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  • Camera Penale, la sentenza ‘Infinito’ è copiata
    e gli osanna di Boccassini inopportuni

    Sulla storica sentenza della Cassazione frutto dell’indagine ‘Infinito’, la Camera Penale di Milano non partecipa all’esultanza mediatica e della Procura che ha accolto la conferma di 92 condanne. E neppure mostra di gradire gli “osanna” di Ilda Boccassini  successivi al verdetto che ha sancito la presenza radicata della ‘ndrangheta in Lombardia.

    Non è naturalmente il merito delle accuse al centro della riflessione contenuta in una nota firmata dal Consiglio Direttivo. Quello che preoccupa gli avvocati, “nonostante lo scrutinio di legittimità della Cassazione”,  è che si sia arrivati a questo epilogo a partire da una sentenza di primo grado considerata una “riproposizione pedissequa del contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare che, a sua volta, aveva recepito integralmente contenuto e parole della richiesta di applicazione di quelle misure cautelari”. “Un pericoloso gioco di scatole cinesi – così viene definito il cammino di questa indagine verso la condanna definitiva pronunciata il 6 giugno dalla Cassazione – in cui le motivazioni di una parte del processo, ovvero quella cui si riconduce la responsabilità delle indagini e, quindi quella più vicina, anzi necessariamente alleata agli inquirenti, diventa il tessuto motivazionale di un giudizio di condanna, senza che sia stato possibile in modo esauriente e convincente individuare in quella motivazione parti della stessa a cui poter affidare la testimonianza di una autonomia del giudizio del decidente e, quindi, di un valido esercizio della delicata funzione giurisdizionale”. (altro…)

  • Guerra in Procura al Csm
    ‘Indignato Jo’ in via Freguglia
    con tarallucci e vino

    Noi del suo parere teniamo sempre conto. Perché la sua è una visione ‘laterale’, frutto della forma mentis di chi conosce la Procura come le sue tasche ma non risponde esattamente alle logiche della quotidianità tribunalizia. Ebbene, Giorgio Dini Ciacci, sabato scorso, si è presentato all’ingresso di via Freguglia così.

    Ha provato a entrare ma lo hanno fermato al metal detector di via Freguglia. Meglio di un editoriale. Il modo più diretto per esprimere la previsione sul finale della lunga guerra in Procura tra Bruti Liberati e il suo aggiunto Robledo. Come andrà a finire al Csm? Prima ancora che si conoscesse il contenuto delle proposte della prima e della settima commissione, l’Indignato Jo aveva già detto la sua. Con tarallucci e vino.

  • Se il Csm si da’ del colabrodo da solo

    Secondo il Csm, Alfredo Robledo avrebbe messo “a rischio la segretezza delle indagini” inviandogli atti relativi a Expo nel batti e ribatti di colpi con Edmondo Bruti Liberati. Ora, evocando quel vecchio animatore di salotti notturni televisivi, il Csm si faccia una domanda e si dia una risposta: chi avrebbe potuto violare la segretezza delle indagini, se non il Csm stesso? Nessuno, visto che in teoria quegli atti  erano nella sola disponibilità dei magistrati dell’organo di autogoverno. Quindi, il Csm si da’ da solo del (potenziale) colabrodo?  (m. d’a.)

     

  • Esclusiva. Il documento di Bruti sulle assegnazioni delle indagini.

    Ecco il documento inviato dal procuratore Edmondo Bruti Liberati ai pm in cui, tra l’altro, sono contenuti i nuovi criteri di assegnazione delle indagini. E’ la risposta, tardiva, alle contestazioni di Alfredo Robledo che hanno dato il via allo scontro davanti al Csm. Oggi l’organo di autogoverno ha contestato a Bruti la mancanza di una chiara disciplina delle assegnazioni dei fascicoli.

     

    2014 criteri bozza 9 giugno-1

  • Bruti doveva motivare atti a Boccassini
    E il procuratore detta i ‘nuovi’ criteri organizzativi

    Se c’è un vincitore ‘ai punti’, almeno per il momento, è Alfredo Robledo.  E lo è il giorno dopo che, a quanto apprende Giustiziami, il suo ‘rivale’, Edmondo Bruti Liberati, ha inviato ai pm una circolare di una sessantina di pagine contenente i nuovi ‘criteri organizzativi’ di assegnazione delle indagini, tema al centro dello scontro che infiamma la Procura. Nel documento si legge, tra l’altro, che i procuratori aggiunti (come Robledo, per intenderci) non possono più essere co – assegnatari di indagini.

    Qualche grave errore nel distribuire le inchieste ai suoi pm – adesso è la settima Commissione del Csm a metterlo nero su bianco a maggioranza, in un documento che verrà valutato dal plenum – il ‘capo’ l’ha commesso nei mesi scorsi, a cominciare dal fascicolo più insidioso, quello nato dalle rivelazione di Ruby. Colpa di Bruti anche non avere dettato una “precisa disciplina relativa all’assegnazione” dei fascicoli ai vari dipartimenti, cosa che, a quanto pare, il procuratore avrebbe fatto soltanto ieri.

    Bruti Liberati, scrivono i rappresentanti dei magistrati, doveva motivare le ragioni per cui assegnò il coordinamento di questa inchiesta a Ilda Boccassini anche “per scongiurare qualunque possibilità di rischio di esporre l’ufficio al pur semplice sospetto di una gestione personalistica delle indagini delicate” su Silvio Berlusconi. E anche quando nell’ambito dell’inchiesta sul San Raffaele “si è proceduto all’iscrizione di fatti corruttivi (col coinvolgimento di Formigoni, ndr) non è stata attivata la necessaria interlocuzione” con Robledo. Un passaggio, è il rilievo mosso dal Csm a Bruti, che doveva essere compiuto per “verificare la possibilità di una coassegnazione dell’inchiesta” avviata dal dipartimento guidato da Francesco Greco.

    Quanto all’ormai noto fascicolo Sea dimenticato da Bruti nell’armadio, il Csm sembra non approvare il comportamento di nessuno dei due contendenti, censurando sia il “ritardo” di Bruti nel consegnarlo al collega, che era competente, sia “l’inerzia” di Robledo “nel sollecitare l’adempimento”. “Nessun rilievo organizzativo” può essere mosso invece al procuratore per la gestione dell’inchiesta su Expo.  Anzi, qui sembra essere Robledo quello messo peggio perché al pg della Cassazione Ciani e al Ministro della Giustizia Andrea Orlando  spetterà valutare l’”insistenza di Robledo nella richiesta di trasmisione degli atti”, nonostante ci fosse già un coordinamento, e la “possibile messa a rischio della segretezza delle indagini” con l’invio di atti al Csm. Infine, viene sollecitato il parere del pg anche sul presunto doppio pedinamento di un undagato nell’inchiesta Expo, ‘rivelato’ da Ilda Boccassini ma negato dalla Guardia di Finanza che ne sarebbe stata protagonista. (manuela d’alessandro)

  • La pianta che cammina nel Palazzo

    “Non toccare / non è abbandonata / è un dono per l’ufficio / c’è chi ne cura / l’idratazione / il nutrimento e / l’esposizione / grazie / Non fatecela cercare di nuovo per tutto l’ufficio, chi porta una pianta poi la vuole almeno vedere”.

