione quel processo di revisione critica e di emenda”. Silvio, preoccupati: i giudici tifano per te!  (manuela d’alessandro)

     

     

  • 20 giorni con gli anziani, tarallucci, vino e tombola per Silvio?

    Una ventina  di giorni con gli anziani, il tempo di qualche largo sorriso dei suoi e vigorosa stretta di mano con gli ospiti e poco più. A questo si ridurrebbe, al di là del valore simbolico che ognuno ci vorrà vedere,  l’espiazione della pena incassata nel processo Mediaset da Silvio Berlusconi. Tutto sembra procedere in questa direzione dopo che oggi il procuratore generale Antonio Lamanna, a sorpresa rispetto ai rumors nei corridoi del Palazzo, ha concesso parere favorevole alla proposta che l’arzillo ex Cavaliere sconti la condanna in un centro per anziani nell’hinterland milanese, vicino alla sua residenza di Arcore. La matematica consegna una prospettiva che fa sorridere pensando alle pene inflitte per il reato di frode fiscale in altri Paesi. Dai quattro anni inziali la pena dovrebbe essere portata a dieci mesi e mezzo: tre vengono scontati perché coperti dall’indulto e 45 giorni saranno risparmiati al condannato dopo sei mesi perché lo prevedono i benefici di legge. Il programma approvato dal pg prevede che il leader di Forza Italia trascorra mezza giornata, una volta alla settimana, nel suo refugium peccatorum. Alla fine, una ventina di giorni, appunto, ora più, ora meno. Con una discreta libertà di movimento per continuare la sua attività politica. Tarallucci, vino e una tombolata a Natale. Il finale che si conviene per ogni vera tragedia italiana. (manuela d’alessandro)
  • Un avvocato, mai avuto i brividi come per ergastolo Brega

    Quella immagine di ieri sera non se ne va, cerco di soffocarla nel da fare dell’oggi e del domani, di metabolizzarla nella legge che ho imparato e nel mestiere che da più di 25 anni mi occupa tra entusiasmi, delusioni e normalità, provo ad anestetizzarla tra le tante facce amiche o anche solo conosciute che c’erano ieri in quella gigantesca e più volte battuta in questi anni aula, ricorro alla razionalità del sincero rispetto di chi ricopre diverse funzioni e cerco di scacciare lo spettro del carrozzone che come cantava qualcuno “va avanti da sé” mi sforzo di ritornare sui luoghi abituali e necessitati del mio nuovo giorno. Ma ieri sera insieme a tanti ero lì ad ascoltare un verdetto di uomini ed il caso logistico dell’assemblaggio mi volle di poco contiguo ad un altro uomo di cui avevamo tanto e in tanti sentito molto parlare ed accusare. Era in piedi vicino ad una grande gabbia mentre un Giudice lo condannava all’ergastolo specificando poi minuti e minuti di aggiunte per lui evidentemente inutili, dietro la moglie e forse qualche amico se ne ha ancora. (altro…)

  • Ergastolo e arresto shock in aula per Brega

    Lui è appoggiato alla gabbia, confuso tra gli avvocati, lo sguardo duro, accanto c’è la moglie, bionda, bella, pronta a difenderlo coi cronisti anche dopo, anche quando la Corte d’Assise pronuncia una sentenza mai ascoltata prima in un’aula di giustizia italiana. Ergastolo con isolamento diurno di 3 anni. “Di più non c’è niente, c’è la morte”, commenta un legale che sfoglia il codice per vedere se di più potrebbe essere dato, tecnicamente, perché col pensiero è difficile andare oltre. La stessa pena di Olindo Romano e Rosa Bazzi, gli assassini nella corte di Erba, tanto per dire. Pier Paolo Brega Massone, l’ex primario di chirurgia toracica della clinica Santa Rita, passa alla storia come il primo medico condannato per avere ucciso (quattro) suoi pazienti non per errore, come a volte capita, ma perché ha ‘accettato’ la possibilità che potesse accadere (omicidio volontario con dolo eventuale). Lo avrebbe fatto per guadagnare potere all’interno della struttura perché ogni intervento erano soldi pubblici che incassava quell’ospedale poi ribattezzato ‘clinica degli orrori’ dove sarebbero stati asportati polmoni e seni, senza una ragione. Dopo la lettura del verdetto della Corte d’Assise, le telecamere si girano tutte su di lui. (altro…)
  • Uepe chi? Cronisti a caccia del centro anziani ‘Villa Silvio’