    Chi ha detto che la Procura è un luogo arido? Non lo è nei sentimenti, per lo meno, se si leggono questi versi sciolti vergati da un anonimo lavoratore del palazzo di giustizia. Magistrato? Cancelliere? Chi può dirlo. Ma là dove c’è amore per una pianta che soffre, là c’è cura anche per le altre cose, e soprattutto per le persone che popolano quel luogo. La pianta, visibilmente sofferente, con tanto di nastro da pacchi attorno al tronco, si trova al quarto piano, quello della Procura, lato via San Barnaba, nello spazio tra gli ascensori e i finestroni che danno sull’Umanitaria, per chi conosce la geografia del palazzo. Lì il vegetale trova la luce di cui ha bisogno. C’è chi si cura di dargli l’acqua. Per qualche tempo, evidentemente, qualcuno l’ha nascosta, poi il proprietario l’ha ritrovata, ma ci sono volute affannose ricerche. Appropriazione indebita? Furto con destrezza? Prestito? Starà alla Procura accertarlo. Ora la pianta è tornata al suo posto. Non spostatela più. Altrimenti scatta il poema.

  • Il Procuratore c’est moi, riferite tutto a me su Expo

    Bruti Liberati manda una circolare a tutti i pm, annunciando la nascita dell’Area Omogenea Expo “cui sono attribuite tutte le indagini che, a vario titolo, concernono direttamente o indirettamente l’evento”.  “Appare necessario e urgente istituirla” – spiega – “in modo tale da assicurare efficace e pieno coordinamento dei procedimenti pendenti presso i diversi Dipartimenti di questa Procura”. 

    Cosa significa “Area Omogenea Expo”?

    Dalla lettura del documento si capisce bene cosa non vuole essere. Non è la creazione di un  pool di pubblici ministeri che si occupano del tema perché  “non è opportuno  prevedere un organico proprio per l’Area Omogenea Expo”.  Un’altra cosa che si capisce bene è che Bruti rivendica con piglio deciso i suoi poteri in questo ambito. Eccoli, come li scolpisce nella circolare: “il Procuratore della Repubblica riserva a sè stesso il coordinamento dell’Area Omogenea Expo”; “i Procuratori aggiunti e il coordinatore Sdas riferiranno prontamente al Procuratore della Repubblica in ordine a tutti i procedimenti” su Expo; “le notizie di reato saranno trasmesse direttamente al Procuratore della Repubblica il quale provvederà all’assegnazione dei procedimenti ai sostituti assegnati ai diversi Dipartimenti, in ragione delle rispettive specializzzioni, tenendo conto altresì delle connessioni e /o collegamenti investigativi, nonché, se del caso, provvedendo ad opportune coassegnazioni, ove emergano diversi profili di specializzazione”.   Cosa sarà esattamente l’Area Expo lo capiremo nei prossimi mesi, per adesso sembra un ‘urlo’ di Bruti nella Procura lacerata per ricordare a tutti che il capo è lui, e al momento non pare abbia voglia di abdicare. (m.d’a)

     

  • Tao Scatenato fa tutto da solo
    Falsifica un legittimo impedimento e si smaschera
    Dieci mesi, per lui neanche le generiche

    Un po’ pasticcione, ma l’audacia non gli manca mai. Per questo è il numero uno. Da avvocato o da imputato, poco cambia, Carlo Taormina mena sempre colpi micidiali. Qualche volta per se stesso. E’ Tao Scatenato.

    Vi avevamo raccontato qui della sua recente condanna a dieci mesi. Tutto per un legittimo impedimento non esattamente legittimo, corredato da un piccolo falso. La storia è ancora meglio di quanto credessimo. Perché leggendo le motivazioni della sentenza, si scopre che il Taormina ha combinato tutto da solo: tenta un trucchetto, si accanisce contro un giudice e si smaschera da solo. E così rimedia la condanna.

    L’8 maggio 2009 invia un fax al Gup di Milano Giorgio Barbuto con un’istanza di legittimo impedimento. Chiede il rinvio dell’udienza del 15 maggio, in cui sarà imputato per diffamazione ai danni dell’ex procuratore di Aosta Maria Del Savio (le loro strade si erano incrociate nell’inchiesta sul delitto di Cogne). Avvisa che gli sarà impossibile essere in udienza dovendo quello stesso giorno difendere, come unico difensore, un imputato per droga in Sardegna. E allega la citazione della Corte d’Appello di Cagliari.
    Il 13 maggio Taormina “trasmetteva segnalazione al Presidente del Tribunale di Milano e al Presidente dell’Ufficio Gip nella quale evidenziava che il suo difensore – nel corso di un colloquio del 12 maggio – aveva percepito che il magistrato, che si era riservato di decidere in udienza, avrebbe potuto non ritenere valido l’impedimento addotto”. Il Tao-legale-imputato lamentava, si legge nelle motivazioni, “la particolare attenzione al processo che lo riguardava da parte del Gip e una ‘solerzia’ così accentuata da parte del magistrato che se avesse riguardato tutti i processi di Milano avrebbe consentito ‘l’eliminazione di ogni più pesante arretrato’”. Insomma Taormina calca la mano sul povero Gip Barbuto. Passa all’attacco: “l’atteggiamento del dott. Barbuto si configurerebbe in caso di celebrazione dell’udienza, illegittimo e inopportuno in quanto per un verso pregiudizievole per l’esercizio del diritto di difesa e per un altro non adeguato alla trattazione di una constroversia penale di non eccessivo rilievo, se non fosse che controparte del sottoscritto siano due magistrati”. Altra bordata. (Saggio è chi evita di attaccare un giudice per la sua solerzia nel celebrare un processo con altri magistrati in veste di parte civile). Ai due presidenti, allega di nuovo la citazione. Solo che questa volta compare un nome che invece non compariva in quella spedita al giudice Barbuto. Compare un codifensore di Taormina nel processo sardo. Mannaggia. E che è successo? Per il Tribunale di Milano, è successo che dell’originale era stata fatta una prima fotocopia oscurando il nome del codifensore. Mentre ai due presidenti era arrivato per fax l’originale. Fatto il confronto, svelato l’inganno. (altro…)

  • Kabobo, schizofrenico anche perché emarginato
    Così il gup spiega la condanna a 20 anni

    “Non si può dire che la malattia ‘abbia agito al posto’ dell’imputato” Adam Kabobo. Non c’era una mano immaginaria a guidarlo, costringendolo a uccidere tre persone a colpi di piccone. Quella mano non c’era neppure nella sua testa confusa. E se per “il sentire comune” il comportamento del giovane ghanese potrebbe essere considerato pura “follia”, non si può parlare di “automatismo della malattia”. Almeno così ritiene il gup di Milano Manuela Scudieri, che ha condannato Kabobo a 20 anni di carcere (più misura di sicurezza) in rito abbreviato, riconoscendogli una parziale incapacità di intendere.

    E però, le cose non sono così semplici, il magistrato non può far finta che Kabobo, difeso dagli avvocati Benedetto Ciccarone e Francesca Colasuonno, fosse un cittadino come tutti gli altri, interamente imputabile per il suo comportamento violento, anzi “efferato”. Non può farlo, e infatti è chiamato a decidere sulla base di perizie specialistiche e del complesso degli atti di indagine, non delle dichiarazioni dei politici, non delle interviste rilasciate dagli avvocati, come altrove si vorrebbe.

    E allora, la “condizione di emarginazione sociale e culturale” di Adam Kabobo, scrive il gup, è stata “valutata quale concausa della patologia mentale riscontrata, nel riconoscimento della seminfermità mentale”. La “condizione di stress derivante dalla lotta per la sopravvivenza ha inciso sulla patologia” di Adam Kabobo, “aggravando la sintomatologia delirante e allucinatoria e la comprensione cognitiva”. Il giudice condivide la perizia psichiatrica, la quale chiarisce che il ghanese voleva “uccidere e con l’occasione farsi catturare per soddisfare i propri bisogni primari”. Insomma avrebbe ucciso tre persone anche per farsi arrestare, e finire in un carcere italiano, dove notoriamente vitto e alloggio sono da hotel a cinque stelle.

    Kabobo ha ucciso tre persone innocenti, senza una ragione comprensibile a noi comuni cittadini. Sulla base di indagini accurate, tenendo conto anche di quanto sostenuto dalle difese e dai legali dei famigliari delle vittime, il giudice ha fatto le sue considerazioni. Matto? Sano? Brutto e cattivo? Adesso l’idea potete farvela anche voi:

    motivazioni sentenza kabobo

  • Domani processo a Erri De Luca, assolvetelo in nome della libertà

    Il 5 giugno dunque si terrà davanti al gip di Torino un’ udienza preliminare contro un apprezzato e valente scrittore italiano che ha scatenato, da più parti, nutrite e variegate manifestazioni di solidarietà. Trattasi di Erri De Luca, accusato dalla locale Procura di istigazione a delinquere (art. 414 Cp) per avere pronunciato,mesi orsono, le seguenti parole: “La TAV va sabotata. Ecco perché le cesoie servivano: sono utili a tagliare le reti. Hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l’unica alternativa” . L’art. 414 del Codice penale è reato inserito nel titolo V del Codice Penale “dei delitti contro l’ordine pubblico” e prevede una pena fino a 5 anni di reclusioneper chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più delitti.Rivendicando la libertà sancita dall’art. 21 della Costituzione che stabilisce che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”, lo scrittore ha dichiarato: “Se mi condannano per istigazione alla violenza non farò ricorso in appello. Se dovrò farmi la galera per avere espresso una opinione, allora la farò”. (altro…)

  • ‘Pistole e palloni’, gli anni ’70 nel racconto della Lazio campione.
    Una squadra di “pazzi, selvaggi e sentimentali”.

    Guy Chiappaventi, giornalista di La7 romano e laziale che si proclama insofferente agli spigoli della nostra città, da qualche anno si aggira col suo taccuino per i corridoi del Palazzo di Giustizia con l’aria sorniona di chi viene da un altro pianeta. Ora, leggendo il suo libro ‘Pistole e Palloni’ (Editore Castelvecchi),  intravvediamo finalmente da quale pianeta sia calato e, dobbiamo ammetterlo, una storia così a Milano, almeno in quella sportiva, non potrebbe mai essere stata scritta. Guy offre ritratti luminosi, dal portiere Felice Pulici al mister Tommaso Maestrelli,  dei ragazzi che vinsero il primo scudetto nella storia della Lazio il 12 maggio 1974, mentre lui era in prima elementare e l’Italia diceva sì al divorzio e all’aborto col disappunto di Pasolini, le cui riflessioni incorniciano non per caso i momenti più intensi di questo libro.  Sono le parole dell’intellettuale, comunista e omosessuale, a disegnare i confini del ‘campo’ in cui giocò quella squadra di “irregolari”, machista e missina, che per la prima volta nel dopoguerra strappò il tricolore al nord, e dove “le teste erano calde, andavano di moda le pistole e i paracadute, le partitelle di allenamento finivano a schiaffi, gli spogliatoi erano divisi per clan”.

    “Io giravo con la pistola, una 44 magnum. Poteva servirmi in certi casi. Ma non l’avevo presa per autodifesa, alla Lazio eravamo quasi tutti armati. Con le armi ci passavamo i ritiri all’Hotel Americana”. Questo è Giorgio Chinaglia che per Pasolini era un centravanti “goffo e delirante”, per i tifosi un amatissimo “re Luigi XIV degli anni settanta”, in grado di poter battersi il petto con la foga che lo spingeva in area di rigore, urlando: “La Lazio? C’est moi.”

    Tanti di quei giocatori ammiravano Giorgio Almirante ed esibivano pose neo – fasciste, pur senza essere consapevoli della matrice storica dei loro comportamenti, proprio negli anni del  ‘riflusso’ che spegne il ’68 e porta dritto alla lotta armata.  L’ossessione della polvere da sparo bruciò il volo di Luciano Re Cecconi, l’angelo biondo a cui un gioielliere con una revolverata tolse la vita a 28 anni perché per scherzo inscenò una rapina nella sua bottega. Di quella squadra di “pazzi, selvaggi e sentimentali” spezzata da tali rivalità che i giocatori si cambiavano in due spogliatoi fisicamente distinti (quelli che stavano con Chinaglia e gli ‘altri’)  molti ebbero una sorte nera, dalla mezzala Frustalupi,  morto in un incidente stradale all’allenatore Maestrelli, il più dolce di tutti che sapeva come ammansire le sue belve e finì in una bara a un passo dalla panchina dell’Italia.  Tanti finirono risucchiati in inchieste giudiziarie, calcio scommesse, falsi in bilancio, passaporti truccati.  Long John Chinaglia è stato folgorato da un infarto in America da latitante, il 16 settembre di un anno fa. (manuela d’alessandro)

  • Generiche all’ex capo del Ros Ganzer perché agì per “fuoco sacro”

    Cosa spinse i giudici a ‘decapitare’ la condanna a Gianpaolo Ganzer in appello, concedendogli le attenuanti generiche, nonostante, da capo del Ros, avesse in seno una squadretta che ‘inventava’ traffici di droga per fare carriera?

    Oggi arriva la risposta ed è abbastanza sorprendente. Sì, scrivono i giudici della Corte d’Appello che gli hanno ridotto la pena da 14 anni a 4 anni e 11 mesi,  Ganzer avrebbe dovuto accorgersi di quello che i suoi uomini combinavano, ma, tutti, a cominciare dal capo, agirono per il “fuoco sacro” che li animava, non per altre ragioni, ritenute dai magistrati più deprecabili.

    Ecco il passaggio clou delle oltre 500 pagine di motivazioni  in cui viene spiegata la concessione delle generiche a tutti gli imputati, tranne uno, condannati il 13 dicembre 2013. “E’ certo che i militari del nucleo di Bergamo col concorso dei loro colleghi della sede centrale (…) abbiano ecceduto  ma appare, considerate anche le energie profuse e i pericoli corsi, che abbiano agito, piuttosto che per puro carrierismo o forse anche per un ritorno economico, per una sorta piuttosto di presunzione o superbia di corpo – se così si può dire – di fuoco sacro, che li ha portati ad agire con spregiudicatezza e indifferenza rispetto ai limiti chiaramente fissati dalle norme di legge”.