    Uepe. Fino a ieri nessuno sapeva cosa fosse, ma ora il destino di Silvio Berlusconi è nelle mani dell’Ufficio Esecuzioni Penali Esterne che ha chiesto di far scontare all’arzillo ex Cavaliere la condanna Mediaset in un centro per anziani, sempre che il Tribunale di Sorveglianza non decida di metterlo ai domiciliari. In teoria non dovrebbe essere difficile scoprire qual è la struttura destinata a Silvio. Sappiamo dov’è, non lontano da Arcore. Il sito del Ministero della Giustizia ci informa che “l’elenco degli enti convenzionati è affisso presso le cancellerie di ogni Tribunale”. Quanti saranno i centri per anziani convenzionati in zona?

    I due cronisti fiduciosi bussano alla cancelleria del Tribunale di Sorveglianza al settimo piano. Ci fanno entrare i gentili impiegati. “Dov’è l’elenco delle strutture dell’Uepe?”. Segue sguardo interdetto della signora a cui ci siamo rivolti. “Sì, sì, c’è scritto sul sito del Ministero che dovrebbe esserci un elenco…”. “Ah, ma mica siamo nati oggi noi, sappiamo cosa c’è sotto questa richiesta – dice la simpatica cancelliera al telefono con un collega più anziano interpellato per avere lumi. Niente, anche il tizio risponde che in 20 anni non ha mai sentito parlare di questo elenco. “Ma c’è sul sito del Ministero…”, ribadiamo. “E vabbé, sa quanto cose il Ministero dice che devono essere affisse, poi le appendi e magari c’è la privacy”. Pazienza, lo scopriremo domani, forse. Ora possiamo dedicarci al ‘toto – Silvio’: domiciliari o servizi sociali? Per i bookmakers giudiziari prende quota l’ipotesi peggiore per l’ex premier.  (manuela d’alessandro e oriana lupini)

     

     

     

  • Saranno felici i figli di chi non potrebbe diventare genitore?

    Che vita avranno i figli di “malati terminali, cugini primi, anziani”, genitori “tecnologici” a cui la natura non avrebbe concesso la capacità di procreare?  Questo si chiede in una sentenza piena di tormenti il giudice Gennaro Mastrangelo esprimendo la crisi del diritto “messo con le spalle al muro” di fronte al caso di un uomo di 48 anni e una donna di 54 che hanno ‘affittato’ l’utero di una donna indiana per far nascere il loro erede.   I due imputati sono stati assolti dall’accusa di alterazione di stato per avere fatto ricorso in India alla maternità surrogata totale ed essersi dicharati all’anagrafe di Milano papà e mamma del piccolo, in realtà concepito col seme dell’uomo, l’ovulo di una donatrice e messo al mondo da una terza donna. Una bugia che è costata ‘solo’ la condanna a un anno e 4 mesi di carcere per falsa dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla propria identità.  La mamma “tecnologica” del bimbo, che ora ha due anni, non avrebbe potuto avere figli perché diventata infertile a causa delle cure per un tumore. (altro…)