    Quindi il “fuoco sacro” in qualche modo spegne, almeno in parte, le responsabilità degli imputati.  E infatti i giudici non accordano le generiche a chi questo “fuoco sacro” non poteva avercelo, non indossando la divisa. Spiegano i magistrati che il narcotrafficante Jean Bou Chaaya, accusato di avere gestito l’importazione della droga in Italia,  non le merita “perché non aveva nessuna finalità ulteriore da perseguire se non quella del suo arricchimento personale e quello dei suoi complici trafficanti”. (manuela d’alessandro)

     

    Sentenza C App III parte(3)

     

     

     

  • Preso il fratello assassino dell’ereditiera
    Scappare in Libano non conviene più

    E niente, vanno tutti là: in albergo a Beirut. Solo che poi li prendono e li fanno tornare in Italia. Non hanno capito: in Libano l’accordo per l’estradizione c’è e funziona anche bene.

    Pasquale Procacci torna in carcere. Era scappato appena prima della sentenza d’appello bis che lo ha condannato a 30 anni di carcere per l’omicidio della sorella. Latitante. La mattina era in udienza, il pomeriggio…puff. Volatilizzato. Ve ne avevamo parlato per primi qui. Procacci – curioso parallelismo con casi più noti – ha preso un aereo per Beirut dopo essere transitato dalla Francia.

    Proprio ieri il magistrato che per primo l’aveva accusato di omicidio aggravato, Letizia Mannella, confessando di non avere idea di dove fosse fuggito, escludeva che Procacci potesse aver compiuto qualche ‘gesto estremo’: “E’ scappato di sicuro. Una storia molto particolare, la sua”. Intanto, chiuso nel solenne silenzio dell’investigatore, il sostituto pg Piero De Petris, che coordinava le ricerche della polizia, negava di sapere dove si trovasse il fuggitivo: “Se ne occupa la squadra Mobile”. Invece lo sapeva bene. Procacci era stato individuato in Libano già da una settimana. Stamattina il blitz in un albergo di Beirut. Presto sarà riportato in patria. Può sperare che la Cassazione bis torni ad annullare la sentenza, confidare in un appello ter che lo assolva. Per il momento però torna in carcere. Chissà se potrà leggere i giornali, che in questi giorni sono pieni della storia di Marcello Dell’Utri. Noi lo immaginiamo chino sui quotidiani mentre maledice il giorno in cui si è fatto ispirare, per la sua latitanza, dal Libano.

  • Processo a Podestà sospeso per scontro Bruti – Robledo.
    A rischio anche quelli a Formigoni e Berlusconi.

    La cruenta sfida in Procura blocca il processo, ormai in dirittura d’arrivo, a Guido Podestà, accusato di falso ideologico in relazione alle presunte firme false raccolte a sostegno della candidatura di Roberto Formigoni alle regionali del 2010.  Il giudice della quarta sezione penale Monica Amicone, come prevede la legge, ha sospeso l’udienza a carico del Presidente della Provincia di Milano dopo che i suoi legali, gli avvocati Gaetano Pecorella e Paolo Veneziani, avevano presentato alla Cassazione un ricorso per chiedere lo spostamento da Milano a Brescia a causa dello scontro tra il procuratore Edmondo Bruti Liberati e l’aggiunto Alfredo Robledo. Nell’istanza i difensori ricordano che l’inchiesta è uno dei ‘casus belli’.

    Dalla lite tra i due ‘galli’ della Procura, secondo la difesa, sarebbe derivata una “anomala e irrituale duplicazione” del procedimento: quello iscritto per prima all’epoca e poi archiviato, che era assegnato a Bruti, e quello aperto da Robledo mentre pendeva la decisione del gip  sulla richiesta di archiviazione dell’altro fascicolo.  L’indagine sulle firme false è tra quelle indicate come motivo del contendere davanti al Csm anche perché Bruti ha accusato Robledo di non averlo avvisato con tempestività dell’iscrizione nel registro degli indagati di Podestà, mentre Robledo sostiene di avere infomato subito il suo capo dell’interrogatorio della teste Clotilde Strada che aveva indicato elementi d’accusa contro il politico del Pdl. Il processo è stato sospeso in attesa di una decisione della Suprema Corte. E adesso, sull’esempio della difesa Podestà, potrebbero presentare analoghe istanza anche i legali di Berlusconi e quelli di Formigoni nei processi Ruby e Maugeri, entrambi portati al Csm come ‘pomi della discordia’. Qui sotto riportiamo l’istanza di Podestà, se avessero bisogno di ispirazione.(m. d’a.)

    Turci_Podestà_ricorso_ex_art._45_cpp

  • Vietti difensore di Bruti con lavori del Csm ancora aperti

    “Spetta al capo della procura la titolarità dell’azione penale”. Il vicepresidente del Csm Michele Vietti, mentre le commissioni sono ancora al lavoro, si fa intervistare dal quotidiano “La Stampa”, per difendere a spada tratta il capo della procura di Milano Edmondo Bruti Liberati, l’operato del quale è stato oggetto dell’esposto presentato dall’aggiunto Alfredo Robledo.

    Vietti parla nello stesso giorno in cui ha incontrato il capo dello Stato Giorgio Napolitano e anche questo dimostra che sono in gioco cose molto più importanti del destino di un po’ di magistrati che hanno litigato tra loro in relazione all’assegnazione di importanti inchieste.

    Il numero 2 dell’organo di autogoverno dei giudici teme l’arrivo di rilievi critici su Bruti dalla commissione che si occupa dell’organizzazione degli uffici giudiziari e usa il peso del suo incarico per cercare di influenzare gli esiti della discussione. Insomma Vietti dovrebbe essere arbitro e invece indossa la maglietta di uno dei due protagonisti della querelle.

    E non rinuncia Vietti nemmeno alle lodi sperticate alla procura milanese quando parla di “encomiabile impermeabilità davanti alle fughe di notizie”. Evidentemente il vicepresidente del Csm dimentica come minimo, per stare a tempi più o meno recenti, i verbali di Ruby finiti sui giornali.

    Fa bene comunque a essere preoccupato Vietti. In qualsiasi modo dovesse finire la querelle interna alla procura è emerso con chiarezza che i magistrati agiscono in base a criteri di opportunità politica, che l’obbligatorietà dell’azione penale è una ‘foglia di fico’ per nascondere le peggiori nefandezze. Ovviamente per tornare a cose concrete, a fatti, Vietti nell’intervista non fa il minimo accenno al fascicolo prima “sparito” e poi “dimenticato” sulla gara d’asta targata Sea indetta nel 2011 dalla neonata giunta di centro-sinistra. (frank cimini)

  • Pomarici al Csm, quel pm alla Dda solo perché uditrice di Ilda

    Quel giovane pm, Paola Biondolillo, è stata assegnata alla Dda solo perché è stata uditrice di Ilda Boccassini. In una lettera inviata a Bruti Liberati, ora depositata al Csm  nell’ambito della ‘sfida’ Robledo – Bruti Liberati, il pm Ferdinando Pomarici, è molto severo a proposito della nomina della collega alla Direzione Distrettuale: “Mi sembra – scrive il sostituto nella missiva anticipata da panorama.it – priva di alcun requisito idoneo all’assegnazione alla Dda se non quello, pare, di essere stata uditrice giudiziaria dell’attuale coordinatore (Ilda Boccassini, ndr)…”Mi stupisce che un esponente storico come te   di Magistratura Democratica, che si è sempre caratterizzata per le battaglie più decise in tema di concorsi interni, abbia poi rinunciato a tali principi quando, forse, richiesto di derogarvi da chi gradiva l’assegnazione di colleghi di propria personale fiducia”.  Sempre in questa lettera, il pm che indagò sulla vicenda Abu Omar annuncia al capo che non intende più partecipare alle riunioni della dirigenza: “Il disagio si è fortemente acuito per effetto di alcune tue scelte che assolutamente non condivido e che non voglio in alcun modo avallare”

    Nella seconda lettera, Pomarici critica  Bruti sulla scelta di assegnare il caso Ruby a Ilda Boccassini, secondo lui intervenuta esercitando una informale «auto assegnazione». Pomarici parla di violazione “di una norma che ha costituito per anni cavallo di battaglia di Md proprio per evitare il fenomeno delle assegnazioni “pilotate”, fonte di timore diffuso che anche le successive indagini possano apparire all’esterno parimenti “pilotate”. (m.d’a.)

  • Podestà chiede di trasferire processo a Brescia per scontro in Procura.
    E Giustiziami arriva in Cassazione.

    Guido Podestà chiede che il processo in cui è imputato per falso ideologico in relazione alle presunte firme false a sostegno della candidatura di  Roberto Formigoni alle regionali del 2010 venga trasferito per “legittimo sospetto” da Milano a Brescia “stante la evidente gravità, non altrimenti eliminabile, della situazione locale, idonea a turbare lo svolgimento del processo”. E, tra le fonti di prova che sottopone alla Suprema Corte, cita anche due articoli apparsi su Giustiziami.

    In un ricorso di 13 pagine depositato alla Cassazione, i suoi legali, Gaetano Pecorella e Paolo Veneziani, ricordano che l’inchiesta è uno dei ‘casus belli’ al centro dello scontro tra Bruti Liberati e Robledo i quali avrebbero dato vita a una “anomala e irrituale duplicazione” di questo procedimento, quello iscritto per primo e archiviato – assegnato a Bruti – e quello iscritto da Robledo mentre pendeva la decisione del gip sulla richiesta di archiviazione del primo, entrambi relativi ai medesimi fatti e per le medesime ipotesi di reato”. Della doppia inchiesta la difesa di Podestà aveva già parlato invocando il principio del ne bis in idem sia in udienza preliminare che in dibattimento ma ora – si legge nell’istanza – tutto ciò trova un “senso”  alla luce dell’esposto di Robledo che ha dato il via alla contesa davanti al Csm tra i due magistrati. “Uno scontro che in soli due mesi – sottolineano i legali – ha travalicato il limite del confronto tra i due coinvolgendo, oltre all’ufficio del pm, le correnti esistenti in seno alla magistratura e determinando all’interno della sede giudiziaria milanese una situazione così grave da turbare lo svolgimento del processo a carico di Podestà”. E per dimostrare la crudezza della lotta, citano, oltre a quelli di altri giornali, anche due articoli di Giustiziami,  in particolare quello in cui riportiamo il rimprovero di Bruti al collega  perché il nostro Frank Cimini era a conoscenza dell’imminente  chiusura dell’indagine.

    Su questa inchiesta, in effetti, i due litiganti se ne sono dette di ogni. Il capo ha accusato Robledo di non averlo avvisato con tempestività dell’iscrizione nel registro degli indagati del politico, mentre Robledo sostiene di di avere subito informato Bruti dell’interrogatorio della teste Clotilde Strada sul tema delle firme false raccolte dal Pdl e che l’unica reazione di Bruti sarebbe stata quella di preoccuparsi se questo poteva creare problemi al Pdl. (manuela d’alessandro)

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  • Unipol, Gdf porta via 45 pc a Consob che se la prende con la stampa

    La Consob mostra un’ incredibile solerzia nell’aprire indagini sui giornalisti ma non altrettanta, stando a quanto emerge dalle prime battute dell’indagine su UnipolSai , ne avrebbe profusa sull’analisi dei conti della compagnia assicuratrice bolognese.  In una nota di venerdì scorso, l’organo di vigilanza prometteva di approfondire le variazioni del valore del titolo in relazione alle informazioni diffuse a mercato aperto, con chiaro riferimento alla notizia della perquisizioni nella sede del nuovo gigante delle assicurazioni, avvenute il giorno prima.

    Non è la prima volta che la Consob  reagisce stizzita alla diffusione di notizie sull’indagine coordinata dal pm Luigi Orsi.  Nei mesi scorsi aveva aperto un’inchiesta su Giovanni Pons e Vittoria Puledda del quotidiano La Repubblica: in un articolo dell’11 dicembre 2012 avevano messo in fila  le possibili debolezze dei bilanci Unipol, che aveva in corso la fusione con Fonsai.  Proprio per verificare se ci siano responsabilità di funzionari dell’autorità di controllo nell’abbellire i conti della società che stava per convolare a nozze con le macerie dell’impero Ligresti, la Guardia di Finanza ha portato via 45 computer dalla sede romana di Consob. Dall’analisi del materiale informatico il pm si aspetta di capire se il Presidente Giuseppe Vegas (non indagato) non solo non avrebbe vigilato sulla fusione, com’era suo compito istituzionale, ma avrebbe anche ostacolato nei fatti la verifica su quanto valesse davvero Unipol. Anzitutto, impedendo che il funzionario Marcello Minenna, capo dell’Ufficio Analisi Quantitative, calcolasse il valore dei derivati in pancia a Unipol e poi tenendo all’oscuro delle operazioni in corso uno dei commissari della Consob, Michele Pezzinga. (manuela d’alessandro)

  • Nobili al Csm, mai rinunciato in 34 anni a un’indagine

    E’ fnita.  Il Csm serra  le quinte dichiarando chiusa l’istruttoria sulla vicenda Bruti – Robledo con l’ultimo atto, l’audizione del procuratore aggiunto Alberto Nobili. Era stato Robledo a chiedere che venisse ascoltato il pm sull’assegnazione del fascicolo Ruby  a Ilda Boccassini. Secondo la sua versione, Nobili non rinunciò a coordinare l’indagine partita dalle rivelazioni della giovane marocchina perché “mai è stato interpellato sul punto, né è stata richiesta la sua opinione”. “Nobili – si legge nella memoria di Robledo – venne meramente informato della decisione che era già stata presa dal Procuratore della quale si limitò a prendere atto”.