  • Un assistente sociale per Berlusconi

    Alle cinque del pomeriggio, Berlusconi entrerà nell’arena al primo piano del Palazzo di Giustizia. Cinquantonovesimo ‘torero’, dopo altri 58 condannati che aspettano di sapere come sconteranno la loro pena. Davanti a lui, o ai suoi avvocati se deciderà di non presentarsi, ci saranno il Presidente del Tribunale, Pasquale Nobile De Santis che per l’occasione scenderà in campo in prima persona, il giudice Beatrice Crosti e due ricercatori universitari sorteggiati dall’apposito albo, gli ‘esperti’ in materia. L’udienza si aprirà con la relazione di uno dei due giudici che spiegherà come si sia arivati a questo punto, come il protagonista assoluto della politica italiana degli ultimi 20 anni rischi di perdere la libertà dopo essere stato condannato a quattro anni per frode fiscale nel processo Mediaset. Uno solo di questi anni dovrà scontare, gli altri sono indultati. Tutte le ipotesi sono aperte, dalla più cruenta per l’ex Cavaliere (i domiciliari, escluso il carcere per l’età), a quella auspicata e più probabile (l’affidamento ai servizi sociali). Dopo il giudice prenderà la parola l’accusa, rappresentata dal pg Antonio Lamanna che esprimerà un parere non vincolante. Infine, i giudici si riserveranno una decisione entro 5 giorni, cioè martedì della settimana prossima, che verrà comunicata solo alle parti (tutto si svolge in camera di consiglio, off limits al pubblico). La novità di oggi è che il ‘torero’ – contrariamente a quanto accade a Milano per chi deve scontare un anno o meno di prigione – è stato sottoposto alla cosiddetta ‘indagine sociale’ nei mesi scorsi. Un assistente sociale ha bussato a casa sua per vedere se ci sono i presupposti per rimetterlo sulla ‘retta via’, se l’ambiente sociale e familiare in cui vive è adatto a indirizzarlo verso un futuro probo. E poi, cosa accadrà se il ‘torero’ dovesse uscire vivo dalla battaglia? Potrebbero decidere i giudici stessi dove  dovrà scontare i servizi sociali, in che contesto, oppure saranno i suoi avvocati, Franco Coppi e Niccolò Ghedini, a suggerire un ambiente idoneo. Certo dall’arena uscirà un (fu) Cavaliere se non incornato a morte quantomeno ferito.  (manuela d’alessandro)

  • Offese omofobe sul web
    Chi rispose rischia il processo

    Insulto omofobo libero, vietato rispondere per le rime. E così, vi abbiamo già svelato la morale della favola. Succede questo: Fabio Federico, ex An poi Pdl, sindaco di Sulmona (l’Aquila) fino al 2013, anni addietro registra un videomessaggio in cui mette in fila una quantità di stupidaggini omofobe da far impallidire l’estensore di un ipotetico pamphlet “Eterosessualità e tradizione”. 
    In parte si tratta di opinioni, come tali insindacabili, in parte ironie dal gusto più o meno discutibile, in parte ancora di affermazioni pseudoscientifiche che gli studiosi semplicemente non riterrebbero degne di interesse, se non fosse che la questione dell’omosessualità come patologia è ampiamente smentita da decenni dall’Organizzazione mondiale della sanità e dagli Ordini internazionali degli Psicologi e degli Psichiatri. Tra le altre dichiarazioni di Federico, spicca la seguente: “Se hai degli ormoni maschili e un genoma maschile, fai il maschietto. Il contrario è fuori natura, ci sono delle possibilità di composizione intermedie di questi assetti genetici. Ci sono delle aberrazioni genetiche che determinano il fatto che non si sia né perfettamente uomo e né perfettamente donna”. Precisazione: Federico è un medico. 
    Il video finisce su Youtube nel 2011. In molti, soprattutto nella comunità gay, lo ritengono una provocazione. Da campagna elettorale, certo, ma pur sempre una provocazione se non proprio un insulto. Qualcuno, con una reazione d’ira, invece che ignorare o al più sbeffeggiare con sarcasmo, passa all’insulto, anche pesante, commentando i toni omofobi del video. L’allora sindaco si sente in dovere di segnalare il fatto alla pubblica autorità con una bella querela per 36 utenti di internet. La Procura di Sulmona procede con le indagini, spezzetta il fascicolo in 36 parti e trasmette gli atti agli uffici competenti, quelli del luogo in cui i vari insulti sono è stati materialmente digitati. 
    In questi giorni sono arrivati i primi avvisi di conclusione delle indagini. Tra gli altri uno a Roma, uno a Torino e uno a Milano. Dove il pm Enrico Pavone contesta a un uomo di 45 anni (sposato in Spagna con il suo compagno uruguayano) il reato di diffamazione aggravata ai danni dell’ex sindaco fustigatore del’omosessualità. Aggravata, certo, perché il video è stato visionato da almeno 30mila persone ma pure i commenti contro il primo cittadino sono leggibili da chiunque abbia una connessione internet. Il legale dell’indagato milanese, l’avvocato Barbara Indovina, deposita una memoria in cui chiede l’archiviazione, propugnando la scriminante della provocazione subita. Il suo assistito “non può essere punito”, afferma in sostanza, in quanto il video che ha ispirato il duro commento conterrebbe affermazioni “lesive di regole comunemente accettate nella civile convivenza”. Purtroppo, diciamo noi, che in Italia l’omofobia sia lesiva di regole comunemente accettate, è ancora da dimostrare. Certo in Spagna, dove quel filmato è perfettamente visibile, e dove è stato segnalato, l’omofobia è reato. E chissà che qualcuno in terra iberica non intenti questa volta un’azione contro il sindaco.
  • Un altro ricordo di D’Ambrosio
    L’avv. Vanni ‘risponde’ a Frank