    Bruti invece aveva sostenuto davanti al Csm che il fascicolo sulle notti ad Arcore era stato assegnato a Boccassini col beneplacito del magistrato che in quel momento avrebbe dovuto coordinarlo, il procuratore aggiunto Nobili. Ebbene, oggi un consigliere del Csm ha letto testualmente a Nobili quanto scritto da Robledo nella sua memoria chiedendogli se corrispondesse al vero e, non solo il procuratore, protagonista di tantissime ‘storiche’ inchieste sulla criminalità organizzata, ha confermato di non essere stato interpellato prima della decisione sul passaggio dell’inchiesta alla sua ex moglie Boccassini, ma ha anche sottolineato di non essersi mai tirato indietro in 34 anni di carriera di fronte a un’indagine.  Quando Bruti gli comunicò che l’inchiesta non gli saprebbe spettata, Nobili ha detto di averne “preso atto”, senza avere “nulla da obbiettare”. Sia la Prima che la Settima Commissione hanno a questo punto chiuso l’istruttoria avviata in seguito alla denuncia di Robledo su presunte irregolarità nella gestione della Procura da parte di Bruti. La Settima Commissione si riunirà in seduta straordinaria martedì prossimo, giorno in cui potrebbe già formulare le conclusioni da proporre al plenum, mentre la Prima Commissione si riunirà solo all’ inizio di giugno. (manuela d’alessandro)

  • Raccolta di firme tra pm
    non siamo come media ci dipingono

    I pm di Milano provano a ridisegnare l’immagine di una Procura spezzata dalla violenta contesa finita davanti al Csm tra il loro capo, Edmondo Bruti Liberati, e il ‘rivale’ Alfredo Robledo. Armando Spataro, che tra poche ore potrebbe salutare l’ufficio ed essere nominato alla guida della Procura di Torino, è tra i  promotori una raccolta di firme a sostegno di un documento, che Giustiziami ha potuto leggere. In essa, il magistrato che ha seguito alcuni tra i più importanti processi di terrorismo interno e internazionale contesta l’immagine che sembrerebbe emergere dalle ultime vicende di una Procura alcova dei peggiori sentimenti. “Nell’ovvio rispetto delle future determinazioni del Csm (…) – si legge nel documento – non possiamo non intervenire in ordine alla rappresentazione mediatica non corrispondente al vero che viene offerta alla pubblica opinione (…) con un’immagine di una Procura dilaniata dalla contrapposizione interna. Respingiamo ogni tentativo di delegittimazione complessiva dell’operato della Procura che rischia di danneggiare la credibilità e compromettere l’efficacia dell’azione dell’ufficio”. A quanto ci risulta, il foglio fatto girare negli uffici ha raccolto il consenso della maggioranza dei pubblici ministeri, anche se non l’unanimità. Hanno firmato in 62 su un’ottantina complessiva di pm in servizio a Milano.  Alcuni di loro non si è riusciti a contattarli, altri hanno invece non hanno condiviso il contenuto del documento. In qualche caso ci sono stati anche dibattti molto duri tra i sostenitori dell’iniziativa e chi non ha firmato.

    Francamente, con tutta la stima per Spataro e per molti altri pubblici ministeri che giustamente rivendicano la serenità per lavorare, non ce la sentiamo di assumerci la responsabilità di avere raffigurato la Procura così come non è. E’ un fatto che sia in corso al quarto piano una lotta senza esclusione di colpi che non coinvolge soltanto il capo e Robledo ma anche tutte le toghe, e sono tante, che hanno preso posizione a favore dell’uno o dell’altro, a volte con toni anche molto duri nella camera caritatis delle loro stanze. E questo fatto è stato raccontato, bene o male. Ci si è anche ricamato sopra, a volte in modo discutibile, ma il dato di partenza è che a Milano sta succedendo qualcosa che prima mai si era visto. (manuela d’alessandro)

  • Ereditiera uccisa in viale Sarca
    Fratello condannato, ricercato, sparito

    Condannato a 30 anni in primo grado per aver ucciso la sorella, trovata in viale Sarca a Milano, in una serata quasi ‘noir’ di pioggia battente, all’interno di un’auto. Assolto in appello, ma poi la Cassazione annulla. Nell’appello bis, due giorni fa, Pasquale Procacci è stato di nuovo ritenuto colpevole di omicidio aggravato. Pare fosse in aula fino a poco prima della lettura del dispositivo. Ma da allora è sparito. La polizia lo cerca, tecnicamente è “irreperibile”, come spiega una fonte investigativa. Per lui c’è una nuova ordinanza di custodia cautelare.

    Del resto, con una condanna in appello a 30 anni di carcere, il rischio che un imputato scappi prima che la Cassazione renda definitiva la sentenza è piuttosto alto. Specialmente se, come nel caso di Procacci, i soldi non mancano. Ha 73 anni e poco da perdere, dispone di un patrimonio immobiliare consistente frutto in parte dell’eredità che starebbe proprio alla base del movente. La squadra Mobile della polizia l’ha cercato a casa, negli altri appartamenti dati in affitto e nella sua abitazione al mare. Non c’è traccia di lui.

  • Domani via a processo Notav, pm fanno i furbi

    I pm di Torino fanno i furbi all’immediata vigilia del processo, depositando a poche ore dal via una montagna di atti, 67 verbali con carabinieri, poliziotti e finanzieri per cercare di dimostrare che l’azione contro il cantiere avvenuta nel maggio 2013 in cui fu danneggiato un compressore avvenne con finalità di terrorismo e con gravi danni all’immagine dell’Italia e della Ue.

    La procura aveva ottenuto il rinvio a giudizio con rito immediato davanti alla corte d’assise dei 4 militanti Notav, in carcere dal dicembre scorso sottoposti in un regime di alta sorveglianza a un 41bis di fatto, sul presupposto che vi fosse l’evidenza della prova. E invece solo in extremis i pm calano il presunto asso, in un clima da emergenza da loro artificiosamente creato, agitando i fantasmi del passato, al fine di usare il processo  contro chi dice no all’opera costosa inutile e controproducente del treno ad alta velocità ma fa opposizione sociale in generale.

    Insomma quel compressore per i gestori del laboratorio politico della repressione nel terzo millennio è come se fosse Aldo Moro. Il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria si era spinto fino a proporre che da domani i 4 imputati seguissero il processo in videoconferenza, un’idea che la corte d’assise non ha preso in considerazione. E non è l’unica novità negativa per i ‘professionisti dell’antiterrorismo’. Nei giorni scorsi la Cassazione ha annullato con rinvio a un altro colllegio del Riesame di Torino la contestazione della finalità che porterebbe gli imputati a richiare fino a 30 anni di carcere mentre è finito indagato per simulazione di reato e procurato allarme l’autista di un pm che si era inventato un’aggressione dei NoTav.

    Da domani comunque nell’aula bunker del capoluogo piemontese si gioca una partita che va al di là di un processo che avrebbe dovuto essere celebrato non in corte d’assise ma in tribunale e con gli imputati a piede libero. Si tratta di una partita politica in cui il diritto rischia fortemente di contare solo in percentuale minima perché stavolta magistrati, partiti e media sono uniti nella lotta. Con un occhio alla difesa degli affari. Gli appalti del Tav infatti risultano gli unici onesti e trasparenti. Nel nome della “lotta al terrrismo”. (frank cimini)

  • Sea, ora l’inchiesta della ‘guerra’ in Procura rischia l’avocazione della Pg

    Il fascicolo Sea, prima ‘dimenticato’ nell’armadio dal capo della Procura e poi ‘pomo della discordia’ tra Bruti Liberati e Robledo, rischia di finire avocato dalla Procura Generale su richiesta delle difese. L’istanza  sarebbe motivata dalla mancanza di serenità in Procura dove il litigio interno ha portato a una paralisi dell’attività investigativa che riguarda altre numerose inchieste dei dipartimenti guidati da Francesco Greco, reati societari e finanziari, e Alfredo Robledo, reati contro la pubblica amministrazione.

    Sempre in relazione alla Sea, c’è un’indagine per aggiotaggio in mano al pm Sergio Spadaro. Il caso che suscita maggiori perplessità e interrogativi inquietanti è quello del cosiddetto ‘Ruby ter’. I giudici dei processi Ruby uno (Berlusconi) e Ruby due (Fede, Minetti e Mora) hanno in pratica ordinato alla Procura di svolgere indagini sulle presunti corruzioni e false testimonianza di ‘olgettine’, poliziotti e varia umanità. Invece non si muove foglia perché, riferiscono le ‘voci’ del Palazzo, la Procura avrebbe deciso di aspettare le sentenza di appello dei due processi che potrebbero arrivare in estate ma anche oltre. L’impressione è che Berlusconi, in questo momento, interessi molto meno che in passato sia per il suo ruolo nelle riforme sia perché messo all’angolo dall’affidamento ai servizi sociali.
    Lungo è l’elenco delle inchieste che da mesi segnano il passo e si tratta di indagini equamente distribuite tra i due dipartimenti al centro della contesa di cui si stanno occupando  il Csm con tre commissioni e il pg della Cassazione per l’aspetto disciplinare. (altro…)

  • NoTav, dalla Cassazione spiraglio di luce nella notte del diritto

    La decisione della Cassazione è arrivata oltre la mezzanotte ma è uno spiraglio di luce nella notte del diritto perché i giudici della Suprema Corte, annullando con rinvio al Riesame di Torino gli ordini di carcerazione, hanno rimesso in discussione il capo di imputazione che prevede una condanna fino a 30 anni  per i 4 militanti NoTav responsabili di aver danneggiato un compressore nel maggio del 2013.

    La nuova udienza del Riesame dovrà ripartire necessariamente dall’anullamento del capo a e del capo b: aver attentato alla vita delle persone con finalità di terrorismo e aver agito per gli stessi motivi detenendo armi da guerra, le molotov. La Procura di Torino, retta fino a pochi mesi fa da Giancarlo Caselli, l’uomo di tutte le emergenze ora in pensione e impegnato a scrivere articoli forcaioli sul ‘Fatto Quotidiano’, aveva radicalizzato lo scontro parlando di danni all’immagine dell’Italia e della Ue. Il gup aveva fatto copia e incolla mandando a giudizio gli imputati davanti alla corte d’assise (dove il processo inizierà il 22 maggio). La Cassazione ha messo dei paletti. Adesso toccherà attendere le motivazioni e il nuovo Riesame. Gli imputati nel frattemmpo restano in carcere dove entrarono a dicembre scorso, detenuti con un regime di alta sorveglianza mentre il Dap non vorrebbe nemmeno permettere loro la presenza in aula da giovedì prossimo costringendoli a seguire il processo tramite videoconferenza.

    Ma qualcosa si muove nella notte del diritto. La Suprema Corte ha messo un granello di sabbia nel teorema-marchingegno  della procura che si muove in un misto di maccartismo e stalinismo mentre è finito indagato per procurato allarme l’autista di un pm che si era inventato un’aggressione da parte dei NoTav. Pure questo fa parte del clima creato dagli inquirenti che agitano un fantasma del passato perché insieme alla politica (uniti nella lotta stavolta) temono l’opposizione sociale sia a un’opera inutile, costosa, che sventra il territorio sia a uno status quo destinato ad aggravare il gap tra chi ha di più e chi ha di meno e a limitare i diritti delle persone (frank cimini)

  • Bruti riscrive al Csm, Robledo pedinò senza informarmi

    Sintesi delle puntate precedenti. C’è stato un doppio pedinamento che ha intralciato l’inchiesta Expo (Bruti). No, dici il falso, non c’è stato (Robledo). E’ vero, non c’è stata nessuna sovrapposizione (Guardia di Finanza).

    Oggi ecco una nuova puntata di ‘Procuropoli’, i cui intrighi sono degni di una soap opera degli anni ottanta.

    Titolo: E invece sì, il doppio pedinamento c’è stato, il bugiardo sei tu. (Bruti).  Trama: il capo della Procura scrive una nota di una paginetta e mezzo al Csm in risposta a quella inviata ieri da Robledo per ribadire che un indagato – a quanto ci risulta potrebbe essere il manager di ‘Expo2015′  Angelo Paris – sarebbe stato seguito sia dagli uomini della polizia giudiziaria della Guardia di Finanza, sia da quelli del Nucleo di Polizia Tributaria delle Fiamme Gialle. Anzi, è l’ accusa di Bruti,  smentendo il doppio pedinamento Robledo implicitamente ammette di avere disposto un servizio di osservazione durato circa due mesi senza informarlo. (altro…)

  • Robledo a Csm, Gdf è con me, nessun doppio pedinamento

    Affermazioni “del tutto inveritiere e fuorvianti”, “radicalmente inventate e prive di qualunque fondamento”. Alfredo Robledo il giorno dopo il violento attacco subito da Edmondo Bruti Liberati risponde al suo capo con altrettanta veemenza inviando una nota al Csm.

    A Bruti che gli contesta di avere intralciato le indagini sull’inchiesta che tocca  Expo anche attraverso il doppio pedinamento di un indagato, Robledo ribatte calando l’ass0. Allega alla sua nota un documento in cui il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza mette nero su bianco che “per quanto consti agli atti d’indagine, nel corso delle attivita’, nel corso delle attivita’ di osservazione e controllo svolte da personale di questa articolazione non si sono registrati episodi di sovrapposizione operativa con personale della pg della Guardia di Finanza presso codesta Procura della Repubblica”. Bruti afferma invece che gli uomini del Nucleo si sarebbero sovrapposti a quelli della sezione di Polizia Giudiziaria del Palazzo nella ‘caccia’ a un indagato.

    Alla nota spedita all’organo di autogoverno della magistratura, Robledo allega “copia dei ‘Rapporti di Servizio’ redatti da personale di questo Nucleo di Polizia Tributaria riferiti a sopralluoghi nonche’ attivita’ di osservazione e controllo esperite nell’ambito del procedimento penale”. Di fatto, almeno una parte della Guardia di Finanza si schiera dalla parte del leader del pool dei reati contro la pubblica amministrazione, smentendo il doppio pedinamento ipotizzato da Bruti. La nota e’ firmata dal comandante del Nucleo Vito Giordano e dal comandante del gruppo Alberto Catalano. Per Robledo, “le inveritiere affermazioni” di Bruti “appaiono altamente lesive della dignita’”  della sua funzione. Nessuna contro – risposta per il momento da parte di Bruti in una contesa che adesso sta mettendo in serio imbarazzo anche le Fiamme Gialle.  (manuela d’alessandro)

     

  • A Expo dal Tav dove i pm non indagano.
    Appalti onesti in nome di Dio

    A sostituire l’arrestato Angelo Paris in Expo sarà Marco Rettighieri, top manager di Ltf, Torino-Lione, alta velocità ferroviaria. Una provenienza che è una garanzia, perchè gli appalti del Tav sono gli unici onesti e trasparenti al mondo, per definizione, quasi per grazia divina.  La ragione è molto semplice: su quegli appalti la procura di Torino non ha acceso non diciamo un faro, ma nemmeno un lumino. Non ci possono essere ombre per ragion di Stato.