    Caro Frank,
    voglio ricordare Gerardo D’ Ambrosio anche in un altro modo.
    E’ stato un magistrato laico: ha avuto sempre chiari i limiti dei suoi poteri e della sua funzione, anche quando “mani pulite” teneva in pugno i governi del paese, quando il tuo illustrissimo collega Enzo Biagi dedicava sul Corriere l’intera pagina 3 all’infanzia di Antonio Di Pietro, e quando un settimanale metteva in copertina Borrelli a cavallo (senza il suo consenso, pare). Neanche in quegli anni D’Ambrosio ha mai pensato di avere una funzione purificatrice del mondo dai suoi mali, né il potere di redimere con i mandati di cattura la mitica società civile italiana dai suoi vizi secolari.
    Soprattutto, Gerardo D’ Ambrosio è stato un PM che non ha mai rifiutato il confronto con gli avvocati, né in aula, né fuori, forse anche perché non aveva nessuna ragione per temerlo. Aveva una concezione dialettica del processo perché sapeva dialogare, non perché il codice di procedura penale l’ha imposta a tutti, senza alcun successo.
    Non era difficile, per un avvocato, confrontarsi con D’Ambrosio, anche su temi importanti, semplicemente bussando alla porta del suo ufficio, che di solito era aperta. Per mettere a fuoco la differenza di stile, nel passaggio tra epoche storiche prossime: hai mai provato a bussare alla porta di un PM di prima nomina, di quelli appena arrivati, o a chiedergli un appuntamento?
    E’ certamente possibile che D’Ambrosio abbia preso anche decisioni sbagliate, ma per come l’ho conosciuto escludo che le abbia prese per convenienza o per superbia: non è mai stato superbo, ed era libero abbastanza da poter ignorare la convenienza.
    Questo per un magistrato non è poco, anzi: è la ragione per la quale l’ho ammirato, la stessa per la quale lo ricordo con rimpianto. (avvocato Luigi Vanni in risposta all’articolo ‘Morto D’Ambrosio, dal malore attivo di Pinelli a Mani Pulite, scritto da Frank Cimini)

  • Di Pietro escluso dalla foto ricordo del pool
    ai funerali di D’Ambrosio

    Il pool si riunisce attorno alla bara coperta di rose bianche del suo ’papà’ Gerardo D’Ambrosio nell’atrio del Palazzo di Giustizia. L’immagine è suggestiva. Francesco Saverio Borrelli, Francesco Greco, Gherardo Colombo, sono schierati in toga, emozionati e assorti,  per omaggiare il feretro di chi li guidò durante ’Mani Pulite’. Dalla foto simbolo dell’addio a D’Ambrosio manca soltanto Antonio Di Pietro. Dov’è? È a pochi metri dai vecchi compagni di battaglia, confuso tra il pubblico, in abiti ’borghesi’, lo sguardo cupo e triste. Escluso dal cerimoniale perchè  lui non solo non è più un magistrato ma anche perchè – questo pare abbiano risposto i responsabili del cerimoniale alle sue proteste –  la toga l’ha lasciata per volontà sua, non per andare in pensione. “Come mai è rimasto fuori?”, proviamo a chiedergli. Alza le spalle, con lo sguardo abbattuto, senza dire nulla. Fuori dal Palazzo, prima di entrare nella chiesa di San Pietro in Gessate dove si svolgono i funerali, recupera la verve consueta e inneggia allo “spirito di gruppo” del pool che mise in pratica il motto dei moschettieri “l”unione fa la forza” per combattere la corruzione. Quanto avrebbe voluto entrarci anche lui in quella foto.  (manuela d’alessandro)