    Il rischio sarebbe quello di dare argomenti a chi al Tav si oppone nelle piazze, davanti ai cantieri, manifestando dubbi e  perplessità su un territorio che viene sventrato, buttando via un sacco di soldi per un’opera che serve a nulla, se non a permettere una spartizione della torta che da anni riguarda soprattutto i partiti “di sinistra”, uno in particolare, che nel tempo ha cambiato nome ma ha sempre gli stessi appetiti.

    In materia di Tav la procura di Torino, retta fino a pchi mesi fa da Giancarlo Caselli magistrato ora in pensione e che costruì la sua fortuna passando per ogni “emergenza”, ha ben altro da fare: svolgere il ruolo di laboratorio politico della repressione del terzo millennio. Da cinque mesi, per aver danneggiato un compressore in un cantiere, sono in carcere, torturati da un articolo 41bis di fatto, 4 militanti NoTav che rischiano condanne fino a 30 anni. Secondo i pm, i 4 avrebero agito con finalità di terrorismo, danneggiato l’immagine dell’Italia e dell’Unione Europea. Il 22 maggio inizierà il processo nell’aula bunker di Torino. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per rinfocolare il clima da emergenza ha proposto che gli imputati non siano presenti in aula ma seguano il processo in videoconferenza dalle prigioni che li “ospitano”. La procura vuole un processo “pilota”, pene esemplari, che suonino da deterrente e da monito per chiunque nel presente e nel futuro pratichi l’opposizone sociale allo status quo.

    Per questo, nel momento in cui, quasi tutte le opere pubbliche sono sub judice, gli appalti dell’alta velocità non si discutono. Per non darla vinta ai “terroristi” agitano i fantasmi del passato con un un senatore piddino, siamo sempre lì, che gioca a recitare pateticamente il ruolo del Pecchioli del terzo millennio (frank cimini).

  • Expo, ammissioni da tutti, ma il ‘compagno G’ resta una sicurezza

    La storia non è un’amante fantasiosa, spesso ama riproporre  i copioni. In quello dell’inchiesta Expo tutti hanno ammesso piccole e grandi responsabilità,  qualcuno ha perfino confessato di avere con sé al momento dell’arresto i biglietti “con la contabilità delle tangenti”, tutti tranne Primo Greganti, Gianstefano Frigerio e Luigi Grillo, i tre politici già coinvolti in indagini che hanno segnato la storia d’Italia.  Fedele alla linea, il ‘compagno G’, come accadde in Tangentopoli, si è dichiarato innocente, sostenendo che lui si occupava della “filiera del legno”, mica degli appalti  e così ha fatto l’ex parlamentare della Dc Gianstefano Frigerio.  Grillo ha negato tutto come già fece quando finì indagato per la scalata ad Antonveneta e la storia in quel caso gli diede ragione perché venne assolto dopo una condanna in primo grado.  Gli altri invece si sono lasciati decisamente andare con ammissioni  di rado riscontrate   al ‘primo giro’ degli interrogatori di garanzia. L’ex udc Sergio Cattozzo rivela di avere provato a nascondere i bigliettini su cui annotava le mazzette ai finanzieri, il manager di Expo Angelo Paris da’ le dimissioni con tante scuse (“Colpa mia, mi sono fidato delle persone sbagliate, ho raccontato informazioni sulle gare che dovevano restare riservate”),  mentre l’imprenditore Enrico Maltauro ammette che sì, i fatti sono proprio quelli descritti nell’ordinanza. (manuela d’alessandro)

     

  • Arrestato Expo, il Ministro delle Finanze Vaticane sta con noi

    Il Vaticano è, dopo la sinistra e la destra, il “terzo canale” nel mondo di quella “squadra” fortissima che vince tutti gli appalti della sanità e di Expo. Un amico di questa “squadra”, leggendo gli atti dell’inchiesta che ha portato in carcere anche l’ex Pci Primo Greganti, sembra essere l’uomo alla guida della Prefettura gli Affari Economici del Vaticano, una sorta di Ministero del Bilancio, il Cardinale Giuseppe Versaldi.  Il suo nome spunta da un giro di telefonate tra gli indagati, impegnati in un pressing che dovrebbe portare il manager Stefano Cetti a conquistare una poltrona nella società A2A.

    Un, due, tre, vediamo le  porte a cui deve bussare il ‘giocatore’ Cetti.

    “Sì, sì, Cetti lo devi vedere – suggerisce l’ex Dc Giandomenico Frigerio all’ex Udc ligure Sergio Cattozzo, in un’intercettazione del 23 dciembre 2013 che vede protagonisti i due futuri arrestati – perché gli ho detto, gli ho parlato di A2A nella prospettiva e gli ho detto, ci sono tre canali da seguire: il primo canale è il rapporto con la sinistra, devi parlare con Sergio perché ti fissano un appuntamento con Primo e li vedi tutti e tre perché tu l’hai mancato completamente, quella sera non c’eri, eri impegnato”; poi gli ho detto poi sulle banche che sono gli azionisti veri il canale è Gigi (Grillo,ex senatore di Forza Italia) ma anche lì devi parlare con Sergio un’altra volta e fissare un appuntamento con lui; poi c’è il terzo canale che è il mondo cattolico e lì ti faccio parlare io col cardinale con quelli lì, ma i primi due canali sono fondamentali, quindi parlane con Sergio al più presto”.

    Un, due, tre. La parola “Cardinale” compare ben 9 volte nelle fittissime pagine dell’ordinanza, ma solo due volte è seguita da un nome. “Non posso parlare – comunica l’ex senatore forzista Luigi Grillo all’imprenditore Enrico Maltauro – ti chiamerò tra circa un’ora appena finisce la conferenza stampa del cardinale Bertone”. Che ci fa Grillo alla conferenza stampa? Misteri della fede. Sempre al telefono, Frigerio catechizza Cetti: “Il terzo canale è il mondo del Vaticano, dove noi abbiamo amici il Ministro delle Finanze che è il cardinale Versaldi e anche il Segretario di Stato con…quindi magari lì ti mando un mio amico il Walter Iacaccia che è legato a Versaldi…poi ti porta lui da Versaldi”. Sembra che questo incontro col Cardinale  poi si combini davvero: “Guarda che è il Cardinale – dice Frigerio al manager di Expo Angelo Paris, parlando di un incontro fissato per il “giovedì”- perché è proprio un mio amico il Cardinale …è una persona seria…uno di Alessandria…ma poi un uomo di quelli di una volta”.    (manuela d’alessandro)