  • ‘Ergastolo a Kabobo, anzi no 20 anni’
    Così Alleanza Nazionale chiede una pena certa

    Prima di dare corso ad una manifestazione è sempre meglio mettersi d’accordo su quel che si desidera richiedere. Altrimenti si rischia di non fare proprio una bella figura se, a favore di taccuini e telecamere, un politico invoca l’ergastolo e se la prende con i pm troppo teneri, mentre un altro dello stesso partito, dopo essersi consultato con i cronisti di giudiziaria perché nel merito non era molto ‘sul pezzo’, dice che va bene così, che la richiesta di condanna sembra corretta. E allora perché manifestare e forse, in generale, se proprio si deve, non è meglio aspettare la sentenza?

    E’ successo stamattina davanti al Tribunale di Milano, dove è andato in scena un presidio di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale nel giorno in cui sarebbe potuta arrivare (ma non è arrivata, rinvio al 15 aprile) la sentenza per Adam Kabobo, il ghanese che ha ucciso tre passanti a colpi di piccone lo scorso maggio, ma anche lo schizofrenico paranoide che la Lega pare avere preso a modello di immigrato con cui vedrai che alla fine la giustizia sarà clemente. Quando il pm Isidoro Palma, infatti, nella scorsa udienza ha chiesto per lui 20 anni di reclusione, con l’applicazione dello sconto per il rito abbreviato e il riconoscimento della semi-infermità mentale, è partito repentino il tweet del leader del Carroccio Matteo Salvini per esprimere grande indignazione. E i Fratelli d’Italia, che non volevano essere da meno, si sono ritrovati oggi in corso di Porta Vittoria per un sit-in contro ”l’ingiustizia” di ”tutte quelle sentenze che umiliano le vittime e i loro parenti”. La sentenza nel caso Kabobo, facciamo notare, non c’è ancora stata, ma il capogruppo in Consiglio comunale ed ex vicesindaco, Riccardo De Corato, ci ha tenuto a chiedere ”l’ergastolo” per il ghanese, perché ”se non si dà l’ergastolo a chi ha ammazzato tre persone, a chi lo si dà?”. Evidentemente, però, non si era messo d’accordo, e ciò forse è anche un bene per la genuinità dell’iniziativa, con il deputato ed ex ministro e avvocato, Ignazio La Russa, che prima l’ha presa più alla larga, parlando di ”massima severità per i condannati e certezza delle pene”, e poi ha definito ”adeguata” la richiesta di condanna a 20 anni per Kabobo.

    Quando i cronisti si stavano allontanando con i taccuini saturi di dichiarazioni, sono stati, però, raggiunti da La Russa, che nel frattempo era venuto a conoscenza del contrasto interno al partito. ”Voglio precisare che noi ci saremmo aspettati una richiesta di ergastolo, ma in ogni caso non è questo l’argomento della manifestazione”, ha spiegato. E poi ha consultato i cronisti, i quali gli hanno chiarito che il pm, dato il rito abbreviato e la semi-infermità mentale, aveva chiesto il massimo che poteva, 20 anni appunto. ”Allora il magistrato ha correttamente applicato la legge – ha precisato ancora La Russa – Diciamo che sono reati da ergastolo, ma il pm ha applicato bene la legge”. Intanto, ‘fuori onda’ De Corato giustificava la sua più pesante richiesta, precisando a sua volta: ”Sì ma io non sono mica avvocato”. Degna conclusione di un sano dibattito interno al partito. (Roger Ferrari)

  • Morto D’Ambrosio, dal “malore attivo” di Pinelli a “Mani pulite”

    Se n’è andato “zio Gerry”. Così colleghi, avvocati e cronisti chiamavano Gerardo D’Ambrosio per decenni al palazzo di giustizia di Milano come giudice istruttore, come pm, come coordinatore del pool di “Mani pulite”, capo della procura, prima di diventare parlamentare del Pd.  Chi scrive queste poche righe per ricordarlo ha avuto con lui ottimi rapporti umani, di simpatia tra napoletani, ma abbiamo spesso discusso e litigato soprattutto nel periodo della falsa rivoluzione di “Mani pulite” e a un certo punto sono stato gratificato, primo giornalista al mondo, di una causa civile milionaria dal pool per aver criticato i metodi di indagine e i due pesi e due misure di un’inchiesta che alla fine salvò o poteri forti veri come Fiat e Mediobanca. Farei un torto  alla verità e anche  a lui che amava la schiettezza se mettessi tutto nel dimenticatoio nel momento in cui “zio Gerry” ci ha lasciato.

    D’Ambrosio è stato un magistrato, come tanti, schierato, che ha subito volentieri le influenze della politica e non mi riferisco solo al periodo in cui il pool intendeva rivoltare l’Italia come un calzino. D’Ambrosio come giudice istruttore decise che Pino Pinelli, fermato per la strage di piazza Fontana, il 15 dicembre del 1969 morì per un “malore attivo” che lo fece cadere da una stanza della questura di Milano, quella del commissario di polizia Luigi Calabresi. Una ricostruzione assurda che servì a cercare di salvare capra e cavoli e a tutelare in sostanza gli uomini in divisa che a verbale avevano messo “nu cuofane e fesssarie”. Ma si sa il terrorismo di stato è sempre innocente. A prescindere. Comunque zio Gerry riposa in pace. (frank cimini)

  • La donna è toga.
    Il 65,5% dei magistrati praticanti sono femmine.

    La statistica consacra, come spesso accade, ciò che si vedeva già ad occhio nudo: le toghe rosa ormai sono un fiume in piena, e il mestiere di magistrato è sempre più un mestiere femminile. Dal processo Ruby a quello Santa Rita, bastava fotografare l’aula per toccare con mano quanto la presenza delle donne sui banchi fosse ormai pervasiva e a volte totalizzante: sei donne su sei nei due collegi giudicanti, donna il procuratore aggiunto del caso Ruby, donne le due pm del processo alla clinica degli orrori. E ancora: due donne su tre, presidente compreso, nel processo d’appello dei diritti tv a Silvio Berlusconi, e una donna sul banco dell’accusa; due donne su tre, presidente compreso, tra i giudici d’appello del processo a Dolce e Gabbana; e via di questo passo.
    Dal sito del Consiglio superiore della magistratura, i dati confermano esattamente la tendenza. Tra i 9443 magistrati ordinari in servizio, i signori sono ancora in leggero vantaggio: 4828 contro 4615 signore. Ma è chiaro che è l’onda lunga degli anni in cui l’accesso delle donne alla funzione giudiziaria era una eventualità sporadica: basti pensare che solo nel 1963 i concorsi per magistratura vennero aperti anche al gentil sesso, e che il primo concorso della nuova era, tenutosi poco dopo, vide ammesse solo otto donne su un totale di 187 promossi. (altro…)

  • Doppia fuga dalla toga
    L’addio ai grandi processi milanesi
    per un alberghetto sul mare in Marocco

    Dibattimento Parmalat, fatto. Processo a Berlusconi, provato anche quello. E’ il momento giusto: fuga dalla toga. “Mollo tutto, lascio Milano, provo con una vita diversa, più semplice, a contatto con la natura e con gente normale”. Sara Caletti, molte volte in aula al fianco del professor Carlo Federico Grosso, a gennaio si è cancellata dall’albo degli avvocati. “Cambiare vita significa anche condividere momenti belli con le persone che incontri tutti i giorni. Incontrarle in aula per un processo, beh…”.
    La vita diversa è un alberghetto sulla costa atlantica del Marocco, una decina di chilometri a sud di Essaouira. Località con un passato hippie (a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 vi lasciarono le proprie tracce Jimi Hendrix e Cat Stevens) che ha molto poco a che vedere con la severità del palazzo di Giustizia del Piacentini. Anche il marito di Sara è un avvocato, Alessandro Cesaris, socio dello studio Della Sala & Associati. “In epoca ormai remota ho seguito il processo di Piacenza per la strage del Pendolino (otto morti e quasi trenta feriti, ndr). Più di recente, come parte civile, il caso Aleotti-Menarini a Firenze (truffa ai danni dello Stato)”. Lui aspetterà giugno per cancellarsi dall’albo, quando la coppia si trasferirà. “Appena nostra figlia avrà finito la prima elementare. Dall’anno prossimo andrà alla scuola francese”, spiegano.
    In Marocco hanno rilevato una proprietà affacciata sull’oceano, al margine di una spiaggia di surfisti. Si chiama Auberge de la Plage. Di turismo, dicono, non ne sanno niente. Un’altra sfida. (altro…)

  • Nella ‘guerra’ tra pm, il gip dice no al sequestro di una barca

    Nella guerra interna alla procura di Milano dove i procuratori aggiunti si contendono le inchieste spunta la storia di una barca che il pm Claudio Gittardi aveva sequestrato ritenendola profitto del reato di corruzione nella disponibilità dell’ex consigliere regionale Gianluca Guarischi, con il gip Fabio Antezza che dice di no e non convalida il sequestro.

    L’inchiesta è uno stralcio del processo in corso a carico di Guarischi che, secondo l’accusa, avrebbe fatto da intermediario tra gli imprenditori Lo Presti padre e figlio e pubblici ufficiali da identificare nell’ambito di appalti della sanità. Tra gli indagati figurano tra gli altri l’ex governatore Roberto Formigoni, l’ex assessore alla sanità Bresciani e l’ex direttore generale Lucchina. (altro…)

  • La clamorosa requisitoria che ‘assolve’ Dolce e Gabbana

    ‘Botte’ per tutti. Per la Guardia di Finanza, per la Procura e i giudici di primo grado che hanno cucito un’accusa addosso agli stilisti Dolce e Gabbana che “contrasta col buon senso giuridico” e gli è costata nel giugno dell’anno scorso la condanna in primo grado a un anno e otto mesi di carcere per omessa dichiarazione dei redditi. Mai richiesta di assoluzione è stata sostenuta con più vigore da un rappresentante della pubblica accusa con affermazioni che ‘superano’ il processo investendo le relazioni tra giustizia e finanza. Tra un fendente e l’altro, il pg Gaetano Santamario Amato a un certo punto ’esplode’ persino in una dichiarazione d’amore verso gli imputati: “Un grande gruppo industriale presente nel mondo che nel 2004 pensa in grande e decide di trasferirsi nel Paese con la Borsa più vivace in Europa, il Lussemburgo”. Una realtà economica che, “in controtendenza con l’industria italiana”, scoppia di salute e non scappa nel Granducato per beffare il fisco ma per crescere quando “i  tempi sono maturi”. (altro…)

  • Rognoni da’ 894mila euro all’avv. Ripamonti e poi lo nomina suo legale

    Oggi Antonio Rognoni, ormai ex  dg di Infrastrutture Lombarde,  è rimasto muto durante l’interrogatorio di garanzia giustificandosi col fatto che non ha ancora nominato un avvocato di fiducia dopo la revoca dei precedenti. Le carte dell’inchiesta che tocca anche l’Expo ci svelano l’identità del suo precedente legale e soprattutto la ragione per cui non può più difenderlo. E’ l’ex Presidente della Camera Penale Daniele Ripamonti che non ci fa una gran bella figura  negli atti dell’indagine in cui si ipotizza una gigatesca rete di affari e favori.  Il suo nome – si legge in un’informativa della Guardia di Finanza di Milano –  spunta nella lista dei consulenti di Ilspa in possesso di uno degli arrestati, Pier Paolo Perez, capo dell’ufficio gare della società operativa ‘Infrastrutture Lombarde società per azioni’,  al cento per cento di proprietà del Pirellone.  (altro…